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Notizie febbraio 2013


E' etiope la nuova Miss Israele

Yityish Aynaw, 21 anni, è la prima donna di origine etiope a vincere il titolo di Miss Israele. Emigrata a 12 anni, ha fatto il servizio militare e sogna di fare la modella.

È Yityish Aynaw, 21 anni, la vincitrice della corona di Miss Israele la scorsa notte a Haifa. Yityish è la prima donna di origine etiope a vincere il titolo. È emigrata dal suo Paese con la madre all'età di 12 anni e, dopo aver assolto il servizio militare in Israele, gestisce ora un negozio di scarpe. Sogna di fare la modella.
«Questa notte ho scritto una pagina di storia» ha detto commossa Aynaw al quotidiano Yediot Ahronot. «Per me sarà una specie di missione rappresentare Israele in tutte le sue diverse carnagioni». In Israele, ha notato, non ci sono abbastanza modelle di colore scuro e spera dunque di dare adesso il proprio contributo. «Spero così di mettere in moto un cambiamento sociale».
Entusiata la prima reazione della parlamentare Pnina Tamno-Shata, del partito centrista Yesh Atid, lei pure nata in Etiopia da genitori ebrei, Falasha. Il mese scorso la Tamno-Shata è stata la prima donna di origine etiope eletta nel parlamento israeliano, la Knesset.

(globalist, 28 febbraio 2013)


Per Erdogan il sionismo è un "crimine contro l'umanità"

TEL AVIV, 28 feb - Israele ha oggi replicato con durezza dopo aver appreso che il premier turco Recep Tayyip Erdogan include il sionismo fra i ''crimini contro l'umanità''. In una conferenza a Vienna, Erdogan ha affermato: ''Come sionismo, antisemitismo e fascismo, anche l'islamofobia e' ormai un crimine contro la umanità''. Immediata la reazione israeliana: ''Si tratta di frasi tenebrose e menzognere - ha replicato Netanyahu - pensavamo che affermazioni del genere fossero scomparse dal mondo''.

(ANSA, 28 febbraio 2013)


Come si vede, è sempre molto diffusa la voglia di “criminalizzare” gli ebrei, qualunque posizioni essi occupino. E a proposito di criminalizzazioni, se per Erdogan il sionismo è un crimine contro l’umanità, come chiamiamo il fatto che l’ANSA continui a nominare Tel Aviv come se fosse la capitale d’Israele? Forse un crimine contro la verità?


L’ambasciatore israeliano a Cagliari visita il Centro Ricerca e Sviluppo di Telit

Nell'ambito del programma di incontri previsti con le principali autorità locali in occasione della sua prima visita ufficiale in Sardegna

Naor Gilon con Renato Soru e Leone Ouazana
CAGLIARI, 28 feb. - L'Ambasciatore Israeliano in Italia, Naor Gilon, nell'ambito del programma di incontri previsti con le principali autorita' locali in occasione della sua prima visita ufficiale in Sardegna, ha visitato il Centro di Ricerca e Sviluppo di Telit, azienda leader nel settore delle comunicazioni machine-to-machine (m2m), presso il Campus 'Sa Illetta' a Cagliari. Alla visita era presente anche il presidente di Tsicali, Renato Soru.
Inaugurato nel 2006, il Centro di Ricerca e Sviluppo di Cagliari rappresenta non solo un'eccellenza italo-israeliana nel settore M2M ma anche un concreto esempio della storica collaborazione scientifica tra il nostro Paese e Israele, dove scienza e tecnologia lavorano insieme per creare sviluppo e opportunita' a livello globale.
Domani alle 17, nella sede della Fondazione 'Giuseppe Siotto' a Cagliari, l'ambasciatore incontra il presidente dell'associazione 'Chenabura - Sardos pro Israele', Mario Carboni, che fa arte dell'associazione Italia-Israele.

(Adnkronos, 28 febbraio 2013)


Gaza - Dal mare invasione di manta giganti

Venti chilometri di spiaggia cosparsi di pesci che erano scomparsi da sette anni

GAZA, 28 feb - Una scena del genere non viene ricordata a Gaza nemmeno dai pescatori con maggiore anzianita'. All'alba di oggi il tratto di spiaggia compreso fra Deir el-Balah e Shati, rispettivamente a Sud e a Nord di Gaza City, era cosparso per una ventina di chilometri di centinaia di 'manta giganti'.
A Gaza quel tipo di pesce - considerato pericoloso perche' la coda contiene un forte veleno - era scomparso del tutto da almeno sette anni. La scorsa notte, per ragioni per il momento ignote, i 'manta giganti' hanno fatto improvvisamente ritorno, in grande stile. In parte si sono impigliati nelle reti dei pescatori, distese a breve distanza dalla costa. In parte hanno raggiunto la spiaggia e sono avanzati per alcune decine di metri, fino ad esalare l'ultimo respiro.
L'immagine della spiaggia cosparsa di cadaveri dei giganteschi pesci (ciascuno del peso di circa 20 chilogrammi) ha fatto grande impressione sulla popolazione ed e' presto rimbalzata in vari siti web. Gaza e' famosa per i suoi sofisticati ristornati di pesce. Il manta e' peraltro un pesce gradito ai palati locali, anche perche' particolarmente ricco di grasso.

(ANSA, 28 febbraio 2013)


Calcio: Figc, Miur e Ucei per divulgazione Shoah nelle scuole

ROMA, 28 feb - Un calcio all'antisemitismo e al razzismo. Dopo la visita della Nazionale ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau in occasione dei Campionati Europei di Polonia e Ucraina e le diverse iniziative portate avanti negli ultimi anni, prosegue l'impegno della Federcalcio nel ricordo della tragedia dell'Olocausto. Questa mattina a Roma, presso il Centro di Preparazione Olimpica Acqua Acetosa Giulio Onesti, il Presidente della FIGC Giancarlo Abete ha incontrato il Ministro dell'Istruzione Francesco Profumo e il Presidente dell'UCEI (Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane) Renzo Gattegna. Presente all'incontro anche il Presidente del Maccabi Italia, Vittorio Pavoncello. I partecipanti hanno rilasciato interviste che andranno a comporre un documento utile alla divulgazione della Shoah nelle scuole. Il progetto, che prevede la partecipazione di FIGC, Ministero dell'Istruzione e Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane, vede coinvolti anche alcuni giocatori della Nazionale, che faranno sentire la propria voce sui temi del contrasto all'antisemitismo e al razzismo nello sport e negli stadi. A margine dell'incontro Abete, Profumo e Gattegna hanno condiviso la necessita' di approfondire le modalita' future per meglio divulgare la Memoria presso le nuove generazioni.

(ASCA, 28 febbraio 2013)


Medico israeliano rischia la vita per un lanciatore di pietre palestinese

di Ryan Jones

Sottotitolo
Durante la violenta rivolta dei palestinesi in Giudea e Samaria, lo scorso fine settimana, sono emerse le solite accuse. Stando alle cronache, gli israeliani si sono scagliati brutalmente contro i palestinesi. Un rapporto apparso sui giornali israeliani mostra invece quanto sia preso sul serio in Terra Santa il comandamento biblico di amare i propri nemici. Al culmine degli scontri, un medico israeliano si è arrischiato ad entrare di nascosto nella città biblica di Sichem (oggi Nablus), controllata dall'Autorità Palestinese. Ha rinunciato alla prevista scorta di soldati israeliani al fine di salvare la vita di un giovane lanciatore di pietre palestinese che era rimasto gravemente ferito durante gli scontri con i soldati israeliani e gli insediati. Le sue ferite erano così gravi che i medici dell'ospedale di Nablus, non potendo aiutarlo, hanno chiesto l'aiuto dei loro colleghi israeliani. Il dr. Micah Shamir, medico esperto di pronto soccorso dell'Ospedale Haddasah a Gerusalemme, non ci ha pensato molto: "Era chiaro che dovevamo assolutamente aiutare il giovane, ma entrare a Nablus non è stato facile, e in alcuni momenti ho avuto davvero paura", ha detto in seguito.
Il sindaco di Nablus aveva dato il consenso al piano di salvataggio, ma per i gruppi di terroristi locali sarebbe stato facile attaccare il medico ebreo o rapirlo. L'azione coraggiosa alla fine ha avuto successo: il giovane gravemente ferito è stato portato senza dare nell'occhio in una clinica a Gerusalemme. Secondo i medici adesso è in via di guarigione.

(israel heute, 28 febbraio 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Musica Klezmer a Corridonia

Si chiude la rassegna "Appassionata nel territorio" sabato 2 marzo alla Pinacoteca comunale con un quartetto di clarinetti.

CORRIDONIA (MC) - La stagione musicale di "Appassionata nel territorio" che affianca quella organizzata nel capoluogo maceratese è l'ultimo evento in programma è previsto sabato 2 marzo a Corridonia. Alle ore 21 nella Pinacoteca Comunale si esibirà il Quartetto Italiano di Clarinetti composto da Giovanni Lanzini, Carlo Franceschi Maurizio Morganti, Augusto Lanzini con il seguente programma principalmente dedicato alla musica ebraica. La Musica Klezmer fonde in sé strutture melodiche, ritmiche ed espressive che provengono dalle differenti aree geografiche e culturali (i Balcani, la Polonia e la Russia) con cui il popolo ebraico è venuto in contatto. Musica che accompagna feste di matrimonio, funerali o semplici episodi di vita quotidiana, il klezmer nasce all'interno delle comunità ebraiche dell'Europa orientale. Questa musica esprime sia felicità e gioia sia sofferenza e malinconia, tipica della musica ebraica. Lo strumento principale del mondo ebraico è sicuramente il violino, ma nel klezmer acquisteranno crescente rilievo il clarinetto e gli ottoni, in particolare la tromba, gli strumenti percussivi, melodico percussivi come il cymbalon. Il Klezmer contribuirà non poco alla formazione del jazz, quando gli ebrei che erano stati perseguitati si trasferirono in molti nelle Americhe.

(Cronache Maceratesi, 28 febbraio 2013)


Turismo ebraico: il Sud Italia si 'kosherizza'

  
Galleria
Cucine separate, per distinguere i piatti kosher da quelli comuni. Nessuna porta scorrevole elettronica, né ascensore obbligatorio, perché il sabato - detto shabbat - la legge ebraica vieta l'uso di qualsiasi dispositivo elettronico. Parte da Napoli, con il meeting di Villa Caracciolo, la "kosherizzazione" del Sud Italia: un progetto promosso dall'Associazione Italo-Israeliana per il Mediterraneo, che trova appoggio concreto nella Banca di Credito Cooperativo di Napoli, alla ricerca di finanziamenti per adeguare le strutture alberghiere. «Si tratta di piccoli accorgimenti in grado di spalancare le porte di un mercato importante», afferma il presidente dell'associazione Marco Mansueto.
Per ora la stella di David è metaforicamente affissa al Renaissance Hotel Mediterraneo di Napoli e al Tiberio Palace di Capri. Ma questo è solo l'inizio. La certificazione, rilasciata da un rabbino israeliano, è stata richiesta anche dal Grand Hotel Vesuvio di Sorrento, l'Hotel Oriente di Vico Equense, l'Hotel Raito, il Relais Paradiso di Vietri sul Mare e La Plage Resort di Taormina.

- Certificazione kosher: «Marchio di qualità»
  «Finora gli ebrei osservanti hanno evitato il Sud perché non esistevano alberghi e ristoranti adatti», ammette Shalom Bahbout, rabbino capo di Napoli e dell'Italia Meridionale. Tant'è che Pompei, Ercolano, la Costiera amalfitana si riducevano a "un'escursione di un giorno" dalla Capitale.
«Ma la richiesta di tour dedicati è alta. La diffusione della nostra cucina - prosegue Bahbout - è un'occasione per rafforzare la conoscenza della cultura yiddish e abbattere i pregiudizi, che al Sud sono ancora molto forti. Senza dimenticare le ricadute sull'economia del territorio».

- Il brunch di Villa Caracciolo
  Kosher, che in lingua ebraica vuol dire "adatto", è un "marchio di qualità" che indica anche "il rispetto di rigide norme igieniche". Sui banchi del convegno di Posillipo c'è l'acqua Lete, certificata dai rabbini, come pure la pasta De Cecco, che lo scorso aprile ha ricevuto il via libera dalla Federation of Synagogues di Londra. Il brunch di Villa Caracciolo è a base di piatti della cucina tradizionale partenopea: dalla pasta e patate alla mozzarella di bufala "dok" (di origine kosher), oltre che doc. Il catering, affidato allo chef Fabio Ometo, è curato dal gruppo Sire che in Campania organizza banchetti di alta cucina ebraica per matrimoni e congressi. «Rispondiamo a una domanda molto forte, selezionando con cura i prodotti offerti da aziende kosherizzate», afferma il managing director di Sire, Vincenzo Borrelli.

- Itinerari dedicati con Fancy Tour
  «Un ebreo è disposto a spendere per un pasto kosher anche 250 euro. La maggior parte degli alimenti arriva da Roma, l'obiettivo è avviare produzioni dedicate in loco», informa Cesare Foà, adv napoletano di origine israelita e fondatore della storica Fancy Tour. È lui a spiegare ai neofiti del trade il valore del business ebraico: «È un mercato di alta gamma, che non riguarda solo gli arrivi da Israele. Gli sviluppi nel Sud Italia possono essere stupefacenti».
L'agenzia guidata da Foà - impegnata nella creazione di itinerari dedicati - è già in contatto con quattro operatori e una compagnia di crociere statunitensi, mentre un t.o. israeliano porterà in Campania 25 turisti a settimana, a partire da aprile.

- Tour operator specializzati alla Bmt 2013
  Saranno, invece, cinque i tour operator specializzati nel turismo ebraico in arrivo da Israele, Usa e Canada alla prossima Borsa Mediterranea del Turismo, in programma dal 5 al 7 aprile alla Mostra d'Oltremare di Napoli. «Il progetto sarà presentato ufficialmente in fiera», anticipa Fabrizio Cantella, direttore di Progecta, la società organizzatrice della Bmt. Così, la Campania e il suo capoluogo si candidano a diventare la porta yiddish verso il Sud Italia.

(agenzia di viaggi, 28 febbraio 2013)


Le violenze palestinesi non hanno bisogno di scuse

di Noah Klieger

Siamo onesti, i palestinesi non hanno bisogno di nessuna scusa particolare per inscenare disordini e attaccare gli ebrei. L'attuale ondata di tumulti, che era in corso da un paio settimane, non è iniziata in seguito allo sciopero della fame intrapreso da quattro detenuti (due dei quali, detto per inciso, hanno ripreso a mangiare). Lo sciopero è soltanto un pretesto, giacché è chiaro che se anche i due rimanenti riprendessero a mangiare, i loro fratelli continuerebbero i disordini nei territori. La verità è che i nostri vicini semplicemente non ci vogliono. In parole semplici, non è che vogliono un paese accanto a Israele; vogliono un paese al posto di Israele. È un dato di fatto, che è stato comprovato numerose volte.
Sia Ehud Barak che Ehud Olmert hanno offerto ai palestinesi uno stato quasi sulle linee del '67, e loro non l'hanno accettato. Lo sgombero forzato di migliaia di israeliani e di decine di insediamenti dalla striscia di Gaza, voluto da Arik Sharon, non ci ha avvicinati di un centimetro alla possibilità di un accordo. Al contrario la concessioni non hanno fatto che incoraggiare i palestinesi, che hanno iniziato a lanciare razzi su comunità e città all'interno di Israele al solo scopo di uccidere ebrei. I capi di Gaza hanno proclamato innumerevoli volte, anche di recente, che il loro obiettivo è uccidere ebrei e distruggere "l'entità sionista". Alla luce di queste dichiarazioni, quand'anche domani venissero scarcerati tutti i detenuti compresi assassini e terroristi, i tentativi di uccidere ebrei non cesserebbero. Anzi.
Dunque, e anche questo è un dato di fatto, non c'è alcun nesso fra qualunque politica o decisione di Israele e il desiderio, o meglio la smania dei palestinesi di attaccare Israele e i suoi cittadini. Coloro che non lo capiscono, o non lo vogliono capire, nonostante i dati di fatto comprovati per decenni, sono semplicemente ingenui o ciechi rispetto a ciò che accade sul terreno.
E non mi si dica che è stata la politica israeliana a spingere i palestinesi ad agire in questo modo. Mio zio, Natan Klieger, venne assassinato da agitatori arabi a Haifa nel 1939. Se non sbaglio, a quell'epoca non c'era nessuna occupazione né alcuna politica del governo israeliano. Golda Meir un giorno ebbe a dire che un accordo con i palestinesi sarà possibile solo quando loro ameranno i loro figli più di quanto odino gli ebrei. Aveva ragione.

(YnetNews, 26 febbraio 2013 - da israele.net)


La Shoah non fu opera di mostri, ma di persone comuni, come noi

La lezione di Bauman. Il professore 88enne è arrivato dall'Inghilterra un paio di giorni fa

di Rossella Trabace

L'incontro a Bari
Ci sono molte ragioni per ricordare, ma ce n'è una che può tenerci incollati per sempre al tavolo della memoria: ogni gesto compiuto negli anni e nei luoghi della Shoah è un gesto che noi stessi potremmo aver compiuto. Non ha dubbi Zygmunt Bauman, che anche a se stesso non fa sconti. «Le persone che collaborarono all'Olocausto erano persone comuni come voi, come me. Erano padri di famiglia, vicini di casa, amici, doveva esserci perfino qualcuno che aiutava le vecchiette ad attraversare la strada. Non c'è bisogno di mostri per fare cose mostruose». Il professore è arrivato dall'Inghilterra un paio di giorni fa. Ottantotto anni, è atterrato a Bari dopo una giornata di voli - ha cambiato tre aerei - e la prima cosa che ha chiesto è stato un luogo dove poter fumare una sigaretta e indicazioni per lo spazio wireless. Il viaggio è per lui condizione usuale e (forse) vitale, anche se da ormai oltre quarant'anni vive a Leeds, dove fu accolto nei primi Settanta quando certi rigurgiti antisemiti lo costrinsero a lasciare la sua Polonia. In questi giorni è in Puglia ospite dei Presìdi del Libro, che intorno alla sua imponente presenza hanno costruito il programma del Mese della Memoria. Un mese che ha scelto quest'anno di puntare l'obiettivo proprio sul «Disagio della memoria», ovvero sui rischi - retorici o contaminatori - che l'esercizio reiterato del ricordo può comportare.
   Ecco dunque che la lectio magistralis che Bauman conduce nel foyer del teatro Petruzzelli centra il punto. «Perché abbiamo ancora bisogno di riunirci per ricordare?», incalza infatti fin da subito il sociologo, cui questa domanda un po' provocatoria serve per dare l'avvio a una dissertazione che si muove fra «Umano e disumano», così concludendo le celebrazioni dell'ottavo Mese della Memoria voluto - anzi «desiderato», precisa Silvia Godelli - dall'intera amministrazione regionale. Le risposte, dicevamo in principio, sono in realtà tante. La prima cosa che viene in mente, suggerisce il teorico della società liquida, è che se è vero che i regimi totalitaristici sono scomparsi, è altrettanto vero che nel mondo continuano a consumarsi genocidi. Si parla di curdi iracheni, di cinesi, di indiani, e di tante altre aggregazioni umane vittime di operazioni di pulizia etnica. Alle quali noi sembriamo non prestare troppa attenzione, così di fatto «partecipandovi con la nostra inerzia»; laddove i nostri governanti realizzano il proprio intervento attraverso rifornimenti di armi, di munizioni, addirittura di gas, come si trattasse di comuni transazioni commerciali. «Parlano di nobiltà e rispetto dei diritti umani, ma non sono disposti a rompere contratti da milioni di dollari con questi paesi», tuona Bauman, che in queste contraddizioni ravvisa il senso più (triste e) profondo della modernità. Quella che ai tempi dei regimi nazisti e comunisti si esprimeva attraverso una ricerca della perfezione talmente ambiziosa da valicare con naturalezza i confini dell'umanità. «Quando qualcuno gli chiedeva come faceva a creare tanta bellezza, Michelangelo era solito rispondere che lui non faceva altro che prendere un pezzo di marmo e liberarlo di tutti gli orpelli, di tutto ciò che riteneva inutile. Capirete bene che questa filosofia, applicata alla società umana, può diventare molto pericolosa».
   Ebbene, quel passaggio i nazisti lo hanno compiuto, alla ricerca di un'armonia che non ammetteva errori, ovvero rifiutava - dunque si liberava - di qualunque elemento disturbante, anche se quell'elemento non era l'ingranaggio intoppato di un orologio, ma un essere umano. La necessità di ricordare dunque si rinnova, perché resta nell'animo umano quella «tendenza a disfarsi di cose e persone percepite come diverse, o inutili», continua il professore. Cui pare poi che i grandi avanzamenti tecnologici in campo militare aggiungano ulteriori motivi per non abbandonare l'esercizio della memoria. «Ormai esistono armi che ci liberano perfino della responsabilità di scegliere le nostre vittime», spiega infatti il sociologo alla grande folla stipata nel foyer. Parla dei missili intelligenti, di quella nuova generazione di armi che può permettersi di colpire una famiglia inerme come si trattasse d'un obiettivo sensibile, esonerando ab origine i mandanti da qualunque scrupolo. Per lui, che si era dapprima costruito una professionalità da sociologo del lavoro per poi diventare forse il più grande teorico della modernità, la vicenda dell'Olocausto diviene occasione di riflessione più complessa soltanto dopo la lettura delle memorie di sua moglie Janina - reduce da un campo di concentramento. L'orrore che fino ad allora aveva considerato un quadro dalla cornice vistosa, tale da farne un oggetto distinto rispetto al resto dell'arredamento, si trasforma allora in una finestra, spalancata sulla modernità ambiziosa e prepotente della quale noi tutti facciamo parte.

(Corriere del Mezzogliorno, 27 febbraio 2013)


Colpo di mortaio sul Golan

Nei pressi di Alloney ha-Bashan

TEL AVIV, 27 feb - Un colpo di mortaio sparato dal territorio siriano e' esploso stamane nella alture occupate del Golan, nei pressi dell'insediamento ebraico di Alloney ha-Bashan, senza provocare vittime. L'episodio e' stato riferito dalla radio militare secondo cui la sensazione in Israele e' che si tratti di uno sparo di carattere ''accidentale'', mentre sull'altro versante del confine avvengono scontri quotidiani fra reparti dell'esercito e formazioni ribelli.

(ANSA, 27 febbraio 2013)


Ecco il perché della linea anti-israeliana di Catherine Ashton

C'è conflitto di interessi

di Miriam Bolaffi

  
Molti di coloro che seguono le vicende medio-orientali si sono spesso chiesti da cosa derivasse il comportamento anti-israeliano del rappresentante della politica estera dell'Unione Europea, Catherine Ashton. Antisemitismo? Odio verso Israele? Amore per gli arabi? La soluzione è molto più semplice: la baronessa inglese ha dei cospicui interessi in Medio Oriente, interessi correlati al mondo arabo e chiaramente contrapposti a quelli israeliani.
La chiave di lettura sta in due nomi: Peter Kellner e YouGov. Il primo nome è quello del marito di Catherine Ashton mentre il secondo è quello della società internazionale di sondaggi, analisi di mercato e servizi di ricerca per i governi di cui Peter Kellner è presidente. YouGov è diventata talmente importante nel suo settore da arrivare a condizionare le scelte di molti Governi, l'economia di diversi Paesi e persino le tendenze di mercato. Un sondaggio fatto da YouGov viene preso molto in considerazione dalla politica internazionale che non esita a commissionare indagini di ogni tipo.
Ora, succede spesso che stranamente le indagini svolte da YouGov sul Medio Oriente penalizzino Israele mentre sembrano particolarmente benevole per le monarchie del Golfo e persino per l'Arabia Saudita. Solo negli ultimi mesi YouGov ha lanciato diversi sondaggi sul boicottaggio dei prodotti israeliani e persino sul fatto che gli artisti israeliani siano o meno graditi agli inglesi, cioè se potessero o meno esibirsi o fare iniziative in Gran Bretagna. Gli editoriali anti-israeliani al vetriolo di Peter Kellner (e non solo su YouGov ma anche su prestigiose testate internazionali) non si contano.
Come mai? Perché una società internazionale che guadagna milioni di dollari l'anno e può condizionare le politiche di diversi Governi è così smaccatamente schierata contro Israele? Anche qui la soluzione sta tra le righe, in particolare quelle che riguardano i soci della società. E' stato molto difficile ottenere informazioni sui soci di YouGov perché la lista non è pubblica. Tuttavia qualche informazione indicativa siamo riusciti ad ottenerla. Così scopriamo che tra i soci di YouGov ci sono diversi emiri del Golfo, qualche sceicco arabo e che la società ha una importantissima sede a Dubai (presso il Cayan Business Centre) da dove dirige tutte le ricerche riguardanti il Medio Oriente. Altri uffici sono in Arabia Saudita a Dammam, Jeddah e Riyadh. La cosa di per sé non sarebbe sospetta, molte società internazionali hanno sedi a Dubai, se non fosse che oltre alla partecipazione societaria di emiri e sceicchi (tra i quali l'Emiro del Qatar), le ricerche e i sondaggi sui regni di detti sceicchi ed emiri sono sempre particolarmente benevole e in pochi anni sono riuscite a convogliare molti investimenti internazionale dalle parti del Golfo Persico.
YouGov usa quindi la sua influenza e la sua presunta credibilità per agevolare le monarchie del Golfo il che, tradotto in dollaroni, sono decine e decine di milioni di dollari che entrano nelle sue casse.
E chi è il nemico giurato delle monarchie del Golfo, a partire proprio dall'emiro del Qatar che sta finanziando a piene mani Hamas? Naturalmente è Israele. Chiaro quindi che una società importantissima come realmente è YouGov dove l'azionariato è composto in parte da emiri e sceicchi e che da loro ottiene decine di milioni di dollari l'anno, non può non attaccare a spada tratta Israele insinuando una serie di dubbi che possano minarne l'economia e persino promuovendo, in maniera subdola e intelligente, un boicottaggio dei suoi prodotti.
Bene, per tornare quindi a Catherine Ashton, come può la baronessa inglese, rappresentante della politica estera europea, prendere decisioni o tenere una linea che vada a favore di Israele andando così contro gli interessi milionari del marito? Da qualsiasi parte del mondo questo si chiama conflitto di interessi.
Si spiega così il comportamento anti-israeliano di Catherine Ashton, un atteggiamento chiaramente sbilanciato e nemmeno tanto coerente visto che si danna l'anima ad ogni minimo accadimento che riguardi Israele e il conflitto con i palestinesi, ma si cura appena della tragedia siriana. E oggi questa donna rappresenterà l'Unione Europea nei colloqui con l'Iran sul suo programma nucleare. E non ci si faccia ingannare dal fatto che anche l'Iran è considerato nemico delle monarchie del Golfo. Gli emiri scelgono sempre quello che per loro è il male minore e le ultime azioni dell'emiro del Qatar fanno pensare ad un cauto avvicinamento a Teheran, magari con la mediazione dell'Egitto.

