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Notizie 1-15 aprile 2020


Così Israele combatte contro il virus (e l'antisemitismo)

Da Gerusalemme giungono novità sul trattamento Covid-19 con un tasso di sopravvivenza del 100%. Dopo una settimana, sei pazienti critici sono sopravvissuti. Ma un sito web antisemita offre una simulazione con ebrei bruciati come criptovaluta

di Francesco De Palo

Un doppio virus, il Covid19 e l'antisemitismo, con cui Israele sta facendo i conti nei giorni complicati di emergenza sanitaria. Le misure prese dal Paese si sommano ad una campagna mediatica drammatica, dove un sito web antisemita offre una simulazione con ebrei bruciati come criptovaluta, mentre una speranza arriva dal trattamento israeliano.

 Covid
  Dopo una settimana di cure sei pazienti malati critici in Israele sono sopravvissuti e quattro di loro hanno mostrato un miglioramento dei parametri respiratori. I sei sono stati trattati con un prodotto di terapia cellulare a placenta della compagnia Pluristem e sono sopravvissuti, secondo i dati preliminari forniti società con sede ad Haifa. Inoltre negli Stati Uniti, un altro paziente è stato trattato con la terapia cellulare PLX presso il Holy Medical Center nel New Jersey, dove Pluristem sta già eseguendo uno studio. Il paziente manifestava un'insufficienza respiratoria a causa della sindrome da distress respiratorio acuto.
  Alla luce dei dati preliminari ecco che i primi rilievi clinici per le cellule staminali di Pluristem potrebbero rivelarsi molto utili per la lotta al Covid-19, così come osservato anche da Yahoo! Finanza ("promettenti per non dire altro").

 Antisemitismo
  Ma c'è un altro (vecchio) virus con cui il Paese sta combattendo. Un sito web antisemita offre una simulazione con ebrei come criptovaluta senza valore chiamata The HoloCoin, derivata dall'Olocausto, in cui gli ebrei e le ceneri degli ebrei assassinati nell'Olocausto sono la valuta, ovvero le due valute "JEWS" e "ASH". Si tratta di un simulatore dell'olocausto, con all'inizio 15,3 milioni di ebrei viventi e 4.107 bruciati ogni giorno, equivalenti alla percentuale con cui gli ebrei furono massacrati nell'olocausto.

 Virus & ebrei
  Il Middle East Media Research Institute (MEMRI) ha monitorato ciò che gli islamisti pubblicano sulla pandemia su Internet da due mesi, ovvero da quando la pandemia si è diffusa in Europa. E osserva che per gruppi islamisti come i Fratelli Musulmani, Isis e Al Qaeda, il virus è il soldato di Allah, dovrebbe combattere tutti i nemici e dovrebbe essere usato come un'arma. Lo si evince da uno studio condotto dal direttore di Memri Yigal Carmon che ha chiesto pubblicamente ai social di eliminare post così odiosi. In rete infatti circolano varie immagini con stelle gialle di David con la caricatura di un ebreo su un cavallo di Troia che ha introdotto di nascosto il virus. Si sostiene inoltre che il coronavirus sia stato prodotto dai sionisti nei laboratori israeliani, arrivando alla folle richiesta verso i malati di infettare gli ebrei tossendogli in faccia.

 Germania
  Secondo Charlotte Knobloch, ex presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Alta Baviera, i tempi di crisi sono sempre stati un'occasione per spargere odio verso gli ebrei, con gli estremisti al lavoro per utilizzare la pandemia come strumento anti ebraico. Lo scorso 23 marzo nel centro storico tedesco di Bamberga un passante ha notato un'insegna di cartone scritta a mano: "Il virus significa capitalismo ebraico". Il caso è finito agli atti del Rias, il Centro di ricerca e informazione per l'antisemitismo in Baviera. Vari istituti tedeschi stanno analizzando questo pericoloso trend. È il caso dell'Ufficio federale per la protezione della Costituzione, secondo cui in particolare con l'aiuto della diffusione delle teorie della cospirazione e della disinformazione, si tenta di sommare la genesi della pandemia allo spirito antisemita. E mostrano l'esempio del partito "La terza via" che accusa apertamente il tentativo della Bce di abolire la liquidità.
  In Germania i crimini antisemiti sono aumentati: 2.000 crimini diretti contro persone di fede ebraica o le loro istituzioni nel 2019, contro i 1.800 di dodici mesi prima. Per questa ragione il ministero della Giustizia della Bassa Sassonia fornirà quest'anno un bonus di 75.000 euro per progetti contro l'antisemitismo.

(Formiche.net, 15 aprile 2020)


Netanyahu sceglie un "super manager" per battere il virus nelle case di riposo

Ronni Gamzu è già stato direttore generale del ministero della Salute

di Fabiana Magrì

 
Ronni Gamzu
La sua integrità morale è pari alle competenze da manager. Ronni Gamzu, direttore dell'ospedale Ichilov, il principale complesso sanitario che serve la città di Tel Aviv, aveva già dato prova, la settimana scorsa, di grande umanità nei confronti dei malati di Covid-19, destinati a morire in totale solitudine. «Le storie di pazienti che muoiono da soli mi spaventano come persona e come dirigente - aveva denunciato il professore -. Non lo possiamo consentire». L'Ichilov è stata così la prima struttura al mondo, apripista seguita poi da molte altre, a organizzarsi per far sì che i parenti stretti potessero salutare i loro cari ricoverati in condizioni terminali per il coronavirus.
   Non a caso il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto Gamzu - che nel corso della carriera ha ricoperto anche il ruolo di Direttore Generale del Ministero della Salute -come responsabile dell'emergenza sanitaria nelle case di riposo.
   A 54 anni, Gamzu è direttore del Tel Aviv Sourasky Medical Center dal 2015. E professore tanto di Ginecologia quanto di Sanità pubblica, amministrazione della salute e delle imprese. Ha affiancato, alla formazione in campo scientifico, anche una laurea in Giurisprudenza e due master in Economia e amministrazione della salute.
   «Il professor Gamzu ha anni di esperienza e eccezionali capacità operative e sono sicuro che saprà gestire la popolazione più debole e anziana nel miglior modo possibile», ha dichiarato il Ministro della Salute Yaakov Litzman in occasione della nomina speciale.
   Con una nota, il premier Netanyahu ha voluto ribadire all'opinione pubblica che l'attenzione sulle case di riposo è alta. Sono proprio le strutture di residenza assistita per anziani il punto debole in tutta Europa e negli Stati Uniti, oggetto di inchieste che, in Italia, aumentano giorno dopo giorno. In Israele il numero di morti nelle Rsa è relativamente basso, 40 persone. A preoccupare l'opinione pubblica, e a far partire una petizione alla Corte Suprema, è la percentuale: un terzo dei 119 decessi totali.
   Ronni Gamzu è ora responsabile del coordinamento dei dipartimenti governativi e della formulazione di un piano d'azione nazionale. «La sfida immediata - ha commentato sui media israeliani il super manager incaricato di salvaguardare la salute della fascia più debole del Paese - è mantenere i nostri genitori, quelli che hanno costruito questo Stato, al sicuro nelle loro case di cura».

(La Stampa, 15 aprile 2020)


Abu Na'eim: la situazione a Gaza è ancora seria e preoccupante

Il viceministro dell'interno Tawfiq palestinese Abu Na'eim ha avvertito che la situazione sanitaria nella Striscia di Gaza, alla luce della pandemia di coronavirus, è ancora grave e preoccupante, esprimendo preoccupazione per quello che ha definito lo stato di rilassamento tra i cittadini.
"Gli indicatori che abbiamo sulla percentuale di impegno dei cittadini non sono soddisfacenti, anche se abbiamo messo in guardia contro raduni nei mercati, matrimoni e funerali", ha detto Abu Na'eim in un'intervista trasmessa dal canale satellitare al-Aqsa sabato.
Tuttavia, ha espresso soddisfazione per le misure precauzionali adottate dalle autorità governative di Gaza, affermando che i loro sforzi hanno prodotto risultati positivi nel contenere la malattia e prevenirne la diffusione.
Il funzionario palestinese ha anche affermato che il ministero degli Interni ha iniziato a coordinarsi con la parte egiziana per consentire il transito ai cittadini bloccati durante la settimana in corso, aggiungendo che tutte le misure preventive e di sicurezza sono già in atto per ricevere le persone in arrivo.

(InfoPal, 15 aprile 2020)


Libano-Israele: velivolo israeliano colpisce un veicolo al confine con la Siria

BEIRUT - Un velivolo israeliano ha bombardato un veicolo nel villaggio libanese di Jdeidet Jabous, vicino al confine con la Siria. Lo riferisce l'agenzia di stampa libanese "Nna", spiegando che il veicolo ha preso fuoco senza provocare vittime. Il villaggio si trova a est del Libano centromeridionale. Secondo altri media locali, un drone avrebbe colpito una Jeep Cherokee che transitava dalla Siria al Libano, sebbene il confine sia chiuso a causa delle misure restrittive per arginare la diffusione della Covid-19. Il veicolo sarebbe partito da Damasco. Altre informazioni non confermate citate dal quotidiano israeliano "Jerusalem Post" sostengono che il raid ha colpito un combattente del movimento sciita libanese Hezbollah incaricato del traffico di armi. Finora non ci sono né conferme né smentite da parte di Israele. In passato, attacchi con droni la cui responsabilità è stata attribuita a Israele hanno ucciso combattenti di Hezbollah dislocati nel sud della Siria e sulle Alture del Golan.
  Lo scorso 10 aprile, il portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), Avichay Adraee, ha dichiarato che l'esercito di Damasco sta continuando a sostenere il movimento libanese sciita Hezbollah, consentendogli di avanzare sul versante siriano delle Alture del Golan siriane. Un video pubblicato su Twitter dalle Idf mostra il comandante del nuovo Primo corpo delle forze armate siriane, Luau Ali Ahmad Assad, mentre visita siti noti per essere utilizzati da Hezbollah, accompagnato dal capo del comando meridionale di Hezbollah, Hajj Hashem. "La presenza di Hezbollah in Siria, in generale, e nella parte siriana delle Alture del Golan, in particolare, mira a creare un'infrastruttura terroristica contro lo Stato di Israele con la cooperazione e la cura del regime siriano", ha twittato Adraee, avvertendo che Israele "non tollererà questo trinceramento". Adraee ha avvertito che la Siria sarà ritenuta responsabile di tutte le azioni ostili che provengono dal loro territorio. Hajj Hashem, il comandante di Hezbollah menzionato da Adraee, è stato identificato come Munir Naima Ali Shaito, secondo un rapporto del Jerusalem Center for Public Affairs (Jcpa).
  Shaito è incaricato di reclutare gente del posto nel sud-ovest della Siria elargendo incentivi finanziari. Secondo il rapporto, dalla metà del 2018 sono circa 3.500 i siriani locali che si sono uniti ai ranghi di Hezbollah. Il comandante Hezbollah è stato anche coinvolto nella guerra civile siriana dal 2013. Inoltre, è stato vice capo dell'unità operativa per la Palestina nel 2000 ed è stato promosso dopo la Seconda guerra del Libano (estate 2006) come vice comandante dell'unità d'élite Badr. Lo scorso 2 marzo, giornata in cui gli israeliani si sono recati alle urne, le Idf hanno contrastato un tentativo di attacco da parte di un cecchino lungo il confine siriano nelle Alture del Golan. Secondo le Idf, membri di Hezbollah hanno tentato di attaccare i militari israeliani da un compound militare siriano nella zona demilitarizzata sulle Alture del Golan settentrionale. Il 2 marzo, l'Aeronautica israeliana ha colpito un veicolo, uccidendo un uomo che si ritiene fosse un agente di Hezbollah. L'agenzia di stampa siriana "Sana" ha riferito che Israele ha colpito le forze del governo siriano, ferendo tre soldati e uccidendo un civile.

(Agenzia Nova, 15 aprile 2020)


«Nella pandemia israeliani e palestinesi si sono avvicinati. Non ci salveremo soli»

Padre Patton, Custode di Terra Santa a Gerusalemme: «Il distanziamento ci ha fatto scoprire le persone e la lentezza che ci obbliga a stare con noi stessi».

di Donatello Baldo

TRENTO - «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci». Padre Francesco Patton, il religioso trentino Custode di Terra Santa e Guardiano del Santo Sepolcro, usa le parole di Isaia, convinto che questa emergenza possa realizzarne la profezia: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci - ripete convinto - e in Israele, oggi, le fabbriche di armi producono ventilatori. E poi si sta manifestando una solidarietà e una cooperazione inedite per queste terre: medici israeliani che formano i colleghi palestinesi, il governo di Tel Aviv


che mette a disposizione dell'Autorità palestinese strumentazioni sanitarie e medicine».

- Questo spirito durerà anche una volta sconfitto il coronavirus?
  «Speriamo, e preghiamo per questo. Questo sentimento emerge perché tutti ci si rende conto che siamo uguali di fronte a questa minaccia, senza distinzione alcuna, meno che mai religiosa. Una foto ha fatto il giro del mondo: due operatori sanitari, uno ebreo e uno musulmano, che pregano. Il primo in direzione di Gerusalemme e l'altro rivolto alla Mecca».

- Sarebbe bello che bastasse una preghiera per far finire la pandemia e per la pace nel mondo.
  «La preghiera è importante, anche perché unisce. A fine marzo abbiamo convocato i grandi rabbini, quello ashkenazita e quello sefardita, un imam musulmano, il capo religioso dei drusi e dei bahà'i, i rappresentanti dei cristiani, il patriarca Teofilo e io. Riconoscendoci tutti nella comune radice di Abramo abbiamo invocato Dio perché cessi la pandemia e la sofferenza nel mondo».

- Anche il papa ha pregato in piazza San Pietro. Una piazza vuota, come le chiese in questi giorni. Che effetto le fa?
  «Quelle immagini sono potenti. Anche noi abbiamo sperimentato questa assenza celebrando il Giovedì santo nel Getsemani dentro una basilica vuota, percorrendo la Via crucis il Venerdì santo lungo la Via dolorosa in quattro frati dentro una città blindata e presidiata dalle camionette della polizia. L'anno scorso questi luoghi pullulavano di pellegrini, che ora lasciano spazio al vuoto fisico, segno dello sgomento che prova l'umanità colpita da un male imprevedibile, invisibile, minuscolo come il coronavirus. È una strana Pasqua, ma mi consola pensare che per noi cristiani questa parola significhi passaggio, resurrezione».

- Che però presuppone un sacrificio, in questo caso quello della sofferenza di chi è contagiato, di chi è colpito dalle conseguenze economiche e soprattutto quello dei tanti morti che sta producendo questa pandemia. Hanno superato le trecento unità anche in Trentino. Come si potrà risorgere da tutto questo?
  «Con la solidarietà. Quella che la Chiesa propone fin dalla "Rerum Novarum" di Leone XIII che introduce la cooperazione, l'economia della condivisione, contro l'economia della competizione e del liberismo selvaggio. Chi pensa di fare a meno degli altri, anche chi pensa di salvarsi da solo, fallirà».

- Il Santo Sepolcro è chiuso, un fatto del tutto straordinario. L'ultima volta nel 1249, giusto?
  «In realtà ci sono stati altri momenti nella storia in cui è stato chiuso, soprattutto momenti in cui non venivano più i pellegrini perché impediti da motivi politico-militari. Nel 2000, dopo lo storico pellegrinaggio di Giovanni Paolo II, ne iniziò uno di massa che fu però bloccato con lo scoppio della Seconda intifada. Spero che con l'estate i pellegrini tornino a visitare questi luoghi».

- Cosa impareremo da tutto questo?
  «Questo imperativo del distanziamento sociale ci ha obbligati ad allontanarci dalla dimensione sociale, è vero, ma al tempo stesso ci ha fatto riscoprire la dimensione più raccolta, familiare, fraterna. Luoghi dove le parole "grazie", "posso", "per favore", ma anche un autentico "come stai?'', hanno un peso profondo. Abbiamo scoperto di avere persone vicine che non sapevamo esistessero, vicini di casa che di solito nemmeno vedevamo. E poi abbiamo riscoperto la lentezza che ci obbliga a stare con noi stessi, un esercizio che ci porta a rientrare in noi stessi, come diceva sant'Agostino. Ogni passo in più verso noi stessi è un passo in più per superare la nostra superficialità, una malattia ben più grave del coronavirus. Se impareremo a rientrare in noi stessi avremo imparato tanto».

- Lei era in Italia quando è scoppiata la pandemia.
  «Ero stato in Trentino, poi a Bari per un convegno, e subito dopo sono ripartito per Gerusalemme. Ho rispettato la quarantena che impone il governo israeliano, per poi unirmi ai miei confratelli».

- Lei sta bene? E i suoi confratelli?
  «Sto bene, grazie, e tra i frati della custodia non ci sono stati contagi, anche perché molti di noi vivono in posti isolati, con pochi contatti con l'esterno. Luoghi affollati durante i pellegrinaggi, ma ora è tutto chiuso».

- E nel resto della regione, in Israele e in Palestina, com'è la situazione?
  «Gli israeliani sono stati lungimiranti, bloccando gli ingressi nel paese e imponendo la quarantena a tutti già dalla fine di febbraio. Così anche l'Autorità palestinese, che ha preso la cosa con la dovuta serietà. La pandemia ha creato un clima di collaborazione tra le due parti, di questo sono molto felice».

(Corriere del Trentino, 15 aprile 2020)


Articolo sostanzialmente mistificatorio. Se fosse vero che nella pandemia israeliani e palestinesi si sono umanamente avvicinati, sarebbe certamente molto bello, ma non viene portato nessun esempio concreto, nuovo rispetto a ciò che in qualche misura viene già praticato in Israele. L’unica cosa che emerge è un’ennesima esaltazione della CCR (Chiesa Cattolica Romana). M.C.


Isolarsi ancor di più

di Dario Calimani

Sono giorni di fatica psicologica. Giornali, radiogiornali e telegiornali parlano solo di coronavirus. E appare giusto e comprensibile, vista l'emergenza e le preoccupazioni. Ma molto di ciò che si sente è esattamente uguale a ciò che si è già sentito, e ascoltare le teorie indimostrate di supposti esperti, smentiti magari il giorno dopo dalla realtà, non rende un buon servizio all'equilibrio delle persone e al montare della paura. L'unico messaggio necessario è il 'restate a casa', il resto è noia e ridondanza. Sembra che i notiziari abbiano finalmente trovato qualcosa di cui parlare e da rimasticarsi in bocca solo per riempire i propri vuoti di immaginazione. Qualcuno, il coronavirus, lo strumentalizza in senso proprio, per farsi spazio ed emergere fra i colleghi giornalisti. E tutto contribuisce a produrre ansia nell'animo della gente che non riesce a scorgere una via d'uscita dalla gravità del momento.
Alla fine, sei tentato di mettere sull'off tutti i mezzi di comunicazione, isolandoti ancora di più, se fosse possibile. E pensi, tanto per distrarti un po', che se esci dal tunnel dell'emergenza sano e salvo, con il tuo rapporto coniugale integro e rinsaldato, beh, allora significa che tanti anni fa non hai sbagliato la scelta della persona con cui vivere. E lasciamo ai figli il diritto al sorriso.
Non si finisce mai di conoscersi.

(moked, 14 aprile 2020)




Ecco perché in tempi come questi,
il saggio tace;
perché i tempi sono malvagi.
(Amos 5:13)       

 


Calamità e preghiere

di Tommaso Todaro

Il 28 maggio 2006 Papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger, nel corso della sua visita in Polonia, fece tappa al campo Auschwitz-Birkenau il 28 maggio 2006.
Nel suo discorso pubblico, rimasto memorabile, si domandò dov'era Dio in quei giorni, perché avesse taciuto e come mai aveva potuto tollerare quell'eccesso di distruzione e il trionfo del male.
Ma forse sarebbe stato più opportuno che il Papa si fosse chiesto dove era lui in quei giorni e cosa aveva fatto lui e la sua chiesa per evitare tanto male.
Le strettissime connessioni tra la Chiesa Cattolica Romana e il nazifascismo sono abbondantemente dimostrate. Oggi tanto si discute dell'apertura degli Archivi Vaticani e del ruolo che ebbe Pio XII in quegli anni, prima come Nunzio Apostolico in Germania, poi come Pontefice, e tutta la gerarchia ecclesiastica.
Certo è che il 16 Ottobre del '43 non si presentò davanti al ghetto, sotto casa sua, con le mani alzate per bloccare il rastrellamento di 1256 ebrei romani e neppure il successivo giorno 18 davanti al treno blindato in partenza dalla stazione Tiburtina diretto proprio al campo di Auschwitz-Birkenau.
Da quel campo tornarono solo in 17.
Quello era il coronavirus del momento e nessuno, a partire delle gerarchie ecclesiastiche italiane e tedesche, se ne preoccupò....

(Nuovo Monitore Napoletano, 14 aprile 2020)


Nuovi colloqui tra Netanyahu-Gantz per un governo di emergenza

L'incontro tra Netanyahu e l'ex capo militare Benny Gantz è seguito a una sessione durante la notte in cui i due hanno chiesto e ricevuto una proroga del termine da parte del presidente, Reuven Rivlin.

di Filippo Raggio

GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il suo principale rivale, Benny Gantz, si sono incontrati oggi. Nel tentativo di finalizzare un accordo su un governo di emergenza per affrontare la minaccia del coronavirus ed evitare l'ennesima elezione durante la crisi. L'incontro tra Netanyahu e l'ex capo militare Benny Gantz è seguito a una sessione durante la notte in cui i due hanno chiesto e ricevuto una proroga del termine da parte del presidente, Reuven Rivlin, per cercare di completare i colloqui. Sia Netanyahu che Gantz hanno riportato "progressi significativi" nei loro negoziati.

(Cronache, 14 aprile 2020)


Gli ebrei del Regno Unito hanno paura

Sono gravi i numeri della comunità ebraica britannica che sta morendo di corona. La società di sepoltura ebraica ha riportato 121 morti in tutta la comunità ebraica in Gran Bretagna. Per una comunità che conta 300.000 persone, questo è un duro colpo e un tasso di mortalità molto più alto di quello che la popolazione britannica sta vedendo nel suo insieme.

di Carlo Brema

In Gran Bretagna, come ovunque nel mondo ebraico, l'infezione di massa è iniziata alla vigilia di Purim il mese scorso ed è stata particolarmente pesante nelle comunità Haredi del paese. A differenza di altri paesi, il governo britannico ha inizialmente adottato una politica di "immunità di gregge" e si è astenuto dall'istituire il distanziamento sociale o limitare i movimenti per la popolazione generale, causando una rapida diffusione del virus e un elevato tasso di mortalità.
   In un solo giorno della scorsa settimana, la società di sepoltura ebraica di Londra ha effettuato 14 sepolture, rispetto a una media di quattro al giorno. I leader della comunità ebraica in Gran Bretagna si sono trovati a combattere fianco a fianco con i leader musulmani contro gli ordini di emergenza del governo che autorizzava i servizi sanitari distrettuali a cremare i corpi delle vittime della corona per evitare un'ulteriore diffusione, nonostante i dettami delle religioni delle vittime.
   Solo la rapida divulgazione del virus, la malattia del Primo Ministro Boris Johnson, incluso il segretario alla salute ha causato la revoca degli ordini e il proseguimento delle consuetudini ebraiche e islamiche.
   Uno dei primi membri della comunità ebraica ad essere contagiato è stato Yitzhak Sonnenschein, che rappresenta il Congresso mondiale sionista in Gran Bretagna. Dopo due settimane a letto in condizioni moderate (con problemi respiratori e una temperatura di 103F), si sta riprendendo.
"La gente qui ha un forte senso di incertezza. In generale, i membri delle comunità ebraiche, persino gli Haredim, sono disciplinati. Ma dopo la politica iniziale di" Infettiamoci l'un l'altro in modo da diventare tutti immuni ", ora a persone con sintomi moderati viene detto di restare a casa e di non andare in ospedale, e non sai se ne uscirai vivo o morto "
Secondo Sonnenschein, le comunità ebraiche sono ben organizzate e ci sono squadre di volontari che acquistano membri della comunità anziana che non possono lasciare la propria casa. Tuttavia, non tutti gli ebrei del paese hanno legami permanenti con le comunità e non tutti sono a conoscenza dell'aiuto disponibile. Sinagoghe e centri comunitari sono chiusi. Alcune comunità restano in contatto in remoto via Internet, ma ci sono molte persone che non sanno cosa fare in caso di emergenza.
   La comunità haredi in Gran Bretagna ha perso due dei suoi leader a causa del coronavirus: il rabbino Uri Ashkenazi dello Stanislav Hassidism e il rabbino Yehuda Yaakov Refson, 73 anni, di Leeds, che è stato a capo del tribunale rabbinico regionale negli ultimi quattro decenni. Gli Haredim in Gran Bretagna sono anche presi dal panico per le notizie sulla velocità con cui il virus si sta diffondendo nelle loro comunità Haredi negli Stati Uniti e in Israele.
   Jake Berger, responsabile dell'educazione e della gioventù nel Board of Deputies degli ebrei britannici, ammette che la crisi della corona rappresenta una grande sfida per la comunità.
"Stiamo sostenendo una campagna di raccolta fondi per le tre principali case di cura della comunità. Abbiamo assunto un altro dipendente che si concentrerà sull'aiutare le comunità fuori Londra ad organizzare. Incoraggiamo i membri della comunità a fare volontariato e aiutare i loro vicini che sono a rischio più elevato gruppi. Le sinagoghe, che hanno organizzato preghiere online, sono anche responsabili del volontariato. Non ci sono prove che le comunità Haredi siano state più colpite dal virus di altre. Il virus danneggia tutti. Non siamo a conoscenza di carenze di prodotti alimentari kosher, anche per la Pasqua ebraica. Tuttavia, in casi estremi, le regole del kashruth sono seguite in modo meno rigoroso."
(Italia Israele Today, 14 aprile 2020)


Energean, risorse giacimento israeliano Karish nord superiori del previsto

GERUSALEMME - Le risorse utilizzabili del giacimento energetico israeliano Karish North sono il 32 per cento superiori alle stime. Lo ha annunciato la compagnia greco-britannica Energean Oil and Gas, secondo le cui stime nel giacimento ci sono 99 miliardi di metri cubi di gas (bcm), 698 milioni di barili di petrolio equivalente, invece che 82 bcm, come ipotizzato in precedenza. Le stime annunciate da Energean si basano sugli studi di DeGolyer e MacNaughton, che hanno trovato 33,7 miliardi di metri cubi (bcm) di gas naturale nel campo israeliano offshore e 39 milioni di barili di petrolio, che equivale a 250 milioni di barili di petrolio equivalente (l'80 per cento dei quali è gas).

(Agenzia Nova, 14 aprile 2020)


Come visitare Israele da casa con un Virtual Tour

 
Israele, una delle destinazioni turistiche preferite dai viaggiatori italiani, può essere esplorata anche online, grazie a una serie di tour ed esperienze virtuali lanciate dalle principali città e attrazioni del Paese. Qui di seguito alcune proposte per andare alla scoperta di Israele comodamente seduti sul divano di casa.

 Escursioni virtuali a Gerusalemme
  Da una recente collaborazione tra la municipalità di Gerusalemme e la piattaforma israeliana Bridgify, specializzata nel settore smart trips, è nato il progetto "Jerusalem is Traveling 2U".
  Si tratta di una grande opportunità per scoprire la città a distanza, dato che raccoglie al suo interno decine di esperienze guidate inedite. Nessuna grande attrazione è stata dimenticata: non mancano i tour del Muro del Pianto e del Monte degli Ulivi, la visita guidata al Santo Sepolcro, la passeggiata lungo le mura della città vecchia o tra i mercati e molto altro ancora. Per rendere ancora più completa l'esperienza, è possibile anche partecipare a conferenze e a momenti di preghiera in diretta. La piattaforma tornerà utile anche una volta passata l'emergenza, la Jerusalem Development Authority, che ne ha seguito lo sviluppo, si è infatti già detta interessata a mantenerla e arricchirla anche in futuro, per dare a tutti la possibilità di visitare una delle città più antiche e affascinanti al mondo.

 Alla scoperta dei tesori archeologici di Israele
  Anche il nodo legato all'archeologia, uno dei principali motori del turismo verso Israele, ha deciso di votarsi al virtuale, per continuare a sorprendere migliaia di appassionati in questi giorni in cui viaggiare è impossibile.
  San Giovanni di Acri, storico porto crociato sulle rive del Mediterraneo e tappa obbligata per gli amanti dell'archeologia, ha messo a disposizione di tutti una serie di video e di letture per esplorare la Città Vecchia senza nemmeno doversi alzare dalla sedia.
  Non è da meno la fortezza di Masada, costruita nel I secolo a.C. da Erode il Grande, dalla quale ancora oggi si gode di una vista mozzafiato sulle depressioni del Mar Morto.
  Mentre una voce guida il visitatore virtuale conducendolo all'interno della storia millenaria del sito, è infatti possibile ammirarne tutta la bellezza grazie a delle splendide immagini a 360°.
  Non poteva mancare, tra le meraviglie archeologiche d'Israele, una menzione al sito della Città di David di Gerusalemme. Il nucleo originario della città, risalente al secondo millennio a.C., è ancora perfettamente conservato e viene continuamente arricchito con nuovi ritrovamenti.

 A spasso per Israele
  Come tutti sanno, le meraviglie di Israele non sono solo a Gerusalemme e Tel Aviv. Per questo vale sicuramente la pena visitare anche 3D ISRAEL una piattaforma che raccoglie foto panoramiche dei principali luoghi di interesse del Paese. Qui sarà possibile ammirare, in spettacolari immagini a 360°, luoghi unici al mondo come il Makhtesh Ramon, le grotte di Qumran, l'Osservatorio sottomarino di Eilat e altro ancora. Ogni immagine è inoltre accompagnata da un blocco di testo che descrive ciò che si sta vedendo.
  Degni di nota sono anche i tour virtuali organizzati da Sygic Travel VR, specializzata nell'offrire escursioni di una giornata attraverso varie città del mondo. Ovviamente nella loro lista non poteva mancare Israele, presente ben due volte: una volta con Gerusalemme e una con Tel Aviv.
  Infine, impossibile non citare Tour Your Way, una delle più grandi raccolte di tour virtuali e di immagini a 360° di Israele. Nel suo ricco catalogo si trova un po' di tutto: dal glamour di Tel Aviv fino al relax del Mar Morto e alla selvaggia natura del Negev.
  "I tour virtuali consentono di approfondire sempre di più la conoscenza della meravigliosa Israele: possiamo così nutrire i nostri sogni, mentre restiamo in attesa di ripartire verso questa Terra che sa parlare al cuore dell'umanità" ha dichiarato Avital Kotzer Adari direttrice dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo.

(Qualitytravel.it, 14 aprile 2020)


Medici israeliani e palestinesi insieme per affrontare l'emergenza a Gaza

di Fiammetta Martegani

I contagi, anche se in modo moderato, continuano a crescere sia in Israele che a Gaza. E l'emergenza coronavirus sembra aver incentivato una stretta collaborazione tra medici israeliani e palestinesi. Da ieri una nuova apparecchiatura consegnata all'ospedale Shifa, nell'enclave, è in grado di raddoppiare i test per verificare la positività al virus. E nei giorni precedenti alcuni medici del centro Sheba di Tel Aviv hanno incontrato al valico di Erez i colleghi di Gaza per trasmettere loro informazioni sulle tecniche di cura più innovative. Intanto, lungo la frontiera con Israele e nella zona di Rafah, al confine con l'Egitto, Hamas ha realizzato due strutture provvisorie, da 500 posti ciascuna, per la quarantena. Ospitano già 900 persone. In Israele i contagi sono più di 11mila, e 110 le vittime. Nei giorni scorsi l'emergenza sembrava aver spinto il Likud di Benjamin Netanyahu e Blu Bianco di Benny Gantz, a una staffetta governativa. Ma il mandato conferito a Gantz dal presidente Rivlin è scaduto alla mezzanotte, e per tutta la giornata la sensazione era che non ci fosse una soluzione.

(Avvenire, 14 aprile 2020)


Superare l'emergenza coronavirus: la comunità ebraica romana risponde grazie ai volontari

di Daniele Toscano

Emergenza coronavirus: la Comunità Ebraica di Roma non si è fatta trovare impreparata. Nonostante questa pandemia abbia avuto effetti senza precedenti e stia provocando danni su cui inevitabilmente servirà tempo per ricostruire, è stato possibile far fronte alla difficile situazione grazie alla preparazione e persistenza del GEV - Gruppo Ebraico Volontari. In questo quadro, fondamentale l'impegno del CMT - Crisis Management Team. Questa squadra nasce dal Gruppo Ebraico Volontari, grazie al lavoro del Responsabile della Sicurezza Gianni Zarfati, che instaura un gruppo dedicato per la gestione delle emergenze, uno fra i primi al mondo fra le Comunità Ebraiche. Dopo alcuni episodi di antisemitismo in altre aree del mondo, come gli attentati all'AMIA di Buenos Aires nel 1994 e a due sinagoghe a Istanbul nel 2003, la comunità Ebraica di Roma decide di attrezzarsi con una squadra in grado di coordinare gli sforzi per una risposta unica e sistematizzata alle emergenze comunitarie che si possono verificare. Lo scopo del CMT non è fronteggiare solo attentati terroristici, ma una gamma di eventi quanto più ampia possibile, tutti quei fenomeni che possono mettere in discussione un normale andamento della vita quotidiana, come incidenti, rapimenti, attacchi informatici, catastrofi naturali di ogni genere, alluvioni, terremoti, epidemie, con i riflessi economici e sociali che ne derivano.
  La squadra è composta da un pool numeroso di volontari del GEV. Attorno a questo nucleo, ruotano molteplici figure legate ai più diversi ambiti professionali: psicologi, medici, legali, assistenti sociali, ingegneri e tante altre figure che danno un contributo a seconda del proprio ambito di competenza. "Da più di 20 anni questo gruppo svolge esercitazioni e incontri settimanali per creare protocolli e simulazioni in caso di emergenza - racconta a Shalom Gianni Zarfati, responsabile della Sicurezza. - Nel corso del tempo il gruppo è cresciuto, creando rapporti e sinergie con le forze dell'ordine e gli organi dello stato; sono state anche svolte iniziative sociali come le Giornate per la donazione del sangue, che sono tornate utili per fronteggiare questa emergenza; grazie ai legami con la Sochnut, l'Agenzia ebraica in Israele, è stato possibile migliorare le competenze attraverso formazione ed esercitazioni; inoltre, il CMT è entrato a far parte di una rete europea con la quale si interfaccia regolarmente per scambiare esperienze".
  Il CMT interviene quando sollecitato dall'Unità di Crisi della Comunità, composta da 3 figure comunitarie di riferimento, il Presidente, l'Assessore alla Sicurezza e il Capo Rabbino: quando attivato, il CMT avvia le procedure di emergenza in base alle esigenze. In queste settimane la partecipazione dei vari settori è stata pressoché completa: sono intervenuti i medici con Alessandro Piperno ed il Maghen David Adom, gli assistenti sociali coordinati da Fiorella Calò della Deputazione, gli psicologi con Elvis Raccah e la logistica con Alex Zarfati. "Questa messa in campo di tutti gli strumenti a disposizione ha permesso di dare assistenza telefonica quotidiana alle persone sole o con problemi familiari, di consegnare a domicilio tutti i prodotti di Pesach grazie ai volontari, di garantire beni di prima necessità a tutte quelle persone che ne hanno avuto bisogno", spiega Jonathan Arbib Coordinatore del Crisis Management Team.
  Questo tipo di attivazione globale ha rappresentato una novità per il CMT, sebbene in passato alcune unità specifiche fossero già state chiamate in causa dimostrando massima efficacia. Nell'estate 2018, ad esempio, in 2 settimane si sono verificate la scomparsa di tre persone, presto rintracciate grazie all'attività della squadra di ricerca del GEV su Roma e sul territorio circostante. Nell'estate del 2017 invece, una ragazza inglese venne investita su Lungotevere davanti al Tempio Maggiore; veloci furono gli interventi sia dei dipendenti della Comunità, che fornirono il primo soccorso, che del CMT che si attivò per dare un sostegno alla famiglia ed alla ragazza stessa presso la struttura ospedaliera.
  Da sottolineare che questo team non si pone in concorrenza con le altre organizzazioni presenti sia a livello nazionale che locale. In Italia, infatti, istituzioni, associazioni, Forze dell'ordine sono presenti e tutelano i diritti e le necessità di tutti i cittadini. Il CMT ha una funzione complementare e di supporto, al fine di agevolare una maggiore presa sul territorio attraverso il coinvolgimento di professionisti già collaudati. "Collaboriamo in modo aperto, trasparente e produttivo con le Forze dell'ordine, la Protezione civile ed il Servizio Sanitario Nazionale per completare la loro azione e fornire loro l'aiuto di cui possono avere bisogno. A questo proposito, sento di dover fare un ringraziamento al III Municipio e alla Protezione Civile di Roma Capitale, decisamente efficienti nel dare un sostegno alla CER in questa emergenza", sottolinea Arbib.
  La difficile situazione dovuta alla pandemia non è terminata e gli sforzi del CMT continueranno fin quando necessari, con la professionalità e l'abnegazione che fin qui li hanno caratterizzati, ma forse anche con una nuova dose di fiducia e autostima in più. "Abbiamo capito che la squadra con cui lavoriamo è composta da validi professionisti che specialmente durante l'emergenza si sono impegnati a fondo per dare il massimo, dalla dirigenza comunitaria a tutti i volontari che hanno partecipato in ogni campo", concludono Gianni Zarfati e Jonathan Arbib.

