Perché ci interessiamo di Israele
Il problema di Israele in realtà è stato sempre il problema dell'esistenza di Israele. La ragione del disagio non va cercata in quello che gli ebrei fanno o sono. La gente non li odia perché fanno gli strozzini o hanno il naso adunco: il problema sta nel fatto che ci sono. Da una parte questa constatazione può tagliare le gambe agli ebrei di buona volontà, quelli che vogliono avere un comportamento giusto e rispettoso verso gli altri, che cercano di evitare atteggiamenti di superbia che possano ferire, che fanno sforzi per favorire il dialogo e lo stare insieme dei diversi. Tutto questo è buono e lodevole in sé, ma non cambia il fatto che le cose buone può farle soltanto qualcuno che c'è. E più un ebreo si muove, anche per venire incontro al suo prossimo non ebreo, più gli fa sentire che c'è. E questo non fa che aumentare l'avversione del non ebreo ostile. UNA MALATTIA DEI GENTILI D'altra parte, proprio questa amara constatazione può liberare l'ebreo da un inutile senso di colpa. «Sarò imperfetto, farò molte cose sbagliate, sarò un poco di buono come tanti altri - può pensare - ma se i guai provengono dal fatto che ci sono, allora la colpa non è mia, perché io ho il diritto di esserci, come tutti gli altri». Sì, su questo punto gli ebrei possono tranquillizzarsi: il "problema Israele" in realtà è una malattia dei gentili. C'è un particolare della vita di Theodor Herzl che fa capire quanto può essere pesante per un ebreo il sentirsi non accolto dall'ambiente circostante, e quanto può essere grande e sincero il desiderio di fare qualcosa per venire incontro alle aspettative degli altri. Riporto alcune notizie della sua vita tratte da "A History of Israel from the Rise of Zionism to our Time", di Howard M. Sachar. Herzl non era un religioso, e in gioventù tendeva piuttosto all'assimilazione. Provava anzi un po' di disagio davanti ai comportamenti sconvenienti di certi "cattivi ebrei". Ma il suicidio di un suo caro amico, Heinrich Kana, molto probabilmente dovuto ai disagi legati al suo essere ebreo, lo scosse profondamente. Nella sua attività di giornalista cominciò allora a dedicare sempre più attenzione all'antisemitismo, e nel privato continuò a rimuginare dentro di sé su quello che si poteva fare per eliminare questa piaga sociale. Un'idea che gli venne in mente, e che riportò soltanto nelle sue note, fu «una volontaria e onorevole conversione» di massa degli ebrei al cristianesimo. Immaginava che la cosa sarebbe dovuta avvenire «alla chiara luce del sole, in un pomeriggio di domenica, con una solenne, festosa processione accompagnata dal suono delle campane ... con fierezza e gesti dignitosi». L'autore aggiunge che Herzl lasciò cadere quasi subito quest'idea, ma il semplice fatto che gli sia venuta in mente fa intuire il peso che aveva in cuore, e la sua sincerità nella ricerca di una soluzione che non danneggiasse nessuno. Resta la domanda del perché. Perché i gentili non sopportano la presenza degli ebrei come persone, come popolo, come nazione? Anche qui le spiegazioni date sono innumerevoli, ma quella biblica resta la più semplice, ed è anche quella giusta: gli ebrei ricordano Qualcuno. Qualcuno a cui non si vuole pensare perché non si vuole che ci sia. O, se proprio deve esserci, che almeno stia zitto. Si sarà capito che è il Dio d'Israele, l'unico vero Dio, che non solo ha creato i cieli e la terra, ma li ha creati con la sua parola, e quindi ha parlato, e continua a parlare. Cosa che a molti non fa piacere. Si capisce allora perché periodicamente si è sempre fatto avanti qualcuno che ha manifestato la "buona intenzione" di beneficare l'umanità risolvendo una volta per tutte il problema nell'unico modo adeguato: sterminando gli ebrei. E questa non è un'idea che sia venuta in mente per la prima volta a Hitler. L'intenzione risale ai tempi biblici. Sentiamo come prega il salmista:
In questo salmo c'è tutta la spiegazione del "problema Israele". Abbiamo detto che la causa profonda dell'ostilità verso gli ebrei sta nel fatto che ci sono, e infatti qui si dice: "distruggiamoli come nazione". Abbiamo detto che non si vuole che gli ebrei ci siano perché non si vuole che la loro presenza tenga vivo un ricordo, e qui si dice: "... e il nome d'Israele non sia più ricordato!". Abbiamo detto che quello che non vuol essere ricordato è il Dio d'Israele, e qui si dice che i popoli stringono un patto contro di te, cioè contro Dio che ha scelto Israele. Il salmista non prega dicendo: "Aiuto, Signore, siamo in mezzo ai guai, liberaci dai nostri nemici", come avremmo fatto noi che pensiamo sempre e soltanto agli affari nostri. Il salmista dice: "I tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa". Quello che succede a noi è un problema tuo, dice il salmista a Dio, perché i nostri vicini stanno congiurando "contro quelli che tu proteggi", e allora se noi andiamo a fondo, sarà il tuo nome che ci va di mezzo. Diranno che non sei un Dio potente, che non sei stato capace di proteggere il tuo popolo, arriveranno fino a Gerusalemme, al monte che tu hai scelto per tua dimora (Salmo 68:16), e faranno quello che vuol fare Arafat (anacronismo calcolato), «poiché hanno detto: Impossessiamoci delle dimore di Dio» (Salmo 83:12). E nel seguito il salmista non chiede al Signore di aiutare il popolo d'Israele, ma di colpire i nemici di Dio. Cattiveria? No, difesa del nome di Dio e desiderio che i popoli vicini, proprio quelli che vogliono far sparire il nome d'Israele dalla terra (tanto da non volerlo nemmeno scrivere sulle carte geografiche del Medio Oriente), si ravvedano e cerchino il nome del SIGNORE, buttando nella spazzatura tutti gli altri nomi. Infatti conclude:
Ma è chiaro che chi osa pregare in questo modo deve anche, coerentemente, lui per primo, cercare e onorare il nome del Signore. E questo è il vero problema di Israele. EBREO, GENTILI... E CRISTIANI Cominciamo adesso a dire qualcosa su di noi, che ci professiamo cristiani e abbiamo un particolare rapporto con Israele e con gli ebrei. Diciamo anzitutto che mentre il dualismo ebrei-gentili è giustificato biblicamente ed è chiaro nella sua formulazione, anche se non sempre nella sua esatta delimitazione, la contrapposizione ebrei-cristiani è ambigua e fuorviante. Anzitutto, entrambi i termini sono di radice ebraica. Se nvece di usare la derivazione dal greco si usasse quella dall'ebraico, si dovrebbe parlare di "messianici", invece che di "cristiani", e allora il collegamento con l'ebraismo sarebbe più evidente. Ma a parte questo, non ha senso contrapporre ebraismo e cristianesimo come se fossero due religioni che una volta si combattevano ma adesso hanno finalmente imparato la civile arte del dialogo e della coesistenza pacifica. O meglio, il senso è che quando questo avviene, vuol dire che s'incontrano due religioni create dagli uomini, senza reale collegamento con la rivelazione biblica. All'inizio i cristiani erano tutti ebrei. Solo dopo qualche anno ai cristiani ebrei si sono aggiunti anche i gentili, che adesso certamente sono in larga maggioranza. Ma questo non giustifica una delimitazione di campo tra ebrei e cristiani. Prendiamo infatti i principali documenti dei cristiani: i vangeli. Qualcuno forse pensa che i vangeli siano libri da sacrestia, che parlino di chiese, messe, sacramenti, processioni, statue della madonna, cattedrali. Chi li conosce sa invece che non c'è niente di tutto questo. E molti forse sarebbero sorpresi nel sapere che nei vangeli il terlmine "chiesa" è usato solo 3 volte in due soli versetti, mentre il terrmine "Israele" è usato 30 volte in altrettanti versetti. Un rapporto di 1 a 10. Questo dà una prima idea di questi libri che, contrariamente a quello che si può pensare, hanno un carattere interamente ebraico, anche se sono scritti in greco. Una persona che cominciasse a leggere l'Antico Testamento e proseguisse nel Nuovo fermandosi ai vangeli, potrebbe legittimamente chiedersi: "Ma che c'entrano i non ebrei in tutto questo?". Un ebreo nato in Israele e cresciuto con un'educazione ortodossa, che in età adulta si è deciso infine a leggere i vangeli, non solo vi ha ritrovato un paesaggio a lui ben familiare, ma a un certo momento si è chiesto: "Ma come fanno i gentili a capire questi libri?" E la domanda è comprensibile, perché per veder comparire il primo gentile che occupi un posto significativo nella storia della salvezza si deve arrivare al capitolo 10 del libro degli Atti. Riporto un passo del vangelo che dovrebbe essere noto, ma non è molto sottolineato:
Non è possibile entrare qui nella spiegazione di quel passo del vangelo, ma vale la pena segnalarlo perché è uno di quei passi della Bibbia che si riescono a ingranare in modo legittimo nel contesto solo se si ha una comprensione della rivelazione biblica che tiene conto in modo corretto del posto che occupa Israele nella storia della salvezza. C'è anche un'altra donna non ebrea che Gesù ha trattato in modo non proprio conforme a certi canoni di comportamento usualmente accettati: la donna samaritana. Gesù la incontra e le chiede un favore. Lei si sorprende, prima in modo positivo, perché Gesù si degna di rivolgerle la parola, poi in modo negativo, perché certe parole di Gesù sulla sua vita privata avrebbe volentieri fatto a meno di sentirle. E alla fine, dopo aver capito che Gesù era un profeta, gli pone un problema teologico:
Nell'ultima cena Gesù ha parlato di patto quando ha detto ai suoi dodici discepoli ebrei: «Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti» (Marco 14:24). Questa frase non è una formula magica che fa cambiare il vino in sangue, anche perché in quel momento il sangue di Gesù stava ancora scorrendo nelle sue vene; questo è un linguaggio tipicamente ebraico, come quello che usò Mosè quando suggellò il patto con Dio al Sinai: Allora Mosè prese il sangue, ne asperse il popolo e disse:
L'apostolo Paolo, che qualcuno considera un traditore del popolo ebraico, sottolinea invece che agli israeliti "appartengono l'adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse" (Romani 9:4). Mentre ai gentili dice:
«E voi, chi dite che io sia?» chiese a un certo momento Gesù ai suoi discepoli (Matteo 16:15). La risposta fu data, ed era quella giusta, ma solo un ebreo poteva darla: «Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente» (Matteo 16:16). Solo chi risponde nello stesso modo a questa domanda, entra a far parte di quell'unico corpo di cui parla l'apostolo Paolo. Ma se il Messia è già venuto, che cosa si deve fare di tutte le profezie messianiche che parlano di un regno di Israele trionfante e vittorioso? Un giorno tutte inevitabilmente si compiranno, perché il Messia, che una prima volta è venuto come servo sofferente dell'Eterno per espiare i peccati del popolo d'Israele e di tutti gli uomini, un giorno ritornerà come il Leone della tribù di Giuda per regnare sul mondo da Sion. I cristiani evangelici letteralisti non "spiritualizzano" l'Antico Testamento, facendone un'allegoria della chiesa. Quando la Scrittura parla di Israele, intende sempre e soltanto Israele, mai la chiesa, anche se spesso si possono trarre utili analogie e applicazioni pratiche. Per questo i cristiani fedeli alla Bibbia aspettano che le sue parole riguardanti il futuro di Israele si compiano, predicando il vangelo a tutti gli uomini e cercando di occupare il giusto posto nel tempo dell'attesa. MA ALLORA VOI VOLETE SOLTANTO CONVERTIRCI! L'obiezione che i cristiani s'interessino di Israele soltanto per convertire gli ebrei dev'essere attentamente esaminata. E' assolutamente vero che tutti i cristiani desiderano, o dovrebbero desiderare, che ogni persona, ebreo, musulmano, ateo, cristiano nominale o altro ancora, si ravveda, creda nel Signore Gesù Cristo e sia salvato, perché sta scritto che
L'annuncio del vangelo è un compito che il cristiano deve e vuole svolgere verso ogni essere umano, senza distinzione, mentre l'interesse per Israele è dettato dalla particolare, unica posizione che questo popolo occupa nella storia della salvezza. TRE MOTIVI Ci sono almeno tre motivi per cui i cristiani s'interessano di Israele e degli ebrei. 1. Manifestare amore. Gli ebrei avvertono che verso di loro c'è un odio gratuito, cioè un'ostilità che non può essere interamente spiegata da nessuna motivazione razionalmente giustificabile: sono odiati perché ci sono. E anche quando l'ostilità non si concretizza in atti di violenza, la percezione di questi sentimenti di avversione li fa soffrire. Abbiamo detto che questo non dipende dagli ebrei, ma dal rapporto degli uomini con Dio. L'astio contro gli ebrei non è che l'espressione dell'umana ribellione contro Dio, è quindi manifestazione di peccato. I credenti in Gesù sanno di aver ricevuto il perdono dei peccati attraverso il Messia d'Israele, vivono in comunione con Dio e di conseguenza diventano partecipi del suo amore verso il suo popolo. L'amore dei veri cristiani verso Israele è quindi un amore gratuito, cioè un sentimento che non può essere spiegato da nessuna motivazione o interesse razionalmente giustificabili: il popolo d'Israele viene amato soltanto perché c'è, perché è un'espressione della volontà di quel Dio con cui i cristiani vivono in comunione d'amore. Sarebbe una grave perdita per gli ebrei se fossero capaci di percepire soltanto l'odio gratuito contro di loro, senza saper riconoscere e avvertire anche l'amore gratuito di cui sono oggetto. Se è vero che non c'è popolo sulla terra che sia stato tanto odiato, è anche vero che non ce n'è un altro che sia stato tanto amato. E anche se in questo periodo della storia del mondo l'odio è molto più appariscente dell'amore, non è vero che sia più reale. 2. Mettersi dalla parte della verità e della giustizia. Le ingiustizie nel mondo sono infinite, e altrettante sono le menzogne, ma quelle che si commettono contro Israele sono uniche per grandezza, estensione e sfacciataggine. Il credente in Gesù Cristo deve stare sempre dalla parte della verità e della giustizia, quindi è suo compito prendere la parola per difendere chi viene ingiustamente colpito, quando ne ha l'occasione e la possibilità. Questo dev'essere fatto verso tutti, ma si potrebbe dire, con l'apostolo Paolo, prima al Giudeo e poi al Greco. Chi, pur essendo adeguatamente informato, non è capace di riconoscere gli enormi soprusi e le spudorate calunnie che deve subire Israele, ha una coscienza morale assopita e un'intelligenza critica ottusa. E queste forme di rilassamento spirituale un vero cristiano non se le deve permettere. 3. Essere vigilanti. Quello che succede agli ebrei, prima o poi ha delle conseguenze sul resto del mondo. Questo è stato ormai accertato, e vale in primo luogo per il corpo dei veri credenti in Gesù Cristo che il Nuovo Testamento chiama "chiesa". Per poter colpire il popolo d'Israele, l'Avversario spirituale di Dio cerca di confondere e fuorviare prima di tutto quelli che potrebbero essergli d'aiuto, e questi sono proprio gli autentici seguaci di Gesù. In tempi difficili per Israele, i credenti vengono messi sotto pressione in vari modi, soprattutto attraverso false informazioni e false dottrine. Questo è successo in Germania ai tempi del nazismo: le persecuzioni contro i cristiani sono state poche perché pochi sono stati i cristiani che hanno capito quello che stava veramente succedendo, e molti sono stati sedotti da false dottrine che si accordavano con la realtà diabolica che si stava svolgendo sotto i loro occhi. Non sono stati soltanto i "Deutsche Christen", con il loro pervertito "cristianesimo positivo" nazionalsocialsta, a profanare il nome di Cristo: molte altre chiese e movimenti cristiani, anche evangelici, hanno subito l'influsso dell'ideologia del tempo, e se non sempre hanno adottato dottrine perverse dal punto di vista biblico, certamente si sono lasciati trasportare in un'annebbiata atmosfera di torpore che non ha permesso loro di rendersi conto della realtà in cui vivevano. E questo non deve più accadere. O per lo meno, per quel che ci riguarda non vogliamo che accada più. Anche per questo riteniamo nostro dovere interessarci di Israele e, per quanto possibile, aiutare altri a capire quello che succede, in modo da saper prendere al momento opportuno la giusta posizione che le circostanze richiedono. UN'ULTIMA OSSERVAZIONE Secondo la nostra comprensione della Bibbia, i veri cristiani non devono cercare di costituirsi come forza politica organizzata al fine di esercitare un potere sul resto della società. Devono vivere come semplici cittadini nella società in cui si trovano, assumendosi di volta in volta le responsabilità sociali che a loro competono, ma come comunità devono essere presenti solo come testimoni di Gesù Cristo, e in quanto tali assumere come arma soltanto la parola: la Parola di Dio innanzi tutto, e la parola umana che l'accompagna, ma senza fare ricorso ai consueti mezzi di lotta politica organizzata. Certo, questa è una debolezza, ma una debolezza voluta, perché sorretta dalla parola di Dio giunta fino a noi anche attraverso un noto ebreo, nato a Tarso di Cilicia, allevato a Gerusalemme, educato ai piedi di Gamaliele nella rigida osservanza della legge dei padri (Atti 22:3):
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