(Rights Reporter, 27 febbraio 2013)


La preoccupazione di Gerusalemme sul boom di Grillo: "E' anti-israeliano"

«È proprio un brutto voto». Abbottonati e iper-diplomatici a Roma e Milano. Decisamente preoccupati a Gerusalemme. L'esito elettorale in Italia non è piaciuto allo Stato ebraico d'Israele. Per ora la diplomazia dello stato mediorientale resta a guardare. Coinvolta com'è anche in un lungo iter per la formazione del governo che ancora non c'è. Ma più di qualcuno, contattato da Falafel Cafè, non nasconde la propria preoccupazione per «l'ascesa inattesa e pericolosa» del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
C'è anche chi, senza tanti giri di parole, si dice «sconcertato». Più per «l'incapacità dei grandi partiti, Pd e Pdl, di capire cosa stava succedendo», a dire il vero, che per «la volontà del popolo italiano». Sconcerto che, di fronte alla posizione del comico genovese sulla questione israelo-palestinese, si trasforma in preoccupazione. Per ora ufficiosa. «Un domani, però, se Grillo dovesse andare al governo e se non dovesse cambiare le sue idee su di noi, i rapporti con Roma potrebbero cambiare».
Intendiamoci. «Noi siamo contenti di com'è andato il voto», precisano da Gerusalemme. «Non ci sono stati incidenti, è filato tutto liscio». Però. «Però non possiamo non prendere atto del fatto che al Parlamento, c'è una terza forza - la più vasta su scala nazionale - che porterà dentro il tempio della democrazia italiana idee che ci sembrano anti-israeliane e un filino anti-semite». Beppe Grillo, a Gerusalemme, non è gradito. «Da mesi monitoriamo il suo sito», spiega un funzionario. «E il tenore dei commenti c'entra poco con la dialettica e il rispetto di chi la pensa in un modo diverso».
Non c'è solo l'arena virtuale del comico a preoccupare. Ci sono anche le parole espresse negli ultimi tempi. Le sue posizioni nei confronti dell'Iran. Della Siria. Il ruolo che, secondo Grillo, svolge Israele nell'area. Per questo non è passata per nulla inosservata l'intervista al corrispondente da Roma, Menachem Gantz, dello scorso giugno, sulle pagine dello Yedioth Ahronoth, il quotidiano più venduto dello Stato ebraico. La situazione in Siria? «Ci sono cose che non possiamo comprendere, non sappiamo se sia una vera guerra civile o si tratta di agenti infiltrati nel Paese», ha risposto il leader del Movimento 5 Stelle.
E dell'Iran - paese dal quale arriva la moglie Parvin Tadjik - cosa pensa il guru della Rete? «Un giorno ho visto impiccare una persona, su una piazza di Isfahan, e mi son chiesto: cos'è questa barbarie? Ma poi ho pensato agli Usa: anche loro hanno la pena di morte, hanno messo uno a dieta, prima d'ucciderlo, perché la testa non si staccasse. E allora: che cos'è più barbaro?». «Grillo è un leader decisamente confuso e pieno di pregiudizi», continua il funzionario. «Non vorrei che le sue idee sul Medio oriente fossero influenzate dalla famiglia della moglie. E speriamo non si vada ad altre elezioni, perché è molto probabile che il partito del comico prenda ancora più voti».
Anche se ovviamente non pubblico, un ordine di preferenza - per Gerusalemme - c'era eccome. La vittoria più gradita era quella del Popolo della libertà, poi la formazione civica di Monti. Soltanto al terzo posto il Partito democratico («ma soltanto per la sua alleanza con il partito di Vendola, da sempre filo-palestinese»). Più o meno lo stesso ordine dell'esito elettorale dei 2.214 italiani che hanno votato in Israele nelle circoscrizione estera: il Pdl ha stravinto con il 55,96%, poi il Pd (21,24%), quindi Monti (19,03%) e ultimo il Movimento 5 Stelle (3,75%).

(Falafel Cafè, 27 febbraio 2013)

Beppe Grillo e Israele


In Israele aborti in crescita a causa del lancio di razzi

Secondo uno studio dalla Ben-Gurion University of the Negev i razzi lanciati su Sderot in Israele aumentano significativamente il rischio di aborti spontanei nell'area.
La ricerca è stata pubblicata sullo Psychosomatic Medicine Journal of Bio-behavioral Medicine ed ha comparato l'esito di 1341 gravidanze di donne residenti a Sderot, area esposta a frequenti lanci di razzi, con quello di 2143 gravidanze di donne che vivono a Kiryat Gat, fuori dal raggio in cui arrivano generalmente i missili. Nella prima zona il rischio di aborto spontaneo è risultato maggiore.
Il rischio aborto per le donne di Sderot sottoposte a frequenti traumi per il lancio improvviso di razzi - preceduti da un segnale di avvertimento che informa della necessità di nascondersi in un rifugio sicuro - è maggiore del 59% rispetto alle donne israeliane non residenti nella zona. La città meridionale israeliana di Sderot è un obiettivo costante per il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza dal 2001. Tra l'aprile del 2001 e il dicembre del 2008 più di mille allarmi sono suonati nell'area, 500 solo nel 2008. L'impatto dei razzi sugli aborti spontanei, secondo i ricercatori, è determinato dalla disregolazione dei livelli di cortisolo, l'ormone dello stress.

(L'Unione Sarda, 26 febbraio 2013)


Fiori di carta e plastica riciclata

Non appassiscono le creazioni di una designer di Tel Aviv

di Micol Sarfatti

Una creazione di Orly Rostoker
Fiori colorati, gialli, rossi e blu, rallegrano le aiuole della riviera israeliana. Sono tantissimi, ma non profumano, perché non sono fiori veri. Sono fiori di materiale di scarto. A inventarli è stata la fantasia di Orly Rostoker, designer e musicista. "Sognavo piante che potessero non appassire mai - racconta - così ho pensato di crearle con vecchi libri, carta e plastica. Mio padre mi diceva sempre che quello che per alcuni è uno scarto, per altri è un tesoro. Penso sia proprio questo il caso".
Nella piccola impresa di Orly, la RB Green Design di Tel Aviv, lavorano anche persone disagiate e le tinture utilizzate per colorare i fiori arrivano da aziende in zone periferiche, dove le imprese hanno più difficoltà. Per far bene alla natura, ma anche alle persone.
"Non voglio che le mie creazioni siano semplicemente riciclo - spiega la Rostoker - ma che siano oggetti speciali. Visto che i miei fiori non appassiscono i clienti possono anche affittarli come addobbi per occasioni speciali e poi restituirli".
Lo scorso gennaio le creazioni floreali di RB sono state esposte alla Clean Tech, un'importante fiera israeliana dedicata alla Scienza e alla sostenibilità, e hanno rallegrato il locale temporary store Coca Cola di Tel Aviv. Ma Orly ha ancora un desiderio da realizzare: "Mi piacerebbe vedere una sposa con uno dei miei bouquet, sarebbe una grande soddisfazione".

(TGCOM24, 26 febbraio 2013)


Anche in Israele informazione online a pagamento

Il sito Haaretz in ebraico lancia abbonamenti mensili da otto euro.

Anche Israele incentiva l'informazione attraverso il web. A pagamento. A partire da marzo chi vorrà leggere per intero gli articoli pubblicati sul sito di Haaretz in ebraico dovrà sottoscrivere un abbonamento mensile di 40 shekel, circa otto euro. Il sito web in inglese è, invece, già pagamento da tempo.
COSTI ALTI. In un messaggio ai lettori, l'editore Amos Shocken ha spiegato che la costante produzione di contenuti di qualità è legata a costi non indifferenti e che gli abbonamenti al giornale cartaceo non sono più sufficienti. «Le abitudini di lettura mutano e la crescita fra i nostri lettori avviene in particolare nel digitale», ha sottolineato l'editore.
PROBLEMI ECONOMICI. Di conseguenza anche questa categoria dovrà da ora in poi dare il proprio contributo per garantire il futuro del giornale, che sta attraversando un momento difficile sotto il profilo economico. Haaretz è il primo quotidiano israeliano a prendere una decisione del genere, sulla scorta di quanto già avviene in moltissimi Paesi occidentali, fra i quali anche l'Italia.

(Lettera43, 26 febbraio 2013)


Il gran richiamo d'Israele sulla Cina

Nel 2012 hanno compiuto vent'anni le relazioni diplomatiche tra Israele e Cina. Al rapporto tra i due paesi ha dedicato un approfondimento il quotidiano israeliano The Times of Israel, firmato dal suo direttore David Horovitz.
"In Cina piacciono molto gli ebrei - scrive Horovitz con ironia - Intelligenza, attenzione per l'istruzione, successo negli affari non sono causa di antisemitismo, ma di ammirazione. E non potrebbe essere altrimenti, visto che i cinesi sono orgogliosi del proprio ingegno e del continuo impegno verso un migliore sistema educativo, oltre che estremamente interessati a fare soldi". Il giornalista nota però come esistano, nell'approccio cinese a Israele, spunti contrastanti e in rapida evoluzione.
Da una parte c'è il tradizionale disinteresse, e la conseguente inesperienza, negli affari internazionali che non riguardano direttamente la Repubblica popolare. Così la Cina sembra avere le idee chiare sulla propria strategia verso la questione Iran (che è il suo terzo esportatore di petrolio): un misto di bastone e carota per impedire sì che il regime ottenga l'arma atomica, ma allo stesso tempo preservare a ogni costo il flusso del greggio.
Non altrettanto su quella israelo-palestinese. I funzionari cinesi, nota Horovitz, sembrano influenzati dalla diplomazia di molti paesi arabi, così come i giornalisti più anziani (durante l'operazione Pilastro di Difesa per esempio, i media omisero di raccontare il lancio di razzi che colpiva Israele). Ma le nuove generazioni appaiono entusiaste e affascinate dall'inventiva dello Stato ebraico. Delle 300mila copie vendute da Start up Nation, il libro caso di Dan Senor e Saul Singer, ben centomila sono in lingua cinese.
"Dai muscoli al cervello". Così il settimanale The Economist descriveva qualche settimana fa il cambiamento intrapreso dall'economia del colosso asiatico: dall'enorme quantità di manodopera a basso costo all'impegno rivolto a innovazione, ricerca e sviluppo. Cioè i cavalli di battaglia di Israele. Mentre Shlomo Maital nella sua rubrica Marketplace sul Jerusalem Report faceva notare "Gli israeliani sono bravissimi a immaginare e a muoversi. Ciò in cui trovano in difficoltà è lanciare il proprio business su vasta scala. La vasta scala che è invece il più grande vantaggio cinese". Così prevede Maital, "l'elefante e il topolino" potranno forse aiutarsi reciprocamente. In una storia che è ancora tutta da scrivere.

(Pagine ebraiche, marzo 2013)


Razzo lanciato da Gaza esplode nel sud di Israele

Un razzo lanciato dalla Striscia di Gaza è esploso questa mattina vicino Ashkelon, nel sud di Israele, senza però provocare feriti. Lo ha annunciato la polizia, sottolineando che si tratta del primo lancio dall'operazione "Pilastro di difesa", realizzata dall'esercito israeliano alla fine dello scorso anno a Gaza. «Il razzo è caduto in mattinata vicino Ashkelon e ha provocato qualche danno su una strada, ma non vittime», ha precisato Micky Rosenfeld, portavoce della polizia.
Il lancio del razzo è stato rivendicato da un gruppo armato espressione del movimento nazionalista al Fatah, del presidente palestinese Abu Mazen, che lo ha definito una rappresaglia a seguito della morte di un palestinese detenuto da Israele. «A titolo di prima risposta all'omicidio dell'eroico prigioniero Arafat Jaradat, rivendichiamo il lancio di un razzo Grad su Ashkelon oggi alle 6 (le 5 italiane)», hanno affermato in un comunicato le Brigate dei Martiri di al Aqsa.

(Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2013)


Bar Refaeli reclutata dal Ministero degli Esteri israeliano

Presentera' sul web le invenzioni israeliane

TEL AVIV, 26 feb - La top model Bar Refaeli e' stata ''reclutata'' dal ministero degli esteri israeliano che l'ha convinta a partecipare ad un filmato ''umoristico'' di due minuti, da divulgarsi sul web. Lo scrive il giornale filo-governativo Israel ha-Yom secondo cui lo spot sara' centrato sulle invenzioni israeliane piu' diffuse nel mondo, dall' agricoltura alla cibernetica. La Refaeli, precisa il giornale, non ha chiesto in questa occasione alcun compenso.

(ANSA, 26 febbraio 2013)


Cecità selettiva

di Ugo Volli

Cari amici,
come si è visto anche dalle elezioni italiane, capita spesse che protagonisti, esperti, osservatori e giornalisti sottovalutino i fenomeni fino a che non esplodono loro in faccia. Che si tratti di quello stato che gli inglesi chiamano "wishful thinking", pensiero desiderante, di distrazione o di propaganda ideologica non conta, perché le conseguenze di questo modo di fare sono comunque disastrose.
   Qualcosa del genere succede sistematicamente, da molti anni, col Medio Oriente. I giornali, i politici, gli opinion leader non vedono perché non vogliono vedere, non sanno, non credono fino a che non è troppo tardi. Non hanno visto e ancora non credono ai tentativi di Saddam Hussein di costruire un impero, non si sono accorti dei tentativi siriani di dotarsi di armamento atomico, non considerano ancora le conseguenze del piano ben più massiccio dell'Iran nello stesso senso, non hanno capito che la cosiddetta "primavera araba" è stata la foglia di fico per la conquista del potere del movimento islamista in tutto il mondo arabo, non sono capaci neppure di prendere in considerazione le conseguenze dell'immigrazione islamica in Europa che hanno sotto gli occhi e che pure ha già costruito forti ed evidenti contropoteri in Belgio, Olanda, Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia eccetera. Dato che la loro ideologia pensa agli immigrati come poveri e deboli fuggitivi che meritano di essere aiutati come nuovo proletariato, non vogliono vedere che anche in questo caso vi sono conseguenze radicali sulla forma della convivenza sociale e sul potere che ne deriva.
   Ma il luogo dove la cecità selettiva si esercita per eccellenza è Israele. Qui la pigriazia intellettuale, l'ideologia e un certo antisemitismo di fondo, insieme all'appoggio massiccio del mondo islamico, hanno costruito un filtro così spesso che è difficilissimo trovare qualcuno che percepisca la verità pura e semplice. La quale è semplicissima. Da cent'anni in qua il mondo arabo e islamico è in guerra per la distruzione di Israele. Nel tempo, ha cambiato molti metodi, dai pogrom agli assalti individuali alle case, dalle grandi guerre degli eserciti ai dirottamenti aerei, dai terroristi suicidi all'uso dell'arma del petrolio, dai razzi alla guerra legale. Ha cambiato alleati, dalla Germania nazista all'Inghilterra, dalla Russia agli Stati Uniti di Obama; ha cambiato ideologie, dal nazionalismo all'islamismo al "socialismo nazionale" cioè nazismo. Ma non ha cambiato il primo obiettivo che è la distruzione di Israele e possibilmente la mattanza degli ebrei che vi abitano. Ciò è evidente per chi abbia gli occhi per vedere, ma viene sistematicamente ammorbidito, travestito, presentato come incidentale, negato. Si dice che è Israele che, essendo più forte, deve "fare concessioni" "per la pace" (lo direste a un generale in guerra che per "fare la pace" deve perere una battaglia campale?), che Israele (7 milioni di abitanti, 40 mila chilometri quadrati, niente petrolio o risorse naturali) è Golia e gli arabi (300 milioni, 8 milioni di chilometri quadrati, metà del petrolio del mondo) sono Davide, o peggio che Israele è "come i nazisti" e naturalmente gli arabi "come gli ebrei". L'ha ripetuto ancora di recente, in occasione della giornata della memoria, un deputato inglese non nazista né comunista (in questo caso purtroppo comprenderei) ma liberaldemocratico.
   Ora questa cecità si estende naturalmente anche alla fase attuale che è estremamente delicata. Il secondo governo Obama è spostato nettamente più a sinistra e in senso antisraeliano del primo, come si vede dalla nomina (ancora combattuta per fortuna, ma alle soglie del successo) di Chuck Hagel, un piccolo politico antisraeliano e isolazionista, al posto di ministro della difesa; l'Iran sta finalmente arrivando all'arma atomica, non bloccato dalle sanzioni né minacciato davvero da una reazione armata americana e quindi Israele deve pensare entro pochi mesi a difendersi da sé o a vivere con la minaccia perenne di un nemico giurato ed esplicito fornito di armi nucleari e missili capaci di recapitarle su Gerusalemme e Tel Aviv.
   Ciò che sta cambiando più rapidamente e che è del tutto inosservato da parte della stampa, dei politici e dell'opinione pubblica occidentale è l'atteggiamento dell'Autorità palestinese. Sarà per il suo stato pre-comatoso sul piano economico-istituzionale, cui non ha giovato né il riconoscimento dell'assemblea dell'Onu né l'aiuto finanziario promesso e sempre però "non pervenuto" dei "fratelli arabi", sarà il fallimento dei colloqui di riconciliazione con Hamas, o il suo rafforzamento militare grazie all'appoggio iraniano che ha costretto Israele a trattative indiretta, sarà infine per il timore di un contagio delle piazze arabe - fatto sta che l'Anp ha deciso di creare il più possibile di torbidi e di agitazioni dove esercita la sua influenza, di dare il via libera a manifestazioni, assalti a colpi di pietra e di molotov, tentativi di occupazioni delle terre.
   Non si tratta ancora di lotta armata, non è il tris di quelle "intifade" o sollevazioni che produssero tanti lutti fra la fine del secolo scorso e i primi anni di questo. Ma c 'è il tentativo sistematico di andare in questa direzione da parte dell'Anp. Si dice che questo accada in previsione della prevista visita di Obama, per fornrgli dei pretesti per premere su Obama, la cui visita è prevista fra un mese, per "premere" sul governo israeliano per ulteriori "concessioni", naturalmente sulla strada della "pace" o piuttosto della resa. Può essere. Ma è chiaro che i palestinesi cercano in tutti i modi di trovare delle crepe nella corazza israeliana, dei punti di debolezza su cui agire e adesso ci provano di nuovo coi metodi degli anni Novanta. Ed è chiaro anche che una volta partiti questi movimenti, è difficile fermarli senza che si sviluppi una dose di violenza certamente pesante. L'Anp potrebbe esserne travolta dai terroristi meglio organizzati e più decisi; Israele potrebbe essere trascinato in una repressione in cui sarebbe difficile la "proporzionalità" e che certamente sarebbe usata contro di lui. Potrebbe scaturirne un nuovo episodio di "guerra non convenzionale" che metterebbe ancora a fuoco il Medio Oriente. E potremmo star sicuri che questo, a differenza della strage continua siriana, sarebbe sotto gli occhi dei giornali e del pubblico europeo.
   Ma per ora, nessuno ne parla, nessuno raccoglie e documenta le dichiarazioni di appoggio dell'Anp a manifestazioni sempre più violente, nessuno dice che il detenuto morto in un carcere israeliano, da cui i palestinesi hanno tratto negli ultimi giorni pretesto per i loro tumulti, era stato sottoposto ad autopsia congiunta da medici israeliani e arabi e trovato vittima non di torture (!) ma di un banale attacco cardiaco. Ecco la cecità selettiva in azione. Non meravigliamoci se i risultati saranno imprevisti e magari molto negativi anche in Medio Oriente.

(Informazione Corretta, 26 febbraio 2013)


Ad un mese dal voto, stallo fra i partiti in Israele

Ad oltre un mese dalle elezioni legislative, il premier incaricato Benyamin Netanyahu (Likud Beitenu) non è ancora riuscito a costituire una nuova coalizione governativa dato che la composizione emersa alla Knesset (parlamento) è molto frammentaria.
Yediot Ahronot scrive che Netanyahu sembra ancora in alto mare e che sabato - in assenza di sviluppi - sarà costretto a tornare dal Capo dello Stato Shimon Peres per chiedergli altre due settimane di tempo.
Peres, rileva il giornale, sembra incline a concederle: ma ha anche la prerogativa di affidare la formazione del governo ad un altro esponente politico. Se lo stallo non fosse superato, si prospetterebbe la necessità di andare a nuove elezioni.

(swissinfo.ch, 26 febbraio 2013)


Il meglio dei film israeliani fino a giovedì

MILANO - Fino a giovedì, presso la Sala Alda Merini - Spazio Oberdan della Provincia di Milano, è in corso la sesta edizione della rassegna dedicata alla cinematografia israeliana, a cura di Nanette Hayon e Paola Mortara. Si tratta di un appuntamento milanese ormai consolidato da anni, frutto di una proficua collaborazione con il Pitigliani Kolno'a Festival di Roma. Tra i film in rassegna, Footnote di Joseph Cedar (premio per la Migliore Sceneggiatura a Cannes e poi nominato agli Oscar); Hadas Yaron, protagonista di La sposa promessa di Rama Burshtein, ha vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia.

(il Giornale, 26 febbraio 2013)


Palestinesi a caccia del pretesto per la terza intifada

di Sarah F.

  
La morte del detenuto palestinese, Arafat Jaradat, è avvenuta per infarto e non ci sono segni di tortura o maltrattamenti. A stabilirlo è stata l'autopsia eseguita presso il Abu Kabir Institute of Forensic Medicine alla presenza dei famigliari e di alcuni funzionari della Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Questa è la verità definitiva.
   Nonostante questa incontestabile verità, ieri sono scoppiati violenti scontri tra manifestanti arabi da una parte ed esercito israeliano e polizia palestinese dall'altra. I manifestanti accusavano Israele della morte di Arafat Jaradat sostenendo che fosse stato sottoposto ad atti di tortura, atti che come abbiamo visti sono stati smentiti dalla autopsia. Altri sconti si temono oggi quando avranno luogo i funerali di Arafat Jaradat. L'IDF è in stato di massima allerta. Si temono anche irresponsabili provocazioni da parte di estremisti ebraici che, secondo alcune voci, sarebbero intenzionati a manifestare nella Spianata delle Moschee.
   Torna così a soffiare prepotente il vento della terza intifada, un vento alimentato dall'odio antiebraico e da potenti forze esterne, forze che non necessariamente sono riconducibili al mondo arabo ma che sono insite all'interno di alcune ONG internazionali e persino israeliane che hanno tutto da guadagnare dallo scoppio di una terza intifada. Indecente e menzognero l'articolo scritto ieri da Annie Robbins sul sito di MondoWeiss che attribuisce al Ministro della ANP, Issa Qaraqe, alcune dichiarazioni secondo cui l'autopsia sul corpo di Arafat Jaradat avrebbe confermato le torture. In serata è stato lo stesso Issa Qaraqe a negare quelle dichiarazioni.
   Si ha l'impressione molto netta che, anche con l'avvicinarsi della visita di Barack Obama in Israele prevista per la prossima settimana, gli arabi e tutte quelle entità che guadagnano milioni di dollari ogni anno con gli aiuti internazionali, vogliano deliberatamente alzare la tensione. La questione palestinese è passata ultimamente in secondo piano nel computo delle priorità del mondo occidentale che, giustamente, ha rivolto le sue attenzioni a problemi ben più gravi come la situazione in Siria (dove per altro i palestinesi vengono sistematicamente massacrati ma nessuno fiata) o come la questione del nucleare iraniano.
   Siamo quindi più che sicuri che gli arabi faranno di tutto per attirare di nuovo l'attenzione sulla vicenda palestinese e non esiteranno a scatenare una terza intifada se questo servirà al loro scopo. Non per niente ieri il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto che la responsabilità di quello che avverrà nei prossimi giorni ricade tutta sulla ANP che è chiamata a intervenire su eventuali manifestazioni.

(Rights Reporter, 25 febbraio 2013)


Soffiare sul fuoco delle rivolte orchestrate

Ancora oggi è abbastanza diffusa la convinzione che la cosiddetta "Seconda Intifada" del 2000, scoppiò spontaneamente in seguito alla visita del leader del partito di opposizione al governo, Ariel Sharon, al Monte del Tempio, che i musulmani chiamano "spianata delle moschee" perché ospita fra l'alto la moschea della Cupola della Roccia, dalla quale Maometto sarebbe asceso al cielo in sella ad un cavallo alato dalla testa di donna e coda di pavone. In realtà, quella visita - una "provocazione" che avrebbe indotto la "sollevazione spontanea" dei palestinesi - era programmata da tempo: qualche giorno fa l'emittente televisiva Channel 10 ha mandato in onda un documentario in cui è stato testimoniato il consenso fornito da Jibril Rajoub, ministro allora dell'Autorità Palestinese, al ministro degli interni israeliano. Inoltre, Arafat aveva già deciso a luglio, quando fece saltare il tavolo di Camp David attorno al quale si discuteva di pace, di imbracciare la lotta armata come unico mezzo per perpetrare il suo potere mantenendo uno stato di perenne tensione. Era l'unico mezzo per custodire ricchezze e potere, e al tempo stesso evitando l'assalto dell'opposizione interna e dei rivali storici di Hamas; e pazienza se ciò comportava l'accantonamento dell'ipotesi di uno stato palestinese...
   Il reportage di Channel 10 evidenzia il ruolo di Marwan Barghouti nel sobillare la popolazione palestinese, organizzando e alimentando le sommosse, che avrebbero provocato nei mesi successivi diverse migliaia di morti. Un copione che si sta tristemene ripetendo.
   Da alcuni giorni i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, responsabili di diversi attentati, rifiutano sistematicamente gli alimenti forniti dall'amministrazione penitenziaria. La morte di un detenuto nel carcere di Meggido, arrestato per terrorismo e sofferente di cuore, è stata strumentalizzata per alimentare i disordini nelle principali città del West Bank. Una autopsia condotta da medici indipendenti in presenza di sanitari palestinesi ha escluso alcun maltrattamento, rivelando soltanto alcuni segni lasciati sulla pelle del petto dal defibrillatore usato per tentare una disperata rianimazione. Ma il governo di Abu Mazen sta soffiando sul fuoco, alimentando la falsità di una tortura che il detenuto avrebbe subito (e perché mai: stava scontando la sua pena, perché avrebbe dovuto subire questo trattamento?). Diversi gli assalti alle famiglie israeliane, con tentativi di vero e proprio linciaggio. Se non si registra il bagno di sangue degli attentati omicidi e suicidi del 2000, è solo grazie alla barriera difensiva che negli anni passati il governo israeliano ha costruito al confine, sollevando l'indignazione di chi desiderava una soluzione drastica alla questione arabo-israeliana: l'eliminazione fisica di tutti gli ebrei.
    Un sondaggio condotto da Arab World for Research and Development evidenzia che il popolo palestinese non desideri affatto una terza Intifada; ma la burocrazia e il vertice dell'Autorità Palestinese sembrano di diverso avviso. Frustrati dall'empasse creatasi dopo il voto di novembre alle Nazioni Unite, e dal successo riscosso dagli odiati rivali di Hamas a Gaza, Abu Mazen sta giocando una partita molto pericolosa, esasperando gli animi nel tentativo di guadagnare credito in occasione del prossimo arrivo del presidente americano Obama in Israele; il quale si sentirebbe costretto, pressato dall'opinione pubblica, a sollecitare dolorose concessioni a Gerusalemme.
   E' un piano che si gioca sulla pelle della gente, e rischia di sfuggire di mano ai suoi organizzatori; a vantaggio di formazioni più radicali: Hamas scalpita per rovesciare la leadership di Abu Mazen nel West Bank, e in una eventuale elezione risulterebbe comunque vincente. Il tentativo di sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale è finora fallito: complice una gestione grottesca delle sollevazioni. Ieri militanti filopalestinesi hanno dovuto ammettere con imbarazzo di aver diffuso immagini che ritraevano palestinesi in sommossa risalenti a quattro anni fa; ma soltanto dopo essere stati scoperti.
   Come molti hanno previsto, il gesto unilaterale di Abu Mazen alle Nazioni Unite di tre mesi fa, lungi dall'avvicinare la pace, l'ha allontanata irrimediabilmente. Mentre Ramallah continua a rifiutare i colloqui con la controparte israeliana, accampando diverse scuse.

