Inizio - Attualità
Presentazione
Approfondimenti
Notizie archiviate
Notiziari 2001-2011
Selezione in PDF
Articoli vari
Testimonianze
Riflessioni
Testi audio
Libri
Questionario
Scrivici
Notizie 1-15 agosto 2022


A trent'anni dalla scomparsa di Perlasca l'omaggio dell'Anassilaos

Il 15 agosto del 1992, esattamente trenta anni fa, moriva Giorgio Perlasca, il cui nome resta legato al salvataggio di tante migliaia di Ebrei ungheresi. Un anniversario che non poteva essere passato sotto silenzio, nonostante il periodo festivo, e che l’Associazione culturale Anassilaos si propone di riprendere nei mesi che verranno anche con la consegna, il prossimo 18 novembre, del Premio Anassilaos per l’Attività di promozione umana e sociale alla Fondazione a suo nome intitolata.
  "Uomo che ha vissuto tutte le contraddizioni di un secolo difficile – scrive Fabio Arichetta, responsabile del Centro studi storici di Anassilaos - caratterizzato da atrocità inenarrabili e dalla tragedia della Shoah, Giorgio Perlasca ha dimostrato con la sua azione e a rischio della vita come sia possibile ribellarsi, con coraggio e determinazione, alla barbarie difendendo semplicemente i valori umani".
  Era nato a Como il 31 gennaio 1910. Negli anni Venti aderisce al Fascismo e parte come volontario prima per la guerra in Africa Orientale e poi per il conflitto in Spagna, dove combatte in un reggimento di artiglieria al fianco dei franchisti. Al termine della guerra civile spagnola, rientra in Italia, ma la sua adesione al Fascismo entra in crisi. A causa dell’alleanza con la Germania nazista e per le leggi razziali entrate in vigore nel 1938 prende le distanze dal regime. Scoppiata la Seconda Guerra mondiale è incaricato d’affari con lo status di diplomatico nei paesi dell’Est. L’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, si trova a Budapest, e sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al Re, si rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana.
  Viene pertanto internato per alcuni mesi, con altri diplomatici, in un centro di detenzione da cui fuggirà. Nell’ottobre 1944 il governo dell’Ungheria viene assunto dalle Croci Frecciate, ovvero dai nazisti ungheresi, che danno inizio ad una serie di progrom antisemiti nei confronti degli Ebrei ungheresi che vengono deportati o uccisi. In questo clima di terrore e persecuzione Perlasca trova rifugio nell’Ambasciata spagnola.
  Viene dichiarato cittadino spagnolo con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca e inizia a collaborare con l’ambasciatore Spagnolo Sanz Briz, che si adopera, insieme ai diplomatici di Stati neutrali (Svezia, Svizzera, Portogallo Città del Vaticano) a rilasciare dei salvacondotti per proteggere gli ungheresi di religione ebraica. Allorquando l’ambasciatore spagnolo lascia Budapest e l’Ungheria e il governo ungherese si appresta a chiudere le case protette che ospitavano gli ebrei, Giorgio Perlasca si riveste dell’autorità che in realtà non ha e interviene per sospendere le operazioni di sgombero e rastrellamento.
  Si autonomina rappresentante diplomatico spagnolo e presenta le sue credenziali al ministero degli Esteri ungherese che le accoglie senza riserve. Nelle vesti di diplomatico dell’Ambasciata spagnola, organizza la protezione e il salvataggio di migliaia di ungheresi di religione ebraica che sono collocati nelle “case protette”.
  Ogni giorno rilascia salvacondotti che recitano la seguente dicitura “parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo".
  Tali salvacondotti sono rilasciati sulla base di una legge del 1924 voluta da Miguel Primo de Rivera che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita (di antica origine spagnola, espulsi in massa dalla regina Isabella la Cattolica) che si trovano in ogni parte del mondo. Tale Legge consente a Perlasca di portare in salvo 5218 ebrei ungheresi. Rientrato in Italia alla fine della guerra conduce una vita riservata. Il silenzio viene interrotto dall’annuncio che la comunità ebraica di Budapest che cerca notizie sul diplomatico spagnolo Perlasca.
  Le testimonianze dei sopravvissuti arrivano così ai media. La straordinaria figura di Giorgio Perlasca esce dall’anonimato e diventa pubblica. Lo stato di Israele lo nomina “Giusto tra le Nazioni” e con questo titolo chiede di essere sepolto nel comune di Maserà (Padova). Se per Adolf Eichmann Annah Arendt poté coniare l’ormai celebre espressione “La banalità del Male” a Perlasca si adatta bene “La banalità del Bene”. "Vedevo –ebbe a dire - le persone che venivano uccise e, semplicemente, non potevo sopportarlo. Ho avuto la possibilità di fare, e ho fatto. Tutti al mio posto si sarebbero comportati come me. Perché, lei non avrebbe fatto la stessa cosa?"

(ReggioToday, 15 agosto 2022)

........................................................


Oltremare – Clima

di Daniela Fubini

Viviamo in un’epoca di forti confusioni climatiche, e questo vale per tutti a tutte le latitudini e longitudini. Però al prossimo europeo che mi dice eh, che caldo tremendo quest’estate, figuriamoci da voi che siete nel deserto, rido apertamente in faccia. Quel “da voi” può essere inteso come medio oriente, oppure come Israele o infine come la zona specifica vicino ad Ashkelon dove vivo, a scelta. E comunque sbaglia. Deserto? Ma mica dappertutto. Mezzo secolo fa, forse, Israele era considerevolmente più brulla, anche se mediamente faceva lo stesso meno caldo di adesso, come nel resto del globo. Ma oggi? Nelle città e nei luoghi abitati fondati prima o ai tempi della fondazione dello stato, gli alberi sono alti e – dove sono stati scelti anche con il fine di portare un po’ d’ombra – contribuiscono ad abbassare almeno la temperatura percepita. In Israele, quando ci si trova in un qualunque luogo abitato, città, kibbutz, moshav o altro, basta guardare l’altezza e lo spessore del tronco degli alberi per sapere da quanti decenni qualcuno li annaffia e pota, e per conseguenza, quanto antica o recente è la vita in quel luogo.
  Non capita sempre, ma quest’anno per giri strani degli anticicloni da noi non ha fatto un caldo spaventoso, e anche se metà agosto è presto per dire, se il caldo poi arriverà potremo sempre dire che bel luglio e inizio agosto abbiamo avuto. Cosa che in Europa difficilmente si può dire. Ah, e il Kinneret, nostro metro per sapere se siamo in siccità, non pare recedere di molto. Al contrario delle immagini impressionanti dei fiumi e laghi italiani. Tempi davvero confusi, se siamo noi da qui ad allarmarci per lo stato del lago di Garda (meta fra le preferite degli israeliani in viaggio in Italia). Ma il Kinneret pieno ce lo teniamo stretto, essendo sostanzialmente l’unico lago che abbiamo. E speriamo comunque che piova presto e bene, qui come lì.

(moked, 15 agosto 2022)

........................................................


Tensioni tra Mosca e Gerusalemme: a rischio l’Agenzia Ebraica

Il contenzioso riguarda anche l’avvicinamento tra la Russia e Teheran

di Davide Racca

Sale la tensione tra Mosca e Gerusalemme. A luglio, secondo l’agenzia di stampa RIA Novosti, la Russia avrebbe chiesto all’Agenzia ebraica di cessare tutte le attività idonee a consentire agli ebrei residenti nel paese di compiere l’Aliya, il viaggio di ritorno in Israele. Una decisione pesante che ha aperto un importante fronte di crisi diplomatica. L’Agenzia ebraica per Israele, infatti, è la più grande organizzazione senza scopo di lucro, fondata nei primi del Novecento, con lo scopo di  favorire il rientro degli ebrei in patria. Ma secondo i russi, l’Agenzia violerebbe non meglio identificate leggi di Mosca. Una fonte diplomatica israeliana di alto livello ha dichiarato che la Russia avrebbe accusato l’Agenzia Ebraica di raccogliere illegalmente informazioni sui cittadini russi.

• La politica di Israele sull’Ucraina, però, non è cambiata sotto Lapid
  In realtà, la posizione di Israele nel conflitto ucraino sarebbe alla base delle decisioni russe. Il giro di vite sull’Agenzia Ebraica è arrivato nel momento in cui Yair Lapid, che ha criticato a gran voce l’invasione russa dell’Ucraina, è stato nominato Primo Ministro, una investitura che non ha ricevuto le consuete congratulazioni da parte del presidente russo Vladimir Putin, né con una lettera né con una telefonata. L’ambasciatore russo, Anatoly Viktorov, ha inoltre espresso il timore che Lapid renda più difficili le relazioni tra Russia e Israele, come riferito dalla rete televisiva israeliana Channel 12. L’ambasciata russa ha negato la notizia, ma ha comunque colto l’occasione per sottolineare che i funzionari israeliani dovrebbero essere “meno di parte e più equilibrati”.
  Gerusalemme non ha inviato alcun aiuto militare a Kiev se non di tipo umanitario per il timore di mettere a rischio il meccanismo di deconfliction con la Russia che consente a Israele di colpire obiettivi iraniani in Siria. La richiesta di chiusura dell’Agenzia, il cui caso giudiziario è attualmente depositato presso il tribunale distrettuale Basmanny di Mosca, è in stretta connessione con presunte violazioni della legge russa, anche se l’aperto appoggio di Israele all’Ucraina e i recenti bombardamenti in Siria, hanno sicuramente avuto il loro peso nella decisione delle autorità moscovite.

• Mosca a caccia di spie straniere
  Nelle scorse settimane, inoltre, nell’ambito delle azioni preventive atte ad impedire l’infiltrazione nel paese di inviati delle agenzie di spionaggio, la Russia ha ampliato la definizione di “agente straniero”, includendovi chiunque riceva sostegno dall’estero e si impegni in azioni che, secondo le autorità, sono contrarie all’interesse nazionale russo. Questa categoria potrebbe essere stata applicata all’Agenzia Ebraica o ad altre organizzazioni israeliane che operano in Russia.
  L’ambasciatore di Israele, Alexander Ben-Zvi, proprio nel luglio scorso ha incontrato il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, per chiedere informazioni sulle misure adottate nei confronti dell’Agenzia in considerazione del fatto che  il ministero della Giustizia russo aveva inviato una lettera alla sede dell’organizzazione, ottenuta in esclusiva dal Jerusalem Post, con un elenco di presunte violazioni della legge e delle relative conseguenze derivanti.

• Mosca- Teheran: l’asse che non piace a Gerusalemme
  I rapporti con Israele sono, comunque, a un  punto critico da quando l’Iran ha iniziato a fornire a Mosca centinaia di droni da utilizzare per la guerra contro l’Ucraina. In cambio della fornitura Mosca contribuirà all’addestramento degli ufficiali iraniani su strategie e tattiche in teatri bellici e, non escluso, ad applicare misure non meglio definite contro Israele. Come parte di esse, martedì scorso la Russia ha lanciato il satellite Khayam dotato di una fotocamera ad alta risoluzione da utilizzare in sinergia con il governo iraniano per scopi ufficialmente “civili”.  Il portavoce del governo iraniano ha annunciato che la Repubblica islamica prevede di acquisire altri tre satelliti simili da destinarsi ad attività nel settore della ricerca.

(ofcs.report, 15 agosto 2022)

........................................................


Pubblicate nuove informazioni su come Ron Arad fu catturato dai terroristi

di Ugo Volli

• L’esercito israeliano e i prigionieri
  Fra le molte cose che rendono diversa da tutti gli altri eserciti del mondo Tzahal (che è la sigla ebraica di Tzva HaHagana LeYisra'el, “forza di difesa di Israele”), una delle più note e importanti è l’attenzione infinita che essa dedica alla liberazione dei soldati prigionieri e al recupero delle loro spoglie, quando purtroppo sono stati uccisi. Un caso emblematico, ma certo non isolato, di questa enorme attenzione è lo scambio avvenuto il 18 ottobre 2011, fra il caporale israeliano Gilad Shalit, sequestrato dai terroristi di Hamas, e ben 1027 prigionieri delle carceri israeliane, regolarmente condannati dai tribunali per reati gravissimi di terrorismo, fra cui molti per omicidio.

• La situazione attuale
  Ancora oggi Hamas detiene i corpi dei due soldati Oron Shaul e Hadar Goldin – uccisi a Gaza durante l’Operazione Margine Protettivo del 2014 - nonché tiene nascosti da anni Avera Mengistu e Hisham al-Sayed, due civili mentalmente instabili che hanno attraversato il confine con Gaza. E anche in questo caso le pretese dei terroristi per lo scambio sono altrettanto sproporzionate. Vale la pena di dire che queste posizioni (da un lato la tutela della vita e delle salme umane, dall’altro il tentativo di usarle come moneta di scambio) hanno a che fare con lo sfondo religioso di Israele e degli islamisti. L’ebraismo considera la liberazione dei prigionieri una mitzvà, un precetto.

• Il caso Arad
  L’esempio più famoso dell’etica di Tzahal per cui “non si lascia mai nessuno indietro” è quello del navigatore di volo Ron Arad. Nel 1986, durante una missione sul cielo del Libano, Ron Arad fu costretto a eiettarsi dal suo aereo danneggiato dall’esplosione prematura di una bomba, insieme al suo pilota Yishai Aviram. Arad fu catturato dal gruppo terrorista sciita Amal e probabilmente ceduto da Amal a Hezbollah, portato in Iran e poi riportato in Libano. Fino al maggio del 1988 i suoi sequestratori fecero pervenire in Israele alcune lettere e fotografie, nel tentativo di ottenere un cospicuo riscatto. Da quella data invece di Arad non si sa più nulla. Da tempo le autorità israeliane ritengono che Arad sia morto molti anni fa, probabilmente già nel 1988, sebbene i rapporti dell'intelligence differiscano per quanto riguarda le circostanze, i tempi e il luogo della sua morte. Nel 2016, un rapporto indicava che Arad era stato torturato a morte e sepolto nel 1988 vicino a Beirut. Ma una commissione dell'esercito israeliano del 2004 ha concluso che Arad era morto negli anni '90 dopo che, ammalato o ferito, gli erano state negate le cure mediche. Ancora qualche mese fa l’allora primo ministro Bennett aveva parlato alla Knesset di “una vasta, coraggiosa e complessa operazione del Mossad”, che però non ha ottenuto il suo scopo.

• Le nuove notizie sulla cattura
  Nei giorni scorsi sono uscite in Israele nuove notizie sulla cattura di Arad, in particolare il verbale di una drammatica sessione della Commissione esteri e difesa della Knesset (il parlamento israeliano), tenuta a pochi giorni dalla cattura di Arad. La riunione fu aperta da Yitzhak Rabin, allora ministro della difesa. I dettagli furono forniti da Amos Lapidot, comandante dell’aviazione. Si trattava di una missione particolarmente impegnativa, ha detto il generale, “condotta alle 15.45 di giovedì 16 ottobre 1986 da sei aerei Phantom, ciascuno armato con 10 bombe. Alla fine del bombardamento improvvisamente ci fu una fortissima esplosione che danneggiò l’ultimo aereo e lo fece cadere all’altezza di circa 3000 metri. Il pilota dell’aereo, Aviram, ha riferito che si era sentito svenire e che aveva ripreso conoscenza appeso al paracadute. Aviram ha riferito anche di aver visto Arad appeso al suo paracadute e di aver cercato di contattarlo per radio senza successo.

• L’arrivo a terra
  Sempre secondo il racconto di Lepidot, “il pilota e il navigatore hanno impiegato dai quattro ai cinque minuti per atterrare ed erano stati sotto tiro per la maggior parte della loro discesa. Arad e Aviram atterrarono circa quattro chilometri a sud del bersaglio. Aviram entrò in un wadi vicino e lì si nascose tra la macchia. Secondo quanto riferito, è stato in grado di vedere Arad da una distanza di circa 200 metri, lo ha chiamato, ma non ha ricevuto risposta.

• Il tentativo di soccorso
  Tzahal ha tentato una manovra “complicata e drammatica” per impedire che Aviram e Arad venissero rapiti dai terroristi nell'area. Uno degli elicotteri da combattimento schierati nella missione è riuscito a raggiungere Aviram, sotto il fuoco nemico. Aviram si è aggrappato con le mani all'elicottero, che, sotto tiro, ha volato per 5 km tenendo una bassissima velocità per evitare che cadesse. I tentativi di salvare Arad erano continuati per tutta la notte e per i due giorni successivi alla caduta dell’aereo.

• La dolorosa rinuncia
  Nella notte stessa un contingente di circa 100 uomini è arrivato a esplorare a fondo tutta la zona della caduta, ma senza successo. Conclude Rabin: “Tutte le informazioni che avevamo ci hanno dato motivo di credere che fosse non più là. La conclusione è stata che non c'era speranza di trovarlo ancora libero, quindi ho concluso che le forze di soccorso non dovevano essere messe più in pericolo per cercarlo. Abbiamo concluso che Arad era in mano dei terroristi libanesi, vivo o no". I rapporti successivi hanno confermato questa diagnosi. E Arad, purtroppo, è morto in mano dei nemici in Libano o forse in Iran e neppure la sua salma è stata finora recuperata. Ma questo per Tzahal è un conto ancora aperto.

(Shalom, 15 agosto 2022)

........................................................


Hezbollah cresce nel sud del Libano: Israele colpisce

Nuovi missili e rampe a disposizione dell’organizzazione distrutti dai caccia israeliani.

di  Davide Racca

Hezbollah si rifà vivo e cresce nel sud del Libano a confine con Israele.
  Nella tarda serata di ieri, i caccia da combattimento israeliani hanno preso di mira una base radar aerea a Tartus, in Siria, dove sono stanziati gruppi filo-iraniani, colpendo le installazioni e un trasporto di missili diretti verso il Libano dove operano i miliziani di Hezbollah, nella zona dei monti di al-Qalamun.
  L’azione è stata condotta nell’ambito dell’operazione “Breaking Dawn” rivolgendo l’attenzione alla sicurezza nel nord di Israele.
  Sono aumentati, infatti, i rischi per Israele dopo le recenti dichiarazioni del numero due di Hezbollah, lo sceicco Naim Qassem, che ha sottolineato che la “Resistenza” sta crescendo e non si accontenta più di “reazioni limitate contro l’arroganza israeliana”.
  I commenti dello sceicco arrivano mentre l’organizzazione sciita è impegnata in un braccio di ferro con Israele sulla delimitazione dei confini marittimi meridionali con il Libano e sull’esplorazione del gas offshore. La formazione filo-iraniana sta attualmente moltiplicando le minacce contro lo Stato ebraico, che accusa di voler privare il Libano dei suoi diritti di sfruttamento delle risorse di gas, mentre i negoziati indiretti tra Beirut e Gerusalemme rimangono bloccati.
  Ai confini a nord dello Stato ebraico, presso Dovev, un piccolo villaggio popolato da poco più di 400 abitanti, gli osservatori israeliani dicono di aver visto uomini, oltre la “Linea blu” che separa il Paese dal sud del Libano, intenti a scattare foto alla zona da un avamposto di osservazione formato da una roulotte e da una torretta. La piccola struttura è adornata da una bandiera del gruppo ambientalista “Verdi senza frontiere” che, secondo fonti libanesi, sarebbe ufficialmente impegnata nell’attività di “birdwatching”.
  Funzionari israeliani, interpellati in merito, affermano che la postazione appartiene a Hezbollah ed è parte dei 22 avamposti che sono apparsi negli ultimi tre mesi lungo la Linea Blu monitorata dalle Nazioni Unite. “Questo è un grande cambiamento rispetto a quello che abbiamo visto negli ultimi anni”, afferma un l’alto funzionario militare che ha sottolineato come la presenza  lungo i confini di “Hezbollah stia diventando molto, molto palese” ed è parte di un’improvvisa e preoccupante escalation che ha portato Israele a mettere le sue forze settentrionali in massima allerta. 
  L’esercito israeliano, infatti, sostiene che Hezbollah sta rinforzando la sua presenza lungo la Blue Line in violazione degli accordi internazionali. 
  Israele ha chiesto alla Forza internazionale delle Nazioni Unite schierata in Libano (Unifil) di intervenire, ma i Caschi blu sostengono di avere le mani legate.
  Un portavoce dell’Unifil ha dichiarato di essere a conoscenza delle 22 postazioni apparse di recente, ma di non poterle ispezionare perché il governo libanese le ha dichiarate di proprietà privata. “Unifil non ha osservato persone armate non autorizzate nei siti né ha trovato alcuna base per segnalare una violazione – ha dichiarato il portavoce Andrea Tenenti – Da parte nostra, Unifil rimane vigile e continua a monitorare da vicino tutti questi siti e la Linea Blu”.
  Da parte sua, il Comandante della Forza UNIFIL, Generale Maggiore Aroldo Lázaro, del contingente spagnolo, durante una riunione “tripartita” tenutasi il 12 agosto con ufficiali libanesi e israeliani, si è concentrato sugli incidenti lungo la Linea Blu e sulle continue violazioni aeree. Nell’affrontare gli incidenti lungo la Blue Line, ha esortato entrambe le parti ad evitare qualsiasi azione che possa mettere a rischio la cessazione delle ostilità: “La stabilità della Blue Line non deve essere data per scontata. La retorica bellicosa fa salire la tensione e aumenta il senso di apprensione delle popolazioni locali”.
  Le attività di Hezbollah, che secondo i funzionari israeliani includono il raddoppio del numero e delle dimensioni delle pattuglie vicino al confine, sono compiute in concomitanza con una serie di incursioni con i droni e un ritmo incalzante di minacce da parte dei leader di Hezbollah, mentre i mediatori americani fanno a gara per risolvere la disputa tra i due Paesi sui giacimenti di gas naturale nel Mar Mediterraneo.
  Dopo due anni di estenuanti trattative, entro settembre Israele dovrebbe iniziare a estrarre gas dalla piattaforma Karish Field che il Libano continua a sostenere come parte della sua sovranità e nonostante le reiterate minacce da parte del Libano e di Hezbollah che, nei mesi scorsi, ha inviato droni verso il giacimento di gas, compresi tre velivoli senza pilota che sono stati abbattuti da Israele. I droni, seppur disarmati, hanno lasciato intendere la capacità di Hezbollah di colpire l’impianto offshore in qualsiasi momento.
  All’inizio del mese di agosto,  il capo delle forze armate israeliane ha informato il gabinetto di sicurezza che la situazione rischiava di trasformarsi in un’escalation militare con Hezbollah, secondo quanto riportato dai media israeliani. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) avrebbero avvertito Hezbollah tramite intermediari che qualsiasi attacco, da terra o verso il mare, provocherà una feroce rappresaglia.
  Il picco di tensione arriva mentre Israele guarda nervosamente agli sforzi internazionali per ripristinare un accordo con l’Iran sul programma nucleare che, secondo Gerusalemme, potrebbe alleggerire le sanzioni economiche contro Teheran, e rischierebbe di dare ulteriore potere anche alle organizzazioni sciite contigue, tra le quali Hezbollah e la Jihad islamica palestinese.

(ofcs.report, 15 agosto 2022)

........................................................


Riapre a Caltabellotta una sinagoga del 1450 e racconta la storia degli ebrei in Sicilia

Il soffitto della casa rabbinica di Caltabellotta
Una sinagoga risalente al 1450 riaffiora dal sotterraneo di un antico palazzo per raccontare la storia della comunità ebraica nel paese di Caltabellotta, in provincia di Agrigento. A riscoprirla, agli inizi degli anni Novanta fu la studiosa Angela Scandaliato, esperta di storia degli ebrei in Sicilia. Purtroppo però si trattò di una scoperta rimasta in sordina per anni. Oggi, il festival Borghi dei Tesori apre al pubblico la sinagoga che si potrà visitare dal 20 agosto fino al 4 settembre.
  Un luogo sacro custodito nei sotterranei di un antico palazzo d'epoca, oggi di proprietà di privati, in via 4 Novembre. "Ad est del palazzo dove si trova la sinagoga, c'è un'altra via dal nome particolare, si chiama infatti via delle Scuole - spiega Scandaliato - attraverso ricostruzioni abbiamo scoperto che le scuole da cui deriva il nome sono quelle ebraiche, in particolare una, che si trovava proprio attorno alla sinagoga. Qui, infatti, sorgeva un tempo il quartiere ebraico della città".
  Per Angela Scandaliato, studiosa di ebraismo, tutto nacque un giorno per puro caso, dalla scoperta di uno stipite di un'antica porta, una pietra tombale di forma trapezoidale. Da qui in poi, la storica inizia a cercare, diventa un'esperta di topografia, si incuriosisce del fatto che la strada si chiami via delle Scuole e non sia registrata alcuna scuola da secoli. Poi il ritrovamento della sinagoga e del bagno rituale e finalmente la casa rabbinica, che conserva uno straordinario soffitto in legno intarsiato e un'alcova antica (anche se gli arredi sono ottocenteschi), oltre ad uno strano pronao a colonne sulla vallata.
  "Gli ebrei abbandonarono Caltabellotta intorno al 1492, l'anno dell'editto di Castiglia quando diventarono dei fuorilegge - prosegue l'esperta - poi la struttura dove si trova al suo interno la sinagoga fu acquistata da privati. La comunità ebraica del paese non era molto numerosa, contava all'incirca una media di 400 individui, circa il 10% della popolazione. Però si trattava di una comunità in dialogo con quella di Sciacca, che invece era abbastanza influente e numerosa". Ed è proprio a Sciacca che la studiosa, ricostruendo la storia della presenza degli ebrei a Caltabellotta, ne ritrova le testimonianze che poi in seguito condurranno alla sinagoga. "All'interno della biblioteca di Sciacca ritrovai gli atti notarili inerenti alla struttura, firmati in giudeo arabo", specifica la Scandaliato.
  A Caltabellotta, infatti, viveva la borghesia ebraica: aromatari, medici, notai. "Ancora oggi in questo luogo è possibile ricostruire la presenza di un locale dove si trovava l'abitazione del rabbino. Poi vi è anche la sezione del matroneo, luogo riservato alle donne che potevano assistere ai riti sì, ma separatamente - conclude l'esperta - Un locale in sostanza, dal quale le donne potevano assistere all'estrazione della Torah dalla nicchia sacra. Oggi questo luogo così particolare vede finalmente la luce per coloro che vorranno visitarlo".

(la Repubblica, 15 agosto 2022)

........................................................


La guerra dei tre giorni: come la Jihad Islamica è diventata la favorita di Teheran

Israele ha eliminato due importanti leader del movimento terroristico, che però ha rafforzato la sua influenza, ottenendo il pieno sostegno di Teheran

di Anna Mahjar-Barducci

GERUSALEMME - Nonostante i gravi colpi inferti dall’esercito israeliano, il movimento palestinese Jihad Islamica a Gaza ha ottenuto vari vantaggi dall’ultima guerra contro Israele. Alcuni media occidentali hanno scritto che Israele ha “vinto” la guerra lampo, che aveva tenuto (in particolare) il sud del Paese sotto assedio per tre giorni.
  In realtà, anche se Israele ha eliminato due importanti leader del movimento terroristico, la Jihad Islamica è riuscita a rafforzare la propria immagine e influenza nella regione. Fino al 5 agosto, data in cui Israele ha lanciato l’attacco preventivo contro Gaza, iniziando l’operazione “Breaking Dawn”, la Jihad Islamica era solo un movimento secondario, che non poteva competere con la popolarità di Hamas nella Striscia di Gaza.
  Dopo tre giorni di guerra e circa 1.100 missili lanciati contro Israele, invece, la Jihad Islamica può dire di essere diventata uno fra i più importanti movimenti di resistenza nella regione e di aver ottenuto il completo sostegno di Teheran.

• Come è iniziata la guerra
  Il primo agosto, durante un’operazione a Jenin, Israele ha arrestato un comandante della Jihad Islamica nella West Bank, Bassam al-Saadi, assieme al genero Ashraf Zidan Mohammad al-Jada.
  Subito dopo l’arresto, la Jihad Islamica ha cominciato a pianificare attacchi terroristici contro le cittadine israeliane intorno alla Striscia, con lo scopo di mettere pressione a Israele per il rilascio di Bassam al-Saadi e del detenuto amministrativo palestinese Khalil Awawdeh, diventato uno dei simboli della resistenza palestinese, dopo oltre 150 giorni di sciopero della fame. L’esercito israeliano (IDF) ha quindi alzato il livello di allerta nel sud del Paese, chiudendo le strade ai veicoli civili.
  La popolazione israeliana, sentendosi sotto assedio, ha richiesto al governo di intervenire. Il 5 agosto, il governo israeliano ha pertanto deciso di bombardare preventivamente Gaza, dopo aver ricevuto l’informazione da parte dell’intelligence che la Jihad Islamica era pronta ad attaccare Israele.
  Il bombardamento, nonostante abbia causato anche vittime civili, ha visto l’eliminazione di Taysir al-Jabari, un importante comandante delle Brigate Al-Quds (Saraya al-Quds), braccio armato della Jihad Islamica. La risposta del movimento terroristico è stata immediata, ha dato mostra della sua forza militare lanciando missili verso il sud del Paese e verso Tel Aviv, centro economico e culturale di Israele.

• Il secondo giorno di guerra: il “Gaza Envelope
  Il secondo giorno di guerra, la Jihad Islamica ha continuato a lanciare missili senza interruzione, soprattutto nel sud del Paese. Uno degli scopi proclamati di questa organizzazione (durante la guerra) è infatti quello di rendere impossibile la vita nel “Gaza envelope“, ovvero la parte di Israele che si trova entro i sette chilometri dalla Striscia, in modo tale da spopolarla dai cittadini israeliani.
  In parte, riuscendo nel suo scopo. Molti abitanti dell'”envelope” hanno dichiarato che per la prima volta hanno pensato di trasferirsi da questa area, che in ogni guerra viene colpita senza tregua.
  In effetti, vari bus hanno evacuato parte della popolazione, esausta dal continuo lancio di missili, che non ha permesso nemmeno di uscire dal mamad, ovvero il rifugio antimissile (dal momento in cui suona la sirena, la popolazione nell'”envelope” ha solo 15 secondi per raggiungere il mamad e solo le case più nuove ne hanno uno in casa).

• Il secondo giorno di guerra: l’incontro a Teheran
  L’evento più significativo del secondo giorno di guerra, però, è stato l’incontro a Teheran del leader della Jihad Islamica Ziyad al-Nakhalah con il generale iraniano Hossein Salami, attuale comandante del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC). Durante l’incontro, Salami ha detto che “il collasso dell’entità sionista” è un “percorso irreversibile” e che “la liberazione di Gerusalemme è imminente”.
  E’ importante sottolineare che il 4 agosto, prima dell’inizio della guerra, al-Nakhalah ha incontrato il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Come riportato dal Middle East Media Research Institute (MEMRI), durante l’incontro, Raisi ha detto: “Non abbiamo dubbi sulla vittoria della resistenza palestinese e sulla liberazione di Gerusalemme… Oggi, le nazioni musulmane della regione odiano la predatoria entità sionista e considerano la resistenza la linea principale e fondamentale per affrontarla.”
  Il giorno prima, il 3 agosto, al-Nakhalah si è inoltre incontrato con il ministro degli affari esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, con il presidente del Majlis (il Parlamento iraniano) Mohammad Baqr Qalibaf e con Ali Akbar Velayati, consigliere per le relazioni internazionali del Leader Supremo, l’ayatollah Ali Khamenei.
  L’Iran, che sta negoziando con gli Stati Uniti gli accordi sul nucleare, ha infatti tutto l’interesse a mettere pressione su Washington, utilizzando i movimenti terroristici in Palestina e in Libano, che ricevono finanziamenti da Teheran, per lanciare una guerra regionale per procura (proxy war) contro Israele, come ha già fatto in passato.
  Nella serata del secondo giorno di guerra, però, Israele ha colpito duramente la Jihad Islamica, uccidendo Khaled Mansour, un altro importante leader del movimento palestinese.

• Il terzo giorno di guerra: Tisha b’Av 
  Il 7 agosto, il terzo giorno di guerra, gli analisti israeliani hanno temuto che Hamas potesse entrare nel conflitto, come avrebbe voluto la Jihad Islamica. Il 7 agosto, infatti, è caduta la ricorrenza del Tisha b’Av (giorno di digiuno in memoria di eventi luttuosi per il popolo ebraico, fra cui la distruzione del Primo Tempio nel 586 a.C. e del Secondo Tempio da parte delle truppe di Tito nel 70 d.C.).
  In molti si aspettavano tensioni sul “Monte del Tempio” (noto anche come “Spianata delle Moschee”), dato che era previsto che numerosi ebrei religiosi sarebbero andati (come da tradizione) a pregare sulla spianata, rendendo inevitabile l’entrata di Hamas nel conflitto.
  Nella mattinata del 7 agosto, la Jihad Islamica ha infatti inviato un missile di avvertimento verso Gerusalemme, che è stato lanciato verso la zona di Beit Safafa (un quartiere a prevalenza arabo). La polizia israeliana (composta in Città Vecchia a Gerusalemme da una maggioranza di arabi israeliani) è stata però abile a gestire la situazione, anche perché il numero di ebrei religiosi che si sono presentati al “Monte del Tempio” è stato inferiore al previsto.

• La Tregua 
  Nel pomeriggio del 7 agosto, si sono susseguite informazioni sull’inizio di una tregua, mediata dall’Egitto. Le prime notizie sono state di una tregua verso le otto di sera, che però è stata rinviata dalla Jihad Islamica, che fino all’ultimo ha voluto dettare le proprie condizioni. Alla fine, verso le dieci di sera, i media hanno informato che la Jihad aveva accettato un cessate-il-fuoco per le 23.30, dopo che il Cairo si era impegnata a mediare la liberazione di Bassam al-Saadi e Khalil Awawdeh.
  La Jihad Islamica ha tenuto poi a rivendicare la propria vittoria lanciando l’ultimo razzo alle 23.50 verso l'”envelope“. Il giorno dopo, inoltre, come richiesto dalla Jihad Islamica, Israele ha inviato trenta camion carichi di carburante a Gaza, dopo la riapertura dei valichi di frontiera.
  Secondo alcuni siti d’informazione palestinese, Awawdeh potrebbe essere mandato in un ospedale per accertamenti medici, come richiesto dalla Jihad Islamica, e poi rilasciato, nei prossimi giorni. I quotidiani israeliani però scrivono che per adesso lo Stato ebraico non ha fretta di rilasciare né Awawdeh né al-Saadi.
  E’ importante ricordare che, a Gaza, Hamas tiene in ostaggio due israeliani (Avraham Mengistu, israeliano di origine etiope di Ashkelon, e Hisham al-Sayed, arabo-israeliano di un villaggio beduino nel Negev) e ha i corpi di due soldati dello Stato ebraico (il sergente Oren Shaul e il sottotenente Hadar Goldin, morti nella guerra del 2014).

• Hamas, il grande assente
  Sin dall’inizio della guerra, Hamas ha deciso di non entrare nel conflitto. Una decisione che dimostra come sia diventato un movimento politico pragmatico.
  Nella guerra degli undici giorni dello scorso maggio 2021, Hamas è stato considerato il “vincitore” della guerra, per aver paralizzato la vita in Israele ed essersi affermato con la violenza come il rappresentate della popolazione palestinese. Il movimento islamista non intende quindi partecipare in guerre nelle quali potrebbe perdere la propria popolarità.
  Inoltre, la Jihad Islamica è in competizione con Hamas a Gaza, e non è un suo interesse prestare soccorso a un rivale. Se la guerra fosse durata più giorni, sicuramente Hamas avrebbe dovuto scendere in campo, per non essere accusato dalla popolazione palestinese di aver abbandonato il proprio popolo e la resistenza.
  Inoltre, nonostante Israele fosse preparata a ogni tipo di scenario (aveva già detto di voler richiamare 25 mila riservisti), neppure Hezbollah si è fatto sentire, anche perché la situazione politico-economica in Libano è talmente in crisi, che il gruppo sciita non può permettersi di entrare in una guerra con Israele.

• La Jihad Islamica supera Hamas
  Nonostante la distruzione portata su Gaza, la Jihad Islamica si ritiene la vincitrice di questa guerra. In primo luogo, il movimento è infatti riuscito a dettare i termini della tregua e a rendere insopportabile la vita degli israeliani nel sud del Paese.
  La cosa più importante però è che la Jihad Islamica ha superato o quantomeno uguagliato la popolarità di Hamas. E’ stato sicuramente positivo per Israele che Hamas non sia entrato nel conflitto, ma potrebbe essere anche un fattore negativo, dato che non è a beneficio dello Stato ebraico la crescita della Jihad Islamica nella Striscia.
  Inoltre, la Jihad Islamica (un movimento sunnita!) si è adesso guadagnata l’ammirato sostegno di Teheran. Durante l’incontro con il consigliere di Khamenei, il leader al-Nakhalah ha detto: “Il Leader Supremo ha un posto importante nel nostro cuore che non ha eguali in tutto il mondo. Siete i nostri fratelli maggiori e svolgete un ruolo importante in Iran e oltre”.
  Inoltre, il giorno della tregua, al-Nakhalah ha dichiarato la vittoria del suo movimento direttamente da Teheran.
  Per quanto riguarda il governo Lapid, l’esito di questa guerra verrà valutato dagli stessi israeliani alle urne il prossimo ottobre. Israele ha ucciso due importanti comandanti della Jihad Islamica, ma questo non sembra aver indebolito il movimento, che adesso sembra soddisfatto del risultato della guerra, a cui ha dato il nome di “Unity of Battlefields” (Wahdat Al-sahat, in arabo), ovvero l’unione dei campi di battaglia della Cisgiordania con quelli di Gaza (pertanto qualsiasi cosa accada nella West Bank riceverà una risposta armata da Gaza e viceversa). Per il momento, la Jihad Islamica sembra essere riuscita in questo intento.

(Nicola Porro, 11 agosto 2022)

........................................................


«Abbiamo trovato del sangue in chi è vaccinato»

I tre medici autori dello studio choc: «Mai visti in passato mutamenti di tale entità, con questa costanza e persistenza».

di Fabio Dragoni 

«Chi ha studiato medicina sa che non si vaccina mai in corso di epidemia, per non incorrere nella "fuga virale". cioè il tentativo del virus di riprodursi continuamente. Si modifica attraverso le varianti con lo scopo di infettare, a maggior ragione avendo a che fare con Virus a Rna particolarmente tendenti a variare». Chi mi parla è Riccardo Benzi Cipelli (di seguito «BC») collegato in remoto con Franco Giovannini (di seguito «G»). Hanno curato un interessante studio con Gianpaolo Pisano, entrato nel progetto anche come paziente. 

- Come nasce il vostro studio? 
  BC: «Ad aprile 2021 vedo filmati dove colleghi svizzeri e tedeschi osservano ciò che accade nel sangue delle persone vaccinate. Provo a coinvolgere medici e ricercatori. Si defilano tutti. E’ Pisano a dirmi che Giovannini sta accumulando osservazioni in materia. È uno studio puramente osservazionale su quanto si sta verificando nella sua normale attività clinica». 

- Cosa fa di preciso Giovannini? 
  G: «Indagini ad ampio spettro sui pazienti. Partendo da alcuni accertamenti si arriva all'analisi del sangue prelevato per pungidito al microscopio ottico, sia in contrasto di fase che in campo oscuro». 

- Cos'ha notato nella sua attività? 
  G: «Dall'inizio della campagna vaccinale numerosi pazienti presentavano gravi e sovrapponibili alterazioni ematologiche». 

- Che significa «sovrapponibili»? 
  BC: «Che tutti presentano lo stesso tipo di problematiche. Particelle esogene che dentro il sangue non dovrebbero starci. Costantemente le stesse, o comunque con caratteristiche simili, tendono ad autoassemblarsi nel tempo con atteggiamento "frattale", ripetitivo e non casuale. Insomma, morfologie sovrapponibili a prescindere dal paziente. E il comune denominatore è che tutti i pazienti sono stati inoculati con Pfizer o Moderna». 
  G: «Seleziono i pazienti sintomatici che lamentano simili disturbi tutti riferibili all'avvenuta somministrazione e mostrano un quadro ematologico simile». 

- Lo studio quindi parte da qui? 
  G: «Abbiamo pubblicato un'analisi al microscopio in campo oscuro di 1.006 soggetti sintomatici dopo l'inoculo con i due tipi di vaccini a mRna. È una metodologia di studio delle cellule del sangue per mezzo, appunto, di un microscopio ottico cui è applicato uno speciale condensatore in grado di evidenziare particolari altrimenti non visibili. Questo consente una prima valutazione delle parti corpuscolate del sangue». 

- I risultati? 
  G: «Dei 1.006 soggetti analizzati, 948 - il 94 % del totale - evidenziavano, dopo inoculo cli vaccini a mRna a distanza di un mese o più, varie alterazioni dello stato di aggregazione dei globuli rossi e la presenza nel sangue periferico di particelle di varia forma e dimensione di dubbia natura. In 12 soggetti, per motivi diversi, erano state eseguite analisi del sangue con stessa metodica prima della vaccinazione. Avevano quadri ematologici normali. Le alterazioni trovate dopo somministrazione di vaccini a mRna rafforzano il sospetto che le modifiche sarebbero da riferirsi in prima battuta ai sieri stessi. Soltanto nel 6%, di questi casi sintomatici dopo gli inoculi abbiamo riscontralo un quadro di normalità». 
  BC: «Nello studio vengono riportati in dettaglio quattro casi clinici, scelti come riassuntivi e rappresentativi dell'intera casistica. Sottolineiamo come siano necessari ulteriori studi per definire l'esatta natura delle particelle esogene riscontrate nel sangue 
  anche al fine di individuare possibili soluzioni». 

- Vi contesteranno che non esiste un gruppo di controllo come avviene In un normale trial scientifico. 
  BC: «Qui rispondo io per Giovannini, tra le massime autorità nel campo: non si sono mai viste in passato alterazioni di tale entità, di assoluta persistenza, con caratteristiche così singolari, con questa costanza e con particelle esogene aventi morfologie così precise, costanti, ripetitive e ingegneristicamente strutturate». 
  G: «Dal 1988 faccio questi tipi di test. Un protocollo di biodiagnostica messo a punto nel tempo e che si avvale della bioelettronica di Vincent da me rivisitata in chiave moderna ed energetica, e dell'emodiagnostica microscopica in contrasto di fase e in campo oscuro. Prima della somministrazione del siero vedevamo pazienti con particolari alterazioni microscopiche o biochimiche. Mai riscontravamo le disastrose alterazioni di cui stiamo parlando. E me ne sono accorto perché nella mia clinica questi test sono la routine; è una metodica complementare rispetto a esami biochimici standard».

- Come descriverebbe queste alterazioni? 
  G: «Impilamenti dei globuli rossi. In gergo medico, effetto Rouleaux. Questi, normalmente, scorrono nel sangue periferico in modo separato. Si respingono addirittura, Un impilamento fisiologico, solo temporaneo, si può riscontrare in situazioni patologiche con febbre, malattie reumatiche o micotiche particolari quali la aspergillosi polmonare. Ma impilamenti massivi cosi duraturi non li ho mai osservali. Ho addirittura conteggiato fino a 60 globuli rossi impilati». 