(Shalom, 14 aprile 2020)


Israele - La strategia di uscita dalla crisi divide i vertici del Paese

Mentre volge al termine la settimana della Pasqua ebraica, trascorsa peraltro in una chiusura quasi totale, Israele esamina ora la possibilità di intraprendere una 'strategia di uscita' (sicuramente graduale e prudente) dallo stato di emergenza. Ma ai vertici di governo si scontrano due visioni contrarie.
   Il ministero delle finanze e la Banca d'Israele suggeriscono di rimettere in moto entro la fine del mese il mondo del lavoro.
   Inizialmente si tratterebbe di settori che contribuiscono al benessere del Paese. Ad esempio hi-tech, istituzioni finanziarie, industria, agricoltura, edilizia, commercio all'ingrosso, magazzini. Ma per liberare i genitori occorre riaprire le scuole, anche in modo limitato, e far ripartire i trasporti pubblici. "Si deve dare ossigeno al mercato", sostiene quel ministero. Sono progetti che però allarmano il ministero della sanità.
   Un rapporto dell'Istituto Gertner di ricerca epidemiologica avverte che Israele non può ancora permettersi il lusso di intraprendere alcuna 'strategia di uscita' perché al momento, pur con le chiusure delle città, riduce i contagi di appena il 20 per cento. Passano sei giorni (e a volte anche otto) dal momento in cui si rilevano i primi sintomi di malattia fino a quando si ricevono risultati certi. La 'conditio sine qua non' per la ripresa del lavoro è, secondo l'Istituto, la riduzione di quel lasso di tempo a un giorno solo. La gestione centralizzata della crisi da parte del premier Benyamin Netanyahu, sostiene il quotidiano economico Marker, ha creato impedimenti e ritardi.
   Adesso va rielaborata.

(ANSA, 13 aprile 2020)


Israele e il governo che non arriva

L'accordo Netanyahu-Gantz a rischio

Il governo di unità nazionale sembrava cosa fatta. La scelta di Benny Gantz, leader di Kachol Lavan, di rompere l'equilibrio (e il suo partito) e costruire con l'avversario Benjamin Netanyahu, capo del Likud, un esecutivo insieme sembrava questione di giorni. Ora la certezza di questa intesa sembra traballare o addirittura tramontare: Gantz, orfano dei suoi principali alleati Yair Lapid e Moshe Yaalon, si è scontrato con Netanyahu su alcuni punti (in particolare sulla Commissione Giustizia) e ha chiesto al Presidente Reuven Rivlin un'estensione del suo mandato per formare il governo. Rivlin gli aveva affidato l'incarico a metà marzo quando però Gantz poteva contare sul sostegno di 61 parlamentari della Knesset, la maggioranza. Ora quella base non esiste più, spaccatasi proprio per la scelte del leader di Kachol Lavan di entrare in un governo con Netanyahu, con una rotazione della premiership tra i due. A causa di questo nuovo scenario - e dell'assenza di una maggioranza alle spalle di Gantz - Rivlin ha rifiutato di estendergli il mandato. Anzi, ha dato un aut aut a tutte e due le parti in gioco in questa estenuante trattativa di governo: se non troverete un accordo entro la sera del 13 aprile, il messaggio del presidente israeliano, rimetterò alla Knesset il compito di trovare al suo interno un parlamentare in grado di avere l'appoggio di almeno 61 colleghi su 120 totali.
   "È stata una mossa sorprendente da parte di Rivlin, - scrive il giornalista Haviv Rettig Gur -. Dopo tre elezioni inconcludenti e infinite affermazioni da parte dei due principali candidati a impegnarsi per un governo di unità, soprattutto nel vortice economico e sociale prodotta dalla crisi del virus, il presidente sembra ne abbia avuto abbastanza. Ha informato la 23a Knesset di riunirsi entro 22 giorni per formare finalmente il primo governo a pieno titolo del Paese in 18 mesi oppure di andare a una quarta elezione". L'opzione inimmaginabile, il ritorno alle urne per la quarta volta, comincia a prendere forma in un'opinione pubblica stanca e preoccupata per gli effetti dell'emergenza sanitaria. Se per Netanyahu una nuova elezione potrebbe essere un vantaggio visto il disfacimento del suo più grande avversario Kachol Lavan (gli elettori di Gantz hanno protestato in piazza contro di lui per la scelta di seguire Netanyahu), la crisi del Covid-19 potrebbe costargli caro per quanto riguarda i consensi. Secondo un sondaggio dell'emittente Kan un mese fa - il 14 marzo -, il 73,4% degli israeliani pensava che Netanyahu stesse "gestendo la crisi in modo responsabile e diligente". Poco più di quattro settimane dopo, la cifra è scesa al 55,8%. Mentre chi sostiene che il Premier ad interim stia prendendo decisioni sulla crisi del coronavirus "per calcoli politici e interessi personali" è passato dal 21,1% del 14 marzo al 41,8%. Cresce dunque l'insofferenza e nel mentre il virus continua a fare vittime, tra cui l'ex rabbino capo sefardita d'Israele Eliyahu Bakshi-Doron, scomparso all'età di 79 anni e ricoverato quattro giorni fa per Covid-19. "Rav Bakshi-Doron era uno studioso estremamente saggio, con un profondo senso di responsabilità nei confronti di tutto Israele - il ricordo del Presidente Rivlin - un rabbino, un padre e una guida per le comunità israeliane all'interno del Paese e all'estero".

(moked, 13 aprile 2020)


Netanyahu: "Oggi tutto Israele piange"

La scomparsa del rabbino Elijahu Bakschi-Doron

di Ryan Jones

 
Meir Lau, Benjamin Netanyahu e Elijahu Bakshi-Doron (foto d'archivio)
"La sua essenza era quella della ragione, della tolleranza e dell'amore per il popolo e lo stato", ha detto Netanyahu in un discorso. "Sono profondamente rattristato, insieme a tutto il popolo di Israele", ha aggiunto il Primo Ministro.
   Anche se le parole di Netanyahu possono davvero essere sincere, è dubbio che tutti gli altri israeliani provino lo stesso sentimento, specialmente all'interno della stessa comunità ultra-ortodossa del rabbino. Il rabbino Bakshi-Doron non ha mai avuto paura di nuotare contro corrente. Nei suoi 10 anni da rabbino capo, tuttavia, è stato molto controverso.
   Nel 1996 ha paragonato l'ebraismo riformato con il biblico Zimri, un capo della famiglia Simeonita, menzionato in Numeri 25. Zimri è considerato uno dei principali responsabili della mescolanza del popolo di Israele con Moab e dell'introduzione dell'idolatria attraverso il culto di Baal-Peor. L'ira dell'Eterno contro Israele non si placò fino a che il sacerdote Finehas non uccise sia Zimri che la donna moabita con cui dormiva.
   Tre anni dopo, nel 1999, Bakshi-Doron riprese l'argomento, sostenendo che l'ebraismo riformato aveva fatto più danni al popolo ebraico dell'olocausto nazista.
   Nel 1998 e nel 2000, il rabbino capo sefardita di Israele ancora una volta suscitò scalpore quando incontrò per la prima volta il religioso musulmano turco Fethullah Gulen e in seguito Papa Giovanni Paolo II. Questi incontri segnarono l'inizio di una lunga campagna di dialogo interreligioso, per la quale Bakshi-Doron è stato criticato da molti ebrei ultra-ortodossi, ai cui occhi la cooperazione religiosa con musulmani e cristiani equivale a una bestemmia.
   Sempre nel 2000, Bakschi-Doron entrò nell'arena politica esortando Israele a soddisfare alcune delle più forti richieste degli arabi palestinesi.
   E' stato senza dubbio un sionista religioso, ma ha fatto dichiarazioni come quella alla comunità ebraica di Singapore, in cui ha detto di essere favorevole a dare ai palestinesi il permesso di fondare la loro capitale sul lato orientale di Gerusalemme, fino a che Israele avesse mantenuto la sovranità sul Monte del Tempio.
   Il rabbino Elijahu Bakschi-Doron sarà sepolto oggi nella famiglia più vicina al cimitero Har HaMenuchot di Gerusalemme a Givat Shaul.

(israel heute, 13 aprile 2020 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Coprifuoco nei quartieri ultra ortodossi di Gerusalemme

Le autorità israeliane oggi hanno imposto il coprifuoco nei quartieri ultra ortodossi di Gerusalemme dove è molto alto il tasso di contagi da coronavirus. Con una dichiarazione il governo ha reso noto che strade di ingresso ed uscita da questi quartieri saranno bloccate a partire da oggi, con polizia e militari a controllare i posti di accesso. Nei quartieri ultra ortodossi molti residenti hanno tardato ad applicare le misure restrittive imposte dal ministero della Sanità per i raduni, causando così una più rapida diffusione del virus rispetto al resto del Paese. Il governo di Benjamin Netanyahu ha anche imposto la quarantena obbligatoria per chiunque rientri dall'estero, imposto di indossare la mascherina nei luoghi pubblici ed esteso per altri 10 giorni le misure di lockdown.

(Adnkronos, 12 aprile 2020)


Israele, coast to coast da applausi: che gol!

Il Maccabi Haifa ha dei talenti molto interessanti: guardate questo gol, un coast to coast da applausi.

(La Gazzetta dello Sport, 12 aprile 2020)



Israele, il Labour lavora alla fusione con Gantz

In Israele il partito laburista, guidato da Amir Peretz, sta lavorando a una fusione con il partito centrista Blu e Bianco di Benny Gantz, impegnato in negoziati per la creazione di un governo di unita' nazionale con Benjamin Netanyahu. Ma la mossa ha suscitato malumori all'interno e c'e' chi si e' spinto a denunciarla come una svendita dell'eredita' di un partito che ha guidato lo Stato ebraico per quasi trent'anni dopo la sua fondazione. Per il momento c'e' stato un incontro tra i leader dei due partiti e un comunicato congiunto che prospetta "nella prima fase" la determinazione di "regole su un lavoro congiunto e coordinato all'interno della Knesset, con l'obiettivo di arrivare alla fusione delle parti". Si apre cosi' uno scenario in cui Blu e Bianco e Labour potranno presentarsi uniti alle prossime elezioni, un tema sul quale sono stati incaricati di lavorare Avi Nissenkorn del partito centrista e il laburista Itzik Shmuli.
   Ma dalle fila laburiste, si e' alzata la voce contraria di Meirav Michaeli, deputata del ristretto gruppo parlamentare laburista alla Knesset (tre in tutto dopo la fine della coalizione con Meretz e Gesher all'indomani delle elezioni di marzo). L'ex giornalista e attivista, nonche' nipote di Rudolf Kastner, ha dichiarato senza mezzi termini su Twitter che questa sarebbe la fine del partito, richiamando alla memoria il glorioso passato laburista e i protagonisti che ne hanno fatto la storia. Scagliandosi contro un'iniziativa messa in piedi "per ottenere due posti ministeriali per Amir Peretz e Itzik Shmuli, che non dispongono del partito di Ben Gurion, Rabin e Peres", la deputata ha esortato "tutti i membri a restare e a combattere per il nostro partito, per opporsi a una mossa che vuol dire solo una cosa, niente piu' Labour". Intanto, proseguono i negoziati tra Blu e Bianco e Likud per un governo di unita': dopo la minaccia di Ganzt di dare seguito alla proposta di legge che impedisce a un deputato incriminato di guidare l'esecutivo (una norma chiaramente anti-Netanyahu) se non si raggiungeva un'intesa entro poche ore, una nota congiunta ha fatto sapere che i colloqui tra le parti "sono in corso e di buon umore, con l'obiettivo di istituire un governo di emergenza nazionale il piu' rapidamente possibile". I due leader si sono incontrati nella residenza del premier, a distanza di sicurezza visto che Netanyahu e' in auto-isolamento dopo che il ministro della Salute e' risultato positivo, e hanno continuato a discutere dei nodi ancora irrisolti, tra cui l'annessione delle colonie in Cisgiordania e l'insistenza del Likud che vuole potere di veto sulla nomina dei giudici.

(Affaritaliani.it, 12 aprile 2020)


Sionisti cristiani in Europa

Dalla quarta di copertina

A fianco delle posizioni delle Chiese ufficiali (Chiesa cattolica e poi, in Inghilterra, Chiesa anglicana) poco tenere nei confronti degli ebrei, dopo il Seicento, sotto l'impulso di generosi artefici, si fanno strada delle nuove tendenze che rivalutano l'eredità ebraica, assumendo posizioni precocemente sioniste, di cui, in particolare, si occupa l'autore. Elia Boccara, già autore di lavori che riguardano la nascita del cristianesimo ("Il peso della memoria" e "Paolo, apostolo dei gentili e il popolo ebraico"), nonché di libri sulla sorte degli ebrei iberici ("In fuga dall'Inquisizione" e "L'invenzione marrana"), ha scritto questo libro per onorare la memoria di tutti coloro che nel mondo cristiano hanno nutrito fraterni sentimenti nei confronti degli ebrei.

Elia Boccara, "Sionisti cristiani in Europa", Giuntina, 2018, p. 228, € 11


Israele: lo stallo politico tra Netanyahu e Gantz

di Ugo Volli

Sono passate quasi tre settimane dal voltafaccia di Benny Gantz, quando ha rinunciato al tentativo di una maggioranza unita sostenuta dalla "Lista unitaria" degli arabi nemici di Israele, per cercare un urgente governo di unità nazionale con Netanyahu per combattere il coronavirus, ma il governo non c'è ancora. Si è quasi arrivati alla scadenza dell'incarico esplorativo di Gantz, che può chiederne solo una breve estensione prima di passare la mano. Perché questo ritardo? Ci sono due ragioni.
   La prima è il prezzo esagerato che Gantz ha chiesto per l'alleanza: vuole 15 ministri (con 17 deputati sui 75 dell'attuale maggioranza) e anche gli incarichi più importanti (Difesa, Esteri, Giustizia). Il mercato delle poltrone fa parte della politica in tutto il mondo, incluso Israele, ma pretese del genere naturalmente richiedono al Likud e agli altri alleati ad altrettante rinunce, non facili da ottenere.
   La seconda ragione è più importante. Netanyahu e Gantz non sono d'accordo su temi centrali come l'applicazione del piano di pace di Trump (Netanyahu vuole estendere subito la legge israeliana agli insediamenti ebraici principali e alla valle del Giordano, con l'appoggio di Trump, Gantz non è d'accordo, vincolandosi all'accordo coi palestinisti) e la giustizia (Netanyahu vuole garantire l'autonomia della politica nominando giudici meno propensi a violare la divisione dei poteri, Gantz si appoggia sull'attivismo giudiziario).
   In sostanza emerge un dissenso politico reale. L'idea che Gantz e i suoi volessero solo liberare Israele da un leader indagato per corruzione non era vera; in realtà i Bianco-Azzurri volevano riprendere la vecchia politica della sinistra e Gantz, anche senza il condizionamento della sinistra laburista e di Lapid, continua a impersonare una politica subordinata alle vecchie idee (e alla "comunità internazionale" che la maggior parte dell'elettorato rifiuta). Bisogna solo sperare che Netanyahu non ceda troppo alla necessità di un governo di unità nazionale, nel momento in cui sta gestendo molto bene l'emergenza sanitaria e i sondaggi premiano moltissimo il centrodestra. Israele non può permettersi di tornare ai vecchi cedimenti fallimentari dei governi Barak, Sharon, Olmert.

(Shalom, 12 aprile 2020)


Coronavirus: disposta la temporanea sospensione di tutti i voli per Israele

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha disposto che tutti i voli per Israele siano sospesi fino a quando non sarà risolto a livello legale il precedente ordine che impone di trasferire in hotel speciali ogni passeggero in arrivo. Lo hanno indicato fonti governative. "Il primo ministro ha emesso un ordine per fermare tutti i voli per Israele fino a quando non saranno raggiunti accordi legali che autorizzino la precedente disposizione di portare tutti i passeggeri in arrivo in hotel speciali. Gli aerei che sono già partiti per Israele saranno fatti entrare", ha indicato la fonte.
I media locali avevano precedentemente riferito che gli israeliani rimpatriati con voli charter da New York sono andati direttamente a casa senza sottoporsi a controlli medici o auto-isolamento all'interno di alberghi appositamente predisposti.

(Shalom, 12 aprile 2020)


Coronavirus: in Israele 10.878 casi

Da oggi mascherine obbligatorie in strada

Il numero dei casi positivi di coronavirus in Israele è salito a 10.878, mentre i decessi sono stati finora 103. Lo ha reso noto il ministero della sanità. I malati gravi sono 174, il 3,3 per cento in meno rispetto a ieri. In calo anche il numero dei malati in rianimazione che sono adesso 123, quasi il 7 per cento in meno rispetto a ieri.
Da oggi in Israele viene imposto l'obbligo di indossare mascherine protettive per quanti escono in strada, anche se in generale la intera popolazione è chiamata a restare in casa.
Intanto il ministero della finanze ha fatto sapere che sta studiando la possibilità di rimettere in moto gradualmente il mercato, se nelle prossime due settimane sarà stato possibile ridurre in maniera drastica il numero dei contagi.

(ANSAmed, 12 aprile 2020)


L'antisemitismo in Francia si diffonde fra emergenza coronavirus e cospirativismo

di Ilaria Ester Ramazzotti

"È profondamente triste e rivoltante, ma la pandemia del coronavirus ci ricorda come gli ebrei vengano incolpati ogni volta che c'è un'epidemia, oggi o nel 1347", ha dichiarato Marc Knobel, storico del CRIF, Conseil représentatif des institutions juives de France. Lo riporta il Jerusalem Post del 3 aprile.
   L'antisemitismo francese ha una lunga storia, con particolari episodi legati proprio ai casi di epidemia. Nel XIV secolo, nel periodo della peste nera, molti ebrei francesi furono massacrati con l'accusa di aver diffuso la malattia avvelenando i pozzi d'acqua. Nella sola città di Strasburgo, ad esempio, duemila ebrei furono messi al rogo per ordine del consiglio locale, come spiega il libro dello storico Robert Gottfried "La morte nera".
   Oggi, il coronavirus riaccende in Francia quel ceppo di antisemitismo cospirativista. Vediamo a proposito alcuni episodi recentemente accaduti. Nelle ultime settimane, è circolata sui social media francesi una vignetta satirica raffigurante l'ex ministra della salute francese Agnes Buzyn, di origine ebraica, mentre versava veleno in un pozzo, mimando così una delle teorie più diffuse che portarono al verificarsi di pogrom negli anni della peste nera. Un'altra immagina girata sui social sovrappone il volto di Buzyn alla caricatura antisemita del "felice mercante", che mostra in volto un ghigno mentre si strofina i palmi delle mani.
   Ma non è tutto qui. Un video ampiamente condiviso accusa Buzyn e suo marito Yves Levy, anch'egli ebreo, di trattenere per proprio interesse la clorochina, un farmaco antimalarico pubblicizzato da alcuni come possibile antidoto al coronavirus, ma la cui efficacia non è dimostrata. Il video, prima di essere cancellato da You Tube, aveva collezionato 170 mila visualizzazioni.
   I principali media francesi hanno rilevato come le parole antisemite circolate attorno all'ex ministra Buzyn abbiano scatenato un'ondata di retorica antisemita che si riallaccia a vecchi pregiudizi, adattandoli all'argomento oggi più in agenda. Gli stessi antisemiti che "trafficavano" altri tipi di contenuti antisemiti ancora prima dell'emergenza coronavirus, ha specificato Marc Knobel, "hanno riadattato i loro discorsi di odio all'argomento principale della discussione odierna per renderlo più efficace", adottando il tema del virus per diffondere il loro messaggio a un pubblico vasto, spaventato e arrabbiato per via della situazione economica e sociale.
   Sempre su Youtube, lo scrittore e sociologo negazionista della Shoah Alain Soral, ha dichiarato in un video che il virus verrebbe utilizzato dalla "comunità luminare che è vietato nominare" che "vuole piegare la schiena dei francesi indeboliti sotto il peso del bilancio delle vittime". Un'altra affermazione che riecheggia le accuse sporte contro gli ebrei durante il Medioevo. Ma per lo storico Knobel, la portata del video è stata ancora più sorprendente: le sue 406 mila visualizzazioni lo hanno reso il secondo video più popolare sul suo canale YouTube, Kontre Kulture, lanciato otto anni fa. Dieudonne M'bala M'bala, il noto comico francese che ha già ricevuto accuse di antisemitismo a causa dei suoi spettacoli, che è amico di Alain Soral, ha a sua volta trasmesso simili teorie sul suo canale YouTube.
   Ha affermato ancora Marc Knobel che, "l'antisemitismo in Francia sta anche dimostrando quanto la società francese sia fragile, polarizzata e confusa". "Apparentemente non esiste né una cura né un vaccino contro il virus dell'odio antisemita, ed è qualcosa su cui dobbiamo riflettere e che dovremo affrontare anche molto tempo dopo che questo virus sarà sconfitto".

(Bet Magazine Mosaico, 12 aprile 2020)


"Gassateli tutti": sinagoga USA vandalizzata con graffiti nella prima notte di Pasqua

 
In mezzo alla diffusione del coronavirus mortale che ha colpito più duramente gli Stati Uniti, la congregazione di Etz Chayim di circa 60 famiglie ha sospeso i servizi religiosi.
Una sinagoga di Huntsville, in Alabama, è stata vandalizzata durante la notte dall'8 al 9 aprile con graffiti, secondo il Southern Jewish Life Magazine.
La prima notte della Pasqua ebraica, gli autori hanno realizzato graffiti razzisti sulla sinagoga di Etz Chayim, alcuni dei quali recitavano "Gassateli tutti", "Potere bianco", "Feccia Ebrea" e "Holohoax (bufala dell'olocausto)".
I graffiti sono stati successivamente rimossi e il danno è stato riparato da volontari locali.
La polizia sta studiando le riprese dalle telecamere di sicurezza, ma è difficile identificare gli autori a causa del tempo piovoso.
Il sindaco della città ha condannato l'atto antisemita.
"Come città e come comunità inclusiva, siamo vicini ai nostri fratelli e sorelle ebrei e persone di tutte le fedi. Qualsiasi offesa contro uno è un'offesa contro tutti", ha detto il sindaco Tommy Battle in una dichiarazione.
La testata riferisce che la sinagoga non ha tenuto servizi religiosi nelle ultime settimane a causa della pandemia di coronavirus.

(Sputnik Italia, 12 aprile 2020)


Coronavirus: a Gerusalemme imposte 4 'zone rosse'

Il governo israeliano ha istituito oggi all'interno di Gerusalemme quattro 'zone rosse' per limitare la diffusione del coronavirus, dopo che in città si sono registrati 2.000 contagi (su un totale nazionale di 11 mila). Il provvedimento riguarda una parte del centro ebraico della città, nonché rioni abitati per lo più da ebrei ortodossi. Gli abitanti possono uscire dai perimetri decisi delle autorità solo per lavoro o per gravi motivi di salute, ma non possono compiere acquisti in altre aree della città. Questa misura resterà in vigore almeno per i prossimi tre giorni. In precedenza un'altra 'zona rossa' era stata proclamata per la cittadina ortodossa di Bnei Brak (200 mila abitanti), alle porte di Tel Aviv. Il ministro della sanità Yaakov Litzman ha chiarito che le 'zone rosse' sono imposte "per puri criteri medici" nelle località dove il numero dei contagi su 100 mila abitanti sia molto superiore alla media nazionale, quale che sia la loro componente demografica.

(ANSAmed, 12 aprile 2020)



Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
--> Predicazione
Marcello Cicchese
luglio 2017

      Video



Netanyahu sospende collegamenti aerei fino alla risoluzione della disputa sulla quarantena

GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ordinato che tutti i voli per Israele siano sospesi fino a quando la questione della messa in quarantena di tutti i passeggeri in arrivo nel Paese all'interno di hotel speciali non sarà risolta legalmente. Lo ha riferito una fonte del governo di Gerusalemme all'agenzia di stampa russa "Sputnik". "Il primo ministro israeliano ha emesso un ordine per fermare tutti i voli diretti verso Israele fino a quando non saranno raggiunti accordi legali che consentano di portare tutti i passeggeri arrivati nel Paese all'interno di hotel speciali. Gli aerei che sono già partiti per Israele potranno entrare", ha detto la fonte. I media locali hanno precedentemente riferito che gli israeliani che erano rimpatriati con voli charter da New York sono andati direttamente a casa senza sottoporsi a controlli medici o a quarantena all'interno di hotel appositamente preparati.

(Agenzia Nova, 11 aprile 2020)


Polemiche, Netanyahu e Rivlin non rispettano l'isolamento

Polemiche verso i leader che non rispettano l'isolamento e governo in alto mare. Per Israele il periodo difficile non è finito e non è solo legato all'epidemia. Dopo aver chiesto con insistenza alla popolazione di rispettare l'isolamento anche durante l'inizio della Pasqua ebraica, sia il premier Benyamin Netanyahu che il capo dello Stato Reuven Rivlin hanno celebrato mercoledì la ricorrenza con familiari che non abitano con loro. Netanyahu è stato ripreso al tavolo di Pesach col figlio minore Avner, mentre Rivlin ha passato la festa con una figlia. I due hanno dato la loro versione dei fatti, il più sincero è stato il presidente Rivlin; a
80 anni, rimasto vedovo, ha chiesto la compagnia della figlia.
Altri guai invece riguardano la formazione del governo; l'accordo fra Netanyahu e Benny Gantz prevedeva i primi 18 mesi di guida al capo del Likud e il resto all'ex generale, con l'impegno che se l'attuale premier nel suo turno iniziale fosse stato impedito per una ragione qualsiasi - leggasi il processo a suo carico - allora sarebbe toccato a Gantz e non a uno del Likud. Ora sembra che l'accordo sia saltato e il mandato affidato dal presidente Rivlin a Gantz sta per scadere.

(il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2020)


Coronavirus: "Siamo vicini a un vaccino contro il Covid 19 efficace e semplice da usare"

Il vicepresidente di Migal, un istituto di ricerca israeliano: «Abbiamo sviluppato un vaccino che funziona su un coronavirus dei polli. Usiamo una proteina artificiale: il nostro farmaco non dovrà essere iniettato. E soprattutto i tempi di sperimentazione saranno molto brevi».

di Meir Ouziel

Uri Ben-Herzl è vicepresidente di Migal, un istituto di ricerca israeliano che lavora a un vaccino capace di fermare il Covid 19. I laboratori si trovano a Kiryat Shmona, Galilea, in Israele. Cercando informazioni al Ministero della Scienza di Israele su chi lavora ai vaccini anti-coronavirus in Israele mi hanno consigliato di andare a vedere il lavoro che fanno a Kiryat Shmona. Non è stato facile ottenere un colloquio con qualcuno di Migal. E non è il caso di meravigliarsene perché Migal è vicina allo sviluppo del vaccino. Questa è un'intervista esclusiva a La Stampa con Uri Ben Herzl di Migal.

- Il mondo intero sta aspettando la risposta al virus, il vaccino capace di fermarlo: i giornali di mezzo mondo hanno scritto che siete sulla strada giusta strada. Senza rivelare segreti industriali: a che punto siete?
  "Ci lavoriamo da metà febbraio. Circa quattro anni fa abbiamo iniziato a lavorare allo sviluppo del vaccino per un coronavirus che colpisce i polli, e ci siamo riusciti. In questi quattro anni, il nostro gruppo di ricerca - un team interdisciplinare - ha imparato molto sui modi in cui ci si può difendere da un virus di questo tipo. In questi giorni stiamo modificando il vaccino che ha funzionato con i polli per adattarlo agli esseri umani".

- Esiste la possibilità di ricevere risposte chiare in tempi rapidi? E quando?
  "Come abbiamo più volte sottolineato, il limite non sono i tempi della ricerca ma quelli della regolamentazione. Bisogna fare in modo che il vaccino venga approvato dalle autorità sanitarie, bisogna essere sicuri che rispetti tutte le norme. A livello di sviluppo e ricerca siamo molto avanti, anche se il lavoro non è ancora finito. Vediamo buoni risultati secondo. Entro poche settimane dovremmo essere in grado di cominciare i primi testi sugli esseri umani".

- Se non ci fossero regolamentazioni, insomma, tra qualche settimana potreste dire: ecco, questa è la nostra soluzione? Sta dicendo che siete in grado di produrre un vaccino che secondo voi è la soluzione?
  "Sì, ma c'è anche una serie importante di esperimenti da fare. Da un lato per dimostrare che il vaccino è sicuro, dall'altro per dimostrare che è negli esseri umani è efficace come lo è stato per i polli. Il nostro vaccino è più sicuro di altri vaccini comunemente usati per le malattie virali. Si assume per bocca".

- Il vostro vaccino non verrà iniettato?
  "Corretto. E questo è un vaccino del tipo chiamato sub units, una proteina sintetica che imita le parti attive del virus. Una sorta di finto virus che innesca la risposta del corpo umano e attiva il sistema immunitario. Così se una persona viene attaccata dal virus vero il sistema immunitario saprà già che cosa deve combattere e sarà in grado di attaccare, immunizzandosi. La risposta immunitaria sta andando come previsto. Siamo molto fiduciosi perché nel caso del virus dei polli abbiamo avuto un'esperienza estremamente positiva. Teniamo presente che il coronavirus è nuovo per gli esseri umani. Nessuno ha ancora il modello giusto di test per verificare se il vaccino che sta studiando può funzionare con gli uomini. Noi ci andiamo molto vicini grazie al nostro lavoro sui polli: ecco un vaccino che funziona contro un coronavirus molto simile al Covid 19".

- Cosa pensate degli altri gruppi che, nel mondo, esplorano questa strada? Siete in contatto?
  "In Migal incoraggiamo fortemente le collaborazioni, rispondiamo a inviti a collaborazioni, siamo aperti all'industria e ad altri enti di ricerca. Anche in questo caso, dal momento in cui abbiamo annunciato che stavamo lavorando al vaccino, abbiamo avuto contatti da agenzie private, industriali, di ricerca, governative e non governative. Abbiamo parlato con tutti per capire se c'era davvero una ragione per collaborare. In alcuni casi abbiamo trovato risposte e fatto progressi, in altri deciso che non c'era motivo di lavorare insieme".

- È una collaborazione scientifica? Ovviamente c'è anche una cooperazione commerciale, ma sono più interessato all'aspetto scientifico.
  "La ricerca è iniziata proprio da una collaborazione tra noi e i ricercatori dell'Istituto israeliano di veterinaria. Abbiamo avuto scambi con ricercatori di tutti i campi: con scienziati che lavorano nell'industria e con scienziati che hanno ruoli nella ricerca e ci consigliano come si affrontano i casi di questo e quel paziente in ambulatorio, nella pratica. Abbiamo discusso di quali fossero gli esperimenti giusti per procedere".

- Quanti dipendenti lavorano al vaccino per il Covid 19?
  "Sono circa 20 persone".

- Lavorate moltissimo, immagino: e lo stress? Somiglia a una gara?
  "Sì, è così dal momento in cui ci siamo resi conto che c'era un problema importante e sapevamo che avremmo potuto trovare una soluzione. Proprio all'inizio della pandemia un istituto di ricerca francese ha pubblicato per la prima volta la prima sequenza del virus Covid 19 e noi ci siamo resi conto che esiste una somiglianza alta tra il virus per cui abbiamo trovato il vaccino e quello nuovo che attacca gli umani. In quel momento abbiamo deciso di modificare il nostro vaccino. Da quel giorno abbiamo lavorato senza sosta, giorno e notte: le persone si scambiano le e-mail con i risultati alle tre di notte, è molto eccitante".

- Johnson&Johnson ha annunciato che presto avrà una soluzione. Vi chiedete cosa succederebbe se qualcuno vi precedesse?
  "Prima di tutto: siamo felici se qualcuno trova una soluzione. La situazione è troppo pericolosa, se qualcuno fa prima di noi saremo felici. Il nostro vantaggio però è significativo: sempre più persone nel nostro settore sono interessate alla nostra soluzione, ci dicono che è innovativa sotto molti punti di vista. Riteniamo che sia la più sicura sia perché viene somministrata per via orale sia perché stiamo parlando di proteine sintetiche e non di un virus indebolito o ucciso. La nostra è proprio un'altra forma di vaccino, il nostro vantaggio in termini di sicurezza è molto grande. Questo ci aiuterà anche ad abbreviare i tempi della sperimentazione sugli esseri umani".

- Sarà anche più facile vaccinare: non serve un'infermiera.
  Per quanto riguarda la somministrazione ci sono altri vantaggi, anche questi enormi. Puoi inviare il vaccino in posti molto lontani, le persone non hanno bisogno di andare in ospedale. Si stima che ci siano oltre 50 aziende o istituti di ricerca che stanno cercando di trovare un vaccino. Una piccola parte ha già avviato test sugli esseri umani, ma come ho detto ciò che conta è quanto deve durare l'esperimento e cosa deve dimostrare. Se una società pensa di iniettare un virus in vena, suppongo che le autorità sanitarie richiederanno prove per cui servirà molto più tempo.

- Può spiegare cosa sono le sub unit?
  "Unità della proteina virale sintetizzate artificialmente. Come la proteina un di integratore alimentare che mangi. La sub unit è un frammento della proteina che rappresenta la parte attiva del virus".

- Ci racconti qualcosa su di lei.
  "Vengo dallo studio delle piante. Mi sono laureato con lode in Scienze delle piante e biotecnologia alla Facoltà di Agraria della città di Rehovot (sempre in Israele), e da allora ho lavorato come dirigente sviluppando aziende legate all'agricoltura, alle sementi, all'agritech. Negli ultimi anni, ho gestito un centro di ricerca e sviluppo per un'azienda tecnologica negli Stati Uniti. Circa 10 mesi fa sono tornato con la mia famiglia dagli Stati Uniti: da St. Louis alla Galilea, in Israele".

- Quanti anni ha?
  "Ho 41 anni".

- In che modo gli umani riceveranno il vaccino quando sarà pronto?
  "Gocce. Qualche goccia sotto la lingua, e basta".

- Vi auguro un grande successo. Tutta l'umanità sta aspettando questo successo.