(Il Borghesino, 25 febbraio 2013)


La causa sbagliata

Editoriale del Jerusalem Post

Molte ingiustizie affliggono la società palestinese, alcune delle quali non possono essere imputate allo stato ebraico neanche dalla più scatenata fantasia dei nemici d'Israele. Sono ingiustizie auto-inflitte.
   A Gaza, nelle scorse settimane, una sorta di stato islamico governato dal regime totalitario di Hamas ha arrestato o sottoposto a interrogatorio almeno 16 giornalisti, nel quadro di una campagna volta a intimidire la stampa locale, come ha riferito il corrispondete del Jerusalem Post, Khaled Abu Toameh. L'unico reato commesso da questi giornalisti è aver osato criticare la dirigenza di Hamas. Non molto migliore è la situazione dei giornalisti nella Cisgiordania governata dalla "moderata" Autorità Palestinese. Proprio la scorsa settimana un tribunale dell'Autorità Palestinese ha condannato il 26enne Anas Said Awwad a un anno di prigione per aver "insultato" il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) su Facebook. Awwad si è macchiato della colpa d'aver ironicamente descritto Abu Mazen come un membro della squadra di calcio del Real Madrid.
   Sia a Gaza che in Cisgiordania da almeno quattro anni la dirigenza palestinese è affetta da una sostanziale mancanza di legittimità. A parte le votazioni municipali, l'ultima elezione democratica a Gaza e Cisgiordania si è tenuta nel 2006. I palestinesi avrebbero dovuto votare di nuovo nel 2009, ma dopo la vittoria di Hamas alle ultime elezioni, la dirigenza palestinese si è spaccata in due. Con il sostegno dell'Occidente, l'Olp guidata da Fatah è riuscita a mantenere il controllo sulla Cisgiordania. Nella striscia di Gaza, invece, Hamas si lanciò con successo in un golpe sanguinoso durante il quale numerosi membri di Fatah vennero ammazzati per le strade o gettati dagli edifici. Restarono del tutto inascoltati dall'allora presidente Usa George Bush gli avvertimenti di Israele secondo cui, se si fosse consentito a Hamas di partecipare, le prime elezioni realmente democratiche palestinesi (Hamas aveva boicottato quelle del 1996) sarebbero state anche le ultime.
   Tuttavia, né l'incarcerazione e intimidazione di giornalisti (ed altre violazioni dei diritti umani), né l'assenza di rappresentanza democratica delle loro dirigenze politiche ha visto una significativa mobilitazione da parte dei palestinesi in tutti questi anni. Al massimo qua e là qualche dimostrazione all'insegna di vaghi slogan per "l'unità dei palestinesi". Al contrario, i palestinesi - e molti cittadini arabo-israeliani - si sono massicciamente mobilitati sotto tutt'altro slogan: la scarcerazione dei terroristi palestinesi detenuti in Israele. Minacciando una terza intifada, i palestinesi e molti arabi israeliani manifestano con veemenza contro l'"ingiustizia" costituita dal ri-arresto da parte di Israele di alcuni terroristi fra quei 1.027 che vennero scarcerati nell'ottobre 2011, nel quadro dell'accordo-ricatto mediato dall'Egitto fra Hamas e Israele per la liberazione dell'ostaggio Gilad Shalit.
   Samer Tariq Ahmad Essawi, membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, è uno di questi terroristi ri-arrestati. Catturato nell'aprile 2002, Essawi venne condannato a trent'anni per possesso di armi da guerra e per aver collaborato alla formazione di cellule terroristiche attive nella zona di Gerusalemme. Era uno dei tanti terroristi arrestati durante "Scudo Difensivo", l'operazione militare voluta dall'allora primo ministro Ariel Sharon che essenzialmente pose fine alla seconda intifada, l'intifada delle stragi sugli autobus e nei bar, ripristinando la sicurezza per gli israeliani che in quegli anni erano sistematicamente vittime di attacchi armati e attentati suicidi.
Un altro detenuto ri-arrestato è Ayman Sharawna, incarcerato per aver collaborato alla realizzazione di un attentato terroristico a Beersheba. La mattina dell'11 maggio 2002, due terroristi palestinesi piazzarono un ordigno artigianale vicino a un gruppo di civili nella città vecchia di Beersheba e si diedero alla fuga. Solo un malfunzionamento tecnico impedì che la bomba esplodesse completamente. Risultato: diciotto civili feriti o mutilati. Sharawna venne condannato a 38 anni.
   Entrambi questi terroristi sono stati scarcerati nel quadro del ricatto per la liberazione di Shalit ed entrambi hanno successivamente violato le condizioni che avevano accettato per il loro rilascio. Sharawna è tornato alle attività terroristiche con Hamas, stando alle indagini delle Forze di Difesa israeliane, ed è stato ri-arrestato nel gennaio 2012. Essawi, scarcerato a condizione che rimanesse all'interno di Gerusalemme, ha lasciato la città ed è stato ri-arrestato nel luglio 2012. Ora entrambi, come prevede la legge, devono finire di scontare le loro pene originarie.
   Inspiegabilmente i palestinesi - e numerosi cittadini arabo-israeliani - hanno deciso di sostenere la causa di questi e altri terroristi in sciopero della fame, mentre ignorano del tutto la sorte dei giornalisti intimiditi, censurati, arrestati e bastonati da quella loro stessa dirigenza politica che da almeno quattro anni governa, sia a Gaza che in Cisgiordania, senza nessuna legittimità democratica.
   Date queste circostanze, in quali prospettive di pace può sperare il presidente Usa Barack Obama quando verrà in visita nella regione, il mese prossimo?

(Jerusalem Post, 24 febbraio 2013 - da israele.net)


Maratona di Gerusalemme - 3a Edizione

Siete pronti a correre nella città simbolo della spiritualità?
Dopo il grande successo degli scorsi anni, il 1o marzo 2013, si correrà la terza edizione della Maratona di Gerusalemme.
La città offre una delle location piò belle e suggetive al mondo dove correre: paesaggi spettacolari, strade di recente costruzione ed un clima eccezionale.
Tre le distanze proposte: maratona, mezza maratona, 10km. Sono stati scelti dei percorsi che raccontano la storia di Gerusalemme, durante i 3000 anni della sua esistenza.
Le gare sono mozzafiato e uniscono sfida, panorami spettacolari, emozioni e un'atmosfera unica che solo a Gerusalemme si può respirare.
Ovunque Running, Tour Operator Ufficiale per l'Italia dalla prima edizione, propone due pacchetti: "solo Gerusalemme", per conoscere la città e i suoi dintorni, e un tour completo "Gerusalemme + Pellegrinaggio in Terra Santa" per approfondire la conoscenza della città e dei luoghi sacri cari al Cristianesimo. Un ricco programma di escursioni e di assistenza completano i servizi offerti.

PERCORSO
Per la Maratona sono previsti tre percorsi:
> Maratona - 42 Km
> Mezza Maratona - 21 Km
> 10 Km
Mappa interattiva del percorso e dell'altimetria

PARTENZA E ARRIVO
Partenza (Parlamento Israeliano - Israeli Parliament).
Maratona ore 07.00
Mezza Maratona ore 08.30
10 Km ore 10.15
Arrivo (Park Gan Saker)

TEMPO LIMITE
chiusura alle ore 12:30

MARATHON EXPO
Jerusalem International Convention Center (JICC)
Aperto da martedì a venerdì dalle 15 alle 22.
Pasta party: venerdì.

CROMETRAGGI
I tempi saranno misurati utilizzando il ChampionChip allacciato alle stringhe delle scarpe.
E' possibile utilizzare il propio chip (compreso il blue chip del triathlon). Si prega di non cedere il chip di altri corridori.
Siete inoltre pregati di dare comunicazione all'organizzazione nel caso utilizziate il vostro chip.
I corridori devono restituire il chip al traguardo (post medaglia); in caso di mancata restituzione, sarà addebitato un importo di euro 25.

CLIMA
Il clima a Gerusalemme in marzo é fresco e secco durante la giornata e freddo durante la notte.
Le temperature si aggirano tra gli 8 e i 15 gradi.

Maratona di Gerusalemme 2012

(ovunquerunning, 25 febbraio 2013)


Gaza: crisi dei tunnel, l'Egitto sequestra 20.000 litri di carburante

di Luca Pistone

Ieri a Rafah le forze armate egiziane hanno sequestrato 20.000 litri di carburante pronto per essere contrabbandato a Gaza.
Lo rivela l'agenzia di notizie palestinese Ma'an, secondo la quale le guardie di frontiera egiziane hanno scoperto il carico di combustibile durante una perlustrazione in alcuni tunnel sul lato egiziano di Rafah.
Alla fine di gennaio, le spedizioni di carburante a Gaza donato dal Qatar erano state sospese per i problemi di sicurezza verificatisi in Egitto. Violenti scontri tra gruppi armati del Sinai e l'esercito egiziano avevano portato lo scorso novembre ad una sospensione delle spedizioni di carburante, poi riprese agli inizi di gennaio.
Il Qatar ha donato 27 milioni di litri di carburante alla Striscia di Gaza che vive una grave crisi energetica, esasperata dal blocco israeliano.
La scorsa settimana, con lo scopo di metterli fuori uso, le forze armate egiziane hanno inondato i tunnel di contrabbando scavati sotto la frontiera fra il Sinai e Gaza.
Israele ha indurito il blocco su Gaza dopo che Hamas ha preso il potere nel 2007. Nella Striscia il traffico via tunnel con l'Egitto è ormai paralizzato a causa degli scontri dello scorso 5 agosto tra forze di sicurezza egiziane e militanti jihadisti nella penisola del Sinai. Gaza non dispone attualmente né di aeroporti né di porti e la sua economia è fortemente dipendente dai finanziamenti esteri e dal contrabbando attraverso i tunnel transfrontalieri.
Da quando l'Egitto ha chiuso alcuni di questi tunnel per il contrabbando, i prezzi sono saliti alle stelle nella piccola enclave costiera. Prima dell'intervento militare egiziano il trasporto di una tonnellata di cemento attraverso un tunnel costava in media 15 dollari. Oggi, il doppio. Hamas riferisce che le importazioni mensili di materiali da costruzione sono diminuite di circa il 45%. In calo (31%) anche quelle dei generi alimentari di base.

(Atlas, 25 febbraio 2013)


Nei paesi di frontiera israeliani, ostaggio della guerra degli altri

Alonei Habashan
La ragazza in calzoncini e scarpe da ginnastica ferma un attimo la sua corsa e indica un prato a meno di 200 metri da una delle villette del villaggio di Alonei Habashan, nel Nord d'Israele: «É caduto lì, tra quegli alberi».
La piccola comunità rurale è stata colpita nei mesi scorsi da colpi di mortaio in arrivo da oltre confine. Nella vicina Siria, i ribelli anti-regime si scontrano con le forze armate del presidente Bahsar El Assad. La frontiera è a meno di un chilometro, dietro un collina su cui troneggia una postazione militare israeliana. Il colpo di artiglieria non ha fatto vittime, ma ha gonfiato la paura. «Da quella collina fino a poche settimane fa si potevano sentire e vedere le esplosioni» racconta Michal Raikin, responsabile della sicurezza per la regione di Katzrin, il maggiore centro abitato israeliano vicino al confine, su quelle alture del Golan conquistate alla Siria da Israele nella guerra del 1967.
Benché Israele e Siria siano formalmente in guerra da allora, questo per più di quattro decenni è stato il confine più calmo del Paese. Da diversi mesi però, da quando i combattimenti in Siria si sono avvicinati alla frontiera, la situazione è cambiata. Lungo il confine corrono già i primi metri di una barriera difensiva tecnologizzata, munita di sensori, simile a quella che già esiste al Sud per arginare l'instabilità del Sinai egiziano. Il governo ha promesso di finire la costruzione al più presto.
Tra gli abitanti delle comunità israeliane della zona sono in pochi a pensare che i colpi di mortaio caduti vicino alle loro abitazioni fossero diretti contro Israele. «Siamo finiti nel fuoco di una guerra interna», spiega Michal Raikin. Già durante l'estate, Avner Talmon, ex ufficiale dell'esercito israeliano e abitante del Golan, spiegava quale fosse la vera preoccupazione: «Temiamo che la regione oltre il confine finisca nella mani di gruppi islamisti estremisti, capaci di venire in possesso delle armi chimiche del regime siriano».
Pochi giorni fa, nei pressi di Aleppo, i ribelli avrebbero conquistato l'installazione nucleare di Al Kibar, secondo i mass media internazionali la struttura rasa al suolo nel 2007 da un raid aereo israeliano, mai rivendicato. A fine gennaio, in un simile attacco aereo - il sospetto è ricaduto su Israele - è stato colpito un obiettivo in territorio siriano, sul confine libanese. Forse un convoglio di armi. I vertici dell'esercito d'Israele non nascondono preoccupazioni per un possibile passaggio di armi dai depositi del regime di Assad a quelli libanesi di Hezbollah, alleato di Damasco ma nemico di Israele e minaccioso vicino. L'esercito israeliano nei giorni scorsi ha affrontato anche una nuova incognita: per la prima volta soldati in pattuglia lungo il confine hanno soccorso e portato in un ospedale israeliano sette siriani feriti e ora temono un flusso di sfollati.
Con il crescere delle tensioni, sia lungo il confine con la Siria sia lungo quello con il Libano, la popolazione israeliana si prepara al peggio. Nella zona di Katzrin, da settimane gli abitanti delle isolate comunità rurali hanno formato squadre d'emergenza, pronte a entrare in azione prima dell'arrivo di polizia ed esercito in caso di conflitto: ci sono persone responsabili per l'evacuazione dei bambini, degli anziani, altre hanno invece il compito di occuparsi per esempio di mantenere attiva l'irrigazione dei campi o la mungitura delle mucche. E a meno di un'ora di automobile, sull'altro instabile confine, quello libanese, si prepara anche Kiryat Shmona. La città, a soli cinque chilometri dalla frontiera, nella guerra del 2006 è stata colpita per settimane dai razzi di Hezbollah. Dopo il sospetto attacco israeliano in Siria, i funzionari del comune hanno ricevuto moltissime telefonate di cittadini spaventati: chiedevano se gli oltre 500 rifiugi anti missile fossero aperti - spiega Eli Cohen, responsabile per la sicurezza della municipalità. «Qui però - dice - non siamo in Svizzera: viviamo in una zona di guerra e sappiamo quando iniziare a preoccuparci sul serio».

(il Giornale, 25 febbraio 2013)


Coppa dell'Amicizia Ebraica di calcio - La prima edizione, 1964

di Fabrizio Sonnino

Siamo nell'estate del 1964 quando si disputa la prima edizione della Coppa dell'Amicizia Ebraica di calcio. Una mista Benè Akivà - Hashomer Hatzair viene organizzata da Gianni Ascoli e questa è già una notizia visto che c'era molta rivalità all'epoca tra i due movimenti giovanili. Composta, dopo una selezione dei migliori, avrebbe dovuto garantire maggiore consistenza rispetto alla squadra dell'anno prima.
Alla prima si aggiunge la ricostituita, per l'occasione, Stella Azzurra, guidata da Giorgio Piperno. Anche il Maccabi partecipa inaugurando, su iniziativa del giovane Mario "Papa" Mieli, la sua sezione calcio.Questo gruppo sportivo era sorto nel 1961 - dedito allo Judo - e nato con finalità di garantire una difesa più organizzata verso scorrerie fasciste al Portico d'Ottavia, verificatisi negli anni precedenti. A completare il lotto dei partecipanti si aggiunse il Kadimah, tra i cui elementi di spicco ritroviamo Rodolfo Della Seta.
Forte è lo spirito che stando alla base dell'iniziativa mira a creare un evento unico nel suo genere che punta a tenere unita la gioventù ebraica. Si comincia ancora giocando al campo S. Tarcisio, lo stesso dove l'anno prima si era disputata quella che potremmo definire la coppa edizione zero.Tutte le gare sono dirette dal signor Volterra, un arbitro fatto in casa che altri non è che il padre di quel Fabio che gran protagonista della coppa sarà in futuro. Si giocano, ovviamente, subito le semifinali (probabilmente definite per sorteggio).
Nella prima si affrontano Maccabi e Stella Azzurra. Finirà a favore de i primi. Nella seconda a prevalere a sorpresa è la selezione dei movimenti giovanili per 1-0 sul Kadimah. Protagonista, oltre a Gianni Ascoli, Ariel Toaff - autore del goal vittoria - e l'estremo difensore, che sappiamo solo essere il figlio di Gino il portiere.Per la finale, il 12 agosto, ci si sposta al più capiente "Cinodromo". Finisce 3-1 per i ragazzi di Mario "Papà" che scendono in campo con questa formazione:De Angelis; Di Segni detto "Micione"; Pacifico Sed; Carlo Piazza; Ciccio Sed; Franco Di Segni; Mario Mieli; Angelo Astrologo detto "Microbo";Giovanni Di Segni; Sergio Piazza; Settimio Spizzichino.
Si racconta che più di 500 spettatori assistettero all'incontro. Le premiazioni furono effettuate dal rabbino capo di Roma Elio Toaff, malgrado i figlioli Ariel, Dani e Gadi uscissero sconfitti. Ad aggiudicarsi l'incontro, laureandosi primo "campione di piazza", fu, dunque, il GS Maccabi aprendo un ciclo che lo avrebbe portato negli anni - anche se con nomi diversi per motivi di sponsor e altro - a conquistare ben 7 titoli.

(Oser, febbraio 2013)


Israele, riuscito il test di un nuovo missile balistico intercettore

Arrow III
GERUSALEMME, 25 feb. - Israele ha effettuato con successo un lancio sperimentale del proprio missile balistico intercettore di nuova generazione 'Arrow III': lo ha reso noto il ministero della Difesa, secondo cui oggetto del test non era tanto la precisione nell'intercettazione di un bersaglio specifico, quanto il collaudo della traiettoria di volo.
Secondo i progettisti, le prove finora condotte sono riuscite nel 90 per cento dei casi. L'intercettore e' destinato a distruggere eventuali missili diretti contro lo Stato ebraico, ad altitudini tali da consentire la disintegrazione di testate non convenzionali senza rischi per la sicurezza al suolo. Una volta raggiunto lo spazio, la testata dello stesso 'Arrow III' si stacca dal corpo del missile e si trasforma in una sorta di 'satellite-suicida' che traccia, colpisce e annienta l'ordigno preso di mira.
Il relativo programma, cui partecipano il Pentagono e la compagnia americana 'Boeing', e' inteso a rafforzare i sistemi difensivi israeliani nei confronti di minacce esterne quali quelle rappresentate da Iran o Siria, riducendo cosi' la necessita' potenziale di ricorrere ad attacchi preventivi.

(AGI, 25 febbraio 2013)


Nubi sul Golan

dii Boaz Bismuth

Il regime del presidente siriano Bashar al-Assad è già da tempo in fin di vita. Le Nazioni Unite parlano di 70mila persone uccise nel violento conflitto interno che, a marzo, entrerà nel suo terzo anno. Gli ultimi giorni sono stati particolarmente violenti a Damasco (esplosioni) a ad Aleppo (lanci di missili su aree popolale). Il bagno di sangue sta seguendo lo stesso schema del programma nucleare iraniano: il mondo fa molto rumore, ma nulla cambia nel concreto.
È stato detto che l'opposizione siriana è frammentata. Sabato, per una volta, si è mostrata unita quando ha annunciato la sua intenzione di boicottare l'incontro di giovedì a Roma con i paesi "amici della Siria". Cancellate anche le previste visite a Mosca e Washington. L'opposizione siriana si è stancata del "silenzio della comunità internazionale sui crimini commessi dal regime" di Damasco.
Secondo Al-Jazeera, l'Esercito Libero Siriano ha preso il controllo di ciò che resta dell'impianto di ricerca nucleare "al-Akhbar", a Dir a-Zur: lo stesso che, stando alle notizie di stampa estera, fu oggetto di un raid israeliano nel 2007. Elementi estremisti jihadisti hanno infiltrato i ranghi dell'Esercito Libero Siriano: per questo l'Occidente ha tirato un sospiro di sollievo all'idea che quel reattore (grazie e Israele) oggi non esiste più. D'altra parte, secondo disparati rapporti, le forze ribelli dovrebbero presto prendere il controllo dei siti militari di lancio degli Scud. Non lontano dalle nostre case armi molto pericolose stanno cadendo nelle mani di gente che non risponde a nessuno.
Nel frattempo, là a Damasco Assad crede ancora di poter sopravvivere. È convinto che le minoranze, specialmente il 30% di non-sunniti che vivono in Siria, abbiano più paura di un futuro islamista che della permanenza al potere del suo regime. Ed è anche sicuro che l'Occidente ha troppa paura che il collasso del suo regime conduca ad uno spargimento di sangue in Libano e Giordania. Assad sa che l'Occidente non si fida dei ribelli e che per questo non ha fretta di armarli. I ribelli sono divisi fra nazionalisti e jihadisti e queste tensioni tra i due campi non dovrebbero sorprendere più nessuno.
Assad, secondo reportage della stampa araba, è tranquillo e sicuro di sé. Perlomeno, questo è ciò che dice chi lo ha incontrato. È convinto che riuscirà sottomettere le organizzazioni terroristiche (come egli definisce i ribelli) e che l'Occidente non farà nulla per accelerare la sua caduta.
A questo ritmo, Assad starà al potere a Damasco grazie ai centomila soldati lealisti al suo servizio, e ciascuna delle divise fazioni ribelli sarà sovrana nel suo pezzo di territorio. Fino al giorno in cui cadrà.

(Israel HaYom, 24 febbraio 2012 - ripreso da israele.net)


Un modello unico di integrazione: gli israeliani "romani de' Roma"

"Italia e Israele sono partner commerciali solidissimi, abbiamo un bilancia import export che vale 4,5 MLD di dollari. Il connubio Italia e Israele è strategico soprattutto nel settore militare della difesa e sta dando ottimi frutti". Sulla sicurezza "A Roma temiamo che riaffiorino episodi di antisemitismo verso la comunità israelitica. È un fenomeno che è in crescita e rispetto alla nostra comunità ci sono ferite che sono ancora aperte".

di Marcello Aranci

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ROMA CAPITALE - La sede dell'Ambasciata d'Israele è necessariamente blindata. Tutto quello che ha a che fare con Israele, in larga parte del mondo, vive costantemente sotto la minaccia di attacchi terroristici. Roma non è esente da questo pericolo e le misure di sicurezza sono senza dubbio straordinarie, in ambasciata come in tutti i luoghi della comunità ebraica. Ne parliamo con l'Ambasciatore d'Israele Naor Gilon, uno dei diplomatici di punta della diplomazia israeliana. Nella sua carriera ha lavorato a Washington e ha fatto il Capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri israeliano. E' un profondo conoscitore di politica internazionale ed è a Roma da un anno dopo aver ricoperto incarichi prestigiosissimi. A Roma si occupa delle relazioni tra i due Paesi considerando che la nostra città ha una delle comunità ebraiche più numerose d'Italia ma soprattutto tra le più antiche del mondo. Nella nostra città, infatti, si contano 15.000 ebrei, romani a tutti gli effetti e sono distribuiti su tutta l'area metropolitana e non soltanto nel "ghetto". Sono considerati un modello di integrazione nel tessuto culturale della città. A Roma sono numerosi i centri di aggregazione del gruppo ebraico, dalla scuola alla Sinagoga, ma numerosi sono anche i servizi che sono ad appannaggio di tutta la città come ad esempio l'Ospedale Israelitico che è un centro d'eccellenza sanitaria aperto a tutti i cittadini. Un percorso d'integrazione non scontato in un contesto mondiale dove cresce il fenomeno dell'antisemitismo che sfocia sempre più spesso nell'antisraelismo.

- Ambasciatore, cosa rappresenta Roma per Israele?
  "Dal punto di vista professionale significa rapportarsi con un Paese amico che ha con noi una bilancia commerciale di 4,5 mld di dollari e nonostante la crisi è in continua crescita. Anche dal punto di vista culturale c'è una interazione fortissima tra Roma ed Israele, infatti, proprio in queste settimane, fino a marzo presso il Macro si può vedere la Mostra Israel Now-Reinventing the Future, una mostra multidisciplinare, strutturata attorno ad una selezione di ventiquattro artisti israeliani provenienti da esperienze e generazioni diverse,in perfetto equilibrio tra nuove tecnologie e pratiche artistiche più tradizionali. Un progetto che vuole riflettere il dinamismo di una cultura che affonda le proprie radici in una spiritualità millenaria come lo è anche quella romana.
E non è un caso che Roma sia la comunità ebraica più antica del mondo, si ha notizie dei primi insediamenti a partire dal II secolo a.C. ed è un motivo d'orgoglio straordinario essere a Roma perché rimane una delle città da sempre più accogliente nei confronti della popolazione ebraica, nonostante in questi mesi si stia vedendo riaffiorare preoccupanti episodi di antisemitismo, ma parallelamente vediamo anche una grande attenzione delle forze dell'fordine. Abbiamo visto recentemente gli episodi di Campo dei Fiori a Roma e gli altri a Napoli, dove la risposta delle forze di polizia e della magistratura è stata rapida ed efficace".

- Secondo Lei quali sono le motivazioni alla base di questi episodi?
  "Certo nei momenti di difficoltà gli episodi di razzismo e di antisemitismo sono sempre accentuati. Si è sempre alla ricerca del capro espiatorio. L'antisemitismo è in aumento ovunque, in parte anche per la situazione economica. Dobbiamo distinguere due tipi di antisemitismo: esiste un antisemitismo tradizionale, basato su un banale pregiudizio. A molte persone gli ebrei non piacciono, anche se spesso nella loro vita non ne hanno nemmeno mai incontrato uno. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di autosuggestione che ha origine antichissime ed è qualcosa che riguarda le loro "credenze", non è un fatto oggettivo fondato su aspetti razionali che si possono spiegare.
A questo poi si aggiunge l'antisemitismo, che possiamo definire di matrice islamica, un fenomeno che ha ragioni più recenti dal punto di vista storico ed è legato a vicende molto complesse. Ed è quello che ha lasciato segni profondi anche nella comunità romana, dove nonostante siano trascorsi trent'anni proprio pochi mesi fa (ndr l'attentato alla sinagoga accadde il 9 ottobre 1982 e causò la morte di Stefano Gaj Taché di soli due anni ed il ferimento di 37 persone) oppure dalla strage di Fiumicino, dove il 27 dicembre 1985 morirono 13 persone a causa di un attacco rivolto a cittadini "israeliani" ad opera di un commando palestinese. Sono ancora ferite aperte nella nostra comunità. È un fenomeno che ha trasformato in questi anni quello che abbiamo sempre conosciuto come antisemitismo in antisraelismo. Ed è una questione comune in tutta Europa, lo abbiamo anche visto circa un anno fa a Toulouse e lo notiamo anche, ad esempio, in Grecia dove i partiti come Alba Dorata dichiarano apertamente il loro antisemitismo. In Italia per fortuna la guardia è alta, figure come il Presidente Napolitano richiamano con puntualità l'attenzione su questo tema e tutti gli organi dello Stato seguono accuratamente le indicazioni di attenzione. L'Italia potrebbe essere citata come esempio positivo per molti altri Paesi".

- Com'è Israele oggi e come sono le relazioni con gli altri Paesi?
  "Israele è un grande Paese, culla di cultura millenaria, non solo ebraica, da noi convivono anche cristiani e musulmani. È una nazione che conta una popolazione non numerosissima meno di 8 milioni eppure siamo la patria della ricerca scientifica e dell'innovazione tecnologica. Siamo un Paese che ha più premi Nobel che medaglie olimpiche. Per il nostro Governo, cultura, formazione, ricerca e sviluppo sono il nostro core business ecco perché tante delle principali compagnie internazionali di IT come Google, Facebook, Microsoft e Intel hanno in Israele centri di ricerca di altissimo livello. Ma, credo che esista un solo modo per conoscere Israele: venire a vederlo. Chiunque è stato da noi è rimasto straordinariamente sorpreso. Solo gli italiani nell'ultimo anno sono stati 170.000 e abbiamo riscontrato un gradimento altissimo. Del nostro Paese si parla tantissimo ma ciascuno dovrebbe farsi la propria idea visitandolo e scoprendo che ha davanti a se una nazione accogliente, giovane e innovativa.
Per quanto riguarda le nostre relazioni internazionali, posso dire che in generale sono ottime con tutto il mondo. Ottime con gli USA, ottime con l'Europa in generale, in particolare stiamo crescendo nei rapporti con la Germania che oggi è un protagonista della politica europea, ma abbiamo anche consolidato ottime connessioni con Paesi dell'area del centro e dell'est Europa, come i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca.
Abbiamo inoltre ottime interazioni con le economie emergenti del pianeta come la Cina e l'India. Le nostre relazioni politiche e di conseguenza quelle commerciali sono in crescita esponenziale. Abbiamo avuto l'esigenza di aumentare la rappresentanza diplomatica in Cina addirittura aprendo il nostro quarto Consolato (Hong Kong, Benjin, Canton, Shangai) e lo stesso in India, dove siamo arrivati al terzo.
Il problema nasce paradossalmente con i nostri vicini, noi siamo parte di una questione complicatissima che si riverbera fino al Mediterraneo. La nostra contraddizione è di essere un'isola florida di stabilità, di ricchezza, di benessere economico, di democrazia in una regione come quella mediorientale che è attraversata da profondissime crisi economiche e sociali. In questo contesto diventiamo noi il problema. Ad esempio prendiamo l'Iran, che è una nazione splendida, fatta da persone colte, con una tradizione millenaria e una storia da protagonista nell'intera area, è guidata oggi da una leadership fondata su un ideologia estrema e profondamente antisemita. Oggettivamente rappresentano un problema non solo per la zona mediorientale ma per tutto il bacino Mediterraneo determinando una condizione che va decisamente oltre l'instabilità ma può letteralmente sfociare in un conflitto di dimensioni vastissime.