- Il motivo? 
  G: «La potenzialità lesiva della proteina Spike, associata al campo elettromagnetico potenzialmente devastante indotto da inclusioni presumibilmente grafeniche, scompagina il potenziale Z alterando la dinamica del sangue». 

- Tradotto? 
  G: «Il potenziale Z, generato in seguito a un doppio strato elettrico attorno alle particelle sospese in un liquido, garantisce l'equilibrio fra attrazione e repulsione. Nel nostro caso dei globuli rossi, mantenendo la loro vitale indipendenza. Più è alto, più si mantiene la normale separazione dei globuli, evitando l'impilamento».
  BC: «Per chiunque conosca le proprietà fisiche e chimiche del grafene, la riferibilità all'ossido di grafene dei comportamenti appena descritti nel sangue è letteratura oramai nota. Ci sono almeno 60 articoli specifici che trattano in maniera esclusiva il tema della sua tossicità e delle sue possibili interazioni nei comportamenti dei globuli rossi. E probabilmente non solo di grafene si tratta. Cosa suggeriscono quelle immagini a cielo stellato? Si tratta di grafene quantum dots», 

- Ha forse ragione chi è stato tacciato fino a oggi di complottismo? 
  BC: «Bill Gates l'ha pubblicamente e candidamente dichiarato in un'intervista del febbraio 2020: "Inseriremo nei vaccini dei quantum dots che permetteranno di tracciare chi è stato vaccinalo e chi no?». 

- È questo il motivo per cui viene inserito il grafene nei vaccini? 
  BC: «Il razionale scientifico cui si appellano - sempre ammesso a mezza bocca - è quello di agevolare la penetrazione nelle cellule del mRna contenuto nei vaccini. Vi è in materia un brevetto internazionale. I quantum dots sono tessere quadrate di grafene con lati pari o inferiori a 100x100 nanometri (un miliardesimo di metro, ndr) e spessore di un decimo di nanometro. A seconda di quanto è piccolo, il quantum dot grafenico penetra qualsiasi membrana. Impossibile impedirne l’ingresso. Vi è altresì uno studio che certifica come i quantum dots grafenici siano ben tollerati dal tessuto nervoso: l'unico che certifica una buona biocompatibilità nel breve e nel lungo termine». 
  G: «Rimane il fatto che il grafene è un materiale esogeno che diventa magnetico una volta inserito nel corpo umano. Senza considerare le interferenze elettromagnetiche a livello cellulare; un giga radicale libero che determina un ulteriore incremento degli stress ossidativi. Da questi ultimi dipendono le conseguenze nefaste di tante patologie cardiovascolari. Come si può arbitrariamente sostenere, quindi, che il grafene sia biocompatibile? Si può, al contrario, drammaticamente asserire che abbia pericolose proprietà cangianti nel corpo. Si autoassembla secondo schemi precostituiti. Non può essere biocompatibile un materiale simile». 

- Quindi due anomalie: globuli rossi che si impilano e sostanze esogene nel sangue. 
  G: «C'è anche un fenomeno di aggregazione, di alterazione morfostrutturale dei globuli rossi. È l'effetto magnetico del grafene. Aggregati che poi vanno incontro a emolisi, Questi aggregati si distruggono e il loro contenuto si sversa nel sangue aumentando la cascata ossidativa. Talvolta compaiono cluster di fibrina, sostanza endogena implicala nel processo coagulativo». 

- Si parla di interazioni magnetiche. Fare una risonanza magnetica in questa situazione è rischioso? 
  G: «Potrebbe esserlo. Da approfondire». 

- Esistono esami del sangue da fare per scovare le anomalie? 
  G: «Vi sono dati come didimero, fibrinogeno, Pt, Ptt, antitrombina, proteina C reattiva, proteina S. Il punto è che queste analisi misurano un danno già organizzato. Mentre l'esame al microscopio verifica un latente, al momento funzionale, in grado cli sfociare - perdurando il problema - in un danno organico. Gli esami standard fotografano un danno già avvenuto. Gli accertamenti che conduciamo noi fotografano, invece, lo stato funzionale nel suo divenire». -> FTP

(La Verità, 15 agosto 2022)

........................................................



Salmo 109 (1)

  1. Per il maestro del coro. Salmo di Davide.
    O Dio della mia lode, non tacere,
  2. perché bocca di malvagio e bocca d'inganno si sono aperte contro di me; hanno parlato contro di me con lingua di menzogna.
  3. Mi hanno circondato con parole d'odio, mi hanno fatto guerra senza motivo;
  4. in risposta al mio amore mi accusano. E io resto in preghiera.
  5. Mi hanno reso male per bene, e odio in cambio d'amore.
  1. Costituisci un empio sopra di lui, un accusatore si tenga alla sua destra.
  2. Sia giudicato ed esca condannato; la sua preghiera gli sia imputata a peccato.
  3. Siano pochi i suoi giorni: un altro prenda il suo ufficio.
  4. Siano orfani i suoi figli e vedova sua moglie.
  5. Vadano errando i suoi figli e accattino; cerchino pane lontano dalle loro case in rovina.
  6. Getti l'usuraio le sue reti sui suoi beni; facciano preda gli estranei delle sue fatiche.
  7. Nessuno mostri a lui benevolenza, e non si trovi chi abbia pietà dei suoi orfani.
  8. Sia distrutta la sua progenie; nella seconda generazione sia cancellato il loro nome!
  9. Sia ricordata dall'Eterno l'iniquità dei suoi padri, e il peccato di sua madre non sia cancellato.
  10. Restino sempre davanti all'Eterno quei peccati e faccia Egli sparire dalla terra la sua memoria.
  11. Perché non ha voluto aver pietà, ma ha perseguitato il povero e bisognoso, chi aveva il cuore spezzato, per ucciderlo.
  12. Ha amato la maledizione, ricada essa su di lui; non ha gradito la benedizione, resti essa lontana da lui.
  13. Si è avvolto di maledizione come di un vestito, penetri essa come acqua in lui, come olio nelle sue ossa.
  14. Sia per lui come un manto che lo ricopre, come una cintura che sempre lo cinge!
  15. Tale sia da parte dell'Eterno la ricompensa dei miei accusatori, e di quelli che proferiscono del male contro l'anima mia.
  1. Ma tu, Eterno, o Signore, opera in mio favore, per amore del tuo nome;poiché buona è la tua misericordia, liberami!
  2. Perché povero e bisognoso son io e il mio cuore è ferito dentro di me.
  3. Me ne vado come un'ombra che s'allunga, sono scosso via come una locusta.
  4. Le mie ginocchia vacillano per il digiuno, la mia carne deperisce e dimagra.
  5. Son diventato un obbrobrio per loro; mi guardano e scuotono il capo.
  6. Aiutami, o Eterno, Dio mio, salvami secondo la tua benignità.
  7. E sappiano essi che questa è la tua mano, che sei tu, o Eterno, che agisci.
  8. Essi malediranno, ma tu benedirai; s'innalzeranno, ma saranno confusi, e il tuo servo esulterà.
  9. I miei accusatori saran vestiti di vituperio e avvolti nella vergogna come in un manto!
  10. Ad alta voce io celebrerò l'Eterno con la mia bocca, lo loderò in mezzo a molti;
  11. perché Egli sta alla destra del povero per salvarlo da quelli che lo condannano a morte.

Se il salmo 23 è uno dei più noti e amati del salterio, il salmo 109 è uno dei più negletti e quasi temuti. Se il primo si svolge in un clima pacato e dolce, il secondo erompe in un tono impetuoso e aggressivo. Il salmo appartiene - secondo un'approssimata classificazione - al genere dei cosiddetti "salmi imprecatori", contenenti violente maledizioni, minacciose esecrazioni, gridi di vendetta. Eppure in sostanza il Salmo 109 è una preghiera: è il grido appassionato di un supplicante che chiede a Dio di intervenire in suo favore.
  E' in forma personale, ma certamente non è un puro sfogo intimistico, perché Davide è re d'Israele, e le parole di questa preghiera sono presentate al maestro del coro per essere cantate dalla comunità nel servizio di culto al Signore. Certo, come scrive Charles H. Spurgeon (1834-1892) nel suo The Treasury of David, il suo monumentale commentario ai Salmi, "Yet it is by no means easy to imagine the whole nation singing such dreadful imprecations". Ma se le cose stanno così, bisogna prenderle per quel che sono.
  Nel commentario evangelico di William MacDonald, dopo le spiegazioni sul salmo 109 l'autore sente il dovere morale di fare un apposito excursus sui salmi imprecatori. Comincia così: "Sarebbe intellettualmente disonesto procedere senza affrontare il problema presentato dai salmi imprecatori. La difficoltà, naturalmente, sta nel conciliare lo spirito aggressivo e giudicante di questi salmi con lo spirito di perdono e amore affidato altrove al popolo di Dio. E poiché il Salmo 109 è il «re» dei Salmi imprecatori, questo sembra il posto giusto per affrontare questo argomento." Dopo di che l'autore indica tre o quattro chiavi di lettura di questo salmo presenti in letteratura, avvertendo che nessuna di esse lo convince. Alla fine ne aggiunge una sua, che però a chi scrive non appare più convincente delle altre.
  Esiste poi un tipo popolare di interpretazione di passi difficili come questo che spiega tutto presentando il Dio dell'Antico Testamento degli ebrei diverso dal Dio dei Nuovo Testamento dei cristiani: il primo sarebbe severo e duro, il secondo misericordioso e amabile. E' un tipo di lettura "cristiana" certamente da scartare, ma in che modo gli ebrei la contraddicono? Prendiamo un esempio dal libro dei Numeri:

    "Mentre i figli d'Israele erano nel deserto, trovarono un uomo che raccoglieva della legna in giorno di sabato. Quelli che l'avevano trovato a raccogliere la legna lo portarono a Mosè, ad Aaronne e a tutta la comunità. E lo misero in prigione, perché non era ancora stato stabilito che cosa gli si dovesse fare. E l'Eterno disse a Mosè: 'Quell'uomo dev'essere messo a morte; tutta la comunità lo lapiderà fuori del campo'. Tutta la comunità lo condusse fuori del campo e lo lapidò; e quello morì, secondo l'ordine che l'Eterno aveva dato a Mosè" (Numeri 15:32-36).

Questa non è una descrizione di fallibili comportamenti umani, questa è Torah: ordine di Dio. E' anche strano che gli israeliti non sapessero che cosa si dovesse fare in un caso simile, perché Dio l'aveva già detto nell'ordine solenne con cui aveva concluso il discorso fatto a Mosè quando gli aveva consegnato le due tavole di pietra che sancivano l'originario patto del Sinai (Esodo 31:12-18). Per ben due volte in quel passaggio Dio ripete che chi trasgredisce il sabato deve essere messo a morte. Il precetto dunque ha un valore fondante per il patto, ed è per questo infatti che la sua puntigliosa osservanza è stata mantenuta viva nel corso dei secoli. Ma non si può fare a meno di sottolineare che nella forma originaria del patto del Sinai il mettere a morte il trasgressore del sabato fa parte dell'osservanza del precetto del sabato. Viene osservato oggi il precetto?
  Riportiamo poi un altro passaggio del discorso di Mosè al popolo che si appresta ad entrare nella terra promessa:

    "Se tuo fratello, figlio di tua madre, o tuo figlio o tua figlia o la moglie che riposa sul tuo seno o l'amico che ti è come un altro te stesso t'inciterà in segreto, dicendo: 'Andiamo, serviamo ad altri dèi': dèi che né tu né i tuoi padri avete mai conosciuto, dèi dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani, da una estremità all'altra della terra, tu non acconsentire, non gli dar retta; l'occhio tuo non abbia pietà per lui; non lo risparmiare, non lo nascondere; anzi uccidilo senz'altro; la tua mano sia la prima a levarsi su di lui, per metterlo a morte; poi venga la mano di tutto il popolo; lapidalo, e muoia, perché ha cercato di spingerti lontano dall'Eterno, dall'Iddio tuo, che ti trasse dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. E tutto Israele l'udrà e temerà e non commetterà più in mezzo a te una simile azione malvagia" (Deuteronomio, 13:6-11).

Passi come questo appaiono brutali ai nostri occhi, ma la soluzione non sta nel chiudere gli occhi. Si tenga presente comunque che sono un problema non solo per gli ebrei, ma anche per i cristiani che non fanno distinzione tra il Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento. Liberi pensatori e teologi storico-critici risolvono presto la questione inserendo il tutto in un quadro culturale in cui collocano vari modi umani di immaginare la divinità, ma chi crede nell'autorità divinamente ispirata della Sacra Scrittura non può che sentirsi obbligato a dare spiegazioni testuali che facciano riferimento alla Bibbia, e soltanto ad essa. Purtroppo invece molti evangelici, anche tra quelli più rigorosamente "fondamentalisti", risolvono la cosa evitando di parlarne.
  E' un fatto comunque che al problema della "violenza" di Dio nei testi biblici non si può dare una risposta semplice e immediata, perché dipende dal modo in cui si considera la Bibbia nel suo insieme e se ne indica il centro del messaggio. Affrontare un testo "terribile" come il salmo 109 può essere visto come un tentativo di muoversi verso l'individuazione di questo centro.
  Inizieremo ad esaminare il testo così come si presenta.

  1. O Dio della mia lode, non tacere,
Davide rivolge la sua parola a Dio esprimendogli ammirazione per quello che è e che fa; perché allora Dio a sua volta non rivolge la sua parola a lui, che adesso si trova in mezzo ai guai? Perché tace, come se quello che capita al suo servo (v. 28) non lo riguardasse? La supplica "non tacere" può significare "non restare inerte, prendi posizione, fatti sentire".
  1. perché bocca di malvagio e bocca d'inganno si sono aperte contro di me; hanno parlato contro di me con lingua di menzogna.
Davide non dice di essere perseguitato da delinquenti e impostori, ma indica i suoi nemici a partire dalla bocca. E' quella che li rivela come malvagi e ingannatori; sta lì il corpo del reato. Qualunque sia il motivo del contrasto, i nemici pensano di vincere a forza di colpi diffamatori diretti contro la persona stessa di Davide. Non  ricercano suoi eventuali punti deboli per colpirlo con parole veritiere, ma facendo un uso sconfinato della menzogna lanciano accuse su accuse inventando storie di ogni tipo, tanto più efficaci quanto più risultano devastanti per l'equilibrio della persona e il valore della sua reputazione.
  1. Mi hanno circondato con parole d'odio, mi hanno fatto guerra senza motivo;
E' fatta dunque di parole l'artiglieria di guerra dei suoi nemici. Lo attaccano da tutte le parti; lo circondano di invettive; ad ogni spiegazione che prova a dare lo colpiscono con nuove accuse; non gli danno scampo. Davide avverte con dolore e sconforto che alla base della furia con cui si scagliano contro di lui c'è l'odio, un odio puro che non ha bisogno di altri motivi per muovere guerra all'oggetto odiato.

  1. in risposta al mio amore mi accusano. E io resto in preghiera.
Qui emerge un aspetto che rende ancor più grave l'atteggiamento di questi nemici. Non hanno motivi validi di accusa, non possono dire di aver subito dei torti da parte di Davide, ma anzi è vero il contrario: Davide sostiene di aver avuto espressioni e comportamenti d'amore verso di loro, e adesso ne viene ripagato con attacchi violenti e immotivati. Davide non risponde ai suoi nemici sulla stessa lunghezza d'onda, non apre la bocca contro di loro, ma rivolge le sue parole in preghiera a Dio. Chiede a Lui di parlare. Ma come Giobbe si lamenta di un silenzio di Dio per lui incomprensibile.
  1. Mi hanno reso male per bene, e odio in cambio d'amore.
Se le cose stanno come Davide le descrive, la malvagità dei suoi nemici è di una gravità estrema. E' stato detto che rispondere al male col male è umano, ma rispondere al bene col male è diabolico. Di questo appunto si tratta. Come nel caso di Giobbe, nello scontro umano tra Davide e i suoi nemici si svolge una guerra il cui vero campo di battaglia è sovrumano.  Questo spiega quel "io resto in preghiera" di Davide, che non è una semplice richiesta di aiuto, ma un invito a Dio a coinvolgersi attivamente nella battaglia, perché la guerra è sua. Alla fine del salmo infatti dice: "Aiutami, o Eterno, Dio mio, salvami ... e sappiano essi ... che sei tu, o Eterno, che agisci". Davide è un servo di Dio (v. 28), dunque un combattente del suo esercito, ma la guerra è guerra di Dio, dunque la vittoria deve risultare a Sua gloria e a vituperio dei nemici di Dio, che nella lotta si presentano come nemici di Davide (v. 29).
  "Odio in cambio d'amore": sta forse qui la chiave dell'enigma di questo salmo?

M.C.
(1. continua)

(Notizie su Israele, 14 agosto 2022)


........................................................


Israele chiede a Netflix e disney+ di investire in contenuti locali

di Michelle Zarfati

Il ministero della Comunicazione israeliano sta promuovendo un disegno di legge mirato a richiederei ai principali servizi di streaming internazionali, come Netflix e Disney+, di investire in contenuti israeliani. Un modo inclusivo e alternativo per far conoscere al mondo la cultura israeliana ed ebraica in generale. Il ministero della Comunicazione ha detto che la riforma mira a garantire che gli spettatori possano godere di "un'ampia e diversificata varietà di contenuti di qualità che possano esprimere i diversi sapori della lingua e della cultura israeliana".
  La riforma proposta prevede anche che i servizi di streaming investano il 4%-6,5% delle loro entrate annuali in creator israeliani. Il regolamento si applicherebbe anche ai concorrenti locali con un fatturato annuo superiore a 300 milioni di NIS circa 90 milioni di dollari. “Stiamo compiendo un altro passo nella regolamentazione del mercato radiotelevisivo e nell'adattamento all'era attuale", ha detto il Ministro della Comunicazione Yoaz Hendel. "La riforma richiederà alle emittenti internazionali e israeliane, con centinaia di migliaia di abbonati in Israele, di trasmettere contenuti culturali interessanti per tutti”.
  Al fine di diversificare ulteriormente la gamma di contenuti in Israele, il disegno di legge propone anche una certa percentuale dell'investimento nelle produzioni locali. Tutto ciò potrebbe avere un impatto significativo sulla gamma e sulla qualità delle produzioni israeliane originali, che si unirebbero ai precedenti successi internazionali israeliani come Fauda e Teheran.

(Shalom, 12 agosto 2022)

........................................................


Quando il sangue strilla: “Maddalena”, il libro che spiega la Shoah dalla crisi dell’identità

Intervista all’autore Roberto Di Segni

di David Di Segni

Esistono drammi che la Shoah ha provocato non solo ai diretti testimoni delle atrocità naziste, ma anche a “tutti gli altri”: figli, nipoti, parenti ed amici delle vittime o dei sopravvissuti. Traumi fatti di segreti mai svelati e di gravosi silenzi irrisolti. Maddalena, il primo racconto di Roberto Di Segni, affronta proprio questo tema: la Shoah vista dagli occhi degli “altri”. HaTikwa ha intervistato l’autore.
  «Maddalena è realmente esistita, era una donna minuta e dalle origini contadine, che lavorava come portiera nello stabile dove abitavo al Portico d’Ottavia, a Roma. Il libro è verosimile: le vicende romanzate dei personaggi si muovono tra luoghi e fatti storici fedeli alla realtà, che sono stati riportati con rispettosa precisione».
  L’esperienza di una vita difficile ed un trauma troppo grande per essere superato. La protagonista ha solo tredici anni quando scopre d’essere ebrea, figlia di vittime della Shoah, e adottata da una famiglia cattolica. Cresciuta con un’educazione laica e senza mai un accenno sulla sua identità, la verità la relega in un limbo identitario perenne. «La protagonista soffre un’identità che non riesce a definire o accettare. Non si sente né ebrea né cristiana, fino al giorno in cui, dalla guardiola dove lavora, scorge un ragazzo con in capo la Kippah dirigersi in Sinagoga per lo Shabbat. Il sangue strilla”.
  L’amicizia che si instaura fra i due è la chiave di volta della protagonista, che, di fronte ad uno dei loro consueti incontri per il caffè pomeridiano, rivela i suoi drammi più tenebrosi. Come quando ci si siede dallo psicologo, così il lettore si siede di fronte a Maddalena, che diventa un fiume in piena di parole. Dalla sua bocca esce il dolore, il rimpianto, l’angoscia. Un libro terapeutico che ci insegna la dimenticata arte dell’ascolto, soprattutto quello dei traumi altrui.
  «La crisi di identità della protagonista nasce da un mio dubbio perenne: chi può definirsi più ebreo di un altro? Esistono laici, osservanti, religiosi, ma il nostro DNA è, e rimane, quello di un ebreo. Nessuno può metterlo in discussione. Esiste il meno fortunato, il meno abbiente, chi si allontana o avvicina alla fede dopo una tragedia. Qualunque sia il nostro rapporto con Dio, solo Lui può giudicarci, e solo noi sappiamo quanto è forte il nostro senso d’appartenenza». Ce la farà la protagonista a trovare sé stessa? Sessanta pagine per scoprirlo.
  Questo libro corona un percorso che l’autore ha iniziato nel 2018 insieme a Rosangela Albano (insegnante di sostegno all’istituto “Elsa Morante” di Roma) e Grazia Di Veroli (ex vicepresidente ANED), per spiegare la Shoah nelle scuole. «Il progetto, che ha coinvolto gli alunni del plesso Elsa Morante, si chiama “Il valore di sé negli altri, viaggio fra la cultura ebraica e cattolica”. Ne sono usciti quadri, dipinti, visite guidate sia al quartiere ebraico che al Tempio Maggiore. In quanto ebreo, credo sia doveroso tramandare la Memoria di chi ci ha preceduto, di chi non ce l’ha fatta: siamo occhi e orecchie sulle porte del mondo».

(UGEI, 12 agosto 2022)



........................................................


Il tikkun olam di Olivia Newton John

Ritratto inedito di un’icona del nostro tempo: proveniente da una famiglia di ebrei tedeschi sfuggiti alle persecuzioni in Inghilterra, nonno premio Nobel per la fisica e padre agente segreto che ha partecipò alla cattura del criminale nazista Rudolf Hoess.

di Laura Forti

FOTO
Quando muore qualcuno di Hollywood, un attore, un regista, ormai mi viene spontaneo chiedermi: sarà stato ebreo? Purtroppo su internet esistono davvero degli elenchi di “personaggi famosi ebrei” che mettono i brividi perché richiamano le terribili liste persecutorie e antisemite che tutti conosciamo. Nel mio caso, essendo una correligionaria, la mia curiosità è più innocente, sfiora casomai il pettegolezzo o il gossip. In fondo Hollywood fu creata da attori ebrei in incognito e, soprattutto nel caso delle seconde o terze generazioni, non è sempre facile capire se in famiglia c’era una nonna o una mamma di fede ebraica, specie se ti chiami non Rachel o Sarah ma Wynona, come la Ryider. Così ho rifatto il solito giochino macabro anche quando è morta l’adorabile Sandy di Grease, la seconda Doris Day ma  simpatica del cinema e della canzone americani, Olivia Newton John.
  Ed ecco aprirsi la biografia che ormai tutti hanno commentato in questi giorni: proveniente da una famiglia di ebrei tedeschi sfuggiti alle persecuzioni in Inghilterra, nonno premio Nobel per la fisica (in un video trovato su YouTube, Newton John commenta così, con nonchalance, una fotografia del periodo universitario del suo illustre antenato: ecco, qui c’è il nonno, questo accanto è Albert  Einstein e questa è Marie Curie – quando noi al massimo in classe avevamo uno che è diventato calciatore in serie B e per questo ci sentivamo un po’ importanti), padre agente segreto che ha collaborato alla cattura di Hoess. Mica male come back ground per Sandy, chi lo avrebbe mai detto.
  Quando scopro che uno degli artisti di Hollywood ha origini ebraiche però il secondo passo è chiedermi: che fine hanno fatto? Mi domando per esempio se la famiglia ne avrà parlato ai discendenti, se avrà rimosso il passato, che tipo di relazione esisteva con le radici prima etc.  Perché, quasi sicuramente,  esiste un momento nella vita in cui il proprio essere ebrei torna fuori, anche se l’avevamo gettato come un sassolino in un pozzo. La memoria è un sasso, ma magico: sa galleggiare, tornare in superficie. Infatti nella sua biografia scritta in tarda età  nel 2019 (che porta un titolo che si presta a varie interpretazioni, Don’t stop believe it) Olivia ne parla, eccome. Dice di sentirsi orgogliosa e riporta anche una bella frase detta da suo nonno: non esiste una sola verità, chi pensa questo non può che essere destinato a fare del male. Una frase forse da fisico amico di Einstein (“tutto è relativo”) ma anche un concetto molto ebraico. Newton John prima che essere attrice era cantante – era quella con meno esperienza professionale sul set di “Grease”, la volle a tutti i costi John Travolta già star dopo “La febbre del sabato sera” e fece centro. Aveva una voce d’angelo. La cosa curiosa è che in un uno dei suoi ultimi album “Grace and Gratitude” del 2006 inserì alcuni riferimenti alla Cabala chiamando parti del disco con i nomi di due sefirot dell’albero della vita, Tiferet  e Hod.  E anche questo è stato ampiamente citato sui giornali, anche se con ogni probabilità la maggior parte dei lettori non sa cosa siano le sefirot e quando si parla di Kabbalah (lo scrivo all’americana per un motivo) pensa immediatamente a Madonna. E qui si apre un capitolo interessante, su cui varrebbe la pena scavare.
  L’ebraismo a Hollywood è diventato interesse cabalistico. Al famoso Kabbalah Center di Los Angeles, gestito dai coniugi Berg che si sono rivelati alla fine due lestofanti o comunque più attaccati al denaro che al misticismo, si sono recate star del calibro di Kushner, Demi Moore, la stessa Ryder, Lindsay Lohan e pure Britney Spears che si è tatuata – così riporta il gossip – “uno dei tanti nomi di Dio” (vorrei sapere quale, dato che non si può nominare) dietro la nuca. Ebrei e non ebrei, in cerca di luce, sono corsi a comprarsi braccialetti rossi in grado di risollevarsi dopo il divorzio e di infondere energia per sconfiggere droga e alcolismo  Madonna stessa ha cercato di riempire la sua piscina di una non meglio precisata acqua cabalistica venduta dai Berg e alla domanda chiave, perché abbia scelto proprio la Cabala invece del pilates, ha risposto serafica: per essere felice. Perché non Scientology allora, come l’amico Cruise o lo stesso Travolta? ha incalzato l’intervistatore maligno. Beh, ognuno fa come vuole, se Tom (Cruise) è felice a credere, che so, nelle tartarughe che lo faccia pure, ha risposto Esther Ciccone (questo il nome ebraico che ha scelto – per l’appunto l’eroina dell’unico libro che non ha origine ebraiche ma babilonesi, ma son dettagli).
  Il punto è proprio questo: la religione deve renderci felici. Da qui sono partite una serie di contestazioni da parte di rabbini ortodossi inviperiti che hanno ricordato – senza essere troppo ascoltati – che l’ebraismo è una religione che esige studio, che la Cabala dovrebbe essere studiata dopo i quarant’anni non perché si diventa dei miliardari annoiati che non sanno come riempire le giornate ma dato che si suppone che si abbia maturato una conoscenza profonda della fede dovuta ad anni di studio. L’ebraismo è una religione del fare, delle azioni concrete, non delle chiacchiere. Invece questo rimane della Torah a Hollywood: una spolverata di memoria per chi ha lontane origini ebraiche, un profumo di misticismo scadente, di seconda mano, quel tanto per sentirsi fighi, interiori in un mondo votato all’apparenza e alla ricchezza materiale. Che tristezza. Così per un attimo ho avuto paura che anche la dolce Sandy non fosse rimasta immune, che avesse scelto la strada facile e un po’ volgare della religione all’acqua di rose (o acqua santa, secondo i Berg).
  Sono andata a visitare il sito della sua fondazione, l’Olivia Newton John Centre per la ricerca sul cancro – è stato proprio quello al seno tornato tre volte che ha costituito una battaglia durissima per l’attrice-cantante..Temevo di trovare delle motivazioni new age, invece si parla di benessere, si dice che il malato deve credere nella positività, trovare la sua motivazione. Parole rischiose nel caso della malattie gravi, a volte i pazienti si aggrappano solo a quelle sminuendo la parte scientifica. Ma non la nipote del premio Nobel, il fisico Max Born, l’amico di Einstein. Nel sito si ritrova la stessa gentilezza e pulizia che tanto ci hanno fatto innamorare del personaggio di Sandy che canta “ senza speranza devota a te”, facendoci illudere che l’amore sia per sempre. Perché pare che Newton John non portasse maschere, che fosse così come appare nel film: solare, schietta, “the nicest person ever met”. Che fosse luminosa, ma non quella luce al neon della Kabbalah da tre soldi. E dalle sue parole, dal suo impegno in effetti questa genuinità traspare e si capisce che per lei la fede nella vita o in Dio non fosse destinata a rendere felice lei e basta. Penso che il suo ebraismo fosse finito lì: nel voler fare del bene agli altri, perché il fine ultimo dell’essere ebrei non è gratificare se stessi ma provare a diventare giusti.  Che l’attivismo non costituisse un vezzo, una vanità, ma davvero un suo personale, sincero “tikkun olam”.

(JoiMag, 12 agosto 2022)

........................................................


AliExpress apre i propri magazzini in Israele

Il colosso cinese della vendita al dettaglio online Aliexpress ha allestito magazzini ad Airport City, in Israele, per immagazzinare prodotti e ridurre i tempi di consegna.

FOTO
Il gigante della vendita al dettaglio online AliExpress, di proprietà del gruppo cinese Alibaba, ha avviato un progetto pilota in Israele nelle ultime settimane affittando magazzini ad Airport City vicino all’aeroporto Ben Gurion e immagazzinando prodotti per la consegna diretta in Israele. L’idea è quella di consentire ai clienti di ordinare online prodotti già immagazzinati in Israele, velocizzando così i tempi di attesa per la consegna e riducendo i costi. AliExpress sta attualmente pianificando di ampliare la gamma di prodotti immagazzinati in Israele e di espandere le attività.
  Secondo una fonte strettamente coinvolta nella vicenda, nelle ultime settimane c’è stato un progetto pilota che sta avvenendo su scala molto ridotta. La fonte ha aggiunto che Israele è un mercato importante per AliExpress e lo stanno esaminando da oltre due anni. AliExpress ha fatto questa mossa in molti paesi come Francia, Russia, Stati Uniti e altri e capisce che questa è la direzione dell’e-commerce e le persone non sono interessate ad aspettare un mese per una consegna o interessate ad aspettare perché c’è un blocco in Cina. Così AliExpress ha deciso che avranno una base in ogni paese, e questo ridurrà anche i costi.

(Israele 360, 12 agosto 2022)

........................................................


Il Pd di Parma è il partito scelto dal Dio della Torah ebraica. In città è arrivato il Messia

Riportiamo questo articolo trovato in rete senza nessuna sottintesa intenzione politica, ma per la singolarità con cui l'autore si serve di riferimenti al Talmud per il suo commento alle manovre politiche che si svolgono nella città di Parma. NsI

di Andrea Marsiletti

FOTO
Immaginate ai vecchi gloriosi tempi che casino si sarebbe scatenato nel Pd di Parma a pochi giorni dalla presentazione dei nomi dei prossimi parlamentari, quanti post, quanti comunicati e contro-comunicati, quanti distinguo, interpretazioni dello Statuto, discussioni, litigi.
  Invece oggi tutto tace, tutto è tranquillo, nulla trapela.
  Chi obiettasse “Ovvio che non scalpitano, sono collegi uninominali dati per persi che nessuno vuole” dimostrerebbe di non aver capito nulla di questi vent’anni del Pd di Parma, nei quali la polemica esplodeva per molto meno, spesso per niente, e anche la più insignificante delle designazioni si trasformava in uno scontro alla morte, dove ognuno diceva la sua, cercava di far prevalere la propria opinione, adducendo a motivazione alcune sillabe che erano diverse nei Regolamenti regionale e nazionale, financo per il gusto in sé di dibattere. Senza l’accettazione di alcuna gerarchia superiore.
  Credo che nulla nella storia dell’Umanità, da quando Dio ha consegnato gli insegnamenti della Torah a Mosè sul monte Sinai stringendo il patto col “Popolo eletto”, sia stato più intriso di cultura ebraica del Pd di Parma.
  Già, perché l’aspetto che più mi affascina della tradizione ebraica è che non esiste un’autorità che possa imporre la sua interpretazione delle Scritture in modo incontrovertibile. Per gli ebrei la verità deve essere ricercata insieme, col dialogo e confutazioni perenni tra rabbini. Le controversie, ovvero i punti su cui non c’è accordo, non sono intese come qualcosa da reprimere, ma di prezioso da mettere in luce. E’ lo stesso Talmud (il testo che raccoglie la tradizione orale dell’ebraismo) a sublimare il principio del contraddittorio e l’assenza di una posizione ufficiale da quando, con la distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C.), non esiste un Sommo Sacerdote. Il più autorevole è colui che, caso per caso, dimostra con le sue argomentazioni di possedere la conoscenza più approfondita della Torah.
  Il Talmud racconta una storia che spiega bene questa caratteristica identitaria dell’ebraismo: Rabbi Eliezer, uno dei rabbini più dotti di sempre, si trovò a fronteggiare da solo un’intera congregazione di grandi rabbini: un forno diviso in tanti scomparti e riempito di sabbia poteva ricevere l’impurità o meno?
  Rabbi Eliezer sosteneva di no, gli altri di sì.
  Rabbi Eliezer disse: “Se io ho ragione, questo albero di carrubo lo provi!“. L’albero si sradicò. I rabbini replicarono: “Eh no, che valore può avere il balzo di un albero di carrubo? Non è con un miracolo che si dimostra che tu hai ragione“.
  “Se io ho ragione, l’acqua di questa brocca me lo attesti!” riprovò Rabbi Eliezer. L’acqua uscì dalla brocca e tornò alla fonte. I rabbini non si fecero impressionare: “No, noi non ci basiamo su queste cose“.
  Rabbi Eliezer giocò l’ultima carta: “Se la regola è come dico io, una voce dal cielo confermi che ho ragione!” Uscì una voce dal cielo (di Dio) che sentenziò: “La regola nei mondi superiori è tutta come dice Rabbi Eliezer“.
  Si alzò un rabbino inferocito: “Non vale, perché è scritto che la Torah è stata data agli esseri umani, non agli angeli”.
  La storia finisce con un rabbino che incontrò per strada il profeta Elia e gli chiese: “In cielo, mentre era in atto la discussione tra questi giganti della Torah, cosa succedeva?
  Elia rispose: “Dio rideva e diceva: ‘i miei figli mi hanno vinto’“.
  E’ questa la forza grandiosa della religione ebraica: Dio accetta la visione dell’uomo, anche se la sua è diversa. La regola viene definita dalla maggior parte di questi maestri, anche se dal cielo dicono che Rabbi Eliezer ha ragione. Non stupisce, pertanto, che nei secoli si siano accumulate più di 700.000 interpretazioni rabbiniche delle frasi della Torah.
  Ma adesso, dopo anni di discussioni in via Treves e sui giornali, a chi si deve questa pace nel PD di Parma?
  Che sia venuto a Parma il Messia tanto atteso dagli ebrei (che, come noto, non riconoscono Gesù come figlio di Dio), ovvero un leader umano, discendente fisicamente dalla stirpe di Re Davide, che governerà e unirà il popolo di Israele e lo condurrà verso l’Era Messianica di pace globale e universale?
  La maggioranza dei rabbini del Pd sostiene che il Messia sia Michele Guerra, non tanto perché questi abbia liberato il popolo del centrosinistra di Parma riportando il Pd al governo della Terra Promessa, ma perché la sua serie TV preferita è “Shtisel” sulla vita degli ebrei ortodossi, come dallo stesso sindaco rivelato. E’ questa per loro la prova finale, a maggior ragione perché emessa da uno studioso quale è un professore universitario di cinema.
  Ma ci sono rabbini più sionisti, più di sinistra, cresciuti nelle proprietà collettive dei Kibbutz, che indicano in Lorenzo Lavagetto il Messia, perché se si sommano le cifre delle preferenze da questi ricevute alle ultime comunali si ottiene un numero che indica un passo della Torah che recita “Quando arriverà il Salvatore il cielo si colorerà di rosso“.
  Il tema rimane controverso.
  E allora, se Dio vuole, che riparta la discussione!
  Finalmente.

(parmadaily.it, 10 agosto 2022)

........................................................


Israele non da tregua ai terroristi palestinesi

La Jihad islamica decapitata dei suoi leader chiede aiuto all’Iran

di Davide Racca

Continuano le operazioni dell’esercito israeliano contro i terroristi palestinesi della Jihad islamica. Dopo la “tre giorni” di bombardamenti mirati contro obiettivi situati nella Striscia di Gaza che, di fatto, hanno eliminato tutta la leadership dell’organizzazione terroristica, le azioni dello Shin Bet e dello Tsahal sono state rivolte ai membri delle cellule operative nelle zone di Giudea e Samaria.
  L’azione di Israele, con l’implementazione delle operazioni, ha lo scopo ben definito di impedire la formazione e lo stanziamento di nuove basi di terroristi nella Samaria settentrionale.
  Alcuni giorni fa a Nablus, le forze dell’IDF, dopo aver circondato la casa dove era barricato e dopo uno scontro a fuoco, hanno eliminato Ibrahim al-Nabulsi. I militari israeliani, prima di dare inizio alle operazioni, hanno invitato il terrorista a consegnarsi spontaneamente, ma dopo il rifiuto e i di colpi di AK47,  hanno lanciato due missili LAW contro la casa del ricercato neutralizzandolo insieme ad un altro terrorista. Almeno altri trenta, invece, sono rimasti feriti, tra i quali almeno tre in modo grave. Al termine dell’azione sono state rinvenute armi, munizioni ed esplosivi.
  Il portavoce di Fatah, Munther al-Hayek, attraverso i social network diffusi nella Striscia di Gaza, ha dichiarato: “Piangiamo i nostri martiri Ibrahim al-Nabulsi, Islam Sabbouh e Hussein Taha, e affermiamo che il crimine codardo dell’assassinio non farà che aumentare la determinazione del nostro popolo a continuare lo scontro per la salvezza dall’occupazione”. Al Nabulsi, responsabile della formazione dei “martiri di Al Aqsa”, braccio armato di Fatah a Nablus, era alle dirette dipendenze di Bassam al-Saadi, l’alto comandante della Jihad palestinese, arrestato circa 10 giorni fa.
  Negli ultimi tempi, la Jihad islamica ha spinto l’Autorità Palestinese al di fuori dall’area di Jenin e stabilito una nuova formazione (Battaglione Jenin), che include anche i miliziani delle altre strutture come le “Brigate Martiri di al Aqsa” di Fatah ed alcuni elementi di Hamas. Questa nuova entità si è espansa nelle aree di Nablus e Tulkarm effettuando blitz contro i coloni e le forze di sicurezza di Israele.
  Hamas si è astenuto dal prendere parte alle operazioni della Jihad islamica a Gaza, non certo per una mancanza di volontà di ledere gli interessi di Gerusalemme. Piuttosto, in accordo con Hezbollah ed il suo leader Hasan Nasrallah, ha ritenuto più prolifico continuare nelle operazioni di accatastamento di nuove armi e munizioni inviate dall’Iran in Libano per il tramite della Guardia repubblicana stanziata a Damasco e dintorni. L’intento potrebbe essere una strategia idonea a stringere Israele in una morsa con attacchi dal nord, Libano e Siria, dal sud-ovest, Striscia di Gaza, e dall’interno, le enclavi della Cisgiordania.
  La Jihad islamica, da parte sua, in sinergia operativa con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, ha preferito utilizzare, con effetti disastrosi, l’uso della forza contro l’esercito dello Stato ebraico. L’azione, repressa con adeguate contromisure da Israele, è stata fomentata e rivendicata dal leader Ziad al Nakhla, attualmente  a Teheran, insieme ad Akram El-Ajuri, il capo del braccio militare dell’organizzazione, allo scopo di elaborare i piani di rafforzamento del gruppo e l’approvvigionamento di aiuti economici e militari sotto la guida dei vertici delle “Guardie Rivoluzionarie” iraniane.
  Secondo fonti della Jihad islamica, la missione ordinata da Al-Nakhla ai suoi miliziani è quella di iniziare una guerra di logoramento contro Israele in Cisgiordania, perpetrando attacchi contro l’IDF e i coloni con il supporto delle organizzazioni contigue sostenute dall’Iran, loro principale sponsor.

(ofcs.report, 12 agosto 2022)

........................................................


Pugno di ferro di Israele e crollo dell’Anp di Abu Mazen. La Cisgiordania in fiamme

di Michele Giorgio

Martedì, mentre nella notte una calma carica di tensione regnava lungo le linee tra Israele e Gaza, l’esercito israeliano di fatto trasformava Ibrahim Nabulsi, 26 anni, in un eroe nazionale palestinese. Quando le unità scelte dell’esercito hanno circondato il suo rifugio nella casbah di Nablus, in Cisgiordania, il giovane palestinese, ricercato da Israele, ha scelto di non arrendersi. Ha resistito, risposto al fuoco, poi ha compreso che per lui era finita. Prima di essere ucciso, è riuscito a registrare un messaggio vocale su WhatsApp e l’ha inviato alla madre, per salutarla e per spiegare la sua decisione di morire da martire e di non arrendersi. L’audio ha girato su tutta la rete. Quindi ha esortato i suoi compagni di lotta a resistere all’occupazione. Pochi secondi dopo i militari israeliani hanno lanciato un razzo contro l’edificio in cui si era barricato. L’esplosione ha ucciso tutti quelli che erano all’interno. Oltre a Nabulsi, sono morti altri due palestinesi, Islam Sabbouh, e un adolescente di 17 anni. Intanto sale il bilancio dei palestinesi uccisi nei giorni scorsi dai bombardamenti a Gaza è salito a 49. 
  Nabulsi, considerato dagli israeliani un «pericoloso terrorista», in poche ore è diventato una figura leggendaria. Sui social e i giornali palestinesi hanno ricordato le tante volte in cui era sfuggito alla cattura da parte dell’intelligence israeliana – l’ultima due settimane fa – usando rifugi diversi e gallerie sotterranee. Proprio come fece il leader palestinese Yasser Arafat nel 1967 nelle settimane successive all’occupazione israeliana della Cisgiordania prima di rifugiarsi in Giordania. E quasi trent’anni dopo un’altra primula rossa, Ahmad Tabouk, noto come il «Robin Hood» della casbah di Nablus, ricercato dagli israeliani e anche dai servizi palestinesi. Tabouk da un lato combatteva l’occupazione e dall’altro estorceva denaro alla borghesia ricca della città per distribuirlo alle famiglie povere di Nablus. Arrestato dall’Anp e riabilitato come agente di polizia, fu ucciso dall’esercito israeliano durante la seconda Intifada.
  Nabulsi non è un simbolo unificante per i palestinesi come la giornalista Shireen Abu Akleh, uccisa a Jenin lo scorso maggio – ora una strada di Ramallah porta il suo nome -, ma la sua figura mette d’accordo un po' tutti. Non era del movimento islamico Hamas, non faceva parte di Fatah anche se per qualche tempo aveva militato nelle Brigate di Al Aqsa, l’ala armata del partito del presidente Abu Mazen. Di fatto collaborava con tutti e anche ciò ne aveva fatto un punto di riferimento per tanti giovani a Nablus e Jenin. «In Israele cambiano i governi ma non le politiche nei confronti dei palestinesi – commenta Nasser Abul Hadi, un giornalista cisgiordano – (Israele) usa solo la forza, non analizza i cambiamenti che avvengono nella società palestinese, sul terreno, e non bada alle conseguenze dell’occupazione militare che dura da 55 anni». I proiettili che sparano i soldati, aggiunge, «stanno creando nuovi eroi per milioni di persone stanche dell’occupazione. I giovani palestinesi non accettano di vivere in queste condizioni e non pochi fra loro si uniscono alle organizzazioni armate, specie nei campi profughi di Jenin e Nablus». Quest’anno non meno di 1.720 persone sono state arrestate, sia palestinesi che cittadini arabi di Israele. Sessantasei palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania da gennaio a giugno, rispetto agli 81 dell’intero 2021. La scorsa primavera, in attacchi armati palestinesi, 19 persone a Tel Aviv e altre città.
  Sulla stampa in lingua ebraica, o parte di essa, non manca chi sottolinea che qualcosa di rilevante sta avvenendo in Cisgiordania. E non dipende solo dalla crescente influenza di Hamas in quel territorio. La leadership dell’Anp di Abu Mazen sta progressivamente perdendo il controllo. A dimostrarlo sono proprio i continui raid israeliani anche nelle aree A (il 14% della Cisgiordania) che ufficialmente ricadono sotto la piena autorità del governo palestinese. Il quotidiano Haaretz in un articolo di qualche giorno fa lasciava intendere che Tel Aviv non crede più alle possibilità dell’Anp di svolgere azioni di «antiterrorismo». Perciò preferisce lanciare raid in Cisgiordania, scontrandosi spesso con i combattenti palestinesi ed effettuando decine di arresti ogni settimana. Secondo Haaretz, le previsioni fatte dal governo israeliano su cosa accadrà il giorno dopo la morte di Abu Mazen sono già superate: il cambiamento in Cisgiordania è già avvenuto mentre l’anziano rais è ancora al potere.

