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Notizie 16-31 aprile 2019
2 maggio, al Meis il ciclista della memoria, in ricordo dell'ebreo antifascista Enrico Levi
FERRARA - Giovanni Bloisi, ciclista della Memoria, fa tappa giovedì 2 maggio, alle 18.00, al Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS).
Negli ultimi anni, Bloisi ha attraversato in bicicletta l'Italia e l'Europa per toccare i luoghi della Memoria - da quelli della Shoah a quelli delle guerre del Novecento - e ha rintracciato in Israele i Bambini di Selvino (Sciesopoli Ebraica 1945-1948). È già stato al MEIS nel 2017, nel corso del suo viaggio verso lo Yad Vashem, l'Ente israeliano per la Memoria della Shoah, come omaggio a Ferrara e al suo nuovo museo.
Questa volta Bloisi ripercorre le tracce di Enrico Levi e degli altri antifascisti ebrei - Paolo Nissim, Alberto Rietti, Claudio Segré, Salvatore Romano e Vittorio Sacerdoti - che con lui oltrepassarono avventurosamente in bici le linee nazifasciste in Val di Sangro, per raggiungere gli alleati e aggregarsi alla VIII Armata britannica.
Equipaggiato soltanto di bicicletta, tenda, sacco a pelo, fornello e bandiera della pace, Bloisi segue l'itinerario di Levi e compagni così come riportato nel Diario di Alberto Rietti, dalla partenza da Padova il 19 settembre 1943 fino a Ripabottoni l'8 ottobre dello stesso anno. Durante l'appuntamento al MEIS (Via Piangipane 81, Ferrara), Giulio Costa dell'Associazione Culturale Ferrara Off legge alcuni brani tratti da Alunni di razza ebraica. Studenti del Liceo-Ginnasio "Tito Livio" sotto le leggi razziali, che documenta ciò che accadde ai liceali ebrei di Padova.
Nato a Cremona nel 1918, Enrico Levi fu l'unico cadetto ebreo della flotta italiana, prima di esserne espulso nel 1938, per effetto delle leggi razziali.
Partecipò allo sbarco alleato di Anzio e alla Resistenza nella Francia meridionale.
Arruolatosi nella Royal Navy nel 1945 e divenuto Capitano di lungo corso, Levi organizzò l'immigrazione clandestina in Terra d'Israele - l'Aliyah Bet - di centinaia di sopravvissuti ebrei alla Shoah: 34 traversate, tutte andate a buon fine.
In Israele divenne direttore dell'Accademia Navale di Acri (Akko), insegnò presso la Scuola Navale del Technion di Haifa e diresse i porti di Eilat e di Ashdod. Fu, in sostanza, tra i fondatori della Marina Militare e Mercantile dello Stato di Israele.
Morì ad Haifa nel 2007.
(Ferrara Italia, 30 aprile 2019)
Il biblista Haim Baharier: "La memoria della Shoah è diventata solo celebrativa"
''Le candeline hanno soffocato il vero tema: perché esiste l'antisemitismo? Non capendolo lo si rinfocola''.
di Anna Bandettini
I gilet gialli che a Parigi scrivono sul muro di una misera panetteria Kosher "Il popolo siamo noi" firmato con una svastica, o quelli che fischiano il passaggio della Brigata ebraica nella manifestazione di piazza del 25 aprile a Milano, sono lo stesso inquietante segnale di un rinato antisemitismo, di un fantasma cioè che si pensava scongiurato per sempre e che invece pare drammaticamente ricomparso un po' dovunque anche in Italia. «Sì, vedo il riemergere di un antico male, a cui non si è mai trovato un antidoto». Chi parla è Haim Baharier, celebre a Milano per le sue lezioni pubbliche da ermeneuta della Bibbia, figlio di genitori reduci dai campi di stermìnìo, che il 5 e il 19 maggio (ore 11,30) terrà due incontri al Teatro Franco Parenti proprio sul tema "L'Antisemitismo o la genesi del pregiudizio" promosso dall'Associazione Lech Lechà.
- Baharier la preoccupa questa reviviscenza del sentimento contro gli ebrei?
«Molto. Vedo in giro la stessa indifferenza che c'era in Germania negli anni '20 e che produsse quello che sappiamo. La mia opinione è che l'Europa non ha mai elaborato il Male della Shoah, ci siamo tutti ritrovati con il peso di questo crimine indicibile e per giustificarlo abbiamo fatto diventare le vittime carnefici: Israele come potenza militare, oppressiva di un popolo ecc ... e questo nonostante Israele sia l'Europa in Medio Oriente e ogni attacco è un gesto masochistico per l'Europa stessa».
- Milano come è? Secondo lei dobbiamo stare in allerta?
«Mi addolorano episodi come quelli del 25 aprile, ma quando mio fratello da Parigi viene a trovarmi mi dice sempre "Tu quello che fai a Milano non lo potresti fare da nessuna parte", e intende dire parlare in pubblico di ebraismo, di Shoah. Milano è la città che mi ha dato ascolto».
- Eppure nel cosiddetto quartiere ebraico intorno a via Soderini ci sono stati in passato gravi episodi antisemiti, e oggi non mancano le tensioni con la forte migrazione araba che c'è nei quartieri vicini.
«Sì è vero, la gente lì si sente sotto assedio, ma rispetto a Parigi dove hanno paura ad andare in giro con la Kippà non c'è paragone. Io credo che l'apertura di Milano debba essere di esempio: qui è possibile parlare pubblicamente di antisemitismo senza avere l'esercito davanti al teatro. E non ci si limita alle candeline della memoria».
- Si riferisce alle celebrazioni della giornata della Memoria?
«E' una memoria della Shoah puramente celebrativa, diventata una pesante cappa, una campana di parole e gesti teatrali. Sia chiaro, sono grato al lavoro della nostra senatrice a vita, Liliana Segre che lotta contro l'indifferenza e che ho invitato ai miei incontri perché la sua presenza mi rassicura, ma penso che tutte quelle manifestazioni pseudoemozionali abbiano soffocato il vero problema: perché esiste l'antisemitismo, che cosa è? Perché è la difficoltà a capirlo, a distinguerlo, che rinfocola quel sentimento».
- Lei proverà a spiegarlo nelle due conferenze. Come?
«Partendo dalla Bibbia, patrimonio culturale dell'ebraismo. In ebraico antisemitismo si dice antishem, da Shem, uno dei figli di Noè, quello che fa meglio qualcosa che suo fratello Ham ha fatto male.
L'episodio a cui mi riferisco è quello in cui Noè ubriaco e nudo viene trovato dai figli. A differenza di Ham o Cam, Shem e Jafet, da cui deriveranno rispettivamente Israele e Grecia, prendono una coperta e coprono il padre, cioè espiano la sua colpa, fanno un gesto in più rispetto al fratello. Questo è ciò che ancora rimproveriamo all'ebreo: di fare un po' meglio, di sentire come obbligo morale e culturale di fare un passo avanti. Saperlo non può che giovare al dialogo e noi che siamo nella diaspora abbiamo l'obbligo di dialogare con gente di buona volontà, anche dell'Islam».
(la Repubblica, 30 aprile 2019)
Il Times si scusa per le vignette antisemite
di Paolo Mastrolilli
«Il New York Times è sempre stato un giornale antisemita, fin da prima della Seconda Guerra Mondiale, nonostante la proprietà sia ebraica». Questo attacco, lanciato dall'ex Speaker repubblicano della Camera Newt Gingrich, aiuta a capire le dimensioni del problema in cui il giornale di Manhattan si è cacciato, pubblicando una vignetta che ha generato polemiche in mezzo mondo.
Giovedì sulla versione internazionale del Times è uscito un «cartoon» che ritraeva il presidente Trump come un vecchio cieco, con in testa il copricapo yarmulke. Teneva al guinzaglio un cane, che lo guidava e aveva la faccia del premier israeliano Netanyahu, con tanto di Stella di David al collo. La polemica è subito scoppiata, e la direzione ha risposto con una nota: «Quell'immagine era offensiva, e pubblicarla è stato un errore». Questa reazione non ha placato le proteste, e quindi la portavoce Eileen Murphy ha aggiunto una dichiarazione più dettagliata: «Siamo profondamente dispiaciuti. Queste immagini sono sempre pericolose, e in un momento in cui l'antisemitismo sta aumentando nel mondo sono ancora più inaccettabili. Siamo impegnati a garantire che una cosa del genere non accada più».
Il Times ha spiegato che la vignetta era stata disegnata dal portoghese Antonio Moreira Antunes, e pubblicata sul giornale di Lisbona Expresso. Quindi era stata presa da Cartoons Arts International, un'agenzia che raccoglie materiale in tutto il mondo e lo rivende attraverso il New York Times Licensing Group. Un editor della versione internazionale del Times ha visto la vignetta e ha deciso di sua iniziativa di stamparla.
L'attacco del presidente
Trump ha subito colto l'occasione per attaccare il giornale, chiedendo «perché non si scusa anche con me», mentre l'American Jewish Committee ha risposto che «le scuse non sono accettate». L'avvocato Alan Dershowitz ha denunciato che «l' antisionismo è una copertura per l'antisemitismo». Il NYT ha pubblicato un editoriale di Bret Stephens, che offre un'altra interpretazione: «Il problema non è che quella vignetta fosse un atto volontario di antisemitismo. Non lo era. Il problema è che la sua pubblicazione è stata un incredibile atto di ignoranza dell'antisemitismo». Stephens ha elencato tutti gli elementi che avrebbero dovuto far scattare l'allarme, dall'ebreo dipinto come un cane, al servo che in realtà è il vero maestro. E ha sottolineato quanto sia grave che siano sfuggiti: «Sono al Times da due anni, e sono certo che l'accusa che sia in qualunque modo antisemita è una calunnia». A maggior ragione, perciò, colpisce l'ignoranza che secondo Stephens sarebbe all'origine dell'errore, perché è ancora più diffusa nella nostra società e ci espone a qualunque genere di conseguenze.
(La Stampa, 30 aprile 2019)
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"Antisemitismo per default"
«Sono al Times da due anni, e sono certo che l'accusa che sia in qualunque modo antisemita è una calunnia», dice l'editorialista del New York Times dell'articolo predentente. Calunnia? Una parola grossa, offensiva per colui a cui si riferisce. Ma se chi ha pubblicato quella vignetta non è un antisemita ma soltanto un ignorante, allora anche chi ha lanciato l'accusa di antisemitismo non è un calunniatore ma soltanto un ignorante.
Il fatto è che possono avere tutti ragione, perché di antisemitismi ce ne sono di parecchi tipi e ciascuno può essere convinto di non essere antisemita per il solo fatto che non possiede il tipo di antisemitismo che ha in testa. Ma ne possiede un altro, che per lui non è antisemitismo, ci mancherebbe! "Io antisemita? mai più!"
C'è un tipo di antisemitismo non militante ma quiescente che ho chiamato "antisemitismo per default", antisemitismo in assenza di... In assenza di interesse e di conoscenza si rimane, rispetto a Israele, indifferenti e ignoranti. L'antisemita per default "non ce l'ha" con gli ebrei e con Israele per il semplice fatto che di loro non si interessa: i suoi problemi sono altri. Fosse per lui, non ne parlerebbe proprio. Ma per sua sventura gli ebrei ci sono, Israele esiste, e il mondo ne parla. Quindi prima o poi anche lui è costretto a parlarne, e quando lo fa nove volte su dieci ne parla in modo sbagliato. Però, sempre a causa della sua neutra e indifferente ignoranza, non se ne accorge. E si sorprende se qualcuno gli fa notare che il suo dire e fare potrebbe essere chiamato antisemitismo. Dice e fa quello che tanti altri antisemiti dichiarati dicono e fanno, ma lui no, lui non è un antisemita, l'ha sempre detto, lo dice sempre, lo giura. Non è un antisemita. In senso stretto. E' solo, in senso largo, "antisemita per default". M.C.
(Notizie su Israele, 30 aprile 2019)
La storia di Eva
E se una ragazzina avesse avuto Instagram durante la Shoà? In un video postato lunedì sui social network, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che sta seguendo con interesse lo sviluppo della pagina Instagram "Eva's Story" (la storia di Eva), concepita per comunicare ai giovani cosa è stata la Shoà mediante un approccio innovativo attraverso gli occhi di una ragazza ebrea ungherese di 13 anni di nome Eva Heyman: una persona che è realmente esistita, che sognava di diventare una fotoreporter e che tenne un denso e toccante diario dei tempi terrificanti in cui visse e morì. Eva fu deportata ad Auschwitz, dove venne assassinata nell'ottobre del 1944. Il suo diario termina poco prima che venisse deportata. Alcuni hanno criticato il progetto, concepito e finanziato dall'uomo d'affari Mati Kochavi e sua figlia Maya, definendolo una volgarizzazione irrispettosa della storia. Dal canto suo, Netanyahu ha invece elogiato l'iniziativa in quanto utile "per mostrare al mondo e ricordare a noi stessi cosa abbiamo perso nell'Olocausto e cosa abbiamo ottenuto creando lo stato d'Israele". I post sulla pagina Instagram "Eva's Story" (equivalenti a un film di 50 minuti alla cui realizzazione hanno concorso 400 persone tra cui una casa di produzione ucraina e un cast britannico) saranno disponibili dalle 16.00 (israeliane) di mercoledì 1 maggio, vigilia della Giornata dedicata in Israele alla memoria della Shoà.
"Caro diario, sei il più fortunato del mondo perché non puoi sentire, non puoi sapere che cosa terribile ci è accaduta: i tedeschi sono arrivati!", scriveva Eva Heyman il 19 marzo 1944 quando i nazisti occuparono la sua città in Transilvania, allora conosciuta come Nagyvàrad in ungherese e Groysvardeyn in yiddish, oggi chiamata Oradea in rumeno. Il 30 maggio, poco prima di essere deportata, Eva scrisse le sue ultime parole: "Caro diario, non voglio morire. Voglio vivere anche se questo significa che sarò l'unica persona autorizzata a rimanere qui. Ma non posso più scrivere, caro diario. Le lacrime scorrono dai miei occhi".
(israele.net, 30 aprile 2019)
In Sri Lanka è stata una mattanza jihadista di bimbi cristiani
Un quinto delle vittime totali
di Giulio Meotti
ROMA - I jihadisti ci avevano già abituati ai massacri di bambini. In Israele, alla discoteca Dolphinarium sul lungomare di Tel Aviv e negli autobus a Gerusalemme. E poi nelle scuole di Beslan, in Ossezia, e di Peshawar, in Pakistan. In Iraq, con le stragi di bambini in fila per le caramelle, e i bambini yazidi, finiti anche nelle fosse comuni dell'Isis. E poi sul lungomare di Nizza, sulla rambla di Barcellona e allo stadio di Manchester durante il concerto di Ariana Grande. In Sri Lanka è stato il più grande singolo massacro di bambini cristiani.
La pacca sulla testa di una bambina che tiene per mano il padre, poco prima di entrare in chiesa. L'attentatore che si sta dirigendo verso la chiesa di San Sebastiano a Negombo col suo grosso zaino sulle spalle, dove farà esplodere la bomba fra donne e bambini. E' una delle immagini simboli delle stragi alle tre chiese dello Sri Lanka, che hanno fatto più di 250 morti. Stragi, come riportava ieri la Bbc, soprattutto di bambini cristiani, almeno 46 secondo le cifre diffuse ieri dal governo cingalese: "E' stata la prima cosa che i soccorritori hanno notato non appena sono entrati nelle chiese prese di mira: il grande numero di bambini tra i morti. Il numero complessivo di vittime degli attacchi non è chiaro, ma i funzionari ritengono che i bambini potrebbero finire per essere oltre un quinto del bilancio finale delle vittime". Ma anche negli hotel si sono fatti esplodere fra le famiglie con tanti bambini.
La famiglia Fernando aveva scattato una fotografia al battesimo del loro terzo figlio, Seth. A Negombo sono stati tutti sepolti insieme. Padre, madre e tre figli di 6, 4 anni e 11 mesi. Scrive il New York Times: "Fabiola Fernando, sei anni, era una studentessa della scuola elementare. Leona Fernando, 4 anni, stava imparando a leggere. E Seth Fernando, undici mesi". E poi la vittima più piccola, Matthew, otto mesi. Sudesh Kolonne stava aspettando fuori dalla chiesa di San Sebastiano quando sentì l'esplosione. Corse dentro per cercare la moglie e la figlia. Gli ci volle mezz'ora per trovare i loro corpi. 27 bambini sono morti e 10 sono stati gravemente feriti nell'esplosione nella chiesa di San Sebastiano.
Gli attacchi hanno ucciso tre bambini di un miliardario danese. Un'altra donna ha perso la figlia, il figlio, il marito, la cognata e due nipoti. Un padre britannico ha dovuto scegliere quale dei suoi due figli soccorrere. Un'altra famiglia britannica è stata distrutta. E durante l'operazione antiterrorismo a Sammanthurai, a sud della città di Batticaloa, sono morti altri sei bambini.
La Zion Church di Batticaloa ieri ha chiesto di pregare per i dieci bambini fra i sette e i sedici anni rimasti gravemente feriti e che si trovano nelle unità di cure intensive degli ospedali. Il terrorista si è fatto esplodere proprio tra il gruppo di bambini della scuola domenicale della chiesa protestante. Metà delle vittime di Batticaloa erano bambini, sette maschi e sette femmine.
Per strada oggi ci sono i loro volti negli annunci funerari: Jeshuran, Jehonica, Jepinath, Jekshan, Kevin, Aliyahan, Anjalina, Ahimsa, Sharon e la sorella Sara h... In quella chiesa altri sette bambini hanno perso almeno un genitore.
"Non riuscivo a veder bruciare neonati e bambini", raccontano ai giornali cingalesi i soccorritori e i sopravvissuti agli attacchi ai cristiani. Come il nipote della premier bengalese Sheikh Hasina, otto anni. Come i due figli di Anusha Kumari. Come i tanti bambini uccisi mentre facevano la prima comunione.
E' stata una trappola assassina per bambini cristiani. Piccoli "infedeli". Legna da ardere in olocausto al jihad.
(Il Foglio, 30 aprile 2019)
Sami, il sopravvissuto di Auschwitz incontra gli studenti
di Carmen Mirarchi
La testimonianza di Sami Modiano che oggi ha incontrato presso Liceo Fermi di Catanzaro lido gli studenti di alcune scuole del capoluogo e di tutta la provincia. Una testimonianza toccante in una giornata dedicata alla memoria. L'olocausto una macchia nera per la storia dell umanità. La testimonianza di Sami serve a ricordare affinché i giovani di oggi capiscano come il razzismo sia un vero male per umanità.
Le scuole che hanno partecipato all'evento sono: I.C Gianni Rosari di Soveria Mannelli, I.I.S Fermi di Catanzaro, I.C Casalinuovo di Catanzaro, I.C Gatti di Lamezia Terme, I.I.S. Costanzo di Decollatura, I.C. di Serrastretta.
Studenti, presidi ed insegnanti hanno voluto ascoltare la testimonianza di chi ha vissuto l'olocausto e si è salvato. Samuel Modiano detto Sami è un sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Sami ha raccontato ai ragazzi delle scuole la sua vita, la sua deportazione. Ai microfoni di Calabria 7.it spiega anche il perché dal 2005 ha deciso di raccontare ai giovanissimi la sua vita. I giovani devono comprendere la storia, capirla affinché non si cada nuovamente nel male del razzismo forse abbagliati dai fumi di una politica e di una cultura che non tiene conto dell'essere umano, della sua dignità e della sua essenza. Uomini come Sami emozionano, la loro forza nel ricordare e nel voler insegnare è segno che anche il male peggiore non potrà distruggere l'uomo fino a quando ci saranno uomini che come Sami credono nell'uomo e nelle future generazioni.
"I giovani devono imparare perché quando io non ci sarò loro avranno il compito di raccontare ciò che è avvenuto nel periodo nazista". Ai microfoni di Calabria 7.it anche due giovanissime che ci raccontano come vedono il razzismo e come ammirino chi ha combattuto per libertà degli uomini.
La storia di Sami
Sami Modiano nasce nel 1930 nell'isola greca di Rodi, all'epoca provincia italiana, alla promulgazione delle leggi razziali frequentava la terza elementare della sua scuola, dalla quale, essendo ebreo, si trovò improvvisamente espulso. In un'isola dove ebrei, cristiani e musulmani convivevano pacificamente fu la prima di una lunga serie di esperienze traumatiche.
La vita dopo le leggi razziali non è facile: il padre perde il lavoro, la madre Diana muore per una grave malattia, la metà della comunità ebraica di Rodi lascia l'isola nella speranza di trovare salvezza altrove. Il 23 luglio 1944 i tedeschi prelevarono con un inganno tutti gli ebrei presenti sull'isola, senza che nessuno potesse sfuggire, caricandoli nella stiva di un vecchio mercantile in condizioni disumane. Il viaggio durò da Rodi fino al Pireo: lì vennero caricati sui treni, il 3 agosto 1944, stipati nel buio soffocante dei vagoni piombati, diretti verso il campo nazista di Birkenau. Appena arrivati nel campo, il 16 agosto 1944, gli uomini vennero separati dalle donne e Modiano, quattordicenne, rimase con suo padre. Il suo destino era la morte nella camera a gas, ma il padre Giacobbe riuscì a portarlo nelle file dei superstiti.
Nei mesi successivi Sami perse la sorella Lucia e anche lo stesso padre, che appresa la morte della figlia, si consegnò volontariamente in infermeria ben sapendo quale fine gli venisse riservata. Lo stesso destino di morte sembrò essere riservato anche a Sami in più di un'occasione, come quando selezionato ancora una volta per il crematorio e in attesa di entrare nella camera al gas, fu salvato solo perché all'arrivo di un trasporto di patate un ufficiale delle SS ebbe bisogno di manodopera per scaricarlo.
Nel campo Modiano strinse amicizia con un altro giovane deportato italiano, Piero Terracina, di soli due anni più grande di lui, proveniente da Roma. Nel 1945 quando i sovietici erano a poche decine di chilometri dal campo, i tedeschi presero i superstiti e da Birkenau camminarono verso Auschwitz. Durante la marcia Modiano si accasciò a terra senza forze, abbandonando le speranze, ma fu sollevato da due sconosciuti compagni di sventura che lo portarono a destinazione lasciandolo su un cumulo di cadaveri per mimetizzarlo. Al suo risveglio, ormai salvo, vide una casa in lontananza e ci si trascinò. Lì trovò altri superstiti del campo fra i quali Primo Levi e l'amico Piero Terracina. Il giorno dopo arrivarono i sovietici. Era il 27 gennaio del 1945.
Nel 2005 proprio il vecchio amico Piero Terracina lo convince ad accettare l'invito dell'allora Sindaco di Roma Walter Veltroni a prendere parte ad un viaggio ad Auschwitz organizzato per gli studenti dei licei romani. Da allora, in inverno in Italia, Modiano si dedica a far conoscere la sua esperienza ai ragazzi nelle scuole medie e superiori.
Nel 2013 pubblica un libro di memorie, Per questo nel quale descrive l'inferno di Auschwitz e racconta cosa significhi ricominciare a vivere dopo essere sfuggito agli orrori del campo di sterminio.
(Calabria 7, 29 aprile 2019)
I pregiudizi contro Israele sono radicati nella visione distorta degli ebrei
Definire l'antisionismo significa smascherare l'antisemitismo
di Claudio Vercelli
Il fondamento dell'antisionismo si basa sull'affermazione che il movimento nazionale ebraico, e ciò che da esso è derivato, lo Stato d'Israele, costituiscano qualcosa a cui contrapporsi poiché storicamente illegittimi.
Che cosa implica, nei fatti? Dell'antisionismo si possono isolare alcuni temi di fondo.
Il primo rimanda al convincimento che gli ebrei non siano un popolo, ancorché disperso, e che quindi non abbiano diritto ad avanzare rivendicazioni di ricomposizione nazionale. Si situa in questo filone parte di quel giudaismo assimilazionista che, soprattutto nell'Ottocento, aveva fatto proprie le istanze del liberalismo, soprattutto laddove quest'ultimo predicava la centralità dell'individuo e la necessità di superare le appartenenze di gruppo, "particolariste", a favore di una cittadinanza basata su un legame fondato su valori repubblicani e costituzionali.
Il secondo tema rinvia all'idea che i problemi degli ebrei non siano affrontabili e risolvibili con il ricorso all'indipendenza nazionale.
Il terzo tema, più strettamente religioso, può essere formulato come l'avversione nei confronti dell'autoredenzione. Il tempo attuale è e rimane quello della dispersione. Il sionismo sarebbe solo la nuova forma di un vecchio problema, il falso messianesimo, che da Gesù ad oggi, passando per Shabbatai Zevi, produce illusioni e lesioni nel corpo stesso dell'ebraismo. Rientra in questo novero la manifestazione odierna più appariscente dell'antisionismo in campo ebraico, quella espressa dal movimento Neturei Karta, i cosiddetti «guardiani della città», presenti a Gerusalemme, negli Stati Uniti, in Belgio, in Gran Bretagna e in Austria. La forte mediatizzazione di cui questo gruppo ha goduto, per l'apparente singolarità e l'eccentricità delle sue posizioni, ne ha amplificato l'impatto sul piano dell'immaginario collettivo.
Il quarto movente è quello che indica in Israele una realizzazione storica che crea più problemi di quanti ne possa (e ne voglia) risolvere. Un atteggiamento, questo, che si ricollega ad una visione per così dire falsamente "pragmatica", dove la questione, altrimenti basilare nella storia dell'Ottocento e del Novecento, delle identità politiche e sociali di gruppo, viene ricondotta ad una sorta di prontuario di risposte usa e getta. Dal riscontro della conflittualità con le comunità arabe si passa, infatti, ad affermare che la via nazionale era già in origine di per sé illusoria e carica di implicazioni di cui l'ebraismo non avrebbe dovuto farsi in realtà carico.
Un quinto elemento, assecondando un crescendo che una volta innescatosi fatica a fermarsi, è quello per cui il sionismo costituirebbe una forma particolarmente virulenta di razzismo. In questo caso, quasi sempre subentra l'equazione tra sionismo e nazismo, come se fossero l'uno sinonimo dell'altro. L'accusa, mossa a partire da tale premessa, è che il sionismo sia l'ideologia del suprematismo ebraico, ovvero la concezione della superiorità assoluta, sul piano razziale, degli ebrei, da essi stessi sapientemente coltivata ai danni del mondo intero. In questo genere di accezione si fa perno sull'interpretazione di Israele come Stato esclusivamente etnico.
È interessante notare come in questo caso a rivolgere i propri strali polemici siano sia coloro che, a vario titolo, dichiarano la loro appartenenza alla sinistra estrema, sia quanti, dalla destra radicale, rivelano spesso di nutrire simpatie nei confronti del nazismo. Nel caso della sinistra, come ha rilevato efficacemente Pierre-André Taguieff, l'antisionismo si presenta in quanto forma bislacca ed esacerbata di falso antirazzismo. A destra come a sinistra, tuttavia, opera il medesimo cliché, quello che ribalta sugli accusati, con un vero e proprio gioco di proiezioni mentali, le proprie fantasie deliranti. Giunti a questo punto della scala d'intensità sopravviene infatti la sovrapposizione con il pregiudizio antisemita. Israele, infatti, in quanto prodotto mefitico del sionismo, è visto come una sorta di "ebreo collettivo", sul quale scaricare le colpe attribuite agli ebrei in quanto popolo o, eventualmente, come individui.
Gli effetti di caricaturalità sono invece dei rafforzativi nella veicolazione e nella diffusione, a tratti virale, dei paradigmi antisionisti. Non è un caso che soprattutto sul web, vera miniera di opportunità per chi voglia esercitarsi nella diffusione del pregiudizio, abbondino i simbolismi che evocano l'intero armamentario antisemita, a partire dall'accusa del sangue, ovvero di "nutrirsi", figurativamente o addirittura letteralmente, del sangue dei non ebrei. Così è infatti rappresentata la politica israeliana nei confronti dei palestinesi, soprattutto nelle diffusissime vignette che usano gli stessi stilemi in voga ai tempi del nazismo. Le ragioni individuali e le dinamiche di gruppo all'opera in quest'ultimo caso sono quindi per più aspetti omologhe a quelle dell'antisemitismo, dei cui temi di fondo sono di fatto un'attualizzazione. E per l'appunto la fantasia paranoide del sionismo come di un complesso unitario di interessi e di soggetti, tra di loro uniti dall'obiettivo della congiura, alimenta un senso di oppressione che potrà essere superato solo con la distruzione di ciò che viene tematizzato come una minaccia intollerabile: gli ebrei stessi.
(Bet Magazine Mosaico, 29 aprile 2019)
Milano - Israele ed ebraismo sul grande schermo
Dal 4 al 9 maggio torna a Milano la rassegna cinematografica Nuovo Cinema Ebraico e Israeliano, organizzata dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, in collaborazione con la Fondazione Cineteca Italiana di Milano ed il Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani (qui il programma), a cura di Nanette Hayon e Anna Saralvo. Per una settimana al Cinema Orbedan - ad eccezione di una proiezione alla sinagoga centrale di via Guastalla - saranno proiettate alcune delle più significative pellicole legate a Israele e alla storia ebraica: si va infatti dal film inaugurale (ore 21.15) Laces del regista israeliano Jacob Goldwasser, dedicato al rapporto padre-figlio, al documentario Pentcho di Stefano Cattini, che racconta la storia vera di 520 ebrei che il 18 maggio del 1940 partirono da Bratislava a bordo del battello fluviale Pentcho nella speranza di raggiungere la Palestina mandataria. Tra coloro che sbarcarono quel giorno, Karl Haim Farkash, che verrà a Milano da Israele per portare la sua testimonianza e assistere alla proiezione (domenica 5 maggio, ore 17.00). Di libri e letteratura ma non solo parla invece il documentario Etgar Keret: Based On A True Story di Stephane Kaas, dedicato al celebre scrittore israeliano. A introdurre il film sarà Sara Ferrari, docente di ebraico all'Università di Milano, che martedì 7 presenterà anche cinque corti sulle bellezze naturali e artistiche israeliane del Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano, girate per il Ministero del Turismo Israeliano.
A seguire, Cheese! di Nathan De Pas Habib, che racconta il viaggio a Roma di ospiti e operatori della Comunità Psichiatrica Mizar di Milano in occasione della Dream World Cup, mondiale di calcio a 5 per persone con disabilità mentali. L'8 maggio Ariela Piattelli - assieme a Lirit Mash, direttore artistico del Pitigliani Kolno'a Festival di Roma, da cui la rassegna milanese prende ispirazione - presenterà The Other Story di Avi Nesher (proiezione alle 17.00), incentrato sull'incrocio delle storie di due giovani donne ribelli - una in fuga dall'edonismo laico per i comfort disciplinati della fede e l'altra dall'opprimente educazione religiosa per la libertà sessuale e spirituale. Per festeggiare Yom Hatzmaut - sempre l'8 maggio - alle 18.00 alla sinagoga Guastalla sarà proiettato il film Ben Gurion, Epilogue, dedicato a uno dei padri fondatori dello Stato d'Israele.
Giovedì 9 due docufilm dedicati ad altrettante figure importanti dell'ebraismo italiano del Novecento: Edoardo Volterra ed Enrica Calabresi. Alle 17.00 la storica del Cdec Liliana Picciotto introdurrà la figura di Volterra, grande giurista e partigiano, con a seguire la proiezione di Edoardo Volterra. La vita come dovere, lo studio come passione di Andreina di Brino e Marco Visalberghi.
Alle 18.15 sarà invece il momento di "Una donna. Poco più di un nome", docufilm firmato da Ornella Grassi - che assieme ad Alessandra Minerbi presenterà la pellicola - e dedicato alla vita della scienziata Enrica Calabresi, zoologa, segretario della società entomologica italiana, cacciata dall'Università di Firenze con la vergogna delle leggi razziste.
(moked, 29 aprile 2019)
California, attacco alla sinagoga: è allarme suprematismo negli Usa
Arrestato un diciannovenne nazionalista, voleva emulare la strage di Christchurch. L'assalto spinto dall'odio per gli ebrei. Fbi: crimini antisemiti aumentati del 37%
di Paolo Mastrolilli
NEW YORK - L'allarme suprematismo irrompe negli Usa, e nella campagna per le presidenziali del prossimo anno, dopo l'attacco di sabato alla sinagoga di Poway in California. Il colpevole, il diciannovenne John Earnest, si sarebbe ispirato alla recente strage di Christchurch, dove invece l'obiettivo del nazionalismo bianco era stata una moschea. Ciò dimostra la pericolosa saldatura in corso tra i gruppi dell'odio, che l'ex vice presidente Biden ha messo al centro della sua campagna elettorale, accusando apertamente Donald Trump di aver fomentato questi sentimenti che stanno corrompendo lo spirito degli Stati Uniti, a partire da quando durante gli scontri di Charlottesville del 2017 aveva posto sullo stesso piano aggressori e aggrediti.
Earnest ha sparato nella sinagoga Chabad con un AR15 durante le celebrazioni del Passover, urlando che «gli ebrei stanno rovinando il mondo». Ha ucciso una donna, Lori Kaye, e ferito tre persone. Un manifesto attribuito a lui, pubblicato sul message board 8chan, non solo si ispirava alla strage in Nuova Zelanda, ma anche al presunto «genocidio degli europei» che sarebbe in corso in tutto il mondo. Un falso complotto ricorrente nella retorica dei gruppi dell'odio, che infatti a Charlottesville avevano sfilato con cartelli in cui dicevano che «gli ebrei non ci rimpiazzeranno».
Trump ha offerto subito le condoglianze, promettendo di andare alla radice dell'attacco. L'ex direttore di New Republic, Peter Beinart, gli ha però risposto così: «Se fomenti l'odio contro i musulmani, non offrire la tua simpatia quando l'odio uccide gli ebrei. L'antisemitismo e l'islamofobia sono due sintomi della stessa malattia del nazionalismo bianco. O li combatti entrambi, o sei complice di entrambi». E questo ragionamento si potrebbe estendere ai neri, agli ispanici, a tutte le minoranze non bianche in generale.
Secondo i dati dell'Fbi, tra il 2016 e il 2017 i crimini dell'odio negli Usa sono aumentati del 17%, da 7.175 a 8.437. Quelli specifici contro gli ebrei hanno invece registrato un balzo del 37%, mentre l'Anti Defamation League ha denunciato un incremento del 57%. Nel 2018, il Southern Poverty Law Center ha censito 1.020 gruppi dell'odio in America, cioè un aumento del 7% rispetto al 2017, ma il salto fra i nazionalisti bianchi è stato del 50%. Sempre secondo i dati di Splc, l'incremento di questi «hate group» è stato costante negli ultimi quattro anni. Nel 2014 erano scesi a 784, ma nel 2018 sono saliti a 1.020, facendo registrare un aumento complessivo del 30%.
La tendenza è abbastanza chiara, e annunciando la sua candidatura alla Casa Bianca giovedì scorso, Biden non ha esitato ad attribuirne la colpa a Trump: «Quando dopo Charlottesville ha commentato che ci sono ottime persone da entrambe le parti, ho capito quanto la minaccia per la nostra nazione fosse grave come niente altro che abbia visto nella mia vita». Il capo della Casa Bianca ha risposto così: «Se guardi a cosa ho detto, la risposta era perfetta. Stavo parlando delle persone andate a manifestare perché per difendere il monumento di Lee, un grande generale».
Biden ha puntato sulla battaglia per l'anima degli Usa perché in questo momento è l'argomento più forte per consolidare la sua base, visto ad esempio il buon andamento dell'economia che favorisce Trump. Episodi come quello di Poway però confermano che l'emergenza esiste e, qualunque sia la responsabilità, va affrontata.
(La Stampa, 29 aprile 2019)
Yemen - Ex bambino soldato: gli Houthi mi insegnavano a odiare gli ebrei
MAREB - "Prima di insegnarci a sparare - ha detto il ragazzo - avevano la necessità di indottrinarci. Mi sono trovato in una specie di scuola, in un campo di addestramento per seguire un corso di indottrinamento ideologico. Ci hanno prima spiegato la vita del leader del gruppo, Abdel Malik al Houthi, e il suo pensiero. Ci hanno fatto sentire i suoi discorsi e spiegato l'importanza del loro slogan ufficiale, quello posto sulle bandiere che sventolano al centro di Sana'a, che è 'Morte all'America, morte a Israele e che siano maledetti gli ebrei'. Ci hanno insegnato quindi ad odiare Israele e gli ebrei che sono secondo loro il male del mondo".
Il quattordicenne è riuscito a trovare la forza di fuggire dal campo Houthi: "Sono riuscito a scappare e dopo cinque giorni di cammino a piedi sono riuscito a raggiungere Mareb, trovando ospitalità nei campi profughi".
(Agenzia Nova, 29 aprile 2019)
Bufera sul New York Times: "Ha pubblicato vignette antisemite"
Le vignette del New York Times sono state subito equiparate dalla stampa israeliana a quelle confezionate dalla propaganda nazista negli anni Trenta.
di Gerry Freda
La storica testata, che ha finora ripetutamente bollato il presidente Usa come razzista e xenofobo, ha infatti di recente pubblicato alcune vignette intese a mettere in ridicolo i solidi legami instaurati in politica estera dal tycoon con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Nei disegni satirici incriminati, il leader del Likud appare come un cane al guinzaglio di Donald Trump, a sottolineare, a detta della redazione del giornale, la "viscerale ammirazione" del primo ministro di Gerusalemme verso l'inquilino della Casa Bianca.
La comparsa di tali vignette sulle pagine del New York Times ha subito provocato un'ondata di indignazione negli Stati Uniti e ha suscitato le violente proteste della comunità ebraica. L'American Jewish Committee, per bocca del suo presidente David Harris, ha infatti bollato come "disgustose" le caricature in questione e ha quindi dichiarato: "In una fase storica in cui gli ebrei sono di nuovo presi di mira e sono vittime di attentati, l'iniziativa di The New York Times serve solo a gettare benzina sul fuoco e a rafforzare gli istinti antisemiti della popolazione." Egli ha poi addirittura promosso un "boicottaggio" del giornale.
Anche i media dello Stato ebraico hanno condannato i disegni satirici pubblicati di recente dalla storica testata. Ad esempio, The Jerusalem Post ha paragonato questi ultimi alle caricature che usavano pubblicare i giornali della Germania nazista per infamare le comunità israelitiche. Scrive a tale proposito l'editorialista Seth J. Frantzman: "Le immagini di Netanyahu apparse ultimamente sul New York Times ci fanno tornare agli anni Trenta, quando la propaganda nazista sfornava testate zeppe di vignette che dileggiavano gli ebrei raffigurandoli come bestie. Oggi, Israele e la minoranza ebraica sono soggetti negli Usa a una vera e propria campagna di odio da parte dei principali media nazionali. A nessun altro Paese o confessione religiosa è riservato un trattamento simile da parte dei network americani."
Anche l'entourage del presidente statunitense ha espresso sdegno e irritazione per l'iniziativa dell'organo di informazione newyorchese. Donald Trump Jr, figlio primogenito del tycoon, ha infatti tuonato: "Nel suo delirio contro mio padre e i suoi estimatori, il New York Times ha persino riesumato l'antisemitismo più becero. Immaginate cosa sarebbe successo se quelle vignette fossero comparse su un giornale non di sinistra? Questi media radical-chic, dall'alto della loro sbandierata superiorità morale, sono sempre pronti a bollare come razzisti e fascisti i loro avversari. Quando invece sono proprio loro a utilizzare una retorica palesemente discriminatoria, allora si trincerano dietro il diritto di satira e la libertà di opinione."
La redazione della testata, in un comunicato, ha infine espresso il proprio rammarico per la pubblicazione dei controversi disegni satirici, rivolgendo contestualmente "scuse ufficiali" alla comunità ebraica. La nota in questione definisce quindi "un errore" la scelta del quotidiano di ospitare le vignette incriminate sulle proprie pagine ed etichetta queste ultime come "platealmente offensive".
(il Giornale, 29 aprile 2019)
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Quella vignetta da anni '30 nell'edizione internazionale del New York Times
L'autorevolissimo giornale ha ritenuto appropriato diffondere l'idea che il presidente della prima potenza mondiale sia un cieco portato in giro dal "cane ebreo"
In un periodo di crescente antisemitismo, mentre si moltiplicano allusioni e strizzate d'occhio a più vieti cliché anti-ebraici, l'edizione internazionale del New York Times ha fatto l'equivalente di dire "mo' vi facciamo vedere noi di cosa siamo capaci" e ha pubblicato una vignetta satirica che mostra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump come un cieco guidato da un cane con al collare la Stella di Davide e al posto della testa la caricatura del volto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Quando ho visto la vignetta on-line non riuscivo a credere che fosse vera. Anche molti miei colleghi non ci credevano. Ho passato tutta giornata di sabato cercando di rintracciare una copia cartacea. Ho telefonato ad amici e ho ottenuto un PDF dell'edizione, ma ancora non ci credevo. Finché in un supermercato aperto 24 ore al giorno ho trovato l'edizione di giovedì 25 aprile e, con circospezione, l'ho sfogliato fino a pagina 16. E lì l'ho vista, quella orribile immagine di un presidente americano cieco con tanto di kippà in testa, guidato da un cane con il volto del primo ministro d'Israele. Non bastasse, sì: il cane portava una Stella di Davide al collare....
(israele.net, 29 aprile 2019)
Una democrazia che merita rispetto
A Gerusalemme si vota, a Ramallah regna Abu Mazen
Scrive il Times of Israel (7/4)
Caro Mondo, questa settimana in Medio Oriente accade una cosa incredibile" scrive Michael Dickson. "Tienilo presente, perché i tuoi mass-media potrebbero non raccontarla in questo modo. Milioni di cittadini, uomini e donne, indipendentemente da sesso, etnia o religione, vanno alle urne. Queste elezioni autentiche e totalmente libere si svolgono in una società democratica, sotto il controllo di un sistema di informazione indipendente, aperto e senza limitazioni. Verranno fatte scelte libere, la voce dei cittadini verrà ascoltata e il governo cambierà di conseguenza. La cosa sorprendente è che tutto questo non sarà per nulla sorprendente, poiché queste elezioni si tengono qui in Israele esattamente come si sono tenute sin dal momento in cui venne istituito lo stato ebraico settant'anni fa. Cerca Israele sulla carta geografica, zooma all'indietro e vedrai quanto questo fatto è unico e speciale. Nonostante le sanguinose convulsioni della "primavera araba", Israele rimane un'isola diversa dai suoi vicini, come è sempre stato: è ancora l'unica vera democrazia in Medio Oriente, e una democrazia solida. A nord di Israele, il governo libanese è pregiudicato da Hezbollah, l'organizzazione terroristica al servizio dell'Iran che fa parte del governo al potere, mentre la Siria va avanti con l'atroce massacro di centinaia di migliaia di suoi cittadini, e la società chiusa iraniana, che ha appena celebrato quarant'anni dalla rivoluzione islamista, ha prodotto una serie di elezioni palesemente truccate. A est di Israele, un regno giordano dove si tengono elezioni solo parzialmente libere e che sente sul collo il fiato delle rivoluzioni arabe scivolate nell'islamismo. A sud, un Egitto non democratico dove i cristiani temono per la propria vita e ogni critica viene soffocata. E non si dimentichi il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il cui mandato di quattro anni è scaduto più di dieci anni fa e non si vedono elezioni all'orizzonte. Né Gaza i cui abitanti, nonostante le recenti proteste contro il dominio dittatoriale, continuano a vivere sotto il pugno di ferro di Hamas che schiaccia ogni dissenso. Ora zooma di nuovo su Israele, l'unico paese ebraico al mondo, nel quale ogni cittadino esercita la facoltà di dire la propria su chi sta al governo. Giustamente Israele non si paragona ai paesi confinanti della regione, ma alle democrazie liberali che hanno un paio di secoli di esperienza democratica alle spalle. Non ci saranno foto commoventi di israeliani che gioiscono per il loro diritto di votare: qui in Israele è un diritto che diamo per scontato. Caro Mondo, questa settimana accade una cosa straordinaria in Israele. Come per tutti i risultati di elezioni vere, potrai gradire o non gradire i risultati. Ma Israele è un esempio eccezionale di autogoverno democratico: dovresti celebrarlo o rispettarlo".
(Il Foglio, 29 aprile 2019)
Israele: sventato un attentato di Hamas
Lo Shin Bet, il servizio di intelligence interna israeliano, ha sventato un attentato lo scorso mese, in coincidenza con le elezioni, un attacco suicida con un'autobomba di un operativo di Hamas che è stato arrestato.
Lo ha fatto sapere lo stesso Shin Bet secondo cui il sospetto, Yahya Abu Dia (23 anni) è stato fermato lo scorso 31 marzo nella sua casa di az-Za'ayyem, in Cisgiordania. "Nell'interrogatorio - ha spiegato lo Shin Bet - Abu Dia ha detto di essere in contatto con ufficiali di Hamas della Striscia di Gaza attraverso internet e di essere stato reclutato per operazioni militari concordando di compiere missioni e atti come kamikaze. Abu Dia è stato incaricato di comprare un'auto e di affittare un magazzino in modo da preparare l'autobomba e anche di individuare il posto migliore nell'area di Maalè Adumim (sotto Gerusalemme, ndr) dove c'e' più assembramento di bus, civili e soldati".
(ANSAmed, 28 aprile 2019)
Antisemitismo: l'Europa inospitale e pericolosa per gli ebrei?
Tombe profanate, aggressioni a passanti, uccisioni a sangue freddo, linciaggi. L'Europa (soprattutto, ma non solo) sta tornando ad essere un posto inospitale e perfino pericoloso per gli ebrei. Il peggior Paese è la Francia, tanto che perfino il New York Times il 12 aprile scorso ha dedicato un articolo al riemergere di questo fenomeno. Oltralpe l'89% degli studenti ebrei ha dichiarato di aver subìto almeno un atto antisemita; nel 2017 le vittime furono 311, nel 2018 541, passando così da un aumento del 26% al 74%.
Secondo Le Monde questi sono solo gli episodi segnalati alla polizia, ma il numero potrebbe essere molto più alto, proprio come successe nel 2006, quando il giovane Ilan Halimi fu rapito e atrocemente torturato fino alla morte, avvenuta 24 giorni dopo. Prima che il ragazzo cadesse nella trappola ben premeditata dalla "Banda dei barbari", gli stessi assassini avevano tentato, senza successo, di sequestrare altri ebrei, sempre a scopo di estorsione e omicidio a carattere razzista, ma la polizia, che non aveva ricevuto tutte le segnalazioni necessarie e non aveva saputo collegare le informazioni che già aveva, sottovalutò il movente e, come in seguito all'attentato al Charlie Hebdo, 9 anni dopo, si dimostrò totalmente impreparata e forse anche indifferente, nell'affrontare questo tipo di violenze.
Sempre in Francia, ora, a due anni dall'omicidio di Sarah Halimi massacrata di botte al grido di "Allah hu akbar" e poi defenestrata dal terzo piano mentre l'assassino esultava "ho ucciso il diavolo", la terza perizia psichiatrica ha definito il giovane musulmano "incapace di intendere e di volere perché sotto gli effetti della cannabis" e dunque penalmente irresponsabile; un inammissibile paradosso, dato che, al contrario, per esempio, l'assunzione di alcol prima di un delitto costituisce un'aggravante e non certo un'attenuante.
Ancora più assurdo, però, che non solo molto probabilmente non subirà un processo, ma verrà perfino dimesso dall'ospedale psichiatrico perché non gli è stata riscontrata alcuna patologia mentale cronica. Due settimane fa 39 intellettuali hanno firmato un appello nel quale affermano tra l'altro:
«L'antisemitismo non è un affare solo degli ebrei, ma è di tutti (
) Perché questo silenzio? Perché la radicalizzazione islamista - e l'antisemitismo che essa veicola - è considerata esclusivamente da una parte delle élite francesi come l'espressione di una rivolta sociale, quando invece lo stesso fenomeno avviene in altre società come la Danimarca, l'Afghanistan, il Mali o la Germania. Perché al vecchio antisemitismo di estrema destra si aggiunge l'antisemitismo di una parte della sinistra radicale che ha trovato nell'antisionismo l'alibi per trasformare i boia degli ebrei nelle vittime della società. Perché la bassezza elettorale calcola che il voto musulmano è dieci volte superiore a quello ebraico».
Un altro appello era stato firmato l'anno scorso all'indomani di un altro omicidio a carattere antisemita perpetrato da un altro fondamentalista musulmano. Il tragico evento aveva fatto più scalpore dell'omicidio dei due Halimi (non parenti fra loro, ma entrambi di origini nord africane), perché la vittima, l'85enne Mireille Knoll, era una sopravvissuta alla Shoah. Quell'appello era stato firmato da 300 persone e in migliaia parteciparono alla "marcia bianca" qualche giorno dopo. Tutto questo, evidentemente, è servito a molto poco se in altre manifestazioni , quelle dei gilet gialli degli ultimi mesi, la folla si è più volte sfogata in aggressioni antisemite, di cui la più eclatante è stata perpetrata nei confronti del filosofo Alain Finkielkraut.
Una ricerca europea pubblicata l'anno scorso denuncia che dopo la Francia è il Belgio il Paese più colpito dalla piaga, dove l'81% degli intervistati ha subito atti ostili, a fronte di una media europea del 70%. L'esempio più drammatico è stato certamente l'attentato al museo ebraico di Bruxelles nel 2014, ma anche la propaganda non scherza: due mesi fa, in occasione del Carnevale nella città fiamminga di Alost, inserito nel 2010 nel patrimonio dell'Unesco, ha sfilato un carro con caricature di ebrei ortodossi, dal naso adunco, seduti su sacchi pieni di denaro.
Altri fantocci, sempre con sembianze degli stereotipi antisemiti, sono stati squartati e dati alle fiamme in Polonia in occasione del Venerdì Santo. Nel Paese è ancora molto vivo l'odio per gli ebrei alimentato principalmente dal razzismo e dal fondamentalismo cattolico. Dopo la famigerata legge sul divieto di definire polacchi i campi di sterminio presenti in tutto il territorio nazionale e sulla penalizzazione di chi associa lo Stato ai crimini nazisti, il twitt in polacco della locale ambasciatrice americana in cui agli auguri per la Pasqua cristiana aveva aggiunto quelli per la Pasqua ebraica, è stata presa come un'offesa e bollata come una provocazione.
È evidente la volontà di non riconoscere il diritto di cittadinanza o la libertà di espressione religiosa ai diecimila ebrei rimasti nel Paese. Un Paese dove prima della seconda guerra mondiale ne vivevano 3 milioni - una delle più grandi comunità della Diaspora - e il cui 85% fu sterminato dai nazisti nell'indifferenza e troppo spesso con la complicità della popolazione locale. Lo stesso Paese dove i pogrom continuarono anche negli anni successivi alla fine del conflitto, dalla popolazione autoctona ormai liberata.
Anche in Germania negli ultimi anni gli attacchi sono cresciuti notevolmente: solo nel 2018, tra aggressioni fisiche, verbali, lettere minatorie e danni a proprietà, l'aumento è stato del 73% rispetto al 2017. L'elemento più preoccupante è che la violenza coinvolge perfino i più piccoli: l'anno scorso in una scuola elementare una bambina di 7 anni fu spintonata, insultata e presa a calci e pugni da alcuni suoi coetanei.
"L'episodio, è da iscriversi - riportavano alcuni media italiani - tra i casi di quello che in Germania è stato ribattezzato "mobbing religioso", «bambini soggetti al fanatismo di genitori, fratelli maggiori o parenti più stretti», ha dichiarato al Berliner Zeitung l'insegnante di una scuola elementare del quartiere Neukölln, dove il 70 per cento degli alunni è figlio di immigrati, «non sanno ancora leggere o e scrivere, ma già dividono il loro piccolo mondo in due catene: credenti e miscredenti, musulmani e non-musulmani»". D'altro canto, anche i giovani autoctoni non sono immuni dal fenomeno: la tendenza al revisionismo e al negazionismo nei social serpeggia in diverse centinaia di ragazzi, perfino tra coloro che hanno visitato i campi di concentramento con la scuola.
In Gran Bretagna, l'elemento più preoccupante sono i politici e in particolare i laburisti che, come illustra il sondaggio riportato dal Guardian, detengono il record europeo di antisemitismo. Nel 2018 un dossier consegnato dall'emittente LBC costrinse Scotland Yard ad intervenire e dall'indagine condotta emersero casi di vero e proprio odio etnico, come per esempio le proclamazioni di un militante secondo cui "bisogna sbarazzarsi degli ebrei, che sono un cancro fra noi».
Nel febbraio scorso sette deputati, sempre laburisti, hanno lasciato il loro partito a causa dell'antisemitismo dilagante. Una di loro, Luciana Berger, è stata vittima di aggressioni fisiche e online, al punto di aver avuto bisogno delle guardie del corpo durante il congresso del suo partito. Il problema sembra essere nato dall'elezione di Corbyn, nel 2015: "fino alla sua nomina - scrive Joan Ryan, l'ultima ad aver presentato le dimissioni - i laburisti non hanno avuto problemi con il razzismo antiebraico. Oggi è [un partito] istituzionalmente antisemita." E conclude: "Un governo Corbyn sarebbe, come hanno sostenuto gli ebrei britannici, una minaccia esistenziale per la comunità".
Tristemente salita agli onori della cronaca per la sua pesante connotazione antisemita anche la campagna condotta in Ungheria contro Soros, nella quale sono riemersi i topos classici, quali le teorie complottistiche, l'attaccamento al denaro, oltre ad accuse di aver favorito l'immigrazione clandestina in Europa, di essere nemico del popolo ungherese e tanto altro ancora. Sempre in Ungheria, secondo un reportage pubblicato dalla CNN una persona su cinque ha un'opinione negativa degli ebrei.
E in Italia? Sebbene la situazione generale sia meno grave, non possiamo dormire sugli allori. Come quasi ovunque in Europa è stato registrato un aumento dell'antisemitismo, sia per il riemergere dell'estrema destra sia per la continua propaganda terzomondialista e di simpatia verso il terrorismo arabo. Così, se nel 2012 vennero registrati 16 attacchi e nel 2013 quasi il doppio, nel 2018 si è arrivati a 181 casi.
Tra questi i più denunciati dai media sono stati il furto delle pietre d'inciampo (che ricordano le vittime del nazifascismo) a Roma e il tweet del senatore 5Stelle, Elio Iannutti, in cui citava il famigerato libercolo "I protocolli dei Savi di Sion". È il web, naturalmente, ad essere il ricettacolo e il maggiore diffusore incontrollato e incontrollabile di stereotipi e incitazioni alla violenza. In particolare i social network come facebook, per esempio, che invece di combatterli, spesso li favorisce.
Come si può facilmente evincere da questa breve e parziale rassegna, l'odio verso gli ebrei è in aumento in quasi tutta l'Europa e alberga un po' ovunque, sia in politica che nella società civile, in particolar modo tra gli estremisti, di destra e di sinistra e tra i musulmani immigrati o di seconda e terza generazione. Come la Storia ci ha insegnato l'antisemitismo è un fuoco che cova sotto la cenere, pronto a riemergere prepotentemente ogni qualvolta un radicale cambiamento porta con sé una crisi, sia essa economica, politica e/o sociale.
Si potrebbe anche paragonare ad una scala dove il primo gradino sono i pregiudizi e l'ultimo i pogrom e lo sterminio. Se fra la propaganda basata più o meno velatamente sugli stereotipi e la violenza verbale la distanza è esigua, ancora più breve è lo spazio che separa quest'ultima dagli attacchi fisici e le discriminazioni istituzionalizzate.
Forse si è ancora in tempo ad evitare che il nostro Continente arrivi di nuovo in cima alla scala, ma sono necessari una più ampia e profonda consapevolezza e un maggiore impegno da parte di tutti.
(Agenzia Radicale, 28 aprile 2019)
Morte e terrore nell'attacco alla sinagoga. "Crimine d'odio"
di Francesco Semprini
E' un crimine d'odio". Così il presidente americano Donald Trump ha commentato a caldo la sparatoria contro i fedeli della sinagoga di Poway, alle porte di San Diego, che è costata la vita di almeno una persona e il ferimento di almeno altre tre. Sono stati attimi di terrore quelli vissuti ieri nella cittadina della California meridionale: diversi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi ad altezza d'uomo e in direzione dei fedeli che si erano radunati davanti al centro ebraico della Congregation Chabad in occasione delle celebrazioni della Pasqua ebraica. La scena è stata drammatica con diverse persone colpite rimaste a terra. Tra loro ci sarebbero anche un rabbino e alcuni bambini. Il bilancio provvisorio è di almeno un morto, una donna a quanto sembra, e tre o quattro feriti. Un uomo è stato fermato dalla polizia e si sospetta sia l'autore dell'attacco, anche se ancora non si hanno dettagli sulla dinamica e sul movente della vicenda. Fonti ospedaliere del Palomar Medical Center di Poway hanno parlato di almeno quattro persone ricoverate, e probabilmente tra loro ci sarebbe l'unica vittima confermata fino al tardo pomeriggio di ieri. Non sono chiare le condizioni degli altri colpiti.
Fermato un ragazzo di 19 anni
"È una festa molto importante per noi. C'era molta gente dentro, stavano pregando", ha dichiarato all'emittente Nbc Minoo Anvari, una fedele del centro ebraico, il cui marito era proprio dentro la sinagoga, quando il killer è entrato nell'edificio e ha iniziato a sparare all'impazzata imprecando. "Tutti hanno cominciato a piangere e a urlare". Ancora vivo negli Usa è il ricordo della strage della sinagoga di Pittsburgh, in Pennsylvania, avvenuta esattamente sei mesi fa, il 27 ottobre scorso, quando un uomo, Robert Bowers, entrò in azione e uccise 11 persone, in quello che viene considerato l'attacco antisemita più grave della storia degli Stati Uniti. Nel caso di Poway non è ancora chiaro se il movente della sparatoria sia l'antisemitismo: dell'autore dell'attacco si sa che è un bianco di 19 anni residente nell'area di San Diego.
Gli investigatori dell'Fbi lo hanno interrogato sin dalla sua cattura per capire se abbia agito da solo e se dietro quell'atto deliberato ci sia una matrice ben precisa. La comunità ebraica di Poway è sconcertata per quanto accaduto. Il sindaco della cittadina Steve Vaus ha parlato davanti alle telecamere di "crimine d'odio" e ha dichiarato che l'obiettivo degli spari era proprio la comunità ebraica: "Credo che l'autore di quanto accaduto - ha detto - sia stato mosso dall'odio per questa comunità".
(La Stampa, 28 aprile 2019)
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Attacco alla sinagoga di San Diego. Ora basta parlare di "pazzi"
Un fanatico mosso dall'odio religioso e verso i diversi, non un pazzo. E' questo l'identikit dell'attentatore di San Diego. Perché i fanatici non sono solo islamici e crescono ogni giorno di più.
Un morto e tre feriti. E' questo il bilancio di un attacco alla sinagoga di San Diego effettuato da un uomo di 19 anni che ha aperto il fuoco sui fedeli che festeggiavano la fine della Pasqua ebraica.
La vittima è una madre di 60 anni, Lori Gilbert Kaye, mentre tra i feriti oltre al rabbino, Yisroel Goldstein, c'è anche una bambina di otto anni, Noya Dahan, originaria di Sderot e lo zio della ragazzina, Almog Peretz, 31 anni, colpito ad una gamba mentre cercava di portare al sicuro i bambini.
L'attentatore, subito arrestato, è stato identificato come John Earnest, un 19enne incensurato di San Diego su cui la polizia sta indagando ma che a quanto pare avrebbe diffuso sui social diversi messaggi di odio contro gli ebrei, l'ultimo appena un'ora prima dell'attacco....
(Rights Reporters, 28 aprile 2019)
Al padiglione di Israele si curano abusi e violenze
di Maria Egizia Fiaschetti
E' un esperimento sul potere terapeutico dell'arte il progetto Field Hospital X, a cura di Avi Lubin, che rappresenterà Israele alla Biennale di Venezia (fieldhospitalX.org). L'ambulatorio, concepito dall'ideatrice Aya Ben Ron (Haifa, 1967) come un'istituzione internazionale itinerante, è allestito con modalità che ricordano quelle delle strutture sanitarie, se non fosse che il percorso di cura riguarda i mali e le violenze della società.
L'ospedale funge da spazio protetto nel quale il disagio e la sopraffazione possano emergere e trovare ascolto. A innescare il processo, come nel rapporto confidenziale che si instaura tra medico e paziente, è la proiezione del video No Body, nel quale Aya Ben Ron racconta la sua storia di abusi in famiglia: nel rivelare aspetti così intimi di sé, l'artista crea le condizioni perché il pubblico si immedesimi nella sua storia, superi l'autocensura e prenda contatto con i propri traumi.
Per entrare nell'installazione vengono distribuiti numeri come in una sala d'attesa: i visitatori, una volta chiamati, accedono alle Care-area e ai servizi dell'ospedale. Nella Self-unit imparano a emettere un urlo in un ambiente isolato: pratica liberatoria, che nell'integrazione psiche-soma ricorda gli esercizi bioenergetici. Sdraiati sulle Care-chairs, postazioni dotate di monitor e cuffie, possono usufruire dei Care-kit, video nei quali ciascun autore rivela di aver subito un'ingiustizia. A ogni proiezione seguono Second-opinions: brevi risposte fornite da esperti in ambiti che spaziano dalla filosofia al diritto, fino alla medicina e alla psicoanalisi, per ampliare l'orizzonte di riflessione e offrire molteplici punti di vista.
(Corriere della Sera, 28 aprile 2019)
Israele libererà due prigionieri dopo aver recuperato i resti dei soldati dalla Siria
GERUSALEMME - Israele rilascerà due prigionieri dopo che i resti di un soldato israeliano scomparso dal 1982 sono stati recuperati dalle forze speciali russe in Siria, hanno detto funzionari israeliani e siriani.
La gente porta la bara di Zachary Baumel, un soldato israeliano nato negli Stati Uniti disperso da una battaglia di carri armati del 1982 contro le forze siriane e le cui spoglie sono state recentemente recuperate da Israele, durante i funerali nel cimitero militare di Mount Herzl a Gerusalemme il 4 aprile 2019. REUTERS / Ronen Zvulun
La Russia, un alleato chiave di Damasco, questo mese ha consegnato i resti e gli effetti personali di Zachary Baumel che aveva 21 anni quando è stato dichiarato scomparso in azione insieme ad altri due soldati nella battaglia di Sultan Yacoub durante l'invasione israeliana del Libano.
Una fonte del governo siriano ha detto a Reuters che due o più siriani sarebbero stati liberati dalle prigioni israeliane dopo la mediazione russa. La fonte ha detto che le autorità hanno fatto pressioni su Mosca per ottenere la liberazione dei prigionieri dopo che le notizie sui resti del soldato israeliano sono state consegnate. Entrambe le parti sembravano allontanarsi da ogni suggerimento che la liberazione fosse parte di uno scambio negoziato tra i due stati nemici, Israele e Siria.
"Israele ha deciso nei giorni scorsi di rilasciare due prigionieri come gesto di buona volontà, solo dopo il ritorno dei resti di Zachary Baumel", ha detto il funzionario israeliano, parlando in condizioni di anonimato. Non ci sono stati commenti immediati da parte delle autorità russe.
Il servizio carcerario israeliano ha identificato i due prigionieri come Ahmed Khamis e Zidan Taweel. Ha detto che Khamis, di Yarmouk, un campo profughi palestinese in Siria, era un membro del gruppo palestinese Fatah ed è stato imprigionato nel 2005 dopo aver tentato di infiltrarsi in una base militare israeliana per effettuare un attacco contro i soldati.
Taweel, del villaggio siriano dei Drusi di Hader, è stato incarcerato nel 2008 per traffico di droga, ha detto il servizio carcerario. Un portavoce del servizio ha detto che non era ancora chiaro quando sarebbero stati rilasciati.
(Reuters, 28 aprile 2019)
Lituania: antico cimitero ebraico rischia di scomparire definitivamente
di Nathan Greppi
Lunedì 15 aprile la EFHR, un'associazione lituana per i diritti umani, ha sporto reclamo presso il tribunale di Vilnius per impedire al governo lituano di costruire un centro conferenze sulle macerie di un cimitero ebraico: "Membri attivi della comunità ebraica, attivisti lituani non ebrei per i diritti umani, e persone di origini ebraico-lituane nel mondo hanno cercato per anni di attirare l'attenzione delle autorità per un progetto che causerebbe un danno inenarrabile alla reputazione della Lituania e darebbe il via libera a un centro per conferenze dove molte persone coscienziose, per principio, si rifiuterebbero di entrare negli anni a venire," si legge nella dichiarazione dell'EFHR.
Secondo Algemeiner il cimitero, usato tra il '400 e i primi dell'800, quando gli ebrei prosperavano in Lituania, fu distrutto dalle autorità sovietiche nel 1949 per fare spazio a un campo da calcio. Nel 1972, lo stadio fu convertito in un "palazzo dello sport" (nella foto) Dopo il crollo dell'URSS, la struttura è rimasta abbandonata per molti anni finché, nel 2016, il governo lituano ha annunciato di voler costruire su quel terreno un centro conferenze spendendo milioni di euro.
Tra coloro che protestarono contro la decisione del governo vi fu l'allora Rabbino Capo d'Israele David Lau, che nel gennaio 2018 inviò una lettera al Presidente lituano Dalia Grybauskaitè, ricordandole che il sito "contiene i resti e i corpi di decine di migliaia di ebrei." Rav Lau ha continuato dicendole: "Mi appello a lei affinché faccia il possibile per prevenire qualunque danno ai martiri d'Israele e a coloro che sono sepolti lì e per non profanare questo sacro cimitero."
La protesta si è diffusa a livello internazionale, tanto che negli USA 12 deputati e 3 senatori hanno inviato lettere di protesta al governo lituano. Tuttavia, nella sua dichiarazione di lunedì l'EFHR dice che le proteste "sono state ignorate dalle autorità e restano senza risposte significative." Inoltre, è emerso che la Turto bankas, la banca di stato lituana, intende contribuire al finanziamento dei lavori per il nuovo centro.
Prima della guerra vivevano 100.000 ebrei a Vilnius, ma di questi solo 24.000 sopravvissero ai campi di concentramento. Oggi nella capitale lituana vivono circa 5.000 ebrei, su un totale di 6.500 in tutto il paese, di cui 200 sono superstiti della Shoah.
(Bet Magazine Mosaico, 28 aprile 2019)
Commenti sulle elezioni in Israele
Appresa la combattuta vittoria elettorale del Likud e del primo ministro Benjamin Netanyahu, a nome mio e del Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica ci congratuliamo per il risultato ottenuto; siamo certi che se lei avrà il mandato di formare il nuovo governo, lo farà con equilibrio e visione strategica.
Il popolo d'Israele ed il popolo Veneto sono legati ad un'ancestrale aspirazione di libertà e convivenza armonica con i popoli che corrispondono la stessa fraternità nella piena autodeterminazione. Il Veneto Serenissimo Governo, anche in questo frangente è a fianco dei suoi fratelli israeliani e li ringrazia per il continuo sacrificio nella lotta contro il terrorismo. Auguro buon lavoro, nell'interesse non solo di Israele, ma di tutti gli amanti della pace. Fraterni saluti.
Per il Veneto Serenissimo Governo
Il presidente Luca Peroni
(Il Tempo, 28 aprile 2019)
Germania: lezioni di ebraismo nelle scuole pubbliche della Sassonia
di Paolo Castellano
Per favorire il dialogo interreligioso e per prevenire comportamenti antisemiti la Germania ha istituito dei corsi di ebraismo che verranno introdotti a breve nelle scuole medie e superiori. È ufficiale però che i corsi partiranno in Sassonia, storica regione tedesca, offrendo alle nuove generazioni delle lezioni di ebraismo.
Gli insegnamenti ebraici partiranno il prossimo anno accademico ma gli studenti delle scuole pubbliche potranno frequentare anche dei corsi dedicati alla religione cattolica o a quella protestante, qualora lo desiderassero. Gli studenti ebrei della Sassonia però non hanno l'obbligo di frequentarli.
Come riporta Israel National News, altri stati tedeschi introdurranno dei corsi simili che saranno accessibili a tutti gli studenti con qualsiasi curriculum di studio.
I ragazzi di altre fedi potranno così approfondire alcuni temi ebraici insieme ai loro coetanei ebrei. «Può contribuire a una migliore conoscenza della religione», ha dichiarato Josef Schuster, presidente del Consiglio Centrale Ebraico della Germania, agli organi di stampa tedeschi.
Le scuole media delle città di Chemnitz, Lipsia e Dresda offriranno il percorso formativo sopracitato. Le scuole superiori invece lo faranno nei prossimi anni.
Il corso di ebraismo nelle scuole pubbliche è stato proposto e organizzato dalle organizzazioni ebraiche tedesche. Si stima che siano 2,600 gli ebrei iscritti alle comunità ebraiche nei territori dell'ex-stato della Germania dell'Est.
Come ha riportato il The Times of Israel nel settembre del 2018, in Sassonia - definito stato della riunificazione - sono presenti dei gruppi di estrema destra che appoggiano ideologie naziste e dunque antisemite. Per di più, i partiti di estrema destra xenofobi e razzisti hanno ottenuto importanti successi elettorali in Sassonia durante gli anni '90 e 2000.
Secondo Anetta Kahane , responsabile della fondazione antirazzista Amadeu Antonio, il governo tedesco ha lasciato soli i sindaci locali che dovevano contrastare i gruppi di estrema destra durante il complicato periodo di post-unificazione.
(Bet Magazine Mosaico, 28 aprile 2019)
Dio è luce
Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunziamo: Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che abbiamo comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, com'egli è nella luce, abbiamo comunione l'uno con l'altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.
Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi.
Dalla prima lettera dell'apostolo Giovanni, cap. 1
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Israele. Terra promessa, terra in evoluzione
di Pietro Ilarietti
Israele in bici è il viaggio nella vita tra nuovo e mito. La luce è sempre forte e ti ricarica in modo naturale. Autunno, inverno e primavera sono i mesi migliori in sella alle due ruote. Strade ottime, traffico scarso, tranne nella metropoli di Tel Aviv dove invece è un caos costante, ma le bici viaggiano pure in autostrada. Il senso del pericolo è diverso rispetto all'Europa e bambini girano da soli in città.
Profumi e sensazioni si mescolano e i contrasti sono forti. Si passa dai quartieri super tech di Tel Aviv, dove il patron di Cycling Academy Silvayn Adams ha realizzato un centro extralusso dedicato ai ciclisti, alle bancarelle di Carmel Market, cuore vibrante e sincero soprattutto nella zona degli artigiani e artisti. Ci si può trovare di tutto. Merci varie, cibo, spremute di arance e melograni che vengono offerti agli acquirenti da abili venditori. Grazie alla mia guida, esperta di politica e poco amante del premier Bibi Netanyahu, trovo il vero falafel a pochi shaker, la moneta locale. Per fare il calcolo in euro basta dividere per quattro e scopri che quello che pensi di aver pagato un fortuna in realtà è un importo modesto. L'importante è trattare il prezzo, costantemente.
La frutta sempre fresca è utile per chi viaggia in bici. Nel week end per noi si tiene la Granfondo lsrael e per disputarla ci spostiamo verso la regione di Arava, al confine con la Giordania. L'organizzatore è sempre lui, l'ormai mitico Harel Nahmani. Qui il concetto di ciclismo non è proprio quello agonistico europeo e durante la prova vi è un miscuglio di triatleti e ciclisti. Per alcuni chilometri la strada diventa pure sterrata. Forse il modello "Strade Bianche" ha fatto breccia.
Per evitare problemi di viabilità, durante i 150 chilometri, la Polizia effettua dei barrage, ossia raggruppa i ciclisti per far defluire il traffico. Si attende pazienti e nel frattempo si conoscono persone nuove. Il dopo corsa è invece un terzo tempo rugbistico, e ci si ritrova in un'area dedicata in attesa delle premiazioni con un maxi banchetto all'aperto. In un anno scendono tre millimetri di pioggia. Difficile pensare ad un evento guastato dal maltempo.
Terminata la Granfondo, rimaniamo immersi nel paesaggio spettacolare al confine con la Giordania, nel deserto delle comunità locali (i Moshav) che, fra le altre cose, coltivano frutta e verdura desalinizzando e/o sfruttando in maniera adeguata l'acqua salata del Mar Morto e che rendono giardini e frutteti parti di deserto, grazie ad opere ingegnose per la raccolta della (poca) acqua presente. In queste comunità è possibile pure soggiornare come turisti per una vacanza alternativa, e forse più vera, in un territorio apparentemente inaccessibile.
Questi insediamenti sono stati agevolati dai piani governativi per preservare i confini. Basta salire su un'altura per vedere come l'uomo abbia modificato l'ambiente a suo favore. La strada che separa Israele e Giordania permette di capire come la Giordania sia rimasta tale e quale nei secoli, mentre la parte israeliana sia un fiorire di attività.
I Moshav sono cooperative agricole. Solitamente sui libri di scuola ci vengono presentati i Kibbutz, strutture dove i volontari non vengono pagati in denaro ma ricevono tutto ciò di cui hanno bisogno dalla comunità.
In pratica convivono due sistemi opposti. La differenza sostanziale con i Kibbutz è che, nel Moshav, le fattorie sono di proprietà individuale, ma con un'estensione uguale per tutti.
In questo secondo modello, molto innovativo, gli agricoltori che si impegnano di più possono diventare benestanti a differenza dei Kibbutzim collettivi, dove i membri devono avere lo stesso tenore di vita.
Visitare il Moshav è un'esperienza unica. Sono concepiti come aziende di produzione intensiva di frutta, verdura, fiori e addirittura miele. Prendiamo l'esempio della produzione di peperoni. Qui possono essere prodotti in tutti i colori possibili per le esigenze dei vari mercati. Europa e Russia sono gli sbocchi naturali per questi prodotti. L'innovazione è esasperata e si punta forte pure sul biologico. Lasciate le bici fuori dall'azienda facciamo un giro tra le coltivazioni. Non si usano i pesticidi ma sulle piante vengono sparsi boccetti contenenti insetti che mangiano i parassiti. Insetti che sono prima conservati a basse temperature dentro a celle frigorifere e, solo in un secondo tempo, vengono risvegliati al momento di entrare in azione.
La persona che ci guida nelle serre del Moshav ci svela anche grandi estensioni di basilico. Produce tre tonnellate di pesto a settimana e poi lo piazza sui vari mercati. Ed io che ero convinto che il pesto fosse una specialità del made in Italy...
Fatico a credere a tutto quello che vedo con fiori di mille tipi coltivati ovunque e fragole giganti fatte crescere in sospensione. Qui ci sono ricercatori e studenti da tutto il mondo. Come se non bastasse, mi spiegano che non solo l'agricoltura è il vanto di Israele mentre mi porgono un frutto da riporre nella maglietta da ciclismo per avere energie da sfruttare nel resto della pedalata.
Robotica, settore militare, informatica, finanza e costruzioni guidano una nazione che ha nella competizione sfrenata una forza dirompente. La voglia di emergere è molta, bisogna fare tanto, bene e subito, perché nel DNA di questo popolo vi è anche la consapevolezza di un passato che ha visto il futuro sempre incerto.
Mai come in questo posto ho avuto l'impressione che il destino dell'uomo sia nella propria intelligenza. Riprendiamo le nostre bici impolverate e muliniamo sui pedali con la testa piena di riflessioni.
Sempre più spesso si parla di concorrenza internazionale. In uno dei punti più bassi delle terra, a meno 370 metri dal livello del mare si toccano picchi di eccellenza rari a vedersi.
La strada ci porta ora verso Gerusalemme, città dall'affascinante passato e dai fragili equilibri. Mussulmani, cristiani, armeni e ortodossi vivono assieme in un altro equilibrio precario.
(Tuttobicitech, 27 aprile 2019)
"L'Italia e l'Europa di fronte a Israele"
Domani 28 aprile, a Trieste, al Caffè degli Specchi
di Roberto Srelz
Domani, domenica 28 aprile, a Trieste al Caffè degli Specchi in Piazza Unità, l'associazione Italia-Trieste in collaborazione con il Circolo della Stampa organizza una tavola rotonda con inizio alle 17.30 sul tema "L'Italia e l'Europa di fronte a Israele". Presenti i rappresentanti delle principali forze politiche in Parlamento, e moderatore Pier Luigi Sabatti, presidente del Circolo della Stampa di Torino.
La realtà di Israele è quella di una piccola nazione, ricreata dalle interazioni fra poteri globali molto più grandi di lei e dalle decisioni prese in momenti in cui prima la Prima, poi la Seconda Guerra Mondiale erano al culmine. Israele è una nazione piccola per estensione che è sempre stata in grado di sopravvivere e crescere, con grande abilità, in un gioco di diplomazia fra interessi esterni grandissimi, risorse enormi con le quali non può confrontarsi, e che si trova in un territorio instabile per sua natura su un piano geopolitico, che ha attraversato dal primo Dopoguerra a oggi solo brevi periodi di tranquillità. Israele è tradizionalmente vicina all'Italia, ed è rilevante, ora, sullo scenario geopolitico, la recente grande crescita dell'influenza degli Stati Uniti, suo alleato storico e successivamente, dal 1967, anche strategico.
La natura del sistema internazionale è quella di cercare l'equilibrio, e la realtà odierna vede ancora la sfera di influenza degli Stati Uniti come molto più forte a livello mondiale rispetto a quella della Russia e contrapposta a quella emergente della Cina, che appare ormai quasi altrettanto forte; sulla "Nuova Via della Seta", i traffici marittimi, dopo la tappa strategica in Africa a Gibuti, attraversano Suez, e comprendere il ruolo non facile di Israele, oggi, può essere molto importante.
(Triesteallnews, 27 aprile 2019)
L'indegno spettacolo delle offese alla Brigata ebraica
Lettera a La Verità
Ancora una volta a Milano la Brigata ebraica ha dovuto sfilare fra offese e menzogne. Forse troppa gente non sa, e tanti anziani non ricordano, che nella Liberazione in marcia verso il Nord, la Brigata ebraica e quella polacca vollero andare in prima fila da Cassino in su al seguito delle armate britanniche e americane. La Liberazione non è fatta di retorica, ma di solidi fatti di coraggio, di morti e di abnegazione di tanti - militari e civili - di ogni parte politica e ceto. Dall'anno prossimo cessino gli attacchi verso chi contribuì alla Liberazione del nostro Paese.
Gian Carlo Politi
(La Verità, 27 aprile 2019)
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Nuovi insulti agli ex deportati. Denunciata l'ultima vergogna
L 'Aned: «Offeso in piazza l'unico reduce di Mauthausen. In oltre 50 anni neanche i fascisti l'avevano mai fatto».
di Alberto Giannoni
Insulti agli ex deportati. Fra le ombre del 25 aprile si deve registrare anche questa vergogna: le offese volgari ai reduci dei campi di sterminio nazisti.
Era già successo nel 2015 ed è successo di nuovo. Lo ha denunciato l'Aned, l'Associazione nazionale degli ex deportati nei campi di sterminio nazisti, che proprio a Milano ha sede. L'Aned parla di chi in piazza San Babila si sarebbe «distinto per la violenza degli attacchi», «prima contro il pezzo del corteo dell'Associazione degli ex deportati e poi contro quello in cui sfilava lo striscione che ricordava la Brigata ebraica». Della aggressione verbale alla Brigata ebraica si è molto parlato anche ieri, e prima ancora alla vigilia della manifestazione. Ogni anno, infatti, insieme al corteo ufficiale si ripete il rito ormai esangue della contestazione, a opera di uno sparuto gruppetto di estremisti che porta a pretesto della sua inqualificabile azione la irriducibile ostilità per Israele. Nell'ambito di questo spettacolo, tristemente noto, particolarmente sgradevole questa scena: «Mentre una parte del gruppo "Pro Pal" cercava di mostrare con gli ex deportati il volto comprensivo di chi capisce le sofferenze patite dai prigionieri nei campi - ricostruisce l'Aned - questo signore non voleva sentir ragione e alzava la voce, fino a gridare in faccia a chi sfilava - e in particolare ad Alessandro Scannagatti, partigiano milanese (91 anni, ndr) deportato a Mauthausen - "Metteteveli nel c ... quei cartelli dei campi».
Quei cartelli sono un pezzo di storia, che rievoca ovviamente una drammatica storia più grande. «Progettati e realizzati più di mezzo secolo fa da Albe Steiner, genio della grafica del Novecento, questi cartelli neri vengono portati dall'Aned da allora nei cortei milanesi del 25 aprile». E a proposito di questi cartelli-simbolo e della contestazione inscenata dagli antagonisti di sinistra, l'Aned - che certo non si è mai tirata indietro quando si è trattato di denunciare l' estremismo di destra - ora dichiara: «Mai, mai in più di 50 anni neanche i fascisti avevano osato attaccarli. Ci è riuscito oggi questo signore, pretendendo di farlo in nome dei diritti del popolo palestinese». «Poco dopo - prosegue - il gruppo appostato in piazza San Babila ha ripetuto l'annuale sceneggiata razzista e antisemita contro la Comunità ebraica milanese, alla quale va tutta la nostra solidarietà». L'Aned chiede nuovamente ai rappresentanti dell'Autorità palestinese in Italia «di prendere finalmente le distanze da questo gruppo razzista e antisemita». «Dagli attacchi di questo gruppo al corteo del 25 Aprile la causa palestinese esce infangata e deturpata - aggiunge - Chiediamo che su questi razzisti scenda inequivocabile la condanna di tutti i partecipanti al grande corteo di oggi». La Associazione dei palestinesi in Italia si è già dissociata preventivamente. E ora interviene l'Anpi di Milano, che grazie al presidente Roberto Cenati sulla Brigata ebraica tiene una linea di grande coerenza. «Esprimo a nome dell'Anpi provinciale - dice Cenati - profonda esecrazione per i vergognosi insulti antisemiti alla Brigata ebraica. Abbiamo sempre con forza ribadito che chi offende il simbolo della Brigata ebraica ingiuria l'intero patrimonio storico della Resistenza italiana che è stata un grande moto unitario di popolo e di Combattenti per la libertà. Queste ignobili provocazioni rappresentano un ulteriore gravissimo oltraggio alla memoria degli ebrei italiani che hanno partecipato alla Resistenza».
(il Giornale, 27 aprile 2019)
A Ferrara le musiche di esuli ebrei
Eccezionale esibizione in Italia dell'illustre Royal Conservatory di Toronto. L'Arc Ensamble, gruppo camerale tra i migliori al mondo, sarà il 6 maggio al Teatro Comunale di Ferrara.
L'Ensamble, composta da un quintetto di archi, un pianoforte e un clarinetto, che ha calcato i palcoscenici più importanti portando alla ribalta i repertori "nascosti" di compositori magistrali, vittime dei regimi repressivi del XX secolo, suonerà opere avvincenti, ma poco note, di quattro ebrei esuli: gli italiani Mario Castelnuovo Tedesco e Vittorio Rieti; Paul Ben Haim (nato con il nome di Paul Frankenburger) a Monaco di Baviera e Walter Kaufmann, di origine sudamericana. «Uno degli scopi culturali del nazionalsocialismo - afferma Simon Wynberg, direttore artistico dell'ensamble - era quello di sradicare la musica che disapprovavano e, nel caso di compositori ebrei, anche coloro che l'avevano composta. Il nostro impegno è ripristinare questo repertorio di alto valore artistico e anche morale».
(Avvenire, 27 aprile 2019)
Cabala e sionismo sulle tracce di Scholem
Esce in Italia una nuova biografia del pioniere degli studi scientifici sul misticismo ebraico. Gli studi dell'americano David Biale
di Marco Roncalli
Il più grande storico ebreo del ventesimo secolo?», come lo definì Arnaldo Momigliano, «Il più importante studioso israeliano di scienze umane?», come l'ha dipinto Moshe Idel. Probabilmente sì, con buona pace di chi gli diede del "clown" come Else Lasker Schiller o del "pazzo" come Kurt Blumenfeld. Di certo l'uomo che ha offerto all'ebraismo moderno una nuova chiave ermeneutica della cabala. Sì, parliamo di Gershom Scholem: il fondatore non solo di una scuola, ma di una disciplina accademica; il vero pioniere degli studi sul misticismo ebraico quale materia da studiare con criteri scientifici, ribaltando i pregiudizi di chi ne aveva confinato gli oscuri testi esoterici dentro ambiti quali la superstizione e la magia. A Scholem, studioso capace di riflettere sulla tradizione cabalistica, ma anche sul messianismo ebraico, o le differenti forme di sionismo (religioso, laico, morale, politico, spirituale, radicale, ecc.) pubblicando lavori originalissimi, David Biale ha dedicato una nuova biografia ora in libreria nella traduzione di Gian Mario Cao (Il Maestro della Cabala, pagine 212, euro 23,00, Carocci).
L'autore, docente di storia ebraica all'Università della California, ha conosciuto Scholem da giovane e ha continuato a studiarlo, affascinato dalla sua personalità complessa ed estrosa, ma intrisa di motivazioni e riferimenti spirituali. La sua aspirazione? Realizzare per Scholem «un resoconto della sua vita intrecciato a un tentativo di comprendere l'uomo dall'interno». Qualcosa che gli è riuscito, pur contenendosi in un profilo snello, valorizzando il diario e i ricordi autobiografici giovanili già editi nel '77, nonché le lettere scholemiane. Testi che, accompagnati da testimonianze coeve, hanno permesso a Biale di raccontare Scholem come pensatore straordinario e uomo pieno di passioni e contraddizioni. Un percorso, quello ricostruito in queste pagine, che segue le tappe cronologiche. L'infanzia a Berlino dove Scholem era nato nel 1897 da ebrei assimilati; l'adolescenza e il ginnasio; la Grande Guerra e quel nazionalismo impadronitosi dell'Europa che nulla aveva a che fare con il sionismo (per Scholem distinto da ogni militarismo e cieco patriottismo); gli innamoramenti e le relazioni amorose verso la fine del conflitto mondiale; le tappe di studio a Heidelberg, Jena, Berna (dove incontra Elsa Burckhardt, poi sua prima moglie), Monaco (dove si laurea in lingue semitiche), ecc. Ecco, tutto l'impegno da eclettico autodidatta fra l'autunno '19 alla primavera '23, anno questo del trasferimento in Palestina - l'altrove simbolico, geografico, spirituale, sempre anelato -, lì lavorando alla Biblioteca Nazionale Ebraica e partecipando alla creazione della Hebrew University dove lavorerà per decenni (nel '33 lì ebbe la sua cattedra di mistica ebraica).
Poi l'ascesa del nazismo, la seconda guerra mondiale, la Shoah, lo choc per la morte di figure per lui importanti, come per la sorte degli ebrei europei. E il dubbio di poter raccontare la storia del sabbatianesimo, con il suo tema centrale della redenzione messianica, rinnovando l'ebraismo. E ancora il ritorno sionista alla storia. E la fondazione dello Stato di Israele. La vita pubblica e quella privata (accanto a Fania Freud, l'allieva sposata da Scholem in seconde nozze nel '36), sino a quando la salute l'abbandonò (morì nell'82).
Grande importanza nella biografia tessuta da Biale assumono poi i rapporti personali, costellati di incontri e scontri, di battaglie per le idee solo apparentemente astratte. Ecco Martin Buber con la sua influenza sul giovanissimo Gershom, specie dopo il suo interludio con l'ortodossia (tra il '13 e il '15 il suo diario trabocca di espressioni buberiane come il «Dio dell'esperienza vissuta»), anche se poi tra i due ci sarà grande distanza. Ecco Franz Rosenzweig, Walter Benjamin, Hannah Arendt, Carl Jung, Mircea Eliade. Tutti a recare tessere a un mosaico prezioso.
Un libro che con un glossarietto dei termini ebraici non sempre familiari a tutti, sarebbe stato perfetto, ma in ogni caso resta più che godibile, anche per chi si avvicina per la prima volta a colui che come «nessun altro, nel nostro tempo» - detto con Stéphane Mosès - «è stato in grado di parlare il linguaggio del giudaismo esoterico con tanta autorità», e di averlo trasformato - detto con Biale - «in qualcosa di cruciale per gli uomini e le donne del nostro tempo».
(Avvenire, 27 aprile 2019)
"L'illusione dell'Occidente"
"L'islamismo atterrisce su scala planetaria e si rafforza la nostra autocensura". Parla Boualem Sansal
di Giulio Meotti
Quei diciannove martiri cristiani d'Algeria arrivarono prima di tutti gli altri, prima degli iracheni di Ninive, dei siriani di Aleppo, degli egiziani di Alessandria, dei pachistani di Quetta, dei cingalesi di Colombo e Negombo, appena colpiti dagli attentatori suicidi dell'Isis. Erano insegnanti, infermieri, bibliotecari. Erano i quattro padri bianchi uccisi il 27 dicembre 1994 a Tizi-Ouzou nel cortile della missione. Erano i sei monaci trappisti decapitati a Tibhirine. Era Pierre Claverie, domenicano e vescovo di Orano. Erano i dodici cattolici croati adibiti a varie mansioni che furono sgozzati. Fu il primo massacro di civili cristiani definiti "crociati" dalle milizie del jihad. Per la prima volta in Algeria il terrorismo islamico percorse la strada dei massacri indiscriminati della popolazione civile e dei fedeli cristiani, religiosi e civili.
A quel tempo, l'ingegner Boualem Sansal era un alto funzionario del ministero dell'Industria. Nel dicembre del 1998, a guerra civile finita, Sansal spedisce "Il giuramento dei barbari" a Gallimard, la principale casa editrice di Parigi.
Il successo letterario lo spinge a parlare....
(Il Foglio, 27 aprile 2019)
Netanyahu: "Saremo all'Expo 2020 di Dubai"
di Giordano Stabile
Israele mette a segno un altro colpo nel processo di normalizzazione dei rapporti con gli Stati arabi del Golfo. Lo Stato ebraico, è stato confermato ieri, avrà il suo padiglione all'Expo 2020 di Dubai. Il che significa che migliaia di visitatori israeliani saranno ammessi negli Emirati arabi uniti, anche se le due nazioni ufficialmente non hanno relazioni diplomatiche. L'annuncio è stato celebrato subito dal primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha sottolineato come la partecipazione all'Expo sia «una nuova manifestazione del nostro status in crescita nel mondo e nella Regione». A questo punto Israele presenterà il suo progetto di padiglione, al quale stava già lavorando, che dovrà essere completato prima dell'inaugurazione della più importante fiera mondiale, prevista nell'ottobre del 2020.
L'Expo di Dubai, che segue quella di Milano, si concluderà nell'aprile del 2021. Il calendario è stato scelto in base al clima, perché sfrutta i mesi più temperati, mentre in estate a Dubai si possono toccare i 50 gradi con un alto tasso di umidità.
Con la conferma di Israele il numero dei Paesi partecipanti è salito a 192, sui 198 Stati rappresentati all'Onu. Un dimensione mondiale evidenziata da Expo 2020 Dubai: «Abbiamo invitato tutte le nazioni del mondo senza eccezioni, in linea con il nostro intento di fare della manifestazione una piattaforma per tutta l'umanità».
La svolta diplomatica
Ma è chiaro che Israele sarà un'osservata speciale, perché fa il suo ingresso nel Golfo dalla porta principale, a compimento di una strategia diplomatica che ha portato ministri e lo stesso premier a compiere numerosi viaggi negli stessi Emirati e nel vicino Oman. La vicinanza con l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, soprattutto in funzione anti-Iran, è già salda nel campo della sicurezza e dell'Intelligence ma Israele punta a rapporti ufficiali, ha già partecipato a numerose manifestazioni sportive, e nel 2015 ha aperto a Dubai una missione alla United Nations International Renewable Energy Agency (Irena).
Una mossa in preparazione dell'Expo, che sarà dedicata alla sostenibilità ambientale e alle energie rinnovabili.
Ciascuna nazione esporrà nel suo padiglione i risultati e i progetti in tutti i campi dello sviluppo nel rispetto dell'ambiente. Un tema già in parte affrontato nell'Expo di Milano, dove Israele realizzò un "muro vivente" coperto di piante. Ma a Dubai verrà anticipato davanti a milioni di visitatori anche un altro pezzo di futuro, quello del riconoscimento di fatto dello Stato ebraico da parte dei Paesi arabi.
(La Stampa, 26 aprile 2019)
«Hezbollah e Israele? Violano tutti e due la risoluzione Onu»
Intervista al generale Del Col, comandante italiano dei Caschi blu
di Fausto Biloslavo
BEIRUT - Un diplomatico in divisa. È così che si presenta il generale Stefano Del Col, comandante degli undicimila caschi blu della missione Onu nel sud del Libano, compreso un migliaio di italiani. Nel 1983 è entrato in accademia, un anno dopo lo sbarco dei nostri primi soldati di pace a Beirut. Nel 2006 Hezbollah, il partito armato degli sciiti libanesi, e Israele si sono scannati l'ultima volta facendo a pezzi mezzo Libano. Poi è stata potenziata la missione Unifil, ma israeliani e il partito di Allah libanese continuano a fronteggiarsi in Siria. Prima dell'incontro con i 130 lettori del Giornale, che hanno visitato il paese dei cedri, Del Col sfodera tutte le sue abilità diplomatiche nell'intervista esclusiva al Giornale.
- Lei è il quarto comandante italiano della missione Onu nel sud del Libano. È un caso o l'Italia è vista come un paese che sa mediare nel ginepraio mediorientale?
«Per la nostra appartenenza al Mediterraneo e la conoscenza del paese, gli italiani godono di rispetto in questa area del mondo e in Libano hanno sempre avuto un ruolo chiave. Abbiamo una capacità nel riconoscere le varie sfaccettature di questo mondo e rimanere imparziali trovando gli anelli di congiunzione, che sono la chiave di volta per mantenere la situazione stabile. Il mio ruolo non a caso è doppio: comandante delle forze di pace, ma anche capo della missione Onu, che mantiene i rapporti con le parti in causa. Un diplomatico in divisa, come capita in poche missioni delle Nazioni Unite».
- I critici di Unifil sostengono che se Hezbollah e israeliani volessero spararsi addosso lo farebbero comunque sopra la testa dei caschi blu. Come replica?
«Che da 13 anni la missione Unifil garantisce pace e stabilità e che puntiamo a un accordo di pace definitivo. I due paesi sono, tecnicamente, ancora in guerra. La Blue line, marcata con i famosi barili di colore blu, non è un confine di fatto, ma una linea stabilita dalle Nazioni Unite. Bisogna guardare lontano per arrivare a trasformare questa linea in un confine vero e proprio fra Israele e Libano».
- L'ultima «crisi» riguarda i tunnel scavati da Hezbollah sotto la linea blu per arrivare in Israele. Quanti ne sono stati trovati?
«I primi giorni di dicembre i rappresentanti delle forze armate israeliane mi hanno chiamato preannunciando l'inizio dell'operazione Northern Shield, tesa a verificare l'esistenza di tunnel, che attraverso la Blue line collegassero i due paesi. Gli israeliani hanno scoperto sei tunnel in due aree diverse».
- E i caschi blu che cosa hanno fatto?
«Per ora abbiamo verificato in maniera indipendente che due tunnel attraversavano la Blue line. Per questo motivo ho riportato a New York la violazione della risoluzione 1701 dell'Onu (sul cessate il fuoco fra Israele e Libano, nda), poi discussa nel Consiglio di sicurezza. In uno dei tunnel hanno pompato del cemento dalla parte israeliana. Dopo un giorno è uscito nell'area libanese in una vecchia fabbrica a poco più di 100 metri a nord della Blue line. Ce ne siamo accorti perché sulla strada si era formata una pozza di cemento, che usciva dal tunnel. La fabbrica è di una società privata e abbiamo chiesto (al governo libanese, nda) di verificare all'interno, ma non ci hanno dato il permesso».
- Anche gli israeliani non rispettano la risoluzione dell'Onu sulla cessazione delle ostilità?
«Gli israeliani violano, con una certa frequenza, lo spazio aereo libanese con il sorvolo di aerei e droni».
- Spesso il Libano ha subito guerre e devastazioni per l'esplosione di scenari internazionali, come potrebbe essere un conflitto fra Israele e Iran. Lei è ottimista per l'immediato futuro?
«Non penso che si voglia una nuova guerra in Medio Oriente. Almeno me lo auguro. Al contrario significherebbe che il processo che stiamo portando avanti nel Sud del Libano verrebbe minato da fattori esterni. Il mio compito, la spola che faccio fra Tel Aviv e Beirut, è teso proprio a scongiurare questo tipo di scenario».
(il Giornale, 26 aprile 2019)
Brigata ebraica ancora contestata
A Milano i cori pro-Palestina di antagonisti e centri sociali: fuori i sionisti dal corteo.
MILANO - Ancora una volta divisi. Le manifestazioni per il 25 aprile, in diverse città d'Italia, nonostante gli appelli all'unità provenienti da più parti, sono state caratterizzate da contestazioni verso la partecipazione delle comunità ebraiche, che così in alcuni casi hanno celebrato separatamente il 74o anniversario della Liberazione. «Oggi non è il giorno delle polemiche», aveva detto in mattinata il vicepremier, Luigi Di Malo, a margine della cerimonia nella sinagoga romana di via Balbo: «La Liberazione nazionale è un momento che unisce tante comunità e che deve unire sempre di più, non deve essere un giorno di divisioni, deve essere un giorno di unione». Ma non è stato così, anche se a Milano - che si è confermato uno dei luoghi più «caldi» della contestazione - qualcosa è cambiato: il passaggio dei reduci dai lager durante il corteo, riuniti sotto i cartelli dei vari campi, è stato infatti applaudito dai manifestanti pro Palestina che hanno urlato «Siamo tutti antifascisti», in modo inclusivo verso i manifestanti ebrei.
Forti contestazioni invece si sono verificate, sempre a Milano - dove al corteo hanno partecipato più di 70mila persone, come ha ricordato dal palco il presidente locale dell'Anpi Roberto Cenati - al passaggio della Brigata Ebraica: «Via i sionisti dal corteo» e «Israele Stato terrorista» sono stati gli slogan usati. Gli esponenti della Brigata hanno risposto cantando 'Bella Ciao'. Ma la Brigata Ebraica a Milano era comunque perfettamente integrata nel corteo ufficiale. Mentre nel secondo troncone, quello dei centri sociali, hanno sfilato gli attivisti per «la liberazione della Palestina» insieme ai «Bds», le associazioni per il «boicottaggio economico di Israele». «Anche oggi abbiamo visto una straordinaria risposta della città di Milano a chi cerca cli sminuire il valore del 25 aprile. Da qui parte un segnale di speranza per l'intero Paese», ha detto il sindaco, Giuseppe Sala. Fischi alla Brigata, invece, a Cinisello Balsamo (Milano) da parte di un gruppo di antagonisti, mentre a Trieste si sono tenute celebrazioni separate con l'Anpi. «Solo chi non conosce la storia, può non sapere qual è stato il contributo della Brigata ebraica nella lotta al nazifascismo» ha scritto il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio. Anche a Roma però ci sono stati problemi. «Ci abbiamo provato, ringrazio il Pd, i sindacati, a marciare insieme per il 25 aprile ma non è stato possibile», ha affermato la presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello. Comunque in Campidoglio la sindaca Raggi, i partigiani, la comunità ebraica e i sindacati hanno celebrato insieme. Il clima però è restato freddo: nessuna stretta di mano tra il presidente dell'Anpi di Roma, Fabrizio De Sanctis, e la Presidente Dureghello. «Il 25 aprile non c'è spazio per i temi di politica interna, così come non c'è per i temi di politica estera e internazionale», ha sottolineato Dureghello riferendosi implicitamente a temi come la questione palestinese, che negli ultimi anni ha diviso Anpi e Comunità ebraica.
(la Gazzetta del Mezzogiorno, 26 aprile 2019)
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Insulti e provocazioni a Milano. Il «nemico» è la Brigata ebraica
Antagonisti scatenati contro le bandiere con la stella di David. Pisapia: vergognosi. Centinato: vigliacchi
di Alberto Giannoni
MILANO - «Assassini! Fuori dal corteo». Il paradosso più doloroso del 25 aprile italiano sta in quella striscia di piazza San Babila, pieno centro di Milano. Da lì passa la grande manifestazione che celebra la Liberazione e in quel corridoio si appostano gli autonomi dell'estrema sinistra. Obiettivo della loro contestazione, lo striscione che rievoca la Brigata ebraica, la formazione di 5mila volontari che, inquadrati nell'ottava armata britannica, dettero un apporto importante nel marzo-aprile '45 allo sfondamento della «Linea gotica» sul fronte del Senio. I soldati sionisti combattevano con le insegne della stella di David che di lì a pochi anni sarebbe diventata bandiera di Israele, e quelle insegne vengono portate in corteo dagli esponenti della Comunità ebraica. E bersagliate di insulti dagli antagonisti.
Un primo assaggio della contestazione si è visto in mattinata a Cinisello Balsamo, importante Comune della cintura che dallo scorso anno è governato dal centrodestra dopo un dominio ininterrotto della sinistra. Il direttore del Museo della Brigata ebraica Davide Romano è stato fischiato da un gruppetto dei centri sociali, contestato «per partito preso» dall'inizio alla fine così come il sindaco, il giovane leghista Giacomo Ghilardi, che aveva concepito una intelligente cerimonia che valorizzava tutte la tradizioni partigiane presenti in città. A Milano, poi, si è ripetuto il delirante copione di una frangia di estrema sinistra che vuol cacciare dal corteo gli ebrei milanesi, e se non riesce a farlo, ovviamente, è solo grazie al controllo impeccabile delle forze dell'ordine, alla protezione dell'associazione «City angels» e a una doppia fila di transenne.
L'ennesima contestazione annunciata, che peraltro ha ormai l'effetto di aumentare il numero dei simpatizzanti della Brigata, mentre i contestatori di anno in anno appaiono sempre meno numerosi, per quanto rabbiosi. Con la Comunità ebraica infatti hanno sfilato gli esponenti del centrodestra, ma anche di «Più Europa» e dei «Radicali». Non solo: la ex presidente della Camera Laura Boldrini, passando «in rassegna» il corteo, si è a lungo fermata davanti allo striscione, salutando il collega forzista Andrea Orsini. E, dopo la notizia delle contestazioni, la condanna è stata praticamente unanime. Oltre al centrodestra è intervenuto l'ex sindaco Giuliano Pisapia, oggi capolista del Pd alle Europee per il Nord-ovest, che ha parlato della «solita vergognosa contestazione». E il ministro dell'Agricoltura, il pavese Gianmarco Centinaio, leghista, ha parlato di una contestazione «vile». «Anche quest'anno ho deciso di non partecipare al corteo a Milano - ha detto - e alla luce dei fatti è stata la scelta migliore». D'altra parte, per i leghisti, il 25 aprile non c'è scampo: criticati se non partecipano, contestati se lo fanno. Da sinistra e non solo. Come a Livorno: dove il sindaco grillino Filippo Nogarin candidato alle Europee ha scritto: «La Liberazione non può essere messa in discussione. Chi non la celebra non dovrebbe rappresentare le istituzioni».
(il Giornale, 26 aprile 2019)
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Romano: «Non dobbiamo abituarci a questi insulti contro di noi»
di Stefano Landi
MILANO - Nessun contatto fisico, ma il solito coro di insulti all'altezza di piazza San Babila. «Assassini», «Fuori i fascisti dal corteo». «È il solito teatrino in favore di telecamera», lo definisce Eyal Mizrahi, presidente dell'associazione Amici di Israele, mentre tranquillizza alcuni ragazzi al debutto sotto lo striscione della Brigata ebraica. La doppia transenna e il cordone di polizia e City angels evitano che la situazione degeneri. «Ma non dobbiamo abituarci a questa cosa. Come noi ebrei d'Europa non dobbiamo abituarci a non girare con la kippah in testa o ad avere la polizia fuori dalle sinagoghe» dice Davide Romano, presidente della Brigata ebraica, che dal 2003 porta la delegazione al corteo del 25 Aprile. E non vuole abituarsi a considerare normale lo stress di affrontare ogni anno le contestazioni. E pensa a quei giovani, o agli anziani, che ormai preferiscono restare a casa. O quei genitori che rinunciano a portare i bambini perché hanno paura. Chi c'è, nonostante tutto, si dice stanco, saturo. «Noi veniamo considerati l'anomalia. Non è un caso che chi non è di sinistra negli anni abbia sempre trovato rifugio da noi. Per questo la mia idea per l'anno prossimo è invitare anche i rappresentanti con bandiere
degli altri Paesi alleati, che sono stati decisivi per la liberazione. Vorrei ospitare bandiere americane, canadesi... Così non saremo più l'eccezione», dice Romano, reduce anche dalla contestazione di ieri mattina nella piazza di Cinisello Balsamo: «Mi hanno fischiato senza nemmeno ascoltarmi. Come è successo al sindaco leghista. Mi hanno contestato per quello che sono e non per quello che dicevo».
(il Giornale, 26 aprile 2019)
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25 aprile - "Se Anpi non esclude gli antisemiti può anche chiudere"
ROMA - "Trenta morti, settanta feriti, 5.200 soldati molti dei quali partiti da Israele, nessuna rappresaglia o violenza contro i civili. Sono i numeri della Brigata Ebraica che ha combattuto in Italia durante la Seconda guerra mondiale e che ne rendono il contributo alla liberazione dal nazi-fascismo, tutt'altro che simbolico. Troppi Italiani non conoscono la Brigata ebraica, ci adopereremo affinché sempre più questa venga ricordata e raccontata, così come non finirà mai la nostra lotta contro l'antisemitismo, che purtroppo anche in giornate come quella del 25 aprile, cerca di annidarsi nella memoria della resistenza mascherato talvolta da antisionismo. Lo voglio dire in maniera molto dura e chiara, una volta per tutte, affinché ogni anno non si ripeta l'orrore degli insulti e dell'oltraggio nei confronti della Brigata ebraica e di chi manifesta sotto le sue insegne: se anche il prossimo anno l'ANPI non riuscirà a prendere le distanze in maniera inequivocabile dagli estremisti antisemiti che partecipano ai suoi cortei, non riuscirà ad isolarli, sarà venuta meno al suo unico compito storico, quello di fare memoria e non farà che legittimare questi insulti, per quanto ci riguarda l'ANPI stessa potrà anche chiudere i battenti" - Così Alessandro Bertoldi, Presidente di Alleanza per Israele, commenta le contestazioni contro la Brigata ebraica ed Israele nel giorno della Liberazione.
(Agenparl, 26 aprile 2019)
Il nuovo missile israeliano Rampage contro gli obiettivi iraniani
Ne avevamo già parlato circa un anno fa dei nuovi missili Rampage israeliani. Ora arriva la conferma che la IAF li sta usando contro obiettivi iraniani in Siria e nulla possono i sistemi russi S-300 ed S-400
Il 13 aprile del 2019 c'è stato un raid dell'aviazione israeliana contro dei compound iraniani a Masyaf, nella provincia siriana di Hama. Fin qua nulla di nuovo, se non fosse che i jet israeliani hanno utilizzato per la prima volta il nuovo gioiello prodotto dall'IMI Systems (Israel Military Industries), il missile Rampage.
Si tratta di un missile supersonico a lungo raggio che può essere utilizzato in ogni condizione meteorologica, anche di notte, al di fuori dello spazio aereo nemico (tipo "stand-off"). Ha un raggio di azione di più di 100 km ed è dotato di un avanzato sistema di navigazione e precisione. Il Rampage deriva da un progetto per un missile balistico da lanciare da una piattaforma fissa....
(Rights Reporters, 26 aprile 2019)
25 aprile, al corteo Anpi a Roma anche bandiere palestinesi
Puntuali, come avviene ormai ogni anno, ecco le bandiere palestinesi e lo striscione con la scritta "Palestina Libera. Terra e libertà per il popolo palestinese. No al muro e all'occupazione israeliana". Nel corteo del 25 aprile a Roma organizzato dall'Anpi c'è una delegazione palestinese. Da anni Roma non vede la partecipazione né della Brigata Ebraica, né della Comunità ebraica in polemica con la presenza di realtà filo-palestinesi con i loro simboli (che non hanno alcun collegamento con la festa del 25 aprile).
Nel corteo partito intorno alle 10 da Largo Bompiani che si concluderà in piazza di Porta San Paolo c'è stato il ricordo di Tina Costa, la partigiana scomparsa a marzo da sempre protagonista delle feste per la liberazione nella Capitale. Proprio una sua immagine, sovrastata dalla scritta "bella ciao", campeggia sul furgone che apre il corteo a cui partecipano migliaia di persone. In prima fila i vessilli dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia e dell'Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti ed un grande striscione che recita "I partigiani". Fra le tante bandiere presenti alla manifestazione anche quelle di Pd, Emergency, Sinistra Italiana, Fiom, Cgil, Cisl, e Potere al Popolo.
(Il Messaggero, 25 aprile 2019)
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25 aprile, Dureghello: «Ci abbiamo provato, ma non è stato possibile marciare con l'Anpi»
Anche quest'anno la Comunità ebraica non ha partecipato al corteo organizzato dall'Anpi per il 25 aprile, Festa della Liberazione a causa della presenza di realtà filo-palestinesi nella manifestazione che non rendevano possibile una adesione priva di tensioni e contrapposizioni. Per questo, stamattina, gli ebrei romani si sono ritrovati al Cimitero di guerra del Commonwealth, in via Nicola Zabaglia.
«Ci abbiamo provato, ringrazio il Pd, i sindacati, a marciare insieme per 25 aprile ma non è stato possibile. Non ci rinunciamo e continuiamo a ricordarlo anche a chi non ci vorrebbe». Sono le parole della presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello durante le celebrazioni. Nel corteo di questa mattina dell'Anpi sono infatti apparse le bandiere palestinesi e lo striscione con la scritta «Palestina libera, no al muro e all'occupazione israeliana». Alla celebrazione erano presenti il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, il sindaco Virginia Raggi e il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta e il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani. Era presente anche il giornalista e saggista francese Bernard Henry Lévy.
«Dobbiamo ricordare quello che è accaduto 70 anni fa, ma dobbiamo anche fare in modo che quel valore donante della nostra civiltà che si chiama libertà non sia mai dimenticato - ha detto il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani - Altrimenti il sacrificio dei caduti durante la guerra di liberazione sarebbe vano. Chi tira missili e razzi contro lo stato di Israele si comporta come tutti coloro che hanno sempre combattuto gli ebrei nel mondo. Le radici dell'Unione Europea sono anche radici giudaiche: le dodici stelle non sono soltanto gli stati fondatori dell'Europa, ma anche le dodici tribù di Israele».
«L'essenza del 25 aprile è nel coraggio di uomini e donne che hanno combattuto per questo Paese - ha sottolineato Dureghello - Come allora oggi combattiamo per quegli stessi valori e alla memoria di quelle persone che si batterono fin nei vicoli di questa città. Noi dobbiamo ricordare quel sacrificio. Oggi ancora di più contro chi quella memoria vorrebbe banalizzarla, annacquare, inquinare». «La memoria oggi è messa in discussione più che mai e dobbiamo tutelarla dalle strumentalizzazioni - ha aggiunto - Abbiamo il diritto di festeggiarla: gli ebrei di Roma sono italiani e noi non abbiamo paura, oggi come allora. Non abbiamo paura dei razzisti, xenofobi e odiatori seriali. I nostri figli hanno diritto di vivere in un'Italia libera».
(Il Messaggero, 25 aprile 2019)
25 aprile, Di Maio, presso sinagoga Beth: "momento che ci unisce"
ROMA, 25 apr. - Il Vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio insieme al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, al Ministro della Salute Giulia Grillo e al Presidente del World Jewish Congress Ronald Lauder, in occasione della Festa della Liberazione, si sono recati alla Sinagoga Beth di Roma e hanno reso omaggio alla lapide in memoria della Brigata Ebraica che ha combattuto assieme ai partigiani italiani per liberare l'Italia dal nazi-fascismo. La delegazione del Governo è stata accolta dal Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, dal Rabbino Capo Riccardo Di Segni e dal Presidente dell'Ucei Noemi Di Segni."Il 25 aprile - ha dichiarato Di Maio al termine dell'incontro - è una grande festa nazionale che dobbiamo tutti festeggiare per ricordare due cose. Innanzitutto per ricordare da dove veniamo, che cosa è successo in Italia, e come siamo stati in grado come popolo di liberarci da regimi come quello fascista. La seconda cosa importante è che la nostra Costituzione va ancora attuata in molti punti: dalla sanità, al lavoro, al principio di eguaglianza. E questa giornata è importante per noi perché ci consente di ricordarci dei nostri valori e che c'è ancora tanto da fare per aiutare i cittadini nei diritti fondamentali."."Sono qui - ha aggiunto il vicepremier - perché questo è un momento che ci unisce e ci deve unire sempre di più. Non è il momento delle divisioni, dev'essere un giorno di unione. Per questo ringrazio la comunità ebraica per avermi accolto".In precedenza la presidente della Comunità Ebraica di Roma, Rugh Dureghello, aveva sottolineato che "Il 25 aprile è un giorno di festa per gli italiani e per ricordare la liberazione di questo Paese, che ci ha portato a quello che l'Italia rappresenta oggi. Ai valori della democrazia che dalla Costituzione sono sanciti. E' per questo - ha concluso Dureghello - che non accettiamo polemiche e divisioni, vogliamo soltanto festeggiare uniti ricordando gli ebrei, gli oltre duemila partigiani ebrei che combatterono per questa liberazione e i soldati della brigata ebraica che tornarono in Europa e in Italia per decretare quella libertà. Non c'è spazio dunque oggi per strumentalizzazioni".
(Tiscali, 25 aprile 2019)
"La vittoria della libertà sull'inferno"
Così Lévy ricorda la Brigata ebraica
"Onore al coraggio della Brigata ebraica", ha detto il filosofo francese Bernard-Henri Lévy al cimitero del Commonwealth durante la manifestazione della Comunità ebraica. "Grazie ai suoi caduti e al loro eroismo per aver dimostrato che l'agnello ebreo non sarebbe più stato sgozzato, che gli ebrei non sarebbero più stati trofei di caccia e carne da bruciare, e che era tempo per loro, spalla a spalla con i fratelli cristiani, di far sì che la libertà vincesse sull'inferno".
(Il Foglio, 25 aprile 2019)
Manfredi Palmeri: 'No a presenze antiebraiche al corteo di Milano del 25 aprile'
MILANO - "Presenze palestinesi in esclusiva funzione antiisraeliana e antiebraica nei cortei del 25 aprile sono doppiamente negative: guardando a ieri ripropongono l'alleanza con i nazisti e guardando a oggi dimostrano e alimentano il crescente odio antiebraico, che va combattuto perché non accada ciò che è accaduto e che non si pensava potesse accadere. Se si conoscono la Storia e la Geografia, le bandiere della Brigata Ebraica e anche quelle di Israele non sono certo 'contraddittorie' (come definite dall'Associazione Palestinesi in Italia), mentre lo sono quelle palestinesi strumentalizzate contro gli Ebrei e contro Israele. Israele è nata nonostante questa tragedia, non in conseguenza di questa tragedia, che peraltro proprio se ci fosse stata Israele non avrebbe avuto questo corso. Non vogliamo infatti vedere rievocata, con messaggi e azioni contro gli Ebrei in quanto tali, l'alleanza della Lega Arabo Palestinese con Hitler anche a sostegno dello sterminio, per di più rilanciata in chiave moderna. Farlo il 25 aprile è, se possibile, ancora più grave, posizionandosi con i carnefici e contro le vittime, con la barbarie e contro la libertà, con la propaganda e contro i fatti".
Lo ha detto Manfredi Palmeri, Consigliere comunale liberale di Energie Per l'Italia e Capogruppo di opposizione a Palazzo Marino, in merito alle manifestazioni per il 25 aprile, aggiungendo che 'non andrebbero ammesse nel corteo espressioni antiisraeliane e antiebraiche, perché è doppiamente vergognoso pensando alla Shoah, contro gli Ebrei di oggi e contro quelli di ieri. La Milano civile non può ammettere tutto questo e deve isolare chi esprime questi indegni e pericolosi disvalori, che vanno contrastati in generale e tenuti in particolare lontano dalle manifestazioni. Chi accetta questo anche con l'indifferenza, come accadde negli anni della Shoah e in quelli che l'hanno preceduta, ne è complice".
(Ticino Notizie, 25 aprile 2019)
Pronto il piano Trump per la pace tra Israele e palestinesi
di Ugo Volli
Mentre in Israele la formazione del nuovo governo prosegue con ritmi rilassati, un po' per le vacanze pasquali, un po' per il consueto tiramolla fra i partiti, che vogliono tutti controllare i ministeri chiave e inserire nel programma temi contrastanti, si avvicina una scadenza internazionale fondamentale per Israele. E' la presentazione del piano dell'amministrazione Trump per la pace fra Israele e Autorità Palestinese, che è stata annunciata per giugno, presumibilmente appena sarà formato il nuovo governo. Altre volte era stata prevista la pubblicazione del piano, è possibile che sia ancora rinviato o che non esca mai, ma a parte le conferme abbastanza chiare dell'inviato USA per il Medio Oriente Greenblatt e del fiduciario personale di Trump per questa partita, il genero Jared Kushner, ci sono delle ragioni oggettive per pensare che l'inizio dell'estate sia il momento buono. Trump si è molto impegnato su questa vicenda, ha il vanto di aver realizzato tutti gli impegni presi e certamente non vorrà tradire questo, anche perché le elezioni presidenziali sono a novembre 2020 e un risultato storico come un accordo del genere aiuterebbe certamente la sua rielezione. Proprio per il fatto che la campagna elettorale inizierà fra un anno Trump ha certamente fretta, perché l'attenzione, il tempo e anche il potere di un presidente in campagna elettorale diminuiscono molto, e con essi anche la possibilità di ottenere il successo.
Che cosa sarà contenuto in questo nuovo piano è ancora un segreto ben custodito. Certamente, come ha detto l'ex ambasciatore francese negli Usa, Araud, che è parecchio antisraeliano ma anche bene introdotto con Kushner, la proposta di Trump non dovrebbe dispiacere a Israele. Si sa che Trump intende coinvolgere l'Egitto e la Giordania nel concedere la cittadinanza ai "palestinesi" che vivono da molto tempo nei loro territori, in cambio di sostanziosi aiuti economici. Si parla anche di uno scambio territoriale che dovrebbe comprendere una cessione di territori da parte dell'Arabia Saudita. Molti hanno detto che per quanto riguarda Giudea e Samaria non sarebbe previsto uno stato vero e proprio dell'Autorità Palestinese, ma una forma rafforzata di autonomia, che del resto era la sola concessione che Israele fece con gli accordi di Oslo. E' significativo che in campagna elettorale Netanyahu abbia preso l'impegno a non togliere la casa a nessun ebreo di quelle regioni cioè di non ripetere la mossa di Sharon di spiantare degli insediamenti, come invece Gantz aveva in diverse occasione dichiarato di voler fare. E' difficile che Netanyahu, prudente e astuto com'è, abbia preso un impegno del genere senza consultare gli americani. E del resto mentre la solita Unione Europea ha mostrato scandalo, anche più della Lega Araba, dall'amministrazione Trump non è arrivato alcun segnale di arresto.
E' chiaro però che il piano dovrà chiedere qualche "sacrificio" a Israele, se non altro per poter essere venduto agli alleati arabi di Trump (e di Israele) tanto da superare le resistenze durissime opposte dalla nomenklatura palestinista, Mohamed Abbas in testa. E' difficile dire di che cosa si tratti, probabilmente dalla rinuncia a cospicui territori in Giudea e Samaria. Ma senza dubbio la scelta su come reagire sarà la prima decisione importante di politica estera che spetta al nuovo governo. Finora Israele non ha mai rifiutato le trattative di pace, anche quelle molto svantaggiose. Anzi, di recente è venuto fuori che il primo ministro Olmert nel 2008 offrì ad Abbas di più dell'intero territorio di Giudea e Samaria, oltre al Monte del Tempio e all'assorbimento di 150.000 rifugiati, ma il dittatore palestinese comunque rifiutò. E' probabile che questa scena si ripeta ancora, sebbene non su questi termini. Ma Trump, che non è affatto lo stolto dipinto dai media di sinistra, ha certamente previsto questo rifiuto e deve aver pensato a come superarlo. E Israele deve a Trump molta gratitudine per scelte come il riconoscimento del Golan e di Gerusalemme, lo spostamento dell'ambasciata e gli appoggi all'Onu.
Dunque la scelta per Israele questa volta potrebbe essere effettiva. Si potrebbe aprire un periodo molto delicato di trattative, certamente complicato da colpi di coda terroristici, compreso un attacco coordinato fra Hamas e Hezbollah, entrambi armati e comandati dall'Iran. Ma anche questo probabilmente è previsto e molte delle recenti attività militari israeliane dell'ultimo periodo si possono forse spiegare in questa prospettiva. Certamente se questa strada andasse avanti sarebbe una rivoluzione per l'intero Medio Oriente. E anche se, come è molto probabile, ci fossero degli ostacoli insuperabili, gli equilibri regionali ne sarebbero profondamente turbati. E' una fortuna che in questa circostanza al timone di Israele ci sia un leader esperto e abilissimo come Netanyahu.
(Progetto Dreyfus, 23 aprile 2019)
Israele, la medicina e la concreta solidarietà internazionale
di Domenico Letizia
Siamo abituati alle meraviglie scientifiche e tecnologiche provenienti dallo stato di Israele. Israele è senza dubbio una nazione all'avanguardia in medicina moderna. Scienziati israeliani in tutto il mondo sono i responsabili del maggior numero di scoperte, invenzioni, trattamenti e ricerca medica oggi in esistenza, da semplici compresse o creme ai più sofisticati strumenti tecnologici e prodotti farmaceutici, per trattare dal comune raffreddore alle malattie più complesse.
La forza di Israele è quella di coniugare la ricerca scientifica con la solidarietà internazionale e l'intervento deciso in tutti quei contesti che vivono emergenze e problematiche. Nel tentativo di combattere i tassi estremi di mortalità infantile in Kenya, l'azienda israeliana di tecnologia medica EarlySense sta implementando la sua piattaforma di monitoraggio, continuo e senza contatto, dei pazienti. Tale azienda è stata selezionata dall'organizzazione non governativa Save the Children per monitorare i segni vitali dei neonati nell'ambito di un progetto pilota. I sensori elettrici saranno utilizzati per misurare la frequenza respiratoria, la frequenza cardiaca e qualsiasi tipo di movimento, rilevando pericoli quali il movimento della gabbia toracica e le contrazioni cardiache senza disturbare o entrare in contatto con il bambino.
EarlySense distribuirà i dispositivi presso il Pumwani Maternity Hospital, dove si affideranno ai risultati dei medici per verificare la capacità degli operatori sanitari nelle tipiche aree a bassa risorsa di accettare e utilizzare efficacemente la tecnologia. Se il programma si rivela di successo la società prenderà in considerazione una successiva fase commerciale in cui la tecnologia israeliana diventerà accessibile. Israele produce continuamente successi, grazie all'immensità di start up presenti nel proprio contesto geografico che uniscono medicina, tecnologia, digitale e innovazione tecnologica.
Recentemente, alcuni cardiologi e cardiochirurghi del General Hospital di Toronto hanno eseguito la prima procedura chirurgica dal vivo, utilizzando immagini olografiche sviluppate dall'azienda israeliana RealView Imaging Ltd. Il primo sistema olografico medico al mondo che fornisce ologrammi 3D realistici e di precisione, secondo quanto afferma l'University Health Network (UHN), organizzazione sanitaria e di ricerca medica di Toronto. I chirurghi hanno eseguito una procedura minimamente invasiva per sostituire una valvola mitrale usurata, situata all'interno del cuore. L'ologramma appare come una dimensione a grandezza naturale, l'immagine tridimensionale del cuore a distanza ravvicinata, fluttua nello spazio sopra il paziente e consente al medico operativo di esplorare, ruotare e tagliare l'ologramma del cuore, durante la procedura.
La tecnica e la medicina israeliana, associata alla politica sociale dello Stato Ebraico, si è dimostrata di grande vantaggio anche per la popolazione araba in Israele. Il tasso più basso di mortalità infantile tra gli arabi, così come uno dei tassi di natalità più elevati, sono quelli degli arabi che vivono in Israele. Lo stato di Israele rappresenta la speranza di vita più alta tra gli arabi residenti, 10 anni più lunga che nel più sviluppato dei Paesi Arabi. L'unico Stato in Medio Oriente in cui le donne arabe ricevono cure mediche appropriate, selezionate e senza alcun dogma di approccio religioso. Il Servizio Sanitario Israeliano è riuscito ad eliminare completamente nella popolazione palestinese la poliomielite, il tetano neonatale e il morbillo. Elementi da non sottovalutare sia per la comunità locale che per quella internazionale.
(L'Opinione, 24 aprile 2019)
Netanyahu: "Sul Golan una nuova comunità intitolata a Trump"
Una nuova comunità sulle alture del Golan porterà il nome del presidente americano Donald Trump. Ad annunciarlo è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu che, subito dopo la fine della Pasqua ebraica, presenterà al suo governo una risoluzione per attuare il suo proposito. Il motivo, ha spiegato lo stesso Netanyahu in un video diffuso sui social, è "la profonda emozione provata" da tutti gli israeliani quando il capo della Casa Bianca, lo scorso marzo, ha deciso di riconoscere la sovranità dello Stato ebraico sulle alture del Golan che Israele ha conquistato a spese della Siria nella guerra del 1967 e che ha poi messo sotto la sua amministrazione civile nel 1981.
Trump e la decisione sulla sovranità del Golan
La decisione di Trump sulle alture del Golan risale allo scorso 21 marzo, in piena campagna elettorale israeliana. La mossa era arrivata dopo quelle su Gerusalemme capitale di Israele e il trasferimento dell'ambasciata Usa. Adesso, a pochi mesi di distanza, Trump avrà un posto d'onore nella folta lista delle località dedicate a personaggi del gotha storico caro ad Israele. Sono infatti molte le personalità a cui sono stati dedicati luoghi importanti per il Paese, a cominciare dal padre del sionismo, Theodor Herzl: a Nord di Tel Aviv, sul mare, sorge infatti 'Herzliya', centro dell'hi-tech israeliano e vivace luogo turistico, ma anche residenziale. C'è poi 'Binyamina', sempre a Nord di Tel Aviv, che prende il nome da quello ebraico, Benyamin, di Herzl.
Molti i personaggi ai quali Israele ha dedicato dei luoghi
Trump si troverà anche a fianco, idealmente, di un altro presidente Usa, Harry Truman, al quale è stata dedicata 'Kfar Truman', non distante dall'aeroporto Ben Gurion (dal padre fondatore di Israele). Da ricordare anche 'Kfar Blum', in Alta Galilea, che deve il nome a Leon Blum, ex premier francese e leader del Fronte popolare negli anni '30. C'è poi Acco (San Giovanni d'Acri), quasi al confine con il Libano, e 'Kfar Masaryk' a ricordo dello statista ceco Tomas Masaryk. Scendendo a Sud, ecco 'Yad Mordechay', omaggio a Mordechay Anielewicz, eroe combattente del ghetto di Varsavia. Non mancano nemmeno gli italiani, come il sionista Enzo Sereni omaggiato con 'Netzer Sereni', kibbutz non distante da Rehovot, nel centro di Israele. Nel pantheon non poteva poi mancare il barone Edmond James de Rothschild che dedicò a suo padre, James Mayer de Rothschild, la cittadina di 'Zichron Yaacov' (James), centro vinicolo israeliano per eccellenza.
(skytg24, 24 aprile 2019)
Liberazione, cortei separati, poi Anpi ed Ebrei in Comune
Per la festa del 25 Aprile sono previste al mattino due manifestazioni distinte. Alle 15 incontro istituzionale congiunto con la sindaca Raggi in Aula Giulio Cesare.
Alla giornata anche il vice premier Di Maio i ministri Bonafede e Trenta e il Presidente del Parlamento Europeo Tajani
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La comunità ebraica dopo Via Tasso sceglie il cimitero del Commonwealth. Partigiani di nuovo a San Paolo
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Le celebrazioni
Sfileranno al mattino ancora divisi per l'ennesimo anno nel giorno del 25 Aprile-festa di Liberazione nazionale - ma poi alcuni rappresentanti dell'Anpi e della Comunità Ebraica saliranno molto probabilmente insieme la Cordonata del Campidoglio per partecipare alla cerimonia unitaria organizzata dalla sindaca Virginia Raggi che si svolgerà domani alle 15 in Aula Giulio Cesare. Un fuori programma che punta a perseguire la strada del dialogo e dell'unità dopo che negli anni passati sono di volta in volta naufragati i tentativi di organizzare una grande e unica festa di piazza. Solo nel 2018, ad esempio, la comunità palestinese di Roma e del Lazio promise di prender parte al corteo dell'Anpi con «le kefieh e le bandiere». La Comunità Ebraica replicò con l'assenza. E anche quest'anno. tuttavia, nonostante l'incontro istituzionale organizzato in Comune, le due realtà saranno lontane nella prima parte della giornata: l'Anpi da largo Bompiani raggiungerà in corteo piazza di Porta San Paolo, la Comunità Ebraica ricorderà, invece, i caduti in guerra prima alla Sinagoga e poi al cimitero del Commonwealth nel cuore di Testaccio. E all'appuntamento con la storia, la Capitale (che sarà oggi premiata con la medaglia d'oro al valor militare per la guerra di Liberazione) si presenta ancora divisa. Resistono le divergenze e le fratture anche se entrambe le realtà sono in cerca di un equilibro. La cerimonia in Campidoglio a cui hanno aderito sia l'Anpi che la Comunità Ebraica ne è la prova ma nella parte più emotiva e sensibile - ovvero il momento della piazza - permangono le lontananze.
Cortei e sit-in
Per i primi l'appuntamento è fissato alle 9 alle Fosse Ardeatine per ricordare i martiri. Da qui, una mezz'ora più tardi, l'Anpi si sposterà a largo Benedetto Bompiani da dove partirà il tradizionale corteo alla volta di Porta San Paolo. La manifestazione sfilerà lungo viale di Tor Marancia, piazza Oderico da Pordenone non lontano dalla regione Lazio, via Guglielmo Massaia, Circonvallazione Ostiense-angolo Ponte Settimia Spizzichino, via Girolamo Benzoni, via Pellegrino Matteucci. L'ultimo tratto, come di consueto, riguarderà via Ostiense fino a piazzale di Porta San Paolo dove dal palco prenderanno la parola il Presidente dell'Anpi provinciale, Fabrizio De Sanctis, la sindaca Raggi, il veterano dell'VIII Armata Britannica Harry Shindler, il rappresentante della Regione Lazio, le associazioni della Casa della memoria e il partigiano Aldo Tortorella. Le cerimonie della Comunità Ebraica, invece, partiranno domani alle 10 alla Sinagoga di via Cesare Balbo con l'omaggio alla lapide della Brigata Ebraica che ha combattuto assieme ai partigiani italiani per liberare l'Italia dal nazi-fascismo. Un'ora più tardi, la Comunità si ritroverà in sit-in al cimitero di guerra del Commonwealth, in via Nicola Zabaglia 50. A prender parte ai due momenti di celebrazione, diversi esponenti del Movimento 5 Stelle e non solo. Il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello e il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, accoglieranno la sindaca Raggi, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani al cimitero del Commonwealth dove ci sarà anche il giornalista e saggista francese Bernard Henry Lévy, mentre alla Sinagoga arriveranno il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio insieme al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e al presidente del "World Jewish Congress".
(Il Messaggero, 24 aprile 2019)
Gli ebrei romani avvisano: ''Nessuno tocchi questa giornata"
Il popolo della festa tra giovani, Ong, comunità ebraica: la storia non si ripete in forme uguali. Canfora: ma la struttura profonda del Ventennio non si è mai davvero estinta in Italia.
di Francesca Paci
ROMA - Ci sono i partigiani, d'accordo. Ci saranno i canti della resistenza e le testimonianze dei sopravvissuti al Ventennio. I soliti nonni irriducibili e i nipoti antagonisti. E però questo 25 aprile 2019 pare chiamare a raccolta un popolo nuovo, più contemporaneo, un'evocazione di quello che dopo anni di apatia scese in piazza nel 1994 nel nome della Liberazione d'Italia da Berlusconi. Oggi c'è Salvini e ci sono le sue politiche sui migranti, le famiglie santificate a Verona, la difesa sempre legittima e sempre armata. E' il nuovo fascismo denunciato in modi diversi dai volontari delle Ong del Mediterraneo e dall'Opera Nomadi , dai pionieri dei presidianti-mafia nel nome di don Ciotti, dai grandi vecchi grilli parlanti come la senatrice Liliana Segre e dallo scrittore Roberto Saviano?
«Ogni generazione affronta questo problema con orizzonti nuovi perché la struttura profonda del fascismo, ossia il suo fare riferimento da un lato a un popolo scontento pre-politico e manipolabile e dall'altro a forze economiche grette e violente, non si è mai estinto» ragiona il filosofo Luciano Canfora, autore d'un appello a tenere alta la guardia del 25 Aprile contro un fascismo mai morto. Già nel 1994 era preoccupato, vede una continuità: Berlusconi fu il primo a prendere le distanze dalla Resistenza, oggi siamo nel solco di quello sdoganamento e in più Salvini ha trovato nel dramma delle migrazioni il nemico necessario alla retorica fascista».
Le parole pesano quanto i simboli. E sempre stato così, anche quando nel 2016 l'allora ministro Boschi affermò a dir poco incautamente che i veri partigiani avrebbero votato il referendum. Salvini sfida ora la piazza a superare il derby fascisti-comunisti ma la piazza 2019 trova proprio in quella rinnovata dialettica tutt'altro che di maniera la sua ragion d'essere.
«La reazione prodotta da Salvini fa recuperare una delle radici dell'antifascismo, non tanto quella politica o sociale ma quella etica che vedeva nella lotta contro il fascismo una lotta per l'umanità umiliata» nota lo storico Marco Revelli. L'idea salviniana di un mondo post destra e sinistra non lo convince: «Il ministro dell'interno non scavalca la divisione tra destra e sinistra ma quella morale tra chi in quei 20 mesi di resistenza italiana deportava gli ebrei e chi li nascondeva, una divisione tra l'umano e il disumano».
Ci sarà questo nuovo umanesimo in piazza, giurano gli organizzatori, un filo ideale che va da Papa Francesco a Gino Strada passando per gli ultimi degli ultimi, il capro espiatorio in ostaggio nel Mediterraneo.
«Il fascismo storico mirava a colpire le minoranze e oggi siamo nella stessa identica situazione di fronte alla criminalizzazione dei migranti e al loro sfruttamento lavorativo di persone di serie B, un ostracismo inaugurato dalla legge Bossi-Fini» insiste Jean René Bilongo, responsabile dipartimento politiche migratorie inclusione e legalità Flai-Cigl. Cita Calamandrei e i luoghi inatali della democrazia italiana, «le prigioni dove venivano torturati i partigiani come i campi in cui vengono schiavizzati i migranti».
L'orizzonte è composito, il nemico è uno. Dieci, cento, mille 25 Aprile? «E' una giornata che ha eccome un senso - replica coralmente la comunità ebraica romana - . E' il ricordo della liberazione dal nazifascismo in un momento in cui si percepisce una rinascita di forme di intolleranza e di estremismo». Gli ebrei capitolini marceranno pronti come ogni anno a fronteggiare le provocazioni, sicure, delle bandiere palestinesi senza alcun rapporto con il 1945. E però, proprio per questo, ribadiscono la forza della memoria storica, precisa, circoscritta: «Giù le mani dal 25 aprile, il rischio dell'oblio c'è, ma attenzione anche a definire qualsiasi cosa fascismo perché così si banalizza il male». Tutto il resto è l'Italia del 2019. E Bella Ciao.
(La Stampa, 24 aprile 2019)
Crimini islamici in Francia. Dopo gli ebrei ora tocca ai cristiani
Lettera a il Giornale
I Fratelli Musulmani sono soliti citare il detto «Dopo sabato, viene domenica» ovvio nel suo significato inquietante: vogliono dire che dopo aver fatto la mattanza degli ebrei nel loro giorno di festa, il sabato, la «festa» la fanno la domenica ai cristiani. Mentre tutti i media mondiali hanno dato notizia dell'incendio di Notre-Dame, nessuno ha raccontato che nelle ultime due settimane sono state incendiate venti chiese in tutta la Francia. Silenzio anche sul duplice attacco anticristiano a Cocheren, nella Mosella, dove è stata abbattuta una statua di Santa Barbara, protettrice dei minatori, mentre a Marlhes, nella Loira, è stata decapitata la statua della Madonna. Dieci anni fa iniziarono a incendiare le sinagoghe in tutta la Francia per poi passare ad ammazzare gli ebrei come il povero Ilan Halimi e l'anziana Mireille Knoll, entrambi massacrati dalla barbarie islamista. Gli ebrei ormai fuggono dalla Francia e, intanto, sembra sorgere l'alba di una domenica cristiana molto cupa.
Amedeo Di Giovanni
(il Giornale, 24 aprile 2019)
Nuova speranza per Paolo, lo chef di 21 anni malato di Sla: Andrò a curarmi in Israele
Paolo Palumbo, lo chef di Oristano di 21 anni, è stato ammesso alla terapia sperimentale del protocollo Brainstorm contro la Sla in Israele. Dopo aver avuto un confronto telefonico con il premier Giuseppe Conte e il ministro della Salute Giulia Grillo, è arrivata la conferma ufficiale del centro israeliano: Non ho parole per descrivere la gioia e lemozione che sto provando.
di Ida Artiaco
Buone notizie in arrivo per Paolo Palumbo, il più giovane malato di Sla d'Europa. Chef sardo di 21 anni, dopo aver fatto appello alle istituzioni e aver avuto un confronto telefonico con il premier Giuseppe Conte e il ministro della salute Giulia Grillo, ha fatto sapere di essere stato ammesso alla terapia sperimentale del protocollo Brainstorm in Israele. "Non ho parole per descrivere la gioia e l'emozione che sto provando - ha scritto Paolo sulla sua pagina Facebook -, certo ancora non abbiamo vinto sicuramente la guerra ma posso dire che abbiamo vinto la prima battaglia. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno supportato questa battaglia e dire che spero di essere la luce per tutti i malati e guerrieri e che la sperimentazione dia i risultati aspettati in modo che con i risultati alla mano possa essere somministrata a tutti i malati". Da giorni si attendeva la risposta ufficiale dal centro israeliano, che è arrivata nei giorni scorsi a Vincenzo Mascia, il neurologo cagliaritano che ha in cura il giovane.
Tuttavia, la strada è ancora in salita. Per sottoporsi al trattamento, il costo previsto è di circa 1 milione di euro. Per questo, Paolo si è rivolto ancora alla politica e a tutti coloro che vogliano aiutarlo a realizzare il sogno di un futuro migliore. "Per poter accedere alla sperimentazione - ha spiegato - ci vuole una cifra molto importante e avrò bisogno del sostegno di tutti voi, si parla di una cifra che va dai 500 mila euro al milione e nei prossimi giorni creerò una raccolta fondi. Non so come ringraziarvi, ora più che mai sostenetemi e aiutatemi a rendere questo obiettivo reale". A ciò bisogna aggiungere lo spostamento da Oristano in Israele del giovane, che vive ormai attaccato ad una macchina per poter respirare.
La storia di Paolo
Paolo Palumbo è il più giovane malato di Sla d'Europa. Ha scoperto la malattia 4 anni fa, quando ne aveva 17. All'improvviso ha cominciato a perdere gli oggetti dalla mano destra, anche quelli più leggeri. I medici all'inizio pensavano ad una lesione del plesso brachiale. Ma dopo essere stato operato, considerando che i miglioramenti tanto attesi non si erano verificati, è stato sottoposto ad ulteriori analisi che hanno rivelato la diagnosi, ricevuta pochi giorni prima del suo 18esimo compleanno, di sclerosi laterale amiotrofica, una patologia degenerativa che nel tempo lo ha costretto a vivere su una sedia a rotelle e a parlare tramite un comunicatore oculare. Subito ha iniziato una battaglia per lui e per tutti coloro che sono nella sua stessa condizione, anche se soprattutto per poter realizzare il sogno di diventare un affermato chef.
La terapia Brainstorm e l'appello alle istituzioni
Dopo anni di ricerche, Paolo ha trovato una terapia sperimentale che potrebbe aiutarlo a raggiungere questo obiettivo, nota con il nome di "Brainstorm", non disponibile in Italia ma arrivata già alla fase 3 negli Stati Uniti e in Israele, che utilizza le cellule staminaliesenchimali che agiscono sul sistema nervoso centrale. Come ha spiegato a Fanpage.it, tramite la voce del padre Marco, "nel 2014 era già stato fatto un tentativo di portare il protocollo nel nostro Paese, ma non è andato a buon fine". Eppure, ci aveva raccontato,"ho letto sui social di malati di Sla che, dopo essere sottoposti alla terapia Brainstorm nel giro di 6 mesi hanno cominciato di nuovo a camminare e a compiere piccoli gesti quotidiani, che prima avrebbero solo potuto immaginare".Così, poche settimane fa ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame per far arrivare il suo grido di aiuto ai piani alti della politica. Dopo la telefonata del premier Conte, è arrivata anche quella del ministro della Salute, Giulia Grillo, che aveva assicurato poco meno di una decina di giorni fa che avrebbe fatto il possibile affinché Paolo potesse accedere alla sperimentazioni in Israele. E così è stato, nella speranza che entro il prossimo anno il protocollo possa arrivare anche in Italia a beneficio delle migliaia di malati di Sla che ancora aspettano una cura.
(fanpage.it, 24 aprile 2019)
Scienziati israeliani: cura contro il cancro senza grossi effetti collaterali entro un anno
Un'azienda farmaceutica israeliana afferma che avrà una "cura completa per il cancro" entro il prossimo anno. L'azienda è Accelerated Evolution Biotechnologies (AEBi), e sulla base delle affermazioni del suo presidente del consiglio di amministrazione Dan Aridor, il trattamento su cui sta lavorando suona a dir poco rivoluzionario.
"La nostra cura del cancro sarà efficace sin dal primo giorno, durerà una durata di alcune settimane e avrà effetti collaterali minimi o nulli ad un costo molto inferiore rispetto alla maggior parte degli altri trattamenti sul mercato", ha dichiarato Aridor al Jerusalem Post . "La nostra soluzione sarà sia generica che personale." Secondo The Jerusalem Post , la cura del cancro di AEBi si chiama MuTaTo, che significa "tossina multiobiettivo". Attacca le cellule tumorali con diversi peptidi - composti che comprendono catene di amminoacidi - contemporaneamente, e questo attacco su più fronti è la chiave per l'efficacia del trattamento, dice la compagnia.
"Ci siamo assicurati che il trattamento non fosse influenzato da mutazioni; Le cellule tumorali possono mutare in modo tale da far cadere i recettori mirati dal cancro ", ha detto il CEO di AEBi Ilan Morad al Post . "La probabilità di avere più mutazioni modificherebbe tutti i recettori mirati diminuisce contemporaneamente drammaticamente con il numero di bersagli utilizzati." "Invece di attaccare i recettori uno alla volta, attacchiamo i recettori tre alla volta", ha continuato. "Nemmeno il cancro può mutare tre recettori contemporaneamente."
(Cronaca News, 23 aprile 2019)
Ajax-Tottenham, derby nel segno di David. Quando gli ebrei non sono in minoranza
I tifosi olandesi sono chiamati «l'Esercito Yid», quelli inglesi «Superjetos»
di Fiamma Nirenstein
Le due squadre che hanno sorpreso il mondo, Ajax e Tottenham, hanno ciascuna una grande Stella di David sulle bandiere che portano allo stadio. Chi scrive non ha alcuna esperienza calcistica, solo un inveterato amore per la Fiorentina e la consapevolezza che negli stadi ci si deve aspettare di sentire urlare «ebreo» come il peggiore insulto, come quando la Lazio mise Anna Frank nella maglia di un romanista. Qui la storia, però, è rovesciata: è fantastico e stupefacente vedere come i fan della squadra di Amsterdam cantino Hava Nagila come canzone di guerra, mentre sarebbe un ballo israeliano, una hora allegra e inoffensiva che diventa nelle voce e nelle facce da falchi tifosi in caccia, una minaccia per gli avversari. I tifosi dell' Ajax vengono chiamati «l'esercito Yid», rovesciando l'uso del termine yiddish usato spesso in senso spregiativo e per offendere i calciatori, e quelli del Tottenham sono invece i «superjews». Adesso che si devono fronteggiare, sarà interessante vedere se finalmente l'incredibile massa di canzoni antisemite e violente che gli si sono rovesciate addosso in questi anni, soprattutto all' Ajax, si ridurranno almeno di un poco in nome del fatto che alla fine sono «ebrei» contro «ebrei», anche se per finta. Ma non ci crediamo: allo stadio piace urlare «ebreo» come insulto, mostrarsi idiota e ignorante.
Le origini della storia «ebraica» delle due squadre risalgono all'Europa anteguerra, Amsterdam era «la Gerusalemme dell'Occidente», gli ebrei 120mila, tutti fan dell'Ajax. Sia l'Ajax che il Tottenham contavano campioni ebrei, capitani ebrei, finanziatori ebrei. Durante le deportazioni in Olanda, che batterono per ferocia tutti i primati, eliminando il 75 per cento degli ebrei, l'Ajax venne distrutto, parte dei suoi giocatori deportata. Dopo la guerra, col ritorno alla normalità, l'identità ebraica affermata con rabbia è stata come un urlo di vittoria, che ha ricevuto un misto di adorazione e odio, e così è stato anche per il Tottenham, un esercito a cui urli «sporco ebreo», ti risponde con una tifoseria furiosa che rivendica di essere non «ebreo», ma «super ebreo». A Londra lo Stadio di White Heart Lane nel Nord di Londra è nel cuore del quartier ebraico. L'Ajax nel 2004 si stufò dello scontro, il presidente disse che voleva rinunciare alla continua provocazione. Il fatto è che per quanto nel mondo calcistico l'antisemitismo sia continuo e scottante, oggi non è confinato negli stadi: la società inglese e quella olandese hanno vissuto in questi anni una continua odiosa crescita di questo fenomeno, in parte dovuta all'islamizzazione. Quindi esso non è confinato ai campi di calcio, anche se gli somiglia sempre di più. Per esempio il mostruoso slogan «Hama Hamas ebrei al gas», usato in manifestazioni politiche contro Israele, è nato sulle gradinate degli stadi dove si giocavano le partite dell'Ajax. In Olanda il 75 per cento degli ebrei ha subito un qualche gesto di antisemitismo, verbale o fisico, la definizione dell'Ihcr di antisemitismo è stata bocciata in Parlamento a causa di un partitino islamico e di uno di sinistra, il monumento alla rivolta olandese contro i nazisti del 25 febbraio 1941 è stato imbrattato. In Inghilterra, mentre Corbyn avvelena il Paese del suo antisemitismo politico antisraeliano, gli ebrei hanno subìto, in un anno, 1.657 attacchi antisemiti e molti meditano di andarsene. La battaglia di sopravvivenza degli ebrei è molto oltre lo scherzo da stadio: in Europa il 90 per cento si sente circondato. Ajax e Tottenham, gli ebrei per gioco più sotto i riflettori al momento, se vogliono possono dare una mano vera a combattere una battaglia molto seria facendo onore al loro gioco di «yid» per scherzo.
(il Giornale, 23 aprile 2019)
L'Arabia Saudita accoglie con favore la revoca di deroghe Usa a importazioni di petrolio da Iran
RIAD - L'Arabia Saudita ha espresso soddisfazione per la decisione degli Stati Uniti di revocare le deroghe relative alle importazioni di petrolio dall'Iran concesse a Cina, Corea del Sud, Giappone, Grecia, India, Italia, Taiwan e Turchia. In una nota il ministro degli Esteri saudita, Ibrahim al Assaf, ha definito la decisione di Washington "un passo necessario per porre fine alle politiche destabilizzanti dell'Iran e il sostegno di Teheran al terrorismo internazionale". Al Assaf ha inoltre ricordato che l'Arabia Saudita da tempo chiede "continui sforzi da parte della comunità internazionale per costringere l'Iran a rispettare il diritto internazionale, ribadendo la palese ingerenza negli affari interni dei paesi della regione", osservando che le azioni di Teheran "hanno provocato caos e distruzione in molti paesi".
(Agenzia Nova, 23 aprile 2019)
Augias, speciale anti-israele
di Gianluca Veneziani
Quale occasione migliore di uno speciale su Gerusalemme e di un giorno come la Pasqua per tornare a parlare di Israele e ribadire quanto gli ebrei che misero a morte Gesù non sono molto diversi dagli ebrei che continuano a compiere violenze nei confronti dei palestinesi?
La puntata su Gerusalemme del programma Città segrete, andata in onda due giorni fa su Rai 3 e condotta da Corrado Augias, poteva essere lo spunto per mostrare quali e quanti tesori di bellezza, d'arte e spiritualità abbia prodotto la cultura ebraica; e invece è divenuta il solito strumento per ricordare quanto gli israeliani sappiano essere violenti e oppressori; e far passare il messaggio che quella città, alla pari di molte altre aree della Palestina, dovrebbe essere liberata dall'esclusiva dominazione da parte di Israele.
Bella narrazione
Sia chiaro, la narrazione era ben costruita e la conduzione fluida e dotta di Augias aiutava il telespettatore a restare attaccato allo schermo, tanto che la puntata è andata molto bene in termini di audience, ottenendo il 6,7% di share e 1 milione e 347mila spettatori. Ma la linea ideologica cui era improntata era evidente sin dalle prime battute del conduttore.
Già nella descrizione dei principali monumenti della città si è capito dove Augias volesse andare a parare: la cupola d'oro della grande moschea di Gerusalemme, che svetta sulle altre costruzioni, veniva presentata come il simbolo della «supremazia islamica sulla città; a proposito della piazza davanti al Muro del Pianto, il conduttore ricordava come essa fosse stata creata per decisione unilaterale del governo israeliano nel 1967, «radendo al suolo un quartiere arabo vecchio di 700 anni», e così (era il sottinteso) snaturando l'identità della città e privandola di un pezzo della sua secolare anima musulmana.
Quanto all'occupazione militare israeliana, Augias faceva un passaggio sull'intifada 1987, cioè sulla rivolta scatenata dai palestinesi, non tanto per mettere in luce i feroci atti di guerriglia commessi da questi ultimi, quanto per evidenziare la spropositata reazione israeliana: in particolare mostrava le azioni violente compiute dall'esercito israeliano contro giovani palestinesi inermi, «armati di sole mazze e fionde»; e quindi denunciava l'operazione di conquista delle aree palestinesi da parte dei coloni israeliani, contrastata dal premier Rabin, per il quale «il dominio su un altro popolo non faceva parte del sogno di liberazione del sionismo».
Luoghi comuni
La retorica, tesa a esaltare i ribelli all'ebraismo, si applicava anche alla figura di Gesù Cristo, colto nel suo ruolo storico, e non tanto metafisico, di profeta contro un doppio potere costituito: il procuratore imperiale di Roma da un lato, e la casta dei sacerdoti ebrei dall'altro. Questi ultimi e il luogo dove esercitavano la loro autorità spirituale e giuridica, ossia il tempio, diventavano il simbolo dell'oppressione che i custodi della Torah esercitavano contro i dissidenti religiosi e i facinorosi politici.
Guardando la puntata, insomma, ci si faceva quest'idea di Gerusalemme: una città che avrebbe voluto essere cristiana e che avrebbe potuto essere musulmana e che nondimeno, 2000 anni fa come oggi, resta, per via di chi la comanda, in primo luogo città santa ebraica. Non proprio una lettura neutrale per un programma andato in onda sul servizio pubblico. Un peccato, vista anche la qualità del prodotto e del conduttore, cedere alla retorica anti-israeliana magari solo allo scopo di fare qualche ascolto in più...
(Libero, 23 aprile 2019)
Odio. Odio puro,, sostenuto da menzogna ben confezionata: un prodotto di alta qualità nel suo genere.
"Olmert offrì ad Abu Mazen più terra di quella che chiedeva, ma Abu Mazen disse no"
Lo dice Erekat, capo negoziatore palestinese. Eppure si continuerà a ripetere che Israele non ha mai voluto accettare uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza.
Mentre tutti attendono la pubblicazione del piano di pace americano, appare chiaro che nulla che gli Stati Uniti o Israele possano offrire sarà mai sufficiente. Lo dimostra il comportamento del capo dell'Autorità Palestinese nelle precedenti trattative di pace.
Basta considerare cosa ha detto pochi mesi fa alla tv dell'Autorità Palestinese il capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat, che nel 2008 era personalmente presente ai negoziati tra l'allora primo ministro israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen. In pratica, ha spiegato Erekat, Olmert aveva accettato le richieste ufficialmente espresse dall'Autorità Palestinese su tutte le questioni da definire per lo status finale. Aveva persino offerto ad Abu Mazen un territorio per lo stato palestinese un po' più esteso dell'intera area di Cisgiordania e Gaza. Eppure Abu Mazen respinse anche quella offerta....
(israele.net, 23 aprile 2019)
25 aprile, Sardos pro Israele: "No alla sfilata di Cagliari"
L'Associazione Chenàbura Sardos pro Israele aderisce alle celebrazioni del 25 aprile "ma non partecipa alla sfilata di Cagliari non ritenendo opportuna la presenza delle bandiere palestinesi e tantomeno la loro accettazione perché rappresentano chi allora era alleato dei nazisti e dei fascisti antisemiti e che collaborarono alla Shoah e ancora oggi sono capofila dell'antisemitismo mondiale". Lo afferma all'Adnkronos Mario Carboni, presidente dell'Associazione Chenàbura Sardos pro Israele, in merito alle celebrazioni del 25 aprile a Cagliari.
"L'Associazione celebra la giornata con un suo evento dedicato a chi da parte ebraica lottò e cadde nella Resistenza in territorio italiano", aggiunge. Nella sede di via Lamarmora, a Cagliari, alle 19 il 25 aprile si terrà la commemorazione dei fratelli Sereni, Enzo, Enrico ed Emilio dei quali Enzo paracadutato dietro la Linea Gotica venne catturato, torturato e poi fucilalo a Dachau.
(Adnkronos, 22 aprile 2019)
Petrolio dall'Iran, giro di vite Usa: rischio sanzioni per 8 Paesi, ma l'Italia si salva
di Marco Valsania
NEW YORK - Basta con i waiver, con le deroghe al blocco dell'import di petrolio iraniano. L'amministrazione Trump ha deciso di dare un completo giro di vite alla stretta sul greggio di Teheran, con l'obiettivo esplicito di azzerarlo, annunciando che non rinnoverà alcuna delle esenzioni finora concesse a otto paesi, tra i quali l'Italia (gli altri sono Grecia, Taiwan, Cina, India, Turchia, Giappone e Corea del Sud), i quali potevano ancora ricevere quel controverso oro nero perché avevano dimostrato, agli occhi di Washington, d'aver compiuto significativi passi avanti nel chiudere i rubinetti iraniani. I waiver, della durata di 180 giorni, cioè di sei mesi, sono in scadenza il 2 maggio.
La Casa Bianca ha illustrato la sua scelta in un comunicato odierno nel quale afferma che «l'amministrazione Trump e i nostri alleati sono determinati a sostenere e espandere la campagna di massima pressione economica sull'Iran per porre fine alle attività di destabilizzazione del regime che minacciano gli Stati Uniti, partner e alleati, e la sicurezza del Medio Oriente».
Resta qualche margine di incertezza sulla mossa: da chiarire è come e quando scatteranno sanzioni statunitensi per assicurare il rispetto del divieto. Vale a dire se verrà utilizzato qualche nuovo meccanismo per concedere periodi di grazia. Una questione aperta riguarda ad esempio le eventuali consegne di greggio acquistato in realtà durante il periodo delle deroghe.
Possibile flessibilità è stata suggerita dal Segretario di Stato Mike Pompeo: nel confermare la fine dei waiver - «non esisteranno più dal primo maggio»; «massima pressione significa massima pressione» - non ha escluso a priori limitate ulteriori esenzioni indicando di «non voler eliminare la possibilità» di quelle che ha definito alla stregua di transazioni «incidentali», di scarsa importanza. Ha sostenuto che gli Usa sono stati sempre «molto equilibrati» nel gestire la "pratica" iraniana. Ha tuttavia aggiunto che le sanzioni sono state efficaci, sottraendo dieci miliardi di dollari di entrate petrolifere a Teheran.
Parziale flessibilità o meno, le ripercussioni dell'azione, politiche e di mercato, non sono tardate. Numerosi degli otto paesi in questione, con la spada di Damocle del divieto americano, avevano in realtà già ridimensionato o di fatto cancellato il loro import dalla nazione mediorientale. Tra questi proprio l'Italia, stando alle stesse fonti americane: il Dipartimento di Stato nelle scorse settimane avevano citato tre nazioni sulle otto che quest'anno avevano ormai azzerato l'import messo all'indice e gli osservatori le avevano identificate come Italia, Grecia e Taiwan.
Ma la questione è potenzialmente diversa per i più grandi clienti di Teheran - la Cina, l'India e la Turchia - che contavano su un rinnovo delle deroghe. L'annuncio, con lo spettro di escalation delle tensioni geopolitiche, ha subito spinto le quotazioni del petrolio, già sostenute dalla crisi libica e da tempo in trend rialzista, ai massimi degli ultimi sei mesi, facendo scattare un rialzo in giornata di oltre il 2%: da inizio anno a oggi ha guadagnato il 41% per cento. L'amministrazione Trump ha minimizzato i rischi di uno shock economico: ha indicato che produttori quali Arabia Saudita e Emirati Arabi assieme agli Usa risponderanno adeguatamente alla «domanda globale». Più difficili da calcolare potrebbero però essere le conseguenze politiche. Pechino, impegnata nello sprint verso un possibile quanto delicato accordo commerciale con Washington, ha immediatamente denunciato le sanzioni unilaterali statunitensi affermando che la «cooperazione Cina-Iran è aperta, trasparente e nel rispetto della legge e dovrebbe essere rispettata».
I giri di vite contro Teheran hanno anche creato protratte frizioni tra la Casa Bianca e l'Unione Europea: Washington ha deciso il blocco dell'import di greggio iraniano come effetto dalla decisione di Donald Trump di abbandonare l'accordo raggiunto con Teheran nel 2015 dalla precedente amministrazione di Barack Obama e dagli alleati europei; accordo che prevedeva la denuclearizzazione in cambio del disgelo economico.
Trump aveva affermato che era del tutto inadeguato. Pompeo ha ora indicato che gli Usa sarebbero disposti a trattare con l'Iran solo se il Paese verrà incontro a una lista di dodici requisiti americani, tra i quali la completa rinuncia al diritto di arricchire uranio per qualunque scopo, la cessazione del sostegno a gruppi quali Hamas e la fine delle minacce a Israele.
(Il Sole 24 Ore, 22 aprile 2019)
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Petrolio dall'Iran, Netanyahu: importante mossa Usa
Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha accolto favorevolmente la decisione del presidente statunitense Donald Trump di non rinnovare le esenzioni per paesi che importano petrolio dell'Iran.
"La decisione del presidente e dell'amministrazione Usa - ha detto su Twitter il primo ministro israeliano - è di grande importanza al fine di aumentare la pressione sul regime terroristico iraniano. Siamo a fianco della determinazione Usa contro l'aggressione di Teheran e questo è il modo giusta per fermarla".
(tvsvizzera, 22 aprile 2019)
Egitto: al Sisi riceve il presidente palestinese Abbas al Cairo
IL CAIRO - Il presidente egiziano, Abdul-Fattah al Sisi, ha ricevuto ieri il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas. I due capi di Stato arabi hanno tenuto una serie di colloqui su una serie di questioni pertinenti alla causa palestinese. Il portavoce presidenziale egiziano, Bassam Radi, lo ha annunciato tramite una nota pubblicata sulla sua pagina ufficiale su Facebook. Al Sisi ha confermato il sostegno del suo paese alla causa palestinese per un accordo equo e globale basato sulla soluzione dei due stati al fine di istituire uno stato indipendente palestinese secondo le risoluzioni internazionali, con Gerusalemme Est come capitale. Abbas ha espresso apprezzamento per gli sforzi dell'Egitto per risolvere questo problema, proteggere i diritti dei palestinesi e raggiungere l'unità nazionale palestinese. Ha sottolineato che è desideroso di consultarsi e coordinarsi con il Presidente al Sisi sulla situazione e di affrontare le sfide che i palestinesi devono affrontare. Il presidente egiziano al Sisi ha confermato il pieno appoggio dell'Egitto all'atteggiamento palestinese verso la via della soluzione politica. I due hanno affrontato le difficoltà che l'Anp sta attraversando dopo il blocco dei fondi da parte di Israele e le conseguenze negative che ha sull'Anp. Si è discusso anche degli sforzi dell'Egitto per preservare la calma nella Striscia di Gaza.
(Agenzia Nova, 22 aprile 2019)
Quando il cibo nutre (anche) lanima
di Miriam Camerini
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Nata nel 1993 a Gerusalemme Miriam Camerini si occupa professionalmente di regia teatrale. È la prima donna ebrea italiana ad aver intrapreso un percorso di studi in un'istituzione rabbinica ortodossa israeliana. Nellarticolo sono riportati alcuni estratti del suo libro Ricette e precetti.
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Sono nata a Gerusalemme e cresciuta a Milano, in una famiglia di ebrei italiani da sempre osservanti dei precetti della Torà. Non ho mai appreso le regole alimentari ebraiche (kasherùt): le ho succhiate con il latte materno (che - per inciso - è considerato kasher solo per i lattanti cui è destinato, casomai ve lo foste mai domandato), assieme alla consapevolezza del fatto che non tutto ciò che è in questo mondo è a nostra disposizione perché stendiamo la mano e ce lo prendiamo, ma che mangiare è un atto naturale e spirituale al tempo stesso, che il nostro comportamento attorno all'atto di nutrirci è ciò che può distinguerci dagli animali che popolano questo mondo, i quali hanno ogni diritto di alimentarsi con quel verbo che in tedesco è riservato proprio a loro e che suona fressen, contrapposto all'umano essen. Siamo noi umani a dover rendere sacro il mangiare, affinché non sia rapina del creato, ma benedizione. Ho quindi sempre saputo che c'era un legame - nel mio mondo - fra alimentazione e religione, fra quell'atto naturale che è mangiare e quell'altro atto naturale che è seguire delle regole, credere in un Creatore, in una ragione di tutte le cose, quantomeno in una grande eterna domanda che guida ogni mia giornata, dal risveglio a tarda notte. Ciò che non necessariamente avevo esplorato erano, invece, i molti modi in cui altri popoli e altre tradizioni religiose declinano il loro rapporto fra cibo e religione, fra ricetta e precetto, per dirla con la felice espressione che mi ha fatto poi da guida e che è stata inventata (nel senso latino di trovata, perché aleggiava nell'aria a Milano, in quei giorni in cui tutti pensavamo a Expo e al suo sogno: "nutrire il pianeta") da Giovanni Ferro, amico e caporedattore di Jesus, rivista mensile delle Edizioni San Paolo. E' nata così - e si e espressa in una fortunata rubrica - una collaborazione che dura ancora fra un'ebrea osservante e il più importante mensile italiano di cultura cattolica, e che diventa oggi anche un libro voluto e pubblicato dall'editore di riferimento per la cultura ebraica in Italia.
Lungo la strada che ha portato una rubrica mensile a diventare un libro, ho avuto la fortuna, il privilegio e la gioia di incontrare Jean Blanchaert, un uomo e un artista di quelli che di solito esistono solo nelle favole, che con tutta la generosità del mondo ha deciso di illustrare ogni ricetta, avvalendosi poi della solare collaborazione di Angelica Gerosa che ha colorato i disegni. Il sito di cucina Labna.it è da molti anni oramai il blog di riferimento per chi cerca notizie, appuntamenti, splendide immagini e - ovviamente - ricette relative alla cucina ebraica, mediterranea, mediorientale e vegetariana. Poiché le fortune non vengono mai da sole, anche Benedetta Jasmine Guetta e Manuel Kanah (i due fondatori e autori di Labna.it) hanno accettato di essere parte di questo progetto cosicché questo libro possa essere letto anche come un libro di cucina a tutti gli effetti.
Sono partita dunque come si parte per un viaggio, o almeno come parto io, di solito: sapendo pochissimo, con allegra curiosità e una certa pazienza (amo i viaggi lenti). Lungo il cammino ho incontrato persone meravigliose che in ogni luogo hanno condiviso con me la loro sapienza ed esperienza: ho intervistato panettieri e monaci, sapienti e ciclisti, cuochi, nonne, imam e rabbini. Ho condotto le mie ricerche in egual misura nelle biblioteche (cartacee o virtuali) e nei mercati, nell'Oriente medio o estremo, per stradine, antichi borghi, suq e feste di paese come nelle metropoli dell'Occidente.
Questo libro parla di Venezia e di New York, di Cracovia e di Tashkent, di Matera, Saraievo e Istanbul; scala il monte Athos, attraversa varie volte l'Oceano Atlantico e il deserto del Sinai, sosta nel giardino dell'Eden, approda immancabilmente a Gerusalemme.
Il legame fra ricorrenza religiosa, circostanza della vita o precetto (obbligo o divieto che sia) e il cibo, il piatto, la ricetta che li caratterizzano è di volta in volta una scoperta, una storia che si dipana nel suo farsi. Mangiare e raccontare sono da sempre intrecciati indissolubilmente, ma questo lo sapevo anche prima: ciò che ho scoperto è che anche i precetti, le regole, i divieti e le usanze sono un modo di raccontare la nostra storia. Quando ero piccola, a casa mia per indicare l'arrosto si diceva "l'arrosto della nonna Ada", la sua venuta da Genova a Milano alla vigilia di Pesach (Pasqua) corrispondeva con l'arrivo della lingua kasher già sotto sale da giorni e l'inizio dei lavori di preparazione del charoset, l'impasto di frutta e vino con cui gli ebrei in tutto il mondo - con ricette diverse ma simili - ricordano la schiavitù d'Egitto. Se penso alle sue dita, le vedo sempre un po' nere nelle rughe sui polpastrelli e vicino alle unghie, vuoi per i carciofi, vuoi per le noci tostate. L'altra mia nonna, Mirella, non ha mai amato cucinare, eppure, assieme a questo mondo, ha lasciato il tavolo di cucina ricoperto di ciambelle di marzapane pronte perché l'intera famiglia potesse celebrare la festa ebraica di Purim come aveva sempre fatto, con i suoi dolci di pasta di mandorle. Solo la copertura di cioccolata amara e palline colorate di zucchero non ha avuto il tempo di finire; lo abbiamo fatto mia zia Mara e io, subito dopo il funerale: ci aveva lasciato un compito da completare, perché non ce ne stessimo lì troppo tristi, con le mani in mano.
Ogni anno, per lo Shabbat in cui si legge dalla Torà il brano che descrive l'apertura del Mar Rosso, mia madre prepara le tagliatelle che rappresentano la scena e nel farlo racconta: «Ecco le onde del mare, qui sono i carri del Faraone, queste sono le ruote». L'uscita dall'Egitto - il racconto per eccellenza - si serve di attrezzi di scena come se fosse un teatro di figura, in cui lo stare a tavola è narrazione. Durante il séder, la cena di Pesach, l'imperativo è narrare per sentirsi liberi, insegnare alle nuove generazioni a porre domande, a stimolare il racconto in una ideale conversazione ininterrotta che unisce l'una all'altra le generazioni, in eterno.
Dedico questo libro, il primo della mia vita, alle mie nonne Mirella (sia il suo ricordo benedizione) e Ada (possa vivere fino a centovent'anni!) e ai miei piccoli nipoti Alisa ed Eliyah, che non siano mai sazi di viaggi e di storie.
(Pagine Ebraiche, aprile 2019)
La Lega Araba contro l'«Accordo del secolo» degli Usa
IL CAIRO - I ministri degli Esteri della Lega Araba, in una riunione d'emergenza svoltasi domenica al Cairo, ribadendo il proprio sostegno al popolo palestinese si sono opposti al cosiddetto "Accordo del secolo" dell'Amministrazione Usa per l'Asia Occidentale.
"L'«Accordo del secolo» proposto dagli Usa, non potrà portare a regnare la pace stabile nell'Asia Occidentale, a meno che non vengano riconosciuti i legittimi diritti del popolo palestinese di decidere il proprio destino e il proprio futuro, di vivere in uno stato indipendente nelle frontiere del 4 giugno 1967 con Gerusalemme capitale, e i rifugiati abbiano anche il diritto di ritornare a casa...", si legge nella dichiarazione rilasciata al termine della riunione della Lega.
Il piano Trump, noto come «Accordo del secolo», esclude lo Stato di Palestina, prepara il terreno all'annessione ai Territori Occupati della Cisgiordania promessa in campagna elettorale da Benjamin Netanyahu e offre ai palestinesi solo un po' di finanziamenti e una blanda autonomia su qualche fazzoletto di terra.
(ParsToday, 22 aprile 2019)
L'«Accordo del secolo» sostanzialmente propone ai palestinesi di rinunciare a uno stato indipendente così come lo vogliono, in cui vivere "nelle frontiere del 4 giugno 1967 con Gerusalemme capitale, e i rifugiati abbiano anche il diritto di ritornare a casa..." cioè come primo passo verso la sparizione dello stato ebraico. E' questa la formula dei "due stati" appoggiata dalla comunità internazionale, è questa la formula educata in cui i benpensanti sostengono l'ultima forma di antisemitismo: quello giuridico, che rivendicando inesistenti "diritti palestinesi" nega al popolo ebraico il suo centro vitale: Gerusalemme. E' Gerusalemme la pietra d'inciampo per le nazioni. E ancora una volta la Bibbia si conferma: "In quel giorno avverrà che io farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli; tutti quelli che se la caricheranno addosso ne saranno malamente feriti" (Zaccaria 12:3). M.C.
Antisemitismi in parallelo
di Giulio Busi
La carta, grossa e giallastra è quella, povera, dell'immediato dopoguerra. L'autore e il titolo sono però capaci di attirare subito l'attenzione. Leon Poliakov, ebreo di origine russa e attivo in Francia, fino alla morte nel 1997, è stato uno dei pionieri della ricerca europea sulla Shoah. Non un accademico, ma uno scrittore accattivante e capace di sintesi da offrire al pubblico più generale. Oltre al suo nome, sulla copertina è annunciato un argomento insolito: «La condizione degli ebrei in Francia sotto l'occupazione italiana», mentre la data di pubblicazione, più in basso, ci dice che tutto è appena successo: 1946. Pieno com'è di documenti originali, lo studio di Poliakov contiene un serrato confronto tra l'atteggiamento dei nazisti e delle autorità di Vichy, da una parte, e di quello delle forze di occupazione italiane nella Francia del sud, dall'altra. A tutto vantaggio degli italiani.
Il tono è fortemente emotivo: «Quest'opera, che presenta la documentazione autentica tedesca, permetterà di farsi un'idea della differenza che è esistita tra i popoli latini e i teutoni. E gli ebrei non devono dimenticare quanto devono ... a nove mesi d'umanitarismo italiano». E, poco oltre: «In un'epoca in cui quasi tutta Europa si trovava sotto lo stivale tedesco e le polizie di tutti i Paesi erano mobilitate nella caccia all'ebreo ... gli otto dipartimenti occupati dalle truppe italiane si trasformarono come per incanto in una "zona di rifugio" per gli ebrei».
Ho ripreso in mano il libro pubblicato da Poliakov nel 1946 (e tradotto poi in italiano dieci anni dopo) in occasione della recente uscita dello studio di Laurent Joly, L'Etat contre les juifs: Vichy, les nazis et la persécution antisémite 1940-1944
Joly è un giovane ricercatore del Cnrs, specializzato in antisemitismo. Dalle pagine della sua cronaca delle persecuzioni condotte dall'apparato di Vichy, si trae una necessaria integrazione all'immagine sostanzialmente positiva dell'atteggiamento italiano fino al 1943. Nel tutelare gli ebrei sottoposti alla propria autorità, l'esercito d'occupazione italiano nella Francia del sud aveva potuto avvalersi di un principio di autonomia rispetto ai tedeschi. Ragioni di prestigio e la gelosa difesa delle proprie prerogative furono insomma determinanti per le scelte italiane, mentre il governo Pétain aveva natura e caratteristiche diverse.
Joly traccia con efficacia i profili dei poliziotti e dei burocrati francesi che organizzarono con tanto zelo le deportazioni di ebrei volute dai nazisti, e raccoglie così un catalogo di «tecnocrati d'alto grado pronti a sacrificare gli ebrei in nome della loro carriera, antisemiti compulsivi da scrivania, sbirri zelanti - tutti pronti a ubbidire». Se si ripercorrono le tappe della collaborazione alla Shoah del governo di Vichy, saltano agli occhi i paralleli con quanto avvenne nel nostro Paese dopo il settembre 1943.
È a quel punto, nel contesto dell'occupazione tedesca e della guerra che imperversa nella Penisola, che la caccia agli ebrei viene sancita giuridicamente e applicata meticolosamente dalla Repubblica di Salò. È un salto d'intensità, con il concorso dei "carnefici italiani", come li ha chiamati Simon Levis Sullam nel suo libro omonimo.
Delatori che denunciano, milizie fasciste, polizia e carabinieri che arrestano, addetti ai campi di concentramento che sorvegliano e trasferiscono: la macchina che rende possibile e avvia il genocidio, poi portato a termine nei lager tedeschi, si mette in moto in un'Italia incattivita e predatrice, a cui non bastano i pur molti episodi di aiuto individuale agli ebrei. Le ragioni che portano a denunce e arresti non dipendono solo da convinto razzismo biologico, ma hanno a che fare anche con una mistura di cinismo, avidità, rancore. Del resto, non andò molto diversamente in Francia. Agli occhi di Helmut Knochen, alto ufficiale delle SS, il modo migliore per indurre la popolazione all'antisemitismo, nel 1941, era la corruzione e l'offerta di ricompense a spie e approfittatori: «Mentre è quasi impossibile coltivare nei francesi sentimenti antisemiti su basi ideologiche, l'offerta di vantaggi economici susciterà più facilmente simpatie per la lotta agli ebrei».
Il confronto tra governo di Vichy e Repubblica sociale italiana aiuta a comprendere le dinamiche di una tragedia comune. In entrambi i Paesi, gli ebrei erano inseriti pienamente nella società civile, e vennero mandati a morire dagli apparati dello Stato.
Le tragiche statistiche dello sterminio sono peraltro, in qualche modo, comparabili, con il 28 % circa della popolazione ebraica deportata dalla Francia o trucidata sul posto e circa il 18 % di deportati, rispetto al numero approssimativo di 43mila "persone di razza ebraica", che si calcola si trovassero nel centro e nel nord Italia nel settembre 1943.
Al di là e al di qua delle Alpi, l'Europa livida, impaurita e servile che sostenne lo sterminio e vi contribuì, dovette essere annientata con la forza.
È anche per questo che la data del 25 aprile 1945 rimane così importante per la coscienza storica italiana. Se dell'indole dei popoli e della loro presunta, naturale generosità si può discutere ed è spesso lecito dubitare, la libertà, una volta perduta, è ben difficile da riconquistare.
(Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2019)
Gli ebrei e il Sud, voci di identità
Secondo Beniamino da Tudela, nel XII secolo a Gerusalemme vivevano 200 nuclei di famiglie ebraiche. A Otranto se ne contavano 500, a Palermo 1500. Ebraismo e Sud Italia si sono arricchiti a vicenda per secoli fino agli infami editti di espulsione che segnarono la fine di una lunga storia. Oggi una luce identità si è riaccesa e a raccontarla con diverse voci è stato nelle scorse ore il programma di Radio3 "Zazà" (clicca qui per ascoltare la puntata).
Nel programma Raiz & Radicanto eseguono diversi brani del disco Neshama, omaggio alla tradizione degli ebrei sefarditi. Musica che restituisce atmosfere familiari a tutto il Mediterraneo. L'esibizione nell'auditorium della Sede Rai della Puglia annuncia l'undicesima edizione del Festival internazionale 'Di Voce in Voce', che si svolgerà al Teatro Traetta di Bitonto, presso l'Auditorium Vallisa di Bari e la sede del Consolato d'Italia a Stettino, in Polonia. Assieme alla musica di Raiz & Radicanto, diverse storie che riguardano gli ebrei e il Mezzogiorno. A partire dalla Napoli di oggi e dalla sua sinagoga. "Napoli, via Cappella vecchia, 31" è il titolo della raccolta di racconti pubblicati dal rav Pierpaolo Pinhas Punturello. Nove sguardi sulle molteplici identità possibili nella modernità partenopea e una riflessione sul delicato equilibrio tra tradizione e ricerca di nuove possibilità. Aspetti che possono essere studiati anche osservando lingue e dialetti.
Con Fabrizio Lelli, docente di lingua e letteratura ebraica all'Università del Salento e direttore del museo ebraico di Lecce, si seguono le tracce dei manoscritti realizzati in Terra d'Otranto tra Medioevo e Rinascimento. Tra questi, non mancano testi in dialetto salentino - indicato come "pugghìsu" - che gli ebrei scrissero e parlarono anche dopo la fuga verso Corfù. Nel Medioevo Bari fu sede di un'importante Gran Sinagoga, centro di cultura in fiorente attività anche durante l'emirato arabo di Bari del IX secolo, come racconta Vito Bianchi, archeologo scrittore e docente all'Università di Bari. Lo studio dei testi ebraici ha impegnato, nei primi anni del Novecento, anche la piccola comunità di Sannicandro Garganico.
A parlarne è Grazia Gualano. A seguito della Shoah furono tanti gli ebrei che trovarono rifugio in Puglia. A loro si dedicò Zygmunt Kelz, dentista scampato allo sterminio nazista. La sua storia è ricostruita dal figlio Bernardo. Il Museo della Memoria e dell'Accoglienza di Santa Maria al Bagno, nel Salento, raccoglie immagini e altri ricordi della permanenza di un gruppo di profughi ebrei che per diversi mesi condividono luoghi e speranze con la popolazione locale. Una vicenda che il giornalista Janos Chialà ha raccontato sul quotidiano israeliano Haaretz, suscitando nostalgia in diversi lettori, che lo hanno contattato dopo essersi riconosciuti nelle storie e nelle immagini pubblicate.
(moked, 22 aprile 2019)
Israele, la radio dei militari tra Mahmood e Pink Floyd
Musica, traffico e tendenze. 'Galgalatz' è la stazione radio più popolare in Israele, gestita dai militari, ed è anche la più ascoltata dai giovani.
TEL AVIV - Musica, traffico e tendenze. 'Galgalatz' è la stazione radio più popolare in Israele, gestita dai militari, ed è anche la più ascoltata dai giovani.
Proprio quei ragazzi che nello Stato ebraico sono obbligati a tre anni di servizio militare, gli uomini, e a due, le donne.
Galia Niv, ventenne in divisa, insieme a Nadav Ravid, il direttore della Radio, ci accolgono nella redazione in un vecchio e affascinante palazzo vicino a Jaffa e ci spiegano come il Paese si stia preparando ad ospitare l'Eurovision Song Contest, in programma a Tel Aviv dal 14 al 18 maggio.
"La musica italiana va forte e 'Soldi', la canzone di Mahmood, è una delle più ascoltate". Il direttore spiega che la programmazione musicale è completamente libera e non subisce alcuna restrizione da parte dell'esercito.
"Ci basiamo sul buon senso, magari canzoni con testi troppo espliciti non le mandiamo la mattina
".
E i Pink Floyd? Anche sul gruppo britannico - il cui leader Roger Waters è uno dei maggiori esponenti del Movimento Bds per il boicottaggio di Israele - non c'è alcun veto. Anzi "una delle canzoni più amate è 'Wish you were here'". Ravid sottolinea serafico: "A noi interessa la bella musica, in politica rispettiamo la libertà di pensiero".
(Diregiovani, 21 aprile 2019)
Davvero serafico il direttore israeliano Ravid: ... in politica rispettiamo la libertà di pensiero. Roger Waters però non si limita a pensare, lui vuole ottenere. In politica i pensieri espressi pubblicamente sono proiettili. Si può anche decidere di rispettare la libertà di tragitto dei proiettili, ma potrebbe accadere che chi li riceve non abbia più la capacità di pensare. E in fondo, lantisraeliano Roger qualcosa lha già ottenuto: con il fascino dei suoi prodotti musicali è già riuscito a far smettere di pensare certi israeliani. Contenti loro... no, non sono contenti tutti. M.C.
Memorie dal 1943: così l'Italia salvò gli ebrei di Salonicco
Pirozzi ricostruisce l'intervento del nostro consolato: gli abitanti del ghetto furono trasferiti e sfuggirono ai nazisti.
di Lorenzo Calò
Quanto è sbagliata la storia scritta con l'inchiostro dei vincitori? Quanto è giusta la disobbedienza civile di chi - per scelta etica, per rango diplomatico, per carica pubblica - ha disobbedito a un ordine per salvare centinaia di vite? Sono le domande di fondo che animano l'ultimo lavoro di Nico Pirozzi, Salonicco 1943, agonia e morte della Gerusalemme dei Balcani (Edizioni dell'Ippogrifo, pagg.138, Euro 16).
A un certo punto compare anche Eichmann, sprezzante quando si parla di un trasferimento di prigionieri lontano da Salonicco. Una retata, un rastrellamento, una nuova tragedia che incombeva sulla comunità ebraica che viveva nella città greca.
La genesi della ricerca giornalistica che diviene inchiesta, documentata testimonianza, racconta uno spaccato forse minore ma di profondo impatto storico-politico, ricostruendo minuziosamente la modalità in cui il corpo consolare italiano trasferì i residenti del ghetto ebraico nella parte della città che era sotto il controllo italiano. È il diario di Lucillo Merci, ex capitano del regio esercito, che Pirozzi ha ritrovato, analizzato e verificato, a fare da struttura portante alla ricostruzione storica. Appunti trascritti nel 1983 ma radicati nella memoria di quaranta anni prima, ancorati ai segreti e ai misteri di Villa Olga, sede del Regio Consolato italiano di Salonicco dove decine di ebrei furono aiutati (con documenti falsi e una costante azione di cover up) a sfuggire alle deportazioni naziste e riparare in zona di controllo italiana. Ironia della sorte, due anni fa la stessa sede diplomatica, ancora di proprietà del governo di Roma, è stata messa in vendita: stato di conservazione pessimo, immobile anti-economico.
È come se la storia si accanisse con crudeltà anche con le vicende personali di alcuni dei protagonisti: il console Guelfo Zamboni, Claudio Modiano, figlio di Luigi, direttore dell'ospedale di Salonicco, riuscito precipitosamente a salire sul treno della vita. «L'Italia non poteva distruggere la comunità ebraica italiana in Grecia, nonostante le pressioni dell'alleata Germania», scriverà nelle 48 pagine dei suoi appunti Merci con una indefettibile coerenza, senza retorica, con un'umanità che non accetta compromessi. Marzo 1943: per la comunità ebraica più rappresentativa d'Europa scattò l'anno zero. In appena 50 giorni i nazisti fecero piazza pulita di un blocco sociale di 50.000 ebrei rendendo la zona immediatamente «Judenfrei», Restano poi i brividi di un atroce dubbio: che le dimensioni della Shoah possano essere state ben più ampie di quanto sinora siamo stati disposti ad ammettere.
(Il Mattino, 21 aprile 2019)
Quando gli ebrei parlavano anche dialetto salentino
Domani su Raitre nella trasmissione «Zaza» studiosi e Raiz con il gruppo barese Radicanto
Domani alle 15, la Puglia di scena con le sue storie ebraiche alla radio. Con «Terre di passaggio» Da Napoli al Salento, storie ebraiche dal sud Italia, sulle frequenze di Radica, a «Zazà»,
Secondo il rabbino spagnolo Beniamino da Tudela, nel XII secolo a Gerusalemme vivevano 200 nuclei di famiglie ebraiche. A Otranto se ne contavano 500, a Palermo 1500. Ebraismo e sud Italia si sono arricchiti a vicenda per secoli. Domani pomeriggio quindi Radìos racconterà alcuni episodi di questa storia.
A partire dalle 15, nella trasmissione Zazà, Raiz & Radicanto eseguiranno dal vivo diversi brani del disco Neshama, omaggio alla tradizione degli ebrei sefarditi, le comunità espulse dalla Spagna a partire dal XV secolo. Musica che restituisce atmosfere familiari a tutto il Mediterraneo. L'esibizione nell'auditorium della Sede Rai della Puglia annuncia l'undicesima edizione del Festival internazionale «Di Voce in Voce», che si svolgerà al Teatro Traetta di Bitonto, presso l'Auditorium Vallisa di Bari e la sede del Consolato d'Italia a Stettino, in Polonia.
A commentare la musica di Raiz & Radicanto, le diverse storie che riguardano gli ebrei e il Mezzogiorno. A partire dalla Napoli di oggi e dalla sua sinagoga. Napoli, via Cappella vecchia 31 è il titolo della raccolta di racconti pubblicati dal giovane rabbino Pierpaolo Pinhas Punturello (Ed. Salomone Belforte). Nove sguardi sulle molteplici identità possibili nella modernità partenopea e una riflessione sul delicato equilibrio tra tradizione e ricerca di nuove possibilità. Aspetti che possono essere studiati anche osservando lingue e dialetti. Con Fabrizio Lelli, docente di lingua e letteratura ebraica all'Università del Salento e direttore del museo ebraico di Lecce, seguiamo le tracce dei manoscritti realizzati in Terra d'Otranto tra Medioevo e Rinascimento. Tra questi, non mancano testi in dialetto salentino - indicato come «pugghìsu» - che gli ebrei scrissero e parlarono anche dopo la fuga verso Corfù. Nel Medioevo Bari fu sede di un'importante Gran Sinagoga, centro di cultura in fiorente attività anche durante l'emirato arabo di Bari del IX secolo, come ci racconta Vito Bianchi, archeologo scrittore e docente all'Università di Bari. Lo studio dei testi ebraici ha impegnato, nei primi anni del Novecento, anche la piccola comunità di San Nicandro Garganico, capace di una fede così forte da superare il timore delle leggi razziali volute dal fascismo, spiega Grazia Gualano. A seguito della Shoah furono tanti gli ebrei che trovarono rifugio in Puglia. A loro si dedicò Zygmunt Kelz, dentista scampato allo sterminio nazista. La sua storia, ricostruita dal figlio Bernardo. Il Museo della Memoria e dell'Accoglienza di Santa Maria al Bagno, nel Salento, raccoglie immagini e altri ricordi della permanenza di un gruppo di profughi ebrei che per diversi mesi condividono luoghi e speranze con la popolazione locale. Una vicenda che il giornalista Janos Chialà ha raccontato sul quotidiano israeliano Ha'aretz, suscitando nostalgia in diversi lettori, che lo hanno contattato dopo essersi riconosciuti. Zazà è un programma a cura di Anna Antonelli e Lorenzo Pavolini. In onda anche sul web: www.raiplayradio.it
(La Gazzetta di Bari, 21 aprile 2019)
Israele - Energean annuncia la scoperta di una nuova riserva di gas
ATENE - La compagnia di esplorazione e produzione del gas greca Energean Oil and Gas ha scoperto una riserva tra i 28 e i 42 miliardi di metri cubi (bcm) di gas naturale nel giacimento di gas offshore israeliano, Karish North. Lo riferisce la stessa società con un comunicato. Si tratta della seconda scoperta relativa al giacimento dove sono stati rilevati in precedenza già 45 bcm. Si tratta di una riserva molto più piccola di quelle trovate nei giacimenti di Tamar (281 bcm) e di Leviathan (605), ma tuttavia abbastanza consistente da permettere ad Energean di diventare un attore competitivo nel mercato energetico israeliano. Il quotidiano d'informazione economica "Globes" riferisce che il prezzo delle azioni di Energean sarebbe salito del 7 per cento dopo l'annuncio di questa mattina. Le attività esplorative sono iniziate il 15 marzo e hanno raggiunto una profondità di 4.880 metri per poi essere state completate una settimana prima del previsto.
Un'ulteriore valutazione verrà fatta dalla compagnia per perfezionare ulteriormente il potenziale delle risorse e determinare il contenuto della scoperta. La perforazione della fase iniziale del pozzo del Karish North è ora completa e la società approfondirà le sue analisi sul giacimento per valutare il potenziale di idrocarburi. "Siamo lieti di annunciare questa significativa nuova scoperta di gas a Karish North, che dimostra ulteriormente l'attrattiva del nostro terreno al largo di Israele. Stiamo costruendo la Fpso Energean Power con capacità inutilizzata, che ci consentirà di sviluppare rapidamente, in sicurezza ed economicamente sia il Nord Karish che le scoperte future. Abbiamo già firmato un contratto contingente per vendere 5,5 miliardi di metri cubi (0,2 Tcf) di questa nuova risorsa, e la nostra strategia è ora quella di garantire il trasferimento per i volumi rimanenti. Continuiamo a vedere una forte domanda per il nostro gas, che riteniamo sarà supportato dall'annuncio di oggi", ha dichiarato l'amministratore delegato di Energean, Mathios Rigas.
(Agenzia Nova, 21 aprile 2019)
Dio ha scelto le cose pazze del mondo
Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio. Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione; affinché, com'è scritto: «Chi si vanta, si vanti nel Signore».
Dalla prima lettera dellapostolo Paolo ai Corinzi, cap. 1
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Israele trova un metodo per contrastare gli S-300
Israele ha sviluppato i nuovi missili aria-terra supersonici Rampage che sarebbero apparentemente fuori portata per i sistemi russi S-300, scrive Florian Retzer, un giornalista di Telepolis. Secondo lui, l'esercito israeliano ha usato i nuovi missili la scorsa settimana in Siria.
Inoltre, Retzer nota che in Israele questi missili sono visti come una conseguenza dello spiegamento di complessi S-300 da parte della Russia in Siria, e che questi missili sono presumibilmente in grado di "ingannare" la difesa aerea russa.
Aggiunge che i missili Rampage, sviluppati dalle compagnie israeliane IMS (Israel Military Industries) e IAI (Israel Aerospace Industries), sono stati presentati a giugno dello scorso anno. Il missile misura 4,5 metri di lunghezza, pesa 570 chilogrammi e ha un'autonomia fino a 150 chilometri.
Si osserva che i missili sono progettati specificamente per attaccare obiettivi ben protetti dai sistemi di difesa aerea e per distruggere i bunker sotterranei. Inoltre, il razzo ha due testate che possono esplodere alternativamente.
In conclusione, Retzer sottolinea che la Russia dovrà ora dimostrare l'efficacia dei complessi S-400, che, ha detto, sono già stati dispiegati in Siria per proteggere le basi russe.
(Sputnik Italia, 21 aprile 2019)
L'altro Netanyahu, Iddo. «Vi racconto Israele nella vita dei miei fratelli il premier e il soldato»
Dagli accordi di pace, agli scandali di Bibi, al futuro
di Aldo Cazzullo
GERUSALEMME - Iddo Netanyahu non è soltanto il fratello di Benjamin detto Bibi, un premier che ha vinto cinque elezioni, e di Jonathan detto Yoni, caduto alla testa del commando che liberò oltre cento ostaggi a Entebbe. E uno scrittore tradotto nel mondo, autore di commedie messe in scena a Mosca e a New York. Ed è una voce da ascoltare perché denuncia «un certo conformismo»: in Israele l'egemonia politica è della destra, ma nella percezione europea l'egemonia culturale è ancora della sinistra; e questo non aiuta a capire cosa accade.
- Netanyahu, com'era la vostra famiglia?
«Papà era uno storico. Ha studiato l'Inquisizione spagnola».
- Le radici dell'antisemitismo.
«L'antisemitismo è molto più antico. Precede l'impero romano, è attestato nell'età ellenistica. Poi passò in Occidente e da qui in una parte dell'Islam. Non è certo finito con la sconfitta del nazismo. È un virus che ha contagiato ogni nazione, financo l'Australia».
- Perché?
«I motivi sono molti. Non è solo un fatto religioso: il nazismo era anticristiano. Purtroppo è esistito anche un antisemitismo cristiano, basato su una rilettura anti-giudaica dell'antico Testamento».
- Non è un fenomeno sconfitto?
«Certo che no. Anzi, in tempi di crisi l'antisemitismo si fa più virulento. Si riaffaccia in Germania. In Francia, da cui molti ebrei se ne sono andati. Si manifesta anche a sinistra, ad esempio nel Labour di Corbyn».
- Putin però coltiva buoni rapporti con Israele.
«Putin ha un atteggiamento amichevole. Non è certo antisemita. Ma proprio la Russia è esemplare di come l'antisemitismo possa mettere radici. Un tempo non esisteva. È sorto con l'idea degli ebrei che accumulano ricchezza e influenza finanziaria, editoriale, politica. È culminato in pogrom terribili. Ma oggi c'è Israele. Noi ebrei possiamo essere odiati; non sterminati».
- Israele è ancora in pericolo?
«Certo. L'Iran vuole l'atomica per distruggerci. Ma anche i palestinesi non hanno mai rinunciato alla distruzione di Israele. È questo che i leader laburisti non avevano capito».
- Per questo la sinistra in Israele è crollata?
«È crollata a causa degli arabi. Quando ci furono gli accordi di Oslo tra Rabin e Arafat, nel 1993, la maggioranza degli israeliani li approvava. Ma dall'altra parte non c'era un'autentica volontà di pace. Barak arrivò a offrire praticamente tutta la West Bank (Cisgiordania, nda) e Gerusalemme Est. La risposta furono violenze, bombe, attentati suicidi. Poi Sharon si ritirò da Gaza. E Gaza è diventata una base per attaccarci».
- Tra Rabin e Sharon c'è il primo governo di Benjamin Netanyahu, dal 1996 a 1999. Suo fratello ha cercato davvero la pace?
«Certo che sì. Ma ha capito che non era possibile. E con lui l'ha capito il popolo. Gli intellettuali, no».
- Abraham Yehoshua sostiene di non credere più alla soluzione «due popoli due Stati», ma a un unico Stato in cui ebrei e arabi convivano. È possibile?
«No. Tra vent'anni, forse. Oggi no. La gente non lo accetterebbe. Né la nostra, né la loro. Siamo radicalmente differenti. Israele è una jewish nation, una nazione ebraica».
- Ma esistono gli arabi israeliani.
«Certo. Però sono minoranza. Dove gli ebrei sono maggioranza, garantiscono la sicurezza degli arabi. Ma nella West Bank ci sono luoghi dove gli arabi sono la netta maggioranza. Là oggi gli ebrei sopravvivono solo grazie alla protezione dell'esercito. Altrimenti sarebbero aggrediti».
- Perché Israele non si ritira da quei territori?
«Sarebbe un suicidio. Finirebbe come a Gaza. Ci consegneremmo ai terroristi. Ma non dimentichi che i palestinesi hanno un'ampia autonomia. Un parlamento, una polizia, una scuola».
- L'Iran è un pericolo?
«Certo che lo è. il khomeinismo è orribilmente antisemita. E vuole la Bomba. È una guerra che non possiamo permetterei di perdere».
- Come combatterla? Anche bombardando gli impianti iraniani?
«Sono il fratello del primo ministro. Non ne abbiamo mai parlato, e in ogni caso non le risponderei».
- Lo storico Benny Morris sostiene che Bibi cadrà entro un anno per via dei processi.
«Non lo so. Non si sa neppure se ci saranno i processi. So dirle questo: sono accuse ridicole» .
- Sono accuse imbarazzanti. I regali ...
«I regali è una storia ormai caduta. La questione verte su presunte pressioni di mio fratello per avere una stampa favorevole; quando tutti sanno che la stampa israeliana è in prevalenza di orientamento liberal, e quindi molto critica con lui».
- L'accusa è anche di aver favorito una società di telecomunicazioni che possiede un sito di notizie.
«Il sito Walla!, notoriamente anti-Likud. È un caso unico nella storia della giurisprudenza, frutto di una straordinaria creatività giuridica. Gli avvocati stranieri che se ne sono occupati non si raccapezzavano. Qual è il politico che non interagisce con la stampa? Se venisse usato lo stesso criterio negli altri Paesi, ci sarebbero retate di politici e primi ministri».
- Lei ha scritto due libri su Entebbe. Come ricorda Yoni Netanyahu?
«Nostro padre si era trasferito in America, e noi l'avevamo seguito. Tutti e tre decidemmo di tornare in Israele per fare il servizio militare, tutti nella stessa unità speciale».
- Ma a Entebbe c'era solo Yoni.
«Sono le nostre regole. Mai due fratelli in una missione ad alto rischio».
- Ottomila chilometri di volo radente per sfuggire ai radar, un'operazione tuttora studiata dall'intelligence di tutto il mondo.
«La difficoltà è che in guerra, appena entri in una stanza, spari. Se devi liberare più di cento ostaggi, prima devi guardare, e solo dopo sparare. Questo dà al nemico un enorme vantaggio. Mio fratello disse ai suoi uomini: "Ricordatevi che voi siete soldati migliori di loro", dei terroristi arabi e tedeschi, degli ugandesi che li proteggevano. E i suoi uomini si sono dimostrati migliori"».
(Corriere della Sera, 20 aprile 2019)
Io che ho un figlio nella classe degli insulti antisemiti
Lettera a "la Repubblica"
Sono la mamma di un compagno di classe del ragazzino ebreo che è stato offeso in una scuola di Ferrara. Vorrei esprimere la mia opinione in merito alla vicenda, forte del fatto che mio figlio fortunatamente non è coinvolto nel disastro che ne è scaturito. La frase detta da alcuni suoi compagni è assolutamente e totalmente inaccettabile, ma non parlerei di antisemitismo dilagante trattandosi di ragazzini di 11 o 12 anni che parlano senza neppure capire la gravità di certe affermazioni.
E che tendono, per farsi grandi, a sparare esagerazioni senza senso. Conosco personalmente le famiglie dei ragazzini coinvolti e posso assicurare senza timore che si tratta di persone rispettabilissime che non meritano la gogna mediatica alla quale sono state esposte. La scuola in questione sensibilizza continuamente i ragazzi al rispetto delle persone a prescindere dalla religione e dal colore della pelle e ho sempre apprezzato il loro sforzo educativo che tende all'inclusione di tutti quanti senza discriminazione alcuna. Trovo che sia stato veramente troppo impulsivo, chi ha pensato di pubblicizzare questa vicenda facendo scoppiare un vero e proprio caso nazionale e dando in pasto scuola, professori e ragazzi ad un giudizio pubblico che crea soltanto più danno. Il caso era già stato risolto in maniera esemplare e la famiglia offesa si era ritenuta soddisfatta. Per assurdo, ora anche la vittima è due volte tale perché sta vivendo con disagio l'effetto che ha procurato l'evento finito sui giornali che pare persino strumentalizzato da qualcuno, in questo periodo di elezioni, solamente per raccogliere qualche voto in più. Dovremo forse chiederci che insegnamento diamo ai nostri figli quando umiliamo famiglie per bene e massacriamo mediaticamente ragazzini per errori che a quell'età un po' tutti commettono. Con questa mia lettera voglio ringraziare e sostenere la scuola che educa e insegna ai miei figli a crescere e a diventare adulti consapevoli e liberi da pregiudizi senza punizioni feroci ma con il buon esempio e il costante lavoro educativo.
Ritengo infine opportuno esprimere a tutte le famiglie coinvolte in questo spiacevolissimo incidente la mia vicinanza e la mia immutata stima.
Cristiana Guarneri
(la Repubblica, 20 aprile 2019)
Agnello alla giudia per la Pasqua ebraica (Pesach)
di Massimo Pipino
I preparativi per quella che è la Pasqua ebraica,"Pesach" (פסח), festività che dura otto giorni (sette nel solo Israele) e che ricorda la liberazione del popolo ebraico dall'Egitto e il suo esodo verso la Terra Promessa, iniziano solitamente con un mesetto di anticipo rispetto alla data vera e propria della festa: si finisce di celebrare Purim (più o meno il Carnevale israelita, anche se il significato è ben più profondo ma non è il caso di indagarlo qui..), si tira un respiro di sollievo e ci si rimette subito all'opera con quello che potremmo definire le pulizie di primavera.
Durante i sette giorni di Pasqua è vietato mangiare, ma anche tenere in casa ogni tipo di alimento lievitato: per questo prima di Pesach si deve pulire ogni stanza della casa, in modo che tutti i prodotti lievitati, anche le loro più piccole tracce, vengano rimossi. Si cercano quindi, ed è una tipica manifestazione di paranoia ebraica, briciole di pane sotto i cuscini, nelle tasche di cappotti e pantaloni (e per gli hassidim - setta ebraica estremamente osservante nota per il suo abbigliamento un tantino stravagante - deve essere una faticaccia), si puliscono a fondo i fornelli, il forno, il frigorifero, tutti gli armadi
è un lavoraccio, ma ha un suo perché. Alla fine, quando la casa è tirata a lucido si sta di gran lunga meglio.
Ecco ora la nostra prima ricetta per Pesach 2019, un piatto della tradizione giudaico-romanesca: l'agnello alla giudia con carciofi e fave cui seguiranno sfiziosi dolcetti. Questo piatto è un tantino controverso, nel senso che potrebbe generare qualche discussione con ebrei più osservanti di me (che non lo sono tanto che mangio regolarmente il vietatissimo porcello). Vediamo quindi di fare un paio di approfondimenti. Durante Pesach gli ebrei ashkenaziti (ovvero gli israeliti discendenti, di lingua e cultura yiddish delle comunità stanziatesi nel corso del medioevo lungo la Valle del Reno), oltre a privarsi dei cibi lievitati, evitano anche l'impiego di legumi (kitniyot), tra cui, ad esempio, le fave. Chi scrive non è così osservante (anzi, non lo è per nulla) e non prova interesse per questa specifica scelta religiosa: a casa mia le fave a Pesach si sono sempre mangiate, prova ne sia il piatto tipico di Pesach degli ebrei tripolini, il riso con le fave. Se però c'è chi preferisce evitare di mangiare kitniyot a Pesach, niente paura: questa ricetta viene buonissima anche senza l'impiego di questo legume. In secondo luogo, sono ben consapevole del fatto che, in segno di rispetto per il ricordo dei sacrifici del tempio, il consumo di un intero agnello arrosto in occasione della Pasqua è vietato dal codice della legge ebraica chiamato Shulhan Arukh. A causa di questa regola, alcune persone in Italia e all'estero evitano in toto di consumare l'agnello a Pasqua, ma devo dire che io mi schiero con gli ebrei che accettano un'interpretazione più libera della legge e mangiano l'agnello, a condizione che non sia arrostito.
Ed attenzione che per "arrostito" i rabbini sembrano indicare un cibo cotto in un forno senza liquidi, mentre il nostro agnello è cotto in una pentola con molti liquidi
e quindi secondo me siamo kosher! Nel dubbio, comunque, questo piatto non bisogna mica farlo per forza a Pesach, anzi, secondo me qualsiasi sera di questa settimana va bene: alla fine, si tratta solo di godersi un delizioso, tenero arrostino di agnello con verdure stagionali, non serve un'occasione speciale per prepararlo.
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AGNELLO ALLA GIUDAICA CON CARCIOFI E FAVE PER PESACH
Tempo di preparazione: più o meno 30 minuti
Tempo di cottura: 1 ora
Porzioni: per 4 buoni stomaci
Ingredienti 20
- 1 cipolla tritata finissima
- 5 spicchi d'aglio tritati finissimi
- un cucchiaio di strutto
- 70 g di olio d'oliva
- 1 kg di spalla di agnello (o qualsiasi altro pezzo, a dire il vero)
- 120 ml di vino bianco
- 2 limoni
- 10 carciofi
- 20-30 fave fresche intere (ma va bene anche se comprate le fave già sgranate e surgelate)
- sale
- pepe nero
- brodo di carne
Per la preparazione prendiamo una bella una pentola capiente possibilmente in coccio e facciamo soffriggere aglio e cipolla in un giro d'olio extravergine di oliva unito allo strutto, a fuoco medio, mescolando spesso finché la cipolla non sia diventata bella morbida e ben dorata. Uniamo quindi l'agnello, un paio di pezzi alla volta facendolo rosolare bene bene su tutti i lati. Aggiungiamo quindi sale e pepe a piacere e sfumiamo con un buon bicchiere di vino bianco secco. Una volta che il vino bianco è evaporato, aggiungiamo brodo fino a coprire tutta la carne e lasciamo cuocere a fuoco medio-basso finché l'agnello non è divenuto tenero.
A parte, prepariamo una ciotola con acqua fredda in cui dovrà essere spremuto il succo di un limone. Passando ai carciofi, immancabili nella cucina israelita, tagliamo 2-3 cm della punta, poi procediamo sfogliando, cioè eliminando le foglie più esterne più dure. Eliminiamo ora la parte finale del gambo e con uno spelucchino rimuoviamo lo strato esterno fibroso. In ultimo, togliamo la barba interna del carciofo, lo tagliamo in quarti e lo mettiamo a bagno nell'acqua acidulata con il succo del limone. Procediamo così fino ad esaurire tutti i carciofi.
Togliamo ora dal loro baccello le fave, se fresche, e poi aggiungiamo fatica a fatica togliendo da ciascuna fava anche la sua buccia/pellicina. Io normalmente non lo faccio, ma se volete farlo, ricordatevi che dovete sbollentare le fave qualche minuto, poi le pellicine dovrebbero venire via facilmente.
Torniamo quindi all'agnello: quando è ben è tenero, aggiungiamo in pentola i carciofi e le fave, dunque alziamo la fiamma per far sobbollire il liquido di cottura (aggiungere brodo se necessario). Lasciamo ora cuocere l'agnello insieme alle fave e ai carciofi finché questi ultimi non sono ben cotti. Spremiamo ora il succo del secondo limone in pentola e togliamo il tutto dal fuoco. Sale e pepe appena macinato a piacere e serviamo
Condiamo l'agnello e le verdure con sale e pepe macinato fresco e serviamo con tutto il sugo di cottura e pane abbrustolito.
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(Commercialista Telematico, 20 aprile 2019)
A Nazaret l'ospedale cattolico che parla arabo e cura in ebraico
Il Sacra Famiglia, gestito da oltre 60 anni dai Fatebenefratelli
ROMA - «Sapete perché è facile l'integrazione in sanità? Perché se avete medici e infermieri di religioni diverse non dovete tribolare a fare i turni a Natale e nelle feste religiose». Bishara Shoukair, direttore dell'ospedale cattolico Sacra Famiglia di Nazareth, è un musulmano dotato di uno spiccato humour e spiega così come si possa praticare una sanità d'eccellenza in un territorio perennemente in guerra e che mescola da secoli etnie e culture, lingue e religioni. Sono più di sessant'anni che i Fatebenefratelli gestiscono il nosocomio di Nazareth, al centro, da alcuni anni, di importanti investimenti che ne hanno fatto una delle strutture di riferimento per la sanità israeliana. Un presidio importante tra le opere missionarie in Terra Santa, cui la Chiesa dedica la colletta nella Giornata delle Missioni in Terra Santa del 19 aprile. «Per noi che abbiamo il carisma dell'Ospitalità - spiega fra Massimo Villa, priore della Provincia Lombardo Veneta dell'Ordine ospedaliero, che gestisce l'ospedale - offrire le nostre competenze e il nostro modo di intendere e di praticare la cura in un simile crogiolo di fedi e di culture è seguire passo per passo le orme di San Giovanni di Dio».
La storia di questo nosocomio è quella di molte missioni cattoliche: ha rischiato diverse volte la chiusura, è stato requisito in occasione di entrambe le guerre mondiali e oggi dà lavoro a 600 dipendenti ed effettua 2400 parti all'anno. Gli ospiti sono in gran parte arabi, quindi «in ospedale parliamo arabo, scriviamo in inglese ma curiamo in ebraico» spiega Bishara Shoukair, il quale sottolinea che la dotazione tecnologica e l'organizzazione sono perfettamente integrate nel sistema sanitario israeliano, che è basato su un sistema di assicurazioni (che coprono 153 dei 163 milioni di shekel di fatturato) e opera con una logica di libero mercato.
Negli ultimi anni è stata rinnovata radicalmente l'intera struttura con la costruzione di una nuova ala e oggi, con 12mila mammografie all'anno, il Sacra Famiglia-Fatebenefratelli è il primo centro del Nord Israele nella diagnosi e cura del tumore al seno. E' anche il più grande centro di colonscopia ed endoscopia. Primati che in Medioriente hanno un peso diverso rispetto all'Europa, riconosciuti dal severissimo sistema di accreditamento israeliano e ottenuti attraverso continui investimenti, che condurranno la struttura a chiedere la certificazione della Joint Commission International, cioè la più alta nel mondo ospedaliero.
(askanews, 19 aprile 2019)
Israele: allarme morbillo
Gravi le condizioni di una hostess contagiata da un passeggero
Un appello a tutti gli israeliani che si accingono a recarsi all'estero a vaccinarsi subito contro il morbillo - se non già vaccinati - è stato lanciato ieri dal ministero israeliano della sanità, secondo quanto aggiorna con rilievo la stampa locale. Secondo la televisione commerciale Hadashot almeno 45 mila bebè e bambini israeliani non sono stati vaccinati dai loro genitori. Risultano inoltre in potenziale pericolo quanti sono nati in Israele negli anni 1957-77: essi potrebbero essere stati vaccinati in forma solo parziale oppure non vaccinati del tutto.
Si sono intanto aggravate le condizioni di una hostess israeliana contagiata durante un volo da un passeggero affetto da morbillo. La donna è ritenuta adesso in pericolo di morte.
Secondo Maariv, il contagio si sta estendendo in Israele. I morti sono finora due, ed un bambino di 10 anni è ricoverato in condizioni molto gravi.
(ANSAmed, 19 aprile 2019)
Ancora in pericolo i reperti archeologici del Monte del Tempio
E' urgente riprendere le operazioni di setacciatura delle tonnellate di terra rimosse in modo illegale e devastante dal Waqf islamico
Temple Mount Sifting Project, il Progetto setacciatura del terreno rimosso dal Monte del Tempio, riprenderà le sue operazioni il 2 giugno in occasione della Giornata di Gerusalemme che ricorda la riunificazione della città dopo la ventennale occupazione della sua parte orientale da parte giordana.
Il Progetto trova origine nel 1999 quando il Waqf, l'ente musulmano che gestisce il patrimonio islamico sul Monte del Tempio, nel corso di pesanti lavori infrastrutturali effettuati sul sito senza permessi né coordinamento, fece scaricare circa 9.000 tonnellate di terra di riporto nella vicina valle di Kidron senza alcuna precauzione né supervisione archeologica, in totale spregio degli inestimabili reperti che vi si potevano trovare. Dopo lo scempio, archeologi israeliani e stranieri coadiuvati da squadre di volontari, passando pazientemente al setaccio il materiale hanno potuto recuperare molte preziose testimonianze archeologiche che altrimenti sarebbero andate perdute per sempre....
(israele.net, 19 aprile 2019)
La Pasqua ebraica dura otto giorni
Da venerdì 19 è Pesach
di Daniele Silva
TORINO - Pesach, la Pasqua ebraica, comincia la sera di venerdì 19 e prosegue per otto giorni, fino a venerdì 26. La festività, tra le più sentite del calendario religioso, ricorda l'uscita del popolo ebraico dall'Egitto e i celebri episodi che la caratterizzano: le vicende di Mosè e il faraone, le 10 piaghe, l'apertura del Mar Rosso, il pellegrinaggio nel deserto. Questi sono i temi centrali anche del "Seder", cioè la cena rituale che si tiene nei primi due giorni della festa; si legge il libro della "Hagadah", che guida la cena secondo un ordine e un menù prestabilito, in cui ogni pietanza ha uno specifico valore simbolico: ad esempio la "mazà" (pane azzimo), il "charoseth" (impasto di frutta cotta), il "maror" (erbe amare). Durante gli 8 giorni di celebrazione è vietato assumere o tenere in casa cibi lievitati, in ricordo della frettolosa fuga dall'Egitto che impedì di far lievitare il pane. Il precetto prevede così che ogni famiglia ripulisca la propria casa da tutto il pane o alimento lievitato o a base di acqua e farina, e che non ne faccia uso fino al termine di Pesach.
La comunità ebraica torinese si riunisce nella sinagoga di piazzetta Primo Levi per le preghiere di apertura, i primi due giorni, e per il termine della festa.
(La Stampa - Torino, 19 aprile 2019)
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Pesach oggi: libertà e rapporto con la Terra di Israele
di Ugo Volli
Le feste ebraiche spesso ricordano eventi storici centrali nella storia del popolo di Israele. Così è per Channukkà e Purim, che celebrano la sopravvivenza dell'ebraismo ai tentativi antichi di distruggerlo, per Shavuot che commemora la rivelazione del Sinai, e prima di tutto per Pesach, la Pasqua ebraica, che ricorda la fondazione del popolo ebraico, la sua liberazione dalla schiavitù egiziana e l'inizio del percorso verso la conquista della Terra di Israele.
Ma queste feste chiedono anche in maniera molto esplicita di essere pensate in relazione al mondo contemporaneo. I miracoli che punteggiano le loro storie avvennero, secondo le formule liturgiche "in quegli anni" ma "in questo tempo" e il testo che ogni famiglia ebraica legge le due prime sere di Pescah, la narrazione (Haggadah) per antonomasia, impone a ogni ebreo di considerarsi come se lui stesso avesse partecipato all'epica uscita dall'Egitto.
Come ripensare oggi a questa storia così fondamentale non solo per gli ebrei, ma per l'intera cultura oggi sparsa in tutto il mondo? Naturalmente non ho la pretesa di elaborare il senso religioso della festa, oggetto di profonde riflessione nella millenaria tradizione del pensiero ebraico. Ma vale la pena di ricordare qualche ovvio addentellato politico.
Il primo punto è il rapporto con la terra di Israele. Ci sono due punti di inizio per il popolo ebraico. Il primo è Abramo, che diventa ivrì (ebreo, una parola etimologicamente legata al passare oltre, al venire da oltre) quando ubbidisce all'ordine di abbandonare casa e famiglia, per andare dove la guida divina lo porterà, e cioè specificamente nella terra di Israele, "al di là" del fiume Eufrate. La seconda è quella celebrata da Pesach, quando il popolo esce dalla schiavitù egiziana e si dirige, sia pure con un percorso lungo e tortuoso, verso lo stesso luogo. Il popolo di Israele, nella sua tradizione storico-religiosa, è quello che esce dall'esilio per tornare alla sua terra, anche al costo di rotture, ribellioni e guerre. Ogni celebrazione di Pesach, del resto, conclude la cena rituale con la promessa "l'anno prossimo a Gerusalemme". Dopo l'Egitto è accaduto di nuovo in seguito all'esilio di Babilonia e ancora una volta nell'ultimo secolo e mezzo, nonostante una nuova terribile strage che ha ucciso metà del popolo, ma di nuovo con la forza di fondare uno stato. Che non si illudano coloro che pensano di "ricacciarci in mare" o "da dove veniamo" (è una formula ricorrente fra gli antisemiti, musulmani e non): siamo sempre tornati e siamo sempre restati.
Il secondo punto riguarda la libertà, in opposizione alla schiavitù e al genocidio. Pesach è definita dalla tradizione come festa della libertà. Questa libertà si staglia su una storia precedente di schiavitù, lavoro forzato e vero e proprio genocidio. Vi è da parte di Mosè una richiesta esplicita e ripetuta di liberazione, intesa non certo come presa del potere sull'Egitto, ma come separazione, oggi diremmo diritto all'autodeterminazione. Questa richiesta è sempre respinta dal Faraone, nonostante l'intervento divino, fino alla conclusione sanguinosa della decima piaga e della distruzione dell'esercito egizio nel mare. La libertà è dunque pensata dunque non come anarchia né come dominio, ma come la possibilità di vivere secondo le proprie leggi, in un altro spazio. Quello egizio è il primo dei molti grandi imperi a cercare di eliminare questa autonomia di un piccolo popolo come quello ebraico: una tentazione che ancora oggi è ben presente.
Di qui una rivendicazione di identità, ben precisa e ancora oggi attuale. Il popolo ebraico esiste se è capace di resistere all'oppressione e di prendere il proprio destino nelle sue mani, di ascoltare la propria tradizione, di fare i sacrifici necessari per questo. Al fondo vi è un'etica della responsabilità e della libertà, cui naturalmente spesso è difficile fare fronte, come il seguito della narrazione del viaggio verso la terra promessa, e poi tutta la storia di venticinque secoli, farà chiaramente vedere. Ma dopo trentacinque secoli vi è ancora un popolo capace di sentire come propria quella vicenda, di farsene coinvolgere, di trarne lezioni di libertà.
(Progetto Dreyfus, 18 aprile 2019)
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Mosè: «Lasciaci andare, altrimenti per noi sono guai»
di Marcello Cicchese
Quando si riflette sull'uscita del popolo ebraico dall'Egitto, si tende a porre Dio, Mosè e gli ebrei da una parte, e Faraone e gli egiziani dall'altra. Le cose non stanno proprio così. Una schematizzazione più biblica sarebbe questa: Dio da una parte; ebrei ed egiziani dall'altra, ma in posizioni diverse; Mosè (col supporto di Aaronne) strumento scelto da Dio fra gli ebrei per svolgere la sua politica all'interno e per mezzo di Israele.
Nella storia dell'esodo biblico non c'è nulla che assomigli alle altre lotte di liberazione di popoli oppressi. Mosè non è il capo riconosciuto e acclamato di un popolo che vede in lui l'espressione e lo strumento della sua battaglia. Il popolo non è artefice della sua politica, ma subisce la politica di Dio.
In Esodo 4:27-31 Mosè ed Aaronne comunicano agli anziani il progetto di liberazione che Dio, non il popolo, aveva intenzione di compiere, "ed il popolo prestò loro fede. Essi compresero che l'Eterno aveva visitato i figli d'Israele e aveva visto la loro afflizione, e s'inchinarono e adorarono" (Esodo 4:31).
Dopo di che Mosè ed Aaronne si presentano al Faraone con la loro richiesta, ed in questa occasione, e solo in questa, parlano in veste di rappresentanti di tutto il popolo, perché ne hanno ricevuto esplicitamente il consenso.
Un modo singolare di procedere
Il modo in cui i rappresentanti del popolo formulano la loro richiesta è davvero strano. Dio aveva detto a Mosè di informare il Faraone che Israele è il suo figlio primogenito, e che se non l'avesse lasciato andare, Lui avrebbe ucciso il figlio primogenito suo (Esodo 4:22-23). Mosè ed Aaronne però non presentano subito la loro richiesta in forma di minaccia, non dicono: "Lasciaci andare altrimenti sono guai per te", come si fa, in forma più o meno velata, in certe trattative politiche; dicono invece: "Lasciaci andare altrimenti sono guai per noi".
"Essi dissero: «Il Dio degli Ebrei si è presentato a noi; lasciaci andare per tre giornate di cammino nel deserto, per offrire sacrifici all'Eterno, nostro Dio, affinché egli non ci colpisca con la peste o con la spada»" (Esodo 5:3).
Un bel Dio, quello degli ebrei, penserà qualcuno: prima lascia che il suo popolo gema per secoli sotto tiranni stranieri, poi gli ordina di andarlo a festeggiare nel deserto altrimenti li punirà con la peste o con la spada. Com'era prevedibile, il Faraone respinge nettamente la richiesta dei rappresentanti e dice a Mosè che il popolo non stia a preoccuparsi di quello che gli farebbe il suo Dio, ma di preoccuparsi di quello che gli farà lui. E li sbatte fuori in malo modo.
Le angherie aumentano e i sorveglianti del popolo si scagliano contro Mosè ed Aaronne. Possiamo immaginare che abbiano detto parole come queste: "Al Faraone voi avete detto che se non avessimo ubbidito a Dio, Egli ci avrebbe colpito con la spada, invece è successo che la spada l'ha usata il Faraone, e siete stati voi che gliela avete messa in mano".
"Essi dissero: L'Eterno volga il suo sguardo su voi, e giudichi! poiché ci avete messi in cattiva luce davanti al faraone e davanti ai suoi servi e avete messo nella loro mano la spada per ucciderci» (Esodo 5:21).
Anche Mosè fu fortemente scosso da questo svolgersi delle cose, ma Dio gli rinnovò la sua promessa di liberazione facendo riferimento al patto con Abramo, Isacco e Giacobbe (Esodo 6:2-8). Mosè si lasciò convincere e ripeté al popolo le promesse di Dio, ma questa volta il popolo non credette alle sue parole e si rifiutò di seguirlo.
"Mosè parlò così ai figli d'Israele; ma essi non dettero ascolto a Mosè, a motivo dell'angoscia dello spirito loro e della loro dura schiavitù" (Esodo 6:9).
Questa fu la prima, determinante ribellione del popolo d'Israele contro il suo Signore.
Mosè si presenta al Faraone a nome di Dio, non del popolo
Il rifiuto del popolo a credere alle parole di Dio è un fatto grave, e Mosè fa presente all'Eterno questa situazione: "Ecco, i figli d'Israele non mi hanno dato ascolto" (Esodo 6:12). Come farà dunque Mosè a presentarsi al Faraone senza avere il consenso del popolo e il sostegno di un mandato popolare? Questo si direbbe oggi, e forse qualcosa del genere deve aver detto anche Mosè al Signore. Dio però tagliò corto:
"Ma l'Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne e comandò loro di andare dai figli d'Israele e dal Faraone re d'Egitto, per far uscire i figli d'Israele dal paese d'Egitto" (Esodo 6:13).
Da questo momento Mosè agisce soltanto come strumento della volontà di Dio e non come espressione della volontà del popolo, anzi in opposizione diretta a questa volontà. C'è da immaginare il terrore con cui gli ebrei avranno saputo che "quei due pazzi forsennati" di Mosè ed Aaronne si sono presentati un'altra volta davanti al Faraone a fare le loro richieste. Se si è così arrabbiato la prima volta - avranno pensato - chissà che cosa succederà le prossime.
Invece poi vengono a sapere che chi si arrabbia è Dio. Certo, gli ebrei vedono avvenire cose grandiose: l'acqua mutata in sangue, le rane, le zanzare. Le prime calamità che devastano l'Egitto sono segni davvero potenti. Ma il fatto è che dentro all'Egitto ci sono anche loro, e nella posizione peggiore che si possa immaginare, perché certamente il Faraone non li avrà esentati dai loro lavori a causa dello stato di emergenza in cui si era venuto a trovare il paese. Quindi ad essere colpiti sono tutti, anche gli ebrei, che si saranno chiesti: ma sarebbe questa la nostra liberazione?
Soltanto alla quarta piaga, le mosche velenose, Dio avvisa che farà una distinzione:
"In quel giorno io risparmierò il paese di Goscen, dove abita il mio popolo; lì non ci saranno mosche, affinché tu sappia che io, l'Eterno, sono in mezzo al paese. Io farò una distinzione fra il mio popolo e il tuo popolo" (Esodo 8:22-23).
Alla fine il popolo d'Israele uscirà dall'Egitto, ma questo avverrà per l'opera di Dio con la mediazione di Mosè, e senza il consenso e l'appoggio del popolo, il quale subisce l'azione di Dio senza parteciparvi con la sua volontà.
Il passaggio dell'angelo. Che significa?
Quanto detto fin qui sembra essere fuori tema rispetto al contenuto della parashà di oggi, che ha come oggetto la pasqua. Vuol essere invece una premessa necessaria per cominciare ad inquadrare quello strano fatto del passaggio dell'angelo che colpisce i primogeniti egiziani ma risparmia gli ebrei che hanno osservato le disposizioni di Dio: uccidere un agnello per casa e spargere il suo sangue sugli stipiti della porta.
Egiziani ed ebrei sono entrambi in posizione di peccato rispetto a Dio, ma in modi diversi. Il Faraone e il suo popolo giacciono nel peccato perché vivono nelle tenebre dell'idolatria pagana; il popolo d'Israele invece no, perché è stato visitato da Dio e lo ha adorato (Esodo 4:31). Il suo peccato però è di tipo diverso: ha rigettato la parola di Dio ricevuta attraverso Mosè. L'angelo è stato mandato per colpire tutti coloro che sono ribelli alla volontà di Dio, e tra questi ci sono anche gli ebrei. Ma gli ebrei sono il popolo che Dio ha promesso ad Abramo, ed ecco allora che, dopo aver manifestato la potenza della sua sovranità, Dio adesso manifesta una cosa nuova: la grandezza della sua grazia. Gli ebrei ricevono l'ordine di uccidere l'agnello nella forma prestabilita, e con questo Dio dice loro due cose: 1) voi siete peccatori della stessa pasta degli egiziani e meritate la stessa fine; 2) voi siete parte di un popolo con il quale ho deciso di portare a compimento un'opera di redenzione a cui parteciperanno tutti coloro che avranno accolto la mia parola nella forma in cui l'avranno ricevuta. Voi siete il primo popolo che ha commesso un peccato di incredulità, avendo respinto la parola di liberazione che vi era stata annunciata; voi siete il primo popolo che ha fatto l'esperienza della grazia di Dio, avendo creduto nella sua parola che vi offriva la possibilità di evitare giudizio di Dio attraverso l'offerta di un sostituto innocente e privo di difetti.
Il significato profondo di quell'agnello si trova nelle parole del profeta Isaia:
"Noi tutti eravamo erranti come pecore, ognuno di noi seguiva la sua propria via; e l'Eterno ha fatto cadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, umiliò se stesso e non aperse la bocca. Come l'agnello menato allo scannatoio, come la pecora muta dinanzi a chi la tosa, egli non aperse la bocca" (Isaia 53:6-7).
E nelle parole dell'evangelista Giovanni:
Il giorno seguente Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: «Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! (Giovanni 1:29).
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Il console Venturini che salvò gli ebrei. Una lezione per la diplomazia
di Maurizio Caprara
In tempi nei quali nazionalismi rialzano la testa, e assetti geopolitici dati per scontati sembrano meno saldi di prima, è decisione avveduta portare diplomatici di nuova generazione a una mostra su come si comportarono i loro predecessori durante le deportazioni per la Shoah e l'applicazione delle leggi razziali. Fino a dicembre in via del Portico di Ottavia 29 a Roma resterà aperta Solo il dovere, oltre il dovere. La diplomazia italiana di fronte alla persecuzione degli ebrei - 1938-1943 e ieri 32 giovani assunti alla Farnesina l'anno scorso sono stati accompagnati a vederla dal segretario generale del ministero degli Esteri Elisabetta Belloni. In teche e pannelli nel Museo della Shoah sono raccolti dispacci di ambasciate e consolati d'Italia affiancati da immagini su angherie e vessazioni. Risaltano le prove di due tipi di comportamenti tra quelli di quanti rappresentavano il nostro Paese fuori dai confini: zelo verso le discriminazioni di italiani di religione ebraica, tentativi di salvare i destinati alla cattura.
«Questa mostra ci impone di riflettere su qual è il limite tra l'obbedienza e la coscienza: la coscienza di dover scegliere quando si è consapevoli che la scelta può fare la differenza», ha detto Elisabetta Belloni, promotrice della visita al museo d'intesa con il ministro Enzo Moavero Milanesi. Con la guida di Marcello Pezzetti, uno dei massimi esperti italiani del genocidio costato la vita a quasi sei milioni di ebrei, i nuovi diplomatici hanno potuto esaminare pieghe dei diversi comportamenti. Ad assisterli anche una studiosa tedesca, Sara Berger, e Sami Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz.
Da Skopje, nel 1943, il console Roberto Venturini, al quale si deve la salvezza di un centinaio di ebrei, descriveva alla sede di Sofia che ai «9 mila deportandi» su ordine tedesco venivano inflitte da forze bulgare «sofferenze davvero non necessarie». «Le guardie adoperano sotto ogni pretesto con sadica energia le fruste», riferiva. «Venturini è tra i due, tre che ci hanno commosso», ha detto Pezzetti raccontando le ricerche in un fondo degli Esteri non inventariato. Salvarono ebrei anche Guelfo Zamboni, Giuseppe Castruccio, Gustavo Orlandini.
Il regime fascista era più che al corrente delle mostruosità. Non solo Benito Mussolini. Da Berlino l'ambasciatore Dino Alfieri nel 1943 scriveva al ministro Galeazzo Ciano di «ebrei russi buttati vivi nelle fiamme», di bimbi uccisi con mitragliatrice e di «un ufficiale delle Ss che ha confidato di aver lanciato contro un muro, sfracellandoli, bambini di sei mesi, per dare l'esempio ai suoi uomini, stanchi e scossi da una esecuzione particolarmente raccapricciante per il numero dei giustiziati». Era una corrispondenza dal Paese alleato dell'Italia.
(Corriere della Sera, 19 aprile 2019)
Conte si congratula con Netanyahu: "rafforzare la partnership strategica"
ROMA - Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è congratulato con Benjamin Netanyahu per aver ricevuto l'incarico dal capo dello Stato israeliano, Reuven Rivlin, di formare il nuovo esecutivo. In un messaggio su Twitter, Conte ha scritto: "Nel 70mo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Israele, guardo a proseguire nel rafforzamento della nostra partnership strategica e vera amicizia".
(Agenzia Nova, 19 aprile 2019)
Soldi ai terroristi palestinesi: per la Banca Mondiale Israele deve pagare
Se non fosse una cosa terribilmente seria si potrebbe pensare a una burla, a qualcosa di assolutamente inventato per farci due risate. E invece è tutto vero.
Banca Mondiale (World Bank) accusa Israele di aver provocato la crisi che attanaglia l'Autorità Palestinese per via del fatto che ha interrotto i trasferimenti di denaro verso l'Autorità Palestinese che poi la stessa usa per pagare i terroristi e le loro famiglie.
Intervenendo sulla drammatica situazione economica degli arabi cosiddetti "palestinesi" che vivono in Giudea e Samaria (la cosiddetta Cisgiordania), Banca Mondiale ha lanciato un "allarme sicurezza": senza soldi agli arabi cosiddetti palestinesi, non ci sarà sicurezza per Israele.
Israele da diversi mesi trasferisce verso l'Autorità Palestinese (AP) solo una parte del denaro dovuto per le tasse in quanto proprio con quel denaro la AP paga i vitalizi ai terroristi e alle loro famiglie, vitalizi che vanno a terroristi che hanno ucciso cittadini israeliani o che, se sono stati eliminati, vanno alle loro famiglie.
Ebbene, secondo Banca Mondiale la decisione del Governo israeliano di tagliare il trasferimento di una parte del denaro avrebbe provocato una gravissima crisi economica in Giudea e Samaria, crisi che potrebbe andare ad intaccare le risorse dedicate alla sicurezza e quindi anche alla sicurezza di Israele.
Il ragionamento è davvero contorto perché Banca Mondiale, che di solito analizza i fattori macroeconomici che determinano le crisi o, al contrario, lo sviluppo dei territori, incolpando Israele della crisi della Autorità Palestinese di fatto indica a Gerusalemme che dovrebbe pagare i vitalizi ai terroristi palestinesi e alle loro famiglie.
Uno si aspetta che Banca Mondiale analizzi i motivi delle crisi, che per esempio per quanto riguarda gli arabi palestinesi sono molto profondi e determinati da una gestione mafiosa del potere e da una corruzione ormai radicata che dura da decenni, non che proponga di pagare un pizzo ai terroristi per avere in cambio un po' di sicurezza.
Il rapporto pubblicato da Banca Mondiale mercoledì scorso, verrà sottoposta all'attenzione del "Coordinamento di assistenza alla commissione per il popolo palestinese" (ennesimo organismo dedicato ai palestinesi) nella sua prossima riunione che si terrà a Bruxelles il 30 aprile.
E' verosimile che anche in quella occasione verrà chiesto a Israele di pagare il pizzo alla Autorità Palestinese in modo che le famiglie dei terroristi ricevano il tanto ambito vitalizio/premio per aver ammazzato cittadini israeliani. Una richiesta che naturalmente Israele non potrà accettare.
(The World News, 19 aprile 2019)
Israele si aggiudica il tesoro di Kafka: «Sveleremo al mondo gli scritti inediti»
Sentenza a Zurigo: la Biblioteca nazionale di Israele otterrà l'archivio di Max Brod finora chiuso nei caveau svizzeri.
di Riccardo De Palo
Il facile gioco di parole è diventato virale: Kafka non poteva subire un procedimento più "kafkiano", come quello conclusosi ieri dopo anni di surreale battaglia giudiziaria, al Tribunale distrettuale di Zurigo. La corte ha dato ragione a Israele: il tesoro di carte dell'autore (appunto) de Il processo, conservato nei caveau della banca Ubs, ora potrà essere trasferito presso la Biblioteca nazionale dello Stato ebraico, dove si trova già un vasto corpus di documenti dello scrittore praghese. Il verdetto permetterà quindi a tutti (studiosi e semplici lettori) di poter avere accesso alle ultime opere inedite esistenti di Kafka: una miniera di lettere indirizzate a grandi del passato come Thomas Mann, Arthur Schnitzler, Jaroslav Hasek, ma anche album di disegni mai visti, taccuini con esercizi per imparare l'ebraico, appunti di vita quotidiana, il manoscritto del racconto Preparativi di nozze in campagna, una bozza del romanzo Il castello, e un'altra del racconto incompiuto Riccardo e Samuele.
Ma raccontiamo questa storia dall'inizio. Poco prima di morire nel 1924 di tubercolosi, a soli 40 anni, Kafka aveva lasciato tutti i suoi scritti a Max Brod, con una consegna: «Vanno bruciati senza essere letti». Come noto, l'amico contravvenne a questa volontà.
La fuga
Nel 1939, in seguito all'invasione tedesca della Cecoslovacchia, Brod fuggì nella Palestina britannica in tutta fretta, portando con sé una valigia con questi documenti. Si stabilì a Tel Aviv, dove poco dopo fu raggiunto da Ester Hoffe, che era la sua cameriera, segretaria e (forse) anche amante. Poco prima di morire, nel 1968, Brod donò parte delle carte di Kafka agli archivi israeliani; ma molte altre rimasero per circa 40 anni nella casa della Hoffe, tra i molti gatti che la donna aveva adottato. Nel 1988, il manoscritto originale de Il processo fu venduto da Ester a un'asta di Sotheby's, per un milione di sterline. In seguito, la donna fu fermata mentre cercava di lasciare il Paese con una borsa piena di scritti di Kafka. Messa alle strette, permise agli israeliani di inventariare l'intero lascito. Quando, nel 2007, la donna morì a 101 anni, le due figlie Eva Hoffe e Ruth Wiesler nascosero le carte in diverse cassette di sicurezza svizzere. E cominciò la battaglia legale. Le donne dissero di voler lasciare gli scritti all'archivio nazionale tedesco di Marbach: un vero affronto per Israele, che cominciò a sottolineare la "fede sionista" di Brod. Morte Eva e Ruth, le figlie di quest'ultima hanno continuato il procedimento, fino al verdetto di ieri. Ora la Biblioteca nazionale israeliana promette che l'archivio di Max Brod «sarà trattato come merita e reso disponibile al grande pubblico».
(Il Messaggero, 19 aprile 2019)
Israele: Pasqua ebraica, esercito e polizia in allerta
Misure straordinarie sono state adottate dalla polizia israeliana e dall'esercito in occasione della Pasqua ebraica, che avrà inizio domani sera. I valichi fra Israele e Cisgiordania, anticipano i media, saranno chiusi da stanotte. A Gerusalemme est la polizia ha rafforzato la propria presenza, in particolare nella Città Vecchia e agli accessi della Spianata delle Moschee, ossia il Monte del Tempio per gli ebrei.
La scorsa notte - riferisce il sito web ortodosso Kikar ha-Shabbat - la polizia ha fermato nei pressi della Città Vecchia un veicolo sospetto al cui interno c'erano due attivisti di un movimento messianico ebraico, due giornalisti ed alcuni capretti. Secondo la polizia i due attivisti intendevano compiere un 'sacrificio rituale' dei capretti in occasione della Pasqua, a breve distanza dalla Spianata. Un portavoce della polizia ha avvertito che non sarà permesso ad alcuno "creare provocazioni nel Monte del Tempio" e nelle sue vicinanze. "Le autorità israeliane hanno deciso di non consentire ai cristiani residenti a Gaza di raggiungere Gerusalemme per partecipare alle celebrazioni pasquali. Duecento di loro sono stati invece autorizzati a recarsi in Giordania": lo afferma in un comunicato Wadie Abu Nassar, consigliere per i media dei Capi delle Chiese cristiane in Terra Santa.
Abu Nassar aggiunge di aver appreso che il provvedimento è stato deciso da Israele per impedire che palestinesi di Gaza, una volta a Gerusalemme, preferiscano restare in Cisgiordania piuttosto che rientrare a casa. "Ma la libertà di accesso ai Luoghi Santi deve essere garantita a tutti", ha affermato Abu Nassar. "Considerazioni di sicurezza non possono prevalere sulle libertà religiose degli esseri umani".
(ANSAmed, 18 aprile 2019)
Milano - Ambra, De Sica e tanti vip in campo per la scuola ebraica
MILANO - La tradizionale cena di gala con asta "silente" per la Scuola ebraica di via Sally Mayer 4/6, zona Primaticcio, ha richiamato oltre 400 persone. Una serata organizzata dalla Fondazione Scuola che ha consentito di raccogliere 30mila euro per sviluppare i progetti dell'istituto ma soprattutto di trascorrere un momento d'allegria.
Gli ospiti d'onore? Ambra Angiolini, che ha letto brani di «Sette anni di felicità» di Etgar Keret e raccontato del suo rapporto coi figli, e Christian De Sica che ha svelato un suo «film nel cassetto»: al centro, la storia di suo padre, Vittorio de Sica, che con la scusa di girare un film riuscì a salvare ebrei, dissidenti politici e non solo chiudendosi per mesi dentro la Basilica di San Paolo nel 1944. «Siamo qui per restituire quanto la Scuola ebraica ci ha dato», le parole di Karen Nahum, presidente della fondazione.
In platea l'eurodeputata Lara Comi, il console generale di Francia Cyrille Rogeaux, il vicario prefetto di Milano Francesco Garsia, il prefetto di Lodi Marcello Cardona, il sottosegretario della Regione Lombardia Alan Rizzi, i co-presidenti della Comunità ebraica di Milano Milo Hasbani e Raffaele Besso, e non poteva mancare il rabbino capo di Milano Rav Arbib. Presentatrice, la giornalista Michela Proietti.
Fulcro della serata è stata l'asta, silente perché organizzata dalla Fondazione sul sito charitystars.com, con offerte on line. In palio lotti, anche insoliti, messi a disposizione da tanti amici. Da incontri con celebrità a biglietti per eventi esclusivi, poi maglie di campioni dello sport, gioielli, oggetti d'arte, soggiorni in resort di lusso e molto altro.
(Il Giorno - Milano, 18 aprile 2019)
Frasi antisemite a scuola, nessuna sospensione
Il caso di bullismo
Nessuna sospensione: è questo l'orientamento del consiglio di classe e dell'istituzione scolastica sul caso della scuola media ferrarese, dove tre ragazzini fra gli 11 e i 12 anni banno offeso con frasi antisemite un compagno di classe di origini ebraiche. Vista la delicatezza del caso e la fragilità dei soggetti coinvolti, ma anche considerata la loro età, la scuola ha deciso di non allontanarli. Anzi, se mai farà un lavoro con gli alunni per far loro comprendere la gravità del gesto, in modo da contrastare ogni forma di antisemitismo, così come invocato l'altro giorno dall'Ufficio scolastico. Sulla vicenda ieri è intervenuta la garante regionale dei minori, Clede Maria Garavini: «I ragazzi ora vanno accompagnati in un percorso di riflessione e di maturazione».
(Corriere di Bologna, 18 aprile 2019)
Meglio così.
Notre Dame de Paris. Alcuni particolari
Il nostro articolo di ieri su Notre Dame è stato ripreso oggi da un altro sito. Riportiamo l'articolo ivi contenuto, che contiene informazioni e considerazioni aggiuntive sull'argomento.
di Tommaso Todaro
In molti abbiamo conosciuto, pur non avendola mai visitata, Notre Dame de Paris, attraverso i libri di geografia e, soprattutto, per le meravigliose descrizioni che ne ha fatto Victor Hugo nel suo grande romanzo, stampato per la prima volta nel 1931, quando aveva circa trent'anni.
Quivi abbiamo imparato ad amare Esmeralda, a biasimare l'insano tormento amoroso del prete Claude Frollo e assorbiti i più alti sentimenti della umana pietà.
Pochi sanno invece che quel romanzo, a seguito del decreto della "Sanctae Congregationis Indicis" del 28 Luglio 1834, fu iscritto nell'indice dei libri proibiti dalla Chiesa Cattolica (index Librorum Prohibitorum), la cui ultima edizione risale al 1948, pontefice Pio XII (I Miserabili vi furono inseriti con decreto del 20 Giugno 1864).
Pochissimi, poi, sono a conoscenza del repellente messaggio antisemita contenuto nei simboli del "Portale del Giudizio Universale" della cattedrale.
A destra e a sinistra del portale, in apposite nicchie, sono scolpiti due bassorilievi che rappresentano rispettivamente, in forma personificata, la Sinagoga e la Chiesa.
«La Sinagoga ha la testa bassa, il capo scoperto e gli occhi gonfi velati da un serpente sibilante; la Chiesa ha la testa alta e porta in capo una corona regale. La Sinagoga ha nelle mani la lancia, simbolo di forza e autorità, ma la sua punta è spezzata e cade indietro, mentre a terra giace la corona regale; la Chiesa invece tiene in mano il simbolo di forza e autorità espresso dalla lancia, che è tutta intera e alla cui cima si trova una croce. Dalla mano destra della Sinagoga cadono le tavole della legge, simbolo dell'Antico Patto; nella mano destra della Chiesa si trova una coppa, simbolo del Nuovo Patto.»(1)
Una perfetta esemplificazione dell'antigiudaismo cattolico, che vuole sostituire Israele con la Chiesa, appropriandosi degli scritti sacri di Israele, delle promesse fatte a quel popolo e ponendosi come unica legittima rappresentante del monoteismo biblico.(2)
Con ciò, calpestando deliberatamente i più elementari insegnamenti del Vangelo su Israele e travisando il significato di Chiesa che, perduto il suo significato originale, non si è fatta scrupolo di inseguire la gloria (terrena), il regno (terreno) e il potere (terreno).
(1) Marcello Cicchese, "La superbia dei gentili - Alle origini dell'odio antigiudaico", ediz. The New Thing, Padova, 2012 e "Notre Dame dei molti simboli" in Notizie su Israele, 17 Aprile 2019.
(2) Rinaldo Diprose, "Effetti della Teologia della sostituzione", ediz. The New Thing, Padova, 2008.
(Il Nuovo Monitore Napoletano, 18 aprile 2019)
Osservatorio Solomon: "Antisemitismo al Torino Jazz Festival"
Gilad Atzmon ha detto: "Ebrei responsabili della persecuzione nazista"
di Andrea Doi
TORINO - Il 2 maggio sul palco del Torino Jazz Festival salirà l'artista Gilard Atzmon, jazzista israeliano naturalizzato britannico, che spesso ha esternato le sue idee antisioniste. Una presenza che fa discutere e che ha portato l'associazione Solomon-Osservatorio delle Discriminazioni e del Gruppo Sionistico Piemontese a inviare una lettera alla sindaca Chiara Appendino in cui si chiede di intervenire e non far salire sul palco Atzmon.
«Si è appreso che presso il Torino Jazz Festival che si terrà nei giorni dal 26 aprile al 5 maggio 2019 è stato invitato tra gli altri Gilard Atzmon per un concerto previsto il 2 maggio. Scopo dell'evento - scrivono dall'Osservatorio delle Discriminazioni - ospitato dal Comune di Torino, e fine stesso dell'organizzazione promotrice è la promozione della musica jazz e della sua conoscenza. Viceversa, è sufficiente scorrere su internet le caratteristiche del personaggio invitato come blogger oltre che come musicista, e le sue dichiarazioni (che in calce si riassumono con qualche esempio), per comprendere le deplorevoli finalità dei suoi interventi».
«Di fatto - continuano - si sta consentendo che uno spazio comune sia trasformato nello sconfortante palco da cui arringare sull'odio nei confronti dello Stato democratico di Israele e del popolo ebraico, ben incompatibile con i principi della vita associata che la Città di Torino promuove. Non un confronto, non il luogo del dialogo, non un laboratorio di idee per la Pace, ma l'occasione per discettare sulla discriminazione. Il tutto in spregio ed in aperto contrasto con i diritti fondamentali dell'uomo e con la lotta alla discriminazioni, così come intesi e recepiti negli ordinamenti nazionali ed internazionali».
«Più in particolare, si rilevano le seguenti incompatibilità dell'evento come promosso con lo Statuto del Comune di Torino. L'articolo 2 dello Statuto di Torino dispone che esso impronta l'esercizio delle sue funzioni e l'espletamento delle attività dei suoi Organi e degli Uffici al divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la religione, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, le disabilità, l'età o le tendenze sessuali, dovendo promuovere il dialogo, la cooperazione e la pacifica convivenza tra i popoli».
«L'evento si rivela in contrasto anche con la legislazione dell'Unione Europea, come noto, il Parlamento Europeo ha adottato la definizione operativa di antisemitismo dell'Ihra (International Holocaust Remebrance Alliance), che riconduce all'odioso fenomeno dell'antisemitismo, che purtroppo risorge in nuove forme nei tempi odierni, le affermazioni riconducibili al signor Gilard Atzmon».
«I segni dell'antisemitismo moderno purtroppo affliggono la città di Torino, in particolare la sua Università ove, sin dal 2015, centinaia di eventi antisemiti hanno avuto luogo incontrastati, formando addirittura oggetto di crediti formativi degli studenti. Da Torino e dal suo Consiglio Comunale dovrebbe partire con vigore l'invito alla Pace e alla civile convivenza, al quale aderiremmo volentieri, anziché l'odio e la diffamazione. Alla luce delle suesposte considerazioni si chiede alla sindaca di annullare l'intervento del signor Gilard Atzmon dal Torino Jazz Festival ed invitare, in suo luogo, chi promuova l'intesa tra i popoli, perché da questa Città partano la Pace, la concordia e la condanna del terrorismo al posto dell'odio e della diffamazione», conclude la missiva.
Ma quali affermazioni avrebbe sostenuto Atzmon per essere definito un antisemita dall'Osservatorio? «Non si può fare un confronto tra Israele ed il Nazismo
Dobbiamo ammettere che Israele è il male assoluto, più della Germania nazista». «Gli ebrei sono stati responsabili della loro persecuzione da parte dei nazisti; Bruciare sinagoghe è un "atto razionale"» «Gli Ebrei cercano di controllare il mondo, come previsto dai protocolli dei Savi Anziani di Sion» «Gli ebrei sono disumani e stanno distruggendo il pianeta; Gli Ebrei hanno causato il credit crunch. La storia della Shoah è discutibile ed è usata per nascondere le trame dei sionisti e neocon; Israele è peggio dei nazisti», sarebbero alcune delle sue dichiarazioni. Anche se Atzomon si è sempre detto non razzista e neppure antisemita.
Fabrizio Ricca, capogruppo della Lega in consiglio comunale a Torino e segretario torinese del Carroccio, interviene sulla vicenda: «Non possiamo che sostenere e fare nostra la lettera che l'associazione Solomon-Osservatorio sulle Discriminazioni, e del Gruppo Sionistico Piemontese, organizzazione riconosciuta dalla Comunità Ebraica di Torino, ha deciso di inviare alla sindaca Chiara Appendino in merito all'esibizione sul palco del Torino Jazz Festival di Gilad Atzmon, invitato non solo come jazzista, ma anche come blogger. L'artista si dovrà esibire in città il 2 maggio, ma probabilmente le autorità cittadine non sanno che questo musicista è noto per aver fatto più volte affermazioni contro Israele e contro gli ebrei, come il diritto a usare il terrorismo contro Israele, il definire "razionale" bruciare le sinagoghe, dichiarare Israele il male assoluto, più della Germania nazista, e che la storia della Shoah è discutibile - afferma il capogruppo della Lega Fabrizio Ricca - Troviamo contrario ai principi comuni che devono guidare le nostre istituzioni che si offra un palco per esibirsi e potenzialmente per fare propaganda nociva a personaggi che si sono espressi con affermazioni irricevibili contro uno Stato a noi amico, come è Israele, contro il suo popolo e contro i cittadini di religione ebraica. Come Lega non possiamo tollerare la presenza di Gilad Atzmon al Torino Jazz Festival e chiediamo che la sua esibizione sia annullata».
(Nuova Società, 18 aprile 2019)
Israele: nasce il nuovo IDF di Aviv Kohavi. Più tecnologia e specialisti
Cambiano gli scenari di pericolo per Israele e giocoforza cambiano le IDF. Il nuovo piano studiato dal Generale Aviv Kohavi prevede un cambio abbastanza radicale e rapido che adegui l'esercito israeliano ai nuovi pericoli.
A tre mesi dalla sua nomina a comandante delle IDF (Israel Defense Forces) il Generale Aviv Kohavi presenta il suo piano pluriennale di miglioramento delle forze di difesa israeliane.
Il piano è complesso e alcuni cambiamenti saranno implementabili da subito mentre per altri sarà necessaria l'approvazione del Governo e le coperture finanziarie.
Il piano di Aviv Kohavi viene denominato "Prontezza e cambiamento" ed è concentrato su due fattori già in parte implementati dalle IDF: un maggior utilizzo della tecnologia e della intelligence, e una maggiore cooperazione tra i vari reparti dell'esercito che possano portare a risposte rapide e altamente qualificate alle minacce che vengono portate a Israele....
(Rights Reporters, 18 aprile 2019)
Rivlin affida a Netanyahu l'incarico di formare il governo
Nel giorno in cui è stato scelto da Time come uno dei 100 personaggi più influenti al mondo, Benyamin Netanyahu ha ricevuto dal Capo dello Stato Reuven Rivlin l'incarico di formare il nuovo governo di Israele. «Sono emozionato come la prima volta», ha ammesso Netanyahu. «Mi metterò subito al lavoro per dar vita a un governo stabile e omogeneo». «È la quinta volta che Lei ottiene la fiducia del nostro caro popolo», ha invece osservato Rivlin riferendosi all'aumento dei seggi di cui il Likud disporrà alla Knesset dopo le elezioni del 9 aprile, e al sostegno espresso nei suoi confronti da 65 deputati di destra su un totale di 120. Netanyahu avrà ora a disposizione 28 giorni per formare un nuovo governo, e in caso di necessità potrà chiederne altri 14.
Compito complicato
Sulla carta il compito non appare troppo complicato. Ma il primo ostacolo da superare deriva dai contrasti sulla spinosa questione dell'arruolamento nell'esercito dei giovani studenti dei collegi rabbinici. Lo invoca il partito laico di destra Israel Beitenu di Avigdor Lieberman (5 seggi). Mentre due liste ortodosse (Shas ed Ebraismo della Torah, assieme contano 16 seggi) vogliono invece esenzioni di massa. Rinunciando all'ex ministro della Difesa Lieberman, Netanyahu resterebbe con appena 60 seggi alla Knesset. In teoria il Likud (35 seggi) potrebbe allora rivolgersi ai centristi del partito 'Blu-Biancò di Benny Gantz (35 seggi), nelle cui fila sono inclusi peraltro alcuni personaggi (come
l'ex ministro della difesa Moshe Yaalon, e due ex consiglieri del premier) non molto distanti dal Likud. Ma si tratterebbe allora di una rottura nel percorso ideologico intrapreso da Netanyahu negli ultimi anni. Ancora nel 2013 costituì un governo assieme con le liste laiche e pragmatiche di Yair Lapid (Yesh Atid) e di Tzipi Livni (Ha-Tnuà), escludendo da quell'esecutivo i due partiti ortodossi. Dal 2015 però Netanyahu ha nettamente cambiato strada. Ha stretto un'alleanza ideologica con gli ortodossi e con i nazional-religiosi vicini al movimento dei coloni. Anche il suo
partito, il Likud, ha gradualmente mutato la propria fisionomia spostandosi su posizioni più radicali. In questa campagna elettorale Netanyahu ha infierito senza pietà su Lapid. Ha invece risparmiato Livni (una delle ultime figure politiche israeliane che si battono ancora per la formula dei due Stati), essendo uscita per il momento dalla politica attiva. Netanyahu ha confermato che intende formare un governo «stabile e omogeneo», orientato a destra con quelli che usa definire «i nostri partner naturali». Le sue considerazioni, avvertono alcuni analisti, potrebbero però cambiare già a giugno quando, secondo informazioni giunte da Washington, l'amministrazione Trump dovrebbe annunciare un "Piano di pace" che include, a quanto pare, «sacrifici da parte di Israele». Parole che sono pura eresia per la destra radicale israeliana.
(Il Messaggero, 17 aprile 2019)
Il nuovo governo di Israele e le sfide che lo attendono
di Ugo Volli
I sistemi politici democratici hanno due compiti che spesso non è facile conciliare. Da un lato devono dare alla società un governo capace di fare le scelte necessarie, che nel caso di uno stato insidiato da terrorismo e nemici esterni minacciosi com'è Israele, sono particolarmente delicate. Dall'altro lato i sistemi politici devono dare rappresentanza alle diverse voci e ai diversi legittimi interessi di una società. E anche questo compito non è facile in una società così plurale sul piano culturale, religioso, politico, economico come quella israeliana. Di fatto il sistema elettorale in Israele, col proporzionale puro e la bassa soglia di sbarramento, tende a privilegiare la seconda esigenza e l'organizzazione del governo, con un forte accento sul primo ministro tende a favorire la governabilità, bilanciata però da poteri anche informali che hanno accumulato settori dello stato come la magistratura e gli alti comandi militari, che si riproducono per cooptazione e rispondono poco alle scelte dell'elettorato.
Questa difficoltà del sistema politico israeliano ha il suo punto critico nella formazione del governo. Concluse le elezioni con un risultato che è una vittoria di Netanyahu proprio perché gli attacchi concentrici contro di lui (in buona parte provenienti dai poteri indipendenti dall'elettorato) non l'hanno rovesciato, il sistema politico israeliano si trova di fronte al compito sempre faticoso della costituzione del governo. Sulla carta la situazione è molto chiara. Tolti i dieci parlamentari dei partiti arabi i quali, essendo violentemente antisionisti, si escludono da sé dalla prospettiva del Governo di Israele, la Knesset si divide fra i 65 parlamentari del centro destra, di cui 35 del Likud guidato da Netanyahu, e i 45 del centro sinistra. La maggioranza parlamentare è di 61 voti sui 120 deputati. E' chiaro che l'elettorato ha votato per un governo di centro destra guidato dal Likud e cioè da Netanyahu. Ma se si sottrae alla maggioranza uno dei partiti minori che la compongono, essa non è più in grado di esprimere un governo. Il risultato è che i partiti minori chiedono più potere della loro quota di voti e che le loro richiesta sono naturalmente in contrasto fra loro. In particolare, almeno nella prima fase della trattativa, vi è uno scontro fra Liberman, che vorrebbe di nuovo quel ministero della difesa che aveva abbandonato a novembre scorso provocando la fine della legislatura e vorrebbe di nuovo quella legge sulla leva degli studenti delle scuole religiose, che non piace affatto ai partiti religiosi. I quali, avendo avuto un buon risultato, pretendono a loro volta ministeri di peso, che sono ambiti anche da esponenti del Likud, che ha avuto un risultato ottimo e insperato.
Il risultato di queste tensioni sarà probabilmente uno stallo che durerà per tutto il mese e mezzo che le leggi consentono per la formazione del governo e una partita di poker politico spericolato. Ma questo è un gioco che a noi italiani fa molta meno impressione di quello che accade con gli anglosassoni abituati al bipartitismo. E del resto Netanyahu, ormai al quinto mandato, ha un'esperienza e un'abilità politica che rende assai probabile un superamento delle difficoltà. Anche perché i risultati delle elezioni se un partito uscisse dalla maggioranza avrebbe il potere di azzopparla, ma non di far prevalere lo schieramento opposto e il risultato di una paralisi prolungata sarebbero nuove elezioni che certamente sarebbero pericolose per tutti i vincitori.
Bisogna dunque prevedere che prima o poi si realizzerà un nuovo governo in continuità con quello uscente, il quale si troverà ad affrontare tutte le sfide che incombono su Israele: il tentativo dell'Iran di accumulare un potenziale offensivo in Siria e in Libano capace di impegnare Israele, l'ambiguità russa su questo teatro, la guerriglia diplomatica di Abbas, quella dei razzi e delle manifestazioni a Gaza di Hamas, quella dei coltelli e degli investimenti automobilistici dei giovani arabi sostenuti e incitati da entrambi. Ma soprattutto il difficile e promettente avvicinamento ai paesi sunniti non dominati dalla Fratellanza Musulmana (esclusi dunque Turchia e Qatar) e il rapporto con l'America di Trump. Il punto più delicato che il nuovo governo israeliano dovrà affrontare è questo. Sarebbe sciocco solo temporeggiare e sperare che l'iniziativa di pace di Trump si sgonfi. Non solo per la gratitudine che Israele deve a questa amministrazione, ma per la sincera amicizia che essa ha dimostrato e per il coraggio che Trump ha di pensare, come dicono gli americani "fuori dalla scatola". E' possibile che la trattativa ormai antica fra Israele e l'Autorità Palestinese conosca una svolta nei prossimi anni, magari in concomitanza con un ricambio generazionale che dovrà presto avvenire a Ramallah. Questa sarà la sfida vera del nuovo governo e di chi lo dirigerà. Se, come ha voluto chiaramente l'elettorato israeliano, il responsabile delle grandi scelte dello stato ebraico sarà ancora Netanyahu, possiamo essere sicuri che tale sfida sarà affrontata con l'intelligenza, l'apertura mentale ma anche la cura della sicurezza e del futuro di Israele che hanno caratterizzato tutta la vita politica di Netanyahu.
(Progetto Dreyfus, 16 aprile 2019)
Ungheria: il governo di Budapest dice no all'antisemitismo
BUDAPEST - Il governo ungherese esprime una ferma condanna contro ogni atto antisemita. Lo ha dichiarato il ministro della Giustizia Laszlo Trocsanyi in occasione della giornata della memoria dell'Olocausto ungherese. Il ministro ha detto che l'Olocausto ha colpito l'intera società ungherese e che la memoria è essenziale per il presente e per il futuro, affinché l'umanità non conosca più simili tragedie. Trocsanyi ha sottolineato che "non iniziò con le camere a gas", e che se ci fosse stata maggiore resistenza non sarebbe accaduto. Secondo Trocsanyi, la libertà di manifestazione del pensiero è un diritto umano fondamentale, ma la tutela della dignità umana pone limiti alla libertà di espressione. L'incitamento all'odio su internet è una piaga globale e gli ordinamenti giuridici sono mal equipaggiati nella lotta contro la disinformazione. Allo stesso tempo il Guardasigilli ungherese evidenzia che la legge da sola è insufficiente: "Non basta dire no all'odio, dobbiamo dire sì a una cultura basata sul rispetto e la conoscenza reciproca". La giornata della memoria dell'Olocausto è stata istituita in Ungheria nel 2001, in ricordo dell'isolamento degli ebrei nei ghetti, che nel paese cominciò nella primavera del 1944.
(Agenzia Nova, 17 aprile 2019)
Notre Dame dei molti simboli
di Marcello Cicchese
Lincendio di Notre Dame ha trasformato quel manufatto in un ricettacolo di simboli. Stando ai giornali, Notre Dame è simbolo di Parigi, della Francia, della chiesa francese, del cattolicesimo, del cristianesimo, dell'Europa cristiana, dell'anima cristiana, della bellezza umana, e altro ancora. Questo per quanto riguarda la gloria del passato; per quanto riguarda il presente Notre Dame è diventata per alcuni simbolo della pronta volontà europea di ricostruzione, per altri simbolo di disfacimento dell'Europa come la vediamo oggi
Naturalmente in tutto questo Dio non c'entra, e infatti non viene neppure nominato. Del resto, che c'entra Dio? E' vero che sì, si parla di cristianesimo, cattolicesimo, chiesa, ma si sa bene che si possono usare questi termini senza fare alcun riferimento a Dio. Si dirà che è contenuto nellaggettivo "cristiano"; ed è vero, perché potrebbe anche esserci qualcuno che nel dire "cristiano" pensi davvero e faccia riferimento a Dio, ma questo non è strettamente necessario per la continuazione del discorso fra di noi, uomini di varie fedi e convinzioni. Se ci limitiamo a parlare di "Europa cristiana" o "anima cristiana", tutti possiamo partecipare alla conversazione, se invece ci mettiamo dentro Dio il discorso sinceppa e non va avanti. Meglio rimanere sugli aggettivi. Del resto, lo stesso Benedetto Croce, dopo tanto pensare, era arrivato alla conclusione che "non possiamo non dirci cristiani", noi europei. E per dirci cristiani non è affatto indispensabile credere in Dio, e tanto meno avere un'idea sufficientemente chiara di quello che Lui pensa e fa e vuole da noi. Dunque, avanti con i collegamenti simbolici culturali: ce n'è per tutti.
Mi sia permesso allora di tentare un collegamento simbolico che ha l'ardire di fare esplicito riferimento a Dio.
Notre Dame è il simbolo della superbia umana che si eleva verso l'alto a maggior gloria dell'uomo e nel disinteresse per la volontà rivelata di Dio.
E' chiaro che per chi scrive questa volontà rivelata di Dio si trova nella Bibbia, e soltanto nella Bibbia.
Tra le espressioni di superbia verso Dio presenti in quell'opera umana che è la cattedrale di Notre Dame, ne vorrei mettere in rilievo una di fondamentale importanza che esprime in modo plastico il rifiuto da parte delluomo della volontà rivelata di Dio: la superbia verso il popolo che Dio si è formato per la sua azione sovrana e salvifica sulla terra: Israele.
La prima e la quarta pagina di copertina del mio libro "La superbia dei Gentili", contengono le immagini di due bassorilievi che si trovano nelle due nicchie a destra e a sinistra del "Portale del Giudizio Universale" della cattedrale di Notre Dame a Parigi. In una nicchia è rappresentata in forma personificata la Sinagoga, nellaltra la Chiesa.
La Sinagoga ha la testa bassa, il capo scoperto e gli occhi gonfi velati da un serpente sibilante; la Chiesa ha la testa alta e porta in capo una corona regale.
La Sinagoga ha nelle mani la lancia, simbolo di forza e autorità, ma la sua punta è spezzata e cade indietro, mentre a terra giace la corona regale; la Chiesa invece tiene in mano il simbolo di forza e autorità espresso dalla lancia, che è tutta intera e alla cui cima si trova una croce.
Dalla mano destra della Sinagoga cadono le tavole della legge, simbolo dell'Antico Patto; nella mano destra della Chiesa si trova una coppa, simbolo del Nuovo Patto.
Questi due bassorilievi fanno parte di quel carattere simbolico che si cerca in Notre Dame: un simbolo di superbia che si eleva contro Dio resistendo e opponendosi alla Sua volontà rivelata.
E se è così, anche l'immagine di quella guglia infuocata che crolla rovinosamente a terra fa parte del simbolo.
(Notizie su Israele, 17 aprile 2019)
Oggi l'incarico di governo a Netanyahu
Il capo dello Stato israeliano Reuven Rivlin riceverà oggi dalla commissione elettorale i risultati definitivi del voto del 9 aprile. Nel tardo pomeriggio convocherà nella sua residenza colui al quale affiderà l'incarico di formare il nuovo governo e in serata farà l'annuncio formale. Secondo i media appare ormai scontato che il capo dello Stato assegnerà l'incarico al leader del Likud Benjamin Netanyahu. Nel corso di due giorni di consultazioni è emerso infatti che al momento attuale egli gode del sostegno di 65 deputati della Knesset, mentre il suo rivale Benny Gantz ne ha solo 45. I rappresentanti di due liste arabe (10 seggi in tutto) non hanno espresso preferenze.
(Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2019)
Israele, il Paese che riesce a far fiorire i deserti
Quasi 800 milioni di dollari investiti in start up dell'agroalimentare
di Domenico Letizia
Israele è il paese delle meraviglie. Un paese che da sempre sviluppa ricerca scientifica e che sta generando importanti risultati dal punto di vista dello sviluppo biotecnologico in ambito agricolo. Gli investimenti destinati alle start up israeliane del settore agroalimentare, tra il 2014 e il 2018, hanno sfiorato quota 800 milioni di dollari.
L'anno chiave per gli investimenti nello stato è stato il 2017 con 220 milioni di dollari, scesi a 174 nel 2018. Nel 2017 e nel 2018 il settore che ha catalizzato più fondi è stato quello dell'agricoltura tecnologica, con software per il supporto gestionale delle fattorie, sensori IoT per il monitoraggio delle colture ed il rilevamento dei parassiti e tecnologie di efficienza idrica. Israele fa affidamento sul supporto di investitori stranieri, alcuni dei principali finanziatori provengono da oltreoceano.
Il coinvolgimento di capitale estero è molto importante, in quanto tutte le startup israeliane hanno ambizioni internazionali, tanto che alcune di loro hanno addirittura rinunciato a stabilirsi nel paese per non essere ancorati ad una dimensione locale. Il settore delle agro-tecnologie, caratterizzato da ricerca intensiva e sviluppo di sistemi innovativi è in crescita, principalmente, grazie alla necessità di affrontare un clima avverso e la scarsità di terreni e acqua che da sempre caratterizza la geografia dello stato.
I principali settori industriali sono: fertilizzanti, pesticidi. irrigazione, sementi e multimateriali, macchinari, prodotti veterinari e additivi alimentari, plastica, animali, consulenza in campo agricolo.
Una meraviglia confermata anche dalle relazioni delle missioni parlamentari dei nostri deputati. Nel 2017, l'onorevole Nicola Ciracì, con l'Associazione interparlamentare di Amicizia Italia-Israele, visitò il paese e il Kibbutz di Sde Boker, ubicato nel deserto.
"Abbiamo visitato il Kibbutz di Sde Boker, una sede iper tecnologica con obiettivo quello di far fiorire il deserto. Il Kibbutz di Sde Boker rappresenta la realizzazione del sogno di David Ben Gurion, il grande statista israeliano, primo premier della nazione, che amava la distesa desertica del Negev e volle vederla in un'esplosione di fioriture. Il kibbutz, costruito tra le montagne del Negev, venne fondato nel 1952.
Il Negev oggi è una regione rigogliosa, disseminata da comunità e aziende agricole. Sde Boker possiede diverse fonti di reddito: vigneti ed un'enoteca, ristoranti, una locanda, una galleria d'arte, oltre agli innumerevoli prodotti dell'agricoltura. Grazie al riuso delle acque di scarico umano e grazie alla desalinizzazione ad osmosi inversa, il deserto si ritira, dando spazio a coltivazioni e zone alberate.
Molte delle tecnologie più innovative e promettenti del mondo, escono dalle università e dagli ospedali israeliani", dichiarò l'onorevole Ciracì. Anche l'Ice-Agenzia nel corso degli ultimi anni ha confermato tali potenzialità e le opportunità di cooperazione con il nostro paese. La finalità è quella di promuovere la collaborazione industriale e accordi di partenariato industriale e tecnologico con controparti israeliane nei settori della medicina, biotecnologie, agricoltura e scienze dell'alimentazione, applicazioni dell'informatica nella formazione e nella ricerca scientifica, ambiente, trattamento delle acque, nuove fonti di energia, innovazioni dei processi produttivi, tecnologie dell'informazione, spazio e osservazioni della terra.
Con un aumento costante del numero di brevetti depositati e il numero di startup in questo settore, la biotecnologia israeliana sta cavalcando la cresta dell'onda.
Molte idee biotecnologiche israeliane arrivano al successo e l'Italia non può perdere questa occasione anche in considerazione delle emergenze ambientali che da sempre caratterizzano la nostra penisola.
(Corriere Nazionale, 17 aprile 2019)
Antisemiti in carriera
Dal Tribunale della razza nel Ventennio alla Consulta dell'Italia repubblicana. Ritrovate le carte che li inchiodano ai loro trascorsi fascisti. Oggi a Roma la presentazione.
Tanti nel dopoguerra poterono minimizzare le loro colpe e continuare indisturbati
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Anche i dieci firmatari del Manifesto razzista, medici e antropologi, non ebbero conseguenze
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di Ariela Piattelli
ROMA - Nel fascicolo di Gaetano Azzariti, il presidente del Tribunale della razza poi messo a capo della Corte Costituzionale nell'Italia repubblicana, non c'è alcuna traccia del suo operato durante il fascismo. Tutto si ferma al '31 per poi riprendere nel '49. Nell'Archivio Centrale dello Stato c'è però, a fargli da controcanto, un fascicolo di procedimento di epurazione che raccoglie varie denunce, tra cui una richiesta di messa a riposo, visti i trascorsi fascisti di Azzariti, dove una mano ignota appunta «non lo ritengo opportuno». E fu così che il giudice ebbe una luminosa carriera dopo la guerra in un'Italia che aveva in gran parte rimosso operosamente, come nel fascicolo, le colpe e le vergogne del Ventennio.
Su Azzariti, che tentò sempre di minimizzare il suo passato, fino a oggi c'erano tante prove indiziarie, ma mancava la «pistola fumante». La prova regina l'hanno ritrovata i funzionari dell'Archivio centrale dello Stato, ed è il decreto di costituzione del Tribunale della razza (10 settembre 1939) in cui Azzariti viene nominato presidente. Il ritrovamento del documento si affianca alla vasta missione di recupero lanciata dalla Direzione generale Archivi nel 2018, che ha riportato alla luce centinaia di carte inedite del fascismo e della persecuzione antisemita. Oggi il risultato dell'operazione, condotta dai Documents Men delle Soprintendenze archivistiche e bibliografiche con l'aiuto del Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, viene presentato a Roma in una giornata di studi dal titolo «Carte di razza, di governo e di coraggio civile».
«C'è voluto un anno di lavoro, abbiamo rinvenuto documenti e archivi che costituiscono un importante contributo per lo studio della storia nazionale». spiega Micaela Procaccia, sovrintendente dell'Archivio centrale dello Stato. «Il decreto di nomina di Azzariti è stato ritrovato alla Corte dei Conti. Non solo lui, ma tutti i componenti del Tribunale della razza diventarono nell'Italia repubblicana giudici della Corte costituzionale. Questa vicenda ci dice quanta continuità ci sia stata tra fascismo e i primi anni della Repubblica. Nell'Italia repubblicana ci si prese la briga di salvare le anime di queste persone, che avevano contraddetto i principi fondamentali della nostra Costituzione».
Furono molti i personaggi che minimizzarono o giustificarono il loro ruolo nella politica razzista del regime, e che nel dopoguerra continuarono indisturbati, senza essere epurati, la loro attività: i dieci firmatari del Manifesto della razza, medici e antropologi, in gran parte dopo la guerra continuarono le loro carriere, e giustificarono, ognuno a suo modo, di aver firmato perché costretti da Mussolini: «Il punto è studiare e capire quanto aderirono alle posizioni razziste del regime», continua Procaccia. E un importante recupero delle Soprintendenze, che aiuta a comprendere la verità, è quello di cinque archivi dei firmatari: tra questi quello dell'antropologo Lidio Cipriani.
«Nei 46 quaderni di riflessioni "scientifiche" che iniziano nel 1913 emerge che Cipriani era un razzista convinto»' spiega Claudia Borgia della Soprintendenza archivistica della Toscana, che sta studiando il caso presso il Museo Nazionale di Antropologia di Firenze dove è conservato l'archivio. «Anche nel testo di una lezione inaugurale dell'anno accademico del '38 si richiama esplicitamente al razzismo di regime». Di Cipriani, che non subì alcuna epurazione e continuò a fare spedizioni e lavorare come antropologo sino alla morte nel '62, si è ritrovato il manoscritto di un articolo uscito nell'agosto del '38 intitolato Il problema semitico: pagine intrise di feroce antisemitismo.
Tra i faldoni oggi allo studio degli storici c'è anche l'archivio di Guido Buffarini Guidi, sottosegretario all'Interno dal 1933 al 1943 e poi ministro dell'Interno nella Repubblica Sociale Italiana, per la quale emanò l'ordine che disponeva l'intemamento degli ebrei in campi di concentramento provinciali: ci sono i carteggi sulle leggi razziali, sulle dure modifiche peggiorative del'44, una lettera di Pietro Tacchi Venturi, ambasciatore informale del Vaticano presso Mussolini (che dopo la caduta del fascismo suggerì di mantenere in parte le leggi razziali) che si appella al ministero dell'Interno per chiedere che dalla legislazione vengano esentati i matrimoni misti. Ci sono anche gli appunti al duce di Giovanni Preziosi, famigerato capo dell'Ispettorato razza della Repubblica di Salò, che lamenta di non aver ricevuto né saputo nulla degli archivi sequestrati alle comunità ebraiche e ne sottolinea il «valore storico».
Ricomporre il ritratto dell'Italia fascista è compito assai arduo per i Documents Men: durante la guerra, nel governo ricostituito da Mussolini a Salò, furono portate le carte dei ministeri, ma queste subirono varie dispersioni. Tra i documenti, adesso rinvenuti, erano anche 110 fotografie, con relative schede, provenienti dall'Ufficio razza del ministero della Cultura popolare: a essere schedati sono i «tipi della razza italiana» in cui anche gli «ariani» venivano classificati. Le buste ritrovate, che finirono in mano a un antiquario, rintracciate in vendita sul web e protagoniste di varie vicende giudiziarie, inchiodano il regime fascista sul razzismo biologico. «La cosa interessante», osserva Procaccia, «è che il razzismo biologico fascista è a tutto campo, anche per la cosiddetta razza ariana. Questo ritrovamento rafforza l'idea che ci fosse una cultura di razzismo biologico generalizzata, sulla quale le leggi razziali hanno attecchito».
Oltre agli «scheletri nell'armadio» dell'Italia razzista, nel silenzio dell'archivio ci sono gli esempi di resistenza civile. E la storia di Alfonso Gallo, fondatore e direttore dell'Istituto di patologia del libro, che nella Roma occupata diede filo da torcere ai tedeschi. Gallo, che inventò il concetto di restauro del libro, ricevette più visite dalle SS, stupite dal suo eccellente lavoro su codici tedeschi. «Quando un maggiore delle SS si presenta e gli notifica il sequestro di tutti gli strumenti, tenta anche sotto minaccia di evitare la requisizione», spiega Maria Letizia Sebastiani, direttore dell'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, «ma i suoi tentativi disperati si riveleranno vani. I tedeschi volevano distruggere l'impianto dell'Istituto per costituirne uno in Germania: a Gallo proposero anche di dirigerlo, ma lui, con coraggio, rifiutò».
(La Stampa, 17 aprile 2019)
Il Pd dà il patrocinio al festival del cinema anti-Israele
Forza Italia contro il Municipio 1: «Visione di parte, delibera affrettata»
L'evento
La giunta di municipio 1 ha concesso il patrocinio allo "Spinoff milanese di Al Ard Doc Film Festival", che si svolgerà dal 2 al 29 maggio presso il CAM Garibaldi.
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Polemiche
Filippo Jarach, consigliere di FI del Municipio 1 - Delibera affrettata, l'associazione organizzatrice è schierata, proietteranno materiale di parte»
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di Miriam Romano
MILANO - La giunta del Municipio 1, guidata dal Pd, ha dato il via libera per concedere il patrocinio alla terza edizione dello "Spinoff milanese di Al Ard Doc Film Festival", il Festival Internazionale del Cinema Documentario Palestinese ed Arabo che si svolgerà dal 2 al 29 maggio al CAM Garibaldi. L'iniziativa, in particolare, riguarda la proiezione di film e documentari che hanno gareggiato nella XVI edizione del festival palestinese che si è tenuto a Cagliari nel mese di marzo 2019. A Milano verranno presentati, nelle serate in programma, i documentari di due tra i registi vincitori della gara, con ingresso gratuito.
La scelta però del Municipio 1 di patrocinare l'evento viene contestata dall'opposizione, che cita i precedenti della manifestazione. L'associazione Vento di Terra Onlus, organizzatrice e promotrice dell'evento, già nel 2016, quando anche allora il festival era stato patrocinato dal Comune, era stata già al centro di forti polemiche. La Onlus, infatti, si caratterizzerebbe per una spiccata matrice "anti-Israele", date le numerose denunce, perpetrate attraverso filmati, video e spot, delle azioni israeliane. Una rappresentazione del conflitto arabo-israeliano, dunque, di parte". La concessione del patrocinio per questo motivo non è andata giù a Filippo Jarach, capogruppo di Forza Italia del Municipio 1, che ha criticato la scelta della giunta del consiglio di zona. «Credo si tratti di una delibera affrettata, presa senza pensarci molto», commenta, «l'associazione Vento di Terra Onlus è un' organizzazione schierata e lo ha dimostrato già tre anni fa, quando hanno proiettato immagini e video non concordate e di parte». Proprio per questo infatti, durante la scorsa edizione del festival erano scaturite le polemiche. Alcuni interventi dei presentatori erano stati pure giudicati «troppo faziosi e di parte sulla questione palestinese», spiega il forzista. Secondo Jarach il fulcro dell'iniziativa non sarebbe tanto la cultura palestinese come viene presentato dalla delibera, ma la denuncia dell'acceso conflitto, descritto solo dalla prospettiva del mondo arabo senza il contraltare. «Lo stesso discorso l'avrei fatto», continua, «se lo Stato di Israele avesse proposto un'iniziativa del genere. Se si parla di cultura va bene, ma su questi temi bisogna essere super partes, altrimenti non va bene».
Il Municipio 1, invece, da parte sua riafferma la legittimità della delibera. «Si tratta di un'iniziativa culturale», spiega Fabio Arrigoni, presidente del consiglio di zona, «quando c'è stato chiesto dallo Stato di Israele il patrocinio per la settimana della cultura di Israele, abbiamo accordato anche quello. Quando si parla di iniziative culturali non guardiamo al colore politico o alle fazioni, ma valutiamo la validità dell'evento».
(Libero - Milano, 17 aprile 2019)
Undicenne ebreo aggredito a scuola. "Riapriremo Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni"
di Sarah Buono
Preso per il collo da tre compagni undicenni e insultato perché ebreo nella città che ospita il Museo nazionale della Shoah. "Quando saremo grandi faremo riaprire Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni!" ecco la frase urlata in faccia a un bambino nella palestra di una scuola. A pochi minuti di macchina da Ferrara e da quell'indimenticabile campo da tennis ritratto da Giorgio Bassani ne il Giardino dei Finzi Contini. Il piccolo è tornato a casa, stanco e afflitto da quell'ennesimo atto di bullismo e ha raccontato tutto alla madre.
Dopo l'intervento della preside i ragazzi si sono prontamente scusati e adesso sono in attesa delle decisioni dell'ufficio scolastico regionale attivato dal ministro dell'lstruzione Marco Bussetti:
"La scuola è e deve essere luogo di solidarietà, di inclusione, di accoglienza. Non sono tollerabili atti di antisemitismo e di razzismo, ho chiesto di approfondire affinché non si ripeta".
La famiglia di uno degli aggressori è rimasta sconvolta perché il figlio è sempre stato educato ai valori dell'antifascismo. Per il rabbino capo di Ferrara Luciano Meir Caro l'episodio è da collocare "in un ambito di ignoranza di due bambini che litigano, senza un retroterreno, insulti gravi" sottolinea, perché "riflettono" quello che i più piccoli "respirano negli stadi, nei manifesti per strada, e non si rendono conto della gravità" di certe affermazioni. Il caso è diventato immediatamente politico e Matteo Salvini, ministro dell'Interno ha annunciato il suo arrivo a breve in città: "Vorrei incontrare il ragazzo e la sua famiglia, anche gli insegnanti che certamente riusciranno a evitare simili episodi di violenza in futuro". I carabinieri di Ferrara informeranno la Procura per i minorenni "per gli aspetti di competenza".
(il Fatto Quotidiano, 17 aprile 2019)
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Emanuele Fiano: "Mi chiedo dove un ragazzino abbia imparato certe parole"
di Ilaria Venturi
BOLOGNA - «Non abbiamo estirpato il verme» commenta Emanuele Fiano, architetto e parlamentare pd. Suo padre Nedo fu l'unico sopravvissuto ad Auschwitz della sua famiglia. L'insulto antisemita in una media di Ferrara ha riaperto una ferita e una consapevolezza: «Non abbiamo fatto abbastanza».
- Cosa non ha funzionato?
«Lo sconforto che ho provato è dovuto al fatto che questo caso è diverso dall'antisemitismo intentato da adulti. È più grave, vuol dire che la banalizzazione del male è penetrata nelle menti più indifese».
- La scuola è intervenuta, sono arrivate le scuse, uno degli aggressori è stato educato ai valori dell'antifascismo.
«Allora vuol dire che questi ragazzi imparano dal web. E il problema non sono le scuse, ma capire da dove è nata questa malapianta. E trasformare il male di questo episodio in bene».
- Anche lei s'interroga su come sia possibile che un ragazzino trovi certe parole?
«Un problema è che la banalizzazione del male è in corso da anni, in Rete girano senza filtro offese, barzellette sulla Shoah. Prendiamo la parola lager: è usata per qualsiasi cosa, ma era una macchina di sterminio. Bisognerebbe stare più attenti e che tutti ci sentissimo narratori di ciò che è stato».
- Anche certa politica soffia sul fuoco, non crede?
«Questi episodi di cronaca non vanno mescolati al clima politico. Però la politica non deve mai oltrepassare i limiti sull'uso della storia e il rispetto delle persone. Una buona occasione per farlo è il prossimo 25 Aprile».
- Suo padre cosa avrebbe detto?
«Avrebbe pianto. E poi chiesto di incontrare quel ragazzo per raccontargli la sua storia».
(la Repubblica, 17 aprile 2019)
Netanyahu ha la maggioranza per formare il governo
di Salvatore Falco
Benjamin Netanyahu ha trovato la maggioranza per dare vita al suo quinto governo.
Sarà alla guida di una coalizione di cinque partiti di destra e ultraortodossi per un totale di 65 seggi sui 120 della Knesset.
Il Presidente di Israele, Reuven Rivlin, ha già chiuso le consultazioni, aprendo la strada al record di longevità politica del premier sempre in carica negli ultimi dieci anni, nonostante le accuse di corruzione.
L'ultimo ostacolo alla formazione della maggioranza era rappresentato dal partito dell'ex ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, che ha cinque seggi. Lieberman è in conflitto con i partiti ultraortodossi perché chiede la leva obbligatoria per i giovani religiosi,
Una volta nominato, Netanyahu avrà 28 giorni di tempo per formare il nuovo governo, prorogabili di altre due settimane.
(euronews, 16 aprile 2019)
Il partito israeliano Giudaismo unito minaccia nuove elezioni
Se gli haredi non saranno esentati dal servizio militare
GERUSALEMME - Il partito israeliano Giudaismo unito della Torah ha minacciato oggi di andare a nuove elezioni nel caso in cui dovesse passare il disegno di legge sulla leva per gli haredi (gli studenti di ebraismo). La posizione del partito, che ha ottenuto sette seggi alle elezioni dello scorso 9 aprile, giunge dopo che il partito secolare di destra Yisrael Beytenu dell'ex ministro della Difesa Avigdor Liberman ha fatto sapere che il suo ingresso nella coalizione guidata dal Likud è subordinata al passaggio del disegno di legge. Il partito ultra-ortodosso ribadisce che si opporrà affinché nessuno studente yeshiva sia costretto a svolgere il servizio militare.
(Agenzia Nova, 17 aprile 2019)
Perché gli israeliani hanno rieletto Netanyahu
Alcune considerazioni in vista del reincarico del primo ministro israeliano
A quanto pare l'attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sarà nuovamente incaricato dal presidente Reuven Rivlin di formare il prossimo governo. Come mai ha vinto di nuovo? Per dirla con le parole dell'ex ambasciatore d'Israele negli Usa Michael Oren, "la nostra economia è eccellente, le nostre relazioni con l'estero non sono mai state migliori e siamo relativamente al sicuro. Noi lo conosciamo, il mondo lo conosce, persino i nostri nemici lo conoscono". A differenza di molti elettori americani ed europei, la maggior parte degli israeliani ha scelto la sicurezza e la stabilità rispetto all'ignoto....
(israele.net, 16 aprile 2019)
Il vuoto della generazione zero nei selfie sorridenti ad Auschwitz
L'olocausto non è una foto ricordo
di Tiziana Della Rocca
Il museo di Auschwitz ha lanciato un appello ai visitatori per dire basta ai selfie ridenti e alle foto da equilibristi sui binari.
Lo ha fatto perché il numero di ragazzi che se li scattano usando lo sfondo dei campi di sterminio sta aumentando. Perché questi ragazzi mostrano quest'immagine di sé, così sconnessa con il reale dei campi che li circonda? Un'immagine di sé priva di pensiero? Ci vogliono dire, così, per sfida, che l'educazione, la scuola, la famiglia con loro hanno fallito totalmente? Che sono delle zucche vuote e contenti di esserlo? Allora come possono essere contenti?
No, non lo sono, lo fingono. Fingerlo è un'arroganza punita con l'angoscia. "Ma sono passati più di sessant'anni dalla fine del nazismo", protestate, "c'è il diritto all'oblio!". No, carini, per tanti e soprattutto per voi non è passato proprio niente. Un autoscatto sorridente davanti ai campi della morte è un modo per minimizzarli, riducendoli a un dettaglio. Gli antisemiti, i negazionisti, fanno orrore, ma anche chi ostenta questo genere d'indifferenza ottusa, nasconde qualcosa di purulento.
Auschwitz, che sta in Polonia, è la vera capitale d'Europa, anzi il cuore del mondo. Solo lì possiamo davvero meditare, pregare, sperare, ripartire.
Certo, alcuni liceali vanno in visita ai campi di sterminio senza che la visita li modifichi, provano a commuoversi ma non ci riescono. E dopo s'interrogano sul perché quel luogo non abbia suscitato in loro qualcosa, eppure gli riconoscono lo statuto di realtà e iniziano a pensarci su. Ed è già qualcosa. Nessun freno inibitorio, nessun contegno invece, per chi sente il bisogno dell'autoscatto così impellente da superare ogni confine, persino quello invalicabile di Auschwitz.
Come dobbiamo comportarci con loro? Mostrare forse un po' di compassione per come si riducono? Hanno ricevuto forse una cattiva educazione? E' colpa di genitori irresponsabili? O sono affetti da disturbi psichiatrici? Troppo facile, da una simile vergogna non c'è via di fuga. Sono responsabili della bruttura che quel gesto rappresenta, della ferita inferta.
Certo, fra di loro ci sarà sicuramente qualcuno di maligno, che compie il gesto con l'intenzione di profanare. Vorrebbe sopprimere, cancellare la memoria del mondo concentrazionario affinché non ne resti traccia. È la manifestazione più odiosa del fondamentalismo. Ma per la maggior parte di loro quel comportamento certifica il vuoto che li abita. Un mondo interiore composto da cose frivole e inconsistenti, che si sgretolano in polvere e con cui è impossibile costruire nulla. Figuriamoci se possono allora intendere la distruzione della civiltà per opera dei nazisti. Ragazzi che vogliono a tutti i costi coltivare il miraggio di una vita facile e spensierata letteralmente: senza pensiero e per raggiungere questo obbiettivo eliminano tutto che gli è di intralcio, che avvertono come tale, e così eliminano parti di realtà, immiserendosi.
La dimensione autoreferenziale di questo "foraggiamento narcisistico" di un soggetto in realtà tristemente vuoto è già tutto contenuto nella parola "autoscatto". Si può fotografare il mondo, prendere persino se stessi come oggetto, purché lo scopo sia di creare interesse, di suscitare qualcosa. Ma in questo caso il mondo serve come sfondo per "un'iniezione narcisistica" a un soggetto che sente di essere insignificante. Sotto la maschera non c'è un volto, ma il bisogno di apparire in una posa per occupare un posto a causa della propria inconsistenza. Esibiscono se stessi senza alcuna cura, togliendo significato all'esibizione. Si annullano tramutandosi in ombre senza vita proprio davanti ai campi della morte.
(Quotidiano del Sud, 16 aprile 2019)
No di Gantz a un esecutivo di unità con Netanyahu
di Giordano Stabile
GERUSALEMME - Il presidente israeliano Reuven Rivlin prova a lanciare un governo di unità nazionale ma ottiene per ora il no del principale oppositore di Benjamin Netanyahu, il generale Benny Gantz. Il capo dello Stato ebraico ha cominciato ieri le sue consultazioni per la formazione del nuovo governo. Il voto di martedì scorso ha dato una solida maggioranza, 64 seggi su 120, al blocco di destra guidato dal Likud, ma Rivlin ritiene più prudente una grande coalizione. Incombono le indagini per corruzione nei confronti del premier, che rischia di passare più di un giorno a settimana in tribunale per difendersi, se l'incriminazione sarà confermata. Ma incombe soprattutto il "piano di pace" americano, che potrebbe mettere in crisi la coalizione, in quanto i partiti religiosi sono contrari a concessioni ai palestinesi.
Rivlin ha chiesto alla delegazione del partito Blu-Bianco, il partito di Gantz, se "per il supremo interesse del Paese" è pronto ad accettare la formula di un governo "di concordia" con il Likud. Il rappresentate di Blu-Bianco, l'ex capo di Stato maggiore Gaby Ashkenazy, ha replicato che è inopportuno riaffidare l'incarico a Netanyahu. E' una posizione di partenza che potrebbe evolvere, ma intanto dà la possibilità a Netanyahu di andare avanti con la sua proposta di maggioranza in linea con quella attuale. In una prima fase è la soluzione scontata e ieri anche la cancelliera Angela Merkel si è congratulata con il primo ministro per la vittoria del 9 aprile. La Merkel ha però subito ribadito l'importanza di raggiungere con i palestinesi un accordo di pace "con due Stati".
Ed è questo il punto più problematico. Ieri il Washington Post ha pubblicato nuove indiscrezioni sul piano elaborato dal consigliere alla Casa Bianca Jared Kushner, ormai nella fase finale. Confermano quelle che circolavano da tempo nelle capitali arabe coinvolte. E cioè che la proposta di Kushner si discosta molto da quello saudita del 2002 e non prevede più uno Stato indipendente per i palestinesi. In compenso ci sarà un gigantesco piano di investimenti, finanziato dal Golfo per almeno 30 miliardi di dollari, per rilanciare l'economia nei futuri territori autonomi, e nelle aree confinanti di Egitto e Giordania.
L'Amministrazione Trump avrebbe anche chiesto a Libano, Siria, Giordania di naturalizzare milioni di rifugiati palestinesi, per risolvere il problema del ritorno dei profughi e anche qui ci sarebbero compensazioni in denaro. E' una proposta che difficilmente troverà l'assenso del presidente palestinese Abu Mazen. Ieri l'83enne raiss ha dato il via libera a un nuovo governo, guidato da Mohammad Shtayyeh, senza più la partecipazione di Hamas. I palestinesi, più divisi che mai, aspettano con ansia quello che deciderà l'America.
(La Stampa, 16 aprile 2019)
Perche la sinistra perde, da Israele al Brasile
Lettera al Corriere della Sera. Risponde Aldo Cazzullo.
Caro Aldo,
a lei, che ha seguito per il Corriere le elezioni in Israele, non sarà di sicuro sfuggito il crollo dei laburisti, il cui partito ha contribuito alla fondazione di quella gloriosa democrazia. Anche quel partito non è riuscito a evitare la maledizione che si sta accanendo su quasi tutti i partiti della sinistra. Se continua il trend negativo, non vedremo più sulle schede elettorali gli storici simboli del socialismo come il sole nascente o la rosa nel pugno. Non pensa che ci sarebbe un grosso vuoto e, soprattutto, tanta tristezza?
Vincenzo Covelli
Caro Vincenzo,
Il crollo del socialismo è evidente in tutto il mondo. In Israele lo è in modo particolare, perché il partito laburista ha di fatto fondato la democrazia israeliana e lo Stato, e l'ha governato per i primi trent'anni della sua storia, con personaggi del calibro di David Ben Gurion, Levi Eshkol, Golda Meir, Itzhak Rabin (e poi Shimon Peres, di nuovo Rabin, quindi Ehud Barak). Determinanti sono stati il fallimento del processo di pace con i palestinesi, cui Rabin, Peres, Barak avevano sinceramente creduto - e che Rabin pagò con la vita -, e la liberalizzazione dell'economia, che in Israele ha dato risultati eccellenti. Ci sono poi altre cause che riguardano un po' tutte le sinistre mondiali. La principale è aver abbracciato la globalizzazione senza rendersi conto che avrebbe impoverito i ceti medio-bassi, vale a dire la base senza cui la sinistra non può pensare di vincere le elezioni. La compressione dei salari, il calo del potere d'acquisto, la precarietà e la distruzione del lavoro dipendente, la guerra tra poveri innescata dall'immigrazione dal Sud del mondo hanno fatto il resto.
La sinistra è andata al governo in mezza Europa alla fine degli anni 90: Prodi - e poi D'Alema e Amato - a Roma, Blair a Londra, Jospin a Parigi, Schröder a Berlino. All'evidenza, gli elettori non ne sono stati soddisfatti. Schröder e Blair non hanno lavorato male, ma il fatto che abbiano dedicato il resto della loro vita a fare soldi - l'ex Cancelliere come dipendente di Putin - non ha giovato alla causa. La stagione della sinistra al potere in America Latina è finita non solo simbolicamente con Lula in galera. Lo spostamento su posizioni radicali dei democratici americani sembra andare in controtendenza. Ma rischia di regalare la rielezione a Trump.
(Corriere della Sera, 16 aprile 2019)
In Israele hanno vinto due destre
Il potere è passato al Likud con l'aiuto della destra iperreligiosa. Anche il laburismo israeliano (che ha creato Israele) ha fatto la fine degli altri laburismi.
di Gianfranco Morra
Da trent'anni le elezioni politiche dei principali paesi europei ci mostrano la crisi dei partiti socialisti, che sempre più perdono importanza, quando non scompaiono del tutto. Anche da noi: caduto il Psi di Bettino Craxi, Il Pci, divenuto moderato e democratico, ha cercato di prenderne il posto, ma l'anno scorso il Pd ha perso cinque milioni di voti, passando dal 25,43 al 18,46.
In Germania i socialisti, che con Helmut Schmidt avevano raggiunto anche il 40 %, sono al 20,5; in Francia sono sprofondati al 7; nei Paesi Bassi al 5,70, nella Repubblica Ceca al 7,28, in Grecia al 6,28. Eppure il partito socialista fu nella storia il primo di massa, nato rivoluzionario e divenuto poi moderato e riformista (socialdemocrazia). In molti paesi era l'alternativa, in un sistema bipolare, ai partiti popolari di centrodestra. Di certo il partito socialista ha fatto la storia.
La ragione fondamentale di questa crisi del socialismo è vista nel mutamento radicale del lavoro, da cui traeva il suo principale elettorato, che divenne sempre più ridotto con la diminuzione degli operai meccanici e la loro trasformazione in tecnici e informatici (in Germania oggi i lavoratori tradizionali si sono ridotti a un quarto della popolazione attiva). Renzi e Macron l'avevano capito la necessità di aprirsi ad altre categorie lavorative, ma solo il secondo c'è riuscito.
Questa tendenza europea alla crisi del socialismo ha raggiunto anche Israele. Nelle ultime elezioni si fronteggiavano due partiti, la destra estrema del Likud e quella moderata di Benny Gantz (nel cui programma c'era il rafforzamento degli insediamenti israeliani e la difesa delle alture del Golan). Un duello, dunque, tra due destre, che gli elettori hanno premiate entrambe.
Il laburismo, che aveva vinto le elezioni tra il 1992 e il 1999, incorse dopo in una crisi e perdita di seggi. Ancora nel 2005 ne aveva conseguiti 18. Che nelle elezioni dell'altra settimana sono divenuti 7. Di certo il peggiore risultato di sempre, come in genere per tutta la sinistra, visto che il partito Meretz, laico e sionista, ha avuto 5 seggi.
E' amaro pensare che sta scomparendo quel partito, che più di ogni altro ha fatto per creare lo Stato di Israele. Già negli anni della immigrazione degli ebrei in Palestina nacque (1930) questo partito socialdemocratico (Mapai). Leader ne fu David Ben Gurion, destinato a divenire la guida dell'intero paese. I laburisti con lui ebbero grandi consensi, soprattutto dopo la vittoria della guerra contro gli arabi del 1948.
Anche il periodo delle guerre difficili tra il 1956 e il 1973 fu dominato da un uomo del partito laburista, il generale Moshe Dayan. Grande vincitore della seconda guerra contro gli arabi, della guerra dei sei giorni e di quella del kippur. Intanto i laburisti mantenevano la presidenza del governo. Con Golda Meir, prima donna a guidare il governo di Israele e terza in Europa. Lady di ferro, come la collega Margaret Thatcher, affrontò momenti difficili: contrasti con Egitto e Siria, massacro degli atleti di Israele alle Olimpiadi di Monaco. Più tardi con Simon Perez ebbero nel 2017 la presidenza della Repubblica. La presenza dei laburisti ai governi di Israele si concluse nella tragedia. Yitzhak Rabin, il primo politico nato in Palestina, eletto premier, riuscì a stipulare gli accordi di Pace a Oslo, patrocinati dal presidente americano Clinton: Israele riconosceva l'Olp di Arafat e l'Olp il diritto di Israele ad esistere. La sua politica di pace scatenò gli ultras nazionalisti di Israele, uno dei quali, nel 2005, lo uccise.
Del resto l'accordo con Arafat segnò l'inizio della perdita di consensi del partito laburista. La sinistra israeliana ha sempre sperato in una soluzione, che già i primi migranti ebrei (come il grande filosofo Martin Buber) avevano enunciato: uno Stato binazionale arabo-israelitico. Si trattava, purtroppo, di una utopia, visto che gli arabi non lo volevano e insistevano nella cancellazione di Israele dal medio oriente. Anche il successore di Rabin, Ehud Barak, tentò questa strada, ritirandosi dal Libano meridionale.
Il popolo di Israele non era d'accordo e a partire dal 2009 il potere passò al leader del Likud, Benjamin Netanjahu, con l'appoggio dei partiti religiosi di destra, il cui elettorato aumenta per la loro prolificità. Con una serie di vittorie elettorali, l'ultima l'altro giorno. Che corrisponde col peggiore disastro dei laburisti in tutta la loro storia. Tutto finisce, in questo mondo, e gli elettori hanno detto addio a quel glorioso partito, che più di ogni altro ha contribuito a costruire, ingrandire e difendere lo Stato di Israele. Anche il laburismo israeliano sta facendo la fine di tanti altri partiti socialisti europei. Sic transit gloria mundi.
(ItaliaOggi, 16 aprile 2019)
Senato, incontro tra M5S e chi esalta i terroristi palestinesi
Il Movimento 5 Stelle e chi esalta i terroristi palestinesi. Un incontro che è andato in scena al Senato, dove l'Ufficio Comunicazione del gruppo M5S ha incontrato la delegazione "Parliamentarians for Jerusalem", formata da tre rappresentanti dell'Associazione dei Palestinesi in Italia e da altrettanti parlamentari arabi (Algeria, Yemen e Marocco).
A fare gli omaggi di Casa Italia è stato Gianluca Ferrara, capogruppo nella Commissione Esteri, che ha dichiarato:
"Oggi abbiamo incontrato in Senato la delegazione Parliamentarians for Jerusalem che in questi giorni è a Roma, un'associazione di parlamentari, arabi ma non solo, che sostiene i diritti dei palestinesi. La delegazione era composta dal presidente Hamid al-Ahmar (deputato dello Yemen), da Bachir Djarallah (deputato algerino), Ahmed Boukhobza (deputato del Marocco) e tre rappresentanti dell'Associazione dei Palestinesi in Italia (Mohammad Hannoun, Sulaiman Hijazi e Riyad al-Bustanji)".
Ferrara ha voluto ringraziare gli ospiti:
"Per averci raccontato fatti che la stampa internazionale volutamente nasconde come gli omicidi di persone disarmate ai check point, bulldozer che schiacciano uomini e donne che si oppongono all'abbattimento delle loro case e il recente arresto di una bambina di 7 anni che aveva lanciato una pietra contro i soldati israeliani. Credo che, al di là del nostro contratto di governo, sarebbe auspicabile riconoscere lo Stato della Palestina, come proposto la scorsa legislatura. Sarebbe un passo importante del governo del cambiamento".
L'incontro ha acceso una polemica, sulla quale è intervenuto il senatore di Forza Italia Lucio Malan, che in un comunicato ha sottolineato che:
"Chi sono i tre palestinesi? In un'intervista alla emittente televisiva Al-Aqsa, messa in onda il 22 giugno 2012, Riyad al-Bustanji definiva un gigante dei nostri tempi un bambino di meno di dieci anni da lui incontrato a Gaza perché gli aveva detto di pregare Allah di poter essere un martire a Gerusalemme"
Chi sono, invece, gli altri due rappresentati?
Mohammad Hannoun e Suleiman Hijazi, presidente e collaboratore di ABSPP, l'Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese Onlus, che per logo ha una cartina geografica in cui Israele è totalmente coperta.
Quindi per questa associazione Israele deve esser cancellato. Associazione ricevuta in pompa magna da Gianluca Ferrara che già in passato ha mostrato la propria avversione per lo Stato ebraico.
(Progetto Dreyfus, 16 aprile 2019)
I bulli al bimbo ebreo: riapriamo i forni
Ferrara, la denuncia di uno studente aggredito dai compagni in una scuola media
La frase
In una scuola di Ferrara uno studente di religione ebraica è stato aggredito da un gruppo di compagni: «Faremo riaprire Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni, ebrei di. .. »
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La preside
La frase è stata riferita dalla madre del bambino: La dirigente scolastica riceverà la donna con la rappresentante di classe per decidere quali provvedimenti adottare
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La città
L'episodio ha destato una grande inquietudine, anche perché Ferrara è la città di Giorgio Bassani e del Meis, il museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah
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di Federico Di Bisceglie
FERRARA - «Quando saremo grandi faremo riaprire Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni, ebrei di ... ». Questa la frase che un alunno di religione ebraica, che frequenta un istituto secondario di primo grado nel Ferrarese, si sarebbe sentito gridare mentre veniva preso per il collo da un gruppo di compagni, negli spogliatoi della palestra.
Un episodio inquietante, a maggior ragione nella città di Giorgio Bassani e del Meis (museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah). La denuncia, riferita dalla madre del bambino (che preferisce non esporsi), arriva per bocca della rappresentante di classe. «E' inaccettabile - dice la portavoce, mamma di una bambina che frequenta lo stesso istituto - che accadano simili episodi. Non si può far passare sotto silenzio questo chiaro segnale di antisemitismo strisciante».
E sotto silenzio non passa. Perché già questa mattina la dirigente scolastica riceverà la rappresentante e la madre del bambino oggetto di aggressione per decidere quali provvedimenti adottare nei confronti dei 'bulli'. Nel frattempo la portavoce dei genitori della classe ha immediatamente avvertito Noemi Di Segni, presidente dell'Unione comunità ebraiche italiane, Andrea Pesaro, guida della comunità ebraica ferrarese, e Luciano Meir Caro, rabbino capo della comunità ebraica estense. «Questa aggressione - prosegue la rappresentante - è una preoccupante cartina di tornasole del clima di latente antisemitismo che aleggia anche nelle scuole. Un abisso verso cui ci stiamo calando tutti». Insomma «una marea di odio che sento palpabile - prosegue - . Mi spaventa ancora di più perché questo sentimento evidentemente alberga anche tra i bambini». Immediata la presa di posizione di Betti Guetta, direttrice dell'Osservatorio sull'antisemitismo di Milano, che paria di «un episodio allucinante» e, stigmatizzando il ruolo del web, afferma: «Sul totale degli episodi di antisemitismo che registriamo come Osservatorio, l'80% proviene dalla rete e dai social. In questo territorio sconfinato, si legittima la possibilità di dire le cose più terribili». Dalla scuola in ogni caso giungono rassicurazioni, ma anche la garanzia «di prendere i provvedimenti più opportuni per far fronte a questo episodio tanto sgradevole quanto grave».
A parlare è la dirigente scolastica che, dopo aver sottoposto il caso all'Ufficio scolastico territoriale, assicura: «So che la questione era già stata affrontata all'interno della classe tra docenti e studenti. Peraltro, il ragazzino responsabile dell'aggressione, una volta scoperto, si è scusato e ha promesso che non farà mai più cose simili. Comunque ho in programma di convocare un consiglio di classe straordinario per capire meglio, anche con i professori, quello che è accaduto». La preside precisa: «La scuola da sempre è attiva nell'organizzare iniziative legate al Giorno della Memoria e, in tanti anni che presiedo questo istituto, è il primo caso di questa portata che mi trovo ad affrontare». Caso che, a detta del dirigente «va preso con la giusta serietà, senza essere sminuito, ma che deve essere trattato con il massimo della cautela e della discrezione». Ma, se anche tra i ragazzini si annida l'odio verso il popolo d'Israele, che tanto richiama i periodi più oscuri della nostra storia recente, cosa significa? «Significa che c'è un germe - chiude la portavoce - di qualcosa che può esplodere». Qualcosa di violento, disumano. Ad oltre ottant'anni dall'emanazione delle leggi razziali.
(Nazione-Carlino-Giorno, 16 aprile 2019)
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