- I rapporti con l'Italia invece come si stanno sviluppando?
  "L'Italia è il nostro partner ideale, nonostante la crisi mondiale il volume degli scambi tra i due Paesi lo scorso anno ha sfiorato i 4,5 MLD di dollari. Abbiamo moltissimi progetti in comune, in particolare quelli di RD (Research & Development) sia in ambito civile che in ambito militare che stanno dando grandi soddisfazioni. Abbiamo profili fortemente complementari, noi siamo forti nel settore Hi-Tech mentre l'Italia ha un livello di eccellenza nell'industria meccanica di precisione. Un binomio decisamente vincente. Poi ci sono le cooperazioni nel campo della Green Energy dove il nostro know-how è all'avanguardia e siamo ben lieti di condividerlo con il vostro Paese, dove questo settore potrebbe rappresentare uno strumento anche per uscire dalla crisi.
Dobbiamo anche considerare il turismo, che beneficia molto dei buoni rapporti fra i nostri due paesi. Ogni anno circa 300.000 cittadini israeliani visitano l'Italia (rappresentano ben il 4% per cento della nostra popolazione che conta 8 milioni di abitanti). Pure nel campo della cultura abbiamo molti progetti importanti in comune. Israele ha sempre investito nel patrimonio culturale e vogliamo fare di più e possiamo farlo insieme, come peraltro stiamo facendo con iniziative di alto spessore. A livello universitario ci sono molte opportunità di collaborazione, che avvengono sia in maniera diretta, sia attraverso il progetto europeo Erasmus cui io stesso partecipai anni fa, quando andai a studiare in Trentino dove c'è tuttora una bellissima realtà universitaria. Sono più di 2000 gli studenti israeliani che ogni anno vengono nel vostro Paese e studiano prevalentemente medicina e ingegneria, dove l'Italia è considerata un polo d'eccellenza. Infine nella politica, i nostri rapporti sono ottimi, come dimostrano le regolari visite che si scambiano i nostri premier ogni anno, una volta in Italia, una volta in Israele. Lo scorso ottobre Monti è stato ricevuto dal nostro Capo del Governo in Israele e l'anno prossimo volta del nostro Primo Ministro, che sceglieremo tra qualche settimana che verrà a fare visita al vostro nuovo Premier …. che scopriremo tra qualche ora…".

(Affaritaliani.it, 24 febbraio 2013)


Rabbini - "Serve qualcuno che sappia stare vicino alla gente"

di Paolo Sciunnach, rabbino

Siamo alle porte della rielezione del Rabbinato centrale di Israele. Serve una rinascita spirituale. Serve un rinnovamento etico.
Credo che il mondo rabbinico di oggi abbia bisogno di un "nuovo chassidismo", il mondo rabbinico è in preda alla "politica": si è soliti incolpare la filosofia antireligiosa dell'eclissi della religione nella società moderna. Sarebbe invece più onesto incolpare alcune autorità rabbiniche dei loro propri insuccessi. Quando la religione parla solo in nome dell'autorità piuttosto che con la voce della compassione, è proprio allora che il suo messaggio diventa privo di significato. Diceva il Kotzker Rebbe: quale è la differenza profonda tra un vero Chassid e un Mitnaghed? Un buon Chassid ha amore di D-o, un Mitnaghed ha solo timore dello Shulchan Aruch.
Lo spirito della Torah ("aggadà") è unito e legato alla legge della Torah ("halachah"). La svalutazione della "aggadà" è un segno della mancanza di un interesse genuino per i problemi spirituali dell'ebreo. Dovunque si trova disprezzo per la "aggadà", là c'è anche un impoverimento della "halachah". Soprattutto in alcuni circoli rabbinici dell'ortodossia moderna molti ne hanno sottovalutato la portata spirituale. Del resto, anche l'Illuminismo ebraico apprezzava ben poco lo studio della "aggadà", e con esso gli intellettuali della riforma.
Cosa dovrebbe trasmettere questo ritorno al "chassidismo"? Che non si deve amare la comodità intellettuale, la cattedra, ma preferire la vicinanza con gli ebrei lontani, gli ebrei tormentati, quelli che vegliano, gli ostinati, coloro che hanno una grande voglia di essere ebrei, coloro che vogliono sopravvivere a tutto e nonostante tutto.

(Notiziario Ucei, 24 febbraio 2013)


I Purim degli altri

Esistono, sparsi per l'intera Diaspora ebraica, altri Purim da celebrare per lo scampato pericolo. Ecco quelli degli ebrei tripolini

di Ariel Arbib

Non per far prevalere la mia opinione, sulla necessità storica di festeggiare ancora un altro Purim in ricordo dello scampato pericolo nel Giugno del 1967, ma solo per il piacere di rallegrarvi con aneddoti ebraici a lieto fine, vi voglio raccontare due bellissima storie libico-ebraiche, che hanno entrambe dato origine ad altrettanti Purim, ancora oggi festeggiati con eguale gioia e allegria, tra i tripolini e i bengasini sparsi per il mondo e tra gli Ebrei di Gerba in Tunisia.
Correva l'anno 1705 e nel mese di Gennaio, una nave tunisina, colta nelle acque di Tripoli da una burrasca, fu sequestrata senza un vero e proprio motivo, con tutti i suoi marinai e passeggeri e condotta nel porto di Tripoli, per ordine dell'allora governatore della città, l'altezzoso Halil Bey. Per vendicare il grave strappo subito, il Governatore di Tunisi, Ibrahim Bey Sharif, mise insieme a sua volta, una soldataglia, con l'intento di far scorrere il sangue a Tripoli. L'ordine dato ai suoi feroci sgherri era di non fare prigionieri.
Fu tentata allora invano, da parte di inviati e Ambasciatori, una mediazione per convincere e dissuadere il Bey Tunisino dal compiere la carneficina che aveva in mente di fare, ma purtroppo inutilmente. La popolazione ebraica di Tripoli, cominciò allora dal canto suo, a preoccuparsi per il serio evolversi di quegli avvenimenti, in quanto nella minacciata rappresaglia del Bey Sharif, ci sarebbero andati di mezzo sicuramente anche tutti loro.
I capi della Comunità, interpellarono sul da farsi il loro Rabbino, il famoso Cabalista Rav Josef Aghib, il quale decretò che tutti gli Ebrei dovessero fare un giorno intero di digiuno, per trovare verso Hashem misericordia e per invocare un aiuto per la loro salvezza. L'invasione e la battaglia che ne scaturì, come annunciato, ebbe inizio, ma inaspettatamente e come per miracolo, nonostante le forze messe in campo dal tunisino fossero decisamente superiori, il Bey Ibrahim Sharif ebbe la peggio e fu ricacciato con quel che rimaneva del suo esercito oltre il confine. La il tripudio e la gioia per lo scampato pericolo per gli Ebrei di Tripoli, diede origine ad un nuovo Purim, che fu chiamato appunto: PURIM KATAN o PURIM SHARIF, dal nome dell'odioso aggressore.
A distanza di 86 anni, da tali avvenimenti e precisamente nel 1791, un altro doloroso evento si stava per abbattere sugli Ebrei di Tripoli e questa è la storia:
A seguito di una lotta fratricida, nata per la successione al potere e che vedeva contrapposti, assieme ai loro reciproci sostenitori, Ahmed e Jussuf, figli del Bey di Tripoli Alì Karamanli, quest'ultimo, per dipanare e risolvere la sanguinosa disputa fratricida, fu costretto a rivolgersi al supremo Monarca, il Gran Sultano di Costantinopoli. Questi, comprendendo i pericoli che potevano scaturire da una tale situazione, acconsentì ad inviare sul posto un suo zelante, ma sanguinario generale, un tremendo figuro insomma, al nome di Alì Bey Giurgi Burgol. Denigrando il mal governo dei Karamanli e sperando di potersi sostituire a loro, prendendo così il posto di comando nel dirigere in futuro a suo piacere le sorti di Tripoli, Alì Burgol soffiò nell'orecchio del Gran Sultano odiose calunnie nei confronti degli Ebrei di Tripoli, i quali secondo lui erano i veri responsabili della situazione e che per altro, venivano protetti dall'anziano Karamanli, (una di queste sue protette era la famosa e bella Ester Arbib, molto cara a chi scrive e se ne può intuire il perché…) che permetteva loro di ricoprire immeritatamente le alte cariche nel governo della città e di spadroneggiare nei commerci di qualsiasi mercanzia. Così facendo l'astuto Burgol, si preparava la strada per spodestare i Karamanli e ricondurre a se, qualsiasi potere a Tripoli. Alì Giurgi Burgol non ebbe difficoltà a farsi autorizzare la spedizione dal Sultano ed armato a sue spese un esercito di prezzolati e sanguinari saraceni, veleggiò alla volta di Tripoli. Il terrore assalì il vecchio Bay Karamanli che, preso dal panico per quanto stava per accadere, fuggì verso la Tunisia, lasciando aperta la strada all'invasore, che così indisturbato approdò in una spiaggia a pochi chilometri dal centro della città, luogo che da allora, prese il suo nome: la spiaggia di Giurgi.
Tripoli fu dunque assediata e le quattro porte della città, a Ovest quella che dava sul mare,a Sud Bab el Jedid (Porta Nuova), a Est Bab el Fonduk ( Porta del fonduco) e a Nord la porta del Castello, venivano così sbarrate agli assalitori. Le spesse mura spagnole della città resistettero, ai duri assalti ma all'interno di esse la vita diventava sempre più dura e difficile per la carenza di cibo. Una sola porta fu fatta aprire a singhiozzo, quella di Bab el Fonduk, per consentire agli Arabi, ma non agli Ebrei di approvvigionarsi di cibo. Burgol, pretese dagli Ebrei, per rendere loro l'esistenza più sopportabile, il versamento di 50.000 Scudi d'argento, in cambio della possibilità di uscire a orari stabiliti dalle mura per cercare fuori di esse quanto necessario per sostentarsi e per seppellire i loro morti, che fino ad allora, durante l'assedio, venivano tumulati, in uno spazio assai ridotto della città tra le macerie di alcune case diroccate.
E' di questo periodo la grande opera caritatevole e di educazione ebraica venuta da un grande e amabile Rabbino, Rav Shalom Labi, di passaggio a Tripoli, proveniente dal Marocco e diretto a Gerusalemme, il quale, vista la situazione tragica ed ebraicamente inadeguata in cui viveva allora la Comunità tripolina, decise di trattenersi lì per risollevarne il morale e rieducarne i figli allo studio della Torà e della Mishnà. Suo figlio, Rabbì Jehuda Labi, divenuto in seguito una persona assai venerata in tutta la Libia, fu seppellito alla sua morte a Tripoli, nel piccolo Cimitero di Matta Sghera e da allora la sua tomba fu meta di pellegrinaggi e di passaggi di decine di migliaia di fedeli, fino agli anni del definitivo esodo degli Ebrei dalla Libi nel 1967.
Pagato il prezzo, dopo solo 10 giorni Burgol, pretese dagli Ebrei il versamento di altri 100.000 Scudi e per indurli, a pagare mise ai ferri la bella Ester Arbib, ricordata in seguito come Malik Ester (Regina Ester), come la sua omonima Regina persiana della festa di Purim, ricattando così ignobilmente tutti i suoi confratelli. Fu pagato, con grandi sacrifici un nuovo riscatto, ma per fortuna le cose stavano cambiando. I due bellicosi giovani fratelli Karamanli, finalmente riappacificati, richiamarono aiuti dalla Tunisia e ricacciarono in mare l'odioso Burgol ed i suoi mercenari. Da allora ed ancora oggi, come già detto, è in uso tra gli Ebrei tripolini e di Gerba in Tunisia, festeggiare il 29 di Tevet il PURIM BURGOL.
Altre due storie a lieto fine tramandateci con i nomi dei due tiranni di turno, che per i loro loschi propositi, hanno alimentato l'odio ed il disprezzo per gli Ebrei. Altri due Purim dunque, con un felice epilogo, come quello originale di Ester e Assuero, di Aman e Ahashverosh. Chissà quanti altri ancora meno conosciuti ne esistono nella millenaria storia ebraica della Golà, purtroppo troppo pochi rispetto alle tante, troppe storie finite senza un lieto fine.

(Kolot, 24 febbraio 2013)


La prima mostra su Erode fa scattare la protesta dei palestinesi

Il direttore dell'Israel Museum James Snyder afferma di non aver ricevuto alcuna protesta formale da parte dell'Autorità Nazionale Palestinese ma precisa che Israele ha una specie custodia su quei reperti.

di Francesca Paci

Tutto è politico a Gerusalemme, il quartiere dove vivere, la scelta del ristorante in cui cenare, un museo da visitare. Non fa eccezione l'evento artistico del 2013, quella che dagli organizzatori dell'Israel Museum viene definita la prima esposizione mondiale dedicata a Erode il Grande, il feroce tiranno biblico regnato due millenni fa in Terra Santa e rimasto in sella per 37 anni.
La mostra, comprendente la ricostruzione della tomba di Erode (scoperta sei anni fa dopo quasi mezzo secolo di ricerche insieme a 30 tonnellate di artefatti), diversi sarcofaghi e un totale di circa 250 reperti archeologici, ha però sollevato le proteste dei palestinesi che rivendicano la provenienza "palestinese"
I “palestinesi” non esistevano al tempo di Erode. L’autrice dell’articolo avrebbe potuto farlo notare.
delle opere esposte (gli ultimi proficui scavi sono stati fatti a Herodium, in Cisgiordania, area C, quella sotto il controllo israeliano). L'Israel Museum replica che furono gli accordi di Oslo ad assegnare a Israele il controllo temporaneo dei siti archelogici in Cisgiordania giura che il materiale tornerà a casa tra nove mesi, a esposizione conclusa. Ma il tempo, tra le colline che ambiscono all'eternità, è relativo.
La mostra, argomenta al Guardian il responsabile delle antichità dell'autorità nazionale palestinese Hamdan Taha, "è un tentativo israeliano di usare l'archeologia per giusticare le proprie pretese territoriali". Taha sostiene di non essere stato consultato nè all'epoca degli scavi di Herodium nè oggi mentre, insiste, quella zona, così come Gerico, "è parte integrale del patrimonio culturale palestinese".
Così, mentre gli studiosi accorrono a vedere l'eredità architettonica e culturale del sanguinario sovrano morto a 70 anni dopo una vita costellata da atrocità leggendarie tra cui l'assassinio di almeno una delle sue mogli, tre dei suoi figli, di innumerevoli rabbini e di oppositori politici (incerta è invece la sua responsabilità sulla strage degli innocenti che molti storici attribuiscono al figlio), sui padiglioni illuminati ad arte si allunga l'ombra dell'infinito conflitto israelo-palestinese.
Il direttore dell'Israel Museum James Snyder afferma di non aver ricevuto alcuna protesta formale da parte dell'Autorità Nazionale Palestinese ma precisa che Israele ha una specie custodia su quei reperti: "Abbiamo questo materiale in prestito e lo restituiremo alla fine dell'esposizione. Ogni nostra mossa è stata autorizzata: se avessimo lasciato quanto trovato scavando nello stato in cui era, non ci sarebbe stato modo d'interpretarlo. Non c'interessa la politica, stiamo cercando di fare del nostro meglio per preservare un patrimonio culturale". La mostra è aperta e chiuderà a novembre 2013, le polemiche no.

(La Stampa, 23 febbraio 2013)


I tesori del Ghetto di Venezia sbarcano in Texas

Un pezzo del tesoro del Ghetto di Venezia
HOUSTON - I tesori del Ghetto di Venezia in mostra per la prima volta in un museo americano. "Lost Tresure of the Jewish Ghetto of Venice", un evento inserito nel calendario dell'Anno della Cultura Italiana negli Usa, e' stata inaugurata ieri sera, al Museum of Fine Art di Houston (MFAH) dove restera' aperta al pubblico fino al 28 di aprile.
Esposti una serie di preziosi oggetti liturgici, in bronzo ed argento, finemente lavorati da artigiani veneziani tra il 17mo e il 20mo secolo e rimasti nascosti per oltre sessant'anni. Furono ritrovati qualche tempo fa nel nascondiglio dove erano stati sistemati per evitare che finissero nelle mani dei nazisti. E' stata l'organizzazione internazionale Venetian Heritage, che fa parte del programma UNESCO per la Salvaguardia di Venezia, a promuovere e finanziare il restauro dei pezzi in vista delle celebrazioni dei 500 anni del Ghetto.
"Un'iniziativa di grande valore", ha tenuto a sottolineare il direttore del MFAH, Gary Tinterow, ringraziando a nome del museo texano la Venetian Heritage. Dopo aver presentato la mostra durante una cena di gala organizzata nelle sale del museo, ha quindi evidenziato come "questi 'tesori', riportati a nuovo splendore, oggi ci permettono di aprire un affascinante squarcio sulla vita di Venezia nel corso di diversi secoli".

(Adnkronos, 22 febbraio 2013)


Israele concede a una società Usa diritti di ricerca del petrolio nei territori di Golan

GERUSALEMME - Israele ha concesso a una societa' americana la licenza per l'esplorazione di petrolio e gas nei territori di Golan.
Lo riferisce il Financial Times, sottolineando che la società in questione e' la divisione locale di Genie Energy, azienda quotata a New York e che annovera fra i suoi azionisti Jacob Rothschild e Rupert Murdoch.
L'ex vice presidente americano Dick Cheney ne' e' advisor. La concessione della licenza - afferma il Financial Times - darà probabilmente vita a una controversia diplomatica prima del prossimo arrivo del presidente Barack Obama nell'area. Secondo gli analisti, la tempistica della concessione della licenza e' legata alla situazione in Siria.
L'analista politico israeliano, Yaron Ezrahi, ritiene "l'azione molto politica, un tentativo di rendere piu' profondo l'impegno d'Israele nei territori di Golan". La scelta del momento - rileva il Financial Times - "e' direttamente legata al fatto che il governo siriano si trova ad affrontare rivolta popolare, violenza e caos e non e' in grado d'occuparsi di questo inaspettato problema".

(Blitz quotidiano, 23 febbraio 2013)


Comunità ebraica di Roma - "Shalom" diventa settimanale online

La nomina del 29enne Fabio Perugia è stata ufficializzata in occasione della nascita del nuovo settimanale sull'ebraismo. Riccardo Pacifici: "Con questa iniziativa vogliamo dare la possibilità a tutti di poter accedere alle notizie che la nostra comunità produce".

Sottotitolo
Fabio Perugia, 29 anni, è il nuovo portavoce della comunità ebraica di Roma. La sua nomina è stata ufficializzata oggi in occasione della presentazione della nuova comunicazione della stessa comunità ebraica. Nuovo look per la rivista della comunità, il mensile "Shalom", che si fonde con il mensile edito da quella triestina; nascita del settimane online sull'ebraismo e nuovo portavoce. Queste le novità che la comunità ebraica di Roma presenta per una nuova comunicazione. Assieme al neo portavoce erano presenti anche il presidente della comunità ebraica Riccardo Pacifici e il rabbino capo Antonio Di Segni.
"Con questa iniziativa - spiega Pacifici - vogliamo dare la possibilità a tutti di poter accedere alle notizie che la nostra comunità produce. In questi anni si sono moltiplicati i momenti e le occasioni in cui viene richiesto il parere dell'ebraismo su fatti di rilevanza sociale romana e nazionale. Ecco perché abbiamo deciso di aumentare la qualità del nostro rapporto con i media. Le sinergie con gli altri mensili ebraici, la nascita del primo settimanale ebraico, lo studio di una comunicazione quotidiana attraverso i nostri canali web e social web sono gli elementi di un'iniziativa costruttiva per essere ancora più protagonisti del dibattito civile e culturale del Paese".
"Da decenni - afferma il neo portavoce Perugia - alla comunità ebraica è attribuito un ruolo sociale all'interno del panorama nazionale. Sia come espressione di una minoranza radicata nel territorio sia come espressione di valori comuni riconosciuti dalla società civile. Alla Cer (Comunità ebraica romana) e ai suoi iscritti è chiesto, con modalità differenti secondo i casi, di intervenire pubblicamente nel dibattito italiano. L'esposizione mediatica legata a singoli fatti di cronaca si è allargata alla produzione culturale della Cer sempre più viva e sempre più richiesta dal pubblico. la moltiplicazione dei media, da quelli tradizionali ai new media ha amplificato questo fenomeno. Proprio per questo c'è bisogno di dare strategia e professionalità alla comunicazione di una comunità importante come quella romana che è la più antica d'Europa".
Con il settimanale "Shalom 7", un giornale telematico pubblicato ogni venerdì mattina, accessibile sul web (www.shalom7.it) e sui tablet Apple o Android, l'ebraismo vuole raccontare la propria identità esprimendo, al contempo, le proprie opinioni su fatti di attualità con maggiore tempestività e prontezza per continuare ad essere una voce importante sui temi sociali sui valori di un Paese.
Potenziato anche il sito web della comunità ebraica (ww.romaebraica.it) che aprirà un filo diretto con la capitale e l'Italia sugli appuntamenti più importanti che l'ebraismo incontra e promuove nei luoghi religiosi e nelle piazze della città.

(la Repubblica - Roma, 22 febbraio 2013)


I giornali israeliani: "Beppe Grillo, un clown vero, può vincere in Italia"

TEL AVIV - L'Israele scopre Beppe Grillo: "E' un clown che può vincere in Italia", titola il giornale Makor Rishon. Ma sono diversi i giornali israeliani con Grillo in prima pagina, che illustrano la rapida ascesa del Movimento 5 stelle con un misto di curiosità e di apprensione.
Con un riferimento al Purim, il Carnevale ebraico che si festeggia da oggi in Israele, il quotidiano religioso Makor Rishon titola: "Non è uno scherzo: un clown professionista può vincere le elezioni in Italia". Analogo il titolo di Maariv: "Il candidato che se la ride fino alle urne".
Haaretz presenta un quadro aggiornato dei prevedibili rapporti di forza fra i principali protagonisti del voto: nell'ordine, Bersani, Berlusconi, Grillo e - molto distaccato - Monti. Il giornale elenca anche alcuni dei problemi principali con cui gli italiani devono cimentarsi fra cui l'economia, la questione femminile e la riforma del sistema giudiziario. Ma l'elemento nuovo del voto, concordano tutti, è il 'grillismo' e nei testi serpeggia un senso di disagio.
Abbondano le citazioni di opinionisti italiani e stranieri che lo associano ad una sorta di populismo (e anche di fascismo). Un suo successo - temono questi analisti - rischierebbe di destabilizzare ulteriormente l'economia e la politica italiana. Makor Rishon - che cita fra l'altro il settimanale italiano Shalom - ha ricavato inoltre la sensazione che la ascesa di Grillo sia un motivo di timore per la comunità ebraica locale.

(Blitz quotidiano, 22 febbraio 2013)


Calcio - Il Barca progetta un match con una squadra israelo-palestinese

La partita della pace dovrebbe tenersi a Tel Aviv in estate

Sottotitolo
Il presidente israeliano Shimon Peres con il presidente
del Barcellona Sandro Rosell
ROMA - Il Barcellona dovrebbe giocare la prossima estate una 'partita della pace' contro una selezione dei migliori calciatori israeliani e palestinesi. L'idea e' emersa ieri sera a Tel Aviv dove il presidente del Barcellona Sandro Rosell ha incontrato il presidente israeliano Shimon Peres. La ''partita della pace'' dovrebbe essere giocata il prossimo 31 luglio, ''nella speranza - ha detto Rosell, in dichiarazioni riportate dal sito web del Barcellona - che questa partita serva a costruire un ponte di dialogo tra le due comunita' e che possa aiutare la riconciliazione tra le parti''.
L'iniziativa e' stata apprezzata dal presidente Shimon Peres: ''E' un piacere - ha detto, sempre secondo il sito della squadra - poter partecipare all'organizzazione di questo progetto.
Lavoreremo insieme al presidente Rosell e al presidente dell'Autorita' Palestinese per una partita che, speriamo, non sia un evento isolato ma parte di un percorso di cooperazione''.
La partita dovrebbe essere disputata a Tel Aviv e l'incasso sara' usato per sostenere progetti che coinvolgano i giovani israeliani e palestinesi. ''Ovviamente - ha detto il vicepresidente del Barcellona Javier Faus - non abbiamo interessi economici in questa gara, anche se ci rimettiamo l'importante e' sostenere certi valori''. Anche i calciatori del Barcellona, ha confermato Rosell, sono pronti a sostenere il progetto: ''Abbiamo il sostegno di tutte le parti in causa - ha concluso Rosell - ora dobbiamo solo lavorare per i dettagli della partita''.
Il presidente del Barcellona ha poi visitato il memoriale di Isaac Rabin e incontrato Yair Lapid, leader del partito Yesh Atid. Il viaggio del presidente del Barcellona nella regione proseguira' domani con una tappa a Gerusalemme e poi a Ramallah, dove il numero uno dei catalani incontrera' il presidente dell'Autorita' Palestinese Mahmud Abbas e il governo palestinese alla Mouqata.
Nel 2005 una partita della pace venne giocata al Camp Nou di Barcellona, organizzata dal Peres Center for Peace e dall'allora presidente del Barcellona Joan Laporta e venne disputata in occasione del summit Euro-Med summit a Barcellona.

(ANSAmed, 22 febbraio 2013)


A Torino, conferenza di sindaci israeliani e palestinesi

Il 6 marzo incontro tra 12 primi cittadini da Nablus a Rosh Haayin

ROMA, 22 feb - Dodici sindaci israeliani e palestinesi si incontrano a Torino per riaprire un difficile dialogo. Perche' per costruire una pace che pare davvero impossibile, sono soprattutto le societa' civili a dovere entrare in gioco. E' questo lo spirito con cui mercoledi' 6 marzo 2013, alle ore 18.00, si incontreranno i primi cittadini di alcune citta' simbolo dei due Paesi.
L'incontro - che sara' ospietato al Circolo dei Lettori di Torino - e' organizzato dal Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente. Per costruire davvero la pace, scrivono i promotori dell'iniziativa, serve una partecipazione dal basso. Non basta la diplomazia. ''Dopo il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro da parte dell'Assemblea Generale dell'ONU - ricordano - a poche settimane dalle elezioni israeliane, e dopo l'annuncio della visita del presidente Obama volta a riaprire i canali del negoziato tra le parti'', il processo deve andare oltre. ''A dovere entrare in gioco - sostengono - sono le societa' civili''.
All'incontro prenderanno parte Ilda Curti, assessore all'Urbanistica e alle Politiche di integrazione dei ''nuovi cittadini'' del Comune di Torino, Paolo Ricci, portavoce degli Enti Regionali e Locali italiani nel Palestinian Municipalities Support Program del ministero degli Affari esteri, Guido Bolatto, segretario generale della Camera di commercio di Torino, Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, Geneva Initiative - Italia, Shlomo Brom, membro dello Steering Commitee di Geneva Initiative Israel, Nidal Foqah, direttore generale di Geneva Initiative Palestine; Ghassan Al Shak'a, sindaco di Nablus (Palestina) e membro del Comitato Esecutivo dell'Olp e Moshe Sinai, sindaco di Rosh HaAyin (Israele). (ANSAmed).