(Pagine Esteri, 12 agosto 2022)

........................................................


Soldati dell'esercito riportano alla luce un convento di 1500 anni fa con pavimento mosaicato

Veduta aerea del mosaico
Nell’ambito di un progetto educativo, soldati dell’esercito israeliano hanno riportato alla luce un convento bizantino di 1500 anni fa con pavimento mosaicato.
  Nel centro di Israele, a Horbat Hani, ai piedi delle colline a est di Shoham, soldati israeliani hanno riportato alla luce un convento di suore di 1500 anni fa.
  Il convento bizantino venne scavato per la prima volta vent’anni fa da Uzi Dahari e da Yehiel Zelinger della IAA, l’Autorità per le antichità israeliane, ma venne successivamente coperto per proteggerlo. Grazie al progetto realizzato in collaborazione con l’esercito che ha partecipato all’attività di scavo, è ora di nuovo visibile.
  Secondo Issy Kornfeld, direttore degli scavi per conto dell’Israel Antiquities Authority, "recentemente, una piccola parte dell’antico sito è stato danneggiato durante attività dell’esercito nella zona militare. In questo contesto, la Israel Antiquities Authority, insieme al programma Nature Defense Forces, ha avviato un progetto educativo, in base al quale questo imponente sito è stato riaperto e ripulito sotto la guida del Community Educational Center della Israel Antiquities Authority“. ”Nell’originario scavo", continua Kornfeld sono stati scoperti due edifici, uno dei quali era una chiesa pavimentata con un mosaico colorato raffigurante scene faunistiche e vegetali, un androne, i dormitori delle monache, celle eremitiche, una torre con stanze e un cripta, un complesso funerario sotterraneo. L’altro edificio comprendeva una cucina, un refettorio e una locanda per i pellegrini. Ci sono prove che il convento conservasse una tradizione legata alle donne. L’archeologo Eitan Klein, che lavora presso l’Israel Antiquities Authority, ha affermato che il convento di Horbat Hani potrebbe aver commemorato il luogo di sepoltura della biblica Hannah, moglie di Elkanah, che diede alla luce un figlio, il profeta Samuele, dopo aver promesso di dedicarlo al servizio di Dio.
  Secondo Kornfeld, “come accade spesso nel mondo antico, qui venne eretto il convento per commemorare un’antica tradizione, forse del luogo di sepoltura di Hannah, madre del profeta Samuele”. Lo scavo originale ha anche portato alla luce alcuni scheletri femminili, forse di donne, sepolte in prossimità della figura santificata di Hannah.
  Secondo Eli Eskosido, direttore dell’Autorità per le antichità israeliane, "l’iniziativa congiunta dell’IAA con l’IDF Nature Defense Forces Project crea un’opportunità per ogni soldato e ufficiale dell’esercito. L’adozione di siti archeologici nelle basi dell’esercito e nelle zone militari e la creazione di mostre archeologiche nelle basi dell’esercito consolidano ulteriormente il forte legame tra la difesa dello Stato di Israele e la protezione dei siti antichi e del nostro patrimonio culturale".
  Il mosaico della chiesa è ora parzialmente visibile, previa autorizzazione del Comando Centrale dell’IDF.

(Finestre sull'Arte, 12 agosto 2022)

........................................................


Israele e Libano sempre più vicini all’accordo sul confine marittimo

In ballo l’estrazione di gas nel Mediterraneo Orientale. Il lavoro diplomatico degli Stati Uniti agevola il raggiungimento di un agreement che porterebbe a Beirut risorse di fondamentale importanza. In arrivo il carico di grano dall’Ucraina.

di Matteo Meloni

Due storici nemici che hanno trovato la strada del dialogo per risolvere una disputa sui confini marittimi, un approccio propositivo da entrambe le parti per scongiurare una nuova crisi. Israele e Libano trattano da anni sulla possibilità di un accordo di rilevanza strategica per entrambe le nazioni, con Beirut in una difficile condizione economica e sociale che, se questo deal dovesse arrivare, nel lungo periodo allevierebbe la sofferenza della popolazione. Per Israele la possibilità di superare alcuni ostacoli con il Paese dei cedri, nell’ambito di relazioni votate non più alla tensione con le nazioni arabe, nell’onda lunga degli Accordi di Abramo.
  Il Mediterraneo orientale offre occasioni gasifere estrattive di crescente interesse, come la zona al largo di Cipro, Israele e Libano. È in quest’area che si trattano i confini marittimi tra Tel Aviv e Beirut, nella quale i due Paesi rivendicano 860 chilometri quadrati. A fare da ponte gli Stati Uniti, che con l’inviato della Casa Bianca Amos Hochstein trasmettono ai due contendenti le reciproche proposte. “Sono ottimista, stiamo facendo progressi. Spero di tornare nella regione per sottoscrivere gli ultimi particolari dell’accordo”, ha commentato Hochstein.
  L’apertura al dialogo con Israele arrivò dallo stesso Presidente libanese Michel Aoun nel 2020, permettendo lo sblocco dello stallo delle trattative, andate avanti serrate negli ultimi due anni. Sul tavolo, però, tensioni che partono dal 1949, con l’area del Vicino Oriente ancora soggetta al retaggio coloniale britannico e francese. Tanto che, nella definizione dei confini, sono stati chiamati in causa anche gli accordi Paulet-Newcombe del 1923, successivi a quelli Sykes-Picot sulle sfere d’influenza.
  Oggi, dopo la seconda visita di Hochstein a Beirut nell’arco di due mesi, l’inviato statunitense porta sul tavolo una controproposta israeliana. Il Ministro degli Esteri libanese ad interim Abdallah Bou Habib ha parlato di progresso “potenzialmente eccezionale. L’atmosfera è positiva, siamo tutti soddisfatti”. Difficile trovare nella recente storia del Libano simili dichiarazioni compiaciute, che fanno dunque ben sperare nella risoluzione di una diatriba che aiuterebbe direttamente l’economia del Paese, oggi disastrata da decenni di cattiva gestione. Il confronto tra Russia e Occidente ha cambiato lo scenario della domanda di risorse energetiche, spostando la richiesta verso altre aree del mondo. Recentemente, nel corso del settimo incontro ministeriale dell’East Mediterranean Gas Forum, l’Unione europea ha firmato insieme a Israele ed Egitto un Memorandum of Understanding per portare gas nel vecchio continente.
  Il Libano è tra le nazioni che più negativamente ha patito il blocco delle consegne per le granaglie ucraine. L’invasione russa ha messo a repentaglio la catena di approvvigionamento alimentare dei Paesi più fragili, con Beirut che, non a caso, sarà la prima a ricevere il carico partito nei giorni scorsi da Odessa. La nave trasporta 26 mila tonnellate di mais. (Associated Medias, 12 agosto 2022)

........................................................


Monaco ‘72: le famiglie degli atleti israeliani minacciano di boicottare la cerimonia per il 50° anniversario

di Luca Spizzichino

Le famiglie degli undici atleti israeliani uccisi dal gruppo terroristico palestinese Settembre Nero, tra il 5 e il 6 settembre 1972, hanno minacciato di boicottare la cerimonia commemorativa in occasione del 50° anniversario dal massacro. Inoltre hanno fatto appello al presidente israeliano Herzog affinché non partecipi. Una decisione sofferta, ma ritenuta necessaria dai familiari delle vittime per protestare contro il risarcimento annunciato dal governo tedesco.
  Giorni fa, Ankie Spitzer, vedova dell’allenatore di scherma Andre Spitzer, aveva definito "insultante e inaccettabile” l’offerta di risarcimento, facendo sapere che non avrebbe partecipato alla cerimonia qualora non ci fossero state novità. E questa ipotesi ha preso sempre più piede. L’offerta arrivata alla vedova di Spitzer e agli altri 22 familiari degli atleti israeliani è stata ritenuta insufficiente.
  Infatti, sono innumerevoli le colpe dell’allora governo tedesco: durante i Giochi Olimpici del 1972, il ministero degli Interni tedesco ignorò gli avvertimenti dell’intelligence israeliana, non fornendo così un apparato di sicurezza adeguato alle minacce pervenute alla delegazione israeliana. Successivamente furono gravissimi gli errori della polizia, che non fece abbastanza per salvare gli atleti presi in ostaggio dal commando terrorista palestinese, di cui tre membri, sono tuttora rimasti impuniti.
  E, come se non bastasse, solo oggi, a cinquant’anni dall’accaduto, il governo tedesco sta cercando di fare i conti con la Storia. Una mancanza di rispetto più che sentita da Ankie Spitzer, Ilana Romano e gli altri familiari, che negli ultimi anni si sono battuti affinché venisse onorata la memoria dei loro cari, vittime dei terroristi di Settembre Nero. 
  La cerimonia è prevista per settembre nella città bavarese, alla presenza del presidente israeliano Isaac Herzog. Tuttavia la sua presenza potrebbe non essere così scontata. Infatti in un’intervista al New York Time Ankie Spitzer ha fatto un appello al Capo di Stato israeliano affinché boicotti l’evento.
  "Ci aspettiamo che anche il presidente Herzog annunci immediatamente che non verrà. - ha affermato - Se le famiglie non partecipano, non dovrebbe farlo nemmeno lui, perché se è lì, anche solo per deporre una corona di fiori, legittimerà il comportamento del governo tedesco”.

(Shalom, 12 agosto 2022)

........................................................


Spunta iscrizione a Beit HaBek, forse è antica città di Betsaida

FOTO
TEL AVIV - Un'iscrizione di 1500 anni fa con una supplica a San Pietro, rinvenuta di recente durante scavi nel sito archeologico di Beit HaBek (el-Araj), rilancia fortemente la tesi che il luogo - alla confluenza tra il fiume Giordano e il Lago di Tiberiade - sia la città perduta di Betsaida e che l'annessa basilica sia la Chiesa degli Apostoli.
  Ne hanno dato notizia gli archeologi Mordechai Aviam e R. Steven Notley aggiungendo così un ulteriore tassello alla convinzione che la dimora di Pietro e di suo fratello Andrea sia a Betsaida e non il villaggio di pescatori di Cafarnao sulle rive nord-occidentali del lago di Tiberiade. Lo stesso Vangelo - hanno ricordato gl esperti - non scioglie del resto il dilemma.
  L'iscrizione - secondo Leah Di Segni dell'Università ebraica di Gerusalemme e Jacob Ashkenazi del Kinneret College - comincia con la frase con "Costantino, servo di Cristo". Ma non si tratta - hanno spiegato -di Costantino, primo imperatore romano ad abbracciare il cristianesimo, quanto piuttosto di chi donò la chiesa in base alla tradizione bizantina. L'iscrizione poi prosegue chiedendo l'intercessione del "capo e comandante degli Apostoli celesti". Un chiaro riferimento - hanno sostenuto - a Pietro che fu il primo a dichiarare che Gesù fosse il Messia e considerato dalla tradizione il capo degli Apostoli.
  L'iscrizione - incorniciata da un medaglione tondo formato da due file di tessere nere in stile bizantino - facevano parte del pavimento a mosaico della sacrestia della chiesa, che, in stile bizantino, era decorata con motivi floreali.

(ANSAmed, 11 agosto 2022)

........................................................


Bombe intelligenti e informazioni precise, così Israele ha colpito la Jihad islamica a Gaza

L'operazione Breaking Dawn ha aumentato la deterrenza, cambiato il volto del movimento della Jihad islamica palestinese e ripristinato la stabilità.

Otto bombe, tra cui una che è esplosa nell’appartamento al piano superiore a quello in cui si nascondeva, sono state lanciate dall’aviazione israeliana e utilizzate per uccidere l’alto comandante della Jihad islamica Tayseer al-Jabari nel nord della Striscia di Gaza durante l’operazione Breaking Dawn, venerdì scorso.
  Durante i tre giorni di combattimenti, l’IDF è riuscito a uccidere più di una dozzina di alti comandanti terroristici della Jihad islamica nella Striscia di Gaza e ha distrutto le infrastrutture chiave dei terroristi che venivano utilizzate per fabbricare armi. Le batterie missilistiche Iron Dome hanno intercettato il 97% dei razzi ritenuti pericolosi.
  Alti funzionari dell’establishment della difesa hanno dichiarato che l’IDF ha raggiunto tutti gli obiettivi fissati all’inizio dell’operazione, tra cui concentrare gli attacchi solo sulla Jihad islamica, degradare le capacità del gruppo, assassinare alti funzionari e prevenire attacchi contro Israele.
  Secondo gli ufficiali, l’operazione ha aumentato la deterrenza, ha cambiato il volto del movimento della Jihad islamica e ha riportato la stabilità nell’area.

• Come è iniziata l’operazione Breaking Dawn
  L’IDF ha chiarito che poco dopo l’arresto del leader della Jihad islamica Bassam al-Saadi a Jenin, la settimana scorsa, il gruppo ha minacciato di compiere attacchi con cecchini e anticarro contro gli israeliani; per questo l’OC Southern Command Magg.-Gen. Eliezer Toledano ha innalzato il livello di allerta nella regione e ha aggiornato un piano operativo noto come “Black Sash“, formulato per colpire la Jihad islamica.
  All’inizio di mercoledì, l’establishment della difesa ha ricevuto un allarme secondo il quale il gruppo progettava di lanciare un missile anticarro contro un autobus civile israeliano, portando alla decisione di imporre severe restrizioni di movimento ai residenti del Negev occidentale.
  Il capo di stato maggiore dell’IDF, Aviv Kohavi, ha chiesto fin dall’inizio la creazione di una forte linea difensiva lungo il confine per prevenire un attacco e ha ordinato al Comando meridionale di iniziare i preparativi per un attacco che avrebbe incluso omicidi mirati contro membri di alto livello della Jihad islamica.

• Due alti funzionari della Jihad islamica eliminati nell’attacco iniziale
  L’IDF aveva originariamente pianificato di iniziare l’attacco sabato mattina, ma alla fine ha deciso di lanciarlo venerdì alle 16:15, con l’attacco aereo contro Jabari insieme a un attacco separato con un drone contro Abdallah Kadum, un alto comandante delle unità missilistiche anticarro del gruppo. I droni e i carri armati dell’IDF hanno effettuato attacchi contro le posizioni e i punti di osservazione del movimento nello stesso momento.
  Il comandante delle forze aeree, il Magg. Tomer Bar ha scelto un modo innovativo per colpire Jabari, poiché si trovava in un edificio di 14 piani con 28 appartamenti e Israele voleva ridurre al minimo i danni ai civili innocenti negli appartamenti vicini. Il risultato fu la decisione di utilizzare una bomba Spice-250 sviluppata da Rafael, penetrata in una stanza vuota dell’appartamento al settimo piano. La bomba è esplosa, distruggendo solo il pavimento, e ha fatto crollare il soffitto su Jabari, che si trovava nell’appartamento sottostante, uccidendolo.
  Pochi secondi dopo, i jet dell’IAF hanno sparato altri sette missili contro le stanze dell’appartamento da diverse angolazioni per uccidere eventuali altri terroristi all’interno.
  Durante l’operazione l’IDF ha ucciso anche Khaled Mansour, il comandante della Jihad islamica nel sud di Gaza. Mansour aveva supervisionato per anni gli attacchi terroristici contro Israele, compreso un attacco nel 2010, in cui furono uccisi i soldati dell’IDF Eliraz Peretz e Ilan Sviatkovsky.
  Mansour è stato anche a capo dell’unità missilistica della Jihad islamica e ha guidato centinaia di lanci di razzi contro Israele.
  Mansour era responsabile degli sforzi della Jihad islamica per costruire tunnel terroristici in Israele. Uno dei tunnel costruiti sotto il suo comando, che doveva essere usato per infiltrarsi in Israele, è stato distrutto durante l’operazione Breaking Dawn.
  L’IDF aveva inizialmente pianificato di colpire Mansour in un appartamento in cui si nascondeva, ma ha annullato il bombardamento dopo che lo Shin Bet (Agenzia per la sicurezza di Israele) ha scoperto che si trovava proprio sopra un asilo. In seguito si è trasferito in un altro appartamento e l’attacco è stato approvato.
  Gli obiettivi colpiti durante l’operazione sono stati 17 punti di osservazione – tra cui sei presidiati in quel momento – 45 obiettivi missilistici a lungo raggio, otto postazioni, otto depositi di armi, sei siti di produzione di armi e tre obiettivi legati agli sforzi navali del movimento.
  Durante l’operazione, 1.175 razzi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza verso Israele, anche se circa 200 sono caduti all’interno della Striscia; alcuni dei lanci falliti hanno causato vittime tra i civili.
  Martedì è stato anche rivelato che durante l’operazione, la Jihad islamica aveva intenzione di lanciare un drone verso l’impianto di gas Tamar al largo della costa di Ashdod, ma il tentativo è fallito e il drone non è stato lanciato, secondo la Radio dell’Esercito. (RR Staff + Jerusalem Post Staff)

(Rights Reporter, 10 agosto 2022)

........................................................


Perché Israele ha vinto l‘operazione Alba

di Ugo Volli

• Una vittoria chiara
  Con le organizzazioni terroristiche non si può mai dire, ma se davvero la tregua concordata grazie alla mediazione egiziana terrà, non c’è dubbio che Israele abbia vinto questa battaglia contro il terrorismo e stabilito anche un precedente importante. La vittoria è chiara sul piano delle perdite materiali e di personale. L’aviazione israeliana ha eliminato, con operazioni davvero chirurgiche, tutta la dirigenza militare della “Jihad islamica”, la sola organizzazione terroristica di peso a Gaza oltre a Hamas. Ha arrestato il suo leader “politico” (se così si può dire), e dalle minacce di rappresaglia terroristica dopo questo arresto è partito lo scontro. Ha poi eliminato fisicamente il capo militare dell’organizzazione e i suoi due vice più importanti, quelli che avevano la responsabilità delle operazioni nelle zone settentrionale e meridionale della striscia. Ha tolto dal gioco una dozzina di loro sottoposti fra cui diversi addestrati a lanciare i razzi contro Israele e ha smantellato numerosi dispositivi militari: tunnel di attacco, punti di osservazione, rampe di lancio. Insomma la capacità militari della Jihad sono state fortemente ridotte, almeno per il momento. In cambio i terroristi sono stati in grado di sparare alcune centinaia di razzi e colpi di mortaio, che in parte sono ricaduti sul territorio della Striscia, facendo anche numerose vittime innocenti; in parte sono finite su terreni disabitate e per il resto sono state quasi tutte fermate dal sistema Iron Dome. I danni subiti da Israele sono stati per fortuna veramente pochi.

• Le ragioni della vittoria
  Se si analizza la dinamica degli eventi, si vede che la vittoria israeliana deriva da tre innovazioni tattiche importanti. Non sappiamo se siano merito del ministro della difesa Benny Gantz, che come si sa è un ex capo di stato maggiore delle forze armate israeliane, o dal suo attuale successore Aviv Kohavi; certo non dal primo ministro supplente appena nominato Yair Lapid, che non ha esperienza militare e non è in carica da tempo sufficiente per averle promosse. Tutte e tre le innovazioni hanno il senso di restaurare un atteggiamento più intraprendente e coraggioso da parte dell’esercito israeliano. Vediamole.

• Prima innovazione: anticipare il nemico
  Nelle ultime operazioni di Gaza Israele aveva atteso che i terroristi sparassero i loro razzi sul proprio territorio prima di reagire e l’aveva sempre fatto in maniera proporzionale ai lanci missilistici, rallentando l’offensiva quando questi diminuivano, accelerando quando aumentavano. La motivazione era di convincere la comunità internazionale che le proprie intenzioni erano puramente difensive. Ma i nemici in Europa, negli Usa e per quel che conta anche in Italia hanno continuato a condannare l’autodifesa israeliana: per loro i soli ebrei buoni sono quelli morti. Questa volta Israele ha attaccato per primo, appena avuto la certezza che stava per scatenarsi l’assalto terrorista. E’ la stessa scelta dei tempi della guerra dei sei giorni: prendere l’iniziativa e mantenerla per cogliere il nemico sbilanciato per i suoi preparativi di attacco e non ancora completamente al coperto.

• Seconda innovazione: mirare ai capi nemici
  Le guerre moderne sono per lo più battaglie d’attrito, come si vede anche in Ucraina. Israele si era attenuto a questa massima anche a Gaza puntando alle istallazioni terroriste: le fabbriche d’armi, i depositi, i magazzini, le struttura d’addestramento e soprattutto i tunnel. L’ha fatto anche questa volta, ma prima ha mirato ai capi militari, cercando di tagliare subito, prima che sparissero in luoghi protetti, più teste dell’idra terrorista che fosse possibile. Questa scelta è stata resa possibile dall’effetto sorpresa dovuto alla prima innovazione: scegliere i tempi lasciando anche passare alcuni giorni di blocco della zona intorno a Gaza, per dare ai terroristi l’illusione di poter scegliere loro il momento dell’attacco.

• Terza innovazione: separare le organizzazioni terroriste
  La scelta di colpire innanzitutto i comandanti terroristi ha permesso a Israele di selezionare il proprio nemico. Sono stati colpiti quasi solamente uomini della Jihad Islamica e non di Hamas, offrendo a quest’ultima organizzazione la possibilità di tenersi fuori dallo scontro e magari di cogliere un vantaggio rispetto alla concorrenza. Hamas ha accettato lo scambio tacito: nessun attacco in cambio di non intervento. Facendo così ha certamente perso parte del suo fascino di movimento di puri candidati al martirio, ma ha avuto la possibilità di consolidare il potere a Gaza. In definitiva ha scelto di spendere tante parole feroci, ma di non muoversi. La stessa scelta hanno fatto Hezbollah in Libano, gli Houti dello Yemen e soprattutto il loro comune padrone, l’Iran.

• Deterrenza
  Le tre innovazioni e anche la loro comune condizione, cioè la perfetta conoscenza che Israele ha di nomi, azioni, intenzioni, movimenti dei suoi nemici, non hanno solo portato a questa vittoria veloce e pulita (che però, bisogna ricordarlo, riguarda una battaglia e non certo tutta la guerra contro il terrorismo). Hanno soprattutto permesso a Israele di ribadire una lezione importante: chi osa preparare la guerra alla stato ebraico perderà sicuramente, sarà attaccato prima che se lo aspetti, sarà colpito nelle persone dei suoi leader e sarà abbandonato perfino dai suoi camerati di lotta e di religione. I capi terroristi non possono non aver pensato che prima di pensare a un attacco sarà meglio pensarci mille volte. Come Israele sapeva dei progetti della Jihad Islamica, della sua organizzazione militare, del luogo dove sorprendere i suoi capi, così sa cose analoghe di Hamas, Hezbollah e anche dell’Iran. E potrebbe colpirli, se necessario, con la stessa forza. E’ quel che si chiama deterrenza, la capacità di indurre i nemici ad abbandonare l’attacco prima di prepararlo per il timore delle conseguenze: una posizione essenziale per mantenere la pace in un ambiente turbolento come il Medio Oriente, che Israele questa volta ha saputo certamente rinforzare.

(Shalom, 9 agosto 2022)

........................................................


Gaza, quando scatta l'idillio tra Israele e Hamas

L'escalation di violenza che per tre giorni ha infiammato la Striscia di Gaza e Israele aveva un interesse comune: fronteggiare il Jihad islamico.

di Umberto De Giovannangeli

Gaza, quando Israele e Hamas hanno un interesse comune. Così Globalist ha titolato uno dei pezzi sulla nuova escalation di violenza che per tre giorni ha infiammato la Striscia di Gaza e Israele. Avevamo visto giusto. L’interesse comune era fronteggiare il Jihad islamico. 

• NASCE UN IDILLIO
  In verità, non è la prima volta che Israele s’”innamora” di Hamas. Era già avvenuto oltre trent’anni fa. Trentacinque per la precisione. Erano gli albori della prima Intifada, la rivolta popolare che ripropose con forza all’attenzione internazionale, spiazzando Israele, la questione palestinese. Per contenere l’Olp di Yasser Arafat, Israele applicò il vecchio adagio secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. E se non proprio amico, almeno un alleato tattico. E così, mentre i servizi d’intelligence israeliani puntavano a eliminare i capi di Fatah, allo stesso tempo non venivano ostacolate le iniziative di proselitismo che Hamas, in funzione anti-Olp, portava avanti soprattutto nella Striscia di Gaza. Fu un gravissimo errore che anni dopo Yitzhak Rabin (ministro della Difesa ai tempi della “rivolta delle pietre”) ammise con onestà. Ma ormai era troppo tardi. 
  Ora la storia si ripete.
  A raccontarla è una delle firme di Haaretz, Zvi Bar’el.
  Scrive Bar’el: “L’entusiasmo degli israeliani per l’apatia di Hamas nei confronti della guerra privata della Jihad islamica contro Israele è stato come quello di chi ha ritrovato uno zio che si era perso per decenni. Hamas è diventato improvvisamente l’interlocutore di Israele non solo nella Striscia di Gaza, ma anche a Gerusalemme e in tutta la Palestina. Gli appelli a parlare direttamente con Hamas sono già visti come necessari, naturali e appropriati, e le numerose misure di soccorso di Israele nella Striscia sono considerate un “regalo” ad Hamas. In realtà, è la realizzazione della visione di Benjamin Netanyahu, che una volta disse: “Se danno, avranno; se non danno, non avranno”.
  C’è solo un piccolo problema: lo sposo non vuole parlare con la sposa. Non solo la detesta, ma non la riconosce e si oppone alla sua stessa esistenza. La ragion d’essere di Hamas, in quanto movimento di resistenza nazionale islamica, si basa sul principio fondamentale che “non ci sarà alcun riconoscimento della legittimità dell’entità sionista. Qualsiasi cosa sia accaduta alla terra di Palestina in termini di occupazione, costruzione di insediamenti, ebraicizzazione o modifica delle sue caratteristiche o falsificazione dei fatti è illegittima” (la Carta di Hamas modificata del 2017).
  È vero che il patto dell’Olp include clausole simili, ma Israele ha firmato con essa gli accordi di Oslo e nel corso degli anni l’organizzazione è diventata un partner che coordina persino la sicurezza con Israele. La differenza sostanziale è che l’Olp si fregiava del titolo di “unico rappresentante del popolo palestinese”, ottenendo il riconoscimento non solo della maggioranza dei palestinesi, ma anche degli Stati arabi. Hamas è un’organizzazione separatista, non fa parte dell’Olp ed è un acerrimo rivale della componente più importante dell’Olp, Fatah, e dell’Autorità Palestinese guidata da Fatah. Inoltre, mentre l’OLP si è seduta al tavolo dei negoziati, Hamas non si sognerebbe mai di farlo. Israele ha sfruttato con successo la violenta rivalità tra le due organizzazioni. Ha mostrato di essere disposto a condurre negoziati per una soluzione diplomatica, ma ha sempre posto una condizione fondamentale che li ha ostacolati. Il partner palestinese non è in grado di controllare Hamas, di reprimere il terrorismo o di far rispettare ad Hamas gli accordi di Oslo, e non rappresenta l’intero popolo palestinese. Pertanto, non c’è nessuno con cui parlare, nonostante l’irrefrenabile desiderio di Israele di raggiungere la pace. È così che Israele è riuscito fino ad oggi a mantenere l’occupazione senza pagare un prezzo diplomatico. Anche il fatto che Hamas non abbia partecipato all’ultima tornata di combattimenti viene presentato come un successo della politica israeliana di separazione della Cisgiordania da Gaza, come se fosse questo a costringere Hamas ad allinearsi ai dettami di Israele. La conclusione logica è che parlare direttamente con Hamas – anche se fosse possibile – non solo alimenterebbe questa falsa pretesa israeliana, ma la rafforzerebbe continuando a dare all’organizzazione un potere di veto su qualsiasi mossa vista come un segnale di accettazione di Israele. Hamas non è un partner e non è un sostituto di un partner, ma è un’organizzazione pragmatica che si impegna per la propria sopravvivenza e per continuare a governare Gaza, e questo è anche l’obiettivo strategico di Israele.
  Il modo più efficace e collaudato per raggiungere questo obiettivo condiviso non si basa sull’illusione di colloqui diretti con Hamas, ma piuttosto sul garantire e modellare una rete di garanzie regionali. La testa di ponte è già stata stabilita, sotto forma di coinvolgimento egiziano e qatariota. Questa rete potrebbe ora essere ampliata per includere la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Marocco e forse anche l’Unione Europea, che potrebbero mobilitarsi per finanziare la ricostruzione di Gaza e migliorare la qualità della vita nel Paese. Non si tratta solo di piccole concessioni come la concessione di permessi di lavoro o visti di transito agli studenti, l’ampliamento della zona di pesca consentita al largo delle coste di Gaza e il trasferimento di fondi da parte del Qatar per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici. Si tratterebbe di una decisione strategica per porre fine rapidamente alla chiusura di Gaza e di un piano globale per la ricostruzione e lo sviluppo economico del territorio, il tutto con la supervisione e le garanzie dei “Paesi soccorritori”.
  Questo è il modo per condurre negoziati diretti con i gazawi, senza aspettare che Hamas riconosca Israele e senza tenere colloqui diretti con Hamas. Certo, Hamas non rinnegherà i suoi principi ideologici. Ma potrebbe indossare giacca e cravatta, come si addice a un’organizzazione politica civile che deve amministrare la propria autonomia”.
  Così Bar’el
  Zaki Chebab, uno dei più importanti giornalisti del mondo arabo, conclude così il suo libro Hamas. Storia di militanti, martiri e spie: “La realtà è che Hamas, a prescindere dalle sue fortune politiche, non scomparirà nel nulla, e nessuna azione militare riuscirà a sradicarlo. L’idea che l’esercito israeliano possa distruggere Hamas a suon di missili e carri armati riporta alla mente un raccapricciante commento degli americani durante la guerra in Vietnam:’ Abbiamo distrutto quel villaggio per salvarlo’. Questa strategia non funzionò in Vietnam e non funzionerà con Hamas. Hamas non è una forza guerrigliera venuta da un mondo alieno. Hamas è il fratello, è il vicino, o l’uomo che dà a tuo figlio i soldi per la sua istruzione. Fintanto che queste persone rappresenteranno il popolo palestinese nelle urne, l’Occidente e qualsiasi futuro governo dell’Anp dovrà accettarle per quello che sono – il lupo perde il pelo ma non il vizio – e dovrà trattare con loro”. Il libro di Chebabi è del 2007. Quindici anni dopo, le sue conclusioni reggono ancora.  

• FAZIONI A GOGÒ
  La tragica ripetitività di questa quinta “mini guerra” di Gaza consiste nella frantumazione del campo palestinese – come del resto di quello israeliano. Proviamo ad esplorare le faglie palestinesi. Con l’aiuto di una autorevole guida locale: il professor Bishara A. Bahbah, che ha insegnato all’Università di Harvard, è stato membro della delegazione palestinese ai colloqui di pace multilaterali sul controllo delle armi e la sicurezza regionale, ed è  fondatore del Palestine Center di Washington, D.C. Bahbah distingue tre fazioni principali nel campo palestinese. Riportiamo di seguito la sua analisi. 
  La prima è guidata dallo stesso Mahmud Abbas e da quattro aspiranti successori: il segretario generale di Fatah, Jibril Rajub; Majed Faraj, capo delle forze di sicurezza dell’Anp e principale garante palestinese della sicurezza di Israele; Hussein al-Sheikh, ministro incaricato del Coordinamento degli affari civili con Israele; e Mohammad Shtayyeh, primo ministro con una lontana speranza di succedere ad Abbas quale presidente dell’Anp. 
  La sfida più seria a questo gruppo viene dalla seconda fazione, diretta da Marwan Barghuti e Nasser al-Kidwa. La paura di Abbas di essere scalzato da Marwan Barghuti ha portato il suo stretto confidente Hussein al-Sheikh a visitare Barghuti in prigione per offrirgli di guidare la lista di Fatah insieme a dieci dei suoi candidati. Barghuti ha rifiutato l’offerta.  Nasser al-Kidwa, nipote di Yasser Arafat, ex ministro degli Esteri palestinese, rappresentante di lunga data dell’Olp all’Onu e membro del Comitato centrale di Fatah, ha poi dichiarato (con un certo coraggio) che stava formando una lista di Fatah a sostegno di Marwan Barghuti. Poco dopo, il Comitato centrale lo ha espulso. Barghuti, secondo gli ultimi sondaggi, ha le migliori possibilità di battere Abbas o il candidato di Hamas, presumibilmente Ismail Haniyeh, e diventare presidente dell’Anp. Il fatto che si trovi in un carcere israeliano condannato a più ergastoli non gli impedirebbe di essere eletto. Una vittoria potrebbe produrre la pressione internazionale sufficiente per farlo rilasciare. 
   La terza fazione è guidata da Mohammed Dahlan, nemesi di Abbas ed ex alto funzionario di Fatah, che ora vive in esilio autoimposto negli Emirati Arabi Uniti. Dahlan è stato squalificato dalla candidatura alla presidenza dell’Anp con la scusa inventata di essere stato condannato da un tribunale palestinese in un caso inventato da Abbas. Tuttavia, Dahlan ha in programma di mettere in campo una lista denominata Movimento di riforma democratica, che probabilmente sarà pesantemente sostenuta dai suoi compagni di Gaza – civili, ex funzionari della sicurezza, e molti abitanti dei campi profughi sia nella Striscia che in Cisgiordania. Dahlan è stato “condannato” con l’accusa di corruzione e appropriazione indebita di fondi, poi espulso da Fatah. Prove: zero. Qualsiasi fondo Dahlan abbia ora accumulato è grazie al suo lavoro per Mohammed bin Zayed, capo degli Emirati Arabi Uniti. I figli di Abbas, invece, hanno accumulato più di un miliardo di dollari in beni, depositati in banche e investimenti in tutto il mondo. Le fonti di questi fondi sono società palestinesi che beneficiano di servizi forniti ai palestinesi. Chi avrebbe dovuto essere condannato per appropriazione indebita – Dahlan o Abbas, grazie al suo nepotismo? In un incontro zoom ospitato dalla Birzeit University, Nasser al-Kidwa ha dichiarato Dahlan persona non grata nella sua lista congiunta con Marwan Barghuti perché costui ha aiutato a facilitare la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti. A parere di al-Kidwa, un atto squalificante. Da astuto diplomatico, al-Kidwa dovrebbe saperlo bene: se non fosse stato per l’intervento degli Emirati Arabi Uniti, Netanyahu avrebbe già annesso il 30% della Cisgiordania. Dahlan vanta il sostegno geopolitico e finanziario di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, oltre che dell’Egitto (ma senza capacità di erogare fondi). Rifiutare Dahlan è un errore per la lista al-Kidwa-Barghuti: un’alleanza tripartita avrebbe facilmente ottenuto ampio sostegno all’interno di Fatah e Hamas, godendo di un cruciale sostegno geopolitico e finanziario regionale.  Infine, la lista dell’ex primo ministro Salam Fayyad attirerà presumibilmente gli indipendenti, specialmente i tecnocrati e alcuni uomini d’affari palestinesi. Tuttavia, sarà senza dubbio la scheggia più debole delle liste legate a Fatah.  
  Il mandato del Consiglio legislativo palestinese è ufficialmente di quattro anni, ma le ultime elezioni legislative si sono svolte nel lontano gennaio 2006, quelle presidenziali l’anno prima. Quando la politica e la diplomazia abbandonano il campo, il vuoto è riempito subito dalle armi. Senza progetto e una leadership autorevole perché riconosciuta da chi dovrebbe rappresentare, c’è solo spazio per la disperazione. “Se viene meno ogni prospettiva di dialogo, se a Gerusalemme Est prosegue la “pulizia etnica” della popolazione araba, se Gaza continua a essere isolata dal mondo, se nella West Bank gli insediamenti si moltiplicano e si rafforza il regime di apartheid instaurato da Israele –  rimarca Hanan Ashrawi più volte ministra dell’Autorità nazionale palestinese, sostenitrice della protesta non violenta e della disobbedienza civile – ciò che resta è solo il desiderio di vendetta. È tragico, ma è così”.
  D’altro canto, per i giovani palestinesi le tradizionali leadership politiche non hanno presa. Non sono modelli da seguire. E a funzionare non è neanche più il mito oramai sbiadito dal tempo di Yasser Arafat, né la chiamata alle armi da parte di Hamas e del Jihad islamico. “Sono i figli del disincanto, della perdita di speranza in un futuro normale”, riflette Sari Nusseibeh, il più autorevole intellettuale palestinese, già rettore dell’Università al-Quds di Gerusalemme Est: “Di Israele hanno conosciuto solo le barriere di filo spinato, i check point che spezzano in mille frammenti la Cisgiordania, Gaza isolata dal mondo. I  più sono animati da un misto di rabbia e di delusione. Avrebbero bisogno di un progetto in cui credere, di segnali concreti che dicano loro che un’altra via è percorribile. Niente di tutto questo”.
  Secondo Khalil Shikaki, direttore del Palestinian Center for Policy and Survey Research (Pcpsr), i giovani palestinesi sposano valori più liberali di quelli dei loro anziani e sono insoddisfatti della loro leadership politica. I giovani palestinesi sono anche più propensi a sostenere la resistenza armata all’occupazione e a favorire la soluzione di uno Stato unico, poiché per loro “la richiesta di indipendenza e sovranità è meno importante della richiesta di uguali diritti”, rimarca Shikaki. In un recente sondaggio del Pcpsr, i palestinesi che hanno indicato la disoccupazione e la corruzione come i problemi più seri che la società palestinese deve affrontare oggi sono più numerosi di quelli che hanno puntato il dito contro l’occupazione israeliana.
  Rabbia, disincanto, mancanza di prospettive per un futuro che sia degno di essere vissuto. Una miscela esplosiva che nessun “idillio” potrà mai disinnescare.

(globalist, 10 agosto 2022)

........................................................


Hamas è il vero vincitore della guerra tra Israele e Jihad islamica

Dopo la fine del conflitto il mondo palestinese è in subbuglio. Hamas non ha subito perdite civili, è riuscito a riaffermare la sua centralità nella Striscia di Gaza e dopo l'indebolimento della Jihad islamica punta a fare le scarpe a Fatah.

di Amedeo Lascaris

L’operazione Breaking Dawn lanciata nella Striscia di Gaza lo scorso 5 agosto da Israele contro la Jihad islamica, movimento estremista palestinese sostenuto dall’Iran, e conclusasi il 7 agosto con l’accordo di tregua mediato dall’Egitto, ha gettato nuovamente i riflettori sul “caos” palestinese e sulla serie di rivalità interne all’enclave stretta tra il Mar Mediterraneo, l’Egitto e lo Stato ebraico.

• Le fazioni palestinesi mai così divise
  L’accordo mediato dall’Egitto, entrato in vigore alle 23:30 di domenica, ha posto fine a un conflitto di tre giorni iniziato con attacchi israeliani che hanno colpito duramente il movimento della Jihad islamica palestinese, considerato un rivale di Hamas, e la sua ala militare, le Brigate al Quds, che hanno scatenato sulle località del sud di Israele una pioggia di ben 1.100 razzi. Il bilancio dei morti, ancora parziale, è di 44 persone uccise, tra cui molti civili palestinesi, senza contare l’eliminazione di ben 12 esponenti di spicco del gruppo palestinese, tra cui Tayseer Jabari e Khaled Mansour, i rispettivi leader del gruppo armato del nord e del sud della Striscia di Gaza.
  L’operazione, condannata dalla comunità internazionale, ha consentito a Israele di “inserirsi” nel solco delle divisioni interne alla galassia di movimenti, entità e gruppi armati palestinesi che vedono in Hamas e Jihad islamica i due principali esponenti. Hamas guida la Striscia di Gaza dal 2007, dopo il sanguinoso conflitto intra-palestinese con Fatah, principale formazione politica fondata da Yasser Arafat, che ha segnato di fatto la fine del sogno di uno Stato palestinese e di un fronte unito contro Israele. Nonostante la grande notorietà a livello internazionale e la crescente popolarità soprattutto tra i giovani della Cisgiordania governata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), Hamas convive con una serie di movimenti rivali all’interno della Striscia di Gaza tra i quali figura anche lo Stato islamico.