(Il Secolo XIX, 10 aprile 2020)


Palestinese arrestato da Hamas: aveva parlato con israeliani

ROMA - Medio Oriente: Hamas arresta palestinese per aver parlato con israeliani su Zoom - Gli agenti della sicurezza del movimento palestinese Hamas, hanno arrestato un uomo a Gaza con l'accusa di "tradimento" per aver partecipato a una videoconferenza su Zoom con degli israeliani. Si tratta di Rami Aman, secondo quanto dichiarato dal ministero dell'Interno di Gaza, sotto il controllo di Hamas dal 2007. Aman è un giornalista freelance ed è membro del Comitato giovani di Gaza. La videoconferenza, intitolata "Incontra gli attivisti di Gaza", sarebbe avvenuta lunedì e sarebbe stata organizzata da attivisti israeliani. Il portavoce del ministero dell'Interno, Eyad al Boom, ha dichiarato: "Svolgere attività o mantenere contatti con l'occupante israeliano con qualsiasi copertura è un crimine punito dalla legge e rappresenta un tradimento per la nostra gente e il loro sacrificio".

(Agenzia Nova, 10 aprile 2020)



Israele - Angoscia nella case di riposo dove il virus è in agguato

Per gli anziani di Israele le case di riposo si sono trasformate da isole di serenità in luoghi di pericolo. Molte hanno un aspetto esteriore gradevole e nomi di carattere distensivo. Ma ora gli ospiti vivono nell'angoscia. E la stampa rivela con indignazione che un terzo dei decessi avutisi finora per coronavirus (31 su 93) riguardano appunto loro, i fondatori dello Stato e spesso anche sopravvissuti alla Shoah.
   Che la malattia incombesse su di loro lo aveva avvertito, già il 17 marzo, il premier Benyamin Netanyahu. "State in casa - aveva detto parlando alla Nazione. - Non andate al mare, né ai parchi, né a visitare il nonno e la nonna. Questo non è il momento. Per proteggere il nonno e la nonna bisogna astenersi dal visitarli". Già quel giorno un primo caso di coronavirus era stato rilevato in una casa di riposo di Gerusalemme. Poi anche a Beer Sheva, nel Sud. Quindi a Yavneel, in Galilea. Poi a Jaffa, presso Tel Aviv. Un ospite contagia l'altro ed il bollettino dei decessi si allunga. Quando in una casa di riposo si hanno oltre dieci vittime i congiunti di alcuni ospiti cercano di forzare l'ingresso e di prelevare i loro cari a forza. Quindi, lo scambio di accuse. I responsabili degli ospizi dicono di non aver ricevuto istruzioni chiare dal ministero della sanità.
   Quando infine cominciano a fare test, lamentano che i risultati arrivano con ritardo. Le famiglie però non accettano scuse e preparano adesso una battaglia legale. "Quegli anziani meritavano una fine più dignitosa" scrivono alcuni commentatori. "Certo non dovevano chiudere gli occhi in totale isolamento, lontano dai cari, senza che alcuno tenesse loro la mano".

(ANSA, 10 aprile 2020)


Il virus e le convergenze tra Israele e Turchia

di Emanuel Pietrobon

La necessità straordinaria di combattere la pandemia sta spingendo alla collaborazione anche paesi che in tempi normali e ordinari sono divisi, rivali naturali in competizione per il dominio su regioni di interesse comune. È accaduto con Russia e Stati Uniti e, adesso, anche con Turchia e Israele.

 L'ok turco alla richiesta di aiuto
  La realpolitik non conosce tregua e questo è vero soprattutto se gli argomenti di cui si scrive sono Turchia ed Israele, due paesi le cui politiche estere sono estremamente lucide e pragmatiche. I rapporti bilaterali sono ufficialmente in piedi, ma non è la collaborazione, quanto la tensione, il loro elemento caratterizzante.
  Libia, Mediterraneo orientale e questione palestinese; sono diverse le aree di conflitto che rappresentano ragione di scontro per Ankara e Tel Aviv, ma l'esplosione della pandemia ha spinto le dirigenze a mettere temporaneamente da parte le rivalità e a raggiungere un compromesso basato sull'elementare do ut des.
  Il governo israeliano ha chiesto di poter comperare diversi lotti made in Turkey di beni igienico-sanitari come mascherine, tute protettive, e guanti sterili, ed il governo di Ankara ha accettato - ma ad una condizione: che sia permesso il transito "senza intoppi" ad una spedizione umanitaria turca diretta nei territori palestinesi, anch'essi duramente colpiti dal Covid19.
  Le autorità israeliane hanno acconsentito alla richiesta turca e, nella giornata di giovedì, tre aerei sono volati da Tel Aviv con destinazione la base militare di Incirlik per ritirare la merce acquistata. Nei prossimi giorni, invece, terminerà l'allestimento del carico per i territori palestinesi. A quel punto, Ankara notificherà a Tel Aviv sullo stato della donazione, nell'aspettativa che il favore venga ricambiato.

 L'emergenza sanitaria nei territori palestinesi
L'ultimo bollettino del ministero della salute, pubblicato il 9 aprile, è di 263 casi accertati, un decesso, e nessun nuovo infetto. La situazione, quindi, non sembra essere allarmante in termini numerici; ciò nonostante le strutture sanitarie di Gaza e della Cisgiordania sono già al collasso e carenti di strumentazione idonea.
  Secondo l'agenzia di stampa turca Anadolu, sarebbero già stati consumati il 43% dei medicinali, il 25% del materiale igienico-sanitario ed il 65% delle scorte di laboratorio e banche del sangue. Le autorità palestinesi hanno, perciò, fatto un appello per avere almeno 100 ventilatori polmonari e 140 posti letto in terapia intensiva, oltre che beni come mascherine e tute protettive.
  All'appello, oltre alla Turchia, ha risposto anche l'Unione Europea, che nella giornata di ieri ha annunciato la predisposizione di un pacco di aiuti da 71 milioni di euro, destinato agli ospedali palestinesi.

(Inside Over, 10 aprile 2020)


Pasqua ebraica sotto chiave. Ultraortodossi più contagiati

di Ettore Bianchi

Celebrazioni per l'inizio della Pasqua ebraica (dall'8 al 16 aprile) sotto chiave in Israele. E' la prima volta per lo Stato ebraico nel confinamento a causa della pandemia di Covid-19. Gli israeliani hanno festeggiato, mercoledì 8 aprile, l'inizio di Pesach chiusi in casa in conseguenza del lockdown e del coprifuoco imposti da Benjamin Netanyahu a partire dalle 15 di mercoledì, per evitare l'aggravarsi del rischio di contagi da coronavirus. Fino a ieri, nel Paese si contavano oltre 9.750 casi, in aumento costante, e 90 decessi. Durante la sera di Pessah, la tradizione vede le famiglie riunire tutti i parenti per la cena di Seder con numerosi invitati a tavola. Proprio per evitare questo viavai Israele è stata messa sotto chiave. Ieri mattina, però, il coprifuoco è stato revocato, anche se sono rimaste in vigore, fino a stamani, alcune misure restrittive come il divieto di spostarsi da una località all'altra. I trasporti pubblici rimarranno fermi fino a domenica mattina e i voli potranno operare solamente su autorizzazione del governo. Inoltre, da domenica tutti gli israeliani dovranno coprirsi con una mascherina o una sciarpa per uscire di casa (al massimo per cento metri vicino alla propria abitazione), ma, in realtà, gli israeliani devono rispettare l'obbligo di restare a casa. Uniche eccezioni: andare a fare la spesa, in farmacia o all'ospedale.
   La dimensione religiosa è molto presente nella crisi sanitaria in Israele. I principali focolai della pandemia, alcuni quartieri di Gerusalemme, Bnei Brak, una citta dell'hinterland di Tel Aviv e altre località ultraortodosse, sono tagliati fuori dal resto del mondo, mentre l'esercito è schierato per prestare aiuto ai contagiati, secondo quanto ha riportato Le Figaro. La maggioranza dei malati sono ultraortodossi perché vivono spesso nei propri quartieri e hanno cominciato tardi a prendere misure di protezione per il contenimento del contagio.

(ItaliaOggi, 10 aprile 2020)


Il «modello Israele» si basa sul sistema anti-terrorismo

di Michele Giorgio

Non è ben chiaro a cosa si riferissero i media italiani quando qualche settimana fa raccontavano del «metodo israeliano» per contrastare la diffusione del coronavirus e attenuarne i riflessi, altrimenti devastanti, per l'economia. Quel «metodo» non si è visto. Di fronte ai numeri del contagio in rapida crescita nel paese, il premier Netanyahu ha adottato il «metodo italiano», o «cinese», ordinando alla popolazione di restare in casa. Ha fermato buona parte delle attività economiche, ha proibito le attività pubbliche (incluse le preghiere), ha dichiarato «zone rosse» alcune aree e la città di Bnei Brak, popolata da circa 200mila ebrei ultraortodossi, e ha anche ordinato un coprifuoco, tra il pomeriggio dell' 8 aprile e la mattina del giorno successivo. E Netanyahu, come altri capi di governo, non ha mancato neanche di ordinare a polizia ed esercito di imporre, anche con la forza, il rispetto delle misure restrittive.
   Tuttavia, tra le misure straordinarie anti-coronavirus, una senza alcun dubbio è un «metodo israeliano». A metà marzo Netanyahu ha annunciato la decisione, senza portarla prima all'attenzione della Knesset, di consentire al «sistema antiterrorismo» dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno) di monitorare i possessori di smartphone, per ricostruire i movimenti di coloro a cui viene diagnosticato il virus e con chi sono venuti in contatto, nonché di garantire che le persone rispettino la quarantena e le regole di autoisolamento.
   Grazie a questo controllo il ministero della Salute è in grado di avvisare una persona che ha avuto contatti con un positivo e metterla in quarantena o convocarla per il test del tampone. Non sono mancate le proteste da parte di chi vi ha visto un pesante attacco alla privacy dei cittadini e il tentativo di un premier, atteso da un processo per corruzione, frode e abuso di potere, di provare a scardinare il «carattere democratico di Israele». Polemiche ha sollevato anche la voce di un possibile coinvolgimento dell'azienda israeliana di spionaggio elettronico Nco, divenuta nota per aver fornito ai servizi segreti di vari paesi ( anche arabi) lo spyware Pegasus per seguire i movimenti e i contatti di oppositori politici e attivisti dei diritti umani.
   La pressione ha spinto Netanyahu a formare una commissione ministeriale per monitorare le attività di controllo svolte dallo Shin Bet e dalla polizia. Un passo seguito alle rivelazioni fatte del giornale Yediot Ahronot sullo Shin Bet che ha accesso a un'enorme banca dati con informazioni raccolte su tutte le comunicazioni elettroniche effettuate in Israele. Nota come «Lo Strumento», la banca dati include anche le telefonate e l'utilizzo del web nel paese. I server e le compagnie di telefonia mobile devono, per legge, condividere i registri sulla durata delle chiamate, le loro posizioni e l'uso di internet. Pare che lo Shin Bet non riceva informazioni su ciò di cui la gente parla ma ottiene i dati su dove si trovava, chi ha chiamato e per quanto tempo. Sa inoltre quali siti si visitano e per quanto tempo ma non il contenuto che si sceglie. Le cose stanno davvero così? I dubbi sono forti. Comunque sia lo Shin Bet, non appena è stato revocato lo stop ordinato dai giudici della Corte suprema dopo i ricorsi presentati da varie parti, si è messo al lavoro e alla fine di marzo ha fatto sapere di aver individuato 500 persone positive al coronavirus e ricostruito i movimenti e i contatti avuti con altri cittadini.
   «Israele è una democrazia e dobbiamo mantenere l'equilibrio tra i diritti civili e le esigenze del pubblico», ha assicurato Netanyahu. Ma le proteste di intellettuali, attivisti dei diritti civili ed opinionisti non si placano. In ogni caso questa levata di scudi non tiene conto del fatto che la sorveglianza elettronica, per «combattere il terrorismo», è usata regolarmente dallo Shin Bet e dall'Unità 8200 dell'esercito per conoscere i particolari, anche quelli più intimi, della vita di milioni di palestinesi nei Territori occupati, i quali, evidentemente, non hanno diritto alla privacy.

(il manifesto, 10 aprile 2020)


Prigionieri e respiratori per i resti di due soldati: dialogo Hamas-Israele

Trattativa in vista tra il governo Netanyahu e quello di Gaza che chiede il rilascio di donne e bambini ed equipaggiamento medico.

di Michele Giorgio

GERUSALEMME - «Non c'è al momento una trattativa, siamo in una fase preliminare, però abbastanza concreta». Il giornalista di Gaza Aziz Kahlout commenta così le notizie secondo cui l'emergenza coronavirus potrebbe favorire un nuovo scambio di prigionieri fra Hamas e Israele, a nove anni dalla scarcerazione di mille detenuti politici palestinesi, quasi tutti dirigenti e militanti del movimento islamico, approvata dal premier di destra Netanyahu in cambio della liberazione del soldato israeliano Ghilad Shalit catturato a Gaza nel 2006. «È una storia complessa - spiega Kahlout -. Le condizioni create dalla pandemia sembrano aver reso più duttili le posizioni di Israele, che dopo Shalit aveva escluso un altro scambio, e quelle di Hamas che per anni ha chiesto prima di ogni altra cosa il rilascio dei palestinesi liberati nello scambio del 2011 e arrestati di nuovo (da Israele). Ora le due parti avanzano idee meno rigide».
   La diffusione del coronavirus in Israele (circa 10mila contagi, 79 decessi) e il rischio concreto che la Striscia di Gaza possa diventare un focolaio, sono tra i motivi principali che hanno o avrebbero spinto il leader di Hamas, Yahya Sinwar, a inviare una proposta ad Israele, tramite l'Egitto, con l'approvazione delle Brigate Ezzedin al Qassam, l'ala militare del movimento islamico.
   In una prima fase Hamas proporrebbe la liberazione di donne, minori e anziani palestinesi detenuti in Israele per proteggerli dal virus, in cambio di informazioni sui resti di due soldati morti nella guerra del 2014, Hadar Goldin e Oron Shaul. In più chiede che Israele faciliti l'ingresso a Gaza di macchinari, respiratori, letti e strumenti per la terapia intensiva essenziali per assistere al meglio gli ammalati più gravi tra quelli colpiti dal Covid-19. Sino a ieri i contagi erano solo 13 ma le strutture sanitarie di Gaza sono precarie e poco equipaggiate. Mercoledì un portavoce del ministero della sanità ha comunicato l'impossibilità di eseguire nuovi tamponi per la mancanza dei kit per i test.
   «Per ora Sinwar non fa riferimento ad Avera Mengistu e Hisham Sayed», precisa Aziz Kahlout riferendosi all'ebreo etiope e al beduino palestinese, entrambi cittadini israeliani ed entrati per errore a Gaza, che sono tenuti prigionieri da Hamas. «Sinwar procede un passo alla volta, convinto di dover ottenere qualcosa di molto rilevante da Israele a ogni sua concessione», aggiunge il giornalista. Se il capo di Hamas a Gaza abbia fatto i conti giusti è difficile dirlo. Sinwar evidentemente crede a quella che i palestinesi definiscono «una finestra di opportunità».
   In effetti Israele comincia a prendere in considerazione la trattativa. Martedì Netanyahu ha detto che il governo è pronto «ad azioni costruttive» per riportare in patria cittadini e resti dei soldati uccisi trattenuti a Gaza. Già nel 2009 Israele liberò 20 detenute palestinesi in cambio di un video di Shalit. E altrettanto il premier potrebbe fare ora per ottenere notizie concrete dei due israeliani prigionieri a Gaza. D'altronde Netanyahu sa che Sinwar fa sul serio quando parla di trattativa ed è altrettanto serio quando minaccia Israele. «Se i nostri malati di coronavirus non potessero respirare (per la mancanza di attrezzature mediche causata dal blocco israeliano di Gaza, ndr) - ha avvertito qualche giorno fa il capo di Hamas - faremmo in modo che anche sei milioni di israeliani non possano respirare».
   Sull'ipotetico scambio di prigionieri grava la crisi politica israeliana. A distanza di un anno dalle prime delle tre infruttuose elezioni tenute in 11 mesi, in Israele non c'è ancora un governo. Si è allontanato anche l'esecutivo di emergenza, con Netanyahu e il capo dell'opposizione Benny Gantz insieme, che pure sembrava cosa fatta a inizio settimana. E si riparla di nuove elezioni.

(il manifesto, 10 aprile 2020)


La crisi politica israeliana è più forte del coronavirus

Dopo l'ipotesi di un accordo tra Gantz e Netanyahu per un governo di unità nazionale per affrontare l'emergenza, lo scontro sulla magistratura ha di nuovo fatto saltare il banco.

di Carlo Panella

Persino il Covid 19 fatica a obbligare Israele a quella soluzione della crisi di governo che pareva avere imposto con la sua spietata legge. Il 26 marzo scorso sembrava tutto fatto: Benny Gantz, premier designato, aveva infatti annunciato all'improvviso e in rottura persino con i suoi alleati, di avere stretto un accordo con Bibi Netanyahu per la formazione di un governo di unità nazionale. Il Covid 19, caso unico al mondo, pareva essere riuscito a obbligare i due rissosissimi contendenti a trovare quella soluzione politica che era sempre mancata e aveva obbligato a ben tre elezioni consecutive in dieci mesi. La svolta radicale di Gantz era tale da concedere a Netanyahu addirittura la premiership del governo per i primi 18 mesi per poi passargli la staffetta. Dunque, l'abbandono addirittura della fondamentale pregiudiziale che aveva distinto Gantz per ben tre tornate elettorali circa l'impossibilità proclamata e radicale di avere un premier sottoposto a processo, come appunto è Netanyahu.

 La svolta di Gantz
  Una svolta radicale e del tutto solitaria che è costata a Gantz l'uscita rumorosa dalla sua coalizione Bianco e Blu del partito di Yair Lapid, indisponibile a sostenere il nuovo compromesso. Ma la politica in Israele continua ad essere convulsa e persino il Covid 19 pare non essere in grado di incanalarla. Il 7 aprile infatti il tavolo dell'accordo tra Gantz e Netanyahu è clamorosamente saltato. Proprio mentre Israele si accingeva - unico Paese al mondo- a essere addirittura sottoposto ad un rigido coprifuoco nella notte tra mercoledì e giovedì per impedire che le celebrazioni della Pesach, la Pasqua ebraica, favorissero il contagio, Gantz ha infatti annunciato la rottura delle trattative col Likud e ha chiesto al presidente della repubblica Rivlin una proroga dell'incarico sino a lunedì 13 aprile.

 Lo scontro sulla magistratura
  La rottura è avvenuta sullo scivolosissimo tema della nomina dei magistrati dell'accusa (i procuratori in Israele, secondo il sistema della Common Law sono di nomina governativa), punto cruciale per lo stesso processo contro Netanyahu. Questo, dopo che pure era stato trovato un accordo di governo sullo scabroso tema della annessione dei Territori palestinesi della valle del Giordano e delle colonie. Accordo che pareva impossibile.

 Quasi 10 mila contagi
  Dunque, nonostante 9.404 contagiati e 72 morti, nonostante le zone rosse imposte nei quartieri degli haredim (gli ebrei ortodossi, refrattari in Israele come a New York ad accettare addirittura la natura umana e non divina della pandemia), persino il Covid 19 fatica a imbrigliare la più riottosa dinamica politica di un Paese dalla democrazia febbricitante. Nell'attesa di nuovi colpi di scena.

(Lettera43, 9 aprile 2020)


Rimandato il 19° Raduno EDIPI

COMUNICATO STAMPA

Il 19° Raduno EDIPI con il relativo convegno in occasione del 100° anniversario della Risoluzione di Sanremo non si farà nella data prevista del 25 e 26 aprile. Abbiamo concordato con il presidente del Gruppo Sionistico Piemontese, Emanuel Segre Amar, di spostare l'evento nel mese di novembre e precisamente il 28 e 29, rappresentando appunto un'altra data significativa per Israele: quella della risoluzione ONU 181 del 29 novembre 1947.
   Il motivo è ovviamente quello dell'emergenza sanitaria in corso in quanto non sussistono le condizioni per garantire la sicurezza degli staff organizzativi di EDIPI e del Gruppo Sionistico, dei partecipanti (alcune decine già iscritti) e dei relatori, e, di conseguenza, la serenità del lavoro di tutte le persone coinvolte per la realizzazione dell'evento.
   Con la decisione di spostare l'incontro a novembre il titolo del convegno subirà una piccola modifica: "Dalla Dichiarazione di Sanremo alla risoluzione dell'ONU del 29 novembre 1947: la gestazione travagliata per la nascita dello Stato di Israele".

(EDIPI, aprile 2020)


L'apparecchio che predice l'evoluzione della polmonite da Covid-19

Il macchinario del dispositivo è prodotto dagli israeliani di Sensible Medical Innovations e fornito a titolo gratuito all'ospedale regionale di Torrette di Ancona.

di Michele Romano

Si chiama Remote Dielectric Sensing (ReDs) il dispositivo in fase di sperimentazione presso l'ospedale regionale di Torrette di Ancona, oggi l'unità Covid-19, è potenzialmente in grado di predire l'evoluzione clinica della patologia misurando la percentuale di liquidi presente nel tessuto polmonare. Si tratta della prima sperimentazione al mondo, nel contesto clinico della polmonite da coronavirus, voluta da Stefano Gasparini, ordinario di malattie dell'apparato Respiratorio presso l'università Politecnica delle Marche. Il macchinario è prodotto dagli israeliani di Sensible Medical Innovations e fornito a titolo gratuito al reparto di pneumologia diretto da Lina Zuccatosta.
   È in grado di rilevare mediante onde elettromagnetiche la quantità di liquidi presente in una determinata regione del polmone, mostrando un'eccellente correlazione con la tomografia computerizzata del torace , ed è stato, ad oggi, testato e validato unicamente nello scompenso cardiaco.
   Il dispositivo israeliano in fase di sperimentazione "non è invasivo ed è sicuro", ha spiegato il direttore generale dell'azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Ancona, Michele Caporossi. Viene utilizzato sulla base di un protocollo sviluppato da Martina Bonifazi, professore associato di malattie dell'apparato respiratorio presso la Politecnica, in pazienti con polmonite da coronavirus, "ricoverati presso l'unità Covid-19 pneumologica al momento dell'ingresso in reparto e longitudinalmente nel periodo di degenza, al fine di misurare la variazione giornaliera della percentuale di liquidi nel tessuto polmonare e potenzialmente predire l'evoluzione clinica della stessa".
   "Nella patogenesi della polmonite da coronavirus, gioca un ruolo fondamentale l'accumulo nell'interstizio polmonare (da qui la denominazione polmonite interstiziale) di conglomerati di cellule polmonari danneggiate, secrezioni, edema e sangue - ha spiegato - la maggior parte delle quali si presentano in stato liquido".
   La tecnologia utilizzata dagli israeliani, basata sull'analisi di radiofrequenze che attraversano il polmone, è derivata da sistemi radar militari e "ci può dare informazioni essenziali in tempi rapidi e senza rischi per il paziente, sulla quantità di fluido accumulato nel polmone e quindi sull'entità del coinvolgimento del tessuto polmonare all'esordio e nel decorso clinico".
   La prima fase della valutazione sarà volta a verificare l'accuratezza dello strumento in questo contesto confrontandola con immagini radiologiche standard ed ecografiche e, successivamente, seguirà una seconda fase nella quale se ne esplorerà il potenziale prognostico e di monitoraggio evolutivo.
   "In questa fase di assoluta emergenza, più che mai - ha spiegato Caporossi - è importante poter disporre di dispositivi rapidi, affidabili, e di alto livello tecnologico che da un lato semplifichino la complicata gestione di questi pazienti e dall'altro ci forniscano anche importanti elementi per cercare di comprendere tutti gli aspetti patogenetici della malattia ed il loro ruolo nell'evoluzione nelle forme più severe, in modo da poter ottimizzare l'approccio terapeutico nel più breve tempo possibile e vincere questa guerra in un connubio indissolubile, che è quello tra ricerca ed assistenza".

(AGI, 10 aprile 2020)


Usa-Israele: Pompeo ribadisce a Netanyahu l'impegno sulla sicurezza

GERUSALEMME - Il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, ha ribadito al primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, l'impegno "irremovibile" di Washington per la sicurezza di Israele. Lo ha scritto su Twitter il capo della diplomazia Usa. Inoltre, le parti hanno discusso degli sforzi congiunti per mitigare la diffusione del nuovo coronavirus. "Abbiamo anche discusso del comportamento destabilizzante dell'Iran nella regione", ha aggiunto, ricordando che gli Usa resteranno "sempre con Israele". L'ufficio del primo ministro non ha rilasciato alcuna nota, come fa notare il quotidiano israeliano "The Times of Israel". Nel paese, infatti, da ieri sera sono in corso i festeggiamenti della Pasqua ebraica. Il colloquio, inoltre, avviene mentre alcuni attori internazionali chiedono agli Usa di alleggerire le sanzioni imposte all'Iran, il paese più colpito dalla Covid-19 del Medio Oriente.

(Agenzia Nova, 9 aprile 2020)


Le comunità ultraortodosse israeliane hanno contribuito alla diffusione del Covid-19

 
Israele sta tentando di contenere la diffusione del coronavirus per via del quale sono già morte più di 40 persone e più di 7000 sono ricoverate.
   Poiché il numero di casi è in continuo aumento, Israele ha adottato nuove misure tra cui la messa in quarantena di alcune città e aree considerate l'epicentro della diffusione del virus, nonché la chiusura di strade e snodi che portano a dette città.
   Una di queste aree è Bnei Brak, città a est di Tel Aviv popolata da ebrei haredim: è la seconda città dopo Gerusalemme per numero di contagiati.
   Stando ai dati ufficiali, i pazienti a cui è stato diagnosticato il coronavirus sono già più di 1000 e si teme che nel centro abitato più densamente popolato in Israele questi numeri possano crescere vertiginosamente nell'arco di pochi giorni.
   Ragioni della diffusione
   La densità di popolazione di Bnei Brak è ben lungi dall'essere l'unica causa della situazione attuale. Stando a quanto dichiarato da David Rose, direttore internazionale di ZAKA, organizzazione di volontari impegnati nel contrasto a situazioni di emergenza, una causa ulteriore sarebbe la peculiare natura delle comunità haredim.
"Anzitutto, stiamo parlando di famiglie numerose con 6 o 7 figli che vivono in piccoli bi- o trilocali. Dunque, rimanere tutto il tempo in casa è quasi impossibile. E poi, a differenza della popolazione che riceve regolarmente le ultime notizie via telefono, radio o tv, la comunità haredim non dispone di questi mezzi. Per questo, riceve le notizie con un certo ritardo".
Le comunità ultraortodosse sono contro l'utilizzo di smartphone e televisori i quali, a loro avviso, diffondono informazioni e contenuti impropri.
   Di conseguenza, quando a inizio marzo le autorità israeliane hanno cominciato ad adottare misure, quali il divieto di svolgimento di eventi pubblici con più di 2000 partecipanti, a Bnei Brak e altre città le comunità ultrareligiose hanno continuato a vivere come se niente fosse, ignare di cosa stesse succedendo.
   Ad esempio, a inizio marzo 1000 ebrei ultraortodossi sono scesi per le strade di Bnei Brak per festeggiare Purim, la festività che ricorda la salvezza del popolo ebraico. A fine mese, invece, centinaia di persone hanno partecipato ai funerali di un rabbino, evento che ha suscitato l'ira di molti israeliani i quali hanno accusato la comunità haredim di contribuire alla diffusione del virus.
   Tuttavia, secondo Rose, una delle cause è stata l'assenza di una comunicazione basilare tra gli enti governativi israeliani e i rabbini che governano le comunità ultraortodosse.
   Osservando la Torah, le comunità haredim non obbediscono alle indicazioni del governo laico israeliano e preferiscono seguire i dettami dei propri leader spirituali che però hanno trasmesso il messaggio troppo tardi.

 Un ritardo eccessivo
  Solo una settimana fa il leader della comunità ultraortodossa lituana a Bnei Brak, Chaim Kanievsky, ha invitato i propri fedeli a osservare strettamente le norme di igiene personale, a mantenere una distanza di 2 metri gli uni dagli altri, a non frequentare le sinagoghe e a non lasciare le proprie abitazioni se non in casi di estrema necessità. Il rabbino ha altresì avvertito che chiunque non osservi le regole sarà considerato un rodef o comunque una minaccia per la comunità.

 Volontari di ZAKA in Israele
  Sapendo che la decisione del rabbino sarebbe potuta giungere alle comunità con grande ritardo, alcune centinaia di volontari di ZAKA hanno deciso di non starsene a sedere con le mani in mano e hanno cominciato a diramare le dichiarazioni del leader religioso unitamente alle norme emanate dalle autorità israeliane facendosi largo tra le stradine di Bnei Brak.
Secondo Rose, questa misura ha avuto successo. "Quando arrivavamo, le persone si avvicinavano, ascoltavano e facevano domande. Capita la gravità della situazione, hanno smesso di fare ciò che stavano facendo e sono rientrati subito nelle proprie case".
Il problema è che, intanto che gli ebrei ultraortodossi hanno capito la gravità del problema, "il virus è già penetrato nelle comunità haredim", sostiene Rose.
Stando alle stime, circa il 30% dei 200.000 abitanti di Bnei Brak è già stato contagiato e si prevede che nei prossimi giorni questo numero aumenti. Le autorità continuano a monitorare la situazione nella città.
   Di concerto con il Ministero della Salute, ZAKA sta tentando di identificare il posizionamento dei contagiati e di mettere in guardia circa i rischi di questa malattia.
   Tuttavia, il buon esito degli sforzi finalizzati al contenimento della pandemia è ostacolato dal fatto che all'interno della comunità haredim sono comunque presenti fattori che non favoriscono l'osservanza delle norme.
   Alcuni giorni dopo le dichiarazioni del rabbino la polizia ha multato dei soggetti che facevano la fila nei supermercati della zona senza mantenere la distanza di 2 metri. Le maggiori sanzioni sono state comminate a quegli esercizi commerciali che hanno continuato a tenere aperto nonostante i divieti.
   Tuttavia, Rose ritiene che siano più gli osservanti delle norme che gli inosservanti.
"Il 90% della popolazione ha recepito in maniera seria gli inviti del governo e dei leader religiosi. Le strade al momento sono per la maggior parte vuote, le persone lasciano le proprie case solo se necessario", ha confermato l'esperto aggiungendo che vi sono comunque ancora piccoli gruppi di persone contrarie a queste misure. "La Torah ci insegna che dobbiamo salvare le vite prima di ogni cosa, anche prima dei riti religiosi. È una questione di vita o di morte. Finalmente le persone hanno recepito questo messaggio e osservano le regole".
(Sputnik Italia, 9 aprile 2020)


Per Gaza il Covid-19 sarebbe una catastrofe

di Maddalena Tomassini

Covid-19 sta colpendo ovunque, mietendo migliaia di vittime al giorno e mettendo in ginocchio sistemi sanitari di tutto il mondo: ma a Gaza, dove la sanità è al collasso ormai da anni e 1,8 milioni di persone vivono in 360 km2, i danni di una possibile epidemia sarebbero incalcolabili.
In linea con quanto sta accadendo in molti altri Paesi, da settimane il governo di Hamas ha chiuso caffè, ristoranti, scuole, istituti pubblici. Dal Ministero della salute della Striscia è echeggiato un messaggio a tutti noi familiare: il distanziamento sociale è essenziale per evitare la diffusione del virus. Essenziale, ma nel caso della Striscia di Gaza quasi impossibile. Basta guardare ad alcuni dati riportati dal quotidiano israeliano Haaretz: nel campo profughi di Jabalia 113.990 rifugiati vivono in uno spazio di 1,39 km2, in quello di A-Shati la situazione è anche più complessa, con 85.628 profughi in 0,51 km2 .
   «A quanto riporta il Ministero della Salute di Gaza, ci sono 12 casi confermati di Coronavirus, tutti in quarantena» racconta Ghada Majadele, direttrice del Dipartimento per i Territori Occupati per Physicians for Human Rights Israel (PHRI). «La buona notizia è che cinque di essi sono guariti, portando il numero attuale a sette. Al momento, il numero delle persone esaminate è 1301, grazie ai kit inviati a Gaza dalla Organizzazione Mondiale della Sanità e dall'UNICEF. Tuttavia, potrebbero esserci più casi di quanti ne siamo a conoscenza». Al momento, la Striscia è attrezzata con più di 20 centri per l'isolamento di casi sospetti, persone entrate a Gaza attraverso il valico di Al Rafah mostrando dei sintomi.
   «Le misure preventive non saranno sufficienti a controllare l'epidemia» continua Majadele: «possono essere abbastanza in questa fase, ma nel momento in cui verranno confermati più casi, sarà davvero complicato impedire la diffusione del virus. La Striscia è piagata da condizioni sanitarie precarie, in particolare a causa della povertà, della crisi idrica e della densità abitativa, che rappresenteranno una sfida ad attuare il distanziamento sociale e a rispettare le misure igieniche».
   Un'epidemia di Covid-19 nella Striscia di Gaza sarebbe una catastrofe per il suo sistema sanitario, al collasso ormai da più di un decennio. «Il sistema sanitario a Gaza è in difficoltà ormai da un decennio, principalmente a causa del blocco israeliano e dei ripetuti attacchi militari che hanno procurato enormi danni a strutture e infrastrutture» spiega Majadele. «Ogni anno, migliaia di pazienti sono trasferiti in ospedali fuori dalla Striscia, perché le cure non sono disponibili a causa di scarsità di strumenti e di competenze, quest'ultima dovuta anche alle restrizioni nel movimento».
   «La carenza di risorse basilari per combattere il Coronavirus è gigantesca» spiega Majadele. «Stiamo parlando di mancanza di occhiali protettivi, mascherine, ventilatori, posti letto per la terapia intensiva. In Gaza ci sono solo 55 ventilatori e 70 letti di terapia intensiva distribuiti in tutti gli ospedali, alcuni già occupati da pazienti comuni. L'OMS, l'UNICEF, Paesi come la Giordania e altri Paesi europei stanno inviando forniture basilari, ma non basta».
   «Il sistema sanitario di Gaza deve anche confrontarsi con le migliaia di pazienti che, prima della pandemia, andavano a curarsi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e che ora, con la chiusura imposta da Israele e Hamas per fermare la diffusione, non ricevono alcun genere di trattamento» aggiunge. «Appare più che mai chiaro non solo che Gaza non può affrontare la pandemia, ma che la pandemia sta mostrando quanto sia terribile la situazione a Gaza».
   E prosegue: «Alla luce del blocco in corso e visto che la capacità di Gaza di affrontare il Covid-19 dipende dal controllo israeliano dei confini, Israele ha la responsabilità in base al diritto internazionale di rendere accessibili le risorse al Ministero della Salute di Gaza, perché possa affrontare al meglio la crisi del Corona Virus. Inoltre, Israele deve lavorare per rendere disponibile qualsiasi cosa manchi al sistema sanitario di Gaza. Oggi è più chiaro che mai che assicurare trattamenti medici a Gaza è vitale e che il blocco su Gaza dovrebbe essere rimosso per permettere il recupero del funzionamento del sistema sanitario, mettendo così fine alla sua dipendenza da Israele».
   In Israele e in Palestina, intanto, i casi di Covid-19 crescono giornalmente, mettendo a dura prova gli ospedali. In Israele si contano più di 9.400 casi, con 72 morti accertate. In particolare, le strutture sanitarie di Gerusalemme - città particolarmente colpita, soprattutto nei quartieri ultraortodossi - sono sull'orlo del collasso.
   Va detto che negli ospedali israeliani palestinesi ed ebrei lavorano fianco a fianco. Gli arabi israeliani compongono il 17% dei medici del Paese. È diventata virale la foto dei medici ebraico e musulmano che pregano insieme. «Durante le ultime elezioni, questo ultimo anno e mezzo, molti hanno detto di non voler collaborare con gli arabi perché "sono terroristi", ma molto dello staff negli ospedali israeliani sono arabi» commenta Majadele. «È stata un'opportunità per sottolineare che la comunità araba in Israele è legittima. Che componiamo una buona parte dello staff medico e che stiamo curando tutti, senza fare differenze fra arabi ed ebrei. Non siamo terroristi, se potete affidarci le vostre vite, possiamo fare parte di qualsiasi coalizione nella Knesset».