(ANSAmed, 22 febbraio 2013)


La rabbinessa Aiello: "Noi riformati abbiamo aperto la strada agli ortodossi nel Sud Italia"

Mentre l'organizzazione Shavè Israel di rav Birnbaum (Rabbino capo a Torino) nomina un giovane rabbino per il Sud Italia, la rabbinessa riformata Aiello rivendica con una lettera appassionata a Kolòt la paternità dell'idea del "recupero" degli ebrei nascosti

di Barbara Aiello

  
Barbara Aiello
Il primo a dichiararlo fu Charles Caleb Cotton "Imitazione e' la forma piu' alta di adulazione". Ma in questo caso sono gli Ortodossi che sono arrivati nel profondo Sud Italia a mettere in atto questa affermazione. Il Movimento Bene' Anusim in Calabria e Sicilia che loro stessi chiamano "nuova" iniziativa e' in realta' iniziata dieci anni fa e da quel momento e' cresciuta ogni anno di piu'. Come Rabbino di due comunita' Bene' Anusim e fondatore del Movimento Bene' Anusim, abbiamo qui una simpatica storia da raccontarvi - una storia che contiene il nostro duro lavoro e che racconta di coloro che hanno tentato, occultando i nostri sforzi, di farsene un merito. Ho chiamato questa pratica come il gioco che fa il papà col proprio bambino mettendoselo sulle spalle, a cavalluccio.
   Era il 5 Dicembre, 2004 quando mi trovai in un posto che non viene frequentato facilmente da un Rabbino Ebreo, la sala di una Chiesa Cattolica di Lamezia Terme. Avevo appena concluso una Conferenza sugli Ebrei dispersi della Sicilia e della Calabria quando una giovane donna si fece avanti tra la folla che si era formata attorno a me.
   Monsignor Colafati, che al tempo dirigeva un animato gruppo di Calabresi - l'Associazione Sinergie Culturali -, aveva dato impulso a questo "storico" incontro. Nell'aprire la chiesa Calabrese con la mia Conferenza "La Judeka di Nicastro e la Storia degli Ebrei", il Monsignore mi introdusse ad un pubblico di oltre 200 persone Calabresi dicendo quanto fosse importante per ognuno capire la propria storia. Alla mia destra sulla pedana sedeva il noto Professor Vincenzo Villella, il cui libro sulla storia degli Ebrei di Nicastro era uno dei rari e pressoché unici libri esistenti che riconoscesse l'antica presenza storica degli Ebrei in Calabria. Anche se la mia "lingua Italiana" lasciava a desiderare, il pubblico lì seduto ascolto' rapito da una profonda attenzione, completamente assorbito dall'ascolto della storia della mia famiglia. Quando la Conferenza si concluse, rimasi colpita dal numero di Calabresi locali, che volevano conoscere di piu' circa questa storia. Fu in questo momento che la giovane donna si avvicino' chiedendomi di prestarle attenzione. Lei si aggrappo' a me e mi sussurro' "ho sempre avvertito dentro di essere Ebrea ma non ho mai immaginato che la mia famiglia potesse essere Ebrea. Mi aiuti per favore".
   Il suo nome era Antonella e quando mi disse il suo cognome, ricordai subito che era tra quelli nominati nella lista dell'Inquisizione che avevo riportato alla luce e che indicava le sue discendenze Ebraiche. L'urgenza di Antonella divenne la mia stessa urgenza, e mi ripromisi di aiutarla. Fu quella promessa che diede luogo alle basi di cio' che poi divenne un decennio di lavoro e studio sulla fiorente popolazione Ebraica che un tempo accolse centinaia di paesini e citta' Calabresi , e che divenne la mia missione per dare supporto ed aiuto a tutti coloro che "ne volevano sapere di piu'".
Come prima Rabbina donna del Movimento Liberale in Italia, tornai in Calabria, la terra delle mie radici, dove organizzai quella che sarebbe divenuta la prima ed unica iniziativa per aiutare gli Ebrei del Sud Italia a riscoprire ed abbracciare quello che era stato nascosto a loro per oltre 500 anni. Ero quindi arrivata per aiutarli a ritrovare le loro radici Ebraiche. In Ebraico diciamo, "Bene' Anusim" una frase che significa "i figli di coloro che furono forzati". Forzati? Come? Piu' di 500 anni fa, durante il tempo dell'Inquisizione le nostre famiglie furono forzate a scegliere tra due possibilita': o forzati ad abbandonare la nostra religione Ebraica e quindi forzati a convertirsi, o venire espulsi dalle proprie case e paesi di appartenenza.
   Come "Bat Anusim", figlia dei Forzati, ho una esperienza personale con questa tragedia. I miei antenati, Ebrei Spagnoli, furono espulsi da Toledo, Spagna, giungendo in Portogallo, e successivamente in Sicilia dove infine trovarono rifugio sulle montagne Calabresi per scappare alle persecuzioni dell'Inquisizione, arresti e pena di morte. Mia nonna infatti, Angela Rosa Grande, era una discendente diretta di Matheo de Grande, un "neofita" o "Cristiano Nuovo" le cui proprieta' e beni vennero confiscati dalle Autorita' Siciliane dell'Inquisizione della citta' di Naro. La famiglia fu arrestata per aver "giudaizzato", ossia per aver praticato le proprie tradizioni Ebraiche segretamente. Infine stabilitisi nel Reventino, nei piccolissimi paesini di montagna tra cui Serrastretta, dove i miei antenati trovarono un luogo per continuare a vivere da Ebrei, ma a seguito della loro spaventosa esperienza, essi scelsero di continuare l'osservanza nella clandestinita'. Per centinaia di anni accesero la candele il venerdì sera, e si astennero dal magiare il maiale, e quando un loro caro moriva si sedevano su sedie basse e coprivano gli specchi in tutta la casa, tradizioni Ebraiche che si praticano ancora oggi.

(Kolot, 22 febbraio 2013)


Musica nei quattro quartieri di Gerusalemme

Il cuore antico di Gerusalemme riecheggerà di musica dal 18 al 21 marzo, dalle 18.00 alle 21.00, offrendo ai turisti la possibilità di godere di differenti tipologie di musica dal vivo. I concerti incarneranno le tradizioni dei quattro differenti quartieri della Città Antica: il quartiere cristiano, ebraico, armeno e mussulmano. Musica quindi per ogni quartiere e per ogni tradizione: dalla musica cristiana antica a un coro di gospel fino a spettacoli ispirati alla cultura ebraica. I luoghi scelti per le performance saranno Muristan Square, nel quartiere cristiano, il Cardo, cuore del quartiere ebraico, la porta di Giaffa, recentemente rinnovata, la modernissima Galleria Mamilla. Gli spettacoli saranno gratuiti. Il festival è un'iniziativa del dipartimento per lo sviluppo del turismo della Città di Gerusalemme ed è prodotto dalla Società Ariel.

(mondointasca, 22 febbraio 2013)


La guida del Paese è sempre nelle mani di Bibi

In molti hanno tifato per la sconfitta di Netanyahu. Ma nessuno dei politici emergenti, Yair Lapid e Naftali Bennet, ha intenzione di rompere con il leader del Likud.

di Fiamma Nirenstein

Se qualcuno pensa di potersi semplicemente informare su quello che Israele è, o su quello che vi accade, che si cerchi delle fonti alternative alla stampa e in genere ai media internazionali. Le fantasie negative che coprono lo Stato Ebraico sono talmente dense che è impossibile persino intravederne la realtà. Non mi riferisco soltanto alle espressioni di odio estremo, come la vignetta che su un giornale mainstream come il Sunday Times rappresenta Netanyahu che costruisce un muro usando il sangue dei palestinesi di cui è tutto lordato. Non è una novità: anche Ariel Sharon, il Primo Ministro che sgomberò Gaza fu rappresentato sullo stesso giornale alla maniera di Goja, un mostro col ventre rigonfio e nudo, coperto di rivoli di sangue mentre stacca la testa con i denti ai bambini palestinesi. Sembra incredibile, non stiamo parlando dell'organo del gruppo neonazista Jobbik, parliamo di un giornale letto da gente normale come il Sunday Times, e mentre combattiamo l'antisemitismo estremo e ci riuniamo in grandi assemblee in cui affermiamo "mai più", il lettore inglese medio viene irrorato di immagini degne dello Sturmer.
   E' una lezione sull'antisemitismo, ne parleremo un'altra volta. Invece non possiamo chiamare così, e tuttavia possiamo percepire i miasmi velenosi che ne promanano, la valanga di commenti che prima delle elezioni si sono rovesciate sul lettore italiano e europeo in genere; tutte disegnavano la stessa prospettiva, un film di fantascienza, completamente immaginato, dati i risultati. Ci narravano infatti di un Israele in preda a una crisi oscurantista in cui la parte religiosa più estrema insieme ai più duri coloni avrebbe, naturalmente sotto la leadership del pessimo Netanyahu, dominato un Paese confuso, isolazionista, sordo al mondo intero. Le motivazioni di questa discesa nell'oscurità erano descritte alla rovescia, con ignoranza e pregiudizio, per la verità molto ben alimentate dagli oppositori israeliani di Netanyahu, furiosi fino al limite dell'isterismo e utilizzati acriticamente come fonti di verità assoluta: cosicché per i giornali (anche i nostri) la fonte principale è stata soltanto Ha'aretz.
   Sono per esempio diventate verità assolute il fatto che la responsabilità del rapporto freddo con Obama fosse da attribuire a Bibi, e non semmai all'atteggiamento strategico di Obama verso il Medio Oriente, certo non molto simpatetico con Israele e assai compiacente e illusorio col mondo arabo. La questione palestinese è diventata poi, per suggerimento molto circostanziato di Tzipi Livni e di Ehud Olmert, tutta responsabilità del governo, come se Abu Mazen non avesse rifiutato lui, molte volte, la pre offerta di trattativa senza precondizioni anche in presenza di una sospensione di dieci mesi delle costruzioni; persino la preoccupazione di Bibi nei confronti dell'Iran è diventata agli occhi dei suoi oppositori, con pronti trasferimenti alla stampa internazionale (Olmert ne è stato il campione) un'esagerazione da mettere in forse, un trucco.
   Ma sì, che sarà mai quest'Iran che isola Israele, imbarazza Obama e l'Europa? I media ci hanno spiegato da una cattedra di panna montata come un pubblico israeliano duro e sostanzialmente incarognito si sarebbe precipitato sul voto per farne ancora un'arma di isolamento e di contrapposizione verso il mondo arabo. Ed ecco che avanza accanto ad un Netanyahu (peraltro sempre pronto a ripetere la sua scelta per "due Stati per due popoli" mai detta dai palestinesi) sempre vincente ma ridimensionato, il nuovo protagonista di queste elezioni, Yair Lapid, con 19 seggi alla sua prima volta alla Knesset. E' un giornalista intelligente e preparato, figlio di Tommy Lapid, il grande sostenitore della società laica, dello Stato di Diritto, dell'arruolamento dei religiosi nell'esercito. Yair gli somiglia, è il campione della borghesia israeliana di Tel Aviv, un intellettuale, gli piace immaginarsi in un mondo normale in cui si possano riprendere i colloqui con Abu Mazen e le tasse non tartassino il cittadino della classe media. Ma non attacca Netanyahu, non inveisce come Shelly Yechimovich che giura di distruggerlo, o come la Livni che si impegna (chissà se poi è vero) a non entrare mai una coalizione insieme all'attuale Primo Ministro. Yair è civile e pulito, rappresenta il sogno, purtroppo molto volatile, che Israele sia un Paese che non ha bisogno di accigliarsi e di stare sempre in guardia. Però lo dice subito: scordatevi che io possa fare un governo che abbia come solo obiettivo di distruggere Netanyahu, non ho nessuna ragione di farlo, e certo io, ha già detto mentre tutti trattano, con Balad, il partito arabo che promette di distruggere Israele, non sto in nessuna coalizione. In sostanza: a queste elezioni Israele si è comportato nel più ragionevole dei modi.
   A parte il fatto che le elezioni, in quell'area di sangue e urla, si sono svolte con grande ordine, decenza e civiltà, Netanyahu è rimasto a capo di un Paese che sa di aver bisogno di un leader forte, di grande esperienza, che sa che il suo primo compito è tenere il timone in un Medio Oriente in cui un giorno si teme che le armi chimiche di Assad siano passate agli hezbollah, il giorno dopo che il Sinai diventi una base fissa di Al Qaeda mentre l'Egitto trema. I nemici della Fratellanza Musulmana si organizzano e si rafforzano nei Paesi circostanti, l'Iran procede verso la bomba. Yair Lapid non avrebbe l'esperienza necessaria in una situazione del genere, ma può essere un ottimo secondo. E' anche significativo che alla destra di Bibi sia sorto non un tipo classico di religioso messianico, ma un personaggio molto interessante, a sua volta portatore di molte luci di modernità Naftali Bennet, che prende 12 seggi. La mappa politica oggi è quasi fifty-fifty, 61 seggi se Yair Lapid accetta di fare una coalizione con Netanyahu, a 59. Un bel parlamento testa a testa, la Knesset ultrademocratica che ci piace, così lontana dall'immaginazione dei media, dalla continua demonizzazione di Israele.
   E Yair Lapid sarebbe un bel ministro degli Esteri…

(Shalom, febbraio 2013)


Milano - Nuovo cinema israeliano

Torna anche quest'anno la rassegna dedicata al Nuovo Cinema Israeliano organizzata dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea in collaborazione con Fondazione Cineteca di Milano e il Pitigliani Kolno'a Festival, è curata da Nanette Hayon e Paola Mortara, con la direzione artistica di Dan Muggia e Ariela Piattelli. Una quindicina le pellicole proposte tra la sera di sabato 23 febbraio e la giornata del 28, a partire dai più recenti film che hanno riscosso il successo della critica internazionale, Footnote di Josef Ceddr, candidato all'Oscar come miglior film straniero nel 2012, e La sposa promessa di Rama Burshtein, rivelazione dell'ultimo Festival del Cinema di Venezia. "Il cinema israeliano continua a suscitare interesse, ad essere apprezzato quasi in tutto il mondo - scrivono Muggia e Piattelli nella presentazione - Un successo conquistato con l'alta qualità delle opere, ma anche attraverso la varietà dei soggetti affrontati. L'unico tema che ricorre in varie forme, in alcuni dei film presentati, è il mondo religioso". A prendere spunto dai film proposti anche una serie diincontri in parallelo: dalla lezione dello stesso Muggia sui talenti emergenti del cinema israeliano domenica 24 febbraio alle 11, all'incontro con il regista e consigliere comunale Ruggero Gabbai sul confronto fra Milano e Tel Aviv lunedì 25 alle 17, poi ancora la presentazione de Il Mediterraneo degli altri. Le rivolte arabe tra sviluppo e democrazia (Università Bocconi Editore, 2012) di Rony Hamaui, docente di Economia all'Università Cattolica, in un colloquio tra l'autore e il presidente del Cdec e consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giorgio Sacerdoti. Tra i titoli in programma anche God's Neighbors di Meni Yaesh, Life in Stills di Tamar Tal, The Exchange di Eran Kolirin e Restoration di Yossi Madmoni. "In queste giornate porteremo a Milano film e documentari che altrimenti non arriverebbero in alcun modo - spiega Nanette Hayon - Oggi il Cdec rappresenta un punto di riferimento non più, come originariamente, solo per lo studio della Shoah, ma anche per raccontare la cultura ebaica a 360 gradi, compresa dunque Israele. Siamo orgogliosi di offrire alla città di Milano un prodotto originale e di grande qualità, con un occhio anche ai giovani, grazie alle realizzazioni degli allievi del Dipartimento di Cinema dell'Università di Tel Aviv.

Programma

(Notiziario Ucei, 22 febbraio 2013)


Purim la festa dell'esilio

di Adin Steinsaltz

Si celebra a partire da sabato sera. storia di un mancato sterminio
Purim è una festa molto particolare per il calendario ebraico. Si distingue da tutte le altre per il suo carattere conferitogli dalle generazioni successive, ma sopratutto per la sua fonte principale, la Meghillà di Ester stessa.
La diversa natura delle abitudini di Purim e della Meghillà emerge se paragoniamo Purim a Chanukkà, la festa ebraica che le è più vicina sia per data sia per significato. Sebbene i Libri dei Maccabei non facciano parte del canone biblico, essi tuttavia appartengono al milieu filosofico e stilistico dei libri biblici, per gli eventi che narrano, per i personaggi e le figure principali, per gli argomenti religioso nazionali presenti nel loro background.
Rispetto ai Libri dei Maccabei la Meghillà di Ester sembra collocarsi agli antipodi nell'asse tra il sublime e il ridicolo: il tronfio e volubile Assuero; il perfido e insignificante Amman; Ester, la cui ascesa alla gloria ricorda la favola di Cenerentola, e il virtuoso Mordechai coinvolto negli intrighi di corte di un tiranno orientale.
I commentatori hanno osservato che il nome di Dio non appare neanche una volta in tutta la Meghillà, né si trovano mai Suoi appellativi (Torah Ohr 100b); non c'è da stupirsi quindi che ai tempi della Mishnà i nostri saggi discutevano se includere o meno questo libro nelle Sacre Scritture.
La ragione di tutte queste particolarità può riassumersi in un solo argomento: Purim è la festa dell'esilio e la Meghillà di Ester è il Libro dell'esilio. In un certo senso la Meghillà è il paradigma della vita del popolo ebraico in esilio: la sua intera vicenda, che assomiglia a un semplicistico melodramma e a un racconto mitico staccato dalla realtà, acquista un significato vero, serio e persino tragico se visto come lo specchio della storia ebraica non solo ai tempi di Mordechai ed Ester, ma anche attraverso i lunghi anni dell'esilio.
Assuero, il grande re che governa su "centoventisette provincie", che passa la maggior parte dei suoi giorni in feste gaudenti e nel harem, che quasi senza rendersene conto emette un decreto "per distruggere e uccidere tutti gli ebrei" - senza considerare le possibili implicazioni di tale decreto - è una mera creatura dell'immaginazione? Quasi non esiste generazione che in un modo o in un altro non si sia imbattuta in lui. Egli può essere anche una figura insignificante e ridicola, ma perfino un tiranno sciocco e debole può portare a terribili distruzioni per il popolo ebraico.
E così per Amman - su cui ci sono vari racconti (TB Meghillà 16a) e che in qualche modo diventa di fatto il sovrano e decide che il disprezzo personale, la superstizione o qualsiasi altro tipo di non senso siano giustificazione sufficiente per uccidere tutti gli ebrei - non si deve andare molto lontano per trovare che egli sia realmente esistente e concretamente minaccioso. Nella Meghillà Amman è chiaramente una figura comica; ma nel corso della nostra storia questo personaggio è stato accompagnato da tante lacrime e sangue versati.
L'esaltato discorso di Amman al re - su "un popolo disperso tra le genti" del suo regno, "le cui leggi sono diverse da quelle di qualsiasi altro popolo e che non osserva le leggi del re, e che quindi il re non dovrebbe tollerare" (Ester 3:8) - non è stato perfezionato di molto durante i 2.500 anni passati da allora!
Con minime variazioni questo viene riproposto fino agli Amman dei nostri giorni in giro per il mondo. Oggi noi non ridiamo più della sua patetica figura, ma la temiamo.
Si può approfondire e illustrare come questa strana sconcertante e ridicola storia della Meghillà, che sarebbe potuta essere divertente se non fosse così tragica, si sia ripetuta generazione dopo generazione in diverse parti del mondo.
Il midrash racconta che i protagonisti della Meghillà non sono solo figure (Midrash Esther Rabbah, Introduzione): Assuero e Amman non rappresentano solo essi stessi, ma sono anche il prototipo di centinaia e migliaia di altri come loro che crescono grazie al male fondamentale dell'esistenza ebraica nell'esilio. Un popolo che non ha un reale supporto, i cui diritti sono sempre dimenticati, le cui limitazioni saranno sempre evidenti e contro cui si volgerà ogni capriccio del potente del momento: l'eterno capro espiatorio.
La Meghillà di Ester dunque è il rotolo del "nascondimento del volto divino", del popolo ebraico nel suo esilio durante cui la più grande minaccia contro la propria esistenza inizia con ciò che sembra una commedia, e in cui perfino i miracoli originano dalla natura e dal "suolo" dell'esilio.
Solo una prospettiva profonda sul futuro ebraico basata su una fede forte e incrollabile ha reso possibile l'inclusione della Meghillà nel canone biblico. Perché questo libro è l'essenza della vita ebraica in esilio e della fede, per la quale - dietro a tutte le cause esterne - si nasconde il "Guardiano di Israele" (Salmi 121:4. TB Sotah 48a).
La Meghillà ci insegna che il popolo ebraico deve imparare a vivere questo tipo di vita in attesa di miracoli nascosti entro le tortuose e contorte vie della storia. In tutto ciò si deve credere che "conforto e soccorso perverranno agli ebrei…" e che nel momento del pericolo né assimilazione né maschere saranno d'aiuto, neanche per coloro che siederanno nel palazzo stesso del re. E che, nonostante tutto, c'è speranza.
La storia della Meghillà continuerà fino a quando esisterà l'esilio, e fino a quando il mondo si ostinerà a funzionare con il "nascondimento del volto divino" e "il nascondimento del nome divino". Possano venire presto i giorni in cui noi non leggeremo più la Meghillà come una storia seria; quando saremo in grado di leggerla veramente in modo frivolo, sapendo che è solo un racconto dei tempi passati che non torneranno mai più.

(Comuniità Ebraica di Roma, 22 febbraio 2013 - trad. Paola Abbina)


L'Iran avrebbe installato 180 nuove centrifughe nucleari


Torna al centro dell'attenzione la questione del nucleare iraniano. Anticipazioni del rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica fatte trapelare alla stampa indicano che Teheran avrebbe installato 180 centrifughe di nuova generazione nell'impianto di Natanz, cui gli ispettori non hanno avuto accesso. L'Iran afferma che sono destinate a un basso arricchimento dell'uranio, per scopi medici, ma Washington lo considera un altro passo verso l'arma atomica.
"Speriamo - afferma il portavoce della Casa Bianca Jay Carney - che il regime iraniano venga ai colloqui del 26 febbraio con i 5+1 in Kazakhstan pronto a discutere della sostanza, così che si possano fare progressi nel rispondere alle preoccupazioni della comunità internazionale sulla natura del programma nucleare iraniano".
Secondo indiscrezioni del Wall Street Journal, a margine dei colloqui della settimana prossima, gli Stati Uniti sarebbero disposti anche a tenere un incontro bilaterale con Teheran, per accelerare le trattative.

(euronews, 22 febbraio 2013)


Perché i rapporti tra Russia e Israele non sono mai stati così buoni

di Massimo Boffa

TEL AVIV - Zvi Magen, una carriera nell'intelligence militare e nella diplomazia, è il decano degli specialisti israeliani sulla Russia. Ambasciatore a Mosca alla fine degli anni Novanta, quindi a capo del Nativ, l'agenzia incaricata dei contatti con gli ebrei dell'est Europa, oggi Magen dirige il dipartimento russo dell'Inss (Institute for National Security Studies). E' la persona giusta a cui chiedere come si stanno sviluppando i rapporti tra la Russia e Israele, soprattutto dopo la forte impressione, avuta recentemente a Mosca, di una politica molto jewish friendly da parte del Cremlino. "La Russia ha una politica ambivalente. E' amica di Israele, ma è amica anche dei suoi nemici, Siria e Iran. Mosca vuole un ruolo in medio oriente, vuole avere voce nella sistemazione della regione, per questo ha bisogno di una partnership con Israele. E' senz'altro una politica interessante, loro la chiamano multivettorialità: parlare con tutti, proporsi come mediatore nei conflitti.
Questa politica, però, poteva andare bene fino alle primavere arabe, che hanno colto i russi alla sprovvista e che Mosca ha giudicato negativamente: prevedono un rafforzamento dell'islam radicale e dunque un aumento dell'instabilità. A quel punto la Russia si è schierata con gli sciiti contro i sunniti. La Russia teme l'islam, e ha ragione, a causa delle minacce che esso rappresenta per i suoi interessi nel Caucaso e nell'Asia centrale". Resta il fatto che i rapporti tra Mosca e Gerusalemme non sono mai stati così buoni come oggi. "E' vero, i rapporti sono buoni. Ma la Russia ha bisogno di Israele più di quanto Israele abbia bisogno della Russia. Sanno che Israele è molto avanti in campo tecnologico e credono che abbiamo una certa influenza in occidente. Il vero problema, però, è che gli Stati Uniti non vogliono la Russia in medio oriente. Oggi Washington vede la Russia come il suo principale avversario geopolitico, più della Cina e dell'islam: non vuole che la Russia torni a essere una superpotenza che dice la sua su tutti i problemi del mondo, non vuole che vada avanti il progetto euroasiatico di Putin, e quindi la vuole indebolire.
La Russia, per esempio, sarebbe stata disposta a fare concessioni sulla Siria, ma in cambio chiede un reset 2.0, cioè un accordo globale, soprattutto sulla difesa antimissilistica nell'Europa dell'est, cosa che Washington non vuole: vuole la Siria gratis. E' un gioco molto grande, più grande di Israele. Noi comunque siamo parte del sistema occidentale, e i russi in questo momento sono dall'altra parte". E intanto, all'orizzonte, è sempre vivo il problema iraniano. "Ho l'impressione che in Russia coesistano due posizioni opposte, altrettanto autorevoli. Da un lato, c'è chi vede nell'Iran un fondamentale alleato geopolitico in chiave antioccidentale. In caso di guerra, e se le circostanze lo permettono, costoro immaginano di promuovere gli interessi russi nel Caucaso, anche muovendo le truppe.
Dall'altro lato, c'è chi teme gli effetti distruttivi di un tale scenario e vorrebbe la Russia più decisamente a fianco dell'occidente per contenere le ambizioni nucleari di Teheran, anche perché, a lungo andare, vedono in un Iran espansivo una minaccia grave nel Caucaso e nell'Asia centrale. In caso di guerra, costoro preferirebbero un atteggiamento cauto: sventolar di bandiere, molta retorica, iniziative all'Onu, movimenti di navi, poi basta. Insomma, mi sembra che non ci siano segnali chiari su quella che potrebbe essere la reazione di Mosca".

(Il Foglio, 22 febbraio 2013)


La società non (ancora) nata che collabora con Usa e Israele

NOVARA - La società, almeno ufficialmente, non ha ancora un nome, ma i suoi componenti stanno già lavorando con Israele e gli Stati Uniti per la conservazione dei preziosi rotoli del Mar Morto e i documenti custoditi nella Biblioteca del Congresso di Washington.
«In effetti - racconta Marcello Manfredi, 26 anni, laureato in chimica e dottorando - avremmo dovuto dare vita alla nostra società a febbraio, ma io sto partendo per gli Usa e quindi abbiamo rinviato l'appuntamento dal notaio a maggio o giugno». La realtà che vedrà la luce ed entrerà nell'incubatore di imprese dell'Università del Piemonte Orientale si chiamerà Isalit, acronimo di Innovative Solutions and Advanced LED Imaging Techniques. Ne faranno parte il docente di Chimica della sede di Alessandria Emilio Marengo, 52 anni, Manfredi, Marco Bobba, 35 anni ed Elisa Robotti, 36.
Ma come si è arrivati alla collaborazione con i Beni culturali israeliani e con il Congresso americano? «Il professor Marengo - racconta Marcello Manfredi - grazie ai suoi lavori è stato contattato nel 2009 da Greg Bearman», scienziato statunitense che ha lavorato per anni per la Nasa e sviluppa nuovi sistemi per la rilevazione di immagini spettroscopiche, occupandosi anche dei Rotoli del Mar Morto, documenti di inestimabile valore, rinvenuti tra il 1947 e il 1956, contenenti scritti biblici in alcuni casi risalenti anche al 150 avanti Cristo. Per farla breve, dopo i contatti con Bearman, interessato dagli studi messi in campo dal gruppo di Marengo, Manfredi è partito per un mese per Washington, dove «abbiamo verificato la validità dei nostri metodi utilizzando un Led multispectral imaging», macchinario che acquisisce immagini a diverse lunghezze d'onda. «Sulla base dei dati inviatici in precedenza da Bearman noi abbiamo sviluppato un sistema di algoritmi capace di analizzare le immagini acquisite, cosa che prima non era possibile fare». Una volta verificata l'efficacia del metodo è entrato in scena anche Israele, i cui manoscritti antichi si stanno degradando e rischiano di diventare illeggibili. «Con loro - conferma Manfredi - lavoriamo dal 2011». Questa volta, anche in Italia ci si è accorti delle potenzialità di quella che si chiamerà Isalit: «Grazie a un finanziamento della Fondazione Cariplo stiamo portando avanti un progetto di monitoraggio su alcuni affreschi del 1400 a Valle Lomellina. L'analisi sarà completata entro fine marzo» dice Marcello Manfredi.
L'idea del gruppo di Isalit, però, è di non restare confinati nell'ambito culturale, ma di estendere le applicazioni anche all'industria, in particolare nell'ambito del controllo qualità, vista la capacità dello strumento di effettuare accurati monitoraggi della superficie, in modo relativamente semplice, utilizzando algoritmi che ne analizzano eventuali anomalie.

(Il Sole 24 Ore, 22 febbraio 2013)


Giovane si dà fuoco in un ufficio di Hamas a Gaza

RAMALLAH, 21 feb. - Un giovane palestinese si e' dato fuoco in segno di protesta all'interno di un ufficio del ministero di Hamas per gli Affari sociali nel nord della Striscia di Gaza dopo una discussione con un impiegato. Lo riferisce l'agenzia di stampa Xinhua, che cita testimoni e fonti della sicurezza locale. Il giovane, con ustioni di terzo grado, e' ricoverato in ospedale in condizioni stabili dopo essere stato soccorso da tre impiegati che sono rimasti lievemente feriti.