• Lo scontro tra Jihad islamica e Israele
  Tra i gruppi, quello più potente e che vanta una sua ala armata dotata di armi leggere e razzi a corto e medio raggio è la Jihad islamica. Fondato nel 1981 da studenti palestinesi in Egitto con l’obiettivo di stabilire uno Stato palestinese nella Cisgiordania occupata, a Gaza e in altre aree di quello che oggi è Israele, la Jihad islamica si ispira come Hamas all’ideologia dei Fratelli musulmani ed è sostenuta e finanziata dall’Iran e addestrata dal movimento sciita libanese Hezbollah. Il movimento ha una sede ufficiale a Damasco, in Siria, ed è fortemente organizzato e armato, nonostante le piccole dimensioni.
  Secondo il World Factbook della Cia, l’appartenenza alla Jihad islamica palestinese è difficile da accertare con stime del 2021 scorso che vanno da circa 1.000 combattenti a diverse migliaia. In Cisgiordania la Jihad islamica mantiene una presenza significativa nella città di Jenin, dove Bassam al-Saadi, un alto leader del movimento è stato arrestato a inizio agosto, provocando lo scontro che ha portato all’operazione militare israeliana.
  In questi anni, il movimento islamista filo-iraniano non ha mai espresso l’intenzione di partecipare a eventuali elezioni né nella Striscia di Gaza né all’interno della Cisgiordania, preferendo la pura lotta armata alla politica e ponendo spesso Hamas, che ha condotto ben cinque guerre dal 2009 con Israele, in una posizione difficile. Non è un caso che il movimento guidato da Ismail Haniyeh abbia ricevuto molte critiche per non aver preso parte ai combattimenti contro Israele della scorsa settimana. Fonti di Hamas riportate dai media palestinesi hanno affermato che il movimento che guida la Striscia di Gaza dal 2007 non è interessato a impegnarsi in un nuovo conflitto con Israele per paura di perdere il controllo dell’enclave costiera, soprattutto dopo le pesanti perdite durante i combattimenti avvenuti dal 6 al 21 maggio 2021.

• Hamas è un vincitore della guerra
  Hamas avrebbe inoltre guardato con favore il logoramento del gruppo rivale divenuto un problema serio e un ostacolo al gioco politico portato avanti dal movimento islamista per poter guadagnare consensi non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania. Nel 2021 il braccio armato di Hamas, le Brigate Izaddin al Qassam, hanno arrestato miliziani della Jihad islamica che stavano progettando di lanciare razzi verso Israele. Tra i timori di Hamas vi è la possibile alleanza tra la Jihad islamica e altri gruppi terroristici nella Striscia di Gaza, compresi quelli legati alla fazione di Fatah, al Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), al Fronte democratico per la liberazione della Palestina (Dflp) e allo Stato Islamico.
  I leader di Hamas e della Jihad islamica hanno tenuto una serie di incontri negli ultimi mesi nella Striscia di Gaza e in Libano nel tentativo di allentare le tensioni e ripristinare la cooperazione militare e civile tra le due parti. Dopo l’operazione lanciata in questi giorni da Israele, i due gruppi hanno ovviamente sfruttato la situazione per mostrare alla comunità internazionale che è in realtà lo Stato ebraico a voler mettere i palestinesi gli uni contro gli altri. Al di là delle dichiarazioni di facciata, con l’operazione di questi giorni è evidente che Hamas sia emerso come uno dei vincitori, avviando per la prima volta una mediazione nell’ombra insieme all’Egitto e al Qatar, principale finanziatore e alleato del movimento islamista.

• Gli islamisti vogliono prendere il posto di Fatah
  Come fanno notare i media israeliani, come il conservatore Jerusalem Post, a differenza della Jihad islamica, Hamas non ha subito perdite civili; è riuscito ancora una volta a riaffermare il suo ruolo di attore principale in tutte le questioni relative alla Striscia di Gaza; I mediatori egiziani, del Qatar e delle Nazioni Unite hanno trattato i leader di Hamas come se fossero i legittimi e unici governanti della Striscia di Gaza. Inoltre, stando lontano dai combattimenti, Hamas ha agito come l’“adulto responsabile” che pone gli interessi della sua gente al di sopra di altre considerazioni, mentre la Jihad islamica ha perso due dei suoi leader più importanti.
  Con l’indebolimento del gruppo rivale, Hamas spera ora di raccogliere i frutti politici, in particolare un maggiore riconoscimento all’interno dei Territori palestinesi e una posizione come futura controparte ad eventuali colloqui con Israele (volontà espressa chiaramente dallo Stato ebraico) al posto dello storico rivale Fatah e delle altre fazioni che compongono l’ormai asfittica Autorità nazionale palestinese guidata da Mahmoud Abbas.

(Tempi, 10 agosto 2022)

........................................................


La Jihad Islamica concorrente di Hamas

Dopo la guerra lampo contro Israele, la Jihad Islamica potrebbe diventare più popolare di Hamas.

di Anna Mahjar Barducci

GERUSALEMME – La guerra fra Israele e il movimento della Jihad Islamica a Gaza è durata tre giorni, ma le tensioni sono cominciate prima dell’inizio dell’escalation militare. Il primo agosto Israele ha arrestato a Jenin un comandante della Jihad Islamica nella West Bank, Bassam al-Saadi, assieme al genero Ashraf Zidan Molmad Aljada. La Jihad Islamica ha iniziato a pianificare attacchi terroristici per richiedere il rilascio dei due operativi e l’esercito israeliano ha così alzato il livello di allerta nel Sud del Paese, chiudendo le strade ai veicoli civili.
  La sera del 5 agosto, dopo aver ricevuto informazioni che la Jihad Islamica era prossima all’attacco, Israele ha poi deciso di bombardare preventivamente Gaza, uccidendo Taysir al-Jabari, un importante comandante delle Brigate Al-Quds, braccio armato della Jihad Islamica. Per tutta risposta quest’ultima ha subito dato mostra della sua forza militare, lanciando missili verso il Sud del Paese e verso Tel Aviv. Il secondo giorno di guerra, però, Israele ha sferrato un altro duro colpo uccidendo Khaled Mansour, un importante leader del movimento palestinese. In risposta, la Jihad Islamica ha cercato di rendere impossibile la vita nel Sud del Paese, con lo scopo di mandare via la popolazione israeliana dai villaggi intorno a Gaza. In parte così è stato, dato che vari bus hanno evacuato molti civili resi esausti dal continuo lancio di missili che non permetteva loro di uscire dai rifugi, nonostante lo scudo antimissile abbia annullato il 97% degli attacchi.
  Il 6 agosto il leader della Jihad Islamica Ziyad al-Nakhalah si è incontrato a Teheran con il generale iraniano Hossein Salami, attuale comandante del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. L’Iran, che sta negoziando con gli Stati Uniti gli accordi sul nucleare, avrebbe tutto l’interesse a mettere pressione su Washington, utilizzando i movimenti armati in Palestina e in Libano per lanciare una guerra regionale per procura contro Israele. Domenica si è svolta la ricorrenza del Tisha b’Av (giorno di digiuno in memoria di eventi luttuosi per il popolo ebraico, fra cui la distruzione del Primo e Secondo Tempio) e molti analisti temevano tensioni sul Monte del Tempio che avrebbero reso inevitabile l’entrata di Hamas nel conflitto, come auspicato dalla Jihad Islamica. Grazie alla mediazione egiziana, alle 23.30 di domenica è però arrivata la tregua.
  Nonostante la distruzione a Gaza, da questa guerra lampo la Jihad Islamica ha ottenuto qualche vantaggio. In primo luogo, l’Egitto si impegnerà a liberare i due leader palestinesi arrestati a Jenin. Ieri mattina, inoltre, camion carichi di carburante sono entrati a Gaza, dopo la riapertura dei valichi di frontiera. La cosa più importante però è che la Jihad Islamica ha superato in popolarità Hamas, che si è invece rivelato un movimento pragmatico, preferendo rimanere in questa occasione fuori dal conflitto (temendo di perdere il titolo di “vincitore” che si era autoconferito dopo la Guerra degli 11 giorni del 2021). Un dato positivo per Israele, che paradossalmente potrebbe però trasformarsi in negativo poiché la crescita della Jihad Islamica nella striscia di Gaza non è negli interessi dello Stato ebraico. Per quanto riguarda il governo Lapid, l’esito di questa guerra verrà giudicato nelle urne il prossimo ottobre.

(la Ragione, 10 agosto 2022)

........................................................


Più di governo che di lotta. Hamas non schiera i missili

GAZA. Il più importante dei movimenti islamici non vuole una guerra con Israele in questa fase in cui la popolazione di Gaza affronta crescenti difficoltà

di Michele Giorgio

«Hamas sa che deve governare oltre due milioni di palestinesi ed è consapevole che la popolazione di Gaza non può sostenere il peso di altre offensive israeliane. E, altrettanto importante, Hamas ha spostato la sua attenzione sulla Cisgiordania, sa che il controllo su quel territorio del suo rivale Abu Mazen si è indebolito e sta rafforzando le sue posizioni». Yusef, ha 23 anni e solo da un paio si occupa di informazione. A Gaza però si cresce in fretta e con poche frasi, come il più esperto degli analisti politici, spiega i motivi per i quali il movimento islamico Hamas, che controlla Gaza dal 2007, non è intervenuto con il suo braccio armato, le Brigate Ezzedin al Qassam, durante l’offensiva aerea israeliana Breaking Dawn contro Gaza, lasciando all’organizzazione cugina, più piccola, il Jihad islami, il peso del confronto armato con Israele. Hamas ha tenuto chiusi i suoi arsenali con i razzi a lunga gittata anche quando il bilancio di palestinesi uccisi dai bombardamenti – 45 – è rapidamente salito includendo 16 bambini e quattro donne e anche due dei suoi combattenti. «In realtà – aggiunge Yusef – nei tre giorni di attacchi israeliani, in Hamas c’è stato un acceso confronto tra coloro che volevano unirsi al Jihad e chi, a cominciare dal leader a Gaza, Yahya Sinwar, invitava a non lasciarsi coinvolgere».
  L’ingresso in campo di Hamas avrebbe significato un’altra guerra ampia a Gaza. Il passo indietro è stato argomento di molte analisi e servizi giornalistici in Israele dove i commentatori spiegano che anche il governo di Yair Lapid e i vertici militari hanno fatto la loro scelta: non attaccare il principale movimento islamista palestinese per evitare uno scontro totale a Gaza che al premier israeliano non interessava. Meglio un’operazione militare rapida e letale, ovviamente solo per i palestinesi, da poter spendere nella campagna elettorale e tentare di scalfire lo status di Mr.Sicurezza di cui gode il rivale Benyamin Netanyahu in testa nei sondaggi.
  In casa palestinese aggiungono che per capire la posizione di Hamas occorre tenere presente anche le differenze esistenti con il Jihad islami. Le due organizzazioni hanno un nemico comune, Israele, e ufficialmente durante le crisi si incontrano in una war room in cui prendono insieme decisioni militari e politiche. Sono però anche due forze abbastanza diverse, con divisioni ideologiche che impediscono loro di unirsi. Il Jihad è più di tutto una formazione armata, che vuole combattere contro Israele e i «regimi arabi e islamici corrotti». Hamas, come ramo della Fratellanza Islamica, invece non è soltanto una organizzazione militare. È un movimento che lavora diffusamente nella società palestinese e che intende creare uno Stato sulla base di principi religiosi. Vede perciò nella creazione di istituzioni civili, nella ricostruzione di Gaza, sua roccaforte, e nel miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti una strada per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Per questo sono complessi i suoi rapporti con il Jihad di cui non condivide sempre l’operatività militare che considera «impulsiva».
  Hamas non rinuncia alla «resistenza armata islamica» – al contrario e i suoi comandanti militari hanno diritto di parola nelle decisioni politiche più importanti – però in questa fase pensa di dover più di ogni altra cosa amministrare Gaza, consolidare il suo potere e gestire le relazioni «diplomatiche» che mantiene nella regione, cercando di non mettere in difficoltà con le sue scelte l’Egitto, con cui mantiene relazioni complesse, e il Qatar – suo sponsor principale e finanziatore – che dietro le quinte ha rapporti con Israele ed è un alleato di ferro degli Stati uniti. Considerando che la riconciliazione nazionale palestinese resta un miraggio – sia Abu Mazen e il suo partito Fatah che i dirigenti di Hamas sembrano aver rinunciato all’idea di una leadership unita palestinese -, il movimento islamico si comporta come se Gaza fosse già una porzione del suo Stato. E ha bisogno di fondi da investire in un territorio sotto blocco israeliano dove gran parte della popolazione è in povertà. Secondo Israele Hamas investirebbe le sue risorse solo nelle Brigate Ezzedin al Qassam. A Gaza invece spiegano che negli ultimi tre mesi, ad esempio, l’esecutivo di Hamas è stato impegnato a calmierare i prezzi dei generi di prima necessità, del carburante e del gas da cucina aumentati a causa dell’inflazione globale e della guerra Russia-Ucraina. Ha dovuto impiegare circa 25 milioni di dollari derivanti da «dazi doganali» (richiesti ai valichi), imposte e tasse. Il ministero delle finanze, con le casse vuote, ha poi comunicato che i circa 50mila dipendenti pubblici non riceveranno lo stipendio. Migliaia di famiglie ora sono senza reddito e attendono gli aiuti del Qatar. A ciò si aggiungono le difficoltà quotidiane per la poca elettricità disponibile, la scarsità di acqua potabile e per altri servizi pubblici inesistenti. In questo quadro una nuova guerra a Gaza sarebbe stata fatale.

(il manifesto, 10 agosto 2022)

........................................................


Studio israeliano sul grano selvatico: identificato il gene che protegge dai parassiti

di Jacqueline Sermoneta

Il riscaldamento globale ha un enorme impatto sull’agricoltura. Il cambiamento del metabolismo degli insetti nocivi e dei parassiti, sempre più numerosi e resistenti, è una delle conseguenze più rilevanti e il grano, che da solo fornisce il 20% delle calorie consumate dagli esseri umani, ne è costantemente minacciato. Proteggere i raccolti di questo cereale è lo scopo di un gruppo di ricercatori dell’Università Ben Gurion del Negev, che ha studiato il meccanismo attraverso il quale il grano selvatico è in grado di difendersi dagli insetti in modo del tutto naturale. Capacità che ha perso il grano coltivato (domesticato), quello cioè che viene consumato principalmente.
  Lo studio è stato pubblicato nelle riviste scientifiche ‘Journal of Experimental Botany’ e ‘Frontiers in Plant Science’, come scrive il Times of Israel.
  Secondo la biologa Vered Tzin, che ha guidato la ricerca, "è di estrema importanza analizzare rigorosamente i meccanismi e le caratteristiche naturali di difesa delle piante, in modo da riuscire a riprodurli nel grano domesticato per renderlo resistente agli insetti, invece di usare pesticidi dannosi che non funzionano neanche così bene".
  Gli afidi sono la minaccia più grave: questi piccoli insetti si nutrono della linfa della pianta e introducono virus mortali. Se ne conoscono almeno 5mila specie diverse.
  Come spiegato dalla biologa, il grano selvatico possiede due meccanismi naturali di difesa. Il primo consiste nel rivestimento fatto di ‘peli’ che impedisce agli insetti di scavare nel gambo della pianta. Il secondo è la produzione di un veleno, un composto fitochimico chiamato benzoxazinoide, che scoraggia i parassiti dall’assimilare la linfa.
  Una ricercatrice del team israeliano, Zhaniya Batyrshina, per prima, è riuscita a isolare il gene che controlla la produzione di questo veleno.
  "Attualmente abbiamo identificato il gene e siamo in grado di produrre grano coltivato, migliorato grazie agli stessi meccanismi di autodifesa del grano selvatico - ha spiegato Tzin - Questo alimento è essenziale e dobbiamo fare del tutto per salvaguardarlo da insetti nocivi e malattie”.

(Shalom, 10 agosto 2022)

........................................................


Gli Ebrei a Roccalbegna, 1941-1943. Ricordo di Alberto e Francesca

Roccalbegna
ROCCALBEGNA - Per moltissimi anni lo studioso Ariel Paggi, recentemente scomparso, ha raccolto instancabilmente documenti d’archivio, testimonianze orali, e ogni tipo di informazione utile a ricostruire le peripezie delle famiglie ebree che vissero in Maremma durante la Seconda guerra mondiale. Tra di loro ricordiamo la famiglia Waldmann, che fu internata a Roccalbegna, e che è oggetto di una commemorazione da parte della Pro Loco di Roccalbegna che si svolgerà a “Casa Albegna” giovedì 11 agosto, in collaborazione con il Comune di Roccalbegna, l'associazione culturale Cella San Miniato, la Polisportiva Roccalbegna, le scuole del territorio. L’iniziativa si intitola “Gli Ebrei a Roccalbegna, 1941-1943. 
  Ricordo di Alberto e Francesca” ci porta avanti un progetto della memoria del territorio che ha già avuto un momento commovente durante la ricorrenza del 27 gennaio, quando a Roccalbegna una rappresentanza di alunni della città, ha partecipato alla collocazione di una lapide sull’esterno della scuola elementare, per ricordare Albert e Franziska Waldman, due bambini internati in città tra il 1941 e il 1943, ai quali fu negato l’accesso a quelle aule. Dopo l’internamento a Roccalbegna i Waldman furono trasferiti nel campo di concentramento prima a Roccatederighi e poi, nel giugno del 1944, ad Auschwitz dove vennero tutti assassinati. Di loro non rimangono fotografie, ma solo documenti di archivio. 
  Per questo sono state importantissime le testimonianze degli abitanti della città amiatina, che ancora oggi ricordano questi due bambini: Franziska con le trecce castane e i calzettoni e Albert biondo e vivace, e soprattutto la mamma Henriette che più volte pregò le maestre della scuola elementare di Roccalbegna di accogliere in classe i due figli. Ma le insegnanti, con grande dolore, non poterono soddisfare questa richiesta perché le leggi vigenti allora proibivano agli Ebrei l’accesso alla scuola. Questa espulsione è ricordata anche da Ariel Paggi che sottolinea come si sviluppò nei bambini di allora, un disagio, quasi un complesso di inferiorità che derivava dalla loro incapacità di comprendere il motivo di quell’improvvisa diversità, di quella terribile segregazione.
  Il pomeriggio dell’11 si terrà un incontro aperto a tutti per raccontare le vicende degli internati a Roccalbegna, con la partecipazione di. Andrea Zamperini, Cecilia Iannella e Laura Ciampini. Seguirà la proiezione del docufilm “Il lupo” alla presenza del regista Lorenzo Antonioni ed infine la serata si concluderà con una performance della locale banda musicale.

(Agenzia Nova, 10 agosto 2022)

........................................................


Le atrocità non credute

L’incubo di Koestler che denunciava (nel 1944) lo sterminio degli ebrei: essere in pericolo di vita, gridare aiuto ma non avere risposta dai passanti. Il rifiuto di accettare la dimensione dell’orrore. Quando la storia si ripete.

dii Arthur Koestler

C’è un sogno che faccio quasi a intervalli regolari: è buio, e io sto per essere assassinato in una sorta di selva o di boscaglia; a non più di dieci yarde di distanza c’è una strada molto frequentata. Grido per chiamare aiuto, ma nessuno mi sente, la gente passa oltre, continuando a ridere e a chiacchierare.
  So che molti fanno, con variazioni individuali, questo stesso genere di sogni. Ne ho discusso con alcuni psicoanalisti, e credo che si tratti di un archetipo, in senso junghiano: un’espressione della solitudine estrema dell’individuo di fronte alla morte e alla violenza cosmica, e dell’incapacità di comunicare l’orrore senza paragoni di questa esperienza. Credo, inoltre, che questa sia la radice dell’inefficacia della nostra propaganda contro le atrocità.
  Perché, dopo tutto, siete proprio voi le persone che passano ridendo sulla strada; e alcuni di noi, vittime scampate o testimoni oculari di quello che accade nella boscaglia, perseguitati dai ricordi, continuano a gridare alla radio, sui giornali e nelle riunioni pubbliche, nei teatri e nei cinema. Di tanto in tanto riusciamo ad attirare per un minuto la vostra attenzione. Me ne accorgo ogni volta da una certa espressione di muto stupore sul vostro viso, dal vostro sguardo che diventa fisso, e mi dico: “Ora li hai presi. Ecco, tienili, tienili, devono restare svegli”. Ma dura soltanto un minuto. Vi scrollate come cuccioli col pelo bagnato, poi lo schermo trasparente cala di nuovo e continuate per la vostra strada, protetti dalla barriera del sogno che soffoca tutti i rumori.
  Noi, che gridiamo, lo facciamo ormai da dieci anni. Abbiamo cominciato la notte in cui l’epilettico Van der Lubbe appiccò il fuoco al Reichstag; dicemmo che se quelle fiamme non si fossero immediatamente spente, si sarebbero propagate a tutto il mondo. Ci avete preso per pazzi. Ora la nostra pazzia consiste nel cercare di raccontarvi di come gli ebrei di tutta Europa siano uccisi in massa nelle camere a gas, con scosse elettriche, seppelliti vivi. I morti sono già tre milioni. E’ la più gigantesca esecuzione di massa che la storia ricordi, e va avanti ogni giorno, ogni ora, regolare come il battito del vostro orologio. Mentre scrivo ho davanti a me, sul tavolo, alcune fotografie che spiegano la mia commozione e la mia amarezza. C’è chi è morto per averle fatte uscire clandestinamente dalla Polonia: qualcuno che ha pensato ne valesse la pena. I fatti sono stati resi noti in pamphlet, libri bianchi, giornali, riviste. E poi, l’altro giorno, incontro uno dei più noti giornalisti americani. Mi racconta che, secondo un recente sondaggio d’opinione, nove americani su dieci, quando si chiede loro se credono alle atrocità naziste, rispondono che si tratta solo di bugie della propaganda, di cui non credono una sola parola. Tengo già da tre anni conferenze ai soldati, qui in Inghilterra, e il loro atteggiamento è identico. Non credono ai campi di concentramento, non credono ai bambini morti di fame in Grecia, agli ostaggi fucilati in Francia, alle fosse comuni in Polonia; non hanno mai sentito parlare di Lidice, di Treblinka o di Belsen. Potete convincerli per un’ora, ma poi si scuotono, la loro autodifesa mentale si rimette a funzionare e, tempo una settimana, si riattiva il riflesso d’incredulità che lo shock aveva temporaneamente indebolito.
  Tutto ciò sta diventando un’idea fissa, per me e per i miei simili. E’ chiaro che soffriamo di un’ossessione morbosa, mentre gli altri sono sani e normali. Ma il sintomo caratteristico dei pazzi è che essi perdono il contatto con la realtà e vivono in un mondo immaginario. Forse, stavolta, è tutto il contrario: siamo noi, quelli che gridano, a reagire in modo sano alla realtà che ci circonda, mentre i nevrotici siete voi, che brancolate in un mondo immaginario perché vi manca il coraggio di guardare in faccia la realtà. Se così non fosse, questa guerra si sarebbe evitata e sarebbero ancora vivi coloro che sono stati assassinati davanti voi, sognatori a occhi aperti.
  Ho detto forse, perché è evidente che ciò che ho detto prima può essere soltanto la metà della verità. In ogni epoca c’è chi ha gridato – Profeti, Predicatori, Maestri e Illuminati, per maledire l’ottusità dei contemporanei, e la situazione non è mai cambiata. C’è sempre chi grida nella boscaglia e chi continua ad andare per la propria strada. Ha orecchie ma non sente, ha occhi ma non vede. Le radici del problema sono più profonde della semplice ottusità.
  E’ forse colpa di chi grida? A volte sì, senza dubbio, ma non credo che il cuore della questione sia questo. Amos, Osea, Geremia erano dei buoni propagandisti, eppure non riuscirono a scuotere il loro popolo e a metterlo in guardia. La voce di Cassandra attraversava i muri, e tuttavia la guerra di Troia c’è stata. E per quanto ci riguarda, fatte le debite proporzioni, credo che, complessivamente, il ministero dell’Informazione e la Bbc siano abbastanza all’altezza del loro compito. Per quasi tre anni sono riusciti a far camminare il paese, senza offrirgli nient’altro che sconfitte. Ma, nello stesso tempo, sono stati del tutto incapaci di dare alla gente la piena consapevolezza di ciò che stava accadendo, della grandezza e dell’orrore dell’epoca in cui siamo nati. Si continuava a vivere nello stile dell’ordinaria amministrazione, con la sola differenza che questa ordinaria routine contemplava la possibilità di uccidere e di essere uccisi. La mancanza d’immaginazione è divenuta una sorta di mito della razza anglosassone; mito generalmente contrapposto all’isterismo latino e altamente apprezzato nelle emergenze. Ma il mito non dice ciò che accade tra i periodi d’emergenza, e che quella stessa mancanza d’immaginazione rende incapaci di prevenire il ritorno delle emergenze.
  Ora, questa mancanza di consapevolezza non è un privilegio degli anglosassoni, anche se probabilmente essi sono l’unica razza a considerare come un vantaggio ciò che altri considerano un difetto. Né si tratta di temperamento: gli stoici hanno vedute più larghe dei fanatici. E’ un fatto psicologico, relativo alla nostra struttura mentale, che, sono convinto, non riceve la giusta attenzione nella psicologia sociale e nella teoria politica.
  Noi diciamo: “Credo a questo”, oppure “Non credo a questo”, “Lo so”, o “Non lo so”, e consideriamo queste alternative come perfettamente opposte: o bianco o nero. In realtà “sapere” e “credere” hanno diversi gradi di intensità. Io so che un uomo chiamato Spartaco guidò la rivolta degli schiavi romani; ma la mia fede nella sua lontana esistenza è molto più debole di quanto non lo sia nei confronti di quella, mettiamo, di Lenin. Io credo alle nebulose, posso vederle con un telescopio e calcolarne la distanza in cifre, ma esse hanno per me meno realtà del calamaio sul mio tavolo. La distanza, nel tempo e nello spazio, diminuisce l’intensità della coscienza. Così pure la grandezza. Diciassette è una cifra che conosco come un amico intimo; cinquanta miliardi non è che una parola. Un cane investito da un’automobile turba il nostro equilibrio emotivo e la nostra digestione; tre milioni di ebrei trucidati in Polonia ci procurano un’inquietudine moderata. Le statistiche non sanguinano; è il dettaglio che conta. La nostra coscienza è incapace di abbracciare la totalità degli avvenimenti: possiamo soltanto mettere a fuoco piccoli frammenti di realtà.
  Fin qui è una questione di gradazione: gradazione nell’intensità della conoscenza e della fiducia. Ma quando ci spingiamo al di là del dominio del finito e ci troviamo di fronte a parole come “eternità”, nel tempo, e “infinito”, nello spazio; quando, insomma, ci accostiamo alla sfera dell’Assoluto, la nostra reazione non è più una questione di gradi e diventa qualitativamente differente. Di fronte all’Assoluto la nostra intelligenza cede e il nostro “sapere” e il nostro “credere” non diventano altro che parole. La morte, per esempio, appartiene alla categoria dell’Assoluto, e la nostra fede in essa è semplicemente una fede a parole. Io “so” che, secondo le statistiche, la vita media dell’uomo è di circa sessantacinque anni, e posso ragionevolmente aspettarmi di non vivere più di ventisette anni ancora; ma se fossi certo di dover morire il 30 novembre 1970, alle cinque del mattino, mi sentirei intossicato da quest’idea, conterei e riconterei i giorni e le ore che mi restano, mi rimprovererei ogni minuto sprecato: in altri termini, diventerei nevrotico. Questo non ha nulla a che vedere con la speranza di vivere oltre la media: se pure la data della morte fosse rimandata di dieci anni, il processo nevrotico resterebbe lo stesso.
  Tutti viviamo così, in uno sdoppiamento della coscienza. Esiste un livello tragico e un livello ordinario, che contengono due diverse specie, incompatibili, di conoscenza derivata dall’esperienza. La loro atmosfera e il loro linguaggio differiscono come il latino della Chiesa dal gergo degli affari.
  I limiti della consapevolezza spiegano i limiti della propaganda. La gente va al cinema e vede film che mostrano le torture naziste, le fucilazioni di massa, la resistenza clandestina e il sacrificio di tanti. La gente sospira, scuote la testa, qualcuno addirittura grida di orrore. Ma non riconnette tutto ciò alla realtà del proprio piano normale di esistenza. E’ Romanzo, è Arte, è Qualcosa che ci trascende, è il Latino della Chiesa. Non corrisponde alla realtà. Viviamo in una società sul modello “dottor Jekyll e Mr. Hyde”, ingrandito a dismisura.
  Ma non è stato sempre così. Ci furono periodi e movimenti storici – Atene, il primo Rinascimento, gli esordi della Rivoluzione russa – in cui almeno alcuni strati della società avevano raggiunto un livello relativamente alto di coscienza; tempi in cui sembrava che gli uomini si stropicciassero gli occhi e si risvegliassero; la loro coscienza universale appariva in espansione ed essi erano “contemporanei”, nel senso più pieno e completo. Tempi in cui il piano ordinario e il piano cosmico apparivano sul punto di fondersi.
  E ci furono periodi di disintegrazione e di dissociazione. Ma mai, prima d’ora, neppure durante la spettacolare decadenza di Roma o di Bisanzio, il pensiero è stato dissociato in modo così palpabile, come in una sorta di malattia di massa; mai la psicologia umana ha raggiunto un tale livello di irrealtà. La nostra coscienza sembra restringersi in modo direttamente proporzionale all’espandersi della comunicazione. Il mondo non è mai stato tanto aperto davanti a noi, ma ci viviamo come in prigione, ciascuno nella propria gabbia portatile. Intanto l’orologio continua a battere. Che cosa può fare chi grida, se non continuare a gridare fino a diventare paonazzo?
  So di un giornalista londinese molto conosciuto, che girava in lungo e in largo il paese per tenere conferenze, in media una decina a settimana. Prima di ogni conferenza, aveva l’abitudine di isolarsi in una stanza, chiudeva gli occhi e immaginava per venti minuti, in ogni dettaglio, di essere una delle persone trucidate in Polonia. Un giorno cercava di immaginarsi asfissiato dal gas in un treno della morte. Un altro giorno immaginava di doversi scavare la fossa con altri duecento uomini o, ancora, di trovarsi davanti a una mitragliatrice dal tiro ovviamente piuttosto capriccioso e impreciso. E poi usciva, saliva sul palco e parlava. Ha resistito un anno intero, dopo di che ha avuto un collasso nervoso. Il suo grande ascendente sull’uditorio può aver prodotto qualcosa di buono e forse sarà riuscito ad avvicinare di un pollice i due piani separati da miglia.
  Credo che il suo sia un esempio da imitare. Due minuti al giorno di questo genere d’esercizio, a occhi chiusi, dopo aver letto il giornale del mattino, potrebbero oggi essere per noi assai più utili della ginnastica e degli esercizi di respirazione yoga. Potrebbero addirittura sostituire la frequentazione delle funzioni religiose. Perché, fintanto che esisteranno passanti sulla strada e vittime nella boscaglia, divisi dalla barriera del sogno, la nostra rimarrà una falsa civiltà.

Il Foglio, 10 agosto 2022)

........................................................


Ucraina, l'altra verità

Dalla quarta pagina di copertina:

Ucraina: l'altra verità nasce dalla necessità di fornire al lettore tutta una serie di informazioni mancanti sulla questione russo-ucraina, senza le quali è difficile avere un quadro complessivo della situazione. Purtroppo i nostri media occidentali insistono con il ritornello di Putin "dittatore assetato di sangue", ed evitano accuratamente di andare a scavare sui fatti storici che ci hanno portato alla situazione odierna. Ma, come in tutte le situazioni storiche complesse, non è concepibile pensare che il bene stia tutto da una parte e il male tutto dall'altra. Al lettore quindi il giudizio finale, ma solo dopo essere entrato in possesso di tutte le informazioni necessarie per esprimerlo.

VIDEO

(Notizie su Israele, 9 agosto 2022)

........................................................


Regge il cessate il fuoco tra Israele e Jihad Islamica. Lapid: “obiettivi raggiunti”

di Luca Spizzichino

Dopo un inizio traballante, il cessate il fuoco a Gaza tra Israele e la Jihad Islamica Palestinese, sembra reggere. Prima dell'entrata in vigore del cessate il fuoco, concordata alle 23:30 ora locale, è avvenuta una pesante raffica di razzi verso le aree vicino al confine di Gaza. In risposta, un drone dell'IDF ha attaccato un lanciarazzi appartenente alla Jihad Islamica (PIJ).
  Nonostante si siano registrati lanci di razzi anche oltre l’orario concordato, il cessate il fuoco è stato mantenuto da Israele che non ha risposto agli ultimi missili lanciati dall’organizzazione terroristica. Inoltre lo Stato Ebraico ha rifiutato sistematicamente tutte le condizioni imposte dal PIJ, tra cui il rilascio di Al-Saadi e del genero, arrestati una settimana fa.
  Alle 10:30 sono stati aperti ai lavoratori palestinesi e alle merci i valichi di Erez e Kerem Shalom. L’IDF ha annunciato inoltre il graduale ritiro delle misure di sicurezza. Tuttavia, il ritorno alla normale routine continuerà per tutta la giornata, una volta accertato che il lancio di missili da Gaza è completamente cessato.
  "Gli obiettivi sono stati raggiunti, non c'è alcun beneficio nel continuare l'operazione" ha dichiarato ieri sera il primo ministro Yair Lapid, concludendo di fatto l’Operazione Breaking Dawn. In questi giorni la decisione presa dal premier israeliano di colpire con forza la Jihad Islamica, ha visto il pieno supporto dell’Opposizione, organizzando anche un briefing con il leader del Likud Benjamin Netanyahu.
  Il portavoce dell'IDF, il generale di brigata Ran Kochav, ha rilasciato questa mattina alcuni dati sull’operazione Breaking Dawn. Dall'inizio delle operazioni venerdì pomeriggio, 1.175 razzi sono stati lanciati contro Israele, 200 sono caduti all'interno della stessa Gaza, causando diverse vittime tra i civili, tra cui 4 bambini a Jabalia. Il sistema di difesa Iron Dome ha intercettato oltre 380 missili diretti verso zone abitate, con una percentuale di successo del 96%.
  L'IDF ha attaccato oltre 170 obiettivi terroristici appartenenti al gruppo terroristico della Jihad Islamica e ha distrutto un tunnel che non era ancora entrato in territorio israeliano. In questi tre giorni 12 membri della Jihad Islamica sono stati uccisi, inclusi due dei massimi comandanti del gruppo terroristico a Gaza: Tayseer Jabari e Khaled Mansour, rispettivamente il leader delle brigate del Nord e del Sud a Gaza. Il primo è stato ucciso venerdì in un attacco israeliano che ha dato il via al conflitto, mentre il secondo sabato notte.

(Shalom, 9 agosto 2022)

........................................................


Perché a Gaza il Jihad islamico è una spina nel fianco per Hamas

di Rolla Scolari

MILANO - Di lotta ma anche di governo. Si potrebbe spiegare così, saccheggiando impropriamente da un’antica lingua politica italiana, l’assenza del movimento islamista Hamas dall’ultima crisi armata che ha investito la Striscia di Gaza. Israele venerdì ha lanciato una serie di raid aerei contro obiettivi del piccolo territorio costiero: 360 chilometri quadrati in cui vivono, sotto embargo israeliano ed egiziano dal 2007, 2,3 milioni di palestinesi. Gli attacchi sono stati definiti “preventivi” dai vertici dell’esercito israeliano: avrebbero avuto lo scopo di bloccare la rappresaglia del movimento armato palestinese Jihad islamico, considerato gruppo terroristico da diversi paesi, in risposta all’arresto di alcuni suoi membri in Cisgiordania, tra loro uno dei leader, Bassem al Saadi. Dall’inizio delle ostilità alla tregua, raggiunta domenica, sono state uccise, secondo fonti mediche palestinesi, 44 persone: miliziani e civili. All’operazione israeliana, il Jihad islamico ha risposto con il lancio di centinaia di razzi sul sud di Israele. Gli ordigni sono stati quasi tutti intercettati dal sistema antimissilistico Iron Dome.
  Si è trattato del più rischioso scambio a fuoco tra Israele e gruppi armati palestinesi dagli undici giorni di conflitto di maggio 2021, quando però a guidare l’offensiva palestinese c’era il padrone di casa, Hamas: il gruppo islamista controlla la Striscia dal 2007, quando rovesciò armi alla mano l’autorità del movimento rivale Fatah. Da allora, il gruppo è stato protagonista di quattro conflitti con Israele. Questa volta, invece, è subito apparso chiaro come lo scontro fosse tra Israele e il Jihad islamico, e come Hamas fosse ben deciso a tenersene fuori. Alleato ma allo stesso tempo rivale sul piccolo territorio di Gaza, il Jihad islamico palestinese, nato nella Striscia nei primi anni Ottanta e sponsorizzato dall’Iran, rappresenta spesso per Hamas un’antagonista problematico alla sua leadership interna. E’ accaduto che suoi membri fossero arrestati per aver lanciato missili su Israele senza coordinarsi con la leadership locale.
  Come ha ben spiegato su Twitter il ricercatore di Sciences Po Erik Skare, autore di “A History of Palestinian Islamic Jihad: Faith, Awareness, and Revolution in the Middle East” (Cambridge Univerity Press, 2021), Hamas “deve bilanciare il suo essere un movimento di resistenza con l’adempimento delle sue responsabilità di partito di governo”, a differenza degli alleati-rivali, contrari a qualsiasi attività politica sulla scena palestinese che non sia quella della “resistenza” armata. Sarebbe anche questo atteggiamento di costante militanza, oltre all’aumento delle potenzialità militari, ad aver rafforzato negli ultimi anni il Jihad islamico – che resta comunque, numeri e dati alla mano, meno aggressivo di Hamas –, innescando così le operazioni dell’esercito di Israele, preoccupato che il gruppo possa rafforzarsi anche in Cisgiordania, dove tradizionalmente è più debole. I tre giorni di raid avrebbero logorato la leadership del movimento.
  Hamas, drammaticamente assente perfino dalle attività internazionali di mediazione per mettere fine al conflitto in casa propria, condotte da Egitto, Qatar e Nazioni Unite, nei tre giorni di attacchi è stato immobile a guardare. Il movimento, indebolito dalla guerra di maggio 2021 sia militarmente sia finanziariamente, sa bene come un nuovo scontro armato prolungato con Israele rischi di danneggiare ulteriormente le fragili infrastrutture civili della Striscia, di piegare una popolazione stufa di ripetuti e ciclici conflitti e di un blocco dei confini e navale che impoverisce il sovrappopolato territorio palestinese. Nella primavera del 2019, la leadership islamista aveva soppresso con violenza proteste popolari contro l’aumento dei prezzi e contro una situazione economica sempre più precaria imputata alla mala gestione del territorio. Così, mentre nei giorni scorsi il confronto era tra Jihad islamico ed esercito israeliano, tutti gli occhi erano puntati su Hamas: se la sua ala militare avesse deciso di intervenire, sarebbe stato complesso evitare un ennesimo round di combattimenti protratti con Israele.

Il Foglio, 9 agosto 2022)

........................................................


In Israele star dell’NBA organizza campo di basket interculturale per bambini

di Michael Soncin

Un messaggio di pace che passa dal canestro, sfiorando la rete. Nei giorni scorsi la celebrità della pallacanestro Enes Freedom ha organizzato in Israele un campo di basket che ha unito bambini musulmani, ebrei, drusi e cristiani, israeliani e palestinesi. Ed è una storia, che merita essere raccontata, soprattutto visti i tempi odierni, fatti di un presente cristallizzato, diventato una palla incandescente, in cui la parola pace, continua a rimbalzare contro il tabellone.
  L’evento ha visto la partecipazione delle organizzazioni non-profit Bnai Zion e Athletes for Israel, assieme ai migliori professionisti del settore, provenienti anche dall’NBA. “Credo che possiamo utilizzare lo sport per promuovere la tolleranza il rispetto e la convivenza. Riunendo i bambini su un campo da basket, so che possiamo mostrare loro l’importanza di rispettare le persone di tutte le religioni, sviluppando le relazioni e lo spirito di squadra”, ha affermato Freedom.
  Oltre che per la sua fama di giocatore, Freedom è conosciuto per essere un attivista per i diritti umani. “Ho giocato nell’NBA per 11 anni da musulmano osservante, spalla a spalla con i miei fratelli ebrei e cristiani. Rispettavamo le nostre rispettive fedi. Ho imparato molto da loro”, si legge da una nota del Jerusalem Post.

• Insieme per uno scopo comune  
  Il rabbino Ari Lamm, amministratore delegato di Bnai Zion, ha detto: “Questo campo va oltre il gioco del basket. È un’opportunità per i giovani per vedere quanto possono essere forti quando tutti assieme lottano per uno scopo comune. “Non riesco a pensare ad un modello migliore di Enes, nel saper infondere a questi giocatori l’idea di quanto sia possibile ottenere, con un cuore aperto, sognando in grande”, ha continuato Lamm.
  L’ex giocatore di basket americano-israeliano Tamir Goodman, soprannominato dalla rivista Sports Illustrated “The Jewish Jordan”, si è detto “entusiasta”, perché l’iniziativa ha dato “l’opportunità di riunire bambini, che altrimenti non si sarebbero incontrati. Il basket ha dimostrato con successo di sapere unire giocatori di ogni estrazione”.

• Un Giusto, candidato al Nobel per la pace         
  Enes Freedom, nasce col nome di Enes Kanter il 20 maggio del 1992 a Zurigo, da genitori turchi, che sono poi tornati in Turchia, dove egli è cresciuto. È tra i più noti sportivi turchi che si sono fermamente opposti al regime di Recep Tayyip Erdoğan. Durante il fallito golpe militare del luglio 2016 in Turchia, il cestista si è apertamente espresso contro il presidente turco. Per questo, in seguito alle sue dichiarazioni verrà minacciato di morte via web, e nel 2017 perderà anche la cittadinanza turca.
  Come si legge dal sito di Gariwo, Enes Kanter Freedom, è onorato nel Giardino dei Giusti di Nichelino. Recentemente in seguito alle sue numerose battaglie per i diritti civili è stato candidato al Premio Nobel per la Pace.

• La visita al memoriale di Gerusalemme
  Durante il campo di basket che si è tenuto tra il 26 luglio è il 5 agosto in Israele, il noto sportivo, ha fatto visita a Yad Vashem, l’Ente nazionale israeliano per la Memoria della Shoah. “Ho avuto l’opportunità di andare a Yad Vashem. Ogni bambino di ogni religione, deve conoscere cos’è stato l’Olocausto. Non è sufficiente dire che non dimenticheremo mai. Non dobbiamo permettere che possa accadere di nuovo!”, ha scritto sul profilo Instagram. Inoltre, si è recato al Kotel. “Sì, come musulmano praticante, sono venuto in questa terra santa e mi sono fermato davanti al muro occidentale, e ho pregato per tutta l’umanità”.
  Ormai naturalizzato americano, con scritto sul passaporto il cognome simbolico “Freedom”, sempre sull’Olocausto, Enes è stato testimone di un’importante iniziativa educativa sull’Olocausto, che ha visto come protagonisti gli studenti di una scuola di Brooklyn frequentata a maggioranza da musulmani.

(Bet Magazine Mosaico, 9 agosto 2022)

........................................................


La Jihad sconfitta cerca il sostegno dell'Iran

Le tensioni con Hamas, che non vuole che il suo rivale si rafforzi

di Enrico Franceschini

LONDRA - L'ennesima guerra di Gaza non è scoppiata per caso. Tre elementi hanno contribuito a scatenarla proprio in questi giorni, ciascuno indipendente dall'altro, sebbene tutti insieme contribuiscano a tenere aperta una piaga che insanguina israeliani e palestinesi, suscitando ogni volta lo sgomento della comunità internazionale. Qualsiasi ricerca di una soluzione richiede innanzitutto di comprendere cosa ci sia dietro il periodico riaccendersi del conflitto. Il primo fattore è la minaccia che i gruppi terroristi all'interno di questa minuscola striscia di territorio autonomo palestinese pongono allo Stato ebraico.
  Pur essendosi ritirato da Gaza nel 2005, Israele continua a subire attacchi da movimenti palestinesi che hanno come programma dichiarato la sua distruzione. L'arresto nei giorni scorsi di un capo della Jihad islamica in Cisgiordania ha fatto prevedere all'intelligence israeliana ritorsioni da parte della Jihad che opera a Gaza. Il governo di Gerusalemme ha deciso di prevenirle, eliminando due capi della Jihad. Risultato: tre giorni di combattimenti, 44 morti da parte palestinese, una dozzina di feriti da parte israeliana, più di mille razzi palestinesi caduti in Israele. Il video della fuga di massa dei bagnanti dalla spiaggia di Tel Aviv mentre le sirene suonavano l'allarme dovrebbe essere istruttivo. Quale Paese democratico europeo accetterebbe una minaccia simile senza reagire o senza agire per cercare di prevenirla?
  Il secondo elemento è la rivalità tra Hamas e Jihad islamica. Hamas governa Gaza e deve cercare il consenso della popolazione. La Jihad, sostenuta da Hezbollah libanesi, Siria e Iran, è prevalentemente una forza militare. Dopo gli accordi del 2021 con Israele, che hanno permesso a un maggior numero di palestinesi di entrare nello Stato ebraico da Gaza per lavorare, dando respiro a un'economia in difficoltà, la Jihad rimprovera Hamas di essere scesa a patti con il nemico e cerca di presentarsi come la vera interprete della resistenza palestinese.
  Da parte sua, Hamas, militarmente più forte della Jihad, non vuole che il rivale si rafforzi. Un tempo era Hamas ad accusare l'Olp di Arafat di essere troppo morbida con Israele: adesso il gioco si ripete, con Hamas nella parte dell'accusato. E il terzo fattore sono le elezioni in programma in Israele a novembre, le quinte in tre anni e mezzo. Il primo ministro ad interim israeliano, Yair Lapid, non viene come molti suoi predecessori dalle forze armate. Il suo fo nella sfida alle urne, l'ex-premier Netanyahu, lo descrive come incapace di garantire la sicurezza nazionale. Con le azioni mirate di questi giorni Lapid ha dimostrato di saperlo fare. Se riuscisse a vincere le elezioni, mantenendo al potere un leader centrista, più determinato di Netanyahu a risolvere la questione palestinese, sarebbe anche una conseguenza della breve guerra che ha visto cadere i capi della Jihad a Gaza e le sirene dare l'allarme sulla spiaggia di Tel Aviv.

(la Repubblica, 8 agosto 2022)

........................................................


Dopo l’operazione a Gaza cambierà qualcosa tra Israele e mondo arabo?

Secondo Dentice (CeSI), l’operazione israeliana a Gaza contro il Jiahd islamico palestinese non altererà le relazioni tra Israele e parte del mondo arabo. Si tratta di una questione interna, collegata alle dinamiche della Striscia, che tuttavia ha un collegamento regionale: l’Iran, che finanzia il gruppo palestinese.

di Emanuele Rossi 

L’ultimo raid israeliano è stato compiuto nella serata di domenica, alle 23:51. Pochi minuti dopo è entrato in vigore un cessate il fuoco che ha messo in pausa (tattica) l’ennesimo scontro tra Israele e i gruppi militanti della Striscia di Gaza. Ci sono state alcune violazioni nella notte, alcuni razzi lanciati in aree per lo più disabitate, ma l’intesa regge.
  Israele ha ringraziato pubblicamente l’Egitto per il ruolo di contatto svolto. Il Cairo ha mediato lo stop dei combattimenti che duravano da tre giorni. Probabilmente, se la situazione resterà ferma nei prossimi giorni il cessate il fuoco evolverà in una tregua più strutturata.
  Il governo israeliano rivendica di aver colpito tutti gli obiettivi che aveva pianificato, uccidendo 25 terroristi del Jihad islamico palestinese (PIJ, il gruppo protagonista di questi scontri) e colpendo diverse delle sue basi operative. Da venerdì scorso, il primo ministro, Yair Lapid, parla di “precisa operazione antiterroristica contro un pericolo immediato”.
  “Breaking Down” (questo è il nome assegnato alla missione) è stata indicata come un’azione giocata d’anticipo, perché – così dicono gli israeliani – il PIJ stava organizzando degli attentati in rappresaglia per l’arresto del leader del gruppo nel West Bank, Bassem Saadi, fermato dalla sicurezza israeliana all’inizio della scorsa settimana.
  Israele non aveva mai compiuto un’operazione di queste dimensioni contro il Jihad islamico. Tra le persone eliminate ci sono anche i comandanti dell’ala militare del gruppo nel sud e nel nord della Striscia, e il comandante dell’unità che si occupa di contrastare i mezzi di terra israeliani.
  Una delle ragioni che potrebbe aver portato Israele alla decisione di concludere l’operazione (che ha impegnato mezzi di terra e aerei) potrebbe essere stato la volontà di evitare il convogliamento di Hamas. Il gruppo che controlla la Striscia di Gaza dal 2007 è molto più organizzato del PIJ: in questi giorni è restato in fase di osservazione, ma il protrarsi degli scontri lo avrebbe probabilmente portato a un impegno diretto (anche come risposta ideologica e di sostegno alla narrazione con cui ha presa sulla popolazione).
  Hamas ha scelto di restare distaccato dal punto di vista operativo, e probabilmente lo ha fatto per non alterare il clima di (dis)equilibrio instabile che nell’ultimo anno e mezzo – dopo la fine dell’ultimo governo Netanyahu – si è creato con Israele e dentro la stessa Striscia di Gaza, dove il PIJ ha accresciuto i suoi consensi a danno proprio dell’organizzazione islamica al potere a Gaza. Tra l’altro Israele, appena sono iniziati gli scontri, ha bloccato l’invio di carburante nella Striscia e questo ha messo la popolazione in difficoltà (perché non funzionava la corrente elettrica e le condizioni climatiche sono caldissime). Hamas potrebbe aver preferito di non alterare la situazione entrando nel vivo dei combattimenti.
  Dall’altra parte, oltre alla volontà di non stressare troppo lo scontro fino al coinvolgimento di Hamas, Israele potrebbe essere stato portato a frenare i combattimenti anche per evitare di snervare i partner arabi con cui sta costruendo una relazione più profonda. Il Bahrein, firmatario degli Accordi di Abramo per normalizzare le relazioni con Israele, ha diffuso una dichiarazione condannando parte delle attività israeliane di questi giorni e lo stesso ha fatto il Consiglio di cooperazione del Golfo. Anche perché tra le vittime ci sono anche venti civili e circa trecento feriti (forse anche a causa di razzi palestinesi difettosi che son esplosi prima di entrare in territorio israeliano).
  Tuttavia, si tratta anche di posizioni doverose, anche legate alla necessità di mostrare vicinanza ai palestinesi. In realtà, quello che è successo potrebbe non cambiare i rapporti tra Israele e mondo arabo, soprattutto perché riguarda solo alcune dinamiche interne alla Striscia di Gaza e lambisce soltanto il tema più ampio delle relazioni israelo-palestinesi, secondo Giuseppe Dentice, responsabile del Mena Desk del CeSI.
  “Va anche aggiunto che scatenare questo attacco molto importante per proporzioni, e poi accontentarsi di un cessate il fuoco che include molte delle richieste del gruppo palestinese, fa sembrare l’operazione mal calibrata e forse il primo ministro Lapid vi ha investito anche dal punto di vista elettorale: ragion per cui occorrerà vedere quanto e quale sarà il ritorno”, aggiunge Dentice con Formiche.net.
  “Allo stesso tempo – continua – la questione si inserisce in maniera particolare nelle dinamiche regionali, perché il gruppo del PIJ risente molto delle influenze e delle interazioni con l’Iran”.
  Dall’inizio degli anni ’90, l’Iran attraverso i Pasdaran, ha fornito al Jihad islamico reddito e sostegno militare, tra cui armi di piccolo calibro, razzi (come il Fajr 5 e il Fajr 3) e droni esplosivi. Secondo il Country Report on Terrorism 2020 del dipartimento di Stato, “il PIJ riceve assistenza finanziaria e addestramento principalmente dall’Iran. PIJ ha collaborato con Hezbollah, sponsorizzato dall’Iran e dalla Siria, per condurre operazioni congiunte”.
  Dati parlano di una capacità di lancio pari a mille missili al giorno raggiunta dal gruppo. Questo potrebbe mettere in difficoltà i sistemi antiaerei israeliani, che invece sono stati protagonisti di una grande quantità di intercettazioni in questi giorni di scontri (in cui sono piovuti un totale di mille missili su Israele). La tattica delle organizzazioni palestinesi, condivisa anche dagli iraniani, è quella di ingolfare i cieli israeliani per rendere inefficace lo scudo di difesa aerea. Israele condivide con i Paesi arabi con cui dialoga la preoccupazione per la diffusione di armi sofisticate (droni e missili più efficaci) tra le milizie collegate ai Pasdaran.

(Formiche.net, 8 agosto 2022)

........................................................


"Iron Dome" israeliano è diventato il sistema di difesa aerea più efficace al mondo

Ha effettuato il 97% delle intercettazioni riuscite

Il sistema di difesa aerea israeliano Iron Dome ha respinto il 97% dei missili lanciati dagli islamisti radicali.
  In meno di due giorni dall'inizio del conflitto tra Israele e la Striscia di Gaza, si è saputo che 780 razzi e razzi sono stati lanciati su Israele. La stragrande maggioranza dei missili è stata distrutta con successo dai sistemi di difesa aerea israeliani, il che ha permesso di evitare distruzioni e vittime sul territorio dello stato ebraico.
  Secondo fonti delle Forze di difesa israeliane, sono stati lanciati in totale 780 razzi, 180 sono caduti nella Striscia di Gaza (uccidendo 14 palestinesi, 18 feriti), 330 sono caduti in aree non di particolare importanza e non sono state intercettate e altre 270 intercettazioni sono state fatte mentre cercavano di attaccare le città israeliane. Con una percentuale di successo di quasi il 97%, l'Iron Dome è il più alto nella storia dell'uso di un tale complesso, il che lo rende uno dei più efficaci al mondo.
  Nonostante l'annunciata tregua, i leader della Jihad islamica (gruppo terroristico bandito in Russia - ndr) hanno annunciato che avrebbero continuato ad attaccare Israele e ad oggi sono già stati lanciati più di 850 missili sul territorio dello stato ebraico , mentre secondo varie fonti, fino a 4 missili di vario tipo potrebbero essere in servizio con i radicali palestinesi.

(AVIA.PRO, 8 agosto 2022)

........................................................


Gaza: cessate il fuoco tra Israele e Jihad. Solo Ucraina e Russia continuano la guerra

di Paolo Padoin

GERUSALEMME – Fonti israeliane e palestinesi hanno confermato che i colloqui tra le parti, mediati dall’Egitto, sulla guerra in corso a Gaza, hanno portato al cessate il fuoco. Perfino nel contesto infuocato della zona di Gaza si raggiunge un accordo fra le parti in lotta da decenni, mentre non si riesce a raggiungere questo risultato in Ucraina.
  Biden si felicita per il cessate il fuoco in Medio Oriente, ma continua a alimentare la guerra in Ucraina inviando armi sempre più potenti e aiuti a Zelensky. Imitato da Scholz e Draghi.
  Il cessate il fuoco di Gaza sembra reggere dopo un inizio incerto, mentre le tensioni degli ultimi giorni si vanno placando, secondo quanto riferisce il Times of Israel. Un razzo è stato abbattuto dall’Iron Dome pochi minuti dopo l’inizio della tregua, ma ora le parti stanno mantenendo la calma. L’esercito israeliano mantiene in vigore le restrizioni sulle città di confine, ma potrebbe riconsiderarle in mattinata, aggiunge il sito del giornale israeliano.

(firenzepost, 8 agosto 2022)

........................................................


Mondiali atletica u20: storico oro per l’israeliano Afrifah

di Jacqueline Sermoneta

È il primo israeliano nella storia a correre i 200 metri in meno di 20 secondi: il velocista Blessing Akawasi Afrifah si laurea campione del mondo con il tempo record di 19.96, conquistando l’oro ai Mondiali di Atletica Under 20 a Cali, in Colombia.
  Il 18enne sprinter ha battuto il grande favorito, il botswano Letsile Tebogo - campione del mondo U20 dei 100 metri con 9.91 - che porta a casa l’argento per appena 6 millesimi di secondo.
  Un finale al cardiopalma, che ha visto, per la prima volta nella storia dell’atletica, due junior correre sotto i 20 secondi nella stessa gara (per l’esattezza 19.954 Afrifah e 19.96 Tebogo). Il giovane israeliano ha stabilito così il nuovo record europeo di categoria, battendo il 20.04 di Ramil Guliyev.
  "È reale? Può essere? Sono il campione del mondo!" ha esultato il velocista dopo la gara, scrive Israel Hayom.
  Afrifah, nato in Israele da genitori ghanesi, ha raccontato: “Sono davvero emozionato. Non ho parole per esprimere la mia gioia. Per un attimo ho pensato di essere arrivato secondo e mi sono detto che ero contento della medaglia d’argento dietro a Tebogo. Ho realizzato il mio sogno”.
  "Ho corso contro avversari incredibili. Ero teso mentre aspettavo il fotofinish, ma sapevo di aver dato il massimo in pista. – ha concluso l’atleta - Dedico la vittoria alla mia famiglia a Tel Aviv, al mio allenatore e a tutto il popolo d’Israele.

(Shalom, 8 agosto 2022)



........................................................


«Mi candido per far luce sui vaccini»

Il medico sospeso annuncia che sarà in lista con Italexit: «Non mi fido del centrodestra sul green pass Chi lo ha accettato una volta può tranquillamente farlo di nuovo. Subito una commissione d'inchiesta»

di Francesco Borgonovo

Giovanni Frajese, endocrinologo sospeso dall'Ordine dei medici
Giovanni Frajese è stato uno dei volti più rappresentativi della lotta contro la psicosi virale. Le sue apparizioni televisive, in tutti questi mesi, sono state una boccata d'aria per chi si sentiva soffocato dal pensiero unico imposto dalla Cattedrale sanitaria. Ma a quanto pare l'impegno di Frajese non si è esaurito. Da medico, ha deciso di misurarsi con la politica.

- Dottor Frajese, ha scelto di candidarsi con Italexit. Perché?
 «Non è stata e non è una scelta facile. Ho dato la mia voce a tutti i movimenti, politici e no, che me lo hanno chiesto. Ho rifiutato svariate volte la candidatura che mi è stata offerta da diverse forze politiche, contrarie alla gestione del Paese negli ultimi anni, incluso lo stesso Paragone. Avevo scelto la linea che ritenevo più adatta alle mie esigenze. Rimanendo fuori avrei potuto avere maggiore serenità personale e familiare, e avrei potuto parlare ed essere ascoltato senza alcun pregiudizio».

- E che è successo poi?
 «Negli ultimi giorni ho realizzato che questa era una strada comoda, ma che poteva portarmi, un domani, a un rimpianto. Se il prossimo governo dovesse restare in carica per la durata naturale della legislatura e continuare nella strada tracciata sino a ora sui temi della sanità, cosa che non mi auguro, so che un domani non mi perdonerei di non aver provato a fare qualcosa nel momento in cui era possibile farlo, vale a dire adesso. Quindi ho deciso di lasciare la porta aperta alla possibilità».

- Perché Paragone?
 «Paragone l'ho conosciuto personalmente dall'inizio della mia esposizione. L'ho incrociato nella apparizione dalla Merlino quella in cui ho avuto l'ormai famoso confronto con Sileri. Con me ha sempre mantenuto la parola, e per me questo è importante. Ho avuto carta bianca per preparare una proposta per la sanità, e ci sto lavorando con validi e saggi amici. La mia è una candidatura indipendente, intellettualmente e fattivamente».

- Cioè?
 «Rappresento me stesso in un gruppo che condivide la necessità di un cambio di direzione di 180 gradi. Io, come tanti credo, ho sete di verità e di libertà. Queste saranno le mie istanze: verità su ciò che è successo, dalla gestione della pandemia alla questione vaccinale; libertà di espressione e di scelta in temi sanitari e non solo. Credo che ogni essere umano nasca libero di determinare il proprio cammino e di cercare un senso della propria esistenza, senza con questo togliere libertà ad altri. La politica attuale impone un senso mal guidato di bene collettivo che sarebbe superiore a quello individuale, io credo invece che la lotta tra luce e oscurità avvenga in ognuno di noi, e che la responsabilità sia prima individuale e poi condivisa».

- Adesso le diranno che si è esposto in televisione e ha preso certe posizioni perché voleva fare carriera in politica ...
 «Certamente. Personalmente non presto troppa attenzione a ciò che la gente pensa di me: un giorno sei eroe, quello dopo fascista ad honorem. La vita di Gesù insegna che le folle sono volubili, e preferisco avanzare nel mio cammino umilmente, usando il mio cuore come guida. Ognuno è libero di vedere nell'altro ciò che crede, basandosi su preconcetti e stereotipi, oppure osservando le azioni e la coerenza che una persona manifesta. La sfida maggiore è mostrare che si può e si deve fare una politica che non massacri la famiglia e la vita, una politica più vicina al popolo e al contempo più elevata, più reale, perché vera e coerente. Mancano gli esempi da seguire, la luce viene data perché la si mostri al mondo con coraggio».

- Continuerà il suo lavoro da medico in ogni caso? E con che spirito?
 «Il mio è sempre un lavoro da medico. Mi sono occupato per 25 anni della salute e del benessere delle persone, ora sto cercando di occuparmi della salute e del benessere del Paese, perché è malato. Malato nella maniera in cui guarda ai suoi cittadini, e come li gestisce, nell'interesse di lobby e gruppi di potere, il popolo viene guardato con malcelato disprezzo e supponenza. Malato fino al punto di sperimentare sui propri figli. Anche se sospeso, ho difficoltà a non parlare e consigliare le persone sul piano medico, è un dovere anche questo».

- Mi pare che in questi primi giorni di campagna elettorale il Covid sia passato un po' in secondo piano, non le pare? Perché secondo lei?
 «Il tema Covid è scottante, ci sono le elezioni, non si vuole far ricordare agli italiani cosa è successo: dal lockdown al "green pass che è libertà" (secondo Letta), dalle mascherine ai bambini, alla tachipirina e vigile attesa. Una sequenza imbarazzante di scelte politiche non basate sulla scienza ma su una propaganda del terrore che ha dato carta bianca al potere, affinché potesse seguire i propri disegni di digitalizzazione e controllo dell'essere umano. Noi non siamo numeri, siamo esseri umani».

- Il centrodestra che aspira a governare promette: «Mai più green pass». Lei si fida?
 «No. Chi lo ha accettato una volta può tranquillamente farlo una seconda, in campagna elettorale si fanno tante promesse, servono i fatti, non le parole».

- Se venisse eletto potrebbe trovarsi in aula con gente che, a suo tempo, la ha accusata di varie nefandezze e di essere contro la scienza ...
 Se venissi eletto potrei avere uno spazio in cui lasciar parlare la competenza e i dati scientifici, ma non solo. Si potrebbe innalzare il livello delle discussioni mettendo in campo temi necessari per un diverso sviluppo della nostra società. Bisogna capire le direzioni: dal transumanesirno verso cui sembriamo diretti serve riprendere il senso dell'umanità, delle radici cristiane ed etiche che hanno lungamente ispirato l'antica bellezza dell'anima del nostro Paese».

- Se dovesse vincere il centrosinistra che dobbiamo aspettarci, secondo lei, in termini di politica sanitaria?
 «Il continuo stato emergenziale, il nuovo normale, una costante paranoia della paura di ammalarsi e morire. Con la paura si ottiene il controllo, il controllo è potere, e gli uomini hanno difficoltà a lasciarlo andare».

- L'Italia continua a essere la nazione con più morti persino in questa fase. Perché secondo lei? Non li curiamo?
 «Sento colleghi che ancora rispondono con tachipirina e vigile attesa. I protocolli terapeutici non sono stati testati, ma neanche sviluppati. Si è puntato tutto sui vaccini, falliti questi si rimane in un limbo di mancanza di studi e informazione. Siamo molto indietro, è stato perso molto tempo, ma la medicina può e deve dare risposte scientifiche, non dogmatiche. Può e deve dare terapie perché le persone questo si aspettano, in particolare coloro che hanno subito danni dalla vaccinazione e che oggi sono ignorati e abbandonati. Le scelte italiane sono state esaminate anche a livello scientifico, sul Joumal of Pharmacology and Pharmacology Research dagli ottimi Bellavite e Cosentino, mostrando che il ritardo dell'intervento terapeutico potrebbe essere la causa di una letalità molto elevata riscontrata praticamente solo qui da noi».

- Che dobbiamo aspettarci a livello di virus nei prossimi mesi?
 «Se la situazione in piena estate è come quella attuale, è facile immaginare un peggioramento netto nei numeri. Questa è una situazione complessa, dalla non facile soluzione. Storicamente le pandemie durano due anni e poi svaniscono per immunità di gregge, ma siamo ancora qui. Ci sono tanti punti che necessitano di maggiore attenzione, dal numero di cicli della Pcr, alla sensibilità e specificità dei test a disposizione. Abbiamo bisogno dei dati grezzi, quelli veri, per poter capire cosa è successo e sta succedendo».

- Ora oltre al Covid ci sono altre malattie su cui si lanciano allarmi. Il terrore sanitario è una realtà a cui dobbiamo rassegnarci, sarà sempre così in futuro?
 «Il Covid ha insegnato che con le emergenze sanitarie i governi fanno quello che vogliono, calpestano ogni diritto naturale e costituzionale, in nome del bene comune, della nostra salute. I soldi si usano a piacimento, e le leggi si possono emanare come Dpcrn, editti di dittatoriale memoria che scavalcano il Parlamento. Le emergenze sono funzionali alla transizione del sistema verso quello digitale e disumano. È la nuova politica della paura: dalla lotta al terrorismo a quella contro gli invisibili agenti patogeni, tutto viene fatto ipocritamente per il nostro bene. Se ne esce solo se la gente dice basta, se cresce la consapevolezza di ciò che è successo e sta succedendo. Bisogna riappropriarsi della logica e dell’umanità. La vita ha un tasso di sopravvivenza dello 0%, bisogna farci i conti e avere il coraggio di vivere».

- Ultima domanda. Secondo lei serve una commissione per indagare a fondo sulla gestione del covid?
 «Sì, è tra le prime ragioni per cui ho deciso di provare con la politica. Io voglio sapere la verità, abbiamo sofferto anni di pressioni e discriminazioni umane, mediche, sociali ed economiche. Meritiamo di sapere con trasparenza cosa sia successo, non un segreto militare».

(La Verità, 8 agosto 2022)

*

Noi chiediamo verità

Le reazioni avverse al vaccino sono più numerose dei dati ufficiali. E hanno distrutto la vita di tante persone che hanno perso salute e lavoro, e ora non riescono a sbarcare il lunario. Dimenticati anche dallo Stato che ha reso l'iniezione obbligatoria. Come dimostrano queste drammatiche storie.

di Marianna Canè

«Mi sento intrappolato in un corpo che non è il mio. Sono costretto a vivere una vita che non mi appartiene». Questo è il filo che unisce le storie di chi, dopo essersi sottoposto alla vaccinazione contro il Covid, ha sviluppato degli effetti avversi. Una puntura e ti risvegli privato della salute, della forza fisica e mentale per affrontare le giornate, lavoro compreso. E così oltre al danno, quello evidente che ha colpito il corpo, se ne crea anche un altro: quello lavorativo.
  Spesso i danneggiati mentre lottano per guarire cercando medici in grado di curarli, perdono anche la loro occupazione e di conseguenza, lo stipendio. Si innesca una spirale negativa in cui tutta la vita viene distrutta pezzo dopo pezzo, nella più totale indifferenza e solitudine, perché quello del vaccino è un meccanismo troppo perfetto che non ammette che qualcosa possa andar storto.
  Eppure qualcosa è sfuggito al controllo, l'ingranaggio si è inceppato, ci sono persone che da oltre un anno hanno smesso di vivere realmente, imprigionati in un limbo che sembra non avere fine. Fantasmi, che si sono affidati alla scienza, che hanno deciso di vaccinarsi credendo nel potere salvifico del siero, ma che hanno avuto solo una lunga serie di porte in faccia, appena qualcosa è andato storto.
  Mentre i grandi esperti discutono di numeri, statistiche e percentuali, contenuti in report asettici costruiti senza neanche provare a contattare una di quelle segnalazioni, si stravolge completamente il senso di quello che sta accadendo. Un numero, quel numero contenuto nei rapporti rappresenta una vita, una storia, una famiglia. Persone che si ritrovano a essere diventate disabili nel giro di una manciata di giorni, giovani che avevano sogni e speranze ormai diventati irrealizzabili. E tra i tanti problemi, quello economico sta emergendo sempre con più forza. Perché dopo aver messo in pausa la propria vita, ora per molti il portafoglio è vuoto.
  Se da un lato c'è chi ha persino chiesto dei finanziamenti e si è indebitato per riuscire a permettersi delle visite private, il tutto grazie al sostegno della famiglia, dall'altro c'è chi giorno dopo giorno arranca sempre più. Ed ecco sopraggiungere una nuova paura: oltre al problema dei soldi per comprare le medicine, adesso c'è anche quello di riuscire a comprare da mangiare.
- Noi chiediamo verità

(La Verità, 8 agosto 2022)

........................................................


Piovono razzi su tutto Israele. Ma la Jihad palestinese è dimezzata

L'organizzazione terroristica risponde col fuoco al raid di Gerusalemme che ne ha ucciso il capo militare Il blitz è stato deciso dopo una escalation degli attentati, che sono costati 14 morti israeliani in pochi mesi 

di Stefano Piazza 

Non si giocherà questa sera al Bloomfield Stadium di Tel Aviv l'amichevole precampionato tra Juventus e Atletico Madrid. La partita è stata annullata «a causa dell'attuale situazione di sicurezza», come ha affermato il club spagnolo in una nota. Anche se Tel Aviv non è stata presa di mira dall'inizio della nuova crisi tra lo stato ebraico e le organizzazioni terroristiche che hanno sede nella Striscia di Gaza, le sirene sono suonate nei sobborghi di Holon e Bat Yam e già venerdì scorso il comune di Tel Aviv ha aperto le porte dei rifugi antiaerei della città. La maggior parte dei proiettili sparati da Gaza e dintorni ha preso di mira le città del sud, ma intorno alle 12 di ieri (le 11 in Italia) sono stati lanciati razzi contro la città Mod’in-Maccab imRe'ut, centro del paese, a circa 35 chilometri a sud-est di Tel Aviv e a 30 chilometri a ovest di Gerusalemme. Si stima che oltre 200 razzi siano stati lanciati contro Israele da venerdì pomeriggio. Non è ancora chiaro se la Jihad islamica palestinese avesse capacità limitate per grandi attacchi a città più lontane, dopo i raid aerei di Israele su obiettivi terroristici nella Striscia di Gaza, oppure se abbia preso la decisione consapevole di non intensificare ulteriormente le ostilità onde evitare la reazione di Gerusalemme. La tensione saliva da mesi: il 31 marzo 2022, dopo una serie di attacchi terroristici all'interno di Israele che hanno ucciso 14 israeliani, è stata annunciata l'operazione « Wave Breaker», Il suo obiettivo è detenere palestinesi sospettati di attività terroristiche, localizzare armi e trovare denaro utilizzato per finanziare il terrorismo. La situazione è deflagrata il 5 agosto scorso, quando le forze di difesa israeliane (Idf) hanno eliminato il capo del braccio militare dell'organizzazione terroristica della Jihad islamica palestinese, Taysir aJ-Jabari, nell'operazione «Alot Hshachar» (Alba). Con lui, secondo le forze israeliane, sono stati uccisi «tra 10 e 20 terroristi». Gli israeliani hanno accelerato i tempi dell'operazione dopo che sono stati scoperti i piani per un grosso attacco della Jihad islamica palestinese che voleva reagire all'arresto del terrorista Bassem Saadi, alto funzionario dell'organizzazione terroristica catturato a Jenin, Cisgiordania, nella notte tra 1 e 2 agosto. La morte di Taysir al Jabari, esponente dell'omonimo clan originario del quartiere Shaja'iyah, capo del comando settentrionale della Jihad islamica nella striscia di Gaza dal 12 novembre 2019, dopo l'uccisione - sempre da parte delle Idf- di Bahaa Abu al-Ata, è un duro colpo per l'organizzazione terroristica finanziata dall'Iran. A proposito degli ayatollah: lo scorso 4 agosto a Teheran si erano incontrati Ziad al-Nakhalah, segretario generale della Jihad islamica, e il presidente iraniano Ebrahim Raisi e durante il colloquio Al-Nakhalah aveva detto: «Adesso i sionisti sono circondati da ogni parte grazie al potere della Repubblica Islamica dell'Iran, grazie alle direttive del supremo leader Khamenei». Al-Jabari, nato nel 1972, oltre a essere un membro del consiglio militare supremo della Jihad islamica era a capo delle strutture che lanciano i missili su Israele e si occupava di formare nel lancio dei razzi le nuove leve della Jihad islamica. Taysir al-Jabari era già sfuggito due volte agli israeliani: la fortuna lo aveva aiutato nel 2012, quando si trovava con diversi alti funzionari - tra cui Abu al-Ata, KhaJil Bitani che sovrintendeva alla sicurezza interna e Ramez Harb che era a capo delle pubbliche relazioni - in un appartamento camuffato in un ufficio di una società di comunicazioni. Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno di Israele, dopo averli localizzati aveva fatto sì che l'edifico venisse colpito da un missile lanciato da un jet. Al-Jabari, Abu al-Ata e Betani riuscirono a salvarsi dal bombardamento, Ramez Harb invece rimase sotto le macerie. Durante tutta la giornata di ieri sono suonate le sirene nella città costiera di Ashkelon e secondo l'Idf un proiettile in arrivo è stato intercettato dal sistema di difesa aerea« Iron Dome», ma anche nella città di Netivot, a circa 10 chilometri dalla striscia di Gaza, e in altre città di confine più vicine. Il segretario generale della Jihad islamica palestinese, Ziyad alNakhalah, ha annunciato all'emittente televisiva libanese Al Mayadeen una rappresaglia contro Israele, dopo che l'Idf ieri ha condotto raid contro la striscia di Gaza: «Tel Aviv sarà tra gli obiettivi della resistenza. Non abbiamo linee rosse e non abbiamo un posto dove fermarci o ascoltare i dettami dei dibattiti. Andiamo in guerra e auguriamo successo ai combattenti». Gli israeliani da ieri pomeriggio stanno schierando le loro batterie aggiuntive del sistema di difesa missilistica nella parte centrale del Paese, contro il possibile lancio di razzi dalla striscia di Gaza, secondo quanto riferito dal quotidiano israeliano Haaretz, mentre il ministro della Difesa di Israele, Benny Gantz, ha approvato il reclutamento di un massimo di 25.000 riservisti, se questo sarà ritenuto necessario. E i terroristi di Hamas cosa fanno? Per il momento non vanno oltre al sostegno (a parole) in attesa di capire se gli convenga lanciarsi nell'operazione con tutti i rischi che questo comporta, oppure restare alla finestra in attesa di tempi migliori.

(La Verità, 7 agosto 2022)

........................................................


“In Ucraina civili come scudi umani”. E in Amnesty scoppia il caso

di Bianca Leonardi

Quando i buoni diventano cattivi all’occorrenza: così potrebbe essere descritta l’apocalisse che sta vivendo Amnesty International a seguito dell’ultimo report che denuncia le forze ucraine di aver infranto il diritto umanitario internazionale. Nello specifico, l’Ong fin dall’inizio si è sempre mostrata incline all’Ucraina e  ha, addirittura, qualche mese fa, presentato un’inchiesta – frutto di mesi di lavoro sul posto – che riportava le prove dei crimini di guerra commessi nella città ucraine dai russi.
  L’invito, immediatamente accolto dal presidente Zelensky, era quello di incalzare la Corte Penale Internazionale avviando così le indagini e, successivamente, i processi. Ad oggi, Amnesty International è firmataria di un altro report: non diverso da quelli che ha sempre realizzato in tutte le zone di conflitto nel mondo, ma pericolosamente diverso per l’Ucraina. Il quadro che viene riportato indica infatti come l’esercito ucraino avrebbe utilizzato i civili come scudi umani, mettendo in pericolo la popolazione civile in quanto i soldati avrebbero posizionato le armi in luoghi come scuole, abitazioni ed ospedali. I soldati di Kiev, quindi, hanno trasformato obiettivi civili in obiettivi militari, violando il diritto internazionale,  massacrando volutamente il proprio popolo – aggiungiamo noi, ammessa la veridicità del dossier.
  E se sui crimini di guerra dei russi non si è aperta nessuna voragine, la denuncia nei confronti di Kiev ha portato a un vero e proprio terremoto politico. In primis da parte di Zelensky che non ha fatto segreto della sua rabbia, fino all’indignazione dei vertici ucraini che hanno affermato che “il gruppo per i diritti umani ha cercato di spostare la responsabilità dall’aggressore alla vittima”. Ed è così che Amnesty International è diventata improvvisamente filoputin, motivo per cui il dirigente ucraino della Ong, Oksana Pokalchunk ha deciso (spontaneamente?) di dimettersi, accusando la sua ormai ex organizzazione di fare il gioco della propaganda del Cremlino.
  Inoltre, Pokalchunk ha dichiarato anche che Amnesty “ha diffuso una dichiarazione che suona come un sostegno alla narrativa russa”, aggiungendo: “Ho cercato di avvertire l’alta dirigenza di Amnesty che il rapporto era unilaterale e non aveva tenuto adeguatamente conto della posizione ucraina ma è stata ignorata”. Dichiarazioni che sembrerebbero dimostrare le pressioni di Kiev sui funzionari, in modo da tenere tutto in equilibrio per non “sporcarsi mai le mani”, nonostante in una guerra sia impossibile non farlo. Il tentativo di avvertire preventivamente i piani alti di Amnesty e la richiesta di Pokalchuk di “tenere in considerazione la posizione ucraina” fanno ben pensare al controllo smisurato in cui Kiev si impegna per far vedere al mondo la bontà, l’altruismo e il coraggio: i lasciapassare di cui – probabilmente – il miope occidente ha bisogno per giustificare le scelte che giornalmente intraprende.
  Ed è così che la dittatura dei buoni fa breccia, e non è la prima volta. Lo scorso anno si era presentata la stessa dinamica dopo che Amnesty aveva deciso di smettere di definire Navalny come “prigioniero di coscienza”. Agli ucraini questa scelta non era piaciuta, essendo Navalny il più celebre oppositore del Cremlino, tanto che, dopo infinite pressioni, la Ong è dovuta tornare sui propri passi. Questa volta Amnesty dichiara, però, che “essere in una posizione difensiva non esonera l’esercito ucraino dal rispetto del diritto umanitario internazionale”, andando contro a testa alta al governo di Kiev che ha duramente respinto il rapporto definendolo addirittura “una perversione”.
  A prescindere dalle idee sullo scontro bellico sembrerebbe palese – e pericolosa – la strategia messa in atto dalle forze di Zelensky, fatta di un oscurantismo più totale su tutto ciò che non premia l’operato di Kiev, di intimidazioni presentate come “pressioni” e di controllo totale su quell’immagine che, da una parte dalla stessa Ucraina per non deludere i partner, dall’altra dall’Occidente, sembra essere stata costruita ad hoc. Se già c’erano dubbi sull’atteggiamento di un’Ucraina solo vittima e mai colpevole – nella visione, oggettivamente utopica, che viene promossa per cui in una guerra c’è un solo innocente e un solo colpevole – questa vicenda non può che confermare, almeno in questo caso, una dubbia gestione della tanta sbandierata democrazia. Una democrazia che vale solo per i prescelti e che, quindi, sembrerebbe tendere inevitabilmente a prendere le sembianze di un’azione totalitaria a tutti gli effetti. Non si dice, ci hanno insegnato, ma i fatti questa volta parlano chiaro.

(Nicola Porro, 7 agosto 2022) w

........................................................



Salmo 23

Spunti di meditazione

  1. Salmo di Davide.
    L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti pascoli,
    mi guida lungo le acque calme.
  3. Egli mi ristora l'anima,
    mi conduce per sentieri di giustizia,
    per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte,
    io non temerei male alcuno, perché tu sei con me;
    il tuo bastone e la tua verga son quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa
    al cospetto dei miei nemici;
    tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno
    tutti i giorni della mia vita;
    e io abiterò nella casa dell'Eterno
    per lunghi giorni.

Questo è uno dei salmi più noti e amati del salterio. Inizia avvertendo che è un "salmo di Davide", dunque fa parte dell'inalienabile patrimonio storico ebraico. Il lettore non ebreo non dovrebbe mai dimenticare questo.
  Ma per sua natura questo patrimonio è lì perché ogni uomo sulla terra ne possa godere i benefici. Il lettore ebreo quindi a sua volta non deve dimenticare che di questo patrimonio, e in particolare di questo salmo, hanno beneficiato per secoli, e ne beneficiano ancora in ogni parte del mondo, innumerevoli lettori non appartenenti alla progenie di Giacobbe.
  I cristiani in particolare lo collegano da secoli alla persona di Gesù, in cui riconoscono il Buon Pastore che "mette la sua vita per le pecore" (Giovanni 10:11). Si può valutare come si vuole questo fatto, ma in ogni caso fa parte della storia.
  Detto questo, ciascuno può leggere il salmo in piena autonomia chiedendosi quali parole tra quelle lette si sente di ripetere in tutta sincerità e applicare a se stesso.

1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  Il termine italiano "Eterno" traduce il Nome che l'ebreo pio non osa pronunciare e che la Bibbia usa soprattutto quando Dio è messo in relazione col popolo d'Israele. L'ebreo dunque sente aria di casa.
  Il cristiano pensa forse al termine "pastore" e ricorda le promesse di Gesù; e anche lui sente aria di casa. Già, ma qual è allora la casa? E' una domanda che alla fine non può essere evitata, ma per ora la lasciamo lì.
  L'Eterno non è solo un pastore, l'Eterno è il mio pastore. Mio in che senso? come singolo? come popolo? come comunità? Posso dirlo in almeno uno di questi sensi? Attenzione alla risposta, perché il testo prosegue: "nulla mi manca". E' proprio così?
  L'elenco delle cose che ho potrebbe essere più o meno lungo, ma quello delle cose che non ho sarebbe illimitato. Dire che non ho una certa cosa è un fatto oggettivo, mentre dire che una cosa mi manca è un fatto soggettivo. Significative sono le parole di Gesù ai discepoli poco prima di essere tradito e arrestato: "Quando vi mandai senza borsa, senza sacca da viaggio e senza calzari [fatto oggettivo], vi mancò mai nulla? Ed essi risposero: Nulla [fatto soggettivo]" (Luca 22:35). Se sono convinto che qualcosa mi manca, sono spesso spinto a cercare di chi è la colpa. Se appartengo al gregge, forse mi vien di pensare che la colpa sia del pastore. Davide non pensava così.

2. Egli mi fa giacere in verdeggianti pascoli, mi guida lungo le acque calme.
  Davide non descrive la realtà di quello che gli succede osservandola coi suoi occhi; Davide fa un elogio dell'Eterno accogliendolo e sperimentandolo come suo pastore. I tempi e le circostanze gli possono far apparire le cose in modo diverso, ma lui sa che quello che sceglie per lui il Pastore è il meglio che ci sia. I pascoli per lui sono verdeggianti perché in essi trova l'erba verde di cui ha bisogno per nutrirsi; e in essi Dio lo fa giacere affinché possa riposarsi durante il viaggio. Le acque sono calme perché non lo travolgono, come hanno fatto invece con gli egiziani al Mar Rosso; e lungo queste acque "calmate" dall'azione di Dio egli procede sicuro sotto la guida del Pastore.

3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  Davide ha bisogno ogni tanto non solo di riposo fisico, ma anche di ristoro morale. Cè infatti una stanchezza non dovuta alle necessità del corpo, ma a quelle dell'anima. Anche qui Davide fa l'elogio di Dio dichiarando che "Egli mi ristora l'anima" nelle oasi di pace che ha premurosamente preparato per colui che viaggia per Suo incarico.
  Dopo di che Dio gli fa riprendere il cammino e lo "conduce per sentieri di giustizia". Dunque Davide deve essere condotto, dunque non ha una totale autonomia. Ma questo è un bene o un male? Dipende da chi conduce. Davide è totalmente convinto della bontà del suo conduttore, quindi è in un atteggiamento di piena gratitudine. Dice infatti "mi conduce", riferendosi ovviamente al “mio pastore".
  Compaiono poi due aspetti di come il pastore conduce: 1) il tipo di percorso che sceglie; 2) quello che vuole ottenere.
  1) Conduce "per sentieri di giustizia", dunque non per sentieri comodi. La piacevolezza del viaggiatore non è l'elemento primario che genera la scelta del sentiero. Quando la strada si farà stretta, buia, accidentata la pecora sarà spinta a chiedersi perché mai il pastore la vuole condurre per quella via. Si porrà allora il problema della giustizia. E' giusta la strada che ho preso seguendo il pastore? Per Davide il sentiero che percorre è quello giusto per il semplice motivo che l'ha scelto lui, il pastore. La pecora non conosce le strade, ma le conosce il pastore. E per la fiducia che ripone in lui, crede nella giustizia del percorso.
  2) Conduce "per amore del suo nome", dunque non per amore della pecora. La cosa è fastidiosa. Se nel primo dei due punti la posta in gioco è la giustizia di Dio, nel secondo è l'amore di Dio. Forse avrei preferito che fosse maggiormente sottolineato l'amore di Dio per la pecora che, poverina, soffre e fatica durante il viaggio. Dio è amore, si dice da tutte le parti, e non è forse diretto alle creature l'amore del Creatore? Certamente è così, gli esempi nella Bibbia non mancano:

    "Come un pastore, egli pascerà il suo gregge: raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto, condurrà le pecore che allattano" (Isaia 40:11);
    "Io sono il buon pastore; il buon pastore mette la sua vita per le pecore" (Giovanni 10:11).

Va però tenuto presente che nella Bibbia Dio comunica all'uomo il suo amore sempre all'interno di un patto. La forma del patto può cambiare nel tempo per disposizione di Dio, ma biblicamente non ha senso parlare di amore di Dio in senso generico. Nel condurre la sua pecora su sentieri di giustizia Dio adempie una parola che aveva già in precedenza pronunciata all'interno di un patto potenzialmente noto a tutto il mondo. La buona conduzione che la pecora ottiene dal Pastore costituisce dunque un elemento che va a "gloria del suo nome" (Salmo 66:2). Nel riferirsi al rapporto d'amore fra Dio e l'uomo, il primo posto deve essere sempre occupato da Dio, mai dall'uomo.

4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga son quelli che mi consolano.
  Davide sa che i sentieri di giustizia su cui cammina potrebbero portarlo un giorno ad attraversare una "valle dell'ombra della morte". Non si limita a parlare di "questioni difficili" o "situazioni problematiche" da affrontare: nomina proprio la morte. Parla di una valle per indicare una strettoia in cui non è possibile trovare altra via che quella su cui sta passando. Proprio di lì deve passare. Ed è una valle che i raggi del sole non possono raggiungere perché la morte, in forma di nuvola, s'interpone tra il sole e la terra generando una tenebra che può giustamente chiamarsi "ombra della morte". Nella sua prefigurazione Davide non vede più il sole; non sa quali pericoli si nascondano nell'oscurità. Ma una cosa sola sa: che l'Eterno è con lui. Quindi "non temerà male alcuno".
  Potrebbe accadere che i fatti sembrino dar torto alla sua attesa: molte cose sgradevoli potrebbero ancora capitargli. Ma se Dio gli ha dato da possibilitàdi credere con certezza che nel suo cammino non avrà da temere alcun male, vuol dire che le cose sgradevoli che gli capitano non sono un male per Dio. E quindi neppure per lui.
  Dio protegge Davide servendosi del bastone e della verga. Il primo attrezzo potrebbe essere lo strumento bellico con cui Dio difende Davide dai nemici colpendoli col bastone; il secondo potrebbe essere lo strumento di disciplina con cui Dio protegge Davide da se stesso raddrizzandolo con calibrati colpi di verga. La presenza di questi strumenti e il loro uso nelle mani del pastore "consolano" Davide, o per meglio dire lo rassicurano, perché come nel caso dei bambini, l'esistenza di opportune barriere esterne ed interne libera l'uomo dal timore di incorrere in mali imprevisti e sconosciuti. Per questo Davide può dire con piena certezza: "non temerei male alcuno".

5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  Oltre alle valli oscure di spaventosa origine, durante il viaggio prima o poi si fanno avanti i "nemici". Che farà il pastore? Davide avrebbe potuto aspettarsi che gli fosse consegnato qualche bastone con cui colpire anche lui i nemici, ma non sta scritto così. La tattica del pastore è un'altra. Una ben nota tecnica di guerra consiste nel cercare di intimidire l'avversario prima di entrare in combattimento, al fine di indurlo a desistere o a fare movimenti sbagliati che in ogni caso lo porterebbero alla sconfitta. Dio fortificherà Davide intimidendo i suoi nemici, e lo farà invitandoli ad ammirare il suo protetto mentre banchetta e riceve onori come se avesse già vinto la guerra. Anzi, non come se avesse vinto la guerra, ma perché ha vinto la guerra. Questo è ciò che significa "camminare per fede e non per visione" (2 Corinzi 5:7).
  Posso identificarmi nella fede di Davide? o magari in quella di Abraamo?

    Per fede Abraamo, quando fu chiamato, ubbidì, per andare in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende, come Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha i veri fondamenti e il cui architetto e costruttore è Dio. (Ebrei 11:8-10).

6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; e io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
  I beni che Davide è certo di ottenere possono essere contrapposti ai mali che è certo di non ricevere. Si noti nel salmo la totale assenza di ogni tono di supplica o esortazione. Le cose stanno così come sono presentate. Davide è sicuro di quello che scrive; chi legge decida. Decida che cosa vuol dire e che cosa vuol fare. Le cose comunque non cambiano. Nel viaggio della vita che Davide presenta come un viaggio, lui sa che oltre ad ottenere beni concreti riconoscibili da tutti, sarà presente accanto a lui un bene visibile solo con gli occhi della fede, e quindi proprio per questo ancora più reale: la benignità (chesed, חסד) di Dio. Il volto benevolo di Dio è certamente il bene più prezioso che si possa avere, che include e supera ogni altro bene.
  Nelle durezze del cammino Davide è poi sostenuto dalla certezza dell'arrivo: andrà ad abitare nella "casa di Dio", il luogo che Dio ha scelto per dimorare in mezzo agli uomini. E vi abiterà "per lunghi giorni", cioè a tempo indeterminato. Non sono presi in considerazione giorni successivi, né altri luoghi in cui in seguito trasferirsi. Dunque è l'eternità.

M.C.

(Notizie su Israele, 7 agosto 2022)


........................................................


Israele bombarda Gaza: ucciso il capo della Jihad "Noi colpiremo Tel Aviv"

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - Non è cominciata ieri l'ennesima guerra fra Gaza e Israele, che ha eliminato con un attacco a sorpresa il capo militare della Jihad islamica Taifir el Jabari e ha colpito un'altra quindicina di leader: da lunedì lo scontro era estremo, anche se la minaccia alla vita dei cittadini di Israele è ormai un'abitudine. Oggi era già il quarto giorno da quando i cittadini di tutto il Sud di Israele erano obbligati a stare a casa e pronti a correre nei rifugi, per ordine di governo ed esercito. Le strade di comunicazione sono state bloccate, i mezzi di comunicazioni fermi, i luoghi di lavoro chiusi, i bimbi in casa coi genitori, i malati portati all'ospedale solo per urgenza. Le minacce della Jihad erano molto realistiche; l'esercito era stato ammassato sul confine della Striscia, Israele ribolliva anche di incredulità e rabbia mentre le consultazioni fra governo ed esercito non sbloccavano la vita della gente.
  L'inizio era stato l'arresto, lunedì, di un terrorista della Jihad residente a Jenin, la città che dai tempi dell'Intifada forgia i peggiori assassini di massa. L'arresto di Basem Saadi ha innescato furiose minacce da parte della Jihad di Gaza: adesso che l'esercito si avvia alle prime informazioni sull'attacco di ieri, le minacce sono state un'ottima cortina fumogena per la preparazione di un attacco missilistico su tutta Israele nelle mani di el Jabari, diretto non solo al Sud ma anche a tutta la zona centrale, della costa e dell'interno. Le minacce di bombardare la popolazione israeliana, hanno all'inizio consegnato un'impossibile vittoria simbolica nelle mani dei terroristi, il disorientamento senza precedenti si è accompagnato alla sensazione che fosse impossibile difendersi. La domanda su cosa fare ha spaccato l'opinione pubblica: intervenire con un'azione armata o accertare la paralisi del Paese?
  L'attesa ha pagato: quando ieri alle 16 gli F15 hanno attaccato per 170 secondi direttamente la finestra di Jabari e altri capi della Jihad, hanno colto l'organizzazione di sorpresa. L'operazione «breaking dawn» (l'arrivo di un nuovo giorno) ha colpito a Gaza un palazzo di dieci piani, ma anche Khan Yunes a Sud e Beit Kahya a Nord. Il bilancio - secondo fonti palestinesi - parla di 10 morti, compresa una bambina di 5 anni, e 50 feriti. Israele sostiene di aver eliminato 15 capi della Jihad. A sera altri raid sulla Striscia e cento razzi sparati sul Sud di Israele (intercettati dall'Iron Dome).
  Solo giovedì scorso la strategia di attacco della Jihad di Gaza era stata esaltata dall'incontro a Teheran del suo segretario generale Ziad al Nakhaleh con il presidente iraniano Ebrahim Raisi, che ha condiviso a pieno le intenzioni omicide nei confronti di Israele. Nakhaleh, molto significativamente ha detto: «Adesso i sionisti sono circondati da ogni parte grazie al potere della Repubblica Islamica dell'Iran, grazie alle direttive del supremo leader Khamenei». La Jihad islamica non esisterebbe, come gli Hezbollah, senza l'Iran; e oggi la sua presenza internazionale gode del sostegno russo e della sponda turca. Hamas per ora non viene allo scoperto se non con un sostegno di facciata, ma senza impegno bellico: i suoi capi stanno soppesando se paga di più aggredire Israele coi missili e ricevere la risposta di Tzahal, o abbandonare la Jihad.
  Israele ha aperto i rifugi pubblici, ha spostato lo scudo antimissile fino a coprire 80 km di territorio e mobilitato 25mila riservisti. Tutto il Medioriente aspetta sviluppi che possono andare in ogni direzione. «Tel Aviv e tutte le altre città israeliane sono nel nostro mirino - attacca Nakhaleh, citato dalla radio pubblica israeliana - In questa campagna non ci poniamo alcuna linea rossa». Il premier Yair Lapid, che non ha alle spalle una grande esperienza militare, affronta l'esame che Israele deve superare ogni giorno, quello della solitudine e della forza d'animo.

(il Giornale, 6 agosto 2022)

........................................................


Una nuova fase di scontri intorno a Gaza: ragioni e possibili sviluppi

di Ugo Volli

• L’operazione “Rompere l’alba”
  Nel  primo pomeriggio di venerdì l’aviazione israeliana ha attaccato obiettivi dell’organizzazione terroristica Jihad Islamica a Gaza, colpendo questa volta più duro del consueto: più di una dozzina di terroristi sono stati eliminati nelle prime ondate dell’attacco israeliano e fra essi il capo militare dell’organizzazione a Gaza, Tayseer al-Jabari e un altro comandante terrorista di rilievo. L’operazione è stata realizzata alla conclusione di un periodo crescente di tensione, in seguito a informazioni sull’imminenza di un attacco missilistico.

• L’arresto
  La nuova crisi di Gaza è iniziata la notte del 1 agosto a un centinaio di chilometri a nord della Striscia, nel campo profughi di Jenin in Samaria. Reparti speciali delle forze armate israeliane vi hanno arrestato Bassem al-Saadi, considerato il leader del “Movimento per il Jihad Islamico in Palestina” e di suo genero, uno dei capi militari di spicco dell’organizzazione. Bassem al-Saadi era uno dei leader terroristi più ricercati di questo periodo, essendo fra i principali ispiratori e organizzatori dell’ondata di attacchi individuali che ha colpito Israele con grande frequenza negli scorsi mesi. Ha sessantadue anni, il suo primo arresto risale alla fine degli anni Settanta, quando era solo un adolescente. Da allora è stato preso sette volte, passando in carcere quindici anni della sua vita. A quest’ultimo arresto ha opposto resistenza fisica, riportando ferite non grave. Intanto a Jenin, intorno alla scena della cattura, si scatenava una violenza di massa contro le forze israeliane, che si sono asserragliate nella sua casa e hanno poi ottenuto rinforzi di mezzi blindati per trasferire in carcere il terrorista. Negli scontri è morto un giovane miliziano palestinista.

• Che cos’è la Jihad islamica
  L’arresto è molto importante perché la Jihad islamica è il solo importante movimento terrorista oltre a Hamas che ha agibilità politica a Gaza, perché si tratta di una formazione direttamente armata e diretta politicamente e militarmente dall’Iran, che è anche il finanziatore di Hamas. La Jihad islamica è meno numerosa di Hamas, ma più aggressiva e intraprendente, proprio perché non deve preoccuparsi della gestione del territorio. Accade abbastanza spesso che i suoi membri compiano attentati senza preoccuparsi delle rappresaglie israeliane, che colpiscono soprattutto Hamas, che controlla la vita della Striscia. Qualche volta questa dinamica ha causato scontri fra le due organizzazioni, che però si sono sempre conclusi con un accordo.

• Le precauzioni israeliane
  Data l’importanza della cattura e le minacce immediate provenienti dalla Jihad Islamica, Israele ha innanzitutto deciso di prendere precauzioni per evitare rappresaglie dei terroristi, che avrebbero potuto provocare vittime civili: ha chiuso le strade intorno alla striscia, ha sospeso le corse ferroviarie, ha posto le comunità ai confini di Gaza in stato di emergenza. Questa situazione è durata tre giorni, suscitando apprensione e disagi nei cittadini che vi vivono, ma anche lo scherno dei terroristi, che hanno usato tutti i mezzi di comunicazione per cercare di presentare le precauzioni israeliane come vigliaccheria.

• La difesa della vita umana
  Ma naturalmente lo stato di Israele e le sue forze armate non sono affatto vili; semplicemente considerano loro dovere difendere i civili dal terrorismo e non usarli come scudi umani, secondo l’abitudine di Hamas e della Jihad. In realtà Israele si sforza in tutti i modi di evitare anche di colpire i palestinesi innocenti, compresi quelli che hanno la sfortuna di vivere a Gaza sotto il dominio di gruppi efferati e irresponsabili come Hamas e la Jihad. Le operazioni israeliane individuano sempre obiettivi legittimi, come certamente è Bassem al-Saadi, e si sforzano di arrestarli o in caso di necessità di eliminarli, badando nei limiti del possibile a non colpire chi non c’entra. Questa difesa della vita umana e in primo luogo di quella dei cittadini israeliani, implica vincoli operativi e disagi anche per chi vi è difeso.

• Il seguito
  L’allarme israeliano non era generico, non deriva da apprensione senza ragioni, ma veniva da precise informazioni di intelligence, tanto gravi da indurre lo stato maggiore dell’esercito a superare le preoccupazioni che desta ogni operazione a Gaza, che negli anni si è trasformata in un campo trincerato pieni di trabocchetti e di lanciatori di missili. Ma naturalmente Israele non può accettare che una parte del suo territorio resti bloccata da queste minacce, né che da Gaza partano di nuovo micidiali attacchi missilistici contro le maggiori città del paese. Di qui la decisione dell’attacco che Israele ha accuratamente limitato a militanti e istallazioni della Jihad Islamica, escludendo Hamas che questa volta non era coinvolto  nelle minacce terroriste. Dall’operazione “spezzare l’alba”  potrebbero seguire dei nuovi attacchi terroristici, con missili o attraverso i tunnel in cui le organizzazioni terroristiche investono cifre molto considerevoli. Ma la speranza è che Hamas colga il messaggio implicito e stia fuori dagli scontri; in ogni caso certamente l’esercito israeliano è in grado di farvi fronte.

(Shalom, 5 agosto 2022)

........................................................


Il legame Russia-Israele si sta incrinando. C’entra la guerra di Putin

di Federico Bosco

L’invasione russa dell’Ucraina sta portando alla peggiore spaccatura tra Russia e Israele dai tempi dell’Unione sovietica, mettendo in discussione trent’anni di relazioni proficue per entrambi. I rapporti tra Mosca e Gerusalemme iniziarono a migliorare in maniera esponenziale dal 2000 in poi con l’ascesa al potere del leader russo più filoisraeliano di sempre, Vladimir Putin, e con l’elezione nel 2001 del leader israeliano più filorusso di sempre, Ariel Sharon. Da quel periodo in poi, nonostante i nemici di Israele usassero armi russe e in molti casi avessero rapporti stretti con il Cremlino, le relazioni politiche, economiche e culturali, diventarono sempre più strette; anche a dispetto delle ancora più strette relazioni tra Israele e Stati Uniti.
  Ciò è possibile grazie a un vero legame di sangue che unisce una parte delle due popolazioni. Dopo l’implosione del blocco sovietico infatti iniziò una serie di ondate migratorie che portarono nello stato ebraico oltre un milione di nuovi cittadini, facendo di Israele il terzo paese russofono al mondo, dove il russo è parlato dal 13 per cento della popolazione diventando la lingua più usata dopo l’ebraico e l’arabo. Molti israeliani hanno parenti in Russia, molti russi (anche tra i vertici del potere) hanno radici in Israele.
  Durante i suoi governi l’ex premier Benjamin Netanyahu è stato estremamente abile nello sfruttare questi legami a vantaggio di Israele, regalando molte soddisfazioni anche a Mosca. Nel 2014 Gerusalemme ha assunto una posizione neutrale sull’annessione della Crimea, facendo infuriare Washington. Le relazioni diventeranno più strette nel 2015 con l’intervento militare russo in Siria, che portò a un patto di coordinamento per evitare che russi e israeliani si scontrassero accidentalmente in un conflitto in cui erano schierati su fronti opposti, con la Russia che sosteneva le stesse milizie iraniane, siriane e libanesi che Israele si riservava il diritto di colpire ogni volta che riteneva rappresentassero una minaccia. Negli anni successivi ci sono stati diversi alti e bassi, ma senza mai arrivare a strappi o rotture.
  Tutto questo però sta finendo con il persistere della guerra in Ucraina, con Israele che, dopo aver fallito nel tentativo di affermarsi come paese terzo e mediatore assieme alla Turchia, vede minacciata la serenità della comunità ebraica in Russia e la sua sicurezza in medio oriente. Un primo segnale era arrivato a giugno, quando il rabbino capo di Mosca Pinchas Goldschmidt lasciò il paese dopo aver respinto le pressioni a sostenere “l’operazione militare speciale”, a differenza della potente Chiesa ortodossa russa.
  Molti ebrei russi sono preoccupati per la deriva sempre più autoritaria del regime di Putin, consapevoli che (come la storia insegna) quando le cose vanno male gli ebrei diventano un comodo capro espiatorio per i regimi in difficoltà. Dall’inizio della guerra l’Agenzia ebraica, un’organizzazione affiliata al governo israeliano che aiuta gli ebrei a emigrare in Israele, ha registrato un aumento delle richieste di immigrazione dalla Russia. Finora sono partite circa 17.000 persone, e diverse migliaia sono in attesa.
  Ed è proprio sulla libertà di “tornare” in Israele e fare aliyah che le relazioni stanno arrivando a un punto di non ritorno. In queste settimane Mosca sta cercando di chiudere gli uffici dell’Agenzia ebraica in Russia, dando inizio a un iter legislativo che potrebbe riportare gli ebrei russi ai tempi dell’Unione sovietica, quando l’emigrazione veniva organizzata clandestinamente. Il premier israeliano Yair Lapid ha detto che la chiusura dell’agenzia sarebbe un “evento grave” che danneggerebbe le relazioni diplomatiche, ma finora non ci sono stati progressi positivi.
  Secondo fonti russe ascoltate da Bloomberg la minaccia di chiudere l’Agenzia ebraica è un avvertimento a Israele di non allinearsi con gli Stati Uniti e rispondere positivamente alle richieste di fornire assistenza militare all’Ucraina. Intanto, la Russia si è detta scontenta degli attacchi israeliani in Siria contro le forniture di armi iraniane dirette a Hezbollah in Libano, mentre Israele ha confermato un rapporto di due mesi fa secondo cui le batterie antiaeree russe in Siria hanno sparato contro i caccia israeliani. Anche in medio oriente, gli equilibri e i postulati di un tempo stanno cadendo a causa della mire della Russia sull’Ucraina.

Il Foglio, 6 agosto 2022)
____________________

“Nel 2014 Gerusalemme ha assunto una posizione neutrale sull’annessione della Crimea, facendo infuriare Washington.” Nel 2022 invece Gerusalemme si è presto piegata ai diktat di Washington e è allineata ai malefici progetti imperialistici americani tendenti a separare la Russia dall’Europa e a conti fatti anche da Israele. Sembra proprio che da quando ha preso la sbandata del covid, Israele sia in uno stato confusionale. Si spera di sbagliare. M.C.

........................................................


Israele e Marocco rafforzano i legami diplomatici e commerciali

di Francesco Paolo La Bionda

Israele ha annunciato il 2 agosto di aver firmato il contratto per la costruzione della sede dell’ambasciata israeliana in Marocco. L’ambasciatore israeliano David Govrin ha twittato la notizia, commentando che lo sviluppo “segnala l’inizio di una nuova era” nelle relazioni tra i due Paesi.
  Il ministro degli Esteri del Marocco Nasser Bourita dovrebbe inoltre recarsi in Israele a settembre, secondo quanto riportato dal Jerusalem Post. L’alto funzionario del paese arabo sarebbe stato invitato dal ministro israeliano della Cooperazione Regionale Issawi Frej, alla commemorazione per il secondo anniversario degli Accordi di Abramo. Se confermata, questa non sarà la prima visita di Bourita in Israele: a marzo si era recato a Tel Aviv per partecipare al Summit del Negev.
  Frej invece ha già fatto parte di una delegazione di alto livello che si è recata recentemente il Marocco per discutere della necessità di sviluppare e far progredire ulteriormente la cooperazione bilaterale, dichiarando quindi in conferenza stampa che Marocco e Israele si sono impegnati a rafforzare i loro legami e rendere più stretta la cooperazione in un’ampia gamma di settori.
  Frej ha inoltre sottolineato il potenziale del Marocco nel facilitare il dialogo tra israeliani e palestinesi, sostenendo che la monarchia nordafricana sia l’unico paese accettabile per entrambe la parti che possa contribuire a stimolare un vero dialogo.

• È CRESCIUTO L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE NELLA PRIMA METÀ DELL’ANNO
  Il commercio tra Marocco e Israele ha registrato una crescita dell’1% nella prima metà del 2022, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. I dati sono stati diffusi dall’ Abraham Accords Peace Institute, secondo cui l’interscambio commerciale nel semestre ha raggiunto i 63,9 milioni di dollari.
  Si è registrato tuttavia un calo su base mensile a giugno, con un valore di 12 milioni contro i 29,3 dello stesso mese nel 2021.

(Bet Magazine Mosaico, 5 agosto 2022)

........................................................


Rappresentare il mio paese in Italia, un onore''

Dopo tre anni di mandato, iniziati nel settembre del 2019, si avvia verso la conclusione la missione diplomatica dell'ambasciatore d'Israele a Roma Dror Eydar. Tante le sfide di questa sua esperienza italiana. profondamente segnata dal biennio della pandemia. Proprio la difficile gestione della crisi sanitaria, aveva raccontato l'ambasciatore a Pagine Ebraiche, è diventa anche un'importante occasione per dimostrare il legame tra i due paesi. In particolare Eydar sottolineava l'arrivo, frutto della mediazione dell'ambasciata, di una delegazione medica dall'ospedale Sheba nei momenti critici della pandemia in Italia. "Dottori e infermieri israeliani sono venuti ad aiutare il popolo italiano. E in particolare il Piemonte, lavorando spalla a spalla con i medici dell'ospedale di Verduno, una collaborazione segno di grande speranza", le parole di Eydar, che più volte ha portato quel momento come modello dell'amicizia tra Israele e Italia. Un legame a cui l'ambasciatore, nel chiudere il suo mandato, ha voluto dedicare un libro: All'arco di Tito. Un ambasciatore d'Israele nel Belpaese (Belforte). Pagine in cui ha raccolto interventi e pensieri firmati in questi tre intensi anni di lavoro diplomatico, con missioni e incontri organizzati dal Trentino alla Sicilia.
  Nel volume - il primo pubblicato in italiano e forse non l'ultimo, avverte l'autore - sono molteplici gli argomenti toccati: da una panoramica sui precetti della tradizione ebraica, ai riferimenti biblici legati all'Italia; dalle analisi sulle prospettive del Medio Oriente e le minacce per Israele, alle riflessione sul valore della Memoria della Shoah e la necessità di un impegno a tutto campo contro l'antisemitismo. Fino alle tante nuove sinergie costruite con l'Italia in questo triennio.
  A fare da filo rosso dei diversi temi l'esperienza di rappresentare Israele. "Non pensavo che sarei mai stato un ambasciatore - spiega Eydar -. Non pensavo che avrei mai parlato italiano. Non era neppure nella lista dei miei sogni. Il desiderio di fare ciò che sto facendo adesso si è venuto a formare con un lungo processo, dopo anni di scrittura, di ricerca, di congressi e di conferenze, non solo In Israele, ma in tutto Il mondo". La curiosità per scoprire il paese, racconta ancora il diplomatico, è stato uno dei motori sul piano privato che lo ha spinto a cercare di conoscere il più possibile le complessità della società e del territorio italiano, viaggiando lungo tutta la penisola.
  ”Sul piano pubblico - aggiunge - a guidarmi sono l'impegno e il senso del dovere nei confronti del nostro popolo, del nostro Paese e del nostro patrimonio. L'ambasciatore dello stato di Israele lo è anche della cultura ebraica. In un Paese con una cultura cristiana presente un po’ ovunque, la tradizione del nostri Padri ha un peso speciale: “Quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli"'.

(Pagine Ebraiche, agosto 2022)

………………………………………………..


Israele ricorda al mondo che l’opzione di attaccare l'Iran è ancora sul tavolo

di Tiziano Ciocchetti

Con gli occhi del mondo puntati sulla guerra ucraina, spesso si dimentica che ci sono altri focolai pronti ad esplodere.
  Sicuramente l’Iran è uno dei principali, in quanto il regime di Teheran sta proseguendo con il suo progetto di arricchimento dell’uranio e, ultimamente, ha stretto importanti accordi economici e militari con Mosca.
  Lo scorso 18 luglio, il capo di stato maggiore israeliano, generale Kochavi, ha ricordato al mondo (e forse anche all’amministrazione Biden) che “Israele continua a preparare attivamente un attacco in Iran per essere in condizione di far fronte a ogni evenienza. I nostri preparativi per un’azione militare contro il progetto nucleare iraniano - ha aggiunto - sono al centro di tutti i nostri progetti militari in generale".
  Ha inoltre sottolineato che “i preparativi israeliani includono una gamma di operazioni, di dislocazione di riserve, di rifornimenti di mezzi di combattimento adeguati, di intelligence e di addestramenti".
  Il capo di stato maggiore israeliano si è così espresso poche ore dopo che da Teheran erano giunte le dichiarazioni di Kamal Kharazi, presidente del Consiglio Strategico per le relazioni internazionali, secondo cui "l'Iran ha le capacità tecniche per realizzare una bomba atomica", anche se in merito, ha aggiunto, "non ha ancora preso alcuna decisione definitiva".
  L’Iran è una Potenza chiave del Medio Oriente, che potrebbe diventare uno stato nucleare in conflitto aperto con lo Stato ebraico.
  Da anni nella “lista dei cattivi” di Washington (l’Iran nelle 2001 venne etichettata come parte di un asse del male), tanto che subito dopo l’11 settembre, alcuni “falchi” vicino a George W. Bush spinsero per un attacco militare al regime di Teheran. Tuttavia tale intento venne bloccato dall’allora segretario di Stato, generale Powell, il quale fece comprendere che una campagna aerea contro la Repubblica islamica avrebbe avuto effetti assai limitati e che un intervento di truppe terrestri avrebbe comportato un numero significativo di perdite.
  Paradossalmente, l’operato americano ha contribuito non poco a far diventare l’Iran una potenza regionale. Infatti gli USA hanno eliminato il regime sunnita, al potere da decenni in Iraq, che aveva invaso l’Iran (guerra del 1980-88). Oggi la Mesopotamia è tornata a essere una area cuscinetto di fronte all’Iran, la quale ha la funzione di scoraggiare eventuali forze che volessero invadere il paese. Al contempo costituisce uno spazio politico per mezzo del quale Teheran può proiettare la sua influenza.
  Le varie amministrazioni che si sono succedute alla Casa Bianca, dopo l’invasione del 2003, credevano (!) che la democrazia si sarebbe affermata prima o poi in Iraq, invece i leader della maggioranza sciita hanno lavorato sottobanco per assicurarsi il controllo del Paese. Le elezioni parlamentari del 10 ottobre 2021 hanno visto il Movimento Sadrista (sciiti nazionalisti) ottenere la maggioranza relativa dei seggi (73).
  A Damasco è rimasto al potere il presidente Assad, che appartiene alla minoranza alawita, un’appendice dell’Islam sciita. Geograficamente la Siria è vicinissima a Beirut, dove ormai gli Hezbollah (addestrati e finanziati da Teheran) costituiscono la forza militare più grande presente nel Paese dei Cedri. Le milizie sciite controllano la maggior parte del Libano meridionale, ovvero la linea di confine con lo Stato ebraico.
  A quanto pare la Repubblica Islamica è ormai a ridosso di Israele.
  Le tensioni tra Stati Uniti e Iran hanno raggiunto il loro punto più alto quando venne eletto alla Casa Bianca Trump. Questi stracciò l’Accordo sul nucleare, ripristinò le sanzioni e “sconsigliò” i paesi europei (l’Italia era uno dei principali partner commerciali) dal continuare a fare affari con Teheran.
  Nel 2019 avvenne l’abbattimento del RQ-4 Global Hawk da parte delle Guardie della Rivoluzione iraniane sul Golfo Persico. Una serie di attacchi aerei di ritorsione americani vennero annullati all’ultimo minuto.
  Da un po’ di tempo, alcuni segnali, indicano come il potere a Teheran stia passando dalle autorità religiose ai militari, ovvero al corpo delle Guardie della Rivoluzione. I consigli d’amministrazione delle Spa iraniane sono ormai pieni di ex ufficiali delle Guardie. Molto importante è il loro coinvolgimento nella costruzione di infrastrutture pubbliche, come la metropolitana di Teheran. In teoria dovrebbero essere i “guardiani” della rivoluzione islamica, in pratica prendono denaro su ogni appalto pubblico. Cò non significa che i “guardiani” abbiano in progetto di prendere il potere, l’Iran è e resterà una teocrazia rivoluzionaria.
  È indubbio che la corsa ad accaparrarsi l’arma atomica porterà presto o tardi l’Arabia Saudita a fare lo stesso. Israele sa benissimo che non può permettere che avvenga una proliferazione di armamenti nucleari nella regione. Tuttavia la situazione è totalmente diversa dal 1981, allorquando gli F-15 e gli F-16 con la stella di david colpirono il reattore iracheno (Operazione Babilonia). Gli impianti iraniani, che si stanno occupando dell’arricchimento dell’uranio, sono molti e diversificati, inoltre sono collocati in luoghi protetti, sorvegliati da sistemi missilistici superficie-aria (bolle A2/AD).
  Probabile che ancora per un po’ continuerà questa sorta di “guerra segreta”, in cui Gerusalemme condurrà attacchi ibridi, eliminando scienziati iraniani (il colonnello Hassan Sayad Khodayari, dell’Unità 840 della Forza Quds, è stato ucciso da colpi di arma da fuoco il 22 maggio scorso a Teheran), piuttosto che hackerare i server delle centrali nucleari.

(DIFESA online, 5 agosto 2022)

........................................................


Cosa porta l’Iran nell’Indo Pacifico?

Teheran sta aumentando la propria attenzione all’Indo Pacifico. L’Iran cerca spazi in un quadrante in cui può muoversi, limitatamente e grazie alla sponda cinese.

di Emanuele Rossi

La notizia del possibile schieramento di un gruppo navale iraniano nell’Indo Pacifico per il momento non è confermata. Si parla comunque di un dispiegamento leggero, la fregata “IRIS Dena” e il tanker di supporto “Makran”, inviati non è chiaro in quale porzione di quella vastissima regione. Tutto è tuttavia interessante per annotare come anche Teheran inizia ad avere interesse verso quel lato di mondo.
  È possibile ipotizzare qualche esercitazione congiunta, principalmente con la Cina. Ce ne sono già state in passato, alcune nel Mar Arabico, dove la regione del Mediterraneo allargato si fonde con l’Oceano Indiano (e dunque con l’Indo Pacifico). Attività che per altro sarebbero in linea con l’indicazione strategico-militare dettata dalla Guida Suprema, Ali Khamenei, che qualche anno fa disse che l’Iran avrebbe dovuto aumentare “gli scopi operativi” della marina e sviluppare “capacità preventive navali”.
  La dottrina navale iraniana è cambiata da dopo la guerra con l’Iraq, e sebbene l’interesse generale resti focalizzato sul Golfo Persico (anche per ragioni di potenzialità e capacità operative), lo sviluppo è in corso. Qualche settimana fa, per esempio, Teheran aveva annunciato ufficialmente la creazione di un’unità porta-droni (uno dei prodotti tecnologicamente più sviluppati della panoplia iraniana) e che questa era in posizionamento nell’Oceano Indiano.
  Teheran ha allungato gli occhi su quello che sarà il cuore pulsante delle relazioni internazionali, l’Indo Pacifico, e cerca qualche spazio oltre il Golfo dell’Oman. La fascia di interesse più diretto è certamente la Indo Ocean Region (IOR) dove la Repubblica islamica vede la sua proiezione marittima messa a rischio dal cosiddetto Middle Eastern Quad, il raggruppamento operativo I2U2 che India, Israele, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti hanno creato.
  La cooperazione sull’asse Nuova Delhi-Abu Dhabi-Tel Aviv comprime la sfera geopolitica marittima iraniana – anche perché gli emiratini sono piuttosto proiettati in quella fascia geografica (e dunque geopolitica).
  Inoltre l’Iran nella regione ha un altro genere di interesse diretto e indiretto: la Cina. Gli Stati Uniti hanno individuato l’Indo Pacifico come primo, grande anello di contenimento della crescita di Pechino, e su questo stanno facendo ruotare una serie di dinamiche. Gli alleati americani come i Paesi europei sanno che la loro presenza nel quadrante è funzionale in parte ai propri interessi, ma in parte alla strategia statunitense. Allo stesso modo, l’Iran sa che essere nell’Indo Pacifico serve a se stesso, ma anche alle relazioni con la Cina.
  Teheran sta cercando di implementare i rapporti con Pechino: tra i due Paesi c’è un grande accordo commerciale che, sebbene sia molto spinto dalla narrazione, ha dei limiti; per esempio, la Cina è un cliente del petrolio iraniano, ma attualmente sta preferendo quello russo perché viene venduto a prezzi scontati da Mosca (che ha la necessità di bypassare in qualche modo le misure restrittive imposte da Usa e Ue dopo l’invasione ucraina).
  L’Iran vuole mantenere attiva il più possibile questa linea di fornitura, anche perché è l’unica di rilievo che non si cura delle sanzioni statunitensi. Contemporaneamente vuole, in senso più generale, evitare che sulla scia delle attività che gli Stati Uniti stanno implementando con i partner regionali, le esportazioni energetiche iraniane verso gli Stati dell’Indo-Pacifico vengano influenzate negativamente.
  L’Iran si sente accerchiato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati mediorientali, e quindi allinea naturalmente i suoi interessi con quelli dei rivali americani – Russia e Cina. Certe posizioni sono frutto della necessità e volontà strategica di non porre la Repubblica islamica in una posizione subordinata all’Occidente. Da qui nasce la recente giustificazione di Khamenei alla guerra russa in Ucraina (dichiarata durante una visita a Teheran di Vladimir Putin) o le dichiarazioni sulla sovranità cinese riguardo a Taiwan diffuse martedì 2 agosto, mentre a Taipei atterrava (tra polemiche e minacce cinesi) la Speaker della Camera statunitense, Nancy Pelosi.
  Ancora: in risposta all’aumento delle attività del Quad (la partnership tra India, Usa, Giappone, Australia), all’inizio del 2022 ci sono state esercitazioni navali Russia-Cina-Iran, che nello storytelling ufficiale riprendevano i concetti di libera navigazione e antipirateria che Washington e alleati portano avanti. Inoltre, la Marina iraniana ha già fatto scalo nel 2013 a Zhangjiagang, un porto cinese nel Pacifico, ampliando così il suo raggio d’azione.
  L’Iran vuole dimostrare di essere in grado di muoversi anche nell’Indo Pacifico. Serve anche a raccontare che nonostante le sanzioni statunitensi collegate allo stallo del Jcpoa lo limitino a livello economico (e politico-diplomatico) in Occidente, può trovare altri sbocchi. Nella regione l’influenza iraniana è piuttosto limitata, ma Teheran sta lavorando per aumentare il raggio d’azione della sua potenza – un lavoro che non può essere troppo indipendente, o competitivo, rispetto la Cina.

(Formiche.net, 5 agosto 2022)

........................................................


I colloqui indiretti sul nucleare iraniano riprendono a Vienna mentre Teheran espande l’arricchimento dell’uranio

Giovedì i negoziatori dell’Iran, degli Stati Uniti e dell’Unione europea hanno ripreso i colloqui indiretti di mesi sul logoro accordo nucleare di Teheran, poiché gli ispettori internazionali hanno riferito che la Repubblica islamica sta espandendo il suo arricchimento di uranio.

di Tarquinia Panicucci

La ripresa dei colloqui di Vienna, improvvisamente chiamata mercoledì, sembrava non includere la rappresentanza di alto livello di tutti i paesi che facevano parte dell’accordo del 2015 dell’Iran con le potenze mondiali.
  I negoziati arrivano quando i funzionari occidentali esprimono un crescente scetticismo sulle prospettive di un accordo per ripristinare l’accordo. L’alto diplomatico dell’UE ha avvertito che “lo spazio per ulteriori significativi compromessi è esaurito”.
  Secondo i media iraniani, il principale negoziatore iraniano, Ali Bagheri Kani, ha incontrato il mediatore dell’UE Enrique Mora. Come in altri colloqui, gli Stati Uniti non negozieranno direttamente con l’Iran. Invece, le due parti parleranno attraverso Mora.
  Era presente anche il rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Iran Rob Malley, che ha twittato mercoledì che “le nostre aspettative sono sotto controllo”.
  Mora ha anche incontrato giovedì l’ambasciatore russo Mikhail Ulyanov, che ha rappresentato gli interessi di Mosca nei colloqui. Ulyanov ha anche incontrato separatamente Bagheri Kani.
  “Come sempre, abbiamo avuto uno scambio di opinioni franco, pragmatico e costruttivo su modi e mezzi per superare gli ultimi problemi in sospeso”, ha scritto Ulyanov su Twitter.
  Ma entrando nei negoziati, l’Iran ha adottato una posizione massimalista. Attraverso la sua agenzia di stampa statale IRNA, Teheran ha negato di aver abbandonato i suoi sforzi per convincere l’America a rimuovere la sua Guardia Rivoluzionaria paramilitare come organizzazione terroristica come precondizione per un accordo. Questo è stato un punto critico principale.
  L’IRNA ha anche citato il capo del nucleare civile iraniano dicendo che le telecamere di sorveglianza spente dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica sarebbero riaccese solo se l’Occidente abbandonasse gli sforzi per indagare sulle tracce artificiali di uranio trovate in siti precedentemente sconosciuti nel paese.

• Quelle posizioni potrebbero rovinare i colloqui.
  I funzionari iraniani hanno cercato di offrire valutazioni ottimistiche dei negoziati mentre incolpavano gli Stati Uniti per lo stallo. Potrebbero essere preoccupati che un crollo dei colloqui possa far precipitare la valuta del rial del paese a nuovi minimi.
  L’Iran ha raggiunto l’accordo nucleare nel 2015 con Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia e Cina. L’accordo ha visto l’Iran accettare di limitare il suo arricchimento di uranio sotto la sorveglianza degli ispettori delle Nazioni Unite in cambio della revoca delle sanzioni economiche.
  L’allora presidente Donald Trump ha ritirato unilateralmente gli Stati Uniti dall’accordo nel 2018, dicendo che avrebbe negoziato un accordo più forte, ma non è successo. L’Iran ha iniziato a infrangere i termini dell’accordo un anno dopo.
  Secondo l’ultimo conteggio pubblico dell’AIEA, l’Iran ha una scorta di circa 3.800 chilogrammi (8.370 libbre) di uranio arricchito. Più preoccupante per gli esperti di non proliferazione, l’Iran ora arricchisce l’uranio fino al 60% di purezza, un livello che non aveva mai raggiunto prima. Questo è un breve passo tecnico lontano dai livelli di qualità delle armi del 90 percento.
  Questi esperti avvertono che l’Iran ha abbastanza uranio arricchito al 60 per cento da riprocessare in combustibile per almeno una bomba. Tuttavia, l’Iran avrebbe ancora bisogno di progettare una bomba e un sistema di consegna per essa, probabilmente un progetto lungo mesi.
  L’Iran sostiene che il suo programma è per scopi pacifici, anche se i suoi funzionari stanno discutendo sempre più della capacità del paese di costruire una bomba nucleare se lo desidera – un argomento in precedenza tabù lì.
  Nel frattempo, giovedì, gli ispettori delle Nazioni Unite presso l’AIEA hanno affermato di aver verificato che l’Iran aveva iniziato a immettere gas di uranio in due cascate IR-1 precedentemente inutilizzate nella sua struttura sotterranea di Natanz. Quelle cascate arricchiranno l’uranio fino al 5%.
  Gli ispettori dell’AIEA hanno anche verificato che l’Iran aveva completato l’installazione di tre avanzate cascate IR-6 nell’impianto, ciascuna comprendente fino a 176 centrifughe. L’AIEA ha affermato che quelle cascate devono ancora essere alimentate con uranio. L’Iran ha anche detto all’AIEA che prevede di installare altre sei cascate IR-2M in una nuova unità operativa a Natanz, hanno detto gli ispettori.

(ultimenotizie, 5 agosto 2022)

........................................................


Il Sud di Israele in stato d’allerta a seguito delle minacce della Jihad Islamica

di Luca Spizzichino

Aumentano le tensioni intorno alla Striscia di Gaza in seguito all'arresto del leader della Jihad Islamica in Cisgiordania Bassam Saadi a Jenin lunedì sera. Saadi è stato catturato dalle forze armate insieme a suo genero, Ashraf al-Jada, e un altro membro del gruppo terroristico, che è morto in uno scontro a fuoco con le truppe. In risposta all'arresto, il gruppo terroristico con sede a Gaza, ha annunciato in una dichiarazione che hanno imposto uno stato di "vigilanza" e aumentato la "prontezza" dei suoi combattenti.
  A seguito delle minacce del gruppo terroristico, l'IDF ha ordinato la chiusura di diverse autostrade principali, linee ferroviarie e punti di vedetta lungo il confine di Gaza, visto il considerevole aumento delle attività dei terroristi, che rappresentano una "minaccia diretta di un possibile attacco ai civili israeliani”.
  Per la maggior parte delle città lungo il confine, sono stati pensati percorsi alternativi per uscire, a parte Kerem Shalom e Kibbutz Nahal Oz che sono stati completamente bloccati.
  Mercoledì, l’esercito ha rafforzato la divisione di Gaza con 100 soldati riservisti e tre compagnie di leva per aiutare a tenere i civili fuori dalle aree sotto minaccia imminente. Anche il comando meridionale e la difesa aerea sono in allerta per un possibile lancio di razzi. Secondo quanto riferito a Times of Israel, sono stati avvertiti i gruppi terroristici che qualsiasi in risposta all'arresto di Saadi, ci sarà una risposta delle Forze di Difesa israeliane.
  Ieri mattina il capo di Stato Maggiore Aviv Kohavi ha visitato la divisione militare di Gaza e dato l’ordine di aumentare la prontezza dell'esercito in caso di un'escalation, rafforzare le difese e aumentare gli sforzi di intelligence. Ha anche approvato piani per azioni offensive, in caso di attacco della Jihad Islamica al confine. Il rinforzo alla divisione di Gaza comprende unità di artiglieria, fanteria, corazzate e di ingegneria da combattimento, nonché unità delle forze speciali. Secondo i resoconti dei media palestinesi, droni e jet israeliani nelle ultime ore hanno sorvolato la Striscia.
  "Comprendiamo le difficoltà per i residenti del Sud. Il nostro obiettivo principale in questo momento è proteggere le loro vite e salvaguardare la sicurezza di Israele” ha affermato il primo ministro Yair Lapid, aggiungendo inoltre che “le disposizioni di sicurezza che abbiamo deciso sono necessarie come misure temporanee. Non accetteremo una situazione a lungo termine in cui le organizzazioni terroristiche sconvolgono la vita dei cittadini”.
  Kochavi ha dichiarato inoltre che esiste la possibilità che l'esercito conduca un attacco preventivo sulla Striscia di Gaza.
  Saadi, come spiegato dallo Shin Bet ai media israeliani, è stato incarcerato e rilasciato dallo Stato Ebraico sette volte nel corso degli anni. Negli ultimi mesi però Saadi aveva "lavorato ancora più duramente per ripristinare le attività della Jihad Islamica ed era dietro la creazione di una forza militare significativa per l'organizzazione nella [Cisgiordania settentrionale] in generale e a Jenin in particolare".
  "La sua presenza è stata un fattore significativo nella radicalizzazione degli operatori e dell'organizzazione sul campo", ha aggiunto lo Shin Bet.
  Negli ultimi mesi Jenin è diventato un vero e proprio focolaio di attività terroristiche. Uomini armati e altri aggressori dietro numerosi attacchi terroristici provenivano proprio dalla città e dal suo campo profughi.

(Shalom, 5 agosto 2022)

........................................................


Se in occidente si ascoltassero di più le vere voci dell’islam

“Giornalisti e politici europei assecondano l’estremismo terrorista pur di non passare per anti-islam” – “In Israele ho visto che nulla di ciò che avevo sentito in Europa sul conflitto israelo-palestinese corrispondeva alla realtà”.

In una trasmissione del 3 giugno 2022 sulla tv egiziana Al-Kahera Wal-Nas, il conduttore televisivo egiziano Ibrahim Eissa si è scagliato contro i “giornalisti e politici europei” convinti che la Fratellanza Musulmana rappresenti la vera religione islamica e che di conseguenza, pur di non passare per anti-islamici, ne assecondano e subiscono l’estremismo anti-occidentale finendo addirittura col tacciare di “islamofobia” i veri islamici che invece si oppongono a quel “gruppo di terroristi assassini”...

(israele.net, 5 agosto 2022)



........................................................


Stati Uniti e Israele conducono esercitazioni militari congiunte nel Mar Rosso

Recentemente, Israele e gli Stati Uniti hanno mostrato una crescente attività nel Mar Rosso. Secondo la parte israeliana, questa è una risposta alla maggiore attenzione per la regione dell'Iran, il principale avversario strategico di Israele. Ora la Marina di Israele e quella degli Stati Uniti stanno conducendo esercitazioni militari congiunte. Coinvolgono le navi della Quinta flotta Marina degli Stati Uniti.
  Non ci sono molti dettagli sugli esercizi navali, che dureranno 4 giorni. È noto che la USS Nitze, il cacciatorpediniere di classe Arleigh Burke con un equipaggio di 360 persone, la base navale di spedizione USS Lewis B. Puller e la nave mercantile di classe Clark USNS Matthew Perry, sono noti per partecipare dalla parte americana. Interagiranno con le navi missilistiche israeliane INS Eilat e INS Keshet.
  L'inizio dell'esercitazione è stato annunciato poco dopo che il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha avvertito di un'espansione della presenza navale iraniana nel Mar Rosso. Ha definito l'attività della Marina iraniana nel Mar Rosso la più significativa dell'ultimo decennio. Israele considera la presenza iraniana una minaccia diretta per l'economia e il commercio nella regione.
  Nel frattempo, l'Iran è effettivamente impegnato nella modernizzazione delle sue forze navali. Commissiona nuove navi. Ma l'Occidente è più preoccupato per la partecipazione della flotta iraniana alle operazioni contro le petroliere. Inoltre, gli Stati Uniti sono anche preoccupati per il supporto per gli Houthi, che la flotta iraniana nel Mar Rosso potrebbe fornire.
  Come sapete, la Quinta Flotta della Marina degli Stati Uniti è responsabile delle operazioni nel Mar Rosso, nel Golfo di Oman, nell'Oceano Indiano occidentale e nello Stretto di Hormuz, nonché nel Canale di Suez. Israele è considerato dagli Stati Uniti il ​​più importante alleato strategico in quest'area, con la quale si svolgono regolarmente esercitazioni militari congiunte.
  Ora Israele ha iniziato a collaborare con il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM). I dipartimenti militari di entrambi gli stati ritengono che la transizione di Israele alla cooperazione con il CENTCOM rafforzerà il potenziale della coalizione regionale statunitense con i paesi arabi contro le minacce comuni.
  La Marina israeliana ha precedentemente condotto esercitazioni congiunte con la Marina degli Stati Uniti. Alle manovre di febbraio hanno preso parte più di 9000 marinai e fino a 50 navi delle forze armate di diversi paesi della regione e membri della NATO. Apparentemente, le manovre attuali mirano anche non solo a migliorare l'interazione tra le flotte statunitensi e israeliane, ma anche a mostrare potere all'Iran e ai suoi associati Houthi nello Yemen.

(Top War, 4 agosto 2022)

........................................................


Twitter censura il prof. Shapira, ex direttore generale dell’Istituto israeliano per la ricerca biologica

Israele ha delle gravi responsabilità per il modo in cui ha affrontato per primo e continua a "combattere" il flagello del coronavirus. Non sono la sua scienza e la sua tecnica ad essere in discussione, ma la sua politica, caduta in una vischiosa trappola in cui rischia alla fine di essere accusato di chissà quali infernali macchinazioni contro il resto del mondo. Si spera che voci come quelle del prof. Shapira si elevino e siano raccolte anzitutto in Israele, per poi diffondersi nel resto del mondo. [Il risalto in colore è aggiunto]. NsI

Benny Gantz
e Shmuel Shapira
Il professor Shmuel Shapira MD MPH (colonnello), che è stato direttore dell’Istituto israeliano per la ricerca biologica dal 2013 al 2021, ha affermato che l’epidemia di vaiolo delle scimmie era correlata ai vaccini mRNA.
    Il Prof. Shapira è anche fondatore e direttore del Dipartimento di Medicina Militare della Scuola di Medicina dell’Università Ebraica e dell’IDF Medical Corps. È Senior Research Fellow presso l’International Institute for Counter-Terrorism (ICT) presso la Reichman University in Israele.
    In precedenza, Shapira è stato vicedirettore generale della Hadassah Medical Organization e direttore della Hadassah School of Public Health dell’Università Ebraica. È un colonnello in pensione delle Forze di difesa israeliane (IDF) ed era a capo del dipartimento traumatologico dell’IDF.
    Ha pubblicato più di 110 articoli scientifici sottoposti a revisione paritaria ed è editore di Essentials of Terror Medicine, Best Practice for Medical Management of Terror Incidents e Medical Response to Terror Threats.
    La scorsa settimana il professor Shapira, che è stato “danneggiato fisicamente” dopo la sua terza vaccinazione alla Pfizer, è stato censurato da Twitter e costretto a rimuovere un post che diceva: “I casi di vaiolo da scimmia sono rari da anni. Un singolo caso è stato documentato in Israele negli ultimi anni. È stato dimostrato che i vaccini mRNA danneggiano il sistema immunitario naturale. Epidemia di vaiolo delle scimmie dopo la massiccia vaccinazione contro il Covid: ‘non è un caso’
    Il Prof. Shapira, che ha lanciato il suo account Twitter nel gennaio 2022, è diventato sempre più critico nei confronti dei vaccini mRNA da quando ha denunciato per la prima volta il Genesis Award di Israele, presentato al CEO di Pfizer Albert Bourla.
    Il 6 febbraio 2022, Shapira ha chiesto: “Come valuteresti un vaccino che fa vaccinare le persone tre volte e le fa ammalare due volte (ad oggi)?” Per non parlare dei notevoli effetti collaterali?”
    Il 9 aprile 2022, Shapira ha dichiarato: “Il CEO dell’azienda i cui vaccini sono stati utilizzati per vaccinare milioni di persone in Israele ha dichiarato in un’intervista con la NBC che Israele funge da laboratorio del mondo. Per quanto ne so, questo è il primo caso nella storia in cui le cavie hanno pagato un prezzo esorbitante per la loro partecipazione”.
    Il 13 maggio 2022, Shapira ha dichiarato: “Sono stato vaccinato tre volte, sono stato gravemente danneggiato fisicamente, come molti altri […] Inoltre, la mia fiducia nella natura delle decisioni e nei processi con cui sono state prese è stata gravemente erosa. Nessuno ha chiesto e controllato. Combatterò con tutte le mie forze per garantire che vengano fornite risposte veritiere su tutte le decisioni e non solo sul vaccino[.]”
    L’8 giugno 2020, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha parlato in videoconferenza con il direttore generale dell’Istituto israeliano per la ricerca biologica, il prof. Shmuel Shapira, congratulandosi con lui per i suoi progressi nello sviluppo di un vaccino contro il nuovo coronavirus.
    6 agosto 2020 Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz, (a sinistra nella foto), parla con il Prof. Shmuel Shapira al laboratorio IIBR di Ness Ziona.
    Il 1° novembre 2020 sono iniziate le sperimentazioni cliniche per il vaccino israeliano BriLife COVID, sviluppato presso l’IIBR, presso i centri medici Hadassah e Sheba.
    Il 7 giugno 2022 Shapira ha dichiarato: “Stiamo parlando del quinto vaccino in due anni e mezzo. Se il vaccino è previsto per la sequenza da gennaio 2020 (il bisnonno del bisnonno delle varianti attuali). Un vaccino che non previene l’infezione non previene la morbilità. Ed è riferito che è associato a effetti collaterali significativi, per non dire altro. E perché? Qual è la logica? Quale autorità lo ha approvato? E non dite che prevenga una malattia grave, nessuno l’ha provato».
    L’8 giugno 2022, Shapira ha dichiarato: “Andrò avanti e chiederò perché viene somministrato un quinto vaccino obsoleto che non protegge dalle malattie e sembra causare molti effetti collaterali comuni significativi”.
    Il 5 luglio 2022, Shapira ha parlato del “figlio di un amico australiano di 36 anni” che “ha sviluppato gravi aritmie ventricolari ed è andato in insufficienza cardiaca” solo “pochi giorni dopo il secondo vaccino di Pfizer”.
    “Il risarcimento è automatico da parte del governo australiano”, ha affermato. “Nonostante il comportamento del loro governo, ammettono la connessione e la frase ‘nessuna connessione’ non compare nel dizionario”.
    Il 15 luglio 2022, Shapira ha condiviso un grafico dei tassi di COVID nel New South Wales, che mostra un aumento del rischio di infezione da COVID con ogni nuova dose di vaccino mRNA, commentando: “I dati ufficiali dall’Australia affermano che la probabilità di contrarre la malattia è in aumento con ogni iniezione aggiuntiva, poiché la quarta iniezione aumenta drasticamente il rischio. Secondo questo studio, dovrebbe essere un anti-vaccinazione, almeno da quello che mi è stato insegnato”.
    Il 18 luglio 2022, Shapira ha detto: “Non sono contro le vaccinazioni, sono contro la stupidità, contro la falsa scienza e contro la gestione incompetente”.
    Il 28 luglio 2022, Shapira ha dichiarato: “T mi ha avvertito di rimuovere la T che collega MP a C. Ogni giorno capisco meglio dove abitiamo e in quale tempo”.
    In altre parole, Twitter lo ha avvertito di rimuovere il tweet che collegava il vaiolo delle scimmie al vaccino contro il COVID.
    Il 31 luglio 2022, Shapira ha condiviso un collegamento a OpenVaers COVID Vaccine Adverse Event Reports che ha mostrato un totale di 1.357.937 segnalazioni tra cui 170.151 ricoveri e 29.790 decessi che ha semplicemente commentato: “Sicuro ed efficiente”
    In sintesi, il professor Shmuel Shapira, già direttore generale dell’Istituto israeliano per la ricerca biologica, potrebbe essere lo scienziato medico di grado più alto al mondo a criticare apertamente i vaccini COVID.
    L’Istituto israeliano per la ricerca biologica è stato fondato nel 1952 come istituto di ricerca statale da un gruppo di scienziati delle forze di difesa israeliane.
    Da allora, l’IIBR ha condotto ricerca e sviluppo in biologia, chimica e scienze ambientali per fornire allo Stato di Israele capacità di difesa chimica e biologica.
    In un mondo post-blocco in cui i governi stanno lavorando sempre più con Twitter, Facebook e YouTube per censurare le critiche ai vaccini COVID, anche i migliori scienziati medici vengono messi a tacere quando parlano di scienza che contraddice la narrativa dell’industria farmaceutica.
    C’è da sperare che il professor Shmuel Shapira – che in precedenza era il principale scienziato militare israeliano nella ricerca sulle armi chimiche e biologiche – ora prenda di mira i vaccini mRNA COVID e attiri maggiore attenzione sulla morte e distruzione che stanno infliggendo a molte persone mondo.

(GPNews, 4 agosto 2022)

........................................................


Louis Armstrong “ebreo d’adozione”? La storia segreta della famiglia che lo aiutò

di Roberto Zadik

Oggi, 4 agosto, Louis Armstrong avrebbe compiuto 121 anni. Noto per i suoi virtuosismi musicali e come uno dei più grandi trombettisti della scena jazz d’oltreoceano, per la vocalità espressiva e inconfondibile e i duetti con la grande cantante Ella Fitzgerald, Louis Armstrong indossava spesso  una Stella di David (Maghen David), simbolo ebraico, e mangiava pane azzimo come snack. Perché?
  Che cosa c’entra Armstrong con gli ebrei? A rispondere a questo curioso interrogativo un articolo di Aish.com, che svela una serie di particolari sulla tormentata ed economicamente assai disagiata infanzia del musicista e cantante jazz afroamericano.
  Autore di brani struggenti come What a wonderful world, commovente inno alla bellezza della vita ed emblema del suo ottimismo,  pubblicato poco prima della sua scomparsa a 70 anni, il 6 luglio 1971, Armstrong era nato a New Orleans il 4 agosto 1901 da una famiglia estremamente povera e disagiata. Il piccolo Louis venne abbandonato il giorno stesso della sua nascita da suo padre William. Dopo aver vissuto con sua nonna, fu costretto fin da piccolo a lasciare la scuola per aiutare la famiglia e cercare di sostenere gli sforzi compiuti dalla mamma e dalla sorella. Molto legato alla madre, Mayanne Albert, tormentato oltre che dai problemi economici anche dal razzismo crescente nella sua città, il piccolo Louis viveva di espedienti e girava per la città in cerca di fortuna, come altri bambini afroamericani.
  Nelle sue peregrinazioni alla ricerca di un lavoro, il piccolo Louis si imbatté nella Comunità ebraica locale e, in particolare, nella calorosa famiglia dei Karnofsky, provenienti dalla Lituania. Accomunati dalle sofferenze patite, a causa del contesto xenofobo e razzista dell’America di quegli anni, Armstrong si identificò profondamente nella sofferenza di quella Comunità mantenendo negli anni a venire un sentimento di affetto e stima verso gli ebrei.
  “Rispetto a quanto avevano passato nel loro Paese – ricorda il musicista nella sua autobiografia – gli ebrei negli Stati Uniti stavano sicuramente molto meglio che sotto le persecuzioni del periodo zarista e fronteggiavano bene le ostilità, aiutandosi vicendevolmente”. Nelle pagine della sua breve autobiografia Louis Armstrong e la famiglia ebraica a New Orleans, del 1969, il musicista sottolinea che “nella loro storia gli ebrei hanno sofferto molto più dei neri e quando avevo sette anni iniziavo ad assistere ai maltrattamenti subiti dalle famiglie ebraiche per cui lavoravo”.
  La famiglia Karnofsky era una di queste famiglie, per le quali Louis, nonostante fosse molto piccolo, si dava da fare aiutando i due figli, Alex e Morris a caricare il carbone sul loro carro trainato da un cavallo per poi venderlo in cambio di un secchio di nichel. Una volta, dopo aver ottenuto il metallo, Morris Karnofsky gli regalò un corno di latta suonando il quale Louis annunciava l’arrivo del vagone ferroviario. Proprio il suono di questo arnese fu per lui l’inizio del suo interesse per gli strumenti a fiato che consegnò il suo talentò alla storia della musica internazionale. Infatti, scrive con il suo consueto entusiasmo che “fu il regalo più bello che mi potessero fare”. Da quel momento egli cominciò a provare piacere nell’esibirsi, suonando il corno all’arrivo del vagone, davanti alla folla, improvvisando brani e dando gioia al suo pubblico.
  Louis si affezionò molto a Morris e alla famiglia Karnosfky, trovando l’affetto e la sicurezza di un focolare domestico che non aveva mai avuto prima, in quella famiglia ebraica che lo accolse come il “cugino Louis”, come lo soprannominarono, e diventandone parte. Il signor Karnosfksy insisteva ogni volta che si fermasse a cena con loro e Armstrong ricorda nel suo libro la “ninnananna russa” che il signor Karnofsky cantava ai suoi figli e che “anche io cantavo quando, a sette anni, cominciai a lavorare per loro”.
  Da quel momento provò a suonare con qualsiasi strumento, perfino con una pistola che apparteneva a suo patrigno; purtroppo, partì un colpo in aria e Louis venne arrestato e mandato in un carcere minorile estremamente rigido anche se, proprio lì, c’era una band con cui continuò a suonare.
  A rafforzare il suo rispetto e stima per gli ebrei fu anche l’ incontro con uno dei suoi primi manager, Joe Glazer, di famiglia ebraica russa, che lo influenzò nell’abitudine di indossare la Stella di David al collo e divenne suo intimo amico. Il massimo del successo arrivò negli anni ’50 in cui Armstrong divenne una icona americana esibendosi in una serie di live in giro per il mondo, dalla Scandinavia al Medio Oriente, compreso Israele. L’articolo di Aish.com si conclude ricordando la riconoscenza espressa da Armstrong verso gli ebrei e la famiglia Karnofsky e sottolineando che vari elementi della sua arte derivarono dal contatto con la cultura ebraica. Dal suo stile innovativo e aperto al mondo, ai valori etici e di solidarietà famigliare, al continuo miglioramento di se stessi.
  “Amerò gli ebrei tutta la vita” scrisse in quelle pagine autobiografiche “sono sempre stati molto gentili e rispettosi con me e mi hanno insegnato a vivere la vita con determinazione”. L’affetto verso gli ebrei venne mostrato dal musicista anche in alcune sue canzoni, secondo Forward.com, come in Louis and the Good Book in cui egli parla di un frammento del libro del profeta Daniele in cui tre ebrei rifiutarono di accettare l’idolatria babilonese rischiando la vita. La Torah e gli aneddoti biblici ispirarono anche brani come Jonah e la balena e Caino e Abele.

(Bet Magazine Mosaico, 4 agosto 2022)

........................................................


Addio a Corrado Israel De Benedetti. Fu tra gli arrestati della notte del 1943

Nato a Ferrara nel 1927, nel novembre 1949, dopo le traversie della guerra e l’esperienza del carcere, scelse di andare a vivere in Israele.

di Simonetta Della Seta

Corrado Israel De Benedetti
L’ultima volta che ho incontrato Corrado De Benedetti è stato pochi mesi fa nel suo kibbuz (comunità agricola israeliana) Ruchama, nei giorni della fioritura degli anemoni. Faceva freddo perfino nel deserto fiorito. E lui da lì pensava a Ferrara, la sua Ferrara, la città dove è nato nel 1927 e dove è cresciuto fino alla triste stagione delle leggi razziali, della Repubblica di Salò e della persecuzione antiebraica. Corrado Israel De Benedetti, venuto a mancare il 2 agosto in Israele, fu uno dei ferraresi imprigionati nel carcere di via Piangipane, dal quale uscì miracolosamente grazie alla tenace nonna Emilia Tedeschi Vita Finzi che ottenne per lui gli arresti domiciliari, dai quali fuggì grazie a un bombardamento. Altrimenti sarebbe stato deportato, come tanti altri suoi correligionari ferraresi. Il MEIS conserva le sue lettere dal carcere alla madre, in cui, appena sedicenne (aveva compiuto 16 anni in carcere), la sollevava e le dava speranza. Nel 2016 volle visitare il cantiere del museo, arrampicandosi, ormai quasi novantenne, su per le impalcature, pur di rivedere il luogo dove fu rinchiuso la notte del 14 novembre 1943. “Qui nel sottotetto c’erano i cameroni in cui eravamo chiusi a gruppi di quindici – spiegò - con un bugliolo per i nostri bisogni. Mentre di là c’era l’unico vero bagno disponibile, che potevamo usare solo se accompagnati da una guardia. Da lì comunicavamo con i parenti e gli amici all’esterno, che si appostavano sulle Mura. Mia nonna e mia madre fecero di tutto per non farmi mai mancare il cibo”. Di fronte a quella che identificò come la sua cella mi disse: “fu in questo luogo che cominciai a sognare una vita più giusta, fondata sui principi della eguaglianza e sui valori ebraici universali”.
  Fu per me, allora direttrice del MEIS, l’indicazione di una strada da seguire per rendere il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah un luogo che diffondesse proprio quei valori. A Ferrara volle tornarci nell’ ottobre del 2019 con tutta la sua grande famiglia, figli, nipoti e pronipoti. Fu per lui un momento di gioia e di grande soddisfazione far conoscere a tutti loro, e soprattutto ai nipoti più giovani, i luoghi in cui era vissuto, ma anche quelli dove era stato detenuto, dove poi si era nascosto e da dove era fuggito al nemico nazifascista. Fu il suo ultimo viaggio. Corrado De Benedetti è morto nuotando in piscina ancora lucido, come erano lucidi in lui la memoria e il sentimento per Ferrara. Nell’ebraismo ci si augura che il suo ricordo e il suo retaggio siano di benedizione per chi resta.

(Il Resto del Calino, 4 agosto 2022)

........................................................


Good Food Institute: Israele è leader nel foodtech

di Jacqueline Sermoneta

Crescono gli investimenti nelle startup israeliane specializzate nel settore del foodtech. Questo è quanto emerge dal report del Good Food Institute (GFI), secondo il quale, nel primo semestre del 2022, le aziende che si occupano di tecnologia alimentare hanno raccolto oltre 320 milioni di dollari, con un aumento del 160% rispetto allo scorso anno. Lo Stato ebraico si colloca così al secondo posto dopo gli Stati Uniti per raccolta di fondi.
  Remilk e Redefine Meat sono le startup israeliane che hanno attirato maggiormente l’attenzione degli investitori.
  Remilk offre latte e prodotti lattiero-caseari sintetici, realizzati cioè senza l’utilizzo di mucche. Ha raccolto 130 milioni di dollari di capitale e, ben presto, aprirà un mega stabilimento di 70mila metri quadrati in Danimarca, a Kalundborg, nel neonato distretto del cibo hi-tech.
  L’azienda Redefine Meat ha acquisito 135 milioni di dollari per la produzione di carne artificiale, utilizzando la tecnologia delle stampanti in 3D: perfetti facsimili di bistecche e hamburger, con la stessa consistenza e lo stesso gusto della carne convenzionale. Anche questa azienda sta progettando di aprire uno stabilimento nei Paesi Bassi.
  Negli Stati Uniti le startup del settore hanno raccolto 857 milioni di dollari di capitale nello stesso periodo di tempo. Israele è seguita dalla Cina con 120 milioni di dollari di investimenti, Singapore con 104 milioni di dollari e la Francia con 96 milioni di dollari.
  La ricerca del GFI ha evidenziato anche la crescita di altre aziende israeliane come Peace of Meat e Aleph Farms.
  “Questo è un settore giovane e coinvolgente, che, oltre al profitto, offre l’opportunità di modificare il sistema alimentare a livello globale” – ha affermato Aviv Oren del GFI Israel.

(Shalom, 4 agosto 2022)

........................................................


Nazionale di basket maschile israeliana

La squadra nazionale di basket maschile israeliana (ebraico : נבחרת ישראל בכדורסל) rappresenta Israele nei tornei internazionali di basket . Sono amministrati dalla Israeli Basketball Association . Israele è attualmente al 42° posto nella classifica mondiale FIBA .
  Israele si è qualificato per l' EuroBasket 29 volte nel corso della sua storia. Hanno anche fatto due apparizioni ai Mondiali e una alle Olimpiadi estive . Israele ha anche partecipato ai Giochi Asiatici dal 1966 al 1974. Il maggior successo che Israele ha avuto sulla scena internazionale fino ad oggi, è arrivato secondo all'EuroBasket 1979 , oltre a vincere due medaglie d'oro (1966 , 1974) e una medaglia d'argento (1970) ai Giochi Asiatici.
  La nazionale israeliana ha giocato la sua prima competizione internazionale ai Giochi Olimpici del 1952 . Tuttavia, la squadra verrebbe rapidamente espulsa nel torneo preliminare , con un record di (0–2) e perde contro Filippine e Grecia.
  Israele ha fatto il suo debutto nel campionato europeo di pallacanestro all'EuroBasket 1953 a Mosca. Nel turno preliminare, la squadra israeliana ha vinto il proprio girone per spareggio dopo essere stata una delle tre squadre a finire con un record di (3–1). Sono quindi passati al round finale, riuscendo a sconfiggere la perenne potenza della Cecoslovacchia e vendicandosi della Jugoslavia per la loro unica sconfitta nel round preliminare. Il loro record nel round finale è stato di (4–3), portandoli a un pareggio a 4 per il secondo posto dietro l'imbattuta Unione Sovietica . Israele alla fine è uscito in fondo a quel tie-break, finendo al 5° posto delle 17 squadre...

(hmn.wiki, 4 agosto 2022)

........................................................


Israele, elezioni. Lapid e Netanyahu intimiditi dagli ortodossi

Il primo accorcia la vacanza, il secondo spiega il taglio dei capelli

TEL AVIV - Nell'imminenza delle elezioni politiche di novembre, cresce il peso degli ebrei ortodossi che nella Knesset uscente disponevano complessivamente di 16 dei 120 deputati. Sia il premier centrista Yair Lapid sia il leader dell'opposizione nazionalista Benjamin Netanyahu ne hanno avuto oggi una conferma quando nelle reti sociali degli ortodossi si sono moltiplicate espressioni di riprovazione sia verso Lapid - per il suo progetto di prendersi una breve vacanza familiare - sia verso Netanyahu, per un taglio di capelli.
  All'origine delle proteste vi è la ricorrenza del 9 del mese di Av (un giorno di lutto solenne, in ricordo della distruzione del Tempio di Gerusalemme), che ricorre quest'anno il 9 agosto.
  Nell'apprendere che Lapid partiva in vacanza, il leader del partito ortodosso Shas, Aryeh Deri, lo ha redarguito severamente per non aver ancora visitato il Muro del Pianto a Gerusalemme e gli ha chiesto polemicamente se volesse inoltre ignorare il digiuno del 9 di Av. Lapid ha cambiato i piani, e rientrerà dalla vacanza sabato sera, prima dell'inizio del digiuno.
  Nei guai anche Netanyahu, dopo la diffusione sul web di un suo taglio di capelli. Secondo la tradizione, gli è stato fatto presente, gli ebrei osservanti non si tagliano i capelli nei giorni precedenti quel digiuno. La foto del barbiere è stata subito rimossa dal web. Dall'ufficio di Netanyahu è stato poi precisato che comunque circa il divieto del taglio dei capelli ci sono fra gli ebrei tradizioni diverse.

(ANSA, 3 agosto 2022)

........................................................


Israele cattura Bassam a-Saadi, leader Jihad in Cisgiordania: è allerta

TEL AVIV, 2 agosto 2022 – La notte scorsa, a Jenin (Cisgiordania), è stato arrestato il leader della Jihad islamica, Bassam a-Saadi. Un arresto avvenuto dopo un prolungato scontro a fuoco con miliziani palestinesi, uno dei quali è rimasto ucciso. Da Gaza l’ala militare della Jihad islamica ha minacciato attacchi di ritorsione, mentre Israele ha elevato lo stato di allerta nell’area vicina alla Striscia, temendo attacchi dall’enclave palestinese. Diverse arterie sono state chiuse al traffico da parte dell’esercito israeliano, un tratto della ferrovia è stato bloccato.
  “A seguito di una valutazione della situazione e delle attività terroristiche affiliate alla Jihad islamica palestinese, è stato deciso di bloccare le aree e le strade adiacenti alla barriera di sicurezza con la Striscia di Gaza”, si legge in un comunicato delle forze armate israeliane. “L’area è stata chiusa ai civili per una minaccia diretta e per prevenire un possibile attacco ai civili”, continua l’esercito, che ha anche annunciato la chiusura di una spiaggia, la soppressione dei treni tra le città di Ashkelon e Sderot e la chiusura del valico di Erez, unico punto di passaggio per le persone tra la Striscia di Gaza e il territorio israeliano.
  Gli israeliani hanno diffuso sul web due foto di a-Saadi, che lo mostrano con un cerotto sulla fronte ma – almeno in apparenza – in buone condizioni fisiche, dopo l’arresto e lo sceicco Khaled al-Batsh ha lanciato il suo avvertimento: “Israele si assume la piena responsabilità per lo sceicco Bassam a-Saadi e pagherà un duro prezzo se dovesse diventare un martire”. “Lo sceicco – ha ricordato – è uno dei fondatori del nostro movimento in Cisgiordania”.

(Quotidiano.net, 3 agosto 2022)

........................................................


Libano: possibile accordo sui confini marittimi con Israele

Per Hezbollah una nota di positività. Usa: “Un negoziato serio”

Il movimento sciita libanese Hezbollah aspetterà per vedere a quali conclusioni giungerà il fascicolo sulla delimitazione dei confini marittimi tra Libano e Israele. Lo ha dichiarato il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, all'indomani degli incontri delle massime cariche dello Stato libanese con il mediatore statunitense Amos Hochstein in Libano. Le posizioni dello Stato libanese e di Hezbollah sono in armonia considerando il "tempo limitato" rimasto per raggiungere un accordo. "Il tempo è limitato e alla luce della risposta agiremo", ha detto Nasrallah in un sermone per la ricorrenza dell'Ashoura, aggiungendo che Hezbollah ha "percepito un po' di positività”. Si registra verbalmente un'apertura da parte di Hezbollah, che nelle ultime settimane ha ripetutamente minacciato di agire nel caso di un accordo sfavorevole per il Libano.
  Durante gli incontri avvenuti lunedì primo agosto, il mediatore statunitense Amos Hochstein ha registrato dei "progressi" sul fascicolo della delimitazione dei confini marittimi. In un'intervista rilasciata all'emittente libanese "Lbci", il diplomatico Usa ha detto che nelle ultime settimane è emersa la "volontà da entrambe le parti di prendere sul serio i negoziati per affrontare direttamente le questioni e spero che saremo in grado di ridurre i divari". "Penso che abbiamo ridotto i divari prima di arrivare qui e abbiamo fatto dei progressi oggi e spero che possiamo continuare a fare quel tipo di progressi", ha detto il mediatore statunitense che a Beirut ha incontrato le massime cariche dello Stato.
  Per quanto riguarda le minacce del movimento sciita libanese Hezbollah contro Israele, Hochstein ha affermato: "Penso che gli Stati Uniti siano stati molto chiari sul fatto che l'unico modo per raggiungere una soluzione a questo conflitto di lunga data è il tavolo dei negoziati e attraverso la diplomazia". Hochstein è intervenuto anche sullo sfruttamento delle risorse energetiche del giacimento Karish, una parte del quale è contesa tra Israele e Libano. "Ci concentriamo su come raggiungere una decisione che permetta a Israele di continuare (l'attività esplorativa) e al Libano di iniziare ed entrare nel mercato dell'energia", ha affermato Hochstein. Infine, ha sottolineato che "ci sono molte ragioni che ci portano a concludere questi negoziati raggiungendo una conclusione, e credo che si possa fare, quindi dobbiamo raggiungere un accordo". Il mediatore dovrebbe tornare in Libano fra due settimane per riprendere i negoziati a Naqoura e firmare l'accordo. Oggi, 3 agosto, è attesa una riunione del governo israeliano dedicata al dossier.

(AMDuemila, 3 agosto 2022)

........................................................


Manoscritto del ‘700 dell’Inquisizione di Lisbona trovato e digitalizzato dalla Biblioteca Nazionale d’Israele

di Ilaria Ester Ramazzotti

Il manoscritto del '700
Tutti i dati sulle vittime, le accuse e le condanne dei primi 130 anni dell’Inquisizione portoghese a Lisbona. È quanto emerge da un manoscritto del XVIII secolo trovato negli Archivi centrali per la Storia del popolo ebraico della Biblioteca nazionale di Israele a Gerusalemme. Sessanta pagine che contengono informazioni sui processi condotti dagli inquisitori ecclesiastici contro i “nuovi cristiani” accusati di praticare segretamente l’ebraismo che, a quasi 500 anni dall’apertura a Lisbona degli uffici dell’istituzione cattolica, sono state digitalizzate per la prima volta.
  “Queste scoperte gettano luce sulle realtà di un capitolo complesso della storia ebraica, così come sull’ossessione dell’Inquisizione di rivelare qualsiasi forma di devianza, compresa ogni traccia della tradizione ebraica”, ha comunicato Yochai Ben-Ghedalia, direttore degli Archivi centrali per la storia del popolo ebraico presso la Biblioteca nazionale di Israele.
  Il documento ritrovato, scritto in portoghese, è intitolato “Memoria de todos os autos da fé que se tem feito em Lisboa” (Memoria di tutti gli autodafé che si sono svolti a Lisbona. Qui il link alle pagine digitalizzate sul sito della Biblioteca nazionale d’Israele).
  Gli autodafé, letteralmente “atti di fede”, erano dei raduni pubblici in cui le condanne delle vittime dell’Inquisizione, devianti rispetto all’ortodossia cattolica, venivano lette ed eseguite dalle autorità ecclesiastiche e civili. Erano altresì previste una messa, delle preghiere e una processione pubblica dei “colpevoli”. La maggior parte delle informazioni raccolte nel manoscritto riguarda gli autodafé svolti a Lisbona tra il 1540 e il 1669, con una breve menzione dei processi tenutisi a Tomar. Nel documento compaiono il numero delle vittime di ogni raduno, il numero dei condannati al rogo, le date e i luoghi del processo, i nomi dei sacerdoti cattolici che pronunciarono i sermoni pubblici. Sulle pagine si legge anche che, oltre ai “nuovi cristiani” accusati di “giudaizzare”, tra i perseguitati c’erano dei “vecchi cristiani”, provenienti da famiglie prive di origini ebraiche o musulmane, accusati di “sodomia, bigamia, possesso di libri proibiti e sacrilegio”.
  In generale, l’Inquisizione fu il risultato della politica di conversione dei musulmani e degli ebrei al Cristianesimo. La Chiesa cattolica diede il via ai processi inquisitori in Portogallo nel 1536, a cavallo di anni che videro un massiccio afflusso nel paese degli ebrei spagnoli costretti a convertirsi al cristianesimo in fuga dall’Inquisizione di Spagna, nata nel 1478. I processi cessarono dopo circa 250 anni, anche se l’Inquisizione portoghese non fu ufficialmente abolita fino al 1821.
  Nel corso dei secoli, alcuni degli ebrei convertitisi al cristianesimo in Portogallo hanno continuato a mantenere forme di osservanza ebraica in privato, come avevano fatto alcuni dei “nuovi cristiani”. Fra queste, la celebrazione in segreto e in ritardo rispetto al calendario ebraico dello Yom Kippur e di Pesach, per confondere le autorità, oppure l’accensione delle candele dello Shabbat all’interno di vasi di ceramica per nasconderne le fiamme. I bambini di età inferiore ai 12 anni non venivano fatti partecipare alle cerimonie religiose clandestine per impedire che rivelassero segreti che avrebbero potuto mettere in pericolo le loro famiglie.

(Bet Magazine Mosaico, 3 agosto 2022)

........................................................


Israele, scoperti recipienti per lo stoccaggio di 2.000 anni fa

di Jacqueline Sermoneta

FOTO
Portati alla luce nel sito archeologico dell’antica Shiloh, nella regione di Binyamin, una serie di rari reperti, tra cui cinque recipienti per lo stoccaggio, risalenti a circa 2mila anni fa.
  I grandi contenitori, al momento del ritrovamento, erano posizionati in fila, nascosti sotto terra, probabilmente allo scopo di mantenere al meglio il loro contenuto.
  Secondo quanto riferito dal Consiglio regionale di Mateh Binyamin, che gestisce il sito archeologico, l’obiettivo dello scavo era quello di cercare di determinare l’ingresso della città e la posizione dell’antico muro. I ricercatori hanno, inoltre, portato alla luce diverse stratificazioni che dimostrano tutti i periodi della storia in cui il sito era attivo, dall’Età del Bronzo all’Impero Ottomano. Il muro, risalente all’epoca cananea, per la prima volta fu scoperto da un gruppo di archeologi danesi 100 anni fa.
  Oltre ai recipienti, sono state ritrovate delle monete, una chiave e dadi di legno, di forma del tutto simile a quelli odierni.
  I reperti sono stati esposti ad una conferenza organizzata per celebrare i cento anni dai primi scavi effettuati nel sito a Shiloh.
  “Abbiamo il privilegio di mostrare reperti che sono la prova dei legami tra la regione di Giudea e Samaria e l’intera zona. – ha affermato Yisrael Gantz, capo del Consiglio regionale – Non c’è niente di più emozionante che conoscere la vita dei nostri antenati. Questa è la storia eterna del popolo ebraico e proprio questa storia ci dà forza”.

(Shalom, 3 agosto 2022)

........................................................


La gauche radicale porta il boicottaggio di Israele al Parlamento francese

di Giulio Meotti

ROMA - L’espressione “apartheid israeliana” è entrata nell’Assemblée Nationale francese. Trentasette parlamentari di sinistra hanno firmato una proposta di risoluzione che condanna il “regime di apartheid istituito contro il popolo palestinese da Israele”. La risoluzione che accusa lo Stato ebraico è stata redatta da Jean-Paul Lecoq del Parti Communiste, vicepresidente della commissione Affari esteri. A firmarlo anche Fabien Roussel, che si è candidato alla presidenza. Dieci membri del partito di sinistra La France Insoumise – tra cui Adrien Quatennens, secondo in comando del leader del partito Jean-Luc Mélenchon – hanno dato il loro sostegno alla proposta, insieme a molti Verdi e socialisti.
  Il parlamentare socialista Jérôme Guedj in dissenso ha affermato che il testo “puzza di odio per Israele”. Il Consiglio di rappresentanza delle istituzioni ebraiche in Francia (Crif) ha definito la risoluzione il “riflesso di un antisemitismo nascosto sotto una maschera antisionista”.
  Oltre all’accusa di apartheid, i firmatari chiedono la legalizzazione del boicottaggio dei prodotti israeliani. Sul Journal du dimanche, il filosofo Michel Onfray accusa la sinistra di antisemitismo. “Siamo entrati nel terzo periodo dell’antisemitismo: dopo la formula antiebraica cristiana che si riferiva al popolo deicida e la formula anticapitalista, ecco che arriva il momento della formula antisionista che permette alla sinistra del filo spinato di invitare all’odio del popolo d’Israele fin dal 1948 invocando il colonialismo, i crimini contro l’umanità e il regime dell’apartheid”, scrive l’autore di “Decadenza”. “Questo antisionismo deriva da un islamo-sinistra i cui sostenitori negano che esista, perché la negazione è il modo migliore per rifiutare il dibattito: non si discute di ciò che non esiste”.
  Il Drumont de “La France Juive” avrebbe applaudito, scrive ancora Onfray. “Una mitologia che permette alla ‘sinistra’ di credere di incarnare sistematicamente il campo del bene, della moralità e della virtù, anche quando adorna il suo antisemitismo con un antisionismo già condiviso dal Gran Mufti di Gerusalemme che auspicava ardentemente la vittoria del Terzo Reich”. Ci sarebbe davvero molto da dire sulla panoplia dell’uomo di sinistra, commenta Onfray: “Dall’‘uomo rigenerato’ con il tribunale rivoluzionario e la ghigliottina di Robespierre nel 1793, all’‘uomo destrutturato’ e alla mercificazione del corpo umano e all’acquisto di figli di madri surrogate, una tratta di esseri umani sostenuta oggi da una certa sinistra – ci sarebbe davvero del lavoro da fare”.
  E Onfray conclude: “A Tel Aviv, dove un amico mi ha ospitato nel quartiere di Jaffa, sono stato svegliato di prima mattina dal richiamo del muezzin dall’alto del minareto di una delle quattro moschee della città! Che strano regime di apartheid in cui la ‘razza palestinese’ può pregare il suo Dio in tutta sicurezza!”.
  Ci sono quattrocento moschee in Israele, di cui settantatré a Gerusalemme e il loro numero è quintuplicato dal 1988; il 19,6 per cento degli israeliani sono musulmani e il loro numero è decuplicato dal 1948; trecento imam sono pagati dal governo israeliano e migliaia di musulmani servono nell’esercito israeliano; infine, durante il Ramadan i dipendenti pubblici fanno festa. Davvero la più crudele apartheid della storia.

Il Foglio, 3 agosto 2022)

........................................................


L’ebreo emancipato di Bruno Karsenti

di Elena Lattes

Nonostante abbia cominciato ad essere utilizzato nel ‘700 dai cattolici irlandesi e, in seguito, durante la Rivoluzione francese, il concetto di emancipazione si sviluppa fondamentalmente nel XIX secolo. Spiegandone la genesi e il suo significato, Bruno Karsenti, “directeur d’études all’École des Hautes Études en Sciences Sociales” di Parigi, offre in poche pagine una riflessione sulla condizione dell’antisemitismo attuale in Europa in “L’ebreo emancipato” pubblicato dalle Edizioni EDB per la collana Lampi.
  È nel 1789, infatti, che gli ebrei, per la prima volta in Europa, dopo secoli di vessazioni, sono riconosciuti come individui, al pari di tutti gli altri cittadini. Contemporaneamente, però, vengono loro negati i diritti come Nazione, privandoli così di un’espressione collettiva ed identitaria.
  Questa campagna di difesa/attacco o, se vogliamo, di riconoscimento e contemporanea parallela privazione non elimina il problema dell’odio verso la minoranza, ma anzi lo accentua e lo trasforma, causando, di conseguenza, la nascita di una nuova forma di razzismo: dall’antigiudaismo si comincia a passare all’antisemitismo.
  Naturalmente non è un processo netto e lineare, innanzi tutto perché: “uno Stato costituzionale repubblicano non abolisce i gruppi d’appartenenza. Solo uno Stato totalitario pretende realmente questo genere di abolizione. La Repubblica, anche nelle sue versioni più intransigenti, non ha mai veramente cercato di non avere di fronte a sé che degli individui separati dai loro collettivi d’appartenenza. L’operazione repubblicana è più sottile e, in un certo senso, più esigente”.
  Un altro motivo è che gli stessi esponenti di questa teoria hanno modificato le loro idee nel corso del tempo, come per esempio L’Abbé Grégoire, “membro della nuova Assemblea nazionale tra le fila del Terzo Stato” e che “aveva vinto nel 1787 il concorso dell’Accademia di Metz rispondendo alla domanda Vi sono dei mezzi per rendere gli ebrei più utili e più felici?”. Egli vi risponde esprimendo tutti i suoi pregiudizi e non considerando affatto la questione dell’emancipazione, poiché “intende migliorare la loro sorte, ma senza pretendere l’impossibile”.
  Due anni più tardi, il suo punto di vista si trasforma radicalmente: “questa volta, è la nazione che si trova in una situazione di rigenerazione. Uno a uno, gli ebrei sono incurabili, a meno che non li si estirpi dalla loro condizione con la forza, e addirittura ciò non è possibile se non li si prenda nella loro prima giovinezza e non li si sradichi completamente. (…) La nazione non conosce degenerati, perché la rigenerazione collettiva ha cancellato tale condizione primaria. (…) L’emancipazione individuale può acquisire senso perché l’emancipazione collettiva ha avuto luogo e la sostiene”.
  In quegli anni nasce, dunque, la “questione ebraica” o il “problema ebraico”, a seconda di chi e come lo affronta. Le due espressioni sono state infatti adottate da numerosi filosofi, politologi, sociologi, psicologi e storici: da Bruno Bauer a Marx, da Giovanni Spadolini a Giorgio Israel. Apparentemente simili, sono in realtà quasi l’opposto e questo è un paradosso da esaminare ed analizzare “da vicino”.
  Resta il fatto che la questione ebraica dovrebbe essere una “questione comunitaria” e non si dovrebbe essere riluttanti “a farne una questione di filosofia politica generale”. L’imbarazzo che suscita quando se ne parla è uno dei sintomi di una delle forme dell’antisemitismo moderno, insieme alla concezione distorta per cui “dietro ad ogni individuo ci sia un gruppo invisibile”.
  L’altro elemento è più esplicito e di una violenza “specifica, per certi aspetti inaudita”: quello delle aggressioni e degli attentati: “quale altra comunità in Europa vede i propri bambini correre il rischio di essere uccisi a bruciapelo perché ebrei? - si chiede l’autore - ed è una violenza che, oltre alle vittime che provoca, oltre alla sofferenza che causa nei suoi bersagli e all’insicurezza che genera”, spinge gli ebrei ad andarsene (e qui il pensiero del lettore corre inevitabilmente alla Francia, come esempio emblematico).
  Karsenti, infine, non offre soluzioni, ma invita a riflettere, a sforzarci di comprendere e a ricominciare a parlare, appunto, del processo di emancipazione e di cosa ne ha bloccato l’impulso.