(Eco Internazionale, 9 aprile 2020)


Non è chiaro per quale ragione in questo articolo si ricordino solo gli obblighi di Israele, che peraltro fa transitare tutto il materiale possibile verso la Striscia di Gaza (realtà non ricordata), e si dimentichi che anche l'Egitto ha una frontiera con la Striscia dalla quale gli aiuti dovrebbero pure transitare (cosa che non sta avvenendo).
Quanto alla chiusura del pezzo, a parte che negli ospedali israeliani i medici musulmani e cristiani collaborano con quelli di religione ebraica per curare pazienti di tutte le religioni e di tutte le etnie, e spesso anche provenienti da paesi limitrofi, come Gaza, il riferimento ai partiti arabi entrati alla Knesset dimentica la volontà di alcuni di questi di volere la sparizione dello Stato di Israele, realtà che nulla ha a che vedere con l'impegno quotidiano dei cittadini arabi che riconoscono lo Stato di Israele e che, come i citati medici, anche quelli che operano nell'esercito, nei tribunali e nella diplomazia ne difendono con orgoglio l'esistenza. Emanuel Segre Amar

Una ricerca israeliana svela il meccanismo che impedisce la riproduzione delle cellule tumorali

di Ale. Sco.

Una ricerca israeliana condotta dall' Università di Tel Aviv ha permesso di individuare tre proteine che se modificate nella fase di mitosi (divisione cellulare) sono in grado di innescare un processo di auto-distruzione delle cellule tumorali. È una scoperta incredibile che permetterebbe di individuare e colpire le cellule tumorali in rapida proliferazione senza danneggiare quelle sane. Al momento il gruppo di ricerca è concentrato sul tumore alla mammella triplo negativo e sul cancro al pancreas le due manifestazioni tumorali più aggressive e resistenti alle terapie attuali. Lo studio è stato reso possibile grazie ai finanziamenti ed è per questo fondamentale continuare a stimolare gli studi contro il cancro anche attraverso l'offerta di una borsa di ricerca come quelle messe a disposizione dall'Istituto Sergio Lombroso che collabora proprio con il Weizmann Institute of Science, una delle università più prestigiose di Israele.

 In cosa consiste la scoperta israeliana sulle cellule tumorali
  Una caratteristica dei tumori è la capacità delle loro cellule di replicarsi in modo rapido e di proliferare privando le cellule sane del lor spazio vitale, invadendo così i tessuti e gli organi fino a distruggerli. Lo scopo della chemioterapia è quello di colpire le cellule tumorali in rapida crescita, però lo svantaggio è che non si riesce a distinguere le cellule tumorali da quelle sane, per cui il "bombardamento" chemioterapico risulta essere sempre molto debilitante e non sempre efficace.
  La ricerca condotta dall'Università di Tel Aviv in Israele apre nuove prospettive di cura: la ricercatrice Malka Cohen Armon e i suoi colleghi della Sackler School of Medicine hanno individuato tre proteine capaci di intercettare e uccidere esclusivamente le cellule tumorali a rapida proliferazione. Le tre proteine - opportunamente modificate per raggiungere questo scopo - possono così indurre alla morte cellulare e all'auto-distruzione le cellule tumorali nella loro fase di mitosi, ossia di divisione cellulare con il vantaggio di non andare a danneggiare le cellule sane. Il meccanismo che si innesca è tanto più efficace quanto più rapida è la proliferazione delle cellule tumorali, pertanto è indicato per la cura dei tumori più aggressivi e che non rispondono neanche ai trattamenti chemioterapici tradizionali. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista tematica OncoTarget nel 2017, con sviluppi importanti nel 2019 relativi alla cura del tumore al pancreas - il più aggressivo e refrattario alle cure - tramite l'iniezione per via endovenosa della molecola PJ34. La scoperta ha, infatti, un importante impatto sulla ricerca oncologica in genere soprattutto riguardo alla capacità selettiva delle proteine di mirare le cellule maligne e preservare quelle sane e i tessuti sani.

 Come è stata condotta la ricerca
  Il gruppo di ricercatori israeliano ha condotto gli esperimenti su una serie di tumori particolarmente aggressivi come quelli al polmone, alla mammella, alle ovaie, al colon, al pancreas, al cervello e diversi tipi di tumori ematologici. I ricercatori hanno individuato delle proteine specifiche come i derivati della fenantridina in grado di disturbare l'attività di riproduzione delle cellule tumorali "figlie" e di distorcere il fuso mitotico prevenendo la divisione dei cromosomi. Se si riesce a bloccare la mitosi, la cellula che non è più in grado di riprodursi si auto-distrugge. Sulla base di questa scoperta, in realtà, è possibile individuare altre proteine capaci di indurre lo stesso meccanismo di autodistruzione delle cellule tumorali e quindi si aprono numerose prospettive di approfondimento e studio.Gli studi sono stati condotti su colture cellulari e anche su trapianti di cellule tumorali umane su cavie da laboratorio. Le tecniche di cui si sono avvalsi i ricercatori israeliani sono l'imaging, la biochimica e biologia molecolare. Il trapianto di cellule cancerogene del tumore alla mammella triplo negativo sui topi ha rivelato come si attivasse il meccanismo e ha per lo meno indotto l'arresto della crescita del tumore. La fenantridina è un composto chimico sintetizzato nel 1891 dai chimici svizzeri Amé Pictet e H. J. Ankersmit i quali lo utilizzarono come base per i coloranti fluorescenti che si legano al DNA; ma questo composto è solo la porta di accesso verso l'individuazione di altri derivati più efficaci per la cura dei tumori più ostili alle terapie correnti.

(La prima pagina, 9 aprile 2020)


La Pasqua al tempo della pandemia

Questa pandemia ci oltrepasserà e finirà. Non sappiamo come, ma sappiamo che ci siamo già passati e siamo andati avanti.

La Pasqua ebraica è una festa del tutto particolare, con il suo messaggio di liberazione dalla schiavitù e il precetto di recitare l'Haggadà (lett. racconto ndr) per rivivere nel nostro tempo l'esperienza dell'Esodo. Il comandamento di trasmettere la storia di generazione in generazione attesta l'importanza attribuita non solo alla rilettura dello storico riscatto, ma anche al riconoscimento delle avversità che dovettero affrontare coloro che ne furono testimoni.
   I temi della Pasqua ebraica parlano anche della nostra epoca. Ricordiamo quante generazioni nel corso della storia hanno sopportato la tirannia e l'hanno superata. Le dieci piaghe che si abbatterono sull'Egitto possono sembrare distanti: acqua che diventa sangue, invasione di locuste e rane, pioggia di grandine e fuoco. Tutte quelle piaghe arrivarono dopo centinaia di anni di schiavitù durante la quale, racconta l'Haggadà, il popolo ebraico aveva sofferto terribili fardelli e tormenti. La schiavitù e la sofferenza in Egitto era andata peggiorando nel corso del tempo fino a toccare l'apice appena prima dell'Esodo....

(israele.net, 9 aprile 2020)


Pesach: tradizione, narrazione, famiglia, comunità

Il lungo cammino per la libertà: la Pasqua ebraica

Nella notte tra il 14 e il 15 del mese di Nissan (quest'anno l'8 aprile), inizia 'Pesach', una delle feste più importanti dell'ebraismo. Ricorda infatti la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana. Un rito di passaggio, quello del Mar Rosso, fondamentale per scoprire l'indipendenza e ottenere le Tavole della Legge.
   Pesach è tradizione, narrazione, famiglia, testimonianza. L'esempio pratico e concreto, spirituale e profondo, di come si possa difendere una civiltà con l'educazione. I bambini, proprio per questo, sono i protagonisti della celebrazione che nel corso di tutti i suoi secoli ha sempre fecondato le generazioni di ebrei che a loro volta l'hanno assorbita e fatto propria in continuità. Un momento che parla del transito dalla di schiavitù alla liberazione e in cui l'insegnamento nei confronti di chi è destinato a proseguire il cammino ha un senso fondamentale.
   Pesach inizia nella stagione in cui maturano i primi cereali in terra d'Israele. Quando furono liberati dalla schiavitù, gli Ebrei lasciarono l'Egitto in tutta fretta, tanto da non avere il tempo di far lievitare il pane. Si fa uso, per questo, di pane azzimo (matzah), simbolo di privazione, ma anche di attesa, di ricordo della difficoltà quando si era sottomessi. E' il duro alimento che sostituisce il pane di tutti i giorni, simbolicamente il contrasto tra l'opulenza dell'antico Egitto, ovvero l'oppressore, e le miserie dello schiavo che però si accinge a trovare un'altra strada, la propria identità.
   I giorni precedenti la festa di Pesach vengono rispettati alcuni riti, come la pulizia della casa per eliminare i piccoli residui di sostanze lievitate. La prima sera viene celebrato il Seder, cena nel corso della quale vengono rievocate, secondo un ordine prestabilito, le fasi dell'Esodo, rileggendo l'antico testo della Haggadah. Secondo la tradizione si consumano vino, azzime, erba amara. C'è l'invito ai bisognosi di partecipare alla cena, poi le tradizionali domande rivolte al padre di famiglia dal più piccolo dei commensali. Quesiti che consentono a tutti i presenti di spiegare, commentare l'esodo e la liberazione dall'Egitto, le schiavitù, il riscatto. "Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?", si chiede. "Perché siamo stati schiavi del Faraone in Egitto, e D-o ci ha liberati".
   Il tema dei figli, della trasmissione dei valori, è tema centrale in Pesach. E' attraverso questa tradizione, attraverso il "misero pane che i nostri padri mangiarono", le domande, le letture, il suo commento, che generazioni molteplici di ebrei sono giunte alla propria maturità conoscendo la storia, la propria identità, con grande radicamento.
Questo periodo, dunque, è una parentesi fondamentale e propizia, ove l'umiltà torna elemento cardine per la rinascita spirituale a cui ogni uomo è chiamato per migliorarsi nel suo stare al mondo e ritrovarsi.

(ilmamilio.it, 8 aprile 2020)


Lockdown in Israele

Riapre il parlamento iraniano

Il governo israeliano ha approvato le misure di lockdown del paese annunciate ieri dal premier, Benjamin Netanyahu. Secondo le disposizioni, tutti gli israeliani non potranno lasciare le città in cui risiedono fino alle 6 di venerdì mattina. Nel paese il numero dei casi positivi di coronavirus è salito oggi a 9.404, circa 400 più di ieri. Lo ha reso noto il ministero della Sanità, secondo cui un incremento molto più rilevante si è avuto nei decessi, che in un giorno sono passati da 9 a 71.
   In Iran, invece, il nuovo parlamento ha tenuto la sua prima seduta a porte aperte dopo le elezioni legislative dello scorso febbraio. In aula erano presenti più di due terzi dei 290 membri del Majlis di Teheran, ma mancava il presidente dell'Assemblea, Ali Larijani, in quarantena dopo essere risultato positivo al covid-19. In Iran si registrano a oggi 62.589 casi e 3.872 vittime. Stando ai dati ufficiali, negli ultimi giorni i contagi nel paese sono rallentati. I timori di un nuovo peggioramento della situazione restano tuttavia forti, anche in considerazione della riapertura progressiva — a partire da sabato prossimo — di attività economiche ritenute «a basso rischio».
   Timori anche in Arabia Saudita per una possibile impennata dei contagi. Nello scenario peggiore di alcuni studi sulla diffusione del virus nel regno, hanno indicato fonti del ministero della Salute, si potrebbero infatti registrare fino a 200.000 casi. Proprio per questo nella capitale, Riad, e in altre città è stato imposto il coprifuoco 24 ore su 24.

(L'Osservatore Romano, 8 aprile 2020)


Netanyahu-Gantz. C'è l'intesa sull'annessione della West Bank

di Giordano Stabile

Il colloquio fra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz è stato surreale. Il generale è andato nella residenza del premier israeliano, ancora chiuso nelle sue stanze per la quarantena. E' restato nel giardino, a debita distanza dalla finestra aperta dello studio. I due rivali, che si sono sfidati per tre volte di seguito nel giro di un anno, si sono parlati fino a tarda sera ad alta voce, a volte gridando. Ma alla fine hanno risolto quasi tutti i nodi che ancora impediscono di formare un governo di unità nazionale. Soprattutto il più importante, l'annessione di un terzo della Cisgiordania, in base al piano americano, che potrà essere conclusa prima dell'estate, a patto che ci sia il pieno appoggio Usa e di «altre istituzioni internazionali», una clausola aggiunta da Gantz per coinvolgere in qualche modo anche l'Onu.

 Ad un passo dall'intesa
  L'epidemia di coronavirus ha complicato le trattative, almeno dal punto di vista logistico, ma in qualche modo le ha anche facilitate. Lo Stato ebraico non può permettersi più un governo senza una maggioranza alla Knesset, come è stato dal febbraio dell'anno scorso, di fronte alla più grave crisi sanitaria globale da un secolo a questa parte. Netanyahu e Gantz hanno messo da parte veti e diffidenze e adesso sono a un passo un'intesa che vedrà il leader del Likud ancora alla guida dell'esecutivo per 18 mesi, per poi cedere il posto all'ex avversario,
  Resta ancora lo scoglio del ministero della Giustizia, che Netanyahu vuole mantenere sotto il suo controllo. Ci dovrà essere un compromesso sul «meccanismo di nomina dei giudici» per evitare colpi di mano da parte di un premier che a fine maggio dovrà affrontare il processo per corruzione e abuso di ufficio.
  Un altro punto da risolvere è il ministero degli Esteri, che dovrebbe andare a Kahol Lavan, il partito di Gantz. L'ex generale ha subito la scissione dei centristi di Yair Lapid, contrari alla grande coalizione, ma ha quasi concluso la fusione con i Laburisti, che gli apporteranno tre deputati alla Knesset. A questo punto Gantz potrebbe rinunciare alla presidenza della Knesset, appena conquistata, a favore di un moderato del Likud, Yariv Levin, e ottenere in cambio l'incarico da vicepremier e il ministero degli Esteri. Tutti i tasselli dovranno essere messi in ordine durante la settimana della Pesach. La Pasqua ebraica comincia domani sera e sarà blindata per la quarantena, senza le grandi riunioni delle famiglie per il "seder". A metà aprile, finita la crisi acuta del coronavirus ieri i casi confermati sono saliti a 9003, con 61 vittime in totale potrebbe esserci il nuovo governo.

(La Stampa, 8 aprile 2020)


Fallito il tentativo iraniano di controllare politicamente l'Iraq

Siamo di fronte al chiaro fallimento di una delle più importanti operazioni geopolitiche iraniane in Medio Oriente, quella cioè che mirava a prendere il controllo militare e civile dell'Iraq, una operazione che se fosse stato ancora vivo Qassem Soleimani quasi sicuramente sarebbe riuscita ma che gli americani sono riusciti a sventare con la sua uccisione.

di Haamid B. Al-Mu'Tasim

BAGHDAD - I rapporti tra Iraq e Iran sono a una svolta, e non è una buona notizia per Teheran.
La visita in Iraq del nuovo comandante della Forza Quds iraniana, il generale Esmail Ghaani (che alcuni davano per morto) avvenuta la scorsa settimana, non solo non ha sortito gli effetti desiderati (l'unione delle forze sciite) ma ha esacerbato gli animi anche tra le stesse forze sciite.
Il potentissimo religioso sciita, Ali Sistani, e l'altrettanto potente capo del Movimento Sadrist, Muqtada al-Sadr, si sono rifiutati di incontrare il generale Ghaani giudicando la sua visita in Iraq "poco appropriata".
Intenzione del Generale Esmail Ghaani era infatti quella di incontrare i maggiori leader sciiti iracheni per decidere insieme chi dovesse essere il nuovo Primo Ministro iracheno in alternativa di quello attuale, Adnan Al-Zorfi, poco gradito a Teheran ma anche agli stessi movimenti sciiti.
Ciononostante il Generale Ghaani non solo non è riuscito a coalizzare i movimenti sciiti, ma è stato addirittura umiliato dai due più potenti leader iracheni che si sono rifiutati di incontrarlo vedendo nella sua visita una chiara interferenza iraniana nella politica irachena.

 Esmail Ghaani non è Qassem Soleimani
  In questo frangente si è visto con chiarezza la differenza che c'è tra l'attuale comandate della Forza Quds iraniana e il suo predecessore, il defunto Qassem Soleimani ucciso da un raid americano lo scorso gennaio.
Soleimani aveva infatti rapporti molto stretti e addirittura personali con i maggiori leader iracheni, compresi quelli sunniti e curdi, rapporti che Ghaani non ha e che quindi non può usare per i suoi fini. Non è un caso infatti che il Generale Ghaani abbia incontrato solo i leader delle milizie sciite finanziate da Teheran e nessun vero leader iracheno.

 Anche i movimenti sciiti minori non vogliono interferenze iraniane
  «I tempi della visita di Esmail Ghaani a Baghdad sono inappropriati e appaiono come un chiaro tentativo di interferire nella formazione del nuovo governo», ha dichiarato in una nota il deputato Asaad al-Murshidi del Movimento di saggezza nazionale guidato dal religioso sciita Ammar al-Hakim.
Nello stesso contesto, il deputato Raad Al-Dahlaki parlando a nome dell'Alleanza delle forze, ha invitato il ministro degli Esteri iracheno, Muhammad Ali Al-Hakim, a convocare l'ambasciatore iraniano a Baghdad, Erg Masjidy, per una protesta formale contro le interferenze iraniane nella politica irachena.
Il deputato Nada Jawdat della Victory Coalition ha dichiarato: «Al-Zorfi è riuscito a ottenere la maggioranza parlamentare. La visita di Ghaani non ha sventato il governo di Al-Zorfi, ma al contrario ha aumentato il sostegno parlamentare per lui».

 Il fallimento di una importante operazione iraniana
  In sostanza siamo di fronte al chiaro fallimento di una delle più importanti operazioni geopolitiche iraniane in Medio Oriente, quella cioè che mirava a prendere il controllo militare e civile dell'Iraq, una operazione che se fosse stato ancora vivo Qassem Soleimani quasi sicuramente sarebbe riuscita ma che gli americani sono riusciti a sventare con la sua uccisione.

(Rights Reporters, 8 aprile 2020)


Comunità ebraica a Manduria

Un primo bando di espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli fu l'editto del 23 novembre 1510, che obbligava tutti gli Ebrei a lasciare il territorio entro quattro mesi.

di Francesca Dinoi

 Il periodo svevo
Portale della ex Sinagoga di Mancuria
per gli Ebrei pugliesi il periodo di Federico II inaugurò una fase favorevole, perché Federico II concesse il rispetto del sabato festivo, il permesso di lavorare nei giorni di riposo dei cristiani, e la possibilità di prestare i soldi con un interesse del 10%. La politica tollerante di Federico II si può spiegare con il fatto che Federico era sostenitore dei ghibellini, tradizionali nemici dei guelfi, i quali erano favorevoli al papa e quindi ostili ai Giudei. Tuttavia anche Federico II attuò una misura antisemita: dopo le disposizioni del Concilio lateranense, del 1215, questo re introdusse nel 1221 l'obbligo per gli Ebrei di indossare abiti con un segno distintivo, così come le prostitute.

 Periodo angioino
  Nei confronti degli Ebrei gli angioini intrapresero una politica penalizzante: conversioni forzate alla religione cattolica, l'obbligo del segno distintivo (giallo per gli uomini e indaco per le donne), e sovvenzioni per gli inquisitori. Per favorire le conversioni si usava ad esempio l'esenzione dai pagamenti fiscali. Abbiamo le prove delle persecuzioni a Brindisi, dove i figli degli Ebrei venivano "strappati violentemente alle famiglie per essere forzatamente battezzati."

 Periodo aragonese
  Con gli aragonesi per le comunità ebraiche pugliesi cominciò un breve periodo di tolleranza. Il periodo di Adolfo I d'Aragona, con la fama di protettore degli Ebrei, iniziò con riforme permissive. Di conseguenza aumentano le immigrazioni di giudei, le conversioni al cattolicesimo e il numero dei neofiti diminuisce. Ma con il successore di Alfonso, Ferdinando I, venne il periodo di maggiori restrizioni, di notevole peggioramento, che finirà con l'espulsione definitiva nel 1540.

 La comunità ebraica di Casalnuovo Manduria: fonti e studi
  Gli Ebrei si diffusero in Puglia durante il periodo normanno-svevo occupando principalmente le città di Oria, Otranto, Lecce, Brindisi. Si conta che verso la fine del XV secolo gli Ebrei fossero 75.000 su una popolazione di circa otto milioni di persone in tutta Italia; la comunità ebraica di Taranto nel 1165 contava circa trecento persone. Anche altri centri urbani ospitarono Ebrei, residenti o di passaggio, più o meno temporaneamente. Alla fine del XV secolo Casalnuovo contava circa duemila abitanti. La ricca storia e le continue conquiste, scorrerie ed emigrazioni avevano creato una società multietnica, con la presenza di Turchi, Albanesi, Greci ed Ebrei.
  Manduria aveva un "Ghetto", definito da alcuni studiosi Giudecca, dove una discreta comunità ebraica risedette fino all'espulsione dal regno di Napoli nel 1540. Giudecca si definisce un luogo con le case ebraiche intorno a una sinagoga senza chiusura notturna. Il termine "Ghetto", utilizzato dall'inizio del sedicesimo secolo, nasce invece per indicare il quartiere ebraico, spesso circondato da mura, dove gli Ebrei erano obbligati ad abitare, rinchiusi la notte.
  Nell'ultimo capitolo di "Manduria Sacra" intitolato "Il Ghetto degli Ebrei", Tarentini descrive il quartiere dove "gli Ebrei si ebbero il Ghetto, ossia il luogo separato in cui abitare … e il Ghetto ebbe qui esistenza dal XIII fino al XVII secolo, ed a suo tempo restava isolato dal resto dell'abitato."
  Situato vicino alla Chiesa Madre, ancora secondo Tarentini, il Ghetto era delimitato da due archi con porte e "le autorità locali della città alle ore 24 di ogni sera serravano a chiave quelle porte, riaprendole poscia allo spuntar del Sole del mattino seguente." E aggiunge: "era questo un provvedimento necessario per impedire agli Ebrei la propaganda notturna della propria religione."
  Secondo la "tradizione orale" che però non ha documentazione scritta, si presume che gli Ebrei avessero una sinagoga, che mostra il caratteristico portale decorato con quattordici elementi floreali divisi al centro da una maschera. Nel XVII secolo la sinagoga diventò una abitazione privata.
  Un'altra fonte rilevante per rintracciare la presenza ebraica a Manduria è il cosiddetto "Librone Magno", un documento manoscritto che contiene un registro minuzioso di tutte le famiglie manduriane. Il libro fu iniziato dall'arciprete Lupo Donato Bruno che cominciò a redigerlo nel 1572, con informazioni delle famiglie esistenti a Casalnuovo. Le annotazioni, fatte in ordine alfabetico, trattano matrimoni, discendenze, e in tanti casi, la ricostruzione della genealogia. Pirro Varrone fu un personaggio controverso e discusso, ed è stato ricordato in molti testi, in quanto fu sindaco della città.
  È l'unico nel Librone ad essere definito come il figlio di neofiti perciò interessante. I Varrone, Giovanni Battista Varrone e Bianca Gentile, si erano probabilmente insediati a Casalnuovo tra gli anni 1540-1545, dopo l'espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli, decretata nel 1540.

 L'espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli. Ebrei neofiti
  Un primo bando di espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli fu l'editto del 23 novembre 1510, che obbligava tutti gli Ebrei a lasciare il territorio entro quattro mesi, sotto pena di confisca dei beni (con l'eccezione di coloro che fossero in grado di pagare annualmente 3.000 ducati). L'editto del 1515 includeva anche gli Ebrei convertiti (i cosiddetti cristiani novelli o neofiti). Nel 1533 il viceré don Pedro da Toledo ordinò agli Ebrei di lasciare il regno entro sei mesi, ma l'editto fu sospeso e la tassa per poter restare salì a 10.000 ducati. La cacciata definitiva da tutto il Regno di Napoli e dal Meridione, come già ricordato, decretata il 31 ottobre 1540, avvenne nel 1541.

(La Voce di Manduria, 8 aprile 2020)


La salita al Monte del Signore dall'«esilio» delle nostre case

Le profezie di Isaia e Micha al tempo della quarantena, lezione per tutti i popoli

di Scialom Bahbout*

E' scritto che sono state tramandate per iscritto solo le profezie che avrebbero potuto essere di insegnamento e attuate in un tempo futuro. Rileggiamo la profezia, ricordata in Isaia (cap. 2) e Micha (cap. 4), vissuta sempre come parte integrante del sentimento ebraico, e cerchiamo di capirne il significato in questo momento.
    «Avverrà alla fine dei giorni che il monte della casa del Signore si ergerà sopra la sommità dei monti, e sarà elevato più dei colli e ad esso affluiranno tutte le nazioni. Andranno molti popoli e diranno. ''Venite che saliremo sul monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe, affinché Egli ci ammaestri sulle sue vie, affinché procediamo nei suoi sentieri". Perché da Sion uscirà l'insegnamento e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli giudicherà fra le nazioni, e ammonirà molte genti, e spezzeranno le loro spade per farne vomeri, e le loro lance per farne falci; nessun popolo alzerà la spada verso l'altro, e non impareranno più la guerra».
Il XX secolo è stato costellato da guerre, distruzioni, persecuzioni che hanno decimato il popolo ebraico (e non solo), dalla guerra fredda, le lotte tra gruppi di potere e Stati per il controllo delle risorse economiche e dallo sfruttamento senza fine della natura. Il rispetto della vita umana è sceso a un livello mai raggiunto nella storia dell'uomo. Le parole e le dichiarazioni fatte dai leader nelle sedi internazionali hanno distrutto e distruggono non meno delle spade, dei proiettili e delle bombe. I profeti hanno indicato una strada in apparenza molto semplice, ma che chiede delle rinunce imposte dall'attuale epidemia e che porrebbe farci cambiare strada per «salire sul monte del Signore». La profezia di Isaia è un richiamo per tutti, ma soprattutto per gli uomini che vivono nella Terra d'Israele e che considerano sacro il Monte che il Signore indicò ad Abramo, per farvi salire Isacco: il figlio non fu mai sacrificato, per insegnarci che è immorale uccidere un uomo per servire Dio o qualsiasi altra causa.
   I Maestri dicono che la creta per creare Adamo era composta dalla terra del Monte sul quale fu condotto Isacco e da quella raccolta dai quattro angoli del Globo terrestre: per salire sul Monte, l'uomo deve quindi deporre le spade e le parole che uccidono, e solo allora quel Monte potrà essere il luogo cui affluiranno le Nazioni. «Tutte le famiglie della Terra saranno benedette in te, Abramo», se si richiameranno a te, capiranno il significato del tuo gesto, della decisione di ascoltare la voce che ti imponeva di non versare il sangue di Isacco, e potranno ricongiungersi veramente a te.
   Questa crisi dovuta all'epidemia che si sta diffondendo in tutto il mondo non sarà venuta inutilmente, se ci indurrà a riflettere sui nostri comportamenti e sulla dispersione di occasioni e di mezzi di cui disponiamo per una vita più «umana». Paradossalmente, in questi giorni in cui siamo costretti a stare a casa, ognuno si sente come «esiliato in casa propria». Questi giorni di quarantena non dovrebbero essere giorni di esilio, ma al contrario. Come ha scritto il romanziere Haim Hazaz, l'esilio è stata l'esperienza che ha contribuito maggiormente a costruire i caratteri del popolo ebraico, un popolo fedele alle sue radici e capace di sopravvivere alle peggiori persecuzioni e superare le prove per arrivare infine alla Terra promessa. La condizione dell'esilio è quella che ha contribuito a fare del popolo ebraico un'entità particolare, sensibile allo straniero e al diverso.
   A noi viene imposto di andare in esilio nelle nostre case, ma nello stesso tempo il profeta ci chiede di salire sul Monte. Ci avviciniamo alla festa che ricorda la liberazione del popolo ebraico dall'Egitto: «Ricordati che fosti straniero in Egitto» e «ama lo straniero perché tu fosti straniero in Egitto». Ognuno, tornando nella propria casa, può ricaricarsi spiritualmente e recuperare tutti i propri valori.
   Come afferma la kabbalà luriana, Dio stesso è andato in esilio per lasciare uno spazio all'uomo dove poterlo incontrare. Allora tutti gli uomini, anche israeliani e palestinesi, passati attraverso la nuova esperienza dello strano esilio prodotto dal coronavirus, potranno tornare finalmente a «salire insieme il Monte», il monte sul quale Abramo ascoltò la voce che gli imponeva di non versare il sangue di Isacco. In quel tempo Gerusalemme, che i profeti e la Bibbia in genere hanno sempre considerato il luogo, tornerà a svolgere nella vita di tutte le nazioni la funzione necessaria a garantire il dialogo e la pace, cui fu destinata dai profeti d'Israele fin dal suo principio.

* Il rabbino Scialom Bahbout ha guidato le comunità ebraiche di Venezia e di Napoli

(La Stampa, 8 aprile 2020)



L'uscita degli ebrei dall'Egitto

di Marcello Cicchese

Quando si riflette sull'uscita del popolo ebraico dall'Egitto, si tende a porre Dio, Mosè e gli ebrei da una parte, e Faraone con gli egiziani dall'altra. Le cose non stanno proprio così. Una schematizzazione più biblica sarebbe questa: Dio da una parte; ebrei ed egiziani dall'altra, ma in posizioni diverse; Mosè (col supporto di Aaronne) strumento scelto da Dio fra gli ebrei per svolgere la Sua politica all'interno e per mezzo di Israele.
  Nella storia dell'esodo biblico non c'è nulla che assomigli alle altre lotte di liberazione di popoli oppressi. Mosè non è il capo riconosciuto e acclamato di un popolo che vede in lui l'espressione e lo strumento della sua battaglia. Il popolo non è artefice della sua politica, ma subisce la politica di Dio.
  In Esodo 4:27-31 Mosè ed Aaronne comunicano agli anziani il progetto di liberazione che Dio, non il popolo, aveva intenzione di compiere,
    "ed il popolo prestò loro fede. Essi compresero che l'Eterno aveva visitato i figli d'Israele e aveva visto la loro afflizione, e s'inchinarono e adorarono" (Esodo 4:31).
Dopo di che Mosè ed Aaronne si presentano al Faraone con la loro richiesta, ed in questa occasione, e solo in questa, parlano in veste di rappresentanti di tutto il popolo, perché ne hanno ricevuto esplicitamente il consenso.

 Un modo singolare di procedere
  Il modo in cui i rappresentanti del popolo formulano la loro richiesta è davvero strano. Dio aveva detto a Mosè di informare il Faraone che Israele è il suo figlio primogenito, e che se non l'avesse lasciato andare, Lui avrebbe ucciso il figlio primogenito suo (Esodo 4:22-23). Mosè ed Aaronne però non presentano subito la loro richiesta in forma di minaccia, non dicono: "Lasciaci andare altrimenti sono guai per te", come si fa, in forma più o meno velata, in certe trattative politiche; dicono invece: "Lasciaci andare altrimenti sono guai per noi".
    "Essi dissero: «Il Dio degli Ebrei si è presentato a noi; lasciaci andare per tre giornate di cammino nel deserto, per offrire sacrifici all'Eterno, nostro Dio, affinché egli non ci colpisca con la peste o con la spada»" (Esodo 5:3).
Un bel Dio, quello degli ebrei, penserà qualcuno: prima lascia che il suo popolo gema per secoli sotto tiranni stranieri, poi gli ordina di andarlo a festeggiare nel deserto altrimenti li punirà con la peste o con la spada. Com'era prevedibile, il Faraone respinge nettamente la richiesta dei rappresentanti e dice a Mosè che il popolo non stia a preoccuparsi di quello che gli farebbe il suo Dio, ma di preoccuparsi di quello che gli farà lui. E li sbatte fuori in malo modo.
  Le angherie aumentano e i sorveglianti del popolo si scagliano contro Mosè ed Aaronne. Possiamo immaginare che abbiano detto parole come queste: "Al Faraone voi avete detto che se non avessimo ubbidito a Dio, Egli ci avrebbe colpito con la spada, invece è successo che la spada l'ha usata il Faraone, e siete stati voi che gliela avete messa in mano".
    "Essi dissero: L'Eterno volga il suo sguardo su voi, e giudichi! poiché ci avete messi in cattiva luce davanti al faraone e davanti ai suoi servi e avete messo nella loro mano la spada per ucciderci» (Esodo 5:21).
Anche Mosè fu fortemente scosso da questo svolgersi delle cose, ma Dio gli rinnovò la sua promessa di liberazione facendo riferimento al patto con Abramo, Isacco e Giacobbe (Esodo 6:2-8). Mosè si lasciò convincere e ripeté al popolo le promesse di Dio, ma questa volta il popolo non credette alle sue parole e si rifiutò di seguirlo.
    "Mosè parlò così ai figli d'Israele; ma essi non dettero ascolto a Mosè, a motivo dell'angoscia dello spirito loro e della loro dura schiavitù" (Esodo 6:9).
Questa fu la prima, determinante ribellione del popolo d'Israele contro il suo Signore.

 Mosè si presenta al Faraone a nome di Dio, non del popolo
  Il rifiuto del popolo a credere alle parole di Dio è un fatto grave, e Mosè fa presente all'Eterno questa situazione: "Ecco, i figli d'Israele non mi hanno dato ascolto" (Es. 6:12). Come farà dunque Mosè a presentarsi al Faraone senza avere il consenso del popolo e il sostegno di un mandato popolare? Questo si direbbe oggi, e forse qualcosa del genere deve aver detto anche Mosè al Signore. Dio però tagliò corto:
    "Ma l'Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne e comandò loro di andare dai figli d'Israele e dal Faraone re d'Egitto, per far uscire i figli d'Israele dal paese d'Egitto" (Esodo 6:13).
Da questo momento Mosè agisce soltanto come strumento della volontà di Dio e non come espressione della volontà del popolo, anzi in opposizione diretta a questa volontà. C'è da immaginare il terrore con cui gli ebrei avranno saputo che "quei due pazzi forsennati" di Mosè ed Aaronne si sono presentati un'altra volta davanti al Faraone a fare le loro richieste. Se si è così arrabbiato la prima volta - avranno pensato - chissà che cosa succederà le prossime.
  Invece poi vengono a sapere che chi si arrabbia è Dio. Certo, gli ebrei vedono avvenire cose grandiose: l'acqua mutata in sangue, le rane, le zanzare. Le prime calamità che devastano l'Egitto sono segni davvero potenti. Ma il fatto è che dentro all'Egitto ci sono anche loro, e nella posizione peggiore che si possa immaginare, perché certamente il Faraone non li avrà esentati dai loro lavori a causa dello stato di emergenza in cui si era venuto a trovare il paese. Quindi ad essere colpiti sono tutti, anche gli ebrei, che si saranno chiesti: ma sarebbe questa la nostra liberazione?

Soltanto alla quarta piaga, le mosche velenose, Dio avvisa che farà una distinzione:
    "In quel giorno io risparmierò il paese di Goscen, dove abita il mio popolo; lì non ci saranno mosche, affinché tu sappia che io, l'Eterno, sono in mezzo al paese. Io farò una distinzione fra il mio popolo e il tuo popolo" (Esodo 8:22-23).
Alla fine il popolo d'Israele uscirà dall'Egitto, ma questo avverrà per l'opera di Dio con la mediazione di Mosè, senza il consenso e l'appoggio del popolo, il quale subisce l'azione di Dio senza parteciparvi con la sua volontà.