(Adnkronos, 21 febbraio 2013)


Basket - Tel Aviv sempre tabù, Montepaschi Siena crolla col Maccabi

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Un'italiana non vince a Tel Aviv dal gennaio 2004 e la striscia di sconfitte non si ferma. Il Montepaschi Siena viene battuto per 92-61 dal Maccabi, con il parziale decisivo di 28-9 a cavallo dell'intervallo lungo, e subisce il secondo ko nelle Top 16 di Eurolega. I padroni di casa si mostrano decisamente più convinti e reattivi, guidati da un grande Ohayon, mentre i campioni d'Italia crollano nel quarto periodo e perdono anche il doppio confronto.
C'è grande equilibrio nei primi minuti del match: per gli israeliani un ottimo James, ma Kangur segna 10 punti nel primo quarto e la situazione è di perfetta parità (22-22), al primo intervallo. Dopo altri minuti senza scossoni, il break arriva nella seconda parte del secondo quarto: la difesa toscana si fa battere con troppa facilità nell'uno contro uno, il Maccabi trova con continuità il canestro dall'arco (7/12 al 20?) ed arriva il 17-5 per dare una svolta al match.
La squadra di Blatt raggiunge anche il +13 (44-31 al 19?), mentre la formazione italiana non ha tirato alcun tiro libero nel primo tempo, un segnale di poca aggressività nelle penetrazioni. Sanikidze va in lunetta ad inizio ripresa, ma fa solo 1/4 e la situazione non cambia: Ohayon batte Brown con facilità, Pnini segna dall'arco e James domina sotto le plance, così il distacco diventa decisamente preoccupante per i toscani, sul 55-35 del 23?.
C'è una diversa reattività in campo tra le due squadre, con il Maccabi sempre primo sulle palle vaganti e a rimbalzo offensivo. Una tripla di Janning sulla sirena del terzo quarto ed una schiacciata di Eze ridanno un po' di speranze ai toscani (69-57 al 32?), ma lo stesso centro spreca due occasioni per riavvicinare ulteriormente i suoi. Pnini punisce con un gioco da tre punti, Smith segna dall'arco: 21-0 dei padroni di casa e Tel Aviv dilaga.

(outdoor, 21 febbraio 2013)


Teheran più vicina che mai a bomba atomica

Gerusalemme, 21 feb. - L'Iran "è più vicino che mai a una bomba atomica": lo ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, dopo che l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) ha reso nota l'installazione di centrifughe per l'aricchimento dell'uranio più moderne nel sito iraniano di Natanz.
Il rapporto, secondo Netanyahu, "prova che l'Iran continua ad avanzare rapidamente" verso il traguardo della costruzione di una testata nucleare; una questione che sarà in cima all'agenda dei colloqui fra Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, in visita in Israele nei Territori nel prossimo marzo.

(TMNews, 21 febbraio 2013)


L'Università al-Aqsa di Gaza impone il velo, e l'autorità palestinese si ribella

  
Una decisione messa in atto a partire dal corrente mese ha suscitato le ire del governo e di alcuni rappresentanti politici palestinesi dopo la controversa imposizione del velo e del jilbab nei licei di gazioti portata avanti nel 2009 da Hamas. Stavolta si tratta del nuovo regolamento dell'Università Pubblica d'al-Aqsa, che invita le giovani donne a rispettare i codici di abbigliamento stabiliti dall'Islam portando il velo sui capelli e coprendosi con un lungo mantello per «evitare ogni desiderio maschile», un'indicazione che la direzione giustifica quasi come un'accettazione di un dato di fatto dato che il 97% delle allieve adottano già tale tipo di «dress code». Anche se le oppositrici non saranno espulse, ciò non toglie che dovranno assistere a delle conferenze sull'importanza della tenuta richiesta. Un segno di radicalismo religioso che interviene in un'istituzione di studio considerata fino a poco tempo fa meno conservatrice dell'altro polo di insegnamento universitario della città, The Islamic University vicina ad Hamas, e che non è assolutamente in linea con il dipartimento culturale dell'OLP (Organizzazione di Liberazione della Palestina) né tanto meno con il Ministro dell'Istruzione superiore Ali Jarbawi, che è insorto in un comunicato ufficiale dichiarando di non esser stato consultato e bollando il provvedimento come «illegale», un vero e proprio attentato alla libertà individuale e pubblica condannato con le seguenti parole:
Anche se l'università gode di un'indipendenza finanziaria, pedagogica e amministrativa, non puo' mettere in atto politiche contrarie alla legge… ancor più che esiste un sistema che definisca gli abiti modesti.
Nell'immagine una donna vestita con l'jilbab attende nella folla dei fedeli al National Monument park di Jakarta, in occasione dei festeggiamenti per la nascita del Profeta Maometto.

(Polis blog.it, 21 febbraio 2013)


La "Immunity zone" preoccupa Israele

GERUSALEMME, Israele — La chiamano "Immunity zone", zona franca. Ed è ciò che più preoccupa le cancellerie occidentali, perché significherebbe aver perso la partita nucleare con l'Iran.
"Immunity zone" per gli ambienti militari e l'intelligence israeliani è diventata la parola chiave degli ultimi tempi. Indica il momento in cui l'Iran riuscirà a mettere al sicuro, in profondità, gli impianti nucleari. Il che li renderà praticamente inattaccabili dal cielo. Di conseguenza avrà vanificato la possibilità di un attacco aereo preventivo da parte di Israele.
Quando l'Iran avrà raggiunto la "immunity zone", il deterrente di Israele diventerà praticamente nullo e gli ayatollah potranno continuare indisturbati il programma di arricchimento del plutonio e terminare la costruzione di un'arma nucleare. Uno scenario che ovviamente Isreaele non può permettersi.
Pertanto, un minuto prima che Teheran raggiunga la "immunity zone", Israele sarà costretta ad attaccare dando il via a una guerra dagli esiti imprevedibili. Per questo gli Stati Uniti stanno cercando una soluzione a un problema che, presto o tardi, sfocerà in tutto il suo dramma.

(Bergamo Sera, 21 febbraio 2013)


Il disgusto di Hanin Zoabi per lo Stato ebraico

Di Zvi Gabay

Hanin Zoabi
L'uscita precipitosa dall'aula della Knesset della parlamentare arabo-israeliana Hanin Zoabi (rieletta nella lista Balad), subito dopo che aveva prestato il giuramento di rito, mi ha lasciato di stucco. Lì per lì avevo pensato che fosse pressata da qualche impellente urgenza. Ma il giorno successivo alla cerimonia di giuramento, Zoabi ha spiegato d'aver abbandonato l'aula del parlamento perché non voleva ascoltare in piedi l'esecuzione dell'inno nazionale israeliano. Ha aggiunto che le parole dell'inno non parlano per lei - il che è comprensibile - e che non riflettono le sue aspirazioni nazionali, che non sono israeliane bensì palestinesi.
Al di là della elementare mancanza di educazione, c'è da chiedersi: perché Zoabi ha giurato lealtà alla Knesset israeliana se è così che la pensa? Forse perché è la Knesset che paga il suo lauto stipendio? O perché vuole sfruttare la democrazia dello Stato d'Israele, e godere della libertà d'espressione e di movimento per dileggiarne l'autorità e fare colpo sui suoi sostenitori?
Alla luce del suo comportamento provocatorio, ho considerato come si comportavano i parlamentari ebrei durante i primi anni d'indipendenza dell'Iraq. Sebbene gli antenati di quei parlamentari ebrei si fossero stabiliti in Iraq moltissimo tempo prima che il paese venisse conquistato dagli arabi, essi rispettavano le leggi irachene, il protocollo e le regole del cerimoniale, compresa quella di ascoltare in piedi l'esecuzione dell'inno nazionale. Io stesso mi sono comportato nello stesso modo, quando ero rappresentante diplomatico d'Israele in Egitto, tutte le volte che veniva suonato l'inno egiziano. È così che si comportano gli ebrei nei vari paesi in cui vivono, ed è così che si comporta la gente civile in tutto il mondo indipendentemente dal fatto che le parole dei vari inni nazionali parlino o meno per loro.
Se la parlamentare Zoabi è disgustata da Israele perché Israele è lo stato nazionale del popolo ebraico, lei - a differenza degli ebrei che vivevano nei paesi arabi - è libera di andarsene a vivere in Palestina, in Siria, in Iraq, in Libia o in qualunque altro paese arabo. Dove verosimilmente godrà della massima libertà e di tutti i diritti cui anela il suo cuore. Si può anche sperare che le sue condizioni di vita saranno migliori di quelle che sono in Israele, e che non sarà discriminata come invece dice di essere in Israele.
Non c'è nulla di casuale nel comportamento provocatorio di Zoabi. Che sia col sostegno ai terroristi della Mavi Marmara o col rifiuto di rispettare i simboli dello Stato, ella sprona gli estremisti ad imitarla.
La maggior parte degli arabi israeliani vive bene in confronto ai loro fratelli nei paesi arabi. Le loro condizioni di vita possono e devono migliorare. Ma, per correggere carenze storiche, non occorre dare spazio a comportamenti insultanti come quelli di Zoabi.


Altro che apartheid! La cocciutaggine con cui in Israele sono accettati, tollerati e addirittura difesi dei nemici dichiarati dello Stato ebraico che non fanno nulla per nascondere i loro sentimenti e propositi, se non è masochismo, è quanto meno autolesionismo. M.C.

(Ha'aretz, 18 febbraio 2013 - da israele.net)


L'Esercito Libero Siriano minaccia attaccare Hezbollah in Libano

L'Esercito Siriano Libero minaccia d'attaccare le postazioni di Hezbollah in Libano.
Scade oggi l'ultimatum che il Generale Selim Idriss ha indirizzato ai militanti del gruppo sciita libanese il quale spalleggia i soldati del regime di Damasco facendo fuoco dalle proprie postazioni nella valle libanese della Bekaa. Il tutto mentre raid aerei dell'aviazione siriana hanno fatto almeno 25 morti nei sobborghi di Damasco.
Intanto la Lega Araba e la Russia sostengono che sia l'opposizione che il governo sarebbero pronti ad aprire un dialogo, come ha spiegato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.
"Finora l'opposizione sembrava restia al dialogo. Ora pare le cose stiano cambiando e che ci sia un'apertura" ha detto Lavrov a termine di un incontro col Segretario della Lega Araba Nabil Elaraby.
Intanto il coinvolgimento del Libano nel conflitto siriano s'esprime anche sul fronte legale: un giudice militare libanese ha richiesto la pena di morte per un ex ministro libanese e per il capo della sicurezza militare siriana, accusati di complotto ai danni di figure politiche e religiose libanesi di primo piano.

Video

(euronews, 21 febbraio 2013)


L’aspetto prodigioso di questa prolungata carneficina tra arabi islamici è che ancora nessuno ne abbia dato la colpa a Israele.


Più' che raddoppiati gli episodi di antisemitismo in Francia nel 2012

PARIGI, 20 feb - ''Il 2012 e' stato un anno di violenza senza precedenti contro la comunita' ebraica in Francia, bersaglio di due attentati in meno di sei mesi''. A segnalarlo e' il Servizio di protezione della comunita' ebraica francese (Spcj), che ha pubblicato il suo rapporto annuale, inviato al primo ministro francese Jean-Marc Ayrault.
Nel 2012 sono stati registrati 514 atti di antisemitismo, 58% in piu' rispetto ai 389 del 2011. Tra questi 177 sono omicidi, tentativi di omicidio, violenze, mentre nei restanti 437 casi si tratta di minacce.
Per il Presidente del consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia (Crif), Richard Prasquier, gli episodi ''degradano l'immagine della Francia, paese che protegge le minoranze'' ma dove da ''13 anni e' in aumento il numero degli episodi di antisemitismo''.
Nel marzo scorso un adulto e tre bambini sono stati uccisi di fronte a un collegio ebraico a Tolosa da Mohamed Merah, un cittadino francese di origine algerina, ucciso poi in un blitz della polizia, mentre a ottobre una bomba e' esplosa in un supermercato Kosher a Sarcelles, vicino Parigi.

(ASCA, 20 febbraio 2013)


Così Israele si prepara al peggio

di Claudio Pagliara



In tutto Israele risuonano le sirene, ma e' solo una esercitazione. Ecco cosa accade in una scuola di Gerusalemme, "colpita" da un missile. Il Paese si prepara allo scenario peggiore, una guerra regionale contro l'Iran, la Siria, gli Hezbollah.
A cura della Sede di corrispondenza Rai per il Medio Oriente. Videoblog di Claudio Pagliara, riprese: Hilel Nave, montaggio: Noga Darewski, producer: Giovanni ca' Zorzi.
(tg1 online, 20 febbraio 2013)


Wjc, leader ebraici a confronto con il ministro Terzi

Incontro alla Farnesina tra il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata e i dirigenti del World Jewish Congress con a capo il presidente Ronald Lauder, il presidente del Congresso Ebraico Europeo Moshe Kantor e una delegazione delle Comunità ebraiche italiane guidata dal presidente UCEI Renzo Gattegna. Al suo fianco il vicepresidente dell'Unione Roberto Jarach, i consiglieri Victor Magiar, Scialom Tesciuba e Cobi Benatoff, il vicepresidente della Comunità ebraica di Roma Giacomo Moscati. Presenti all'incontro anche Alessandro Ruben, parlamentare e presidente della sezione italiana dell'Anti Defamation League, la vicepresidente Commissione Affari Esteri della Camera Fiamma Nirenstein e l'ex ambasciatore d'Italia in Israele Sandro De Bernardin. Al centro del colloquio, svoltosi in un clima di grande cordialità, gli scenari della politica internazionale a partire dal voto in Israele, le insidie del programma di rafforzamento del nucleare iraniano e il voto favorevole espresso dall'Italia per il riconoscimento dell'Autorità Nazionale Palestinese come Stato osservatore alle Nazioni Unite. Ma anche l'impegno delle nostre istituzioni per la libertà religiosa e la lotta al razzismo in ogni sua forma. Al termine della riunione il ministro Terzi ha insignito Kantor dell'onorificenza, conferitagli dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di Cavaliere della Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, per la sua opera di promozione dei diritti umani, del dialogo interreligioso e la sua lotta contro la xenofobia e l'antisemitismo.

(Notiziario Ucei, 20 febbraio 2013)


Festival del Ghiaccio a Gerusalemme fino al 30 aprile 2013

Galleria
Apre i battenti quest'oggi il Festival Internazionale del Ghiaccio in Israele. Nella città di Gerusalemme andrà in scena fino al prossimo 30 aprile la kermesse dedicata
alle sculture di ghiaccio, che negli ultimi tempi sta diventando una sorta di moda, dato che molte città in tutto il mondo realizzano festival del genere. Si tratta di un evento dedicato a grandi e piccini che offre divertimento ed altro ancora.
All'interno della vecchia stazione di Gerusalemme si potrà visitare per oltre un mese una vera e propria città di ghiaccio, con temperature costantemente basse e vicine allo 0oC. Diversi scultori, artisti, designer, ingegneri ed altri hanno dato sfogo alla loro creatività realizzando installazioni e sculture, lavorando per giorni e giorni su blocchi di ghiaccio, modellandoli fino a ricavarne le forme desiderate.
Oltre a poter ammirare sculture di ghiaccio fantastiche, come personaggi delle favole, i vari artisti si sono divertiti anche con la storia, optando per quelle linee storiche della città israeliana, delle mura dalla Città Vecchia e dello Zoo Biblico di Gerusalemme. Durante l'Ice Festival, ci si potrà anche divertire pattinando su una pista ghiacciata, allestita proprio accanto alla vecchia stazione.

(ViaggioK.net, 20 febbraio 2013)


Bnei Yehuda - Maccabi Tel Aviv all'ultimo respiro: gol decisivo di Lugasi al 99o!

Partita piena d'emozioni quella tra Bnei Yehuda e Maccabi Tel Aviv: tre gol dopo il 90o e gol vittoria spettacolare di Lugasi.

Nell'ultimo match di campionato israeliano tra Bnei Yehuda e Maccabi Tel Aviv ne sono capitate di tutti i colori: prima i padroni di casa sono andati sotto, poi hanno ribaltato il risultato al 90o, ma nei restanti 9 minuti di gioco (avete capito bene) il Maccabi ha nuovamente ribaltato la gara, portando a casa una strabiliante vittoria. Eroe del match, il 22 enne Moshe Lugasi, con un gol vittoria spettacolare al 99o minuto di gioco.

Video

(Soccer Magazine, 20 febbraio 2013)


Netanyahu smentisce i contatti fra Zygier e i servizi australiani

ROMA, 19 feb - L'ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha smentito che Ben Zygier, il presunto agente del Mossad che si e' suicidato impiccandosi nella cella dove era detenuto, abbia avuto qualsiasi contatto con i servizi segreti australiani. Il comunicato dello staff di Netanyahu, che ha la responsabilita' del Mossad, e' stato diffuso dopo che un tribunale israeliano ha reso noti oggi i particolari della morte di Zygier.
Secondo l'emittente australiana ABC, che ha rivelato la storia la scorsa settimana, Zygier era stato arrestato dopo aver rivelato ad alcuni agenti australiani le operazioni del Mossad da lui condotte. ''Fra Israele e le organizzazioni della sicurezza australiane c'e' un'eccellente cooperazione, un pieno coordinamento e una piena trasparenza'', si legge ancora nel comunicato.

(ASCA, 19 febbraio 2013)


Napoli. Un seminario sulla didattica della Shoah

  
NAPOLI - Giovedi 21 Febbraio il Ministero dell'Istruzione, l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Fondazione Valenzi organizzano il primo seminario di formazione nel Mezzogiorno sulla didattica della Shoah. Nella sede del Maschio Angioino storici, educatori ed artisti incontrano sessanta docenti provenienti da tutte le parti di Italia per il corso di formazione e aggiornamento sulla storia della Shoah e il suo insegnamento nelle scuole Formare e informare i docenti delle scuole italiane di ogni ordine e grado sulla storia della Shoah e sui suoi aspetti più nascosti per trasmetterne le valenze educative alle nuove generazioni. È questo l'obiettivo del primo corso di formazione nel Mezzogiorno sulla didattica della Shoah nella sede della Fondazione.
Il seminario di formazione, della durata di un'intera giornata, è organizzato dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in collaborazione con la stessa Fondazione Valenzi e il supporto del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e il Museo della Shoah di Roma.
Al corso prenderanno parte sessanta insegnanti provenienti da tutte le parti d'Italia. I docenti attraverso le relazioni degli esperti e l'interazione saranno introdotti, tra l'altro, all'utilizzo delle nuove risorse informative che il web offre a supporto della conservazione della memoria della Shoah e per la costruzione di percorsi didattici su di essa.
Abbiamo deciso con questa iniziativa di porre al centro la formazione dei formatori e intervenire capillarmente nelle scuole per raggiungere un numero sempre più ampio di giovani, che devono e vogliono conoscere questo passato che non passa e che anzi sempre più suscita attenzione.
L'immenso tormento e massacro di milioni di corpi umani nel cuore della civiltà occidentale ha ferito così profondamente l'Europa che, anche se sono passati circa settant'anni, non ci è concesso di smettere di ricordare e riflettere su questa cesura storica.
L'iniziativa, per la Fondazione Valenzi, rappresenta l'evento culminante e insieme conclusivo del mese di iniziative (21 Gennaio 2013 - 21 Febbraio 2013) organizzato, quest'anno, per la quarta edizione di "Memoriae".
Alcuni materiali didattici liberamente fruibili sono stati messi a disposizione sul sito istituzionale.
Si prevedono nel corso del seminario relazioni sulla storia, sulla letteratura, sul teatro e la Shoah e ricognizioni sul materiale didattico reperibile sul web, nonché sui viaggi della memoria.
L'iniziativa rappresenta un primo momento di un ampio progetto con il quale la Fondazione Valenzi vuole proporsi come riferimento stabile per i docenti, per le scuole secondarie e l'Università su questo e su altri temi di fondamentale interesse per la formazione dei giovani di Napoli e della Campania.
Per ulteriori informazioni : segreteria@fondazionevalenzi.it

(il Mezzogiorno, 20 febbraio 2013)


Ma esiste veramente un partito kasher?

La difficile ricerca di un partito kasher e i benefici dell'estraneità istituzionale

di Rav Riccardo Di Segni

Alla recente cerimonia annuale per il premio in memoria del Commissario Palatucci, presso la scuola di Polizia di Roma, le autorità dello Stato intervenute hanno sottolineato il forte impegno delle forze dell'ordine a tutela delle categorie esposte a rischio, citando le comunità ebraiche, le comunità di recente immigrazione, gli omosessuali. Mentre dobbiamo rinnovare la nostra gratitudine per quanto viene fatto per la nostra sicurezza, non possiamo non riflettere sugli accostamenti proposti, che esprimono la posizione che viene attribuita agli ebrei nella classificazione burocratica e politica e nell'immaginazione diretta e spontanea, pure animata da sentimenti di amicizia. Siamo considerati categorie a rischio sostanzialmente estranee. Eppure nella sala di accesso all'aula dove si svolgeva il convegno faceva bella mostra di sé un busto in onore del fondatore della scuola, Salvatore Ottolenghi, di evidenti origini ebraiche. Gli ebrei hanno fondato quella scuola, ma rimangono estranei.
Sono dati e percezioni che in questi giorni sono stati rinfocolati dalla campagna elettorale, dalle candidature di ebrei e dalle prese di posizione di noti esponenti politici. La domanda posta anche in termini molto polemici è se un ebreo possa candidarsi nell'ambito di entità politiche che per idealità, interpretazioni storiche, interessi o scelte di campo vanno contro alcuni temi cari alla sensibilità ebraica: dallo Stato di Israele all'antisemitismo, passando per i temi della libertà, della moralità, dell'onestà ecc.; fermo restando che proprio in campo ebraico vi sono visioni molto differenti su quali debbano essere i valori ebraici primari da difendere. Ma a parte la questione specifica delle candidature c'è il disagio che si prova nel dubbio della scelta per chi votare. Un disagio condiviso con la maggioranza degli italiani, ma che diventa ancora più forte se ai temi comuni si aggiunge la particolare sensibilità ebraica e l'attenzione che si vorrebbe per certe esigenze. Tutto questo non è una novità: vi sono stati lunghi periodi in cui molti elettori ebrei si rifugiavano in partitini (piccoli dal punto di vista numerico) e non si ritenevano soddisfatti dalle grande forze in campo.
   La novità di oggi sta forse nei toni che caratterizzano gli ultimi eventi, che sono le forti passioni in gioco, e il ruolo politico degli ebrei italiani, che è cresciuto a dismisura, ma che rischia di esplodere come una bolla. Così come è cambiato in qualche modo il ruolo di molti candidati ebrei. Vi sono sempre stati uomini e donne di origine ebraica attivi in politica in virtù delle loro capacità e non delle loro origini ebraiche, che qualcuno rivendicava con orgoglio o nascondeva per imbarazzo, ma non erano le origini il primo motivo -se non una lontana idealità- che li portava nella scena politica. Da qualche tempo prevale il modello del candidato ebreo in quanto tale, che ha certo tutti i diritti di proporsi o farsi proporre per portare il suo contributo alla crescita del Paese dove vive, e per rappresentare e difendere interessi ebraici, ma che per questa sua connotazione ebraica deve fare i conti con la forza politica in cui si trova, quale che essa sia, nella difficile opera di mettere a posto tutti i tasselli di un puzzle che invece non può essere mai composto per intero.
   L'occasione è buona per fare una riflessione più distaccata sul senso di tutto questo: la percezione esterna nei nostri confronti considerati spesso un corpo estraneo, e la nostra percezione nei confronti della realtà politica, che è una condizione tormentata in cui si vorrebbe stare dentro ma non si riesce mai a starci completamente, se non a costo di rinunce e compromessi. Ma il disagio continuo che ne deriva non dovremmo viverlo con fastidio. Perché in realtà è la nostra condizione esistenziale. A cominciare da uno dei nomi che portiamo, quello di "ebreo", in ebraico 'ivrì, un nome che nasce con il patriarca Abramo (Bereshit 14:13) e che è collegato con il nome dell'antenato 'Ever, ma del quale il midrash spiega il significato più profondo. 'Ever significa "oltre", "dall'altra parte" (di un fiume, di un confine ecc.) e non è soltanto un attributo di origine geografica, ma l'indicazione spirituale dell'essere dall'altra parte, di porsi in discussione con la realtà in cui si vive. Cosa che porta necessariamente all'insoddisfazione, alla critica, a vedere le cose in modo diverso. Un ebreo comincia a farlo andando (o non andando) in luoghi di culto diversi da quelli della maggioranza, continua a farlo, per esempio, quando deve scegliere tutto quello che può mangiare. E soprattutto continua a farlo quando comprende che la realtà che lo circonda (a cominciare da quella ebraica) non gli va bene. Con fatica, chi lo cerca, può trovare un prodotto alimentare kasher lamehadrin; ma è difficile che trovi un partito con questi attributi. Si può e si deve essere ottimi cittadini, ma non bisogna mai omologarsi spiritualmente. Da questo conflitto e questo stimolo continuo nascono probabilmente le grandi energie ebraiche di alcune personalità che sfondano nella scienza, nelle arti, nel pensiero; ma nel quotidiano è l'impegno critico di ognuno, strutturalmente educato a non accontentarsi della realtà, che deve emergere. Un ebreo realizzato nel mondo è paradossalmente un ebreo non realizzato, perché la sua energia critica si è fermata. Ciò che sembra un male e un tormento, l'estraneità istituzionale, è un bene essenziale. Cerchiamo di godercela e di capire che vuol dire. Soprattutto per definire meglio l'identità ebraica, che nelle turbolenze della attualità, viene caricata di etichette, che come tutte le etichette, valgono poco e durano ancora meno.

(Kolot, 19 febbraio 2013)


Droni israeliani sui Mondiali 2014

Per la sicurezza dei cieli in Brasile

Il Brasile ha acquistato due droni israeliani per sorvegliare le proprie frontiere e prevenire incidenti durante i prossimi grandi eventi sportivi previsti nel Paese sudamericano: i mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016. I due droni (aerei pilotati da terra) sono modelli 'Hermes 450' realizzati dall'azienda israeliana 'Elbit' e sono i primi in assoluto acquistati dall'aeronautica brasiliana.

(TGCOM24, 19 febbraio 2013)


I documenti sul genocidio nazista erano già noti da anni

Secondo lo storico Sacha Zala foto e testi erano accessibili all'Archivio federale svizzero dal 1973

BERNA - A fine gennaio documenti e immagini finora mai pubblicati sul genocidio perpetrato dai nazisti nei campi di concentramento hanno suscitato scalpore in Svizzera. Secondo lo storico Sacha Zala essi sono tuttavia già noti al suo gruppo di ricerca dal 1985.
Il 27 gennaio il telegiornale della televisione svizzeratedesca SRF, citando "documenti mai pubblicati", aveva affermato in un servizio che le autorità elvetiche erano già a conoscenza del genocidio nel 1942. La notizia era stata riportata dall'ats.
Zala, direttore del gruppo di ricerca Documenti diplomatici svizzeri, peraltro intervistato nel servizio, precisa ora che si sa già da tempo che le autorità erano al corrente dei fatti nel 1942. Egli nega inoltre che i documenti e le foto fossero "sconosciuti": essi sono liberamente accessibili all'Archivio federale svizzero dal 1973. Il suo team vi ha anche già fatto riferimento nel 1997 nel 14esimo volume della collana Documenti diplomatici svizzeri.
Il gruppo di lavoro ha pubblicato nel 2004 una documentazione elettronica sull'Olocausto sul sito dodis.ch. La divulgazione era stata decisa in occasione del primo Giorno della memoria per ricordare la Shoah nelle scuole elvetiche. Il giornale romando "Le Temps" ha pubblicato lo scorso anno due delle immagini.
Zala cita inoltre il libro "Bilder aus der Schweiz 1939-1945" di Katri Burri e Thomas Maissen, uscito nel 1997 dopo la pubblicazione del 14esimo volume dei Documenti diplomatici svizzeri. Il libro illustrato contiene molte delle immagini sul genocidio. Seguirono ulteriori pubblicazioni.
La grande risonanza mediale delle fotografie in occasione del Giorno della memoria alla fine del mese scorso dimostra però chiaramente che le foto di un massacro in Romania nel 1941 non sono pressoché note tra la popolazione. Ciò che a taluni pare nuovo è spesso già conosciuto da anni dagli esperti e appassionati di storia, afferma Zala.

(TicinOnline.ch, 19 febbraio 2013)


Bambino nel mirino del soldato. Polemica sull'esercito israeliano

L'immagine è stata pubblicata dal soldato Mor Ostrovski ed è stata rimossa sabato scorso. Indignazione in tutto il mondo

Nuovo scandalo per l'esercito israeliano, dopo la pubblicazione su Instagram di una fotografia che mostra la testa di un bambino palestinese nel mirino di un fucile. Stando a quanto riportato dal Guardian, l'immagine è stata pubblicata dal soldato Mor Ostrovski ed è stata rimossa sabato scorso.
Scattata in un villagio arabo della Cisgiordania, la fotografia è stata scovata e rilanciata inizialmente dal sito web Electronic Intifada.
Il blogger palestinese, Ali Abunimah, fondatore del sito, l'ha definita "semplicemente di cattivo gusto e disumana. Incarna l'idea che i bambini palestinesi sono un bersaglio". L'esercito israeliano ha fatto sapere di aver avviato un'indagine. Da parte sua, Ostrovski ha dichiarato alle forze armate di non aver scattato lui la fotografia, ma di averla trovata su internet.
Anche 'Breaking the Silence', un'organizzazione di veterani israeliani impegnata a far conoscere le condizioni di vita in Cisgiordania, ha condannato l'immagine: "Non mostra com'è l'occupazione, ma com'è il controllo militare sulla popolazione civile". Il Guardian ricorda che l'esercito israeliano è stato scosso da una serie di scandali fatti emergere proprio da siti come Electronic Intifada, uno dei più rigorsori sulle pubblicazioni da parte di soldati israeliani.