(Agenzia Radicale, 1 agosto 2022)

........................................................


Israele: arrestato capo della Jihad islamica. Altissima tensione a Gaza

Altissima tensione al confine con la Striscia di Gaza dopo l'arresto di Bassem Saadi, capo della Jihad Islamica Palestinese.

Questa mattina l’esercito israeliano ha ordinato la chiusura di diverse autostrade principali lungo il confine con Gaza, come misura precauzionale contro possibili attacchi dall’enclave costiera, dopo l’arresto di un membro di spicco del gruppo terroristico palestinese della Jihad islamica in Cisgiordania.
  Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno dichiarato in un comunicato che la decisione è stata presa a seguito di una valutazione della situazione durante la quale l’esercito ha identificato un’intensificazione delle attività da parte di combattenti legati alla Jihad islamica che ponevano “una minaccia diretta di un possibile attacco ai civili israeliani”.
  Le autostrade chiuse includono la Strada 4 dallo svincolo di Zikim al valico di Erez; la Strada 34 dallo svincolo di Yad Mordechai allo svincolo di Nir Am; e la Strada 232 dallo svincolo di Nir Am al valico di Kerem Shalom; e le strade di accesso per gli agricoltori a ovest della Strada 232.
  L’esercito ha anche chiuso la spiaggia di Zikim, vicino al confine con Gaza, e ha iniziato a bloccare il traffico tra Ashkelon e Sderot.
  Ha inoltre chiuso diversi siti che si affacciano sulla Striscia, tra cui il belvedere di Sderot e il vicino sito di osservazione di Asaf Siboni, il memoriale della Freccia Nera e il belvedere di Givat Nizmit vicino a Mefalsim e la collina del Cavaliere fuori dal Kibbutz Nir Am. Nel 2018, un autobus dell’esercito è stato colpito da un missile guidato anticarro presso il sito della Freccia Nera.
  Inoltre, l’IDF ha chiuso il valico di Erez per i pedoni che entrano ed escono da Gaza. Il checkpoint di confine è utilizzato da migliaia di lavoratori palestinesi ogni giorno.
  Le ferrovie israeliane hanno annunciato che i treni cesseranno di circolare tra le città meridionali di Ashkelon e Netivot e che anche la vicina stazione di Sderot sarà temporaneamente chiusa.
  L’Ufficio del Primo Ministro ha dichiarato che il Primo Ministro Yair Lapid terrà una valutazione della situazione con il Ministro della Difesa Benny Gantz, il capo dell’IDF Aviv Kohavi, il capo dell’agenzia di sicurezza Shin Bet Ronen Bar, il consigliere per la sicurezza nazionale Eyal Hulata, il vice primo ministro Naftali Bennett e altri funzionari.
  Nella tarda serata di lunedì, l’IDF ha condotto un raid nella città di Jenin per arrestare un alto funzionario della Jihad islamica palestinese durante il quale è stato ucciso un adolescente palestinese.
  Bassem Saadi, il capo del gruppo terroristico della Jihad islamica palestinese in Cisgiordania, è stato arrestato insieme al genero e aiutante Ashraf al-Jada.
  Secondo alcuni rapporti, Saadi sarebbe stato ferito da un colpo d’arma da fuoco durante l’incidente. In seguito è stato riferito che è stato ferito dopo essere stato morso da un cane militare durante il suo arresto, con la pubblicazione di un video dell’evento.
  Secondo lo Shin Bet, Saadi, 61 anni, è stato imprigionato e rilasciato da Israele sette volte nel corso degli anni.
  Lo Shin Bet ha dichiarato che negli ultimi mesi Saadi “ha lavorato ancora più duramente per ripristinare le attività di PIJ ed è stato l’artefice della creazione di una significativa forza militare dell’organizzazione in Samaria in generale e a Jenin in particolare”, riferendosi alla Cisgiordania settentrionale.
  “La sua presenza è stata un fattore significativo nella radicalizzazione degli operatori dell’organizzazione sul campo”, ha aggiunto lo Shin Bet.
  In risposta all’arresto, il Jihad islamico, con sede a Gaza, ha annunciato in un comunicato di aver dichiarato lo stato di “allerta” e di aver aumentato la “prontezza” dei suoi combattenti in seguito all’arresto di Saadi.
  Il Ministero della Sanità dell’Autorità Palestinese ha identificato la vittima palestinese come Dirar al-Kafrayni, 17 anni. Un secondo palestinese è rimasto moderatamente ferito, ha dichiarato il ministero.
  Un’ala locale della Jihad islamica ha rivendicato la responsabilità di aver sparato contro le truppe israeliane che operavano a Jenin, e i funzionari israeliani hanno detto che le truppe hanno risposto al fuoco contro gli uomini armati che hanno aperto il fuoco, colpendo diversi di loro.
  L’IDF e la Polizia di frontiera hanno dichiarato che durante l’operazione sono stati sequestrati una pistola, munizioni e denaro a Saadi e al-Jada. Secondo lo Shin Bet, al-Jada, un agente del PIJ, era già stato incarcerato in Israele.
  Jenin è considerata un focolaio di attività terroristiche. Gli uomini armati e gli altri attentatori che hanno compiuto diversi attacchi terroristici mortali all’inizio dell’anno provenivano dalla città e dal suo campo profughi.
  La tensione è rimasta alta in Cisgiordania, mentre le forze di sicurezza israeliane hanno intensificato le incursioni e le operazioni di arresto in seguito all’ondata di attacchi terroristici contro gli israeliani che hanno causato 19 morti all’inizio dell’anno.
  In incursioni separate all’alba in tutta la Cisgiordania, le truppe hanno arrestato 12 palestinesi ricercati, con scontri violenti in alcune aree, ha dichiarato l’IDF.
  Nel campo profughi di Far’a, l’IDF ha dichiarato che mentre le truppe arrestavano due sospetti terroristi, decine di palestinesi hanno aperto il fuoco e lanciato pietre, bombe molotov e ordigni esplosivi di fortuna contro le truppe.
  L’IDF ha dichiarato che le truppe hanno risposto al fuoco, colpendo alcuni dei rivoltosi e degli uomini armati palestinesi. Secondo i media palestinesi, che citano il servizio medico della Mezzaluna Rossa, i feriti sono cinque, di cui uno in gravi condizioni.
  Secondo i funzionari, nessun soldato israeliano è stato ferito durante le operazioni.
  La settimana scorsa, due uomini armati palestinesi sono stati uccisi in un raid militare israeliano nella città di Nablus, nel nord della Cisgiordania.

(Rights Reporter, 2 agosto 2022)

........................................................


La "Nato mediorientale" è una minaccia per Israele?

All'ombra della minaccia missilistica e nucleare iraniana, sempre più governi arabi nella regione si stanno coordinando. Si parla addirittura di fronte comune, compreso Israele.

di Ariel Schneider

Da settimane fonti arabe parlano di consultazioni di alti ufficiali militari che si svolgono da marzo di quest'anno. In uno di questi incontri a Sharm El Sheikh, il capo di stato maggiore israeliano, Aviv Kochavi, avrebbe incontrato le controparti arabe, incluso il capo di stato maggiore saudita Fayyad bin Hamid Al-Ruwaili. Sebbene Riyadh e Gerusalemme non abbiano ancora legami ufficiali, è lecito ritenere che entrambi i paesi stiano cooperando dietro le quinte contro la minaccia sempre crescente dell'Iran.
  La notizia degli incontri regionali e il maggiore coordinamento tra i governi sunniti e Gerusalemme stanno mettendo sotto pressione l'Iran, soprattutto perché i leader arabi stanno prendendo in considerazione la possibile formazione di un'alleanza militare in Medio Oriente. Tale alleanza militare nella regione del Medio Oriente funzionerebbe in modo simile alla NATO. Tanto che alcuni stanno già parlando di “Nato mediorientale”. Il quotidiano iraniano Teheran Times si è recentemente espresso contro tale alleanza, citando fonti israeliane e arabe.
  "Io vedrei molto volentieri più paesi arabi della regione unirsi a questa alleanza", ha detto il re Abdallah II di Giordania. "Sarò uno dei primi a sostenere una tale NATO in Medio Oriente. Ma il compito di questa alleanza militare in Medio Oriente deve essere molto chiaro, altrimenti confonderà tutti. Spero che nel 2022 ci sarà una nuova atmosfera nella regione in cui possiamo creare nuove connessioni e lavorare meglio insieme". La NATO in Occidente, nota anche come Patto Nordatlantico, è una coalizione di Stati democratici che si vogliono aiutare militarmente e politicamente. L'alleanza si è anche impegnata per la libertà e la pace nel mondo. Se uno stato viene attaccato, gli alleati parteciperanno alla difesa del paese. Si dice che la NATO sia una delle alleanze di sicurezza più importanti al mondo, ma questo è discutibile. Il Patto Nordatlantico collega la sicurezza dell'Europa e del Nord America da oltre 70 anni. Fu concluso nell'aprile 1949 come parte della politica di contenimento degli Stati Uniti contro l'Unione Sovietica. Ci si può ora chiedere se un'alleanza simile sia possibile anche in Medio Oriente. Se il comunismo e l'URSS furono allora i fattori provocanti questa alleanza, oggi in Medio Oriente sarebbe l'Iran con il suo armamento nucleare.
  Per le sue capacità militari e tecniche, Israele gioca un ruolo importante nelle considerazioni preliminari di questa alleanza. Come gli Stati Uniti sono stati responsabili del Patto Nordatlantico nel secolo scorso, oggi Washington ha una mano in Medio Oriente. La visita di Joe Biden in Medio Oriente a luglio ha contribuito. A Riyadh, il presidente degli Stati Uniti ha partecipato a un vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo Persico, insieme al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, al re giordano Abdullah II e al primo ministro iracheno Mustafa al-Qadimi. I piani di Washington di stringere un'alleanza militare nella regione sono alimentati dai commenti del re giordano, mentre Gerusalemme tace.
  Ciò che è particolarmente allarmante per Washington, Riyadh e gli Stati del Golfo in questi giorni sono gli sviluppi militari-tattici in Iran, soprattutto per quanto riguarda i droni, i cosiddetti UAV (veicoli aerei senza pilota). Questi rappresentano una nuova e complessa minaccia che sta minando la superiorità aerea di Stati Uniti e Israele in Medio Oriente. Di conseguenza, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan sta ora lavorando per garantire che gli alleati arabi statunitensi in Medio Oriente trovino soluzioni per ridurre la minaccia rappresentata dai droni iraniani. Un'alleanza regionale deve partire dai circoli di sicurezza israeliani, in cui gli Stati Uniti, Israele, diversi stati del Golfo e altri stati arabi istituiscano un sistema di allerta e intercettazione per i droni iraniani. I droni iraniani sono già ampiamente utilizzati e rappresentano un pericolo non solo per i non sciiti, ovvero sunniti ed ebrei. Hezbollah ha pilotato ripetutamente droni iraniani dal Libano nello spazio aereo israeliano. Israele ha per questo un sistema che i paesi sunniti nelle vicinanze di Israele ora vogliono urgentemente acquisire.
  Senza citarlo apertamente, il re giordano ha accennato a Israele, sottolineando che "la missione di una NATO araba dovrebbe essere chiara". Che succede se il regime degli Ayatollah cade e un nuovo governo sciita a Teheran stringe nuovi legami con i suoi correligionari sunniti? Quando l'avversario comunista sotto forma di URSS si è disintegrato negli anni '90, la NATO ha cercato una nuova ragion d'essere. Gliel'ha data l'invasione russa dell'Ucraina. Ma in Medio Oriente questo scenario arabo della NATO può giocare anche contro Israele. Come si inserisce uno stato membro ebraico in un'alleanza musulmana? L'Alleanza del Nord Atlantico è composta da 30 Stati membri cristiani. Per un certo tempo c'è stata l'idea di ammettere un membro musulmano, ovvero la Turchia. Come sarebbe considerata l'alleanza tra ebrei e musulmani in una nuova NATO? Stando alla Bibbia, Dio critica tali patti.
  Promemoria: La Lega Araba, in quanto federazione regionale, ha combattuto per decenni lo Stato ebraico. E all'epoca l'Iran non era un membro di questa alleanza sunnita. Questo mostra quanto sia profondo il divario tra sunniti e sciiti: più profondo di quello con gli ebrei. Questa spaccatura all'interno della comunità islamica iniziò con le controversie su chi sarebbe successo al profeta Maometto. Nell VII secolo la maggioranza dei musulmani voleva scegliere liberamente un candidato. Una minoranza, invece, chiese che il successore provenisse dalla famiglia di Maometto e si stabilisse sul cugino Ali. I seguaci di questa minoranza si chiamavano il partito di Ali, Shiat Ali, poi sciiti. I sunniti, insieme a ebrei e cristiani, vogliono stringere un'alleanza contro questi sciiti. I circoli di sicurezza israeliani negano che questa sia una benedizione. Perché l'armamento nucleare iraniano è rivolto esclusivamente contro Israele. Che succede se "il Moro ha fatto il suo dovere, adesso se ne può andare"? [riferimento a "La congiura dei Fieschi" di Friedrich Schiller", ndt].

(israel heute, 2 agosto 2022 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

........................................................


La Romania risarcirà i sopravvissuti alla Shoah in Israele

di Luca Spizzichino

I cittadini israeliani sopravvissuti alla Shoah saranno riconosciuti idonei a una pensione mensile dalla Romania per la persecuzione durante la guerra. L'accordo tra l’Autorità per i diritti dei sopravvissuti e l'agenzia assicurativa nazionale rumena è stato annunciato dal primo ministro Yair Lapid e il ministro per l'uguaglianza sociale Merav Cohen.
  Durante la seconda guerra mondiale, la Romania fu governata dal maresciallo Ion Antonescu, un fascista che collaborò e partecipò al genocidio degli ebrei europei da parte della Germania nazista. Secondo un rapporto pubblicato dal governo rumeno nel 2004, in Romania furono assassinati tra 280.000 e 380.000 ebrei, esclusi tutti quelli uccisi nei territori rumeni temporaneamente sotto il controllo ungherese.
  "Come figlio di un sopravvissuto alla Shoah, sono commosso per la firma di questo importante accordo. Lo Stato d’Israele deve fare di tutto affinché i sopravvissuti possano vivere qui nel Paese con la dignità che meritano. - ha affermato il premier israeliano - Oggi correggiamo un ingiustizia. Questo è il nostro obbligo fondamentale come società: fare in modo che i sopravvissuti vivano la loro vita nel miglior modo possibile”.
  Il ministro per l'uguaglianza sociale Cohen si è soffermata sull’importanza di migliorare la situazione economica dei sopravvissuti: sviluppando ulteriormente i servizi dedicati a loro e consentirgli di invecchiare con dignità.
  “L'anno scorso abbiamo concluso accordi con diversi paesi, che hanno portato centinaia di milioni di shekel, che saranno trasferiti sui conti dei sopravvissuti” ha spiegato il ministro. Questi accordi hanno consentito ad alcuni sopravvissuti di aumentare le loro entrate mensili di migliaia di shekel. “Continueremo ad agire con tutta la forza a favore dei sopravvissuti alla Shoah e della popolazione anziana in generale” ha concluso.

(Shalom, 2 agosto 2022)

........................................................


“Pensavo che tutti gli israeliani portassero un’arma”

Una ragazzina di Gaza in Israele, oltre paure e pregiudizi

di Nathan Greppi

Avendo provato in prima persona gli orrori della guerra fin dalla tenera età, la dodicenne di Gaza “Gimel”, identificata con la prima lettera del suo nome in ebraico per preservarne l’anonimato, ha sviluppato un disturbo da stress post-traumatico. Molto diffuso in particolare tra i militari rimasti traumatizzati in guerra, a causa di questo disturbo la giovane viveva sempre nella paura, tanto che non riusciva a prendere parte alle varie attività con i suoi coetanei né a separarsi dai genitori.
  Per aiutarla a superare le sue paure, il padre è riuscito ad ottenere un permesso per portarla oltre il confine tra la Striscia e Israele. Come ha spiegato il Times of Israel, raramente capita che dei gazawi ottengano il permesso di superare il confine, e loro hanno ottenuto il supporto del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth e del relativo sito Ynet per compiere quella che è stata definita una “visita di resilienza”.
  “Le sue paure la dominavano,” ha spiegato al sito Ynet il padre di Gimel, che si reca spesso oltre il confine per lavoro. “Ogni volta che vado in Israele, ha paura che mi succeda qualcosa. Le ripeto continuamente che non c’è niente di cui preoccuparsi, che ci vado per guadagnarci da vivere.”
  Da qui, l’idea che portarla in Israele l’avrebbe aiutata a superare le sue paure. Purtroppo, ha spiegato, “ci sono bambini a Gaza che pensano che in Israele vivano dei mostri che vogliono uccidere gli arabi.” Una volta entrata nel paese, non ha mai smesso di riprendere con la videocamera del cellulare, meravigliata dai prati e dalle zone verdi. Il padre le ha fatto fare un giro di 4 giorni, durante i quali hanno visitato diverse città, quali Gerusalemme, Ashkelon, Giaffa e Tel Aviv.
  Ha anche conosciuto altri bambini israeliani nel Kibbutz Nir Am, situato a ridosso del confine con la Striscia. Con uno di questi, Shoham, nonostante non parlassero la lingua dell’altro hanno comunicato tramite app di traduzione sui telefonini. Gimel e il padre si sono confrontati con la gente del posto; all’inizio i bambini ebrei avevano paura quando scoprivano che erano di Gaza, ma dopo un po’ di confronto c’è stata comprensione reciproca.
  Nel corso della sua visita, Gimel si è recata anche in uno zoo a Sderot gestito dal Centro Hossen (“resilienza” in ebraico). Siccome Sderot è stata negli ultimi anni una delle città israeliane più colpite dai missili che partivano da Gaza, nel Centro Hossen si sviluppano varie terapie per aiutare chi ha riportato traumi simili a quello di Gimel; terapie che, in alcuni casi, riguardano il prendersi cura degli animali.
  Ad accompagnarla è stato Ibrahim al-Etauna, direttore del Centro di Resilienza Beduino del Negev, il quale ha poi detto a Ynet: “Ho avuto l’impressione che abbia capito come la realtà non sia bianca o nera, ma il pensiero della guerra la spaventa tuttora. In ogni caso, ha detto che d’ora in poi sarà meno preoccupata quando il padre andrà a lavorare in Israele.”
  Al termine del giro, Gimel si è detta soddisfatta dell’esperienza: “Pensavo che in Israele tutti avessero uniformi militari e portassero le pistole, ma gli ebrei erano proprio carini,” ha detto. Dal canto suo, il padre ha voluto pensare positivo: “Vogliamo vivere da buoni vicini, con amore e cooperazione. Spero che un giorno tutta questa situazione finisca, e che i bambini gazawi e israeliani possano convivere da bravi vicini. Fosse per loro, ci sarebbe già la pace e tutto sarebbe a posto. Spero che mia figlia possa visitare nuovamente Israele.”

(Bet Magazine Mosaico, 2 agosto 2022)

........................................................


L’ambasciatore israeliano Dror Eydar in visita a Santa Luce Breaking news, Notizie dalla toscana

PISA – L’ambasciatore dello Stato d’Israele, Dror Eydar, domenica scorsa è stato in visita nel comune di Santa Luce. Accompagnato dall’avvocato Celeste Vichi, in qualità di presidente dell’Unione Associazioni Italia-Israele, e dal vice-Sindaco Patrizio Loprete, il diplomatico si è recato in alcuni dei luoghi più significativi del nostro territorio.
  Il viaggio è iniziato dalla diga Solvay sul lago di Santa Luce, dove Dror Eydar a lungo si è intrattenuto con il direttore dello stabilimento di Rosignano Nicolas Dugenetay, con l’avvocato Raffaele Calabrese De Feo (responsabile public affair Italia) e con l’ingegner Lorenzo Bagnoni, responsabile della logistica. Eydar ha prospettato la possibilità di un contatto tra Solvay e un’azienda israeliana specializzata nella produzione di impianti che captano l’umidità e la trasformano in acqua potabile.
  Sempre accompagnato da Patrizio Loprete e Celeste Vichi, l’ambasciatore israeliano si è poi spostato ad una nota azienda vinicola del territorio, mostrando un forte interesse per il panorama e i vigneti, ma soprattutto per la barriccaia dell’azienda. La sua curiosità si è appuntata sui tini di cocciopesto, che conferiscono al vino un sapore particolare e inconfondibile. Quindi è stata la volta dell’Istituto Lama Tzong Khapa, dove Dror Eydar ha visitato la sala del gompa intrattenendosi a lungo con il venerabile Massimo Stordi. Infine ha preso parte alla presentazione del libro dal titolo “Cuscus” di Daniela Tedeschi, intervenendo durante il dibattito per sottolineare il legame tra cibo, ricordi e origini: “Il cuscus – ha detto – ha per me lo stesso valore delle Madeleine per Marcel Proust. Basta un profumo, un sapore perché il passato riaffiori spezzando la dicotomia con il presente e il tempo diventi uno solo”.
  In tanti hanno preso parte alla presentazione del libro di Daniela Tedeschi al Circolo ricreativo di Pomaia: non un semplice libro di ricette ma un autentico viaggio nelle tradizioni kosher. Gli stessi, tanti, hanno poi aderito alla cena organizzata nei locali del circolo, durante la quale il Sindaco Giamila Carli ha portato i saluti della comunità: “Questo è un giorno importante per noi. È la prima volta che un ambasciatore visita il nostro territorio”. Il brindisi, propiziato dal diplomatico, ha chiuso la serata gastronomica, prologo del concerto del gruppo Jewish Jazz Project, capitanato dall’eclettico chitarrista Giovanni Cifariello. Il gruppo ha proposto un originale connubio tra musiche jazz e klezmer, revisionando anche brani celebri come Miserlou, Tate Freilach, Sirba, noti per essere stati le colonne sonore di film di successo.

(STAMP Toscana, 2 agosto 2022)

........................................................


Apple sceglie Gerusalemme per i suoi processori

Il colosso tecnologico statunitense Apple sta espandendo le sue operazioni in Israele, aggiungendo un nuovo centro di sviluppo a Gerusalemme insieme ai suoi uffici esistenti a Herzliya e Haifa.
  L’annuncio è stato fatto su LinkedIn in un post in lingua ebraica da un headhunter Apple che cercava di assumere ingegneri israeliani. Secondo il post, il centro di Gerusalemme si concentrerà sugli sviluppi dei processori per computer Mac. Apple ha fatto affidamento sui chip Intel, ma si è preparata a scambiare le restanti parti Intel con processori interni personalizzati. Alla fine del 2020, il team di Apple in Israele erano dietro i chip M1, il primo chip di Apple sviluppato e costruito internamente per desktop e laptop. All’inizio del 2020, il CEO di Apple Tim Cook ha annunciato ufficialmente che l’azienda avrebbe prodotto i propri processori per desktop e laptop, come parte della propensione del gigante della tecnologia a controllare quante più parti possibili dell’hardware nei suoi prodotti. L’azienda aveva già utilizzato progetti interni per i suoi iPhone, iPad e Apple Watch e ora sta utilizzando le sue conoscenze per la sua linea di computer.
  Apple ha aperto il suo primo ufficio israeliano a Herzliya nel 2015, dopo aver acquisito la startup israeliana Anobit per circa $390 milioni di dollari nel 2012. Apple ha anche acquistato la società israeliana di rilevamento 3D PrimeSense nel 2013. Johny Srouji, originario di Haifa, vicepresidente senior per le tecnologie hardware di Apple, è stato responsabile della creazione dei centri di ricerca e sviluppo israeliani in cui Apple ora impiega circa 2.000 persone. Srouji ha guidato gli sforzi di Apple nella creazione di un team di ingegneri del silicio e della tecnologia, supervisionando lo sviluppo di nuove tecnologie hardware e di silicio, comprese batterie, processori applicativi, controller di archiviazione e altri chip, afferma il sito Web di Apple. Parte di quella squadra risiede in Israele.
  Prima di entrare in Apple, Srouji ha ricoperto posizioni senior presso Intel e IBM nell’area dello sviluppo e del design dei processori. “Attraverso lo sviluppo israeliano, Apple gestisce e ottimizza la tecnologia di archiviazione dei dati in una vasta gamma di dispositivi: componenti di comunicazione wireless per l’Apple Watch, nonché i circuiti integrati sviluppati in Israele e il fiore all’occhiello”, ha affermato Srouji.
   “Il team israeliano ha svolto un ruolo centrale nello sviluppo della versione premium del processore M1 di punta dell’azienda, inclusi i chip M1Pro e M1Max progettati per supportare computer Mac premium come MacBook Pro e MacBook Studio. Questi chip sono stati costruiti qui in Israele mentre lavoravano con altri team in tutto il mondo, inclusa la sede di Cupertino”, ha aggiunto. Sempre il mese scorso, Apple ha dichiarato che sta espandendo il suo hub di ricerca e sviluppo ingegneristico nella città di Rawabi in Cisgiordania, dove attualmente impiega oltre 60 ingegneri.
  “Creando maggiori opportunità per gli ingegneri palestinesi, abbiamo visto un modo per aiutare ad affrontare un’importante questione regionale, promuovendo al contempo i valori fondamentali di Apple”, ha affermato Srouji. “In Apple, ci impegniamo per l’inclusione e la diversità nella nostra forza lavoro globale”, ha aggiunto Srouji. “Sappiamo che per sostenere un cambiamento significativo, deve essere positivo anche per il business.

(Israele 360°, 2 agosto 2022)

........................................................


Lo sguardo d’Israele sulla guerra russo-ucraina

di Enrico Laurito

A distanza di alcuni mesi, dopo aver approfondito gli scenari sulla guerra russo-ucraina attraverso le lenti dell’informazione e dell’opinione pubblica turca, ci confrontiamo nuovamente con Maurice Pascal Ambetima sull’evolversi del conflitto nell’Europa orientale. Ambetima è dottorando in Diritto internazionale all’Università Sapienza di Roma ed è reduce da un viaggio in Israele: è proprio in questo Paese, dove da decenni si alternano le situazioni più delicate a livello internazionale, che il ricercatore ha acquisito elementi per una diversa e convincente lettura della guerra in Ucraina.

- Alla luce del suo recente viaggio in Israele, vorrei chiederle di più sui convincimenti dell’opinione pubblica israelo-palestinese sulla situazione di crisi in Ucraina.
  Innanzitutto, in questa occasione, diversamente rispetto alla nostra ultima intervista sulla Turchia, non conoscendo l’ebraico ho dovuto fare affidamento a conversazioni approfondite con alcune delle persone che ho incontrato nel mio percorso a Gerusalemme. Ahimè, non ho potuto usufruire dei contenuti dei giornali locali. Nonostante questa condizione a prima vista sfavorevole, sono riuscito ad avere degli scambi intellettualmente significativi. In particolare, ho approfittato con delle guide turistiche che ci accompagnavano nelle località storico-religiose della Città santa. La prima, una donna ebrea sefardita impegnata, si immagini, con un uomo ucraino, mi raccontava di come ci sia una certa difficoltà, in un Paese storicamente alleato degli Stati Uniti con una numerosa comunità russa, ad avere una posizione ben definita sul chi e sul come supportare nel conflitto tra Mosca e Kiev. L’impressione di questa persona è stata che gli unici impegni che Israele avrebbe preso nei confronti del partner ucraino, pur riconoscendo l’aggressione della Russia, sarebbero legati all’invio di medicinali e di beni di prima necessità. Diversamente, sia la guida del mio secondo giro turistico – palestinese e musulmana – sia altri abitanti del quartiere arabo di Gerusalemme tendono a nutrire dei dubbi rispetto alla natura di questa guerra. Le risposte che venivano date più spesso erano “come facciamo a sapere la verità?”, “qualcuno sicuramente ci starà guadagnando”, “capiamo gli ucraini che, proprio come noi, hanno subito un invasione, ma anche la Russia ha le sue ragioni”.

- Crede, dunque, che possa esistere una marcata tendenza di israeliani e palestinesi ad avere opinioni divergenti sulla questione?
  Credo che, per motivazioni storiche e influenze culturali, l’approccio alla questione sia particolarmente diversificato per i soggetti che ha menzionato. Per esempio, parlavo con il proprietario del mio hotel, palestinese che ha innalzato negli anni ’70 la sua struttura ricettiva a Gerusalemme est. E proprio lui alludeva alla questione dell’empatia nei confronti del popolo ucraino accompagnandola, allo stesso tempo, all’interesse nelle risorse naturali che l’Unione europea e gli Stati Uniti avrebbero nei confronti dello Stato di Kiev. Gli israeliani, e parliamo soprattutto della parte della popolazione che professa la religione ebraica (gli israeliani musulmani sono una parte consistente in termini demografici, per chi non lo sapesse), riconoscono come opinione pubblica le colpe dello Stato russo, ma non hanno la forza politica di intraprendere delle azioni punitive nei riguardi di un partner storicamente tanto importante quanto Mosca. Per non parlare, come dicevo prima, della comunità di immigrati russi che vivono in Israele, che sembrerebbero essere i primi, in termini numerici, tra tutte le comunità straniere residenti in questo Stato.

- Facciamo un’ipotesi per assurdo: la soluzione due popoli –due Stati è andata in porto. Come si comportano lo Stato palestinese e quello israeliano davanti a uno scenario delle relazioni internazionali così tanto complesso?
  Probabilmente lo Stato israeliano si comporterebbe esattamente nelle modalità che stiamo vedendo in questi ultimi mesi. L’ipotesi di uno Stato palestinese effettivamente in grado di esercitare la propria autorità governativa, che agisce in uno scenario di tale complessità, è molto interessante. Credo che, se ne avessero la possibilità, i politici palestinesi si schiererebbero apertamente contro i cosiddetti Stati occidentali e loderebbero questa forma di “resistenza” della Russia. Ovviamente, le mie sono solo impressioni, ma molte delle opinioni che ho sentito per strada tra i cittadini palestinesi coincidevano con risposte che vengono date tipicamente dai cittadini russi, quando vengono intervistati sulla questione della guerra in Ucraina.

- Nota qualcosa di simile tra l’attuale situazione governativa in Italia e quanto sta accadendo in Israele?
  Molti tratti di similarità. Una pluralità di partiti in uno stato conflittuale tra loro. Coalizioni governative che si formano solo in funzione di abbattere nemici comuni: veda la destra di Naftali Bennett che collabora con centristi e laburisti contro il mostro “Bibi” Netanyahu. Un’opinione pubblica spaccata sui temi valoriali. L’unico aspetto che, mi sento di dire, differisce particolarmente dall’Italia è il peso specifico della religione in generale – particolarmente quella ebraica – sull’indirizzo della società israeliana. Dire che abbia un ruolo preponderante è un Ça va sans dire.

(l'Opinione, 1 agosto 2022)

........................................................


La apple apre un nuovo centro di sviluppo in Israele

di Luca Spizzichino

La Apple aprirà un nuovo centro di sviluppo a Gerusalemme. Lo ha riportato la rivista economica israeliana Globes. Questo sarà il terzo centro del gigante tecnologico statunitense nello Stato Ebraico dopo Herzliya e Haifa.
  L’annuncio è stato fatto attraverso un post sul social LinkedIn. Il centro di sviluppo nella capitale si concentrerà sullo sviluppo di hardware e chip, come parte del progetto di sviluppo del processore per i Mac.
  La decisione di Apple di aprire un nuovo centro di sviluppo a Gerusalemme arriva proprio quando la maggior parte delle Big Tech ha rallentato l’apertura di nuovi centri e la ricerca di nuovo personale.
  In Israele la società di Cupertino ha attualmente circa 2.000 dipendenti in Israele divisi tra i suoi attuali centri.
  L’interesse di Apple nello Stato Ebraico risale al 2015, quando il CEO della società Tim Cook ha visitato Israele per la prima volta e ha sottolineato l'importanza strategica per Apple di investire nelle start up israeliane e i suoi talenti. Sempre nello stesso anno ha acquisito la società israeliana LinX, specializzata nella creazione di apparecchiature per fotocamere multi-apertura per dispositivi mobili, in un accordo stimato in 18 milioni di dollari.

(Shalom, 1 agosto 2022)

........................................................


Israele vieta l’uso del contante per acquisti superiori a 1700 euro

Le transazioni in contanti che superano i 6.000 NIS saranno illegali come parte degli sforzi per combattere il riciclaggio di denaro e l’attività criminale.

Una nuova legge dovrebbe entrare in vigore in Israele il 1° agosto, vietando il pagamento di ingenti somme di denaro in contanti e assegni bancari. L’obiettivo della riforma, secondo una dichiarazione dell’Autorità fiscale israeliana, è combattere la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro e il mancato rispetto delle normative fiscali.
  Secondo la nuova legge, qualsiasi pagamento a una società superiore a NIS 6.000 ($ 1.700) deve essere effettuato utilizzando metodi alternativi, come B. tramite bonifico digitale o carta di debito. Gli scambi tra privati che non sono elencati come titolari di attività commerciali saranno limitati a NIS 15.000 ($ 4.360) in contanti. Questo è un altro passo nella lotta di Israele contro l’uso del contante. In precedenza, nei negozi potevano essere utilizzati contanti fino a NIS 11.000 ($ 3.200).
  “Vogliamo che il pubblico limiti l’uso del contante”, ha detto a The Media Line l’avv. Tamar Bracha, responsabile dell’attuazione della legge per conto dell’Agenzia delle Entrate israeliana. “L’obiettivo è ridurre la quantità di denaro in circolazione nel mercato, principalmente perché le organizzazioni criminali tendono a fare affidamento sul denaro. Limitare l’uso del contante rende molto più difficile lo svolgimento di attività criminali.

    “L’obiettivo è ridurre il fatturato in contanti sul mercato, principalmente perché le organizzazioni criminali fanno affidamento sul denaro. Limitare l’uso del contante rende molto più difficile lo svolgimento di attività criminali”. Tamar Bracha

Perché ciò avvenga, ci deve essere meno liquidità nel mercato. Uri Goldman, un avvocato che ha rappresentato i clienti in una causa contro la legge del 2018, afferma che il problema principale con la legge è che non è efficiente.
  “Siamo stati coinvolti nelle discussioni sulla legge. I dati che abbiamo portato hanno mostrato che dalla prima fase della legge la quantità di liquidità sul mercato è solo aumentata. Quindi è chiaro che qualcosa non funziona”, ha detto Goldman a The Media Line.
  Goldman ha anche spiegato il lato negativo della legge. “Quando la legge è stata approvata, c’erano oltre un milione di cittadini senza banca in Israele. La legge impedirebbe loro di fare affari e trasformerebbe praticamente il 10% della popolazione in criminali”, ha affermato.
  Ci sono alcune eccezioni alla nuova legge: gli enti di beneficenza, che sono particolarmente diffusi nella società ultra-ortodossa, e il traffico di palestinesi della Cisgiordania che non sono cittadini israeliani. In quest’ultimo caso, sono consentite transazioni che coinvolgono ingenti somme di denaro, ma devono essere segnalate in dettaglio all’autorità fiscale israeliana.
  Secondo Bracha, queste esenzioni sono temporanee e hanno lo scopo di aiutare le istituzioni e le popolazioni che non hanno alternative dando loro il tempo di cambiare i loro mezzi di pagamento.
  Goldman non pensa che questo aiuterà. “Non credo che nessuno troverà una soluzione”, ha detto. “Questa parte della legge sostanzialmente promette una via d’uscita per i palestinesi della Cisgiordania e gli ebrei ultra-ortodossi. Questo è ingiusto nei confronti del resto della popolazione e dubito che cambierà in futuro”.
  La legge, originariamente proposta nel 2015, è stata approvata solo nel 2018. Nella sua forma originale, conteneva un articolo che vietava la detenzione privata di ingenti somme di denaro e limitava la somma consentita a NIS 50.000 (US $ 14.500). Questo articolo non è stato approvato in quel momento, ma il Ministero delle Finanze israeliano intende rimetterlo in votazione in parlamento dopo le prossime elezioni.
  Secondo l’autorità fiscale, molti altri paesi hanno leggi parallele che si sono dimostrate efficaci. Tuttavia, i critici ritengono che almeno un aspetto debba essere modificato affinché la legge funzioni.
  “Dovrebbero consentire alle persone di dichiarare tutti i loro contanti almeno una volta e metterli in banca. Altrimenti, il denaro potrebbe non essere utilizzato come una volta, ma è ancora là fuori, in movimento. Se trovano un modo legale per farlo, potrebbe iniziare un cambiamento”, ha detto Goldman dell’idea, che secondo lui è stata suggerita nelle prime discussioni sulla legge ma mai approvata.

(Green Pass News, 1 agosto 2022)

........................................................


Israele e Marocco: una cooperazione speciale

di Fabio Marco Fabbri

In un viale centrale e molto frequentato di Casablanca, si staglia su un palazzo un enorme cartellone pubblicitario, che esalta lo splendore di una località marittima, dove le spiagge bianche sono contornate da suggestivi grattacieli che parlano di serenità e accoglienza. Lo slogan è: “Idea di viaggio: aprirsi a nuovi orizzonti. Tel-Aviv, 4.300 dh (circa 400 euro)”. La pubblicità, che fino a due anni fa sarebbe stata assurda, è della compagnia aerea Royal Air Maroc e sottolinea il tracciato della nuova “storia” tra Israele e Marocco.
  Questa pubblicità è il segno concreto del nuovo percorso di “cooperazione” che ricade nel quadro del lungo processo di “normalizzazione” dei rapporti. Così a Rabat, il 26 luglio, i ministri della Giustizia di Israele, Gideon Saar e del Marocco, Abdellatif Ouahbi, hanno rafforzato il loro legame in progetti comuni. La nuova collaborazione giunge a seguito di una serie di accordi bilaterali sviluppati in vari settori, come la difesa e la sicurezza ma anche l’industria, l’economia, la cultura, lo sport e molteplici aspetti della tecnologia. Inoltre, questa cooperazione è stata sugellata anche dalla sottoscrizione di un memorandum d’intesa tra i ministri della Difesa israeliano e marocchino. In un comunicato stampa congiunto, i due ministri hanno anche palesato l’intesa di lottare insieme contro il terrorismo, la criminalità organizzata, il lucroso traffico di esseri umani. In più, saranno condivise le competenze nell’ambito di un ammodernamento dei sistemi giudiziari attraverso la digitalizzazione e l’aggiornamento tecnologico degli strumenti necessari.
  Ma è noto che, per una cooperazione fruttuosa, gli scambi non possono essere tarati solo sugli aspetti legati alla necessità, ma anche sugli scambi culturali, sicuramente molto efficaci per armonizzare ogni tipo di relazione. Così Issawi Frej, ministro israeliano per la cooperazione regionale, di origine araba e di religione islamica, presente in Marocco e il ministro marocchino della Gioventù e della Cultura, Mehdi Bensaïd, la settimana scorsa hanno programmato di concentrarsi e sviluppare scambi culturali tra giovani marocchini e israeliani. Come riferito in un’intervista sul sito indipendente di informazione, Le360, il ministro Bensaïd ha dichiarato: “Lavoreremo per avvicinare i cittadini e i due popoli”. Posizione affermata anche da Frej che, dopo Raled Majadle, è il secondo ministro musulmano nella storia di Israele.
  Perché un’agenda così intensa di incontri tra i vertici dei due Stati negli ultimi giorni? Questi colloqui sono il seguito di un regolare flusso di delegazioni israeliane nel regno di Cherifian-al-Mamlaka al-Maghribiya al-Charifa. Infatti, anche Aviv Kochavi, capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, la settimana scorsa, ha sottoscritto un consolidamento della collaborazione con l’omologo marocchino Belkhir El-Farouk, nell’ottica di una alleanza strategica e militare in un contesto di instabilità regionale. Ma martedì 21 giugno, anche il ministro dell’Interno israeliano Ayelet Shaked era a Rabat, dove ha concordato con il capo della diplomazia marocchina, Nasser Bourita, un volontario spostamento tra i due Stati di maestranze infermieristiche e addetti all’edilizia.
  Nel dicembre 2020, nell’ambito degli Accordi di Abramo, Israele e Marocco hanno normalizzato le loro relazioni diplomatiche, in un processo che vede lo Stato ebraico e diversi Paesi arabi aprire strategici rapporti che, se creano “disagio politico ai palestinesi”, pongono le basi di una collaborazione sul piano commerciale e tecnologico, ma soprattutto della sicurezza, tutto con il sostegno di Washington. Quando furono siglati gli Accordi di Abramo, l’allora presidente statunitense, Donald Trump, in cambio riconobbe la sovranità del Marocco sul territorio conteso del Sahara occidentale-Fronte Polisario. Altra “questione” non semplice da districare e non districabile con un semplice “riconoscimento” degli Usa.
  Ricordo che la comunità ebraica marocchina è la più numerosa del Nordafrica. Nonostante il massiccio esodo verso Israele, avvenuto all’indomani della creazione dello Stato ebraico nel 1948, oggi conta oltre cinquemila persone. Dopo oltre mezzo secolo di colloqui e una cooperazione avvolta da segretezza, sulla scia degli “Accordi di Abraham” del 2020, che hanno visto Emirati Arabi Uniti e Bahrain normalizzare i rapporti diplomatici con Tel Aviv, questo nuovo e solido legame di Gerusalemme con Rabat sta riconfigurando gli equilibri strategici nel Maghreb. Un nuovo bilanciamento in un’ottica politica probabilmente stabilizzante, ma in realtà in contrapposizione con le instabilità e le tensioni esistenti sia nell’area subsahariana che in quella “europea”.

(l'Opinione, 1 agosto 2022)

........................................................


Notizie archiviate



Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.