La Gerusalemme di Yiftach Ashkenazi

Un nuovo thriller israeliano che merita di essere scoperto e tradotto


di Cyril Aslanov*

Il thriller Ghei ven hinnom ("Geenna") scritto da un giovane romanziere molto promettente, Yiftach Ashkenazi, è stato recentemente pubblicato nel consorzio editoriale Kinneret, Zmora-Bitan, Dvir (2019). Il titolo Ghei ven hinnom è già per di sé tutto un programma: è il nome di una valle (in ebraico gai/ghei) che dal fianco meridionale del Monte Sion corre verso sudest, connettendosi con la valle del Cedron e con l'odierna passeggiata Sherover, la Taielet. Questo radicamento topografico ha una certa rilevanza per la trama di questo thriller. Infatti, l'assassino passa per questo cammino per commettere i suoi crimini seriali. Il titolo Ghei ven hinnom è anche ricco di risonanze simboliche poiché, secondo il versetto di 2 Re 23:10, Manasse, Re di Giuda, diventato idolatra, sacrificava in questa valle i primogeniti al dio cananeo Molec. Più tardi il profeta Geremia predisse il castigo escatologico degli iniqui in questa stessa valle (Geremia 7:32). Proprio da qui la letteratura rabbinica ha sviluppato il concetto metafisico di Geenna, il luogo dell'oltretomba dove i cattivi pagano per i loro peccati.
   Eppure Ashkenazi racconta una storia molto realistica e concreta. È una narrativa che sembra molto verosimile poiché si inserisce nella trama di eventi reali che accaddero a Gerusalemme durante l'estate del 2015, quando un fanatico demente accoltellò fatalmente Shira Banki, ragazza di 16 anni che sfilava in un gay pride. Sembra che questo assassinio, purtroppo reale, abbia ispirato al talentuoso Ashkenazi il motivo di una serie di crimini assurdi, apparentemente dettati dall'odio gratuito come dimostrano i graffiti denigratori che li accompagnano (un po' come nel film Seven di David Fincher).
   Yonatan Shalem, l'ispettore di polizia incaricato per l'inchiesta, è un essere tormentato dal suo passato militare nell'unità Duvdevan, composta di infiltrati camuffati da arabi (mista'aravim) che si occupano di operazioni ultra-sensibili nei Territori palestinesi. Questa unità di Tsahal è ben conosciuta oramai grazie alla serie Fauda. Ma dal punto di vista del romanzo Ghei ven hinnom, questo passato militare eroico è soprattutto percepito come qualcosa di traumatico, che influenza lo stato depressivo dell'eroe "paradossale" (anti-eroe) Yonatan Shalem, che gestisce l'indagine con la poliziotta Lena, un'immigrata dall'ex-URSS, piena di complessi che cerca di superare senza molto successo.
   Attraverso la caccia all'assassino seriale, Ashkenazi riesce a descrivere in modo molto autentico la realtà della città santa, nominata in modo di sineddoche tendenziosa con il lugubre nomignolo Ghei ven hinnom. Il pennello di questo giovane autore che, come molti giovani israeliani, nutre dei sentimenti di amore e odio nei confronti di Gerusalemme, è di un'incredibile precisione realistica e di una caustica crudeltà satirica. Descrive personaggi pittoreschi, ridicoli e patetici: la leader di una setta new age che si fa chiamare gura, femminile grottesco di guru, veterani traumatizzati come Yonatan Shalem, avvocati furbastri, politici locali corrotti, religiosi fanatici e… una cagna quasi umana, che fa un po' pensare al cane Balac, il protagonista animale antropopatico di Appena ieri di Shmuel Yosef Agnon.
   Il libro non è ancora tradotto all'italiano e non lo è neppure all'inglese. Ma questa breve notizia potrebbe incitare ad offrire Ghei ven hinnom "Geenna" al pubblico italiano. Ne vale veramente la pena.

* Cyril Aslanov è professore ordinario alla Aix-Marseille Université e membro dell'Accademia della lingua ebraica di Gerusalemme.

(Bet Magazine Mosaico, 8 aprile 2020)


Gli auguri dell'Ambasciatore israeliano Dror Eydar



(Ambasciata di Israele a Roma, 7 aprile 2020)


Coronavirus: Israele, oltre 9000 casi positivi, 59 decessi

Verso la chiusura generale del Paese

Il numero dei casi positivi di coronavirus ha raggiunto oggi in Israele la cifra di 9.006. Di questi i malati gravi sono 153, dei quali 113 in rianimazione. I decessi sono stati finora 59. Lo ha reso noto il ministero della sanità. Fra i contagiati, 700 sono ricoverati in ospedali, 6.400 si curano nelle loro abitazioni, 800 sono in cura in stanze di albergo messe a loro disposizione dalle autorità. Circa 700 sono guariti e sono stati dimessi. Per ridurre la diffusione della pandemia, il governo ha ordinato una chiusura generale da oggi fino a sabato a sera. In una prima fase sarà vietato lasciare le città di residenza, mentre sarà possibile spostarsi al loro interno. Ma domani sera, in concomitanza con la cena di apertura della Pasqua ebraica, sarà vietato allontanarsi dalle proprie abitazioni: questa limitazione non sarà tuttavia imposta nella località a maggioranza araba.

(ANSAmed, 7 aprile 2020)


Pasqua, Pesach, Ramadan, come si celebrano le feste religiose durante la quarantena

di Rolla Scolari

Cristiani, ebrei e musulmani si sono adattati al distanziamento sociale e hanno rinunciato a vivere i riti quotidiani della loro fede insieme agli altri, ma adesso arrivano le festività più importanti, e la rinuncia è ancora più grave
   
«Ci siamo adattati. Questo è un capitolo, non sarà così per sempre. Occorre essere pazienti e coraggiosi», ci dice Yoshi Zweiback, che racconta come in queste settimane difficili ai funerali i presenti non debbano essere più di otto, come Bar e Bat Mitzvah, le celebrazioni per il raggiungimento dei 13 anni per i maschi, 12 per le femmine, la maggiore età, siano stati invece posticipati.
   Il seder di Pesach, la consumazione di una cena in famiglia seguendo un ordine di preghiere e di portate particolari, sarà ovunque diversa dal solito. Per tradizione, è un momento che raccoglie e riunisce le famiglie. L'isolamento forzato imposto dalle autorità di molti paesi, le restrizioni che chiedono ai più giovani di non andare a trovare gli anziani lasceranno molti soli nella sera di festa.
   Così, in Israele, persino alcuni rabbini ultraortodossi - innescando polemiche e controversie - hanno dato il permesso alle famiglie di avvalersi di piattaforme di conference call come Zoom e Microsoft Teams, per accorciare le distanze con i propri cari la notte del seder pasquale. Le comunità ortodosse e ultraortodosse seguono alla lettera la legge religiosa che vieta l'accensione di dispositivi elettronici a shabbat e nei giorni delle festività (di accendere e spegnere un fuoco, nelle Scritture). La celebrazione senza concorso di fedeli accomuna in queste settimane di coronavirus ebrei, cristiani e musulmani.
   Polemiche attorno alle feste si sono scatenate anche in Italia, quando il leader della Lega Matteo Salvini ha chiesto la riapertura delle chiese a Pasqua. Sia il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, intervistato da Corriere della Sera, sia l'arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Maria Zuppi, dalle colonne di Repubblica, hanno risposto ricordando ai fedeli l'urgenza di rispettare le indicazioni delle istituzioni in questo periodo di celebrazione ma pur sempre di emergenza.
   Ovunque nel mondo i preti da settimane organizzano messe in streaming, seguendo l'esempio di Papa Francesco, che con la sua suggestiva preghiera in solitudine da piazza San Pietro ha indicato ai fedeli la strada da seguire.
   Le celebrazioni della Settimana santa in streaming, in diretta radio o tv non sono l'unico modo con cui i sacerdoti raggiungono oggi i fedeli. Dall'Italia all'Australia non è mancata ai parroci la fantasia. Dalle Filippine sono arrivate le immagini di un prete che nella domenica delle Palme ha benedetto i suoi fedeli attraversando in automobile le strade del quartiere, mentre le persone, mascherina sul volto, tentavano di mantenere le distanze di sicurezza.
   Una tradizione americana d'altri tempi - e con altri scopi - è stata riadattata alle esigenze religiose: è stata introdotta la messa in versione drive-in, con i membri delle congregazione, rinchiusi nelle loro automobili, riuniti in un parcheggio ad ascoltare il celebrante.
   Per prepararsi alla Pasqua, ai cattolici è chiesto da sempre di accostarsi al sacramento della confessione. Benché i leader religiosi cristiani abbiano consigliato di chiedere perdono a Dio in privato, c'è chi ha cercato altre vie, come padre Scott Holmer, della chiesa di Saint Edward the Confessor, a Bowie, Maryland, negli Stati Uniti.
   Una fotografia immortala il prete che, in una specie di drive-thru, attende in un parcheggio, a distanza di sicurezza e con gli occhi coperti da una mascherina da notte a sostituire la tendina del confessionale, i fedeli in arrivo sulle proprie automobili. L'iniziativa di don Giuseppe Corbari, vicario parrocchiale di Robbiano, a nord di Milano, di dire messa in diretta radio di fronte ai selfie stampati dei parrocchiani appoggiati sui banchi della chiesa vuota, è stata riproposta a migliaia di chilometri di distanza, in una chiesa di Sydney, Australia.
   In Libano, dove i cristiani di tutte le denominazioni hanno sospeso le funzioni della Settimana santa, circolano video di preghiere corali dai balconi delle case, mentre la popolazione è in isolamento.
   Anche il mondo islamico si prepara a celebrare il momento più sacro dell'anno: il Ramadan, il mese del digiuno dall'alba al tramonto. L'emergenza sanitaria non cambia nulla per chi si asterrà dai pasti quotidiani (a chi è malato non è richiesto di digiunare).
   Ramadan è però anche un momento pieno di socialità, di tempo passato assieme, in famiglia e con gli amici. E di preghiera condivisa. Nella maggior parte dei paesi musulmani, leader politici e religiosi hanno chiesto ai fedeli di pregare da casa. La preghiera del venerdì, quella che riempie le moschee, è stata sospesa un po' ovunque.
   Il regno saudita, chiudendo i suoi confini, ha interrotto il pellegrinaggio minore, umrah, che i fedeli possono intraprendere durante tutto l'anno. Il pellegrinaggio annuale, hajj, uno dei cinque pilastri dell'islam assieme al digiuno sacro, dovrebbe tenersi a luglio, ma l'attuale situazione sembra non permettere un evento di tali proporzioni e numeri.
   Durante il mese di Ramadan i musulmani si ritrovano in famiglia per rompere il digiuno nel momento dell'iftar serale, invitano amici diversi ogni sera. E in molti paesi aspettano assieme, vegliando lunghe ore, il suhur: un pasto consumato prima dell'alba, prima dell'inizio di un nuovo giorno di digiuno.
   In questo tempo, le città, i caffè e i ristoranti, le piazze si riempiono. In paesi come l'Egitto, dove è tradizione che istituzioni, privati cittadini, star del cinema e della televisione organizzino "tende" di Ramadan, o tavolate rionali in cui è servito un pasto, è stato già anticipato dalle autorità che con l'emergenza sanitaria in corso nulla di tutto ciò sarà possibile.
   Le famiglie durante il mese sacro trascorrono anche lunghe serata a casa. È il momento in cui tutte le emittenti del mondo arabo, a partire dal primo giorno di Ramadan, trasmettono serie televisive cui gli attori e i registi più celebri della regione hanno lavorato per mesi. Quest'anno, imam e leader religiosi hanno chiesto un po' ovunque alla famiglie di festeggiare senza raggruppamenti, di non andare a trovare o invitare parenti e amici.
   E di non uscire di casa. Le comunità musulmane si stanno così preparando alla possibilità di un Ramadan in cui si pregherà da soli: sarà difficile poter recitare in moschea la preghiera straordinaria e collettiva, tarawih, che riunisce milioni di persone attraverso il mondo ogni sera dopo la rottura del digiuno.

(Linkiesta, 7 aprile 2020)


*


Ma Dio, del coronavirus, che ne pensa?

La domanda è semplice. Troppo semplice. Puerile, penserà qualcuno. "Non sappiamo neppure se Dio esiste - dirà l'incredulo - figuriamoci se possiamo indovinare che cosa ha in mente adesso che sta succedendo tutto questo disastro!". Questo è comprensibile per chi dice di essere ateo o agnostico, ma per chi dice di credere in Dio la domanda si pone, perché che questo flagello sia voluto da Dio è indiscutibile. Qualcuno certamente dirà di saper dare la risposta esatta, ma non sono molti, e di solito sono poco considerati, se non del tutto irrisi e disprezzati. Perché non sembra serio porsi una domanda come questa. Altre sono le considerazioni che agli uomini ben disposti sembrano degne di rispetto: come trovare un equilibrio personale che non faccia uscire fuori di testa; come riscoprire l'importanza di relazioni familiari troppo poco coltivate; come prepararsi a ricostituire una nuova società che privilegi la solidarietà invece della concorrenza. E, per i religiosi di vario genere, come riuscire a mantenere in esercizio le proprie forme di culto nonostante i divieti imposti.
   Anche per i cristiani evangelici le cose non sono diverse. Si cerca di salvare il salvabile ricorrendo, con impegno e fantasia, ai soli mezzi oggi a disposizione: quelli telematici. Resta tuttavia la domanda iniziale: ma Dio, che ne pensa? In fondo, è a Lui che si vuole rendere onore. Siamo sicuri che il Signore gradisca tutto questo zelo? Ci interessa soprattutto quello che pensa Lui o quello che vogliamo noi? Ciascuno potrà dare la sua risposta, ma la domanda non può essere evitata.
   La Scrittura ci mette in guardia: al tempo di Isaia, le parole rivolte da Dio al suo popolo che continuava ad essere molto interessato al mantenimento delle sue tradizioni cultuali, sono particolarmente dure. Hanno qualcosa da dirci anche oggi?
   Dal libro del profeta Isaia, capitolo 1:
    Guai alla nazione peccatrice, popolo carico d'iniquità,
    razza di malvagi, figli corrotti!
    Hanno abbandonato l'Eterno, hanno disprezzato il Santo d'Israele,
    hanno voltato le spalle e si sono allontanati.
    Per quale ragione colpirvi ancora?
    Aggiungereste altre rivolte.
    Tutto il capo è malato,
    tutto il cuore è languente.
    Dalla pianta del piede fino alla testa non c'è nulla di sano in esso:
    non ci sono che ferite, contusioni, piaghe aperte,
    che non sono state ripulite, né fasciate,
    né lenite con olio.

    Ascoltate la parola dell'Eterno, capi di Sodoma!
    Prestate orecchio alla legge del nostro Dio, popolo di Gomorra!
    «Che m'importa la moltitudine dei vostri sacrifici?», dice l'Eterno;
    «io sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate;
    il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri,
    io non lo gradisco.
    Quando venite a presentarvi davanti a me,
    chi vi ha chiesto di contaminare i miei cortili?
    Smettete di portare offerte inutili;
    l'incenso io lo detesto;
    e quanto ai noviluni, ai sabati, al convocare riunioni,
    io non posso sopportare l'iniquità unita all'assemblea solenne.
    L'anima mia odia i vostri noviluni e le vostre feste stabilite;
    mi sono un peso che sono stanco di portare.
M.C.

(Notizie su Israele, 7 aprile 2020)


È dura la vita dei boicottatori di Israele ai tempi del Coronavirus

di Sarah G. Frankl

 
Non sembra ma è dura la vita dei boicottatori di Israele, specialmente di questi tempi di pandemia globale da Coronavirus.
Già è difficile fare boicottaggio a Israele in tempi normali, specie se soffri di diverse malattie che per essere curate hanno bisogno delle scoperte israeliane, sei un cardiopatico, un malato di cancro o anche se sei solo un semplice amatore della frutta.
Ieri il fondatore del Movimento BDS, Omar Barghouti, con un triplo salto carpiato di cui è specialista, ha detto che se Israele dovesse scoprire un vaccino o una cura contro il Coronavirus i boicottatori di Israele sarebbero autorizzati a usarlo.
«Salvare vite umane è più importante di qualsiasi altra cosa» ha detto il fondatore del Movimento BDS per giustificare la capriola.
Provate a immaginare lo sgomento di questi poveri boicottatori di Israele che già sono costretti dal destino infame a usare quotidianamente tecnologia israeliana o medicine che arrivano da scoperte israeliane e che adesso devono affrontare anche questo tortuoso percorso di salvezza dal Covid-19.
Già e dura usare tutti i giorni i computer che hanno al loro interno una qualsiasi chip Intel, inventato in Israele. È dura soffrire di cuore o di una malattia vascolare e non poter boicottare lo Stent, inventato dai perfidi israeliani. È dura usare i cerotti e altri farmaci per il diabete, gli Spin per gli asmatici e decine di altri farmaci salvavita inventati in Israele. Adesso ci si mette anche questo maledetto Coronavirus.
Ma i boicottatori di Israele ormai sono abituati ad essere poco coerenti con se stessi. Lo stesso Omar Barghouti è "costretto" a godere quotidianamente della democrazia israeliana. Usano computer con tecnologia Intel per scrivere i loro deliri anti-israeliani, mangiano frutta coltivata con il sistema a goccia inventato da Israele, si curano con medicine made in Israel. Però se c'è da boicottare un pompelmo o una cremina per la pelle del Mar Morto non si tirano indietro una volta.
Stoici e duri sulle loro inflessibili posizioni i boicottatori di Israele non guardano in faccia niente e nessuno, nemmeno a quando a rimetterci sono proprio i loro protetti palestinesi, come per la vicenda della SodaStream o per il boicottaggio dei prodotti in Giudea e Samaria che ha ridotto alla fame decine di migliaia di palestinesi che hanno perso il lavoro.
Chissà quanto gli è costato psicologicamente ammettere pubblicamente che, nel caso, sarebbero disposti a derogare dalla loro dura lotta senza confini contro i perfidi israeliani, perché l'importante è boicottare Israele con il culo degli altri. Ipocriti senza vergogna.

(Rights Reporters, 7 aprile 2020)


«Un piccolo pensiero per voi!!!! Grazie sempre delle notizie»

Angelica Edna Calo Livne, che abbiamo avuto occasione di conoscere personalmente e che compare diverse volte sulle nostre pagine, ha voluto inviare anche a noi da Israele un messaggio di incoraggiamento per gli italiani. A nome di tutti, nel nostro piccolo, la ringraziamo di cuore. M.C.

Dal Teatro Arcobaleno di Beresheet LaShalom
Carissimi amici!!!!
Anche noi del Teatro Arcobaleno di Beresheet LaShalom abbiamo voluto preparare un messaggio di augurio, ringraziamento e incoraggiamento ai nostri amici italiani!!!!!
Un breve video colmo di affetto e ammirazione.

(Notizie su Israele, 7 aprile 2020)


Coronavirus: Netanyahu annuncia il lockdown per pasqua ebraica

di Giacomo Kahn

Il premier Benjamin Netanyahu ha annunciato il lockdown totale per i primi giorni della settimana di festività di Pesach, la Pasqua ebraica, che avrà inizio al tramonto di mercoledì. Per evitare che si ripeta una diffusione di massa dei contagi, come avvenuto dopo la festività di Purim, all'inizio di marzo, gli israeliani non potranno allontanarsi dai propri quartieri dalle 20 di martedì fino alle 8 di venerdì. Gli israeliani non potranno invece lasciare le proprie abitazioni a partire dalle 19 di mercoledì, fino alle 8 del giorno successivo.
   Il divieto di uscire di casa per riunirsi con amici o parenti la sera di Pesach è una decisione che non ha precedenti non solo nella storia di Israele, ma anche nella storia trimillenaria del popolo ebraico.
   La cena del Seder è infatti uno dei momenti più importanti dell'anno per una famiglia ebraica, durante la quale le famiglie allargate si riuniscono intorno alla tavola per la lettura dell'Hagaddah, che narra l'uscita del popolo ebraico dell'Egitto. Tradizionalmente il più piccolo della famiglia pone una serie di domande rituali ai più anziani, ma quest'anno tutto sarà diverso: si vuole evitare di riunire nonni, nipoti, zii e cugini. "Vogliamo che ciascuno abbia un Seder con la famiglia con la quale vive, senza movimenti di famiglie", ha spiegato il ministro dell'Interno Arye Deri.
   Intanto il comune di Gerusalemme ha annunciato che mercoledì distribuirà in tutti i quartieri contenitori speciali per raccogliere il chametz, ovvero i cibi lievitati che, per tradizione, vanno eliminati da casa prima di Passover. Quest'anno è vietato bruciare il chametz, come è sempre stato uso, per evitare assembramenti. Sarà il comune di Gerusalemme ad assicurare che tutto venga poi incenerito.
   Intanto cresce il numero dei contagiati: con 102 nuovi casi di coronavirus, Israele ha superato la soglia di 9.000 contagi.

(Shalom, 7 aprile 2020)


Israele-Russia: colloquio telefonico Netanyahu-Putin, focus sul coronavirus

GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha avuto un "cordiale" colloquio telefonico con il presidente russo, Vladimir Putin, incentrato sull'emergenza Covid-19. Lo riferisce l'ufficio stampa di Netanyahu. Le parti hanno discusso della cooperazione per l'acquisto di materiale sanitario nel quadro della lotta al virus Sars-Cov-2. Inoltre, Netanyahu e Putin "hanno concordato di consentire il movimento tra Russia e Israele in modo che i cittadini di entrambi i paesi possano tornare nei loro paesi di origine". Infine, secondo quando riferito dall'ufficio di Netanyahu, Putin ha augurato ai cittadini israeliani una felice Pasqua e buona fortuna nella lotta contro la pandemia.

(Agenzia Nova, 6 aprile 2020)


Santo Sepolcro chiuso dopo 700 anni

Solo pochi fedeli ammessi per i riti a Gerusalemme. Funzioni sospese anche in Egitto, Libano e Giordania

di Giordano Stabile

Le porte sbarrate all'ingresso della chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Un'immagine che non si vedeva da settecento anni, al tempo della grande peste del Trecento. E che riassume la portata epocale dell'epidemia di coronavirus. Il mondo si è fermato, l'economia rischia di crollare, e anche riti millenari rimangono in sospeso, nel vuoto delle città messe in quarantena. La Settimana Santa si è aperta senza processioni, con Papa Francesco da solo in mezzo a San Pietro a celebrare la domenica delle Palme. La stessa scena si è ripetuta con il patriarca cattolico nella Città Santa, priva delle migliaia di pellegrini che di solito l'affollano in questi giorni. Il governo israeliano ha autorizzato le celebrazioni, ma con una presenza minima di sacerdoti e religiosi, per evitare un'esplosione di contagi. E le misure restrittive riguardano tutti i Paesi mediorientali con una forte presenza di cristiani, dal Libano all'Egitto. Misure dolorose, che mettono tristezza, ma necessarie per salvare vite umane.
   Nella città delle tre religioni abramitiche la Pasqua si prolunga in tempi diversi, in base al calendario gregoriano cattolico e giuliano ortodosso, mentre la Pesach ebraica comincerà dopo il tramonto di mercoledì prossimo per concludersi il 16 aprile. La domenica delle Palme sarà celebrata il 12 aprile dagli ortodossi, la Pasqua cattolica lo stesso giorno, e il 19 aprile per gli ortodossi. Tutte le confessioni hanno concordato di ridurre al massimo la presenza di fedeli. Persino una delle cerimonie più suggestive a Gerusalemme, quella del Fuoco sacro, che si svolge nella notte fra la Vigilia e Pasqua, sarà quasi senza testimoni.
   L'accensione della lampada all'interno dell'Edicola, il luogo che custodisce la tomba di Gesù, è il culmine di una settimana di riti ortodossi. Migliaia di pellegrini dall'Europa orientale e Medio Oriente arrivano ogni anno per assistere, accalcati nella chiesa del Santo Sepolcro. La tradizione vuole che sia un angelo a scendere nell'edicola per riaccendere la fiamma spenta poco prima della cerimonia. Spetta poi al patriarca greco ortodosso Theofilo III raccogliere il fuoco e distribuirlo ai rappresentanti delle altre chiese. Quest'anno saranno ammesse soltanto una quindicina di persone. Dopo la cerimonia trasporteranno il Fuoco sacro, scortati dalla polizia israeliana, da Gerusalemme all'aeroporto di Tel Aviv, dove sarà distribuito alle delegazioni di ciascuna chiesa, senza che nessuno debba scendere dagli aerei, per evitare la quarantena obbligatoria per chiunque sbarchi in questi giorni in Israele.
   Stesso tono minore in Egitto, altro Paese dei cristiani d'Oriente, assieme a Territori palestinesi, Giordania, Siria, Libano, Iraq. La Chiesa copto-ortodossa ha deciso di sospendere le preghiere e funzioni e ha ordinato la chiusura delle parrocchie. La decisione di Papa Tawadros II, patriarca della chiesa copto-ortodossa d'Alessandria, è stata presa in accordo anche con il governo egiziano che sta imponendo restrizioni sempre più rigide. Una decisione «storica e senza precedenti», ma imposta dell'emergenza. Le stessa che ha spinto il Libano a vietare le processioni per la Domenica delle Palme, seguitissime e chiamate con l'espressione francese «Les Rameaux».
   I maroniti cattolici sono la confessione più importante nel Paese dei Cedri e si sono adeguati alle indicazioni del governo e della chiesa. Il premier Hassan Diab ha deciso che le «confinement», cioè il restare a casa, durerà almeno fino al 16 aprile ma è probabile che venga esteso a fin dopo la Pasqua ortodossa, il 19 aprile. Messe e funzioni liturgiche sono sospese nelle chiese di tutte le confessioni cristiane, undici in Libano. E misure simili sono state prese in Giordania, dove vige un coprifuoco totale, in Siria e Iraq.

(La Stampa, 6 aprile 2020)


La settimana santa nella Terra Santa tra lacrime dai balconi e baci su Skype

Gerusalemme è aperta nei cuori ma le strade prima piene di gente sentono ora il gelo dell'assenza di cristiani e ebrei.

di Fiamma Nirenstein

 
GERUSALEMME - Perché questa sera è diversa da tutte le altre? Quest'anno, mercoledì sera quando, come ogni anno, comincia la Pasqua ebraica con queste parole, ci verrà da piangere e da ridere insieme chiedendolo. E ci guarderemo in faccia; e certamente diremo l'uno all'altro «tutto». A tavola alla «grande» cena siederemo in pochi, pochissimi, distanziati, collegati su skype con le famiglie che avrebbero dovuto sedere con noi. Ma c'è poco da fare: questa è la Pasqua con Corona. Nella notte senza rumori di Gerusalemme, ognuno ripercorrerà sulla «Agadà» la via della libertà del popolo ebraico guidato da Mosè fuori dall'Egitto.
   A Gerusalemme, siamo in tanti: per i cristiani la Settimana Santa è stravolta. Chiusi dentro il Santo Sepolcro, nella Città Vecchia, gli 11 frati che possono uscire solo quando il custode musulmano fa girare la chiave millenaria nel portone, sanno che fuori non li attenderà la solita folla che viene da tutto il mondo, ma un gruppetto sparuto di clerici autorizzati, fra cui l'arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, che cerca di tenere aperto col cuore ciò che non può col corpo, niente processioni o messe di folla.
   Povero Pizzaballa, è dalla peste del 1349 che il santo Sepolcro non veniva chiuso. È toccato a lui fronteggiare la pandemia. Le strade punteggiate dai negozietti arabi sono color pietra, niente cocci colorati, magliette, monili, arazzi ricamati. Gerusalemme è aperta nei cuori, ma le strade che sempre nei giorni di Pasqua, che quasi sempre coincidono, splendono, gridano, vendono, sentono il gelo dell'assenza di ebrei e cristiani, del vuoto, del silenzio, del pericolo del virus. La Via Crucis nei vicoli, la Città Vecchia ornata delle statuine che Papa Francesco ha voluto per segnare le stazioni, deve rinunciare alle folle, cattoliche adesso e fra una settimana greco ortodosse, che camminano cantando e pregando con croci di legno che ricordano la passione di Cristo. Le lacrime per Gesù sono rimandate, o sublimate.
   Il Santo Sepolcro è stato visitato ieri da Pizzaballa, al quale è concesso di dire messa nel luogo sacro. Guardando la grande, strana chiesa costruita a pezzi piuttosto discordanti nei secoli, il solo desiderio che si prova è lo stesso che si sente nel centro, nel quartiere tedesco, a Talpiot, a Mea Shearim, Amona, in tutta Gerusalemme: che torni il rumore, che viva la città delle meraviglie e dei millenni, la capitale d'Israele rinata, che i turisti fedeli cristiani infilino la mano nella fossa dove doveva stare la croce sul Golgota, che la pietra liscia della deposizione sia di nuovo un oggetto di carezze, che i preti cattolici e i greci fieri del loro potere, gli armeni, i copti, le 22 fedi cristiane che convivono in chiesa, ma che non si sono potuti accordare nemmeno nello spostare quella scaletta che da secoli sta ritta in bilico su un cornicione.
   Il dispositivo del ministero della Salute vale per tutti anche se il patriarcato latino si batte per ottenere una degna celebrazione del Triduo Pasquale al Santo Sepolcro, e cerca di sostituire alla processione della Domenica delle Palme una distribuzione da parte dei parroci di rametti già benedetti e di acqua santa, e ha spostato, per esempio, la messa del giovedì santo a Pentecoste.
   Gli ebrei puliscono incessantemente la capitale e curano i fiori di tutti in colori e profumi. La spazzatura è raddoppiata da quando tutti sono in casa, la polizia in moto va avanti e indietro e blocca i sospetti di essersi allontanati. Mascherine e guanti, che strano, non nascondono l'identità di nessuno. Se passa un amico sotto la finestra (le mie sono basse) ti sbracci contento, e urli «ciao come stai come va come te la cavi, come stanno i ragazzi...» La Pasqua ebraica è difficile piena di quesiti intellettuali, di significati, di ostacoli organizzativi. Gerusalemme sembra una dama viziata, sta là zitta, è invasa da una sabbia bianca e calda nel vento di Hamsin, non si trovano uova, ci sono molti gatti arancioni per la strada. Israele ha combattuto molto bene fino ad ora, essendo stata una dei primi Paesi che ha chiuso i voli; poi Netanyahu ha puntato sul senso di disciplina e di resistenza della popolazione per chiuderla in casa.
   Unica effrazione seria, a Gerusalemme e a Tel Aviv le grandi comunità religiose che aspettano il Messia ad ogni minuto e che non fanno il servizio militare, per settimane hanno seguitato a andare, otto, dieci figli quanti sono, ad ammucchiarsi nelle scuole di Talmud e di Torah, a frequentare vicini vicini le sinagoghe e a portare il malanno in giro senza rendersene conto. Gerusalemme per questo ora ha uno spazio irriso e misterioso, i quartieri religiosi, ormai ridotti a più miti consigli da ordini tassativi per cui la polizia piantona i quartieri come Meah Shearim. Intanto, Gerusalemme religiosa ma anche quella semplicemente tradizionale, è presa nella frenetica pulizia domestica dal pane e da ogni cibo lievitato, ma la padrona di casa spesso è ritardata dalla presenza fitta in casa della famiglia che non si esce al lavoro e dei tanti bambini. Le strade di pietra, di fiori profumati, di pini neri, sono indifferenti, belli, sembrano un segnale che dice «ok, siete nella città santa, adesso cavatevela da soli». E Israele, abituata alla guerra, alla solidarietà a tutti i costi, a considerare i vecchi come monumenti alla memoria della Shoah e della costruzione dello Stato, compie giravolte, batte il naso, ma alla fine i giovani nell'esercito vengono a fare i prelievi, gli hotel con tante stelle vengono trasformati in case assistite per i vecchi. A Gerusalemme un numero telefonico, il 104, è solo per gli anziani, e dalle organizzazioni di quartiere chiamano tutti, dai 60 in su, per sapere se abbiamo bisogno di qualcosa. In generale qui in tutto abbiamo 49 morti e 177 in gravi condizioni, 8258 infettati, 477 guariti. Non c'è male.
   La notte del «Seder» racconta come Moshe condusse gli ebrei fuori dall'Egitto verso la libertà e dette loro i Dieci Comandamenti, su cui si è costruito il mondo in cui viviamo. Ma chi legge l'Haggada vede che per arrivarci si sono attraversate persecuzioni, piaghe, stermini. A Gerusalemme, ciascuno nella sua casa, separati, gli ebrei almeno sanno che sono arrivati dove Moshe li conduceva. E i cristiani nel giorno di Pasqua, soffrono rinchiusi, ma almeno sanno che Cristo è risorto. A Gerusalemme. Bel posto anche col Coronavirus.

(il Giornale, 6 aprile 2020)


Una fucina di idee cultura e spiritualità

Kiev, Odessa, Dnipro sono oggi le tre comunità ebraiche più numerose e vitali dell'Ucraina. Un vero Rinascimento

di Anna Lesnevskaya

Quella dell'Ucraina ebraica è una storia ricca di cultura e di spiritualità, ma anche segnata da grandi sofferenze tra i pogrom dell'epoca zarista e l'annientamento di più della metà degli ebrei ucraini (1,5 milioni di persone) durante l'Olocausto. Con la perestrojka è cominciata una grande Aliyah, con decine di migliaia di "rimpatrianti" che lasciavano il Paese ogni anno. Ma parallelamente si attuava la rinascita della vita ebraica, soprattutto per mano dei chassidim di Chabad-Lubavitch. Ora, secondo calcoli diversi, la comunità ebraica del Paese conta tra 120 e 300 mila persone, e rimane comunque tra le più numerose al mondo.
   La rivoluzione del 2014 e la successiva guerra tra il governo ucraino e i separatisti filorussi all'Est del Paese hanno avuto profonde ripercussioni anche sugli ebrei dell'Ucraina. Nelle città di Donetsk e Lugansk, occupate tuttora dalle milizie separatiste, le due comunità ebraiche contavano prima del conflitto rispettivamente 15 mila e circa 8 mila persone. Una parte di esse continua a sopravvivere nelle zone controllate dai ribelli, ma moltissimi ebrei ucraini hanno scelto la strada dell'Aliyah. Infatti nel 2015 è stato raggiunto un livello record degli olìm ucraini, 7.500 persone. E nel 2019 l'Ucraina è stata al secondo posto per numero di olìm hadashim (5.247) dopo la Russia.
   Il presidente ucraino Vladimir Zelenskij, lui stesso di origini ebraiche, ha sostenuto recentemente che il livello dell'antisemitismo in Ucraina sia tra i più bassi in Europa, ma non tutti gli ebrei locali la pensano così, rimanendo cauti di fronte agli sporadici atti vandalici antisemiti e alla presenza di alcune forze nazionaliste nello spettro politico del Paese. Secondo i dati di una ricerca dell'Anti-Defamation League (ADL), nel 2019 gli atteggiamenti antisemiti in Ucraina sono cresciuti del 14% rispetto ai numeri del 2015 dello stesso studio. Se un secolo fa la quasi totalità dei 3 milioni di ebrei ucraini abitava negli shtetl della "zona di residenza", mondo totalmente scomparso, oggi la popolazione ebraica si concentra nelle grandi metropoli, in primis, nella capitale Kiev, la città che ha dato i natali, nel 1898, alla prima donna primo ministro di Israele, Golda Meir, e dove visse e lavorò, a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, Sholem Aleichem, uno dei classici della letteratura yiddish. La storia della Kiev ebraica è inseparabile dalla tragedia di Babij Jar, a lungo taciuta dai gerarchi sovietici. In questo enorme fossato tra la fine di settembre e la prima metà di ottobre del 1941 le SS e i loro collaboratori locali hanno sterminato quasi tutta la popolazione ebraica della zona, più di 50 mila persone.
   La seconda comunità ebraica più grande in Ucraina è quella di Odessa, città portuale che tra la seconda metà dell'Ottocento e il primo quarto del Novecento era la terza città al mondo per popolazione ebraica. Proprio in questo periodo d'oro sulla scena letteraria di Odessa erano attivi Mendele Moicher Sforim, "il nonno della letteratura ebraica" e Haim Nachman Bialik, il poeta nazionale di Israele. Ed è qui che i brutali pogrom hanno dato la spinta all'attività dei sionisti Leon Pinsker e Vladimir Zhabotinskij. Oggi Odessa sta vivendo un vero e proprio rinascimento ebraico. A testimoniarlo la riconsegna alla comunità nel 2016 della celebre Sinagoga "Brodskij".
   La terza comunità ebraica più grande dell'Ucraina è quella di Dnipro all'Est del Paese, dove l'oligarca di origini ebraiche, Igor Kolomojskij, finanziò la costruzione del gigantesco centro comunitario nel pieno centro della città, costato decine di milioni di dollari e pubblicizzato come il più grande al mondo (foto in alto).
   L'Ucraina è stata anche la patria dei grandi Tzadikkim chassidici. Tra gli anni 1740 e 1760 nel paesino di Medzhibozh visse e sviluppò il suo pensiero il fondatore del chassidismo Baal Shem Tov. Mentre nella cittadina di Uman', nella parte centrale del Paese, si trova la tomba del suo bisnipote e un altro saggio chassidico, Rebbe Nachman di Breslov, scomparso nel 1810. Ogni anno per Rosh HaShanà Uman' ospita circa 30 mila seguaci di questo maestro chassidico e diventa un fulcro pulsante della spiritualità ebraica.

(Bet Magazine Mosaico, 6 aprile 2020)


"Il mio cuore è vicino a questa gente meravigliosa, che sopporta il dolore e dignità"

L'ambasciatore d'Israele in Italia offre ai suoi connazionali uno sguardo dall'interno di uno dei paesi più colpiti dal coronavirus

Quando esattamente si è interrotta la routine della nostra vita? Non lo ricordo. Ho perso il senso del tempo. Non è una metafora, è proprio così che mi sento. Gli eventi della scorsa settimana sembrano di un anno fa, e il mese scorso sembra un'altra vita. Lavoriamo di giorno in giorno, e ogni sera ci porta una nuova realtà.
Ho iniziato il mio servizio diplomatico come ambasciatore d'Israele in Italia con cuore aperto e molta curiosità, confidando nel Signore. Indipendentemente da quello che poteva succedere, avrei fatto del mio meglio per il nostro popolo e il nostro paese. Ma una pandemia come questa, che sta sconvolgendo l'ordine mondiale e causando la morte di decine di migliaia di persone, molte delle quali nel paese in cui mi trovo ora, non mi aveva nemmeno sfiorato la mente.
La sera del 30 gennaio tornavo da due giorni a Torino pieni di impegni. Vi avevo incontrato leader locali, aziende, esponenti di comunità ebraiche. Avevo anche parlato alla riunione inaugurale di una nuova organizzazione chiamata "Avvocati per Israele". Il giorno successivo, 31 gennaio, venivano identificati i primi due casi da coronavirus in Italia: due cinesi con un'infezione importante....

(israele.net, 6 aprile 2020)


Serbia-Israele: presidente Rivlin, sostegno a Belgrado nella lotta al coronavirus

Il presidente israliano Reuven Rivlin con il presidente serbo Aleksandar Vucic (foto d'archivio)
BELGRADO - Il presidente della Serbia, Aleksandar Vucic, ha avuto oggi una conversazione telefonica con l'omologo israeliano Reuven Rivlin. Secondo quanto riferisce una nota della presidenza serba, Rivlin ha espresso il proprio sostegno a Vucic e alla popolazione serba nella lotta contro la diffusione del coronavirus. I due interlocutori hanno sottolineato l'importanza della cooperazione internazionale per combattere una sfida di tale portata. Vucic e Rivlin hanno auspicato che le misure intraprese dai due governi per contenere il virus possano portare presto ad una diminuzione dei contagi e delle vittime. Vucic ha infine auspicato un ulteriore avanzamento delle positive relazioni bilaterali fra i due paesi.

(Agenzia Nova, 6 aprile 2020)


Resta dissenso tra Netanyahu e Gantz sul nuovo governo

Tra i due storici litiganti resta maretta.

Acque agitate per la formazione del nuovo governo israeliano. Sembra ancora in alto mare l'accordo tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, nonostante l'intesa per un governo di unità nazionale tra i due annunciata nei giorni scorsi.
Tanto che Gantz, come premier incaricato, ha preannunciato oggi al presidente Reuven Rivlin l'intenzione di chiedere una proroga al suo mandato che termina il 13 aprile, in piena Pasqua ebraica. Ma non è sicuro che Rivlin accetti la richiesta di altri 14 giorni, visto che ha detto di riservarsi di esaminare la vicenda a ridosso della scadenza.
L'impasse tra il Likud di Netanyahu e Blu-Bianco di Gantz (orfano dei suoi ex alleati Lapid e Yaalon) riguarda, secondo i media, alcuni punti e tra questi l'annessione di una parte della Valle del Giordano e degli insediamenti ebraici di Cisgiordania - favorita dal piano di pace di Trump - che il Likud vuole avviare da subito. C'è anche dissenso sul fatto che la carica di presidente della Knesset - ora occupata da Gantz - torni al Likud, come vuole Netanyahu.

(swissinfo.ch, 5 aprile 2020)



Israele: Unità 8200 impegnata nella guerra al Coronavirus

di Paola P. Goldberger

 
L'Unità 8200, un compartimento di altissimo livello della intelligence israeliana specializzata nella guerra cybernetica, è stata chiamata in causa dal Ministero della Sanità israeliano per contribuire nella guerra al Coronavirus.
Almeno una quindicina di ufficiali della Unità 8200 sono impegnati esclusivamente nell'analisi dei metadati relativi alla guerra al Coronavirus combattuta dai diversi paesi in tutto il mondo.
Questo, secondo il Ministero della Sanità, dovrebbe contribuire ad individuare la corretta metodologia per arginare e bloccare la pandemia di COVID-19 che ha colpito anche Israele.
Attualmente l'Unità 8200 è impegnata nella guerra cybernetica contro l'Iran, Hezbollah e Hamas e impiega circa 300 uomini e donne sia nell'analisi dei dati che nella vera e propria battaglia che si combatte a colpi di righe di codice.
Esattamente come avviene nella guerra cybernetica, il team che raccoglie i dati riguardanti la lotta al Coronavirus passa le informazioni a un secondo team dedicato unicamente alla loro analisi e allo studio delle soluzioni.
Gli algoritmi usati sono gli stessi che si usano in campo militare, adattati logicamente al problema specifico.
L'intervento degli specialisti dell'Unità 8200 serve anche ad aggiornare i sistemi informatici del Ministero della Sanità, giudicati un po' obsoleti. Quindi uno dei primi compiti affidati agli specialisti è stato quello di creare un pacchetto di software dedicato a permettere agli operatori sanitari di condividere i loro dati con gli altri operatori in tempo reale. Questo permette un continuo aggiornamento sui metodi di cura e di prevenzione più efficaci.
Non mancano logicamente sistemi per il controllo in tempo reale delle persone infette e di coloro che sono venuti in contatto con loro, il tutto al fine di prevenire il dilagare dell'epidemia.
Alcuni hanno sollevato critiche su questi sistemi di controllo che, secondo taluni difensori dei Diritti Civili, violerebbe la privacy delle persone infette. Ma se è vero che questa è un guerra allora vanno usati gli stessi sistemi che si utilizzano nelle guerre vere e proprie.

(Rights Reporters, 5 aprile 2020)


Israele e il problema dei partiti arabi

di Ugo Volli

Sia pure in mezzo alle difficoltà del coronavirus, la politica non perde il suo peso, anzi, dato che alla responsabilità politica, non ai medici o agli economisti, spettano in definitiva le scelte sui metodi di contrasto dell'epidemia e toccheranno poi le decisioni sul rilancio dell'economia. Così in Italia e così in Israele, in attesa della nascita del governo di unità nazionale, il dibattito è accesissimo: su come riuscire a indurre i charedim a rispettare le misure di isolamento, sulla scelta improvvisa di Gantz che ha diviso la sinistra, sui ministeri che toccheranno ai vari partiti. I temi di fondo sono però due: l'invadenza del sistema giudiziario ai danni delle scelte che in democrazia spettano alle istituzioni politiche, e sul ruolo della lista unitaria dei partiti detti "arabi". Il fallimento del tentativo di Gantz di soppiantare Netanyahu deriva dal fatto che per riuscirci avrebbe dovuto costituire un governo dipendente dal loro voto, che entrassero o meno nel ministero. Ciò è parso inaccettabile ad alcuni parlamentari del centrosinistra e anche all'elettorato, come hanno mostrato i sondaggi. Qualcuno ha accusato per questo di "razzismo" la politica israeliana, ma non è così. Il punto non è la base etnica prevalentemente araba di questi partiti. Ogni discriminazione razziale e ogni propaganda razzista in Israele è proibita e perseguita. Di fatto la lista "araba" ha gli stessi diritti degli altri partiti, vi sono numerosissimi giudici, sindaci, professori universitari, ufficiali di polizia di origine araba e di religione musulmana. Il punto è che i partiti che convergono nella lista, tutti, non solo il super-estremista Balad, sono contro i fondamenti della realtà di Israele: antisionisti, chi per panarabismo laico, chi per islamismo, chi per comunismo. Fra loro c'è chi è stato consigliere di Arafat, chi è stato condannato per spionaggio, chi per aver contrabbandato ai terroristi in carcere strumenti di comunicazione. Come può vivere uno stato se mette il governo sotto il controllo dei suoi nemici giurati? Certo, questo non vuol dire né che gli arabi vadano sempre esclusi dal governo, né che i loro interessi legittimi non vadano tutelati, né che debbano per forza diventare sionisti (c'è una differenza fra non essere sionisti e essere nemici dello stato). Per superare l'impasse, è urgente la nascita di un partito arabo davvero democratico, senza compromessi col terrorismo e disposto ad accettare il diritto degli ebrei al loro stato nazione.

(Shalom, 5 aprile 2020)


Israele concede riti al Santo Sepolcro ma solo a mini delegazioni e a porte chiuse

di Franca Giansoldati

 
 
GERUSALEMME - Forse il più impegnato durante la settimana santa sarà Adeb Jawad Alhousseini, il custode musulmano delle chiavi del portone del Santo Sepolcro. E' da lui che i leader religiosi devono obbligatoriamente passare per aprire e chiudere la basilica più sacra della cristianità, il luogo in cui, secondo la tradizione, è stato deposto il corpo di Cristo.
   La basilica era stata chiusa dal governo israeliano per impedire la pandemia di covid-19 causando choc in tutte le comunità cristiane. Erano sette secoli che non accadeva un fatto del genere. Alla fine, dopo un lungo tira e molla, dietro mille rassicurazioni sulle misure prudenziali da rispettare per evitare il contagio da coronavirus, le autorità israeliane hanno concesso alle comunità cristiane - armeni, cattolici, copti, greco ortodossi e siriaci, ossia coloro che si dividono la gestione del Santo Sepolcro - di celebrare a scaglioni, a porte chiuse, in forma ridottissima, rigorosa e senza ovviamente i fedeli, i riti della settimane santa, a cominciare dalla messa di stamattina, quella delle Palme.
   Per questo Adeb Javad - appartenente a una delle due famiglie musulmane che da secoli controlla l'accesso al Santo Sepolcro - ha dovuto prendere la scala facendosela passare da una botola e, secondo un rito antichissimo, procedere a rimuovere i due fermi, prima quello più alto e poi quello in basso, e aprire il portone. Una volta che gli autorizzati sono entrati, ha dovuto richiuderlo fino a celebrazione ultimata.
   «Alle otto di stamattina ha fatto ingresso padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa con alcuni frati. Compresi quelli che erano all'interno, eravamo in tutto una ventina. Una volta entrati abbiamo celebrato il rito, letto il vangelo, e poi siamo tornati fuori, rimettendoci le mascherine. Dentro non le abbiamo indossate ma abbiamo osservato almeno 2-3 metri l'uno dall'altro» spiega il francescano padre Ibrahim Faltas.
   L'autorizzazione per le chiese cristiane è stata ottenuta dal governo dopo un accorato appello e una lettera al premier Netanyahu.
   Armeni, greco cattolici, siriaci e copti, a seconda delle loro celebrazioni, ora potranno varcare la soglia della basilica del Santo Sepolcro giusto il tempo della celebrazione. La porta, di conseguenza si aprirà per fare passare i monaci per poi chiudersi dietro le loro spalle. Il custode terminato il rito riaprirà il portone e lo richiuderà. Questo per ogni giorno della settimana santa a seconda dei rispettivi calendari liturgici.
   Dentro la basilica vivono in una specie di convento 11 francescani, 4 armeni e 15 greco ortodossi, che possono entrare mediante un ingresso alternativo dai tetti, attraverso scale a chiocciola strettissime e controllate. Padre Sinisa Sbrebrenovic, il sacrestano del Santo Sepolcro ripete che le preghiere dentro non si sono mai fermate e si prega tanto per fermare la pandemia.
   I casi positivi di coronavirus in Israele hanno raggiunto la cifra di 8.018 casi. Lo ha reso noto il ministero della Sanità, secondo cui al momento 127 malati sono ricoverati in condizioni gravi e 106 di essi sono in rianimazione. I decessi sono stati complessivamente 46 e le guarigioni 477.
   Negli ultimi giorni i responsabili alla sanità lanciano continui appelli alla popolazione affinché quest'anno rinuncino a visitare parenti in occasione della Pasqua ebraica (che inizierà mercoledì) per non dare altro impulso alla diffusione della pandemia. «Israele si trova ad un bivio», ha affermato il premier Netanyahu e le giornate di Pasqua, ha ammonito, possono essere di importanza critica per il Paese. «Tutti devono quindi restare in casa e celebrare la Pasqua in forma intima».
   Fatta eccezione per le mini delegazioni dei cristiani autorizzate ad entrare nel Santo Sepolcro.

(Il Messaggero, 5 aprile 2020)


Uk, partito laburista: Starmer, il successore di Corbyn, vicino alle comunità ebraiche e sionista

di Nathan Greppi

Sabato 4 aprile il capo dei laburisti inglesi, Jeremy Corbyn, è stato sostituito a seguito delle elezioni interne che hanno visto la nomina di Keir Starmer a nuovo leader del partito. Le elezioni per il nuovo leader erano già state annunciate a gennaio dopo la sconfitta alle elezioni del 12 dicembre 2019.
   Secondo il Times of Israel Starmer, 57 anni e già deputato dal 2015, è stato eletto con il 56,2% dei voti dagli iscritti al partito, contro il 27,6% di Rebecca Long-Bailey, la candidata più vicina a Corbyn, e il 16,2% di Lisa Nandy.
   Nel corso del suo discorso per la vittoria, Starmer ha dichiarato: "Condurrò questo grande partito in una nuova era, con fiducia e speranza, così quando verrà il momento potremo di nuovo servire il nostro paese al governo." Ha aggiunto che la priorità al momento è di collaborare con il governo conservatore di Boris Johnson per affrontare insieme la minaccia del coronavirus.
   Starmer si è anche scusato pubblicamente con le comunità ebraiche britanniche per gli scandali legati all'antisemitismo che, sotto la guida di Corbyn, ha proliferato tra le file del partito. "A nome del Partito Laburista, mi dispiace… Ho visto il dolore che (l'antisemitismo) ha arrecato a così tante comunità ebraiche. Estirperò questo veleno dalle radici e lo giudicherò un successo solo con il ritorno dei nostri membri ebrei e di coloro che sentivano di non poterci più sostenere."
   La moglie di Starmer, Victoria Alexander, è di origini ebraiche e ha parenti a Tel Aviv. Starmer a febbraio aveva parlato in merito alla rivista inglese Jewish News: "Mia moglie viene da una famiglia ebraica. Suo padre è ebreo, la sua famiglia emigrò dalla Polonia. La famiglia estesa vive in Israele." Sebbene non ci sia mai stato, Starmer ha detto che "siamo regolarmente in contatto con loro, e abbiamo pianificato varie visite, in pratica per portarci i nostri figli per la prima volta." Ha aggiunto che in diverse occasioni ha partecipato alle cene di Shabbat con i parenti della moglie, oltre a recarsi in varie sinagoghe di Londra per i loro matrimoni e bar mitzvah.
   Sempre parlando a Jewish News, Starmer disse: "Io sostengo il sionismo. Io sono assolutamente a favore del diritto d'Israele a esistere come paese. La mia unica preoccupazione è che il sionismo può significare cose leggermente diverse per persone diverse, e in parte è stato strumentalizzato." Parlando invece con il Jewish Chronicle, ha dichiarato: "Se la definizione di 'sionista' indica qualcuno che crede nello Stato d'Israele, in quel senso sono sionista."
   Nonostante queste sue dichiarazioni, sono emerse alcuni dubbi sulla sua vicinanza al mondo ebraico: alcuni lo hanno accusato di non aver fatto niente di concreto per combattere l'antisemitismo nel Labour quando era membro del governo-ombra di Corbyn. C'è stato anche chi lo ha persino accusato di aver nascosto i suoi legami col mondo ebraico per non compromettersi la carriera politica: lo stesso giorno della sua elezione, il Daily Mail ha riportato alcune vecchie affermazioni di Rav David Goldberg, rabbino londinese deceduto l'anno scorso: un amico di Rav Goldberg avrebbe detto al Mail che questi era "veramente deluso da Keir Starmer. Soprattutto in quanto sua moglie e i figli frequentano la mia sinagoga. È la loro comunità ad essere minacciata e nonostante ciò ha fatto così poco al riguardo. È patetico."

(Bet Magazine Mosaico, 5 aprile 2020)


Firenze, le religioni insieme per un messaggio di speranza

Le religioni insieme per lanciare un segnale di fratellanza e speranza. È accaduto a Firenze, sull'arengario di Palazzo Vecchio, in una piazza della Signoria deserta, dove accanto al sindaco Dario Nardella si sono ritrovati l'arcivescovo Giuseppe Betori, l'imam Izzedin Elzir e il rabbino capo Gadi Piperno. L'iniziativa, voluta dal primo cittadino "nel segno della storia e della vocazione di Firenze al dialogo interreligioso", è stata caratterizzata da alcune riflessioni e da un momento di preghiera. Rav Piperno ha recitato in ebraico alcuni salmi e ha letto la preghiera recentemente riformulata, in queste circostanze eccezionali, dal rav Adin Steinsaltz. Parole di conforto, per un'umanità che soffre.
Una iniziativa simile si era svolta negli scorsi giorni a Bologna, con la partecipazione anche del presidente della Comunità ebraica bolognese Daniele De Paz e del rabbino capo rav Alberto Sermoneta.

(moked, 5 aprile 2020)


Laicamente una volta questo si chiamava “sincretismo”; biblicamente si chiamava e continua a chiamarsi “idolatria”, trasgressione del primo comandamento. M.C.


Israele, oltre 8.000 casi, 46 decessi

Autorità sanitarie preoccupate per imminenza della Pasqua ebraica

I casi positivi di coronavirus hanno raggiunto oggi in Israele la cifra di 8.018. Lo ha reso noto il ministero della Sanità, secondo cui al momento 127 malati sono ricoverati in condizioni gravi e 106 di essi sono in rianimazione. I decessi sono stati complessivamente 46 e le guarigioni 477.
Negli ultimi giorni i responsabili alla sanità lanciano continui appelli alla popolazione affinché quest'anno rinuncino a visitare parenti in occasione della Pasqua ebraica (che inizierà mercoledì) per non dare altro impulso alla diffusione della pandemia. "Israele si trova ad un bivio", ha affermato il premier Benyamin Netanyahu e le giornate di Pasqua, ha ammonito, possono essere di importanza critica per il Paese. "Tutti devono quindi restare in casa e celebrare la Pasqua in forma intima".

(ANSAmed, 5 aprile 2020)



La pazienza dl Dio e la nostra speranza

di Marcello Cicchese
    Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).
Il termine greco che in questo versetto è tradotto con "pazienza", in altri passi viene anche tradotto con "perseveranza" (Luca 8.15, 21.19) e con "costanza" (Giacomo 1.3-4; Ebrei 10.36; Apocalisse 3.10, 13.10, 14.12). In senso generale, esprime la capacità di resistenza e sopportazione di chi, colpito dalle avversità, tiene duro, non demorde, non molla. Faceva parte, infatti, anche del linguaggio militare. Stando ai sistemi morali dei grandi filosofi greci (di cui però non sappiamo quanto fossero effettivamente praticati dai comuni mortali), sembra che la capacità di sopportare con serenità afflizioni e tribolazioni fosse una nobile virtù, apprezzabile in se stessa, indipendentemente da ogni altro motivo.
   Noi, uomini moderni, che della ricerca del piacere abbiamo fatto l'unica ragione di vita, facciamo molta fatica a capire come si possa apprezzare questa antica virtù. Noi italiani, in particolare, non sentiamo proprio alcuna attrazione per la virtù della perseveranza: davanti al dubbio se tener duro o no, il pensiero "ma chi me lo fa fare?" è un argomento quasi sempre decisivo .
    In questo scarso apprezzamento della pazienza come virtù in se stessa, siamo però forse più biblici noi dei nobili virtuosi del mondo antico. Secondo le Scritture, la pazienza non ha senso se non c'è speranza. Il "paziente" Giobbe non si comporta certo da uomo saggio e virtuoso quando, nel buio della situazione in cui si trova, maledice il giorno in cui è nato, e davanti alla mancanza di ogni luce sul suo futuro, esclama:
    "Che è mai la mia forza perch'io speri ancora? Che fine m'aspetta perch'io sia paziente?" (Giobbe 4.17).
Se non si può sperare, non ha senso perseverare. Lo sanno molto bene tutti quei giovani che si lasciano andare, e vedono nella droga un mezzo per scendere da un treno che non si sa dove conduca.
   Ma la speranza c'è. La pazienza quindi è possibile. Essa è fondata sulla pazienza di Dio.
   Chi prima di ogni altro ha provato dolore "in cuor suo" per il male che è tra gli uomini, è stato Dio stesso (Genesi 6.7). E se anche ha avuto per un momento il pensiero di far sparire il male dalla terra annientando tutta l'umanità, dopo il diluvio cambia proponimento e dice "in cuor suo":
    "Io non maledirò più la terra a cagione dell'uomo, poiché i disegni del cuore dell'uomo sono malvagi fin dalla fanciullezza e non colpirò più ogni cosa vivente, come ho fatto" (Genesi 8.21).
Dio decide di sopportare il dolore che la malvagità degli uomini gli procura e con Abramo inizia un piano di intervento con il quale abolirà il male dalla terra, salvando nello stesso tempo gli uomini:
    "... in te saranno benedette tutte le famiglie della terra" (Genesi 12.3).
La pazienza di Dio si esprime dunque nel fatto che la sua opera di salvezza prevede che per un certo tempo il male possa agire nel mondo. Egli ne prova dolore, ma lo sopporta, al fine di non distruggere quegli uomini che ha creato a sua immagine e somiglianza. A chi domanda perché Dio tollera il male nel mondo bisogna rispondere: perché Dio ha misericordia di te.
   In Cristo la promessa fatta ad Abramo è adempiuta: Gesù è l'Emmanuele, Dio con noi. Ma pur essendo già vinta la potenza del male, Dio ne sopporta ancora la presenza per lasciare tempo al "granello di frumento" che in Gesù è caduto in terra di "produrre molto frutto" (Giovanni 11.24). Verrà il tempo della mietitura: in quel tempo il male sarà tolto e con esso saranno tolte e bruciate anche quelle zizzanie che erano mischiate al frumento. La distruzione delle zizzanie non può essere anticipata senza sradicare anche il frumento.
   Dio aspetta. Dio concede spazio al peccato e tempo al peccatore.
   Ma Dio ha vinto il peccato, e il peccatore giustificato può aspettare con fiducia il tempo in cui Egli manifesterà la sua vittoria.
   La pazienza cristiana può allora essere definita come la capacità di inserirsi nei tempi di salvezza di Dio.
   Questi tempi non devono essere né anticipati né posticipati.
   C'è un'impazienza attiva che spinge gli uomini a ricercare soluzioni per i propri mali più sbrigative di quelle scelte da Dio. La speranza cristiana non sembra soddisfacente: richiede tempi indefinitamente lunghi e, soprattutto, richiede la conversione. Una speranza umana ben costruita risulta più maneggevole e consente di evitare attese e ravvedimenti. L'uomo non agisce come Dio, che prima soffre con la creatura che ha sbagliato, la salva e soltanto alla fine della sua opera di salvezza esegue il giudizio che toglie definitivamente il male.
   No, per l'uomo prima bisogna operare il giudizio, cioè togliere il male che è localizzato in alcuni uomini o categorie ben precise, in altre parole, prima bisogna tagliare qualche testa e giustiziare qualche responsabile; poi verrà il tempo di salvezza che porterà pace e giustizia agli uomini. A chi ha questo tipo di speranza non si può chiedere di riconoscere i tempi di Dio, di avere pazienza. Il decisionista ha trovato la soluzione giusta, e questa richiede tempi brevi. Per lui non è possibile adattarsi ad aspettare altri tempi di salvezza.
   C'è però anche un'impazienza passiva, che porta a dire che non esiste alcuna salvezza, né divina né umana. Il male è nel mondo, c'è sempre stato e sempre ci sarà. Non ci sono vie d'uscita. Ciascuno trova rimedi individuali ai problemi della propria esistenza, e nessuna aggregazione intorno a un grande progetto è possibile. Anche a queste persone non si può chiedere di riconoscere i tempi di Dio, di avere pazienza. Per loro non ci sono tempi di salvezza, non c'è nulla da aspettare.
   E' abbastanza usuale che a un periodo di impazienza attiva segua un altro di impazienza passiva, perché il maligno cerca in tutti i modi di distogliere l'attenzione degli uomini dai tempi di salvezza di Dio facendoli oscillare paurosamente tra entusiasmo e depressione.
   Il credente autentico invece è colui che ha riconosciuto i tempi della pazienza e della grazia di Dio. Egli è la buona terra che riceve il seme del regno di Dio e porta frutto con perseveranza (Luca 8.15). E di perseveranza c'è grande bisogno, perché non solo il male è tuttora presente, ma anzi spesso sembra essere l'unica vera realtà di questo mondo. La Parola di Dio invece invita a sperare senza vedere, sprona a combattere il buon combattimento serbando la fede (2 Timoteo 4.7); bisogna fare la volontà di Dio con costanza per essere partecipi delle promesse di Dio (Ebrei 10.36); bisogna accettare con perseveranza le persecuzioni da parte degli increduli , e guadagnare così la propria anima (Luca 21.19).
   Ma tutto questo viene effettivamente predicato e insegnato? Oppure si smercia ancora la formula: "Credi, e tutti i tuoi problemi saranno risolti"? Agli uomini bisogna dire: "Credi, e sarà risolto il problema della tua vita. Ma i tuoi problemi forse aumenteranno. Dovrai imparare a dire la verità, a cercare lavoro senza raccomandazioni, a lavorare sul serio, e non a fare finta, a pagare le tasse, a perdonare chi ti ha offeso, a preoccuparti di persone di cui adesso non t'importa nulla, a caricarti di pesi e problemi che di tutti ti sembrano meno che tuoi, a essere considerato come uno scioccherello con manie religiose. Conoscerai tempi di aridità e desolazione in cui forse rimpiangerai la vita 'senza problemi' di una volta. Ma non ti devi preoccupare, anzi puoi fin d'ora rallegrarti, perché 'la prova della fede produce costanza' (Ebrei 1.3), ed è proprio questa costanza che ti renderà perfetto e completo da ogni punto di vista (Ebrei 1.4)."
   Qualcuno dirà che questo è un insegnamento riservato ai credenti e non deve entrare a far parte del messaggio di evangelizzazione, con cui bisogna soltanto invitare gli ascoltatori ad accettare l'evangelo della grazia. Ma è ancora l'evangelo di Gesù Cristo quel messaggio che non presenta la santità di Dio, che non chiama al ravvedimento dal peccato e non invita alla perseveranza del discepolato? La mancanza di consistenza e di vigore di molte chiese non potrebbe forse dipendere dal fatto che siamo pronti a registrare le grida di allegrezza di chi riceve subito la Parola di Dio, senza chiederci se il seme ha veramente messo le radici (Luca 8.13), senza ricordare che l'unico terreno che si rivela buono per la Parola di Dio è quello che porta frutto con perseveranza (Luca 8.15)? E ci si può davvero sorprendere se colui che ha creduto nel "Gesù che risolve tutti i problemi" precipita in una crisi di fede non appena si accorge che tanti suoi problemi sono ancora lì, e a loro anzi se ne sono aggiunti anche degli altri?
   Le chiese devono essere luoghi in cui si insegna a sopportare afflizioni "come cristiani", non solo senza perdere la fede, ma anzi rafforzando la speranza.
    "... ma ci gloriamo anche delle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza" (Romani 5.3).
Il tempo della pazienza di Dio deve anche essere il tempo della nostra pazienza. Il male è stato vinto in Gesù Cristo, e un giorno tutti lo riconosceranno: questo fatto è il fondamento della nostra speranza e il motivo della nostra gioia.
   Ma in questo tempo di misericordia e di grazia, Dio permette ancora che il male sia presente e attivo fra gli uomini, credenti e non credenti. Da qui proviene l'afflizione, che per chi crede deve essere il tempo in cui si esercita la pazienza in un atteggiamento di perseverante speranza.
    "Siate allegri nella speranza, pazienti nell'afflizione, perseveranti nella preghiera" (Romani 12.12).
(Credere e comprendere, dicembre 1983)

--> Predicazione
Marcello Cicchese
dicembre 2017

 

Israele, si avvicina il momento del nuovo governo

di Mauro Indelicato

Israele appare sempre più paralizzato dall'emergenza coronavirus, nelle ultime ore lo Stato ebraico ha contato nuove vittime ed almeno mille casi in più di contagio. Un momento difficile che sta condizionando anche la politica, impegnata in una delicata fase che dovrebbe portare al varo di un nuovo governo Netanyahu. In Israele un esecutivo manca dal dicembre 2018, da quando le dimissioni dell'allora ministro della difesa Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beiteinu, hanno aperto una crisi di governo che tre elezioni anticipate nel giro di 11 mesi non hanno contribuito a chiudere. Adesso il Paese si avvia verso la formazione di un esecutivo di (parziale) unità nazionale, formato in primo luogo dai due principali antagonisti nelle ultime consultazioni: il premier uscente Netanyahu, leader di Likud, ed il presidente del parlamento, Benny Gantz. Ci sarebbe, secondo fonti di stampa locali, già una data prefissata per il varo del nuovo esecutivo: il prossimo 6 aprile.

 L'accordo tra Netanyahu e Gantz
  La svolta politica è arrivata lo scorso 26 marzo: quel giorno, la Knesset (il parlamento israeliano) ha scelto quale suo nuovo presidente il numero uno di Blu&Bianco, Benny Gantz. Una mossa a sorpresa, che ha spiazzato molti analisti locali: il nuovo speaker del parlamento infatti, ha guidato fino a poche ore prima la principale forza di opposizione a Netanyahu. La sua elezione a capo della Knesset, è stato il primo segno tangibile di un accordo preso con il Likud per arrivare entro pochi giorni alla formazione di un governo guidato dai due principali partiti. Con Gantz numero uno del parlamento, si è dato sostanziale via libera alla riconferma di Netanyahu alla guida del prossimo governo. Ma non solo: i due principali protagonisti dello scacchiere politico israeliano, avrebbero già concordato diversi dettagli volti a definire il quadro politico per i prossimi anni.
  In primo luogo, alla testa dell'esecutivo dovrebbe tenersi una vera e propria staffetta: per 18 mesi il ruolo di premier spetterà a Benjamin Netanyahu, per i successivi 18 invece a guidare il governo sarà Benny Gantz. Quest'ultimo a breve dovrebbe dimettersi dalla carica di presidente del parlamento per entrare nel futuro esecutivo: per lui, molto probabilmente, è pronto già il ruolo di ministro degli Esteri. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, sarebbero stati decisi anche i nomi di diversi ministri anche se non mancano ancora alcuni nodi da sciogliere. A pendere, soprattutto, è il ruolo di ministro della Giustizia, forse l'incarico attualmente più delicato visto che Netanyahu dovrà a breve affrontare un processo per corruzione. Sempre secondo Haaretz, il Likud non sarebbe d'accordo con la nomina di Avi Nissenkorn, deputato di Blu&Bianco, preferendo al suo posto invece Chili Tropper. C'è anche la querelle relativa al successo di Gantz sulla poltrona più alta della Knesset: la lista dell'ex rivale di Netanyahu rivendica un proprio nominativo, ma il Likud vorrebbe rivedere il "decano" Yuli Edelstein.
  I nodi dovrebbero essere sciolti nei prossimi giorni, quando Gantz e Netanyahu torneranno ad incontrarsi. Il colloquio previsto per giorno 30 marzo, è stato posticipato in quanto il premier uscente, e molto probabilmente rientrante, è in autoisolamento dopo che una sua collaboratrice è risultata positiva al Covid-19. I due punterebbero ad un giuramento del nuovo esecutivo entro il 6 aprile, prima dunque della festività della Pasqua ebraica.

 I detrattori dell'accordo
  Benny Gantz, fino all'intesa che lo ha portato alla guida della Knesset ed alla designazione quale nuovo ministro degli Esteri, era il premier incaricato di formare il nuovo governo. Sul suo nome era confluito il via libera di 62 deputati su 120, dunque un numero sufficiente per porre in essere una nuova maggioranza. Quest'ultima sarebbe stata formata, oltre che da Blu&Bianco, anche dai Laburisti, dalla Lista Araba Unita e da Yisrael Beiteinu. I primi punti del possibile programma di governo, avrebbero riguardato una legge in grado di impedire a chi è sotto processo di diventare premier ed un'altra riforma volta ad istituire un limite di mandati come primo ministro. Sarebbero state queste norme in grado di mettere fuori dai giochi proprio Benjamin Netanyahu. Alla fine però, la scelta del leader di Blu&Bianco è stata radicalmente differente facendo virare il suo partito verso un governo di unità con il Likud. Questo in virtù delle attuali esigenze relative all'emergenza coronavirus, le quali secondo lo stesso Gantz richiederebbero sforzi importanti sul fronte politico.
  Ma non sono stati dello stesso avviso gli oramai ex alleati dell'ex capo di stato maggiore dell'esercito. Yair Lapid e Moshe Yàalon, gli altri due leader di Blu&Bianco, hanno espressamente parlato di "tradimento". Secondo loro l'attuale emergenza sanitaria non giustificherebbe un'alleanza con quello che, fino a pochi giorni fa, ha rappresentato il principale avversario politico. Lapid, in particolare, ha parlato, a proposito del nuovo esecutivo, non di un governo di unità nazionale bensì di un "nuovo governo Netanyahu". Appare probabile che sia Lapid che Yàalon lasceranno Blu&Bianco per formare propri gruppi parlamentari. Tuttavia, la nuova maggioranza dovrebbe ugualmente reggere: al momento, l'esecutivo della staffetta tra Netanyahu e Gantz dovrebbe avere una maggioranza di quasi 75 deputati.

(Inside Over, 4 aprile 2020)


Chiuso il Santo Sepolcro. Il pressing dei cristiani per salvare i riti di Pasqua

Gerusalemme, la decisione di Israele valida per tutti i luoghi sacri. I portoni serrati hanno un solo precedente nel 1349 per la peste nera.

di Franca Giansoldati

 
La Basilica del Santo Sepolcro
ROMA - Non accadeva dal 1349 quando la peste nera cominciò a diffondersi anche in Terra Santa. Fu allora l'ultima volta che il grande portone di legno del Santo Sepolcro venne chiuso sine die. Esattamente come è accaduto in questi giorni a Gerusalemme su disposizione del ministro israeliano della Salute, il rabbino Yaakov Litzam.
  La basilica più sacra della cristianità, dove si venera il luogo della sepoltura di Gesù Cristo dopo la sua crocifissione sul Golgota, si riaprirà in data da destinarsi. Il giorno della chiusura sono state avvisate le due famiglie musulmane che si tramandano, di padre in figlio, la custodia della porta e della chiave, un cuneo di ferro di 30 centimetri. Normalmente viene aperta ogni giorno la mattina prestissimo e al tramonto con lo stesso rito, prima si appoggia una scala che un monaco dall'interno fa passare all'esterno, poi viene bloccato il primo catenaccio in alto e, infine, quello più basso con il secondo cuneo. Da quel momento entra in vigore una specie di extra omnes.

 Choc
  Il coronavirus ha stravolto letteralmente anche le celebrazioni di Pasqua al Santo Sepolcro, comprese la via crucis sulla via dolorosa e la passione. La comunità cristiana è sotto choc ma spera ancora che il premier Netanyahu possa concedere una dispensa speciale. Su questo dovrà esprimersi il Comitato di Sicurezza Nazionale. Nel caso si tratta di autorizzare l'ingresso a un minuscolo gruppetto di capi religiosi - cattolici, armeni, ortodossi - per celebrare il Triduo Pasquale in versione ridotta, sottotono, a porte chiuse, senza pellegrini e naturalmente rispettando almeno due metri di distanza per evitare che le goccioline di saliva diffondano il contagio anche se, all'Interno del Santo Sepolcro, potrebbe risultare piuttosto difficoltoso per via delle dimensioni.
  Nel frattempo i leader cristiani si sono consorziati per fare pressioni sul governo. Il patriarca greco-ortodosso Theophilos III, il custode di Terra Santa, Francesco Patton e il patriarca armeno, Nourhan Manoughian hanno scritto al primo ministro e per conoscenza anche al presidente Rivlin e al procuratore generale, Avichai Mandelbllt per lamentarsi che il più sacro sito dei cristiani resta chiuso non solo per i fedeli, ma anche per i capi delle Chiese che vi vivono dentro» e che questo non corrisponde al rispetto della libertà di culto e dalla parità di trattamento con le altre componenti religiose della società israeliana. Insomma, un atto di guerra. Naturalmente la vita liturgica all'interno della basilica - sebbene a porte chiuse in ottemperanza ai divieti in vigore - continua regolarmente grazie ai monaci e ai frati che stabilmente presidiano il complesso da dentro (senza poter uscire).

 Il contenzioso
  Per il governo decidere se accontentare i leader cristiani e dare loro modo di celebrare la Pasqua significa aprire un contenzioso con ebrei e musulmani visto che il ministro della salute ha disposto la chiusura anche del Muro del Pianto, di tutte le moschee e delle sinagoghe. Anche i rabbini stanno facendo pressione per poter festeggiare Pesach, la pasqua ebraica che inizia l'8 di aprile.

(Il Messaggero, 4 aprile 2020)


Poiché nell’articolo si parla genericamente di “cristiani”, è bene precisare che in questa faccenda molti cristiani sono dalla parte del governo di Israele, non delle autorità religiose.


Rabbino capo di Safed parla di tempi messianici in arrivo

E c'è chi ordina "ricchi paramenti bianchi"

 
Shmuel Eliyahu
Shmuel Eliyahu non è "solo" rabbino capo di Safed (la famosa "città della Cabala") e membro autorevole del consiglio del Gran Rabbinato d'Israele ma appartiene a una dinastia di tutto rilievo (il padre Mordechai fu Rabbino Capo sefardita d'Israele dal 1983 al 1993).
Recentemente Eliyahu, come riportato tra gli altri dal Jersusalem Post, ha detto che il mondo si sta avvicinando ai "giorni del Messia" e che la pandemia porterà a una più stretta osservanza delle leggi, come il rispetto dello Shabbat.
Non solo: ora in quelle terre c'è pure chi vocifera di strani acquisti di oggetti liturgici. A riportare queste indiscrezioni è BreakingIsraelNews, un portale che dichiara apertamente che il coronavirus rappresenta l'inizio dell'era messianica.
Voci per nulla isolate se consideriamo che qualche giorno fa davamo la notizia in base alla quale Y. Litzman, ministro religioso israeliano, annunciava che il Messia sarebbe arrivato presto, forse entro Pesach. Un clima apocalittico in qualche modo condiviso pure in ambiente islamico, dal momento che non sono mancati teologi sciiti e sunniti che hanno legato l'arrivo del coronavirus alla fine dei tempi.

(Radio Spada, 4 aprile 2020)


Fase 2 dell'emergenza: si studia il caso Israele

Gallera: un'ipotesi di riapertura graduale in base a età e settori economici. Ma il Pd chiede a Fontana di essere coinvolto nelle scelte della ripartenza.

di Luca Bonzanni

Le cifre segnalano un leggero rialzo rispetto agli ultimi giorni, seppur all'interno di un trend complessivo indirizzato sulla strada giusta. "Numeri positivi", li ha definiti anche ieri Giulio Gallera, assessore regionale al Welfare, tant'è che la prospettiva su cui si lavora (assieme al governo) con sempre maggiore forza è quella della fase 2 dell'emergenza. Cioè su un doppio binario, con una gestione ordinaria dei contagi che ancora resisteranno (e l'eventuale ritorno della pandemia) e una riapertura graduale della vita sociale, all'interno di una road map che passa da precise valutazioni legate a età, condizioni di salute, settori economici. È il modello israeliano: «Sia per l'esperienza che stiamo acquisendo, sia perché tutti dicono che le pandemie arrivano a ondate varie, e qualcuno dice che a ottobre potrebbe essercene un'altra, stiamo maturando l'idea di fare come in Israele: ossia realizzare degli interi reparti, magari degli ospedali, in ogni provincia, pronti e attivati per le emergenze», ha spiegato Gallera. Strutture, queste, che possono servire a «scaricare alcuni ospedali dalla presenza dei pazienti Covid e consentirgli di tornare il prima possibile a una gestione ordinaria ma soprattutto per essere pronti per qualunque evenienza». Il metro di paragone con altri territori d'Italia o del mondo è la filigrana del dibattito più strettamente politico degli ultimi giorni. Gallera ha respinto il parallelo col Veneto (che avrebbe retto meglio, come criticato dalle opposizioni): «Quello che è successo in Lombardia non è accaduto in nessun'altra regione: dopo due mesi, in tutto il Veneto o nelle altre regioni hanno i casi che noi abbiamo avuto nell'arco dei primi dieci giorni. Nel caso del Veneto si è individuato immediatamente il focolaio in un comune molto piccolo di 3 mila abitanti (Vo', ndr) e l'hanno chiuso. È quello che abbiamo cercato di fare noi a Codogno, poi ci siamo resi conto che la falla era molto più ampia». Dalle opposizioni, il Partito democratico chiede un coinvolgimento nel disegno della strategia che tratteggerà il futuro dei prossimi mesi:«Da settimane abbiamo mandato comunicazioni in Regione con toni assolutamente collaborativi, per segnalare l'utilità di una gestione condivisa dell'emergenza. Purtroppo il governatore Fontana si è rifiutato di costituire una cabina di regia che a livello nazionale invece si è creata. A livello regionale c'è un uomo solo al comando, peraltro con grandi pecche, se pensiamo soprattutto alle Rsa. Auspichiamo che questo avvenga almeno sulla parte economica di ripresa - rimarca Pietro Bussolati, consigliere regionale dem -. Peraltro, va completamente rivisto il modello della sanità lombarda concentrato solo sugli ospedali».
   I dati di giornata raccontano di altri 1.455 casi (47.520 il totale), + 1.292 in 24 ore; giovedì erano stati+ 1.292, con sostanziale parità di tamponi. Proprio la cifra dei test resta comunque alta, e soprattutto riguarda molti operatori sanitari, i più esposti al contagio. La pressione ospedaliera si conferma in allentamento: 11.802 i ricoverati (+40), 1.381 le persone in terapia intensiva (+30). Stabile il quadro territoriale: a Milano e provincia i positivi sono 10.391 (+387), di cui 4.184 in città; la Bergamasca conta 9.315 contagi (+144), il Bresciano 9.014 (+257). I decessi ufficiali hanno raggiunto quota 8.311, +351: è l'incremento giornaliero più contenuto dal 26 marzo. Da oggi saranno al lavoro altri sei laboratori per l'analisi dei tamponi (il totale regionale sale a 31), e prosegue l'organizzazione dei test sierologici; nel frattempo, l'Istituto superiore di sanità ha "omologato" le mascherine che si stavano producendo il Lombardia (dall'azienda Fippi di Rho), che così potranno essere distribuite.

(Avvenire - Milano, 4 aprile 2020)


Paracadutisti nella zona rossa di Bnei Brak

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Per due battaglioni di paracadutisti della 98/a divisione dell'esercito da questa mattina il fronte non è alle frontiere del paese, ma a poca distanza da Tel Aviv: tra gli ortodossi di Bnei Brak (200mila abitanti), la cittadina diventata la prima 'zona rossa' di Israele. A loro - vera e propria unità d'elite - il governo ha infatti affidato il compito di portare "assistenza civile" in una zona dove il Covid-19 segna quasi 1000 casi sul totale di 7000 di Israele. Un compito non facile in un agglomerato affollato e particolare, segnato dalla presenza di sette di religiosi a volte contrarie alla stessa esistenza dello stato laico di Israele e in cui la religione spesso sovrasta la scienza. Se tocca alla polizia vigilare che nessuno entri o esca dalla città a meno di particolari motivi comprovati da un permesso, i soldati - secondo le regole di ingaggio - devono invece facilitare l'evacuazione da Bnei Brak dei malati da trasferire in residenze protette e di tutti quegli anziani che lo chiedano nel tentativo di sfuggire ad un eventuale contagio. Altro compito - oltre quello di rifornire di cibo e medicine ai residenti a rischio - è avviare una massiccia serie di test per mappare meglio la diffusione del virus che ha fatto di Bnei Brak un caso, visto le ripetute elusioni dei suoi abitanti, guidate in parte dai rabbini del luogo, delle direttive del ministero della sanità. Un compito che potrebbe diventare ancora più complesso durante la settimana di Pesach, la pasqua ebraica, che comincia mercoledì prossimo. Ma se Bnei Brak - come ha detto il capo del Comando del Fronte interno generale Tamir Yadai - è "il primo posto dell'intervento", con tutta probabilità non sarà l'ultimo. Già si parla di altre cittadine come Elad, Migdal Ha'Emek e parti di Gerusalemme, tutte ad alta intensità ortodossa.

(ANSA, 3 aprile 2020)



Un pranzo solidale a sostegno del personale sanitario che lotta contro il coronavirus

L'Ospedale Israelitico di Roma è al lavoro per sostenere il Sistema Sanitario Nazionale nella lotta al Coronavirus. Già da diversi giorni la sede di Via Fulda 14 è diventata un presidio COVID-19 per i pazienti che non necessitano di terapia intensiva. Il personale sanitario sta mettendo tutte le proprie energie in questa lotta per la vita, portando avanti un impegno gravoso con enormi sacrifici, come del resto stanno facendo tante altre strutture ospedaliere in Italia.
   Oggi per il personale del presidio COVID-19 dell'Ospedale Israelitico è stata organizzata una lieta sorpresa. I ragazzi della ditta Le Bon Ton Catering sono arrivati all'ingresso antistante la sede e hanno offerto a tutto il personale un piatto di pasta espresso. Un pranzo tenuto con le dovute distanze di sicurezza e in tempi rapidi per permettere a tutti di continuare l'assistenza in reparto, ma dal sapore unico di chi ha voluto allietare la fatica delle persone che ogni giorno devono fare la propria parte nella battaglia contro il Coronavirus.
   "Vorrei personalmente ringraziare Giovanni e Daniele Terracina di Le Bon Ton Catering , Dario Bascetta Greco e tutti i loro volontari che oggi sono venuti a offrirci questo pranzo speciale. Per chi vive da vicino la gestione dell'emergenza non è facile distrarsi dalla pressione. Sappiamo di avere il sostegno dei cittadini che confidano nel nostro lavoro, ma questi gesti regalano a tutti noi un po' di forza in più per continuare a dare il massimo in questa fase di crisi", ha detto il direttore sanitario Gabriella Ergasti.

(Shalom, 3 aprile 2020)


L'artista israeliana Noa: «Il mio concerto a sostegno di Bergamo»

Stasera in streaming la cantante dedica un live per l'ospedale: «Amo quella città».

di Luca Testoni

Se c'è un'artista internazionale che ama incondizionatamente il nostro Paese, questa è la 50enne cantante israelo-yemenita Achinoam Nini, nome d'arte Noa. «Siate forti, siate pazienti, il mondo ha bisogno di voi e vi ama», ha scritto sui suoi socia!, rivolgendo un messaggio di amore all'Italia in questi giorni di emergenza sanitaria. «Cari amici, non faccio che pensare a voi, ogni giorno, in ogni momento. Sono sicura che molto presto staremo insieme seduti in un bar, rideremo di tutto questo. Non vedo l'ora di vedervi di nuovo», ha poi aggiunto, firmandosi «your cantante». Nei giorni scorsi, Noa è andata oltre e ha espresso il suo personale dolore per il dramma di Bergamo, la città dei morti portati via nei camion militari, ma anche la provincia più colpita d'Italia, seconda solo alla città cinese di Wuhan per numero di morti e contagiati.
   Ha scritto di essere particolarmente legata al capoluogo orobico, ricordando quando, nel 2000, ha girato per le vie e le piazze della Città Alta il videoclip di La vita è bella, l'ormai celeberrima canzone scritta da Nicola Piovani per la pellicola Premio Oscar di Roberto Benigni, la cui versione inglese dal titolo Beautuful that way, ha fatto il giro del mondo e le ha regalato enorme visibilità: «Ho ancora un ricordo bellissimo di quei giorni trascorsi a Bergamo, anche perché ero in attesa da tre mesi del mio primo figlio, Ayehil, che tra poco compirà 19 anni».
   Non stupisce che sia dedicato proprio a Bergamo il suo concerto realizzato in esclusiva e che sarà trasmesso in streaming oggi alle 19 sui canali socia! del Bergamo Jazz Festival e di I-Jazz, l'associazione nazionale che raccoglie alcuni dei più conosciuti e seguiti festival jazz italiani. L'iniziativa, ribattezzata «Il jazz italiano per Bergamo», è stata lanciata nei giorni scorsi da Bergamo Jazz Festival (la kermesse che ha come direttore artistico Maria Pia De Vito è stata spostata a giugno) è organizzato da Fondazione Teatro Donizetti, insieme a I-Jazz, per sostenere, tramite l'onlus Cesvi, l'Ospedale Papa Giovanni XXIII, la più importante struttura ospedaliera cittadina, simbolo della strenua resistenza dei sanitari di fronte a una pandemia che ha a Bergamo ha colpito durissimo e in modo drammatico.
   Per la cronaca, l'artista di Bat Yam, a sud di Tel Aviv, che nell'esibizione online avrà al suo fianco con il suo autore e chitarrista di fiducia Gil Dor, ha invitato con un altro video a effettuare una donazione a sostegno dell'opera dei medici del nosocomio bergamasco e ad assistere a questo speciale concerto: La vita è bella" rappresenta un punto importante della mia carriera: nei nostri concerti eseguiamo sempre questa canzone. Ora Bergamo sta soffrendo moltissimo e abbiamo quindi deciso di organizzare questo concerto virtuale perché, e ne sono estremamente convinta, la musica era e resta la nostra estrema medicina d'amore».

(il Giornale - Milano, 4 aprile 2020)


L'arcobaleno e la vita dopo il diluviò. Le radici ebraiche del segno di speranza

Il fenomeno compare più volte nella Bibbia ed è sviluppato teologicamente dalla tradizione qabbalista Nello Zohar è immagine della redenzione futura, del riscatto messianico e della benevolenza divina sul mondo

di Massimo Giuliani

 
Sin dai primi giorni di questa surreale e drammatica emergenza sanitaria sono comparsi sui balconi, alle finestre e sulle porte delle nostre case molti striscioni, lenzuola o disegni con l'immagine dell'arcobaleno, accompagnato dalla scritta: ''Andrà tutto bene". Un gesto di incoraggiamento collettivo, di solidarietà nazionale ( come l' esposizione del tricolore) e, forse, inconsciamente anche una barriera simbolica, dal vago sapore apotropaico, tesa cioè a tener fuori casa e fuori paese quel demone o spirito maligno invisibile ma aggressivo che chiamiamo virus, che in latino significa "veleno", e che sta ammorbando le nostre vite. Mentre però le bandiere nazionali con i loro colori sono simboli convenzionali, adottati da comunità o da individui un po' come gli stemmi araldici, l'arcobaleno ha un'altra origine: si tratta di un fenomeno del tutto naturale, che accade solo a certe condizioni meteorologiche o climatiche, raffigurato come uno spettro di sette colori, e che viene caricato di significati culturali diversi (in Italia è prevalso nel tempo il suo impiego come segno di pace; nel continente americano indica la rivendicazione alla diversità sessuale, che sventola soprattutto nei quartieri più gay delle grandi città). In ebraico, arcobaleno si dice qesher che vuol dire sia "arco" sia "varietà". Il termine rimanderebbe dunque alla pluralità di colori che lo compongono e che appaiono in cielo in forma di arco.
  Il fenomeno compare nella Bibbia già ai primi capitoli della Genesi, nella saga di Noè, alla fine della storia del diluvio universale. Usciti dall'arca il patriarca, la sua famiglia e tutti gli animali, e dopo che Noè ebbe offerto un sacrificio, Dio promise che la terra non sarebbe più stata distrutta dalle acque e strinse un patto con ogni essere vivente "per le generazioni in perpetuo", dice il testo biblico. Come prova visibile di questo patto e relativa promessa, potremmo quasi dire come "sacramento", Dio pose tra le nuvole (in mezzo cioè a quanto aveva causato le acque del diluvio e la distruzione) un segno, un memento anzitutto per se stesso: "Io lo vedrò per ricordare il patto perpetuo esistente tra Dio e tutti gli esseri viventi".
  È a partire da questa storia che l'arcobaleno si carica di un significato simbolico-religioso, anzi squisitamente teologico: è il segno della riconciliazione divina con la terra, non solo con l'umanità ma con tutta la creazione. In forza di questo patto, Noè diventa un secondo Adamo, dal quale tutti noi siamo discendenti, ma anche il testimone privilegiato della promessa divina siglata dall'arco-incielo: la terra e i suoi abitanti non saranno più distrutti dalla giustizia divina. Ecco perché nella tradizione ebraica questo fenomeno naturale viene salutato recitando una speciale preghiera che benedice Dio perché "si ricorda del patto, è fedele e mantiene la Sua parola". Per il profeta Ezechiele, poi, l'arcobaleno è il termine di paragone della luminosità che emana dalla gloria divina, che gli appare in una visione straordinaria e pullulante di vita, tra fiamme di fuoco e creature angeliche, tra pietre preziose e lampi di pura energia, apparizione descritta in apertura del suo rotolo profetico, il capitolo chiamato della "visione del carro".
  Grazie alle interpretazioni di questo carro celeste, l'arcobaleno entra nell'immaginario dei mistici, specie dei qabbalisti: lo ritroviamo così in alcuni passaggi dello Zohar, o Libro dello splendore, elevato a segno della redenzione futura, del riscatto messianico e della benevolenza divina sul mondo. Simbolo del patto grazie al quale non vi sarà più un'altra distruzione globale della terra, quest'arco che appare subito dopo un temporale assurge per la mistica ebraica a sintesi visiva dell'esperienza spirituale più alta, durante la quale il qabbalista vive una specie di sinestesia, ovvero un convergere di sensazioni solitamente esperite dai sensi corporei in modo separato. Qui la vista, l'olfatto e l'udito sono combinati, i colori si percepiscono come profumi e i profumi come voci angeliche. Per questo le spezie, che veicolano i profumi più estatici, sono state inserite nella liturgia di commiato dallo shabbat, quale viatico che dovrebbe prolungare nei giorni profani l'odore e il sapore della santità del settimo giorno. Ma anche i colori fanno da sfondo alla liturgia, perché la luminosità - espressa dal bianco - è una delle manifestazioni del divino, la luce non essendo altro che la sintesi di tutti i colori, i quali nell'arcobaleno sono presentati nella loro distinzione. Sono sette, numero simbolico che rimanda a una pienezza che tuttavia non annulla la loro diversità, piuttosto la tiene insieme. Se li separassimo, l'arcobaleno svanirebbe. Ma non tutti i colori hanno qui la stessa forza simbolica: il rosso, ad esempio, nella cultura biblica rimanda al sangue, elemento fondamentale della vita: la vita sta nel sangue, secondo le Scritture. E non senza un certo realismo il rosso rimanda anche al peccato, mentre il color porpora, simile a un violetto, che sta all'estremo opposto dello spettro di questi sette colori, rimanda alla purificazione (la liturgia cristiana lo ha ereditato come colore della quaresima e dei riti penitenziali). Il blu, invece, è tradizionalmente il simbolo del cielo e del mare, e come tale diventa il colore più "trascendente", emblema stesso dell'esperienza spirituale. Di solito è associato al bianco, che nell'arcobaleno non c'è perché il bianco è luce, è perfezione e purità, dunque è sintesi di tutti i colori messi insieme, sublime punto di incontro tra umano e divino. Ecco perché il tallit, il manto della preghiera ebraica, che gli uomini indossano in sinagoga di shabbat di solito è bianco, a volte con strisce di blu o di nero: quest'ultimo per mistici è il colore dell'inchiostro cioè delle lettere della Torà, chiamate "fuoco nero su fuoco bianco". Bianca poi è quella speciale veste, il kittel, che i chassidim indossano a Kippur, giorno di digiuno per ottenere il perdono divino. E nel kittel, avvolti dal loro tallit, desiderano essere sepolti, fiduciosi che Dio li richiamerà alla vita. L'arcobaleno dunque è la rifrazione, la traduzione in colori comprensibili all'essere umano della santità più alta e del ricordo dell'impegno divino a preservare la vita del mondo, e la vita dell'uomo in esso. Non diceva Ireneo di Lione: "gloria Dei vivens homo"? I colori dell'arcobaleno erano presenti anche nelle vesti del sommo sacerdote, che nel tempio di Gerusalemme mediava tra cielo e terra, a favore del popolo, con sacrifici di espiazione: nel suo vestiario, prescritto da Mosè nel libro dell'Esodo, dovevano esserci il color oro, l'azzurro, la porpora, lo scarlatto (il rosso) e il lino (il bianco). azzurro in particolare era un colore estratto da un mollusco, forse il murex brandaris, e doveva comparire anche nelle frange rituali, le stesse che oggi si portano ai quattro angoli del tallit, il manto della preghiera. È per questo che, con antropomorfismo consapevole e molto rabbinico, Paolo De Benedetti diceva spesso che l'arcobaleno è il tallit di Dio, e quando lo vediamo è un segno che Dio sta pregando e si sta ricordando di noi.

(Avvenire, 3 aprile 2020)


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L'arcobaleno in cielo e quello sulle bandiere

L'arcobaleno compare nella Bibbia come segno del patto di Dio con Noè, che è un patto di conservazione temporanea del creato, non di redenzione. E' un segno della misericordia di Dio, non di pace. Per certi aspetti, dopo quel patto le cose sono peggiorate, perché prima del diluvio Dio aveva protetto l'omicida Caino dalla vendetta di altri uomini, come ben sanno i pacifisti di tutto il mondo che amano ripetere il versetto «Chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui» (Genesi 4:15); ma dopo il diluvio Dio disse a Noè: «Il sangue di chiunque sparge il sangue dell'uomo sarà sparso dall'uomo, perché Dio ha fatto l'uomo a sua immagine» (Genesi 9:6), autorizzando così, anzi richiedendo, la pena capitale per gli omicidi.
L'arcobaleno ricompare nella Bibbia soltanto nell'Apocalisse ed ha un significato tutt'altro che rassicurante per il mondo della ribellione a Dio: appare intorno a un trono "posto nel cielo" (Apocalisse 4:3) in cui siede Dio prima che comincino a scendere sulla terra le tre ondate di sette flagelli ciascuna con cui si chiude un’epoca della storia della salvezza e se ne annuncia un'altra.
L'arcobaleno di oggi invece ha assunto il significato di un emblema della finale, ecumenica religiosità mondiale con cui gli uomini completeranno la loro storica ribellione a Dio nel nome della pace fra gli uomini. Il fatto che tale simbolo sia stato usato negli oscuri ambiti della qabbala ebraica e in altre forme di religiosità occultistica pagana, ne accresce l'aspetto sinistro. Nessun autentico credente nel Gesù degli Evangeli dovrebbe usarlo.
Anche l'incoraggiamento che alcuni israeliani hanno voluto dare a noi italiani agitando quel simbolo, va accolto sul piano della solidarietà umana, ma senza far riferimento a quel sinistro simbolo. M.C.

(Notizie su Israele, 3 aprile 2020)



«Le nazioni si sono adirate, ma la tua ira è giunta»

Poi il settimo angelo suonò la tromba e nel cielo si alzarono voci potenti, che dicevano: «Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo ed egli regnerà nei secoli dei secoli».
E i ventiquattro anziani che siedono sui loro troni davanti a Dio, si gettarono con la faccia a terra e adorarono Dio, dicendo: «Ti ringraziamo, Signore, Dio onnipotente, che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo grande potere, e hai stabilito il tuo regno. Le nazioni si sono adirate, ma la tua ira è giunta, ed è arrivato il momento di giudicare i morti, di dare il premio ai tuoi servi, ai profeti, ai santi, a quelli che temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra».
Allora si aprì il tempio di Dio che è in cielo e apparve nel tempio l'arca del patto. Vi furono lampi e voci e tuoni e un terremoto e una forte grandinata.
(Dal libro dell'Apocalisse, cap. 11)

 


Diaspora e Israele: così vicini, così (oggi) irraggiungibili

Ahavat Israel e solidarietà, nonostante il virus

di Paolo Salom

Riuscireste a immaginare un mondo - il nostro mondo - senza Israele? Quel che appare scontato non è detto che lo sia per sempre. L'epidemia che ha trasformato le relazioni domestiche e non solo nello spazio di poche settimane ci ha dato l'occasione di una riflessione basata su dati di fatto. Negli Stati Uniti, casa della più grande comunità ebraica all'infuori di Israele, è noto che le posizioni sul piano di pace presentato dall'amministrazione Trump sono per lo più sfavorevoli. Uno tra i concorrenti alla nomination tra i democratici, Bernie Sanders (ormai escluso dalla corsa), in passato ha più volte dichiarato di sentirsi "orgogliosamente ebreo", eppure si è circondato delle figure politiche più ostili a Israele: da Rashida Tlaib a Ilhan Omar, incarnazione del moderno antisemitismo: l'antisionismo. Eppure la popolarità di Sanders tra gli ebrei americani è sempre stata alta, nonostante le sue promesse (elettorali) di sospendere gli aiuti economici a Gerusalemme se non si ritirerà da Giudea e Samaria per "assicurare i giusti diritti umani ai palestinesi". Ora: nemmeno una parola sul terrorismo che ha costretto Israele a prendere misure necessarie per difendere i propri cittadini?
   Sappiamo bene cosa succederebbe in caso di ritiro unilaterale (o concordato: non fa differenza) da queste due regioni che sono il cuore della millenaria storia ebraica. Lo sappiamo perché è già accaduto: a Gaza. Dunque una siffatta politica rappresenterebbe un probabile suicidio dell'impresa sionistica, con l'impossibilità di arginare attacchi contro Tel Aviv, l'aeroporto Ben Gurion e la necessità di evacuare tutte le comunità che sono prosperate oltre la linea verde. Provate a immaginare che cosa vorrebbe dire questo non solo per gli israeliani (che sono nostri fratelli e sorelle) ma per noi tutti. Fate uno sforzo: sono sicuro che tutti a prescindere dalla posizione politica, in questi giorni ci avete fatto un pensiero. Comincio io, raccontandovi un episodio, banale ma esemplare: mio figlio Matteo (oleh ormai non più hadash) e sua moglie Tara sarebbero dovuti venire in Italia per trascorrere Pesach con la famiglia nella Golah (noi). Il coronavirus ha cancellato questa possibilità, di fatto tracciando un solco incolmabile. Loro lì, noi qui. Nessuna possibilità di incontro. Certo, esistono tutti gli strumenti per parlarsi e vedersi. E, soprattutto, Israele è ancora là e ci sarà anche al termine di questa crisi sanitaria. Ma questa lontananza forzata in un momento così importante del nostro calendario, la solennità che ricorda la fuga dall'Egitto, la ritrovata libertà nella propria Patria storica, spezza il cuore. E obbliga a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni, sulla necessità di non dare tutto per scontato. Molti di noi, in totale buona fede, si sforzano di immedesimarsi nelle "sofferenze altrui". Per carità, la mia non è una critica a questa disposizione d'animo. Al contrario: vorrei invitare tutti a considerare per un istante cosa sarebbe di noi se venisse un giorno a mancare la solidarietà, l'Ahavat Israel. Se un giorno le azioni di pochi portassero a un risultato paradossale ma reale: la scomparsa di Israele come Stato ebraico. Io dico che il futuro non si può prevedere. Ma nel presente si può e si deve agire per il meglio del nostro (piccolo) popolo: nel segno della solidarietà. Right or wrong, my Country.

(Bet Magazine Mosaico, 3 aprile 2020)


Prima o poi il coronavirus scompartirà, la paranoia antisemita no

Le teorie complottiste anti-ebraiche sul coronavirus non sono che l'ultima mutazione di una piaga che ha alle spalle una lunga tradizione.

La pandemia da coronavirus ha portato a una rapida proliferazione di una serie di teorie complottiste di stampo antisemita. Il fenomeno purtroppo non sorprende, giacché la tendenza a incolpare gli ebrei per ogni disgrazia generale è vecchia di secoli.
   Una delle prime teorie complottiste anti-ebraiche venne registrata dallo storico ebreo dell'epoca romana Giuseppe Flavio, il quale riferisce che, secondo l'odiatore di ebrei Apione, grammatico e sofista alessandrino, gli ebrei avevano rapito un greco, lo avevano tenuto prigioniero nel Tempio di Gerusalemme, lo avevano sacrificato e lo avevano mangiato. Siamo di fronte a un'anteprima della calunnia del sangue, una delle principali varietà della menzogna complottista antisemita.
   Saltiamo a oggi. L'ex presidente dell'Agenzia Ebraica Nathan Sharansky ha recentemente dichiarato: "Stanno incolpando gli ebrei, accusandoci di voler distruggere l'economia per fare soldi". Sharansky ha sottolineato che quest'ultima virulenta propaganda antisemita, che incolpa gli ebrei per l'epidemia da coronavirus, ha preso le mosse in Iran, in Turchia e altri paesi ostili a Israele e agli ebrei. In Iran, i mass-media controllati dallo stato accusano dell'epidemia "i sionisti" e avvertono le persone di non usare nessun vaccino contro il coronavirus che venisse sviluppato da scienziati israeliani (anche se poi il grande grande ayatollah iraniano Nasser Makarem Shirazi ha detto che l'uso di un eventuale vaccino israeliano sarebbe consentito se non ci fossero alternative)....

(israele.net, 3 aprile 2020)


Israele, ebrei ultra-ortodossi a rischio contagio

Con manganelli, mascherine e tute protettive, la polizia israeliana arresta gli ebrei ultraortodossi che non rispettano il divieto di pregare in sinagoga. Nel paese si contano 6808 casi confermati di infezione e 33 morti, almeno un quarto dei quali in ambienti ultra-religiosi.
Proprio gli stili di vita di queste comunità, formate da famiglie numerose, in cui non si leggono giornali né si guarda la tv ma si prega tre volte al giorno, allarmano gli esperti, per il forte potenziale di diffusione del contagio.
Secondo una ricerca pubblicata dai media, a Bnei Brak, località a maggioranza abitata da ebrei ultraortodossi, si registra un tasso di contagio del 34%, un terzo della popolazione locale, contro il 6% di Tel Aviv e il 10% di Gerusalemme.
In vista delle feste per la Pasqua ebraica, in cui è tradizione riunirsi in famiglia, le autorità hanno predisposto un inasprimento dei divieti e un aumento dei controlli.

(euronews, 3 aprile 2020)


La mostra "Ferrara ebraica" del Meis si visita online

di Ilaria Ester Ramazzotti

"Con la speranza di riaprire presto le porte del museo, il MEIS non si ferma e continua ad essere un luogo di libertà, scambio di opinioni e condivisione di idee". Così, in queste settimane di emergenza sanitaria, il Museo dell'ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara ha deciso di continuare l'attività espositiva in modalità virtuale, condividendo online con il pubblico la mostra "Ferrara ebraica", disponibile gratuitamente cliccando sul sito Ferrara ebraica.
   "In un momento di incertezza come quello che stiamo vivendo, il MEIS vuole condividere almeno in via digitale alcuni dei valori che hanno permesso agli ebrei di continuare a costruire la loro vita anche in momenti difficili", spiegano gli organizzatori, ricordando la nota Massima dei Padri: "Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso, cosa sono? E se non ora, quando?" (R. Hillel, Pirkei Avot I:14).
   Gli ebrei hanno con la città di Ferrara "un rapporto millenario e indissolubilmente intrecciato. Una storia conosciuta da tutto il mondo ebraico, che racconta momenti di incontro e integrazione alternati ad altri più bui". Il MEIS "ha voluto allestire la mostra 'Ferrara ebraica' per spiegare perché il museo sia nato proprio in questa città e oggi, in tempi di Coronavirus, vuole dare a tutti la possibilità di visitarla e di conoscere almeno una parte della grande ricchezza del patrimonio ebraico della città estense".
L'esposizione, organizzata pienamente dal MEIS, voluta dal direttore Simonetta Della Seta, curata da Sharon Reichel e allestita da Giulia Gallerani, è un viaggio tra passato e presente che racconta una delle comunità ebraiche più antiche d'Italia, con una eredità culturale e artistica unica. Oltre a valorizzare la straordinaria fattura di oggetti cerimoniali e ricostruire l'ambiente sinagogale, "Ferrara ebraica" si interroga anche sul rapporto tra gli ebrei e la città, portando alla luce racconti affascinanti intrecciati con la Storia.
   Il percorso è arricchito dal video introduttivo e dalle interviste agli ebrei ferraresi firmate da Ruggero Gabbai e dalle foto di Marco Caselli Nirmal.
   Le musiche della tradizione ebraica ferrarese, incise appositamente per il MEIS, sono curate ed eseguite da Enrico Fink.
   La mostra è stata resa possibile grazie alla collaborazione del Comune di Ferrara e della Comunità ebraica di Ferrara, che ha prestato al MEIS gran parte degli oggetti esposti e qui presentati ed è stata sostenuta da Holding Ferrara Servizi, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Il video introduttivo è realizzato in collaborazione con l'Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara con un contributo della Regione Emilia Romagna, legge Memoria del Novecento.

(Bet Magazine Mosaico, 3 aprile 2020)


Il leggendario Piano Immortale. "Andrà all'asta in Israele''

Costruito da Sebastiano Marchisio, in parte con il cedro del Libano del tempio di re Salomone, vale un milione e mezzo di dollari.

di Fabiana Magrì

 
Il Piano immortale
TORINO - Un milione e mezzo di dollari. Questo è il valore all'asta del Piano Immortale di Siena, lo strumento musicale, costruito a Torino 200 anni fa, in parte con legno di cedro del Libano proveniente dal tempio dire Salomone e che meritò il soprannome, preso in prestito dal Vecchio Testamento, di Arpa di Davide. È l'inizio dell'800, quando il piemontese Sebastiano Marchisio, nato in una famiglia di musicisti, noto per l'abilità nel fabbricare clavicembali e pianoforti, inizia la costruzione dello straordinario piano verticale a corde oblique poi completato dal figlio e dai nipoti, intorno al 1825. Sebastiano potrebbe davvero essere entrato in possesso del legno antichissimo (il tempio di Salomone risale al 1000 a.C.) recuperandolo da una chiesa colpita da un terremoto. Alcune cappelle pare fossero state costruite con i materiali portati in Italia dai romani che distrussero il tempio nel 70 a.C.. Chi crede nel destino potrebbe attribuire proprio al materiale le avventure del leggendario pianoforte, degne di una serie Netflix.
   Da Torino a Siena, lo strumento viaggiò con la dote di Rebecca Marchisio, nipote di Sebastiano. Fu a Siena che acquisì l'aspetto che ha ancora oggi, per mano del figlio scultore di Rebecca. Ritratti di Mozart, Handel e altri compositori ma anche l'arpa, i leoni e i cherubini di Davide sono alcuni dei decori. Era così magnifico da meritare un posto all'Esposizione Universale di Parigi del 1867 e, l'anno seguente, passò come regalo al principe Umberto I in occasione delle nozze con Margherita di Savoia. Le dita di Franz Liszt pigiarono i suoi tasti durante la cerimonia nuziale. Con l'incoronazione di Umberto re d'Italia nel 1878, lo strumento fu traslocato al Palazzo del Quirinale a Roma dove il re invitò a suonarlo Mattis Yanowski, pianista ebreo rifugiato della Russia zarista, ma il concerto rimase in sospeso, per l'assassinio del re, nel 1900.
   Il sogno incompiuto di Yanowski divenne eredità morale di suo nipote Avner Carmi, uno dei primi produttori di pianoforti nella Palestina sotto Mandato britannico. Allo scoppio della II guerra mondiale il Piano di Siena scompare per qualche tempo, forse trafugato dai nazisti. Proprio Carmi, arruolato nell'esercito britannico in Egitto, rinviene tra le macerie un vecchio e insospettabile pianoforte coperto d'intonaco e lo restaura. Tra gli Anni 50 e 60 il Piano Immortale è stato esposto nella Steinway Hall di New York, a disposizione di pianisti come Arthur Rubinstein e Pnina Saltzman. Nel 1955 il Time gli dedica un articolo e nel 1960 Carmi e la moglie pubblicano tutta la storia nel libro The immortal piano. Dopo la morte di Avner, nel 1966 il piano passa a un collezionista privato. In quell'occasione, La Stampa, lancia un appello per riportare lo strumento nella sua patria d'origine. Quel che è certo è che il viaggio del Piano di Siena non è ancora finito. La casa d'aste Winner's di Gerusalemme ha in carico la trattativa. Starà al futuro proprietario scrivere la prossima pagina della storia del Piano Immortale.

(La Stampa, 3 aprile 2020)


Nuovo raid contro la Siria: Damasco accusa Israele

di Futura D'Aprile

Mentre quasi tutti i Paesi del mondo sono alle prese con l'emergenza coronavirus, la tensione torna a salire nei rapporti tra Israele e Siria. Nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile, alcuni missili partiti dallo spazio aereo libanese si sono diretti verso la città siriana di Homs. A riportare la notizia del raid è stata l'agenzia di stampa siriana Sana, che non ha però fatto menzione di quale fosse il reale target dell'operazione militare.

 Il raid contro le forze iraniane
  Il primo a parlare dell'attacco durante la notte è stato il ministro della Difesa, che ha specificato che il sistema antiaereo era stato in grado di intercettare alcuni dei missili partiti dal Libano riducendo i danni che il raid avrebbe potuto causare in territorio siriano. Il Ministro non ha dato ulteriori informazioni circa la natura delle strutture colpite dai missili, ma ha assicurato che nelle prossime ore verrà lanciata un'indagine per valutare i danni causati da quella che è stata definita una vera e propria aggressione.
  Secondo il governo siriano tuttavia non c'è alcun dubbio su chi sia il responsabile di quest'ultimo raid. Damasco ha subito addossato la responsabilità al vicino Israele, accusandolo di aver usato ancora una volta il Libano per i suoi scopi militari: è la seconda volta in un mese che Israele avrebbe lanciato un raid contro la Siria dal territorio libanese. A sostenere la tesi dei siriani ha inoltre contribuito la notizia riportata dai media del Libano, secondo cui alcuni jet israeliani avrebbero sorvolato la zona a nord di Beirut, restando nello spazio aereo libanese il tempo necessario per condurre il presunto attacco contro la Siria. Anche sulla stampa israeliana sono ovviamente comparsi i primi articoli riguardanti il raid su Homs, ma manca ancora una conferma ufficiale da parte delle autorità di Israele circa la responsabilità dell'attacco: un'ammissione che difficilmente arriverà, come già successo in passato. Anche l'ultima operazione contro la Siria infatti è rimasta ufficialmente senza un mandante, nonostante Damasco avesse anche in quell'occasione puntato il dito contro Tel Aviv.
  Resta inoltre il mistero su quale sia stato il vero target di quest'ultimo attacco. Secondo quanto riportato dall'Osservatorio siriano per i diritti umani - la Ong con base a Londra - i razzi partiti dal Libano erano diretti contro le postazioni iraniane presenti sul territorio siriano. A confermare la tesi dell'Osservatorio è lo stesso Hezbollah, che tramite il canale tv Al-Mayadeen ha affermato che l'obiettivo dell'attacco erano proprio le basi che si trovano nella zona est di Homs. D'altronde le precedenti operazioni - rivendicate o meno da Israele - partite sempre dal Libano erano dirette contro le milizie sciite che sostengono il presidente Bashar al Assad e la cui presenza non è gradita al Governo israeliano. Israele infatti non ha mai fatto mistero della sua avversione nei confronti dei soldati filo-iraniani presenti in Siria e ha più volte fatto intendere ad Assad e Putin che non è disposto a tollerare un aumento dell'influenza di Teheran in Medio Oriente.

(Inside Over, 2 aprile 2020)


Unorthodox, la serie tv Netflix tra voglia di libertà e religione

Ispirato alle memorie di Deborah Feldman, racconta la storia di un'ebrea ultra-ortodossa che lascia il marito per cercare una nuova vita a Berlino.

di Elena Tebano

 
 
«Unorthodox» è una delle migliori serie tv di quest'anno. Prodotta da Netflix (e disponibile anche in Italia) racconta la storia di un'ebrea ultra-ortodossa che lascia di nascosto il marito e la comunità in cui vive a Williamsburg, a Brooklyn, New York, per cercare una nuova vita a Berlino. È ispirato alle memorie di Deborah Feldman «Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots» (pubblicate nel 2012) e scritto in collaborazione con lei. Visivamente bellissimo, ricostruisce alla perfezione la vita di una comunità chassidica di New York, governata dai suoi strettissimi rituali religiosi, che riservano alle donne il ruolo di mogli e madri, le preparano tutta la vita a quello, vietano loro di andare all'università, suonare musica o cantare. Per non parlare di Internet, interdetto a uomini e donne.
   La forza della serie però è mostrare come un simile sistema opprima la protagonista Esty (la bravissima attrice israeliana Shira Haas) senza condannare i valori e la religione che lo ispirano. Anche il marito che la insegue a Berlino è un personaggio pieno di umanità. Il senso di claustrofobia dell'universo chiuso su se stesso in cui vivono ha una strana eco in questi giorni di confino obbligato per la pandemia. La creatrice della serie, Anna Winger (la stessa di Deutschland 83 di Amazon) è un'ebrea americana che dopo essere cresciuta tra Massachusetts, Messico e Kenya al seguito dei genitori antropologi, si è trasferita a Berlino tirando su da sola — come l'autrice del memoir da cui è tratta, che ha conosciuto lì — un figlio. «Abbiamo parlato molto dell'esperienza di essere ebree in Germania» ha spiegato Winger al Guardian. «La dislocazione, un motivo per venire, fare i conti con la storia, l'atmosfera da metropoli di Berlino così simile a quella di New York» ha detto. «Vivo qui da 17 anni e penso che una delle cose che rende la città davvero sorprendente è il modo in cui gli strati di storia esistono contemporaneamente».
   Perché la storia di Esty porta con sé in ogni momento l'ombra della Storia. La sua comunità discende da sopravvissuti alla Shoah fuggiti in America, ognuno ha perso un familiare ucciso dai seguaci di Hitler e lei come tutti coloro che ne fanno parte si sente responsabile di quella eredità tragica: «Dobbiamo fare figli per recuperare i sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti», dirà a un certo punto. La Germania, nota Npr, ha fatto i conti con il proprio passato come nessun altro Paese, ma l'ascesa di partiti di estrema destra come Alternative für Deutschland, la recrudescenza della violenza antisemita e gli attacchi terroristici degli ultimi mesi mostrano che quei conti non sono ancora chiusi. «La serie — scrive ancora Npr — esplora cosa significa per una donna ebrea americana cercare la redenzione a Berlino».
   La riflessione sull'identità ebraica, e sul suo cosmopolitismo obbligato è una parte importantissima della serie: Winger e la co-sceneggiatrice tedesca Alexa Karolinski, anche lei ebrea, hanno cercato di coinvolgere attori e maestranze ebrei davanti e dietro la macchina da presa. La serie è girata in gran parte in yiddish(e per questo merita di essere guardata in originale con i sottotitoli): «Abbiamo deciso che avremmo scelto solo attori ebrei in ruoli ebraici, in parte a causa della lingua» ha detto Winger a Variety. «Volevamo persone che parlassero lo yiddish o che lo conoscessero, che avessero una certa dimestichezza con la lingua. Se i tuoi nonni lo parlavano, anche tu hai un sentimento per questa lingua». C'è in Unorthodox tutta la Diaspora ebraica: questa capacità di riconoscere e tenere vive radici comuni in un mondo sempre più ampio, globale e interconnesso, non importa se si è tedeschi, israeliani o americani che non sono mai usciti da Brooklyn.
   Ma quella di Esty è anche una storia universale(e questa è un'altra grandezza della serie): sulla capacità di trovare la propria strada, la libertà delle donne dai dettami di ogni religione, il ruolo salvifico dell'arte come espressione di sé, la determinazione a superare le avversità senza diventare più duri - oggi, con una parola un po' abusata, si direbbe resilienza -, il valore delle radici nonostante tutto. E la capacità di vedere possibilità dove sembrano esserci solo impossibilità. In questi giorni fa particolarmente bene.

(Corriere della Sera, 2 aprile 2020)


Coronavirus: Israele, in quarantena il capo del Mossad

Aveva incontrato ministro Sanità che è positivo. 30 i morti

Il capo del Mossad, Yossi Cohen, ha avuto istruzione di mettersi in quarantena avendo incontrato nei giorni scorsi il ministro della Sanità, Yaakov Litzman, che la scorsa notte ha appreso di essere risultato positivo al coronavirus. Lo riferiscono i media. Litzman (un rabbino ortodosso di 71 anni) è adesso in quarantena assieme alla moglie, secondo quanto ha precisato il ministero della Sanità israeliano.
Il direttore generale del ministero, Yaakov Barsimantov, è pure in quarantena in un locale apposito allestito all'interno del centro medico Sheba (Tel ha-Shomer) di Tel Aviv. "Avevamo preso in considerazione per tempo la possibilità di contagi", ha detto Barsimantov che ora porta avanti le proprie attività da quell'ospedale.
Il ministero della Sanità ha precisato che finora in Israele i decessi per coronavirus sono stati 30. I casi positivi sono 6211, di cui 107 versano in gravi condizioni.

(ANSA, 2 aprile 2020)


Rabbini Capo di Israele: Seder pasquale senza cellulari né pc

Le rigorose limitazioni dovute al coronavirus non ammettono deroghe, nemmeno in occasione della Pasqua Ebraica che iniziera' l'8 aprile. Lo hanno precisato i due rabbini capo di Israele, David Lau (ashkenazita) e Yitzhak Yosef (sefardita), rispondendo ai quesiti dei fedeli.
Di norma nella cena pasquale (Seder) le famiglie si riuniscono al gran completo per leggere assieme il testo che narra l'uscita degli ebrei dalla schiavitu' di Egitto. Ma in sintonia con le autorita' sanitarie di Israele, i rabbini Lau e Yosef hanno fatto adesso appello affinche' quelle cene si svolgano nella forma piu' ristretta possibile. Hanno anche vietato che si ricorra a sistemi di comunicazione a distanza, come cellulari o computer, perche' la loro attivazione sarebbe incompatibile con la solennita' festiva. Quegli apparecchi possono essere tenuti a disposizione "ma solo per emergenze", hanno precisato i religiosi. I due rabbini hanno insistito affinche' i fedeli preghino in totale solitudine e non piu' in gruppi di almeno 10 come vorrebbe la tradizione. Hanno invece autorizzato la apertura dei 'mikve', i bagni di abluzione rituale: ma solo per le donne.

(ANSAmed, 2 aprile 2020)


Cronache di disinformazione antisionista

Un caso recente confutato dal corrispondente dell'ANSA in Israele

di Nathan Greppi

Nemmeno in tempi di crisi come questi gli haters e i bugiardi della rete possono fare a meno di diffondere falsità e odio su contro Israele. Lo dimostra la recente pubblicazione di un articolo di stampo antisionista sul Dolce Vita Magazine, rivista bimestrale new age che conta oltre 220.000 follower su Facebook.
Nell'articolo si afferma che Israele ha sparato missili e cannonate contro postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza, in risposta a razzi lanciati da questi ultimi. La notizia sarebbe oggettiva, se non fosse che subito dopo si accusa Israele di cingere d'assedio la Striscia al punto da impedire l'arrivo nella Striscia di cibo, farmaci e attrezzature sanitarie, per concludere accusando lo Stato Ebraico di portare avanti una politica di Apartheid.
Sotto l'articolo, sulla pagina Facebook della rivista, proliferano commenti carichi di intolleranza quali: "Ebrei il popolo più perseguitato, chissà il perché…", o "Israele cancro del mondo".

(Bet Magazine Mosaico, 2 aprile 2020)


Israele, crescono i disoccupati

Per la prima volta nella storia d'Israele il numero di disoccupati ha superato il milione, pari al 24,1% della forza lavoro. Mercoledì mattina il numero totale di persone in cerca di lavoro è salito infatti a 1.004.316, con un aumento di 843.945 unità dall'inizio di marzo. Nella giornata precedente si erano registrate 35.668 persone in cerca di lavoro, circa il 49% in più rispetto a lunedì. In pratica, un lavoratore su quattro in Israele è attualmente disoccupato. All'inizio di marzo, il tasso di disoccupazione in Israele era solo del 3,9%. Complessivamente, l'89,7% delle nuove persone in cerca di lavoro si trova in congedo non retribuito, mentre il 6,4% è stato licenziato. Prima dell'inizio della crisi sanitaria, solo il 3% delle persone in cerca di lavoro era in congedo non retribuito

(israele.net, 2 aprile 2020)


Il 4 aprile alle 19 Noa canterà online per Bergamo

Sabato 4 aprile alle 19 la cantante israeliana Noa trasmetterà un concerto in streaming, con il chitarrista Gil Dor. In questo modo aderisce a "Il jazz italiano per Bergamo", l'iniziativa, lanciata nei giorni scorsi da I-Jazz insieme a Bergamo Jazz Festival e Fondazione Teatro Donizetti per sostenere tramite l'onlus Cesvi l'ospedale Papa Giovanni XXIII. Il concerto sarà trasmesso anche sui canali social di I-Jazz e dai suoi associati. Lo riporta l'ANSA.
Già nei giorni scorsi Noa ha espresso su Facebook il suo personale dolore per il dramma che sta vivendo Bergamo, città alla quale è particolarmente legata, per avervi girato nel 2000 il videoclip de "La vita è bella", la canzone scritta da Nicola Piovani per il film di Roberto Benigni: "Ho ancora un ricordo bellissimo di quei giorni trascorsi a Bergamo, anche perché ero in attesa da tre mesi del mio primo figlio, Ayehil, che tra poco compirà 19 anni".
Con un altro video l'artista israeliana ha invitato tutti gli utenti a effettuare una donazione a sostegno dell'opera dei medici dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII e ad assistere a questo speciale concerto, realizzato insieme a Gil Dor, suo partner artistico abituale: "La vita è bella rappresenta un punto importante della mia carriera: nei nostri concerti eseguiamo sempre questa canzone. Ora Bergamo sta soffrendo moltissimo e abbiamo quindi deciso di organizzare questo concerto virtuale", ha detto per poi concludere: "La musica è la nostra estrema medicina d'amore".

(Bet Magazine Mosaico, 2 aprile 2020)


Coronavirus - Israele, approvata la raccolta dati dello Shin Bet

GERUSALEMME - La commissione competente della Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato la raccolta di dati personali dei cittadini da parte dell'agenzia di intelligence interna, lo Shin Bet, per combattere l'epidemia Covid-19. All'inizio di marzo, il governo ha autorizzato lo Shin Bet a raccogliere informazioni da telefoni cellulari privati per facilitare la gestione dell'emergenza da parte delle autorità. La misura è stata ampiamente contestata dalle organizzazioni per i diritti umani. L'Alta Corte di giustizia ha emesso un'ingiunzione temporanea fino alla formazione della sottocommissione per i Servizi clandestini della Knesset per supervisionare la sorveglianza digitale. La sottocommissione ha approvato la decisione, consentendo allo "Shin Bet di aiutare negli sforzi per arrestare la diffusione del coronavirus per un mese" fino al 30 aprile, ha dichiarato la commissione Affari esteri e Difesa in una nota. Secondo i dettagli trapelati alla stampa, queste informazioni potrebbero consentire ai positivi al Sars-Cov-2 di essere inconsapevolmente identificati tramite la loro attività telefonica.

(Agenzia Nova, 1 aprile 2020)


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Coronavirus - Israele, una fabbrica di missili produrrà ventilatori

GERUSALEMME - Un impianto di produzione missilistica in Israele è stato convertito per produrre in serie ventilatori e compensare in tal modo la carenza di macchine salvavita, nel pieno dell'emergenza coronavirus. Lo ha annunciato oggi il ministero della Difesa israeliano. Finora, a causa della Covid-19 sono morte 17 persone, mentre i contagiati sono circa cinquemila. Il ministro della Difesa, Naftali Bennett, ha sottolineato che Israele ha solo 2.000 ventilatori, ma ne ha bisogno di molti più per salvare le persone che hanno contratto il Sars-Cov-19 e hanno bisogno di cure.

(Agenzia Nova, 1 aprile 2020)


Israele, gli ebrei ortodossi i soggetti più a rischio

Nella comunità tassi di contagio sei volte superiori alla media

di Valerio Sofia

 
La polizia israeliana esegue controlli ad un posto di blocco a Bnei Brak
 
 
Anche in Israele si guarda con molta preoccupazione all'epidemia di corona virus, nonostante che finora la situazione sembri sotto controllo. Ma è meglio non fidarsi.
A fronte delle 18 vittime e circa 4 mila contagi, il timore è che la situazione possa degenerare all'improvviso, magari esplodendo nelle aree palestinesi o nella Siria in guerra. Per questo israeliani e arabi stanno combattendo fianco a fianco per contenere il virus, e persino la litigiosa politica israeliana sta avvicinandosi ad un accordo dopo ben tre elezioni anticipate.
Si starebbero ormai mettendo a punto i dettagli per l'annuncio di un esecutivo di unità nazionale che veda fianco a fianco Netanyahu e Gantz, limitato al contrasto dell'emergenza sanitaria in corso. Netanyahu - che resterebbe premier prima di fare una staffetta con Gantz - ha adottato nuove misure restrittive a causa del corona virus, e ha incaricato i servizi segreti di individuare le persone contagiate. Proprio lui intanto si è messo in isolamento volontario dopo che una sua collaboratrice è risultata positiva.
Ma c'è un altro timore che riguarda Israele. Secondo le ultime stime la maggioranza degli ammalati di Corona virus apparterrebbe alla comunità degli ultra ortodossi (che rappresenta il 12% della popolazione israeliana).
Questo perché essi risulterebbero più vulnerabili in considerazione del loro stile di vita. La maggior parte non legge i giornali, non guarda la televisione e rifugge da Internet.
Hanno famiglie numerose, con tanti figli, pregano nelle loro congregazioni tre volte al giorno e, in alcuni luoghi, vivono in quartieri affollati.
E così un focus sulla città di Bnei Brak, una delle principali roccaforti degli ultra ortodossi, ha evidenziato un tasso di contagio del 34%, contro il 6% di Tel Aviv e il 10% di Gerusalemme. Per altro, a causa della loro chiusura non è neppure certo che tutti i casi di coronavirus siano davvero emersi.
La polizia sottolinea la mancata osservanza, da parte di molti membri di alcune di queste comunità, delle restrizioni imposte dal governo per frenare i contagi.
Questo nonostante il fatto che anche il ministro della Salute sia un ortodosso.
Nei giorni scorsi la polizia è dovuta intervenire per diradare assembramenti e poi per bloccare le proteste che ne erano scaturite.
Proprio a Bnei Brak, la cittadina più colpita all'epidemia, centinaia di persone si sono riunite senza alcuna precauzione per prendere parte a un funerale. A Gerusalemme, nel quartiere ortodosso di Mea Shearim, la popolazione si oppone quotidianamente alle restrizioni imposte. Un gruppo di giovani ha avuto uno scontro con la polizia urlando «nazisti andate via».
Ora le ulteriori preoccupazioni scaturiscono dall'imminenza della festa di Pesach, la Pasqua ebraica.

(Il Dubbio, 1 aprile 2020)


Attacco (israeliano?) alla base aerea di al-Shayrat in Siria

Otto missili lanciati da aerei sconosciuti, presumibilmente israeliani, hanno colpito nella notte scorsa la base aerea di al-Shayrat, nei pressi di Homs, in Siria.
Secondo fonti locali ci sono state diverse esplosioni che la TV di Stato siriana ha attribuito come sempre all'abbattimento dei missili mentre invece i testimoni rivelano che le esplosioni sarebbero avvenute a terra.
La TV di stato siriana e l'agenzia SANA sono note per raccontare lo storytelling che ogni volta la contraerea siriana abbatte tutti missili israeliani quando in realtà spesso spara a casaccio e non di rado combina guai, come quando ha abbattuto un aereo russo.
La base aerea di al-Shayrat, nei pressi della città siriana di Homs, è notoriamente uno dei principali terminali usati dall'Iran per trasferire uomini e armi in Siria, armi che poi vengono trasportate in Libano e consegnate ad Hezbollah.

(Rights Reporters, 1 aprile 2020)


Basket - Deni Avdija si arruola nell'esercito israeliano

L'ala del Maccabi approfitta del blocco dei campionati e dell'EuroLega per arruolarsi nell'esercito e svolgere il servizio di leva obbligatorio in Israele.

di Marco Novello

Deni Avdija, giovane promessa del basket israeliano ed ala del Maccabi, si è arruolato, stamane, nell'esercito del proprio paese; a riportare la notizia è stata la stessa squadra di Tel Aviv. Il talentuoso giocatore israeliano ha deciso di approfittare della sosta di campionato ed EuroLega per svolgere il servizio di leva obbligatorio per i ragazzi in Israele. Il giocatore voleva già unirsi alle forze armate l'estate scorsa; ma gli impegni con la nazionale U-20 del proprio paese, con cui ricordiamo ha vinto l'oro continentale, hanno rimandato tale impegno. "Sono felice e orgoglioso di arruolarmi nel IDF come previsto da ogni cittadino alla mia età. Come sul campo, anche in questa missione farò tutto quello che mi toglie" queste le dichiarazioni del ragazzo riportate sul sito del Maccabi Tel Aviv.

(Basketinside, 1 aprile 2020)


Israele. L'opportunismo di un generale rigoroso, un dono insperato a Bibi

di Umberto De Giovannangeli

 
Non basta essere stato un bravo generale, un discreto capo di stato maggiore, un uomo senza scheletri (giudiziari) nell'armadio. Non basta tutto questo per trasformarti in un politico di primo livello. Certo, l'effetto novità può pagare nel breve, portare a un incasso elettorale, ma poi, quando arriva il momento della verità, quando il gioco si fa duro, l'homo totus politicus finisce per surclassare l'"apprendista". È la storia di Benny Gantz. L'uomo che doveva porre fine all'"era Netanyahu", spodestare dal trono "King Bibi" e che ora si ritrova a dover condividere il probabile nuovo governo d'Israele con Benjamin Netanyahu, il primo ministro più longevo nella storia dello Stato ebraico. Una longevità che, stando alle trattative in corso, dovrebbe prolungarsi fino a settembre 2021. Diciotto mesi: un'eternità per la volubile politica israeliana.
   Gantz ha perso un'occasione irripetibile. E ha perso perché è venuto meno alla stessa narrazione su cui aveva costruito la sua entrata nell'agone politico: quello di un uomo tutto di un pezzo, che fa quel che dice, coerente con i principi che hanno ispirato la sua vita militare (e in Israele questo conta molto). Insomma un uomo tutto d'un pezzo. Ma il generale Gantz non ha tenuto fede a questa narrazione: ha ondeggiato, ha fatto marcia indietro più volte, dimostrando alla fine un'assenza di rigore, proprio quella che era la sua qualità precipua. Ora: in una politica, come quella israeliana, dominata da vecchie volpi e da "pescecani", si può anche essere "ondivaghi" e magari anche contraddire se stessi, a una condizione, però: saperlo fare, dimostrare di essere capace di dare le carte al tavolo delle trattative, rilanciare quando è il caso e anche, quando è il caso, saper bluffare.
   A quel tavolo da poker il leader di Kahol Lavan (Blu-Bianco) ci si è seduto ma alla fine ha dovuto cedere al rilancio di un avversario, Netanyahu, che nel suo abile cinismo, dove l'accento cade sull'aggettivo, ha saputo utilizzare al meglio anche l'emergenza sanitaria.
   A ben vedere, quella israeliana è una storia che ai tempi del Covid-19 varca i confini nazionali e parla anche a noi. A noi italiani, a noi europei. In momenti tragicamente eccezionali, come quello che stiamo vivendo, i dilettanti in politica vanno allo sbaraglio e l'opinione pubblica, impaurita, insicura, cerca certezze affidandosi all'uomo forte, all'usato sicuro. In Israele, a Benjamin Netanyahu. È un discorso che va oltre la classica, e un po' andata, divisione destra/sinistra (Gantz, peraltro, di sinistra non è mai stato) e investe categorie metapolitiche.
   Ma non c'è solo la riconferma a capo del governo israeliano. La sua operazione, di Netanyahu, è stata un autentico capolavoro politico , concordano gli analisti politici a Tel Aviv, pur dando a quel "capolavoro" differenti giudizi di merito. Ma nessuno mette in discussione che il premier più longevo nella storia d'Israele, in un colpo solo abbia mantenuto la guida del nuovo governo, per diciotto mesi, certo, ma nella politica israeliana sono un'eternità, e mandato in frantumi l'alleanza che per tre elezioni consecutive gli ha sbarrato la strada per la vittoria.
   La coalizione Blu e Bianco non esiste più. I due partiti anti-Netanyahu della coalizione Blu e Bianco, Yesh Atid, guidato da Yair Lapid, e Telem, capeggiato da Moshe Ya'alon, hanno annunciato il passaggio all'opposizione, lasciando gli alleati di Israel Resilience , il partito di Gantz. La comunicazione è stata formalmente data nelle sedi di assemblea e in aula c'è stato il voto contrario, insieme ai laburisti e alla destra nazionalista e laica, di Yisrael Beiteinu dell'ex ministro della difesa, Avigdor Lieberman.
Lapid ha spiegato che
la crisi causata dal coronavirus non ci dà il diritto o il permesso di abbandonare i nostri valori. Non si può strisciare in un governo del genere e dire che l'hai fatto per il bene del Paese.
E ancora:

Ciò che si sta formando oggi non è un governo di unità nazionale e non è un governo di emergenza. È un altro governo di Netanyahu. Benny Gantz si è arreso senza combattere. […] I risultati delle elezioni hanno dimostrato che Israele aveva bisogno di quell'alternativa come noi abbiamo bisogno dell'aria per respirare. Volevamo realizzare un cambiamento, creare una speranza, iniziare un nuovo percorso. E Gantz ha deciso di interromperlo,
ha concluso il fondatore di Yesh Atid, formazione centrista nata nel 2012 occupando un ruolo rilevante nel panorama politico con una precisa identità: contrastare Netanyahu.
   Per l'ormai ex alleato Ya'alon, quello di Gantz è un suicidio politico. Ancora più dura in aula la laburista Merav Michaeli:
Volevi essere Yitzhak Rabin ma sei finito come un altro ex capo di stato maggiore Shaul Mofaz, un uomo simpatico ma una caricatura di un politico che ha ceduto a Netanyahu e la cui carriera si è conclusa poco dopo.
Ma in politica, si sa, le affermazioni perentorie sono spesso "volatili". Tant'è che il segretario del Labor, Amir Peretz, si è affrettato a dichiarare la disponibilità del suo partito a entrare nella coalizione di governo se "Netanyahu e Gantz apriranno alle nostre proposte nel campo economico e sociale".
   Altra lezione che viene da Israele: confondere i propri auspici in realtà è qualcosa di esiziale, soprattutto in politica. E questo vale soprattutto per i circoli culturali progressisti israeliani e per il loro giornale di riferimento, Haaretz. La realtà è altra cosa rispetto alla sua percezione. E la realtà dice che è stata sottostimata la capacità di resilienza di Netanyahu, abile nell'identificare le maglie deboli della coalizione centrista Kahol Lavan, nata per spodestare prima di tutto Netanyahu e senza una reale volontà di leadership da parte di Gantz.
L'incapacità di superare l'impasse e formare un governo e la necessità di fronteggiare l'emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del coronavirus hanno spinto Gantz a dare prova di pragmatismo, invece che di rispetto della morale,
annota David Khalfa, ricercatore associato presso l'Institut prospective et Sécurité en Europe (Ipse), specializzato in Medio Oriente.
   Ma il pragmatismo senza visione si riduce a mero tatticismo, un terreno minato per l'"apprendista" Gantz. Per Khalfa,
Netanyahu, inoltre, non sarà totalmente dipendente da Gantz e manterrà i suoi rapporti con i partiti della destra religiosa. Netanyahu ha capito che doveva mantenere unita la sua base di sostegno, gestendo anche bene i media, ed è riuscito alla fine anche a dividere l'opposizione.
Altra lezione israeliana: la scorciatoia "giustizialista" non paga. E non può sostituirsi alla politica. I guai giudiziari di Netanyahu erano e restano sotto gli occhi di tutti gli israeliani. Gantz, in prima battuta, ha provato a farsene forza, invocando il rispetto dello stato di diritto, con la separazione dei poteri, e del principio che tutti i cittadini sono eguali davanti alla Legge, e non esiste uno più eguale degli altri, neanche se questo uno è il primo ministro. Gantz ha perso perché, al momento della verità, non ha retto il punto.
   Ma c'è un altro dato, non meno significativo, che spiega la sua sconfitta, perché tale rimane anche se Gantz sarà ministro degli esteri e, tra 18 lunghi mesi, subentrerà a Netanyahu alla guida del governo. Un dato tutto politico. Perché se sul terreno della sicurezza, nell'accettare il "Piano del secolo" di Donald Trump, con incorporate l'annessione della Valle del Giordano e delle Alture del Golan, con una modifica unilaterale dei confini di Israele, se sbraghi su tutto questo, allora è meglio l'originale, Netanyahu, che una "fotocopia", Gantz. Morale di una favola non a lieto fine: leader non ci s'improvvisa, tantomeno uomini della provvidenza. In passato, nei momenti di maggiore difficoltà, Israele si è rivolta a uomini in divisa diventati politici di lungo corso: Yitzhak Rabin e Ariel Sharon, solo per fare due esempi opposti rispetto agli orientamenti politici. Ma Benny Gantz ha avuto i gradi di Rabin e Sharon, ma non la statura politica. Quella non la si eredita, la si conquista sul campo.

(ytali, 1 aprile 2020)


Gerusalemme. Disinfezione «storica» del Muro

Sono arrivati con le tute bianche, con le mascherine, con i guanti di lattice, con tutti gli strumenti necessari per la disinfezione. E con i bastoncini lunghi e sottili, rigorosamente di legno, come richiesto dalla tradizione. Ieri mattina, per la prima volta nella storia di Israele, il Muro Occidentale (Kotel), è stato interamente sterilizzato, e i bigliettini posti dai fedeli tra le pietre sono stati rimossi con i legnetti e seppelliti ai piedi del Monte degli Ulivi. Un'operazione rituale, questa, che si fa una volta l'anno, in occasione del Capodanno ebraico, ma l'emergenza coronavirus ha imposto un intervento aggiuntivo. Il rabbino Shmuel Rabinowitz, responsabile del Muro, ha supervisionato l'intero processo, pregando per la fine della pandemia in Israele e nel mondo: «In questi giorni difficili - ha detto -, raccogliamo le preghiere di tutti coloro che si sono recati a questo Tempio».

(Avvenire, 1 aprile 2020)


Israele vira sull'autosufficienza

È allerta sui rifornimenti. Le scorte non mancano, ma pesa la dipendenza dall'import. E gli agricoltori lamentano i rincari del costo dell'acqua.

di Antonio D'Anna

Autosufficienza alimentare e in particolare nel campo di frutta, verdura, latte, uova pollame: Israele si risveglia sotto l'emergenza Covid-19 e per giunta nel periodo della Pasqua ebraica (8 aprile, quest'anno) con qualche domanda sulla possibilità di trovare riforniti i supermercati. Tutto a posto: il ministro per l'Agricoltura Tzachi Hanegbi ha tenuto una riunione di emergenza a metà marzo con i rappresentanti di categoria e le autorità politiche regionali per discutere dei rifornimenti.
   I segnali sono stati incoraggianti: tra l'8 aprile e il giorno dell'Indipendenza israeliana, weekend 28-29 aprile, non ci sarà alcun problema con le scorte. Tuttavia, ha osservato il capo del Consiglio regionale (l'equivalente delle regioni italiane, più o meno) di Merhavim, Shay Hajaj, ha sottolineato (fonte Times of Israel): «Per garantire cibo fresco a sufficienza in Israele, dobbiamo affidarci più al prodotto locale che alle importazioni e bisogna aumentare le quote per l'agricoltura nazionale». E ancora: «Gli agricoltori possono aumentare la produzione nazionale e ridurre la dipendenza dall'import. Insieme, costruiremo una politica agricola che permette di garantire la sicurezza alimentare nei rifornimenti di cibo fresco in Israele da ora in avanti».
   Il tema è particolarmente sentito. Il 22 marzo Israel Today ha sottolineato l'orgoglio degli agricoltori israeliani: «Se i prodotti della terra non mancano è merito nostro, non del governo che per decenni si è dimenticato di noi», ha dichiarato un agricoltore. E non è facile fare agricoltura in Israele di questi tempi: 4 mila agricoltori pagano lo scotto di un aumento annuale del prezzo dell'acqua, senz'alcun supporto da parte del Governo. Ecco perché spesso i grossisti preferiscono importare dall'estero, perché costa molto meno: un bel grattacapo che sta lentamente erodendo l'agricoltura nazionale. Inoltre l'hi-tech ha ristretto ulteriormente il ruolo dei contadini nel Paese. Il dibattito su questo tema stava andando avanti da un po': va bene essere all'avanguardia nelle nuove tecnologie, ma così dovrebbe essere anche per l'agricoltura e verrebbe da dire, come Dio comanda: il Deuteronomio 8:8 descrive Israele come «Paese di frumento, orzo, vigne, fichi e melagrani; paese d'ulivi da olio e di miele».
   Per il periodo pasquale si prevede un incremento del 10% nelle vendite dei supermercati. Quest'anno, particolarmente sentito. E con un governo uscente e un altro che ancora non c'è, i problemi degli agricoltori israeliani per adesso restano in stand-by.

(ItaliaOggi, 1 aprile 2020)


Romania-Israele: colloquio fra i presidenti Iohannis e Rivlin, focus su coronavirus

BUCAREST - Il presidente romeno, Klaus Iohannis, ha avuto un colloquio telefonico con l'omologo israeliano, Reuven Rivlin. Al centro delle discussioni la crisi epidemiologica generata dal nuovo coronavirus e i metodi di cooperazione per contrastare la sua diffusione. Lo riferisce l'amministrazione presidenziale di Bucarest con un comunicato. Iohannis ha presentato le misure adottate dalle autorità romene per l'identificazione e il trattamento dei pazienti affetti da Covid-19, nonché per la prevenzione della diffusione del coronavirus. D'altra parte, è stata evidenziata la stretta relazione di amicizia tra i due paesi, che punta su interessi comuni. L'amministrazione presidenziale precisa che, in questo contesto, Iohannis ha ribadito l'invito al suo omologo israeliano a visitare la Romania dopo la fine della crisi generata dalla pandemia di coronavirus, invito accettato da Rivlin.

(Agenzia Nova, 1 aprile 2020)


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