(La Stampa, 19 febbraio 2013)

*

Indignazione in tutto il mondo! Naturalmente! Che un bambino palestinese sia considerato da un israeiliano un bersaglio, anche se non viene realmente colpito, è certamente cosa riprovevole. Se invece sono degli israeliani, grandi e piccoli, ad essere presi di mira non soltanto come bersagli, ma realmente colpiti e uccisi, questo non è motivo di indignazione per il mondo. Ripresentiamo allora un video in cui si vede una giovane palestinese dal viso d’angelo che col sorriso sulle labbra racconta l’attentato che lei stessa ha contribuito a compiere, in cui i bersagli israeliani non sono stati soltanto presi di mira, ma realmente fatti saltare in aria, con intima gioia sua e di tanti altri palestinesi.
S'indigna il mondo per tutto questo? M.C.


«Si avvertiva che erano tutti contenti»




Ecco alcuni estratti da un'intervista con la terrorista liberata di Hamas, Ahlam Tamimi, andata in onda su Al-Aqsa TV il 12 luglio 2012.

Intervistatore: 16 sionisti sono stati uccisi [nell'attentato suicida che lei ha contribuito a compiere]. Era il suono dell'esplosione...? E' stato molto forte.

Ahlam Tamimi: Il mujahid Abdallah Barghouti ha fatto un lavoro perfetto suonando la chitarra [contenente la bomba], e i risultati hanno stupito tutti, grazie ad Allah.
[...]
In seguito, quando ho preso l'autobus, i palestinesi intorno alla Porta di Damasco [a Gerusalemme] erano tutti sorridenti. Si poteva avvertire che erano tutti contenti. Quando sono arrivata sul bus, nessuno sapeva che ero io che aveva guidato [l'attentatore suicida all'obiettivo] ... Mi sentivo abbastanza strana, perché avevo lasciato [l'attentatore] 'Izz Al-Din dietro, ma dentro il bus tutti si congratulavano l'un l'altro. Nemmeno si conoscevano fra di loro, ma si scambiavano complimenti.
[...]
Mentre ero seduta sul bus, l'autista ha acceso la radio. Ma prima, lasciate che vi dica l'aumento graduale del numero di vittime. Mentre ero sul bus e tutti si congratulavano l'uno con l'altro, hanno detto alla radio che c'era stato un attacco di martirio al ristorante Sbarro, e che tre persone erano rimaste uccise. Devo ammettere che ero un po' delusa, perché avevo sperato in un risultato più grande. Eppure, quando hanno detto "tre morti" ho detto: "Allah sia lodato."

Intervistatore: Era una stazione radio israeliana o palestinese?

Ahlam Tamimi: La stazione era in lingua sionista, e l'autista traduceva per i passeggeri.
[...]
Due minuti più tardi alla radio hanno detto che il numero era salito a cinque. Volevo nascondere il mio sorriso, ma proprio non ci sono riuscita. Allah sia lodato, è stato fantastico. Poiché il numero di morti continuava a crescere, i passeggeri applaudivano. Non sapevano nemmeno che c'ero io in mezzo a loro.
Sulla via del ritorno [a Ramallah], abbiamo passato un posto di blocco della polizia palestinese, e i poliziotti ridevano. Uno di loro infilò la testa e disse: "Congratulazioni a tutti noi". Erano tutti contenti.

(Memri TV, agosto 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Processori Intel a 10 nanometri, Israele si candida a farli

di Manolo De Agostini

Intel potrebbe realizzare i primi processori a 10 nanometri in Israele, probabilmente nella Fab 28 di Kiryat Gat. Quel sito produttivo è attualmente impegnato nella produzione di chip Ivy Bridge a 22 nanometri e a quanto pare salterà il ciclo a 14 nanometri. Per questo motivo è molto probabile che nei prossimi anni Intel avvierà l'aggiornamento dei macchinari per preparare gli impianti alla produzione di chip a 10 nanometri.
Non vi è ancora nulla di stabilito, ma il sito in Israele rappresenta senz'altro uno di quelli più importanti per l'azienda statunitense, con 8542 persone impiegate. Quest'anno Intel Israele ha più che raddoppiato le esportazioni, passando da 2,2 miliardi di dollari del 2011 a 4,6 miliardi di dollari. Questo è il frutto ovviamente della produzione delle soluzioni Ivy Bridge e per il futuro si prevede un graduale passaggio alle soluzioni Haswell, che condividono lo stesso processo.
Intel ha investito 10,5 miliardi in Israele nel decennio scorso, e 1,1 miliardi nel 2012. Ha ricevuto inoltre 1,3 miliardi di contributi governativi. Israele fa di tutto per tenersi stretta Intel, che ha pesato per il 20% sulle esportazioni hi-tech del 2012 e per il 10% su quelle industriali, che includono anche i diamanti. "Se Intel non avesse aumentato le esportazioni, il dato sull'hi-tech si sarebbe contratto del 10%", ha dichiarato Mooly Eden, presidente di Intel Israele.
L'azienda ha comunque anche un altro impianto produttivo, a Gerusalemme, e quattro centri di ricerca e sviluppo. Intel ha inoltre investito in 64 start-up israeliane dal 1996 e si prevede un ulteriore impegno da parte del braccio finanziario del colosso di Santa Clara, Intel Capital.
Il processo produttivo a 14 nanometri sarà per almeno due anni al centro dell'azione del produttore di CPU, a partire dal chip conosciuto con il nome in codice Broadwell. Attualmente la sua produzione è prevista in alcuni stabilimenti negli Stati Uniti e in Irlanda, ed è per questo che i dirigenti della sussidiaria israeliana guardano oltre, pur sapendo che i 22 nanometri non saranno accantonati a breve.
"La vita media di una tecnologia è da due a sei anni, quindi dobbiamo essere impegnati sulla prossima tecnologia, quella a 10 nanometri. Abbiamo bisogno di prendere una decisione con largo anticipo per essere in grado di aggiornare l'impianto. Per questo motivo le decisioni sui 10 nanometri dovranno essere prese quest'anno", ha affermato Maxine Fassberg, general manager di Intel Israele, a Reuters.
I 10 nanometri potrebbero rappresentare, secondo X-bit Labs, l'ultima tecnologia a impiegare "i metodi di produzione attuali", o la prima tecnologia a usare la litografia "extreme ultraviolet (EUV)". Inoltre proprio con questo processo produttivo Intel potrebbe avviare la transizione ai wafer da 450 millimetri, almeno in alcuni impianti, da cui però dovrebbe essere escluso quello di Kiryat Gat.

(Tom'sHardware, 19 febbraio 2013)


Turchia e Israele rompono le relazioni energetiche (e diplomatiche)

di Marco Cavallotti

Una commistione tra politica ed energia che che riguarda l'Europa molto da vicino. Nella giornata di venerdì, 15 febbraio, la Turchia ha posto il suo diniego all'avvio del progetto di esportazione di gas da Israele in Europa per motivazioni politiche. Come riportato dalla Trend, il Ministro dell'Energia della Turchia, Taner Yildiz, ha motivato la posizione risoluta di Ankara con le mancate scuse da parte di Israele per l'uccisione di nove cittadini turchi durante l'attacco alla Freedom Flottilla nel 2010. Il Ministro Yildiz ha posto come condicio sine qua per il rinnovo della cooperazione energetica con Tel Aviv anche l'erogazione di compensazioni alle famiglie delle vittime turche dell'attacco militare al cargo navale -che per i turchi trasportava aiuti in Palestina, mentre secondo gli israeliani riforniva di armi i terroristi palestinesi- e l'immediato sgombero da parte di Israele della Striscia di Gaza.
  Un preludio al dissidio tra i due Paesi si è avuto nel Settembre 2012, quando il Premier turco, Tajip Erdogan, ha richiamato in Patria l'Ambasciatore a Tel Aviv, ed ha posto i rapporti diplomatici con Israele su un secondo piano rispetto a quelli con altri Paesi del Medioriente.
  Tuttavia, l'inasprimento dei rapporti turco-israeliani è dettato anche dalla concorrenza tra i due Paesi per garantire all'Unione Europea fonti di approvvigionamento di gas alternative a quelle della Russia.
  Per diminuire la dipendenza da Mosca -da cui l'UE dipende per il 40% del fabbisogno continentale di gas- la Commissione Europea ha progettato l'importazione diretta di oro blu da fonti alternative, Azerbaijan e Turkmenistan, mediante la costruzione di un sistema di gasdotti che transitano attraverso la Turchia.
  Negli ultimi mesi del 2012, la scoperta di un cospicuo giacimento di gas al largo delle coste israeliane del Mar Mediterraneo ha però reso Tel Aviv una possibile fonte di approvvigionamento di gas alternativa alla Russia, che avrebbe finito per ridimensionare l'importanza della Turchia per l'UE.
  A giocare a favore della Turchia sono i progressi registrati nel progetti di importazione diretta del gas dall'Azerbaijan. In partnership con le Autorità azere, il Governo turco ha avviato la realizzazione del Gasdotto Trans Anatolico -TANAP: conduttura concepita per veicolare il gas proveniente dall'Azerbaijan dalla Georgia alla Turchia Occidentale.
  Da qui, due condutture, il Nabucco e il Gasdotto Trans Adriatico -TAP- sono state progettate dalla Commissione Europea per trasportare il gas azero rispettivamente in Austria attraverso Bulgaria, Romania e Ungheria, e in Italia attraverso Grecia e Albania.
  Al contrario, il trasporto del gas israeliano in Europa è ancora privo di un progetto organico e ben definito. Oltre al varo di una partnership tra Israele, Cipro e Grecia per il trasporto diretto del gas in UE - da cui non è derivato ancora nessun piano concreto- Tel Aviv ha preventivato l'invio del carburante estratto dal Mar Mediterraneo in Europa attraverso la Turchia, mediante la costruzione di un apposito gasdotto dalle coste israeliane al territorio turco.
  Il congelamento delle relazioni diplomatiche ed energetiche tra Ankara e Tel Aviv ha però sospeso la realizzazione del progetto, lasciando insoluta la questione dell'esportazione del gas israeliano verso il Vecchio Continente.

(il legno storto, 19 febbraio 2013)


L'ex premier israeliano, che dal profondo del coma "ragiona" ancora

di Grazia Musumeci

  
Ariel Sharon cadde in coma sette anni fa e da allora "dorme" in una località segreta di Israele. L'ex primo ministro è ormai dato per morto da tempo, relegato su un letto, immobile, incosciente … eppure il suo caso sta facendo ribollire i più austeri cenacoli medici del mondo. Sharon infatti mostra ancora attività cerebrale viva.
E' possibile che esista un quarto stadio di coma in cui il cervello continua a comunicare e a governare quel che resta dell'organismo rifiutandosi ostinatamente di morire? Nel caso di Sharon pare proprio che sia così e alcuni test eseguiti su questa scia dal professor Martin Monti lo hanno confermato, seppure con alcuni limiti. Lo studioso ha sottoposto 54 persone in stato comatoso a due esercizi diversi, con i quali dovevano immaginare mentalmente un luogo a loro conosciuto e un'attività sportiva e muoversi all'interno di tale immaginazione.
Dell'intero campione almeno 5 persone hanno risposto alle attività in modo attivo, quasi lucido! Alcuni hanno saputo anche comunicare con "sì" o "no" le loro sensazioni. Purtroppo nessuno dei cinque si è mai risvegliato, nessuno di loro ha abbattuto la barriera del coma che li imprigionava ma hanno dimostrato che dentro quella "prigione" vivono e forse a modo loro "ragionano". A questo punto si verifica la spaccatura tra coloro che sostengono che questa forma di vitalità vada stimolata e coloro che credono che si tratti solo di riflessi cerebrali che non portano a nulla. Da verificare certamente entrambe.

(benessere.guidone.it, 19 febbraio 2013)


Una delegazione egiziana visiterà Israele per discutere del blocco di Gaza

di Luca Pistone

Una delegazione egiziana si recherà in Israele per discutere su un cessate il fuoco con Hamas e restrizioni alle frontiere.

Lo rivela l'agenzia di notizie palestinese Ma'an, che cita un funzionario della sicurezza egiziano rimasto anonimo, secondo il quale la rappresentanza chiederà inoltre al governo israeliano di permettere l'ingresso a Gaza di beni commerciali attraverso il valico di Rafah, al confine con l'Egitto.
Il presidente egiziano Mohammad Mursi ha già tenuto colloqui con Israele tramite il servizio di sicurezza nazionale dell'Egitto, ha aggiunto il funzionario.
Israele ha indurito il blocco su Gaza dopo che Hamas ha preso il potere nel 2007. Nella Striscia il traffico via tunnel con l'Egitto è ormai paralizzato a causa degli scontri dello scorso 5 agosto tra forze di sicurezza egiziane e militanti jihadisti nella penisola del Sinai. Gaza non dispone attualmente né aeroporti né porti e la sua economia è fortemente dipendente dai finanziamenti esteri e dal contrabbando attraverso i tunnel transfrontalieri.
Da quando l'Egitto ha chiuso alcuni di questi tunnel per il contrabbando - ultimamente inondandoli - i prezzi sono saliti alle stelle nella piccola enclave costiera. Prima dell'intervento militare egiziano il trasporto di una tonnellata di cemento attraverso un tunnel costava in media 15 dollari. Oggi, il doppio. Hamas riferisce che le importazioni mensili di materiali da costruzione sono diminuite di circa il 45%. In calo (31%) anche quelle dei generi alimentari di base.

(Alias, 19 febbraio 2013)


"Gli ebrei nell'Italia centro settentrionale fra tardo Medioevo ed età moderna"

Incontro del Centro Studi "Renato Bordone" presso l'Archivio Storico di Asti

Riprende l'attività del Centro Studi "Renato Bordone" sui Lombardi, sul credito e sulla banca, a un mese circa dalla chiusura della mostra dedicata alla storia della Previdenza e della Mutualità. Al centro degli interessi del Centro Studi astigiano - attivo dal 1996 e connotato da una precisa riconoscibilità sia sul territorio sia in ambito internazionale - saranno ancora una volta ricerche di carattere sociale ed economico.
Venerdì 22 febbraio, presso l'Archivio Storico del Comune di Asti, alle ore 17, Marina Romani dell'Università Bocconi di Milano animerà una conversazione sul tema "Gli ebrei nell'Italia centro settentrionale fra tardo Medioevo ed età moderna (secoli XV-XVIII)". Al suo fianco due studiose già borsiste del Centro "Bordone", Rachele Scuro e Miriam Davide. Marina Romani è docente di storia economica alla Università Bocconi di Milano, presso la quale ha conseguito il dottorato nel 1991 e opera dal 2002. Rachele Scuro è dottore di ricerca in Storia e Archeologia del Medioevo, Istituzioni e Archivi (Università degli Studi di Siena) e si occupa di storia degli ebrei in Italia, specialmente nell'area veneta fra tardo Medioevo e primo Rinascimento. Miriam Davide ha conseguito il Dottorato di ricerca presso l'Università di Trieste con una tesi intitolata "La donna come soggetto economico nel mondo cristiano e nel mondo ebraico".
L'incontro presenterà alcuni dei più recenti e autorevoli risultati degli studi sulla presenza ebraica nell'Italia settentrionale e centrale editi sul numero monografico della rivista "Cheiron" (anno 2012), curata appunto da Marina Romani e da Elisabetta Traniello. "Cheiron", la cui redazione è presso l'Istituto di Storia Moderna e Contemporanea dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, è nata nel 1982. Pubblicata dall'editore romano Bulzoni e diretta da Cesare Mozzarelli e Marzio A. Romani, costituisce un autorevole contenitore di materiali di aggiornamento storiografico.

(ATnews, 18 febbraio 2013)


il Parco Nazionale di Avdat riapre al pubblico dopo tre anni di lavori

Galleria
Il Parco Nazionale di Avdat, nel deserto israeliano del Negev, tornerà ad essere visitabile dai turisti. Dopo tre anni di restauri, resi necessari dai gravi danneggiamenti vandalici dell'ottobre 2009, questo sito riconosciuto Patrimonio mondiale dell'Unesco riaprirà le sue porte.
Un investimento di 2 milioni di dollari ha permesso di riparare i danni, di ripristinare le pietre distrutte e le colonne della chiesa bizantina, di rimuovere i graffiti dall'altare e dalle presse per il vino israeliane.
Il Parco Nazionale di Avdat si trova lungo l'antica rotta delle spezie e dei Nabatei ed è un popolare punto di sosta per i pellegrini cristiani e i turisti in viaggio verso Eilat. L'area protetta comprende sentieri, sorgenti e boschi abitati da una ricca fauna selvatica. L'antica Avdat nabatea includeva un quartiere residenziale, un campo militare e diversi recinti in cui erano tenuti cammelli, pecore e capre. Anche i cavalli erano allevati e divennero presto famosi come cavalli da corsa. I Romani poi conquistarono il regno nabateo e Avdat cadde in declino.
Stando ai commenti di chi ha visitato l'Ein Avdat National Park merita davvero una visita, ma con la giusta attrezzatura: scarpe da trekking, acqua e macchina fotografica.

(Travelblog.it, 18 febbraio 2013)


La Toscana ebraica alla Borsa del turismo

Itinerari ebraici: la loro capacità di combinare la visita di luoghi e monumenti con l'incontro con persone, storie, ma anche sapori, nella miglior versione del turismo esperienziale. L'idea di proporli come nuovo polo di attrazione turistica ha spinto la Regione Toscana a organizzarne una presentazione alla Borsa internazionale del turismo (Bit), che ha chiuso i battenti ieri a Milano. A prendere parte all'incontro (nella foto) è stata la presidente della Comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli, che ha presentato le ricchezze che la regione ha da offrire, e non soltanto nel suo capoluogo. "Penso che portare i visitatori nella nostra sinagoga, e allo stesso tempo condividere con loro i ricordi, dai nostri giochi da bambini nel matroneo, alle mani piene di fango e catrame per salvare i libri durante l'alluvione, rappresenti un grande valore aggiunto, perché diventa un modo per entrare in contatto con un luogo vivo, fatto non solo di passato ma anche di presente, e di futuro".
Cividalli ha illustrato i possibili itinerari, coadiuvata da Giuseppe Burschtein, che ha realizzato la presentazione multimediale: le possibili località da coinvolgere, gli spunti di riflessione da proporre, dall'incontro fra le culture alla memoria, l'offerta enogastronomica.
Tanti i progetti in cantiere già nel prossimo futuro, tra cui un incontro con gli operatori turistici in programma nel capoluogo toscano il 6 marzo e la partecipazione della Comunità all'iniziativa della "Notte blu di Firenze - 27 ore dedicate all'Europa" in programma il prossimo 11 e 12 maggio. "Il mio auspicio è arrivare a una rete di itinerari ebraici su tutta Italia, sotto l'egida dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane" il commento a margine dell'iniziativa del presidente Cividalli. Nel pomeriggio, nella Sala Jarach della sinagoga centrale di Milano, concerto "Tradizioni in cammino: musiche dalla Toscana ebraica" a cura di Enrico Fink, musicista e assessore alla Cultura della Comunità di Firenze, cui hanno preso parte anche Arlo Bigazzi, Marna Fumarola, Mino Cavallo e Giampiero Bigazzi. A portare il Saluto della Comunità milanese il vicepresidente Daniele Cohen.

(Notiziario Ucei, 18 febbraio 2013)


La neo-deputata che ha insegnato Talmud alla Kenesset

Uno dei neo-eletti deputati del partito guidato da Yair Lapid ha utilizzato il suo primo intervento al parlamento israeliano per rivolgere un toccante invito allo studio del Talmud, come fondamento della cultura ebraica per tutti gli ebrei, laici e religiosi. Inevitabili le polemiche da parte ultra-ortodossa. Di seguito alcune riflessioni.

di Paolo Sciunnach

  
Ruth Calderon
Sorprendente intervento, quello di Ruth Calderon, come membro del parlamento israeliano, ha parlato con il cuore. Lo scopo dell'intervento, apprezzato, è stato effettivamente quello di far leva sulla rinascita culturale della società israeliana post sionista, rinascita assolutamente necessaria per lo sviluppo di un'identità culturale nazionale che sembra esser venuta meno dopo l'affievolirsi dei vecchi valori forti del sionismo politico.
  Sono sicuramente convinto che la Torah (Scritta e Orale) sia il patrimonio comune di tutti gli ebrei (uomini e donne). Sono convinto che ogni ebreo debba avere la possibilità di accedere alle fonti e poter studiare Torah in modo profondo, intellettualmente e spiritualmente.
  Attendiamo il giorno in cui la Torah sarà scolpita nel cuore di ogni singolo ebreo
«Questo è il patto che stabilirò con la casa d'Israele dopo quei giorni», dice l'Eterno: «Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non insegneranno più ciascuno il proprio vicino né ciascuno il proprio fratello, dicendo: "Conoscete l'Eterno!", perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande», dice l'Eterno. «Poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato». (Geremia 31:33-34)
.
  Sono convinto che anche il mondo accademico non necessariamente ortodosso debba promuovere lo studio della Torah e della letteratura talmudica all'interno della società israeliana.
  Ma ho alcune osservazioni al riguardo:
  Quanto, questo studio "accademico" della Torah, è finalizzato ad avvicinare la società secolarizzata ad una dimensione spirituale in senso tradizionale (Tshuvah)? Esiste un approccio "secolare" allo studio della Torah?
  Esistono due approcci allo studio della Torah:
  - l'approccio "storico" che è un approccio "distaccato", dove il testo viene esaminato attraverso il contesto storico nel quale è stato scritto. Il testo è affrontato con obiettivo distacco, al fine di averne una conoscenza oggettiva.
  - l'approccio "midrashico", diremmo quasi "esistenziale" si basa sul coinvolgimento personale dell'interprete nell'evento della comprensione. L'interprete è interessato all'insegnamento del testo come guida di vita, di vita propriamente ebraica: Mitzvot.
  L'ermeneutica ebraica delle Scritture si è espressa in forme diverse, peraltro, tutte convergenti nel fine che i Maestri della tradizione orale volevano conseguire, cioè il dispiegamento continuo del testo grazie all'elaborazione esegetica e all'approfondimento del senso intimo delle Scritture, per portare incessantemente la luce della rivelazione nella vita dell'ebreo.
  Non vorrei che si rischiasse di "naturalizzare", "secolarizzare" la metodologia interpretativa tradizionale della letteratura rabbinica stessa, e quindi "de-responsabilizzare" il lettore rispetto al testo stesso.
  Oggi, molti singoli individui reclamano il diritto di esercitare il loro "buon senso" nel determinare cosa debba essere l'ebraismo contemporaneo, benché essi non studino la Torah e il Talmud in modo sistematico. Questi "posqim" autodidatti ammettono le carenze della loro formazione spirituale (pur avendo padronanza per quanto concerne testi e fonti), tuttavia insistono sul loro diritto di decidere sulla base del "buon senso" questioni religiose fondamentali.
  Il sistema interpretativo tipicamente rabbinico possiede una sua propria metodologia, un modo di analisi ermeneutica suo proprio. La letteratura rabbinica possiede un suo proprio approccio epistemologico che può essere compreso unicamente da un Chacham in grado di padroneggiare sia la metodologia, sia il vasto materiale. Essa possiede il suo proprio logos, un suo metodo di pensiero e costituisce un sistema indipendente. La Halachà non necessita solo del "buon senso comune" così come non lo esigono i sistemi scientifici concettualizzati. Quando la gente parla di una "interpretazione insensata, congelata o empirica", mancando di una conoscenza della metodologia specifica, che può essere acquisita solamente attraverso vasti studi, si limita ad applicare ragionamenti basati sul "senso comune". Questo approccio non dovrebbe essere tenuto in seria considerazione.
  La Torah (Scritta e Orale) è di tutti gli ebrei, ma questa deve essere sempre Torah di vita, vita vissuta nella tradizionale osservanza della Halachà. L'esistenza ebraica non è solo appartenenza ad un popolo o al suo patrimonio storico-culturale, ma anzitutto il vivere nell'ordine spirituale dell'osservanza delle Mitzvot. Non è soltanto una certa profondità intellettuale e morale degli individui, ma è anzitutto coinvolgimento e partecipazione alla vita ebraica nel senso più tradizionale. Il significato dell'esistenza religiosa ebraica è fondamentale. Adattarlo alla cornice delle predilezioni intellettuali personali equivale a distorcerlo.
  Lo studio autentico della Torah oltrepassa il contenuto di tutte le filosofie che pretendono di descriverlo. Noi non lo abbiamo inventato. Lo abbiamo ricevuto in eredità da D-o stesso. Possiamo accettarlo o rifiutarlo, ma non dovremmo deformarlo, "secolarizzarlo".
  Riguardo poi al ruolo della donna ebrea in merito allo studio della Torah e al suo insegnamento: la tradizione ebraica è piena di grandi donne che si sono impegnate personalmente nello studio della Torah (Scritta e anche Orale) e al suo insegnamento. Tuttavia, i ruoli tra uomini e donne, anche in merito allo studio sono differenti, ma assolutamente complementari.
  Nei tempi passati i Maestri non usavano insegnare la Torah Orale alle donne, non era necessario. Ma al giorno d'oggi è comunemente diffuso (in ambito strettamente ortodosso) il fatto che le donne studino la Torah Scritta e Orale e la insegnino. Tuttavia le donne non usano generalmnte studiare sistematicamente la complessità della logica talmudica. A questo proposito si veda Torah Temimah su Devarim 11, 15 dove si precisa che dal momento che il Talmud afferma che "D-o ha dotato la donna di grande capacità intuitiva, superiore all'uomo" (Niddah 45b), se le donne studiassero la Ghemarah senza però esserne tenute, quindi senza una grande esperienza e conoscenza alle spalle (come prerequisito), la loro grande intuitività potrebbe portarle a conclusioni errate in merito alla logica talmudica, come è scritto: "Senza conoscenza non c'è comprensione" (Avoth 3, 17). Si veda anche Igheroth Moshe, Yoreh Deah 3, 87.
  Una donna che desideri studiare la Torah Orale in modo da approfondire la Halachah è tenuta a farlo. E la sua ricompensa equivale a colui che osserva una Mitzvah anche se ne è esente. Su questa base ad una donna è consentito studiare tutte le parti della Torah Orale che sono necessarie per comprendere un aspetto di interesse specifico. Si veda a questo proposito la Tosefta, Kelim, Baba Kamah 14, 9; Pesachim 62b dove si parla di Bruria la moglie di Rabbi Meir che insegnava agli studenti del marito; il Chullin 109b dove si narra delle discussioni Halachike tra Yalta (Yentl) e suo marito Rabbi Nachman; i responsa del Marshal 3 dove si narra che la Rebbetzin Miriam, la nonna del Marshal ha insegnato agli studenti del marito. Per non parlare della contemporanea Nechamah Leibovitch.
  La storia ebraica abbonda di donne che hanno eccelso nello studio e nell'insegnamento della Torah.
  Una donna non può avere il ruolo di Rav o Dayan, ma se è particolarmente esperta in un campo specifico della Halachah può esprimere il suo responso in merito ad una questione di sua competenza. A questo proposito si veda lo Shulchan Aruch, Choshen Mishpath 7, 4 che si basa sul Rambam Hilchoth Melachim 1, 5 dove si precisa che solo l'uomo ha la possibilità di assumere la carica pubblica di Rav o Dayan, dal momento che solo l'uomo è tenuto alla Mitzvah dello studio della Torah per se stessa. In Yevamoth 45b ci si chiede su quale base allora Deborah, all'epoca dei Giudici, ha svolto il ruolo di Dayan per tutto il popolo ebraico. Si danno due risposte: Deborah in realtà insegnava ai Giudici uomini come giudicare. E si trattava di una situazione particolare basata su una profezia esplicita. In Baba Kama 15a c'è un'altra spiegazione: se il popolo accetta volontariamente una donna come giudice, la donna può esercitare pubblicamente la funzione di giudice. La stessa questione è posta in merito alla capacità di testimoniare difronte ad un tribunale, si veda Choshen Mishpath 35, 14.

Il video (in ebraico con sottotitoli in inglese)

(Kolot, 18 febbraio 2013)


Un quartetto che arriva da Gerusalemme

Vincitore di vari premi internazionali, il gruppo suonerà pezzi di Mozart, Wolf e Smetana

Il Quartetto Jerusalem
Lunedì 18 febbraio alle ore 20.30 Ferrara Musica presenta il Quartetto Jerusalem, giovane e affermata formazione cameristica, alla sua seconda apparizione sul palcoscenico del Comunale. L'autorevole critico musicale del Times ha scritto a proposito dell'ensemble: "Passione, precisione, calore, un'alchimia perfetta: sono queste le caratteristiche dell'eccellente quartetto d'archi israeliano".
Regolarmente presente sui più importanti palcoscenici del mondo, il quartetto Jerusalem, costituito dai violinisti Alexander Pavlovsky e Sergei Bresler, dal violista Ori Kam e dal violoncellista Kyril Zlotnikov unisce la grande scuola d'archi russa, la cui influenza è molto significativa nel ricco universo musicale israeliano, a un approccio interpretativo dinamico e fresco. Grazie a questa preziosa miscela l'ensemble ha ottenuto fin dai suoi esordi il prestigioso premio Borletti-Buitoni e ha partecipato al progetto Bbc New generation artists. Negli ultimi anni il quartetto ha ottenuto un sempre crescente apprezzamento del pubblico e della critica sia in Europa che negli Stati Uniti. I suoi album hanno vinto premi importanti come Bbc Music magazine award, Gramophone, Diapason d'Or ed Echo.
Di grande fascino il programma proposto a Ferrara con pagine di grandi compositori di origine mitteleuropea. Si inizia con l'umoristica "Serenata italiana per quartetto d'archi in sol maggiore" scritta nel 1887 dal compositore austriaco Hugo Wolf e ispirata, pare, a una novella di Eichendorff che racconta le avventure di un giovane violinista, alcune delle quali si svolgono in Italia. Qui a un certo punto un'orchestra suona una serenata italiana, che si rivela alla fine essenziale nello svolgimento della vicenda.
Segue il "Quartetto n. 22 in si bemolle maggiore K 589? di Wolfgang Amadeus Mozart. Composto nel 1790, penultimo anno di vita del grande compositore salisburghese, l'opera fu dedicata al re di Prussia Federico Guglielmo II ed è scritta in uno stile che ricorda i magnifici quartetti dedicati da Mozart a Haydn, a sua volta grande maestro del genere.
Chiude il programma il "Quartetto in mi minore n. 1? del compositore boemo Bed?ich Smetana. Importante esponente della scuola nazionale boema, nella dimensione più intima della musica da camera Smetana trova la sede più adatta all'espressione di stati d'animo personali. Il frontespizio della partitura del quartetto reca il titolo "Z mého Zivota" (Dalla mia vita), rivelando un programma autobiografico: il primo movimento evoca l'amore per l'arte provato. Il secondo, "à la Polka", riporta il musicista alla sua giovanile passione per la danza. Il terzo dipinge l'amore per la moglie. L'ultimo movimento esprime la forza della musica nazionale e la gioia per il crescente successo della sua musica, fino al brutale avvento di una grave malattia che lo condusse quasi alla sordità. Il fischio insopportabile del primo violino rispecchia l'esperienza diretta dell'autore, appena prima di perdere l'udito, e viene a interrompere brutalmente il vortice gioioso del movimento finale. Gli ultimi accordi tuttavia lasciano aperta la porta a una vaga speranza.

(estense.com, 18 febbraio 2013)


Noa classic. Da Israele all'Italia

Il concerto attuale è un mix delle ultime fatiche discografiche e precisamente dell' "Israel Songbook", album registrato con la Jerusalem Orchestra e ancora inedito in Italia.

PALERMO - "Classic" è il nome del nuovo concerto che l'artista israeliana ha portato in questi ultimi mesi in tour in tutta Europa e che ora approda in Italia in Sicilia per la prima volta nei concerti di Catania del 19 febbraio e del 20 a Palermo. Il concerto attuale è un mix delle ultime fatiche discografiche e precisamente dell' "Israel Songbook", album registrato con la Jerusalem Orchestra e ancora inedito in Italia. In quest'ultmo disco, Noa esegue con orchestra sinfonica alcune delle canzoni più popolari della tradizione ebraico unitamente a nuove composizioni, di cui una "Chicken Coop Aria" riecheggia i toni del melodramma italiano. Questa parte del concerto unitamente ad una selezione delle canzoni più belle scritte da Noa nell'arco della sua più che ventennale carriera è stata arrangiata per quartetto d'archi da Gil Dor, storico collaboratore dell'artista, presente assieme al Solis String Quartet al concerto dal vivo.
Non potevano mancare anche alcuni brani di "Noapolis", disco che tanta fortuna ha portato a Noa al punto da essere stata definita la più grande cantante "napoletana" sulla scena musicale attuale. Quindi da " Era De Maggio" a "Tammurriata Nera", Noa offrirà al pubblico siciliano, per la prima volta, la sua personale versione di alcune delle canzoni più celebri della tradizione napoletana.
"Noa Classic" parte dalla Sicilia e dalle due città siciliane, come la carriera internazionale della straordinaria cantante-percussionista israeliana. E' un omaggio che Noa intende fare alla Sicilia e al suo pubblico a suggello di un legame fortissimo che la lega alla nostra Isola, non solo sul piano musicale e artistico,se si pensa che da molti anni è sempre in Sicilia che Noa trascorre le sue vacanze insieme al marito pediatra e ai suoi tre figli.

(LiveSicilia, 18 febbraio 2013)


Si apre il processo per frode a carico di Lieberman


Si è aperto in un tribunale di Gerusalemme il processo a carico dell'ex ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, accusato di frode e abuso di ufficio.
Secondo la procura, il leader della destra radicale avrebbe favorito la carriera diplomatica dell'ex ambasciatore israeliano in Bielorussia, per ripagarlo di alcune informazioni riservate su un'inchiesta della polizia di Minsk.
Secondo l'analista Moshe Negbi, se Lieberman verrà condannato a più di tre mesi di carcere, per sette anni non potrà far parte di un governo e nemmeno del parlamento: "Sarebbe la fine della sua carriera politica".
I reati di frode e abuso di ufficio sono passibili di pene detentive fino a tre anni. Lieberman si era dimesso a dicembre, dicendo di voler arrivare presto a sentenza e poter così dimostrare la propria innocenza.
Il ministero degli Esteri è tutt'ora vacante. Il premier Benjamin Netanyahu, da poco rieletto, spera che l'alleato Lieberman possa tornare a occuparlo, una volta scagionato dalle accuse.

(euronews, 17 febbraio 2013)


L'Egitto blocca i tunnel di Gaza. Hamas protesta

Condanna di un dirigente: usata l'acqua per metterli fuori uso

GAZA, 17 feb - L'Egitto sta di fatto rafforzando ''l'assedio'' alla striscia di Gaza: la denuncia e' giunta da un dirigente di Hamas, Khalil al-Haye, che commentava la recente chiusura da parte dell'esercito egiziano di tunnel di contrabbando scavati sotto la frontiera fra il Sinai e Gaza.
''Quei tunnel hanno rappresentato l'unica opzione per il popolo palestinese per misurarsi con l'assedio'' ha aggiunto, condannando la pratica utilizzata dall'esercito egiziano di metterli fuori uso inondandoli di acqua.

(ANSA, 17 febbraio 2013)


Milano - In Fiera protesta contro Israele. Arriva la polizia

«Siamo abituati a questo genere di proteste, si ripetono ogni anno, questa volta devo dire che quelli che sono venuti qui con i volantini erano meno del solito».

Tzvi Lotan, consigliere per gli affari turistici dell'Ambasciata di Israele, davanti al cui stand alla Bit c'è stata una piccola manifestazione di protesta, non sembra stupito per l'accaduto. Un gruppetto di giovani ha urlato alcuni slogan e poi ha lanciato dei volantini firmati Freepalestine, Rete solidarietà con la Palestina. La polizia è subito intervenuta per allontanarli. Alcuni volantini sono stati trovati anche in altri punti della Fiera, dove è in corso la Borsa Internazionale del turismo.
A poca distanza dello stand israeliano c'è quello della Palestina, dove è arrivata l'eco della veloce protesta. «Ognuno può manifestare come crede opportuno, ma la politica tocca ai politici - ha detto Magdouline Salameh, responsabile per l'Italia del ministero del turismo palestinese - Noi vogliamo la pace e lavoriamo per fare propaganda al turismo che per forza di cose è molto legato a quello del resto dell'area».

(il Giornale, 17 febbraio 2013)


Fumetti: a Bologna DafDaf, l'ebraismo illustrato per piccoli e grandi lettori

A Bologna, in questa stagione, gli illustratori sono protagonisti. Dalle mostre di BilBolBul alla Children Book Fair la citta' sara' per oltre un mese la capitale e il punto d'incontro di tutti coloro che guardano con interesse al mondo del fumetto, dell'illustrazione, dell'arte dedicata sia al pubblico adulto che alla gioventu' e all'infanzia. Proprio in omaggio alla ventata di creativita' che sta per investire la citta', al Museo Ebraico apre i battenti martedi' 19 febbraio la mostra "DafDaf, l'ebraismo illustrato per piccoli e grandi lettori".
Organizzata in collaborazione con BilBolBul e Children Book Fair, la mostra raccoglie per la prima volta i materiali donati da decine di grandi illustratori che consentono ogni mese alla redazione giornalistica dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane di realizzare il giornale per bambini DafDaf.
Molti giovanissimi, ma anche molte grandi firme fra quelle degli artisti che espongono le loro opere. A cominciare da quella di Vittorio Giardino, l'autore bolognese vecchio amico di DafDaf e protagonista quest'anno a BilBolBul con una grande rassegna personale.
''Si tratta - spiega Guido Vitale, giornalista e coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell'Unione delle comunita' ebraiche - dell'occasione di condividere con il grande pubblico il patrimonio di valori e di cultura della piu' antica realta' ebraica della Diaspora. E soprattutto di riaffermare che gli ebrei, in Italia da due millenni, piccolissima minoranza nei numeri e elemento indispensabile nella societa' plurale, non hanno solo una lunga e sofferta storia alle spalle, ma anche un futuro da vivere per le nuove generazioni''. ''La mostra - aggiunge - e' anche l'occasione di festeggiare e di ringraziare gli oltre 120 generosi collaboratori, tutti volontari non retribuiti - che ci donano ogni giorno con grande slancio le loro idee e la la loro creativita'''.

(Adnkronos, 17 febbraio 2013)


Netanyahu, "lasciate lavorare in pace servizi segreti"

GERUSALEMME, 17 feb.- - Lasciate lavorare in pace i servizi segreti. Con questo messaggio il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha cercato di mettere a tacere il polverone suscitato in Israele dalle rivelazione sul 'prigioniero x', il detenuto piu' segreto delle carceri israeliane: un australiano con passaporto israleliano, legato al Mossad e morto in un carcere di massima sicurezza nel dicembre 2011. Sul caso, su cui per mesi il governo israeliano aveva steso la pesante cortina della censura, sta facendo luce proprio in questi giorni la stampa internazionale e di riflesso quella israeliana. Ma Netanyahu ha messo in guardia.
"Chiedo a tutti voi di lasciare che le forze di sicurezza continuino a lavorare in pace in modo che possiamo continuare a vivere in pace e in sicurezza in Israele". Il premier, che non aveva mai parlato finora dell'arresto e della morte del detenuto, ha voluto sottolineare che Israele e' "uno stato democratico esemplare che protegge i diritti delle persone sotto inchiesta"; ma ha aggiunto che l'esposizione in pubblico delle attivita' di intelligence puo' "danneggiare gravemente" la sicurezza del Paese. "Una sovraesposizione delle attivita' di sicurezza e intelligence puo' danneggiare, e danneggiare malamente, la sicurezza; e questo e' il motivo per cui in ogni dibattito non dobbiamo sottovalutare l'interesse della sicurezza: nella realta' in cui vive Israele, questo deve essere un interesse centrale".

(AGI, 17 febbraio 2013)


La protesta dei Comunisti Italiani contro gli israeliani a Sanremo è proprio strana

di Pietro Monsurrò

Su Libertiamo commento l'ultima boutade dei Comunisti Italiani, che a questa tornata elettorale sono federati in Rivoluzione Civile: protestano perché a Sanremo invitano cittadini israeliani.
Il motivo? Beh, nelle parole del partito, la loro presenza "serve ad avvalorare una presunta pluralità e l'idea di un Paese democratico dove tutto e tutti sono ammessi."
Che strano.
Avete mai sentito di un cantante russo che viene contestato per protestare contro le stragi di civili in Cecenia?
Avete mai letto di una modella iraniana a cui si chiede di non sfilare per protestare contro la repressione a Tehran?
Avete mai sentito di un atleta siriano escluso da una competizione per protesta contro i 60.000 morti civili ammazzati dal regime di Assad?
Avete mai sentito di un pittore francese che suscita scandalo ad una mostra per via della presenza di truppe francesi nell'Africa subsahariana?
La fissazione irrazionale con Israele non ha nulla a che fare con la gravità della situazione in Palestina, visto che c'è molto di peggio anche solo ai suoi confini. Non c'è dubbio che, se c'è sinceramente da scandalizzarsi per le sorti dei civili, ci sono decine di situazioni molto peggiori.
Quindi c'è qualcosa di Israele che attira un moralismo ipocrita, unilaterale, irragionevole, opportunistico, aprioristico, che non si sveglia mai di fronte a fatti ben più gravi che avvengono in continuazione altrove nel mondo.
Che hanno di speciale gli israeliani per essere trattati diversamente?

(Linkiesta, 16 febbraio 2013)


La ricetta di Gerusalemme per il mercato italiano

dI Andrea Guerra

Tre milioni di turisti da tutto il mondo, un trend in picchiata verso l'alto del 25 per cento. Sono questi i numeri con cui la città di Gerusalemme chiude il 2012 e si appresta ad affrontare un 2013 ricco di sfide.

Un occhio di riguardo per il mercato italiano, uno dei più forti per la destinazione, che lo scorso anno è cresciuto fino a chiudere a quota più 12 per cento "e vogliamo che questa percentuale cresca ancora". A parlare è Ilanit Melchior, director of tourism del Jerusalem Development Authority.
"Vogliamo veicolare l'immagine di una città che non è attrattiva solo ed esclusivamente per i turisti del segmento religioso ma che offre tantissime opportunità per gli italiani".
Ecco allora un pacchetto di proposte per il 2013 con le quali l'ente turistico mira a ingolosire i viaggiatori italiani. A cominciare dalla Maratona di Gerusalemme e da un serie di festival e appuntamenti culturali che partono in primavera. Per chiudere poi con la Formula1, una delle novità più importanti della città.

(TTG Italia, 16 febbraio 2013)


Google Street View: la bellezza d'Israele

Da Gerusalemme a Tel Aviv, Israele come non l'avete mai visto

Fa un certo effetto vedere le Google Street Car girare per le strade d'Israele . Lo scopo è intuibile: disvelare la bellezza per troppo tempo nascosta di un paese dove la sicurezza è questione fondamentale. E infatti l'iniziativa di Big G non è andata già a tutti: c'è chi ha detto che Google Street View, permettendo di navigare la mappa di Israele a 360 gradi, potrebbe trasformarsi in uno strumento nelle mani dei terroristi. Dal quartier generale di Google però hanno subito precisato di essersi tenuti lontani dagli obiettivi sensibili. E che mostrarsi al mondo potrà solo fare bene a Israele: "Ci sono molti siti religiosi e culturali, il muro del Pianto, la chiesa del Santo Sepolcro, il quartiere musulmano nella città vecchia. Speriamo che le persone vedano queste bellezze, si innamorino e vengano a visitarle". In questa gallery abbiamo raccolto le più belle immagini di questo viaggio . Giudicate voi.

Google Street View Israele

(Panorama, 16 febbraio 2013)


Scrittori italiani alla Fiera di Gerusalemme



Oltre 600 editori e autori provenienti da più di 30 paesi, con 100.000 libri scritti in molte lingue. Sono i numeri della Fiera Internazionale del Libro di Gerusalemme, che si è chiusa oggi nella Città Santa e che rappresenta un appuntamento biennale di grandissima importanza, pilastro della cultura israeliana

GERUSALEMME - Star della Fiera Internazionale del libro di Gerusalemme, che si chiude oggi, è stato sicuramente lo scrittore spagnolo Antonio Munoz Molina, insignito del premio della rassegna biennale giunta alla sua 26/ma edizione, ma all'evento è stata ben rappresentata anche l'Italia. Il riconoscimento di quest'anno - in passato ci sono stati Bertrand Russell, Mario Vargas Llosa, Milan Kundera, e più di recente, Haruki Murakami e Ian McEwan nel 2011 - è stato assegnato a Munoz Molina per il suo lavoro incentrato sull'idea della "libertà dell'individuo nella societa'". L'occasione - come è avvenuto per McEwan nel 2011 - ha suscitato qualche polemica: un gruppo di intellettuali, tra i quali Stephane Hassel, Roger Waters, Ken Loach e Alice Walker, ha chiesto all'autore iberico di rinunciare al premio visto che l'amministrazione della città promuove "uno dei sistemi di apartheid urbano più crudeli del mondo"
!!! E' possibile scrivere enormità simili?
nei confronti dei palestinesi. Munoz Molina sabato ha tenuto il suo discorso di accettazione del premio nella cerimonia inaugurale della manifestazione in presenza del presidente di Israele Shimon Peres, del ministro della Cultura Limor Livnat e del sindaco della città Nir Barkat.
Alla Fiera - incentrata sul dialogo tra autori israeliani e internazionali - hanno partecipato, tra eventi, Caffé Letterari, presentazioni e convegni, oltre 40 scrittori di 30 differenti paesi: si è parlato di circa 100 mila libri in tutte le lingue esposti negli stand, tra i quali non sono mancati quelli dedicati all'editoria digitale.
La presenza italiana - curata dall'Istituto italiano di cultura di Tel Aviv e Haifa, capitanati da Carmela Callea - ha visto tra gli altri Bruno Arpaia (l'11 febbraio), Loredana Cornero (l'11), Giuseppe Ayala (l'11), Lina Wertmuller (il 12), Gennaro Sangiuliano (il 13) e Marco Ansaldo (il 14). Con il primo si è discusso dell'"Energia del vuoto" (Guanda) finalista allo Strega, con la seconda dell'immagine della donna raccontata in "La tigre e il violino" (Rai Eri), con il terzo di "Troppe coincidenze" (Mondadori) sui rapporti tra mafia e politica. Lina Wertmuller ha presentato la sua biografia "Tutto a posto, niente in ordine" (Mondadori): alla cineteca di Gerusalemme è stato proiettato "Mimi metallurgico ferito nell'onore", un omaggio alla sua opera cinematografica. Gennaro Sangiuliano ha presentato "Scacco allo zar" (Mondadori), mentre Marco Ansaldo ha rievocato il "Falsario italiano di Schindler" (Mondadori). Il rapporto tra la poesia italiana e quella ebraica è stato il tema di un incontro del 13 febbraio in cui hanno lanciato la nuova raccolta di poesia di Tal Nitzan "Animale notturno".

Galleria

(Giornale Radio Rai, 15 febbraio 2013)


Benedetto XVI non era amico di Israele e degli ebrei

di Giulio Meotti

Se si leggono i documenti, l'immagine che ne esce non è quella rosea che Israele ha descritto dopo aver saputo delle dimissioni del Papa.
Benedetto XVI ha appena rassegnato le sue dimissioni e il rabbino capo d'Israele ha già fatto un encomio al Pontefice per le relazioni intessute con lo Stato di Israele e il popolo ebraico.
E' vero il contrario.
Il Papa non è stato un amico del popolo ebraico e ha sostenuto la più importante fonte mondiale di antisemitismo: quella palestinese. Ne abbiamo avuto la prova nel 2009, quando il Papa visitò Israele e fu a stretto contatto con gli israeliani. Le autorità vaticane evitavano di chiamare lo "Stato di Israele", preferivano usare il termine generico di "Terra Santa". Il Papa presentò gli arabi come "vittime" e gli israeliani come "oppressori". Era chiaro dai discorsi del Papa a Betlemme e dintorni, che l'atteggiamento cattolico nei confronti del popolo ebraico era rimasto invariato dai tempi della seconda guerra mondiale.
Benedetto XVI definì gli arabi palestinesi " il popolo che ha sofferto così tanto", inoltre disse al Presidente Mahmoud Abbas: "La Santa Sede appoggia il diritto del vostro popolo ad una patria palestinese sovrana nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente garantiti". Dopo aver espresso un chiaro sostegno allo stato palestinese, il Papa ha aggiunto che "E' naturale che i palestinesi, come ogni altro popolo, abbiano diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all'istruzione e all'assistenza sanitaria", lasciando intendere che gli israeliani non consentono ai palestinesi di sposarsi e di avere accesso al lavoro, all'istruzione, e alla sanità pubblica.
E' vero il contrario.
Papa Benedetto XVI non ha condannato il terrorismo arabo, ha lanciato invece un appello ai giovani: "Abbiate il coraggio di resistere a qualsiasi tentazione che possiate provare a ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo". Queste sue parole "tentazione del terrorismo" nell'affermazione del Vaticano alludevano alla politica di Israele come radice del terrorismo palestinese, mentre la verità è esattamente l'opposto.
Il messaggio di Papa Benedetto XVI al villaggio di Al Ajda, vicino a Betlemme, secondo Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, aveva lo scopo di simboleggiare la rivendicazione araba del "diritto al ritorno".
Benedetto XVI aveva attaccato la barriera di sicurezza israeliana dicendo che "è tragico vedere che anche oggi vengono eretti dei muri" e poi aveva aggiunto che "i muri possono essere abbattuti", un chiaro incitamento alla violenza.
Il Papa ha presentato Israele come responsabile dell' " allarmante diminuzione della popolazione cristiana in Medio Oriente, incluso Israele, attraverso l'emigrazione". Non solo l'accusa del Papa non è avvalorata dai fatti, ma ignora il grande piano arabo-islamico per eliminare dal Medio Oriente ogni presenza cristiana.
Papa Benedetto XVI ha proclamato Israele la "terra degli antenati" per il popolo palestinese e lo Stato di Israele come se fosse nato dalla Shoah, di fronte a un vero popolo, formato da indigeni e nativi, eredi dell'antico Israele. Questa è stata la cornice dell'intero discorso di Benedetto: la pietà sulla Shoah per il popolo ebraico e la sovranità politica per gli arabi.
Perché il Papa aveva visitato un campo di rifugiati, se non per legittimare la propaganda palestinese? Nel suo discorso nei territori palestinesi, Benedetto XVI ha detto: "Possa Egli benedire con la pace il popolo palestinese!". E ad al Ajda: "Che Dio benedica il suo popolo con la pace!". Nella Piazza della Mangiatoia: "Voi, popolo eletto da Dio a Betlemme". E rivolto al Presidente palestinese Abbas: "Invoco su tutto il popolo palestinese la benedizione e la protezione del vostro Padre celeste". Purtroppo, non abbiamo sentito le stesse benedizioni al popolo d'Israele.
Le parole di Papa Benedetto contenevano quindi un incoraggiamento alla violenza. Approvando il "diritto al ritorno" dei profughi, il Papa chiedeva di fatto la scomparsa dello Stato di Israele. Ha espresso poi la sua "solidarietà a tutti i palestinesi che non hanno casa, e che aspettano di tornare nella loro patria". Questo è il modo migliore per sostenere i palestinesi nel loro piano di cancellare lo Stato ebraico.
E dove trovare parole di pace nella condanna del papa per il "muro"? Ecco le sue parole: "Ho visto il muro che penetra nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie. Anche se i muri possono essere costruiti con facilità, sappiamo che non durano per sempre". Il Papa si era forse dimenticato che prima della barriera di sicurezza il terrorismo palestinese imperversava nelle città israeliane, provocando il massacro di più di 2.000 ebrei ? Perché il Papa ha definito l'incapacità di commettere atti terroristici come "coraggiosa", se non per presumere implicitamente la comprensione di una tale "tentazione"?
Il Papa ha detto ai palestinesi: "Abbiate il coraggio di resistere a ogni tentazione che possiate provare a ricorrere alla violenza o al terrorismo".
Per condannare il blocco di Gaza, il Papa ha mostrato la stessa memoria selettiva: "l'embargo deve essere tolto al più presto". Non una parola su Hamas e i 15.000 razzi chehanno colpito Israele da Gaza, dopo l'abbandono e la distruzione di Gush Katif nel 2005.
Inoltre il Papa ha fatto ricorso alla teologia antiebraica quando ha detto "ho visto con angoscia la situazione dei rifugiati che, come la Sacra Famiglia, sono stati obbligati a lasciare le loro case", un richiamo al Vangelo di Matteo (2,13): 'Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto .... Resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo'. Se gli israeliani sono come Erode, i palestinesi sono la versione moderna di Gesù?
L'ultima decisione politica più importante del Papa è stata quella di concedere un'udienza a Mahmoud Abbas, da . Il Vaticano palese significato politico, accettando dal leader palestinese in dono un mosaico della Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, con la scritta "offerto dal Presidente dello Stato di Palestina". Pochi giorni dopo, i documenti ufficiali del Papa hanno iniziato a citare lo "Stato di Palestina".
In questi giorni rivoluzionari per la Chiesa cattolica, il popolo ebraico d'Israele non ha perduto un amico. Ha perduto un avversario.

(Informazione Corretta, 16 febbraio 2013)


Sasa, un paradiso in terra di Israele

di Angelica Edna Calò Livnè

È una comunità dove ognuno dà il meglio di sé e riceve tutto il necessario. L'esperienza e il racconto di Edna Calò che, nonostante difficoltà e delusioni, da 37 anni vive nel kibbutz.

Angelica
La storia d'amore con Sasa, il mio kibbutz, all'estremo Nord d'Israele al confine con il Libano, inizia nel 1972 a Mesniere en Bray, in Normandia, al Seminario Europeo dell'Hashomer Hatzair. Avevamo 17 anni ed eravamo circa 80 ragazzi da tutta l'Europa. In una cerimonia indimenticabile, davanti alla bandiera d'Israele e le scritte infuocate di Hazak Veemaz, Forza e Coraggio, dopo aver recitato brani struggenti di Abba Kovner e Mordechai Anilevitch, ci comunicarono il nome del "kibbutz ashlama" in cui avremmo "completato" il nostro percorso di Shomrim, di giovani guardie della tradizione ebraica, del legame con Israele, della visione di Herzel, di Borochov, Golda Meir e di Moshe Rabbenu… La nostra "ashlamà" - il nostro completamento - si sarebbe realizzato a Sasa, in Galilea, a 899 metri di altezza, un kibbutz fondato nel Gennaio del 1949 da ragazzi del Nord America, anche loro dell'Hashomer Hatzair.
   E' facile immaginare cosa significhi per un giovane cresciuto nei valori della solidarietà, della comunità ebraica, della responsabilità, della gioia che reca l'Ebraismo con le sue tradizioni, poter realizzare un sogno come l'Aliyah. Significa prendere coscienza, decidere. Restare a Roma, in Italia, avvolta dall'affetto dei genitori e della famiglia o aprire un libro completamente nuovo, tutto da scrivere, da colorare e colmare di nuove immagini, in una nuova lingua, con mentalità e costumi sconosciuti? A quei tempi ero anche allieva del Collegio Rabbinico e Israele mi scorreva già veloce nelle vene! Quando andai dal mio Morè Toaff, il mio Maestro di Talmud, comunicai, quasi scusandomi, che avevo deciso di andare a vivere in un Kibbutz dell'Hashomer Hatzair, mi guardò con il suo sguardo ironico e affettuoso e poi mi benedì dicendo: "Vai bimba, la mizvà della costruzione della Terra d'Israele è superiore a ogni mizvà". A 20 anni ero in Kibbutz.
   Sulla porta della nostra casa, Lilly - mia fedele amica d'infanzia - ed io, scrivemmo un messaggio per i nostri amici del "Garin", del gruppo, che se ne ritornavano nel proprio Paese d'origine: "noi siamo venute con le valige grandi". Degli 80 ragazzi siamo rimasti in 7: quattro dall'Italia, due dalla Francia e uno dalla Svizzera. In seguito sono arrivati altri ragazzi più giovani, oggi tutti Haverim Kibbutz, membri della Comunità. Sasa è un antico villaggio del II secolo A.E.V. e sorge ai piedi del Monte Meron, nei luoghi in cui Rabbi Shimon Bar Yochai concepì il Libro dello Zohar. Fin dal primo giorno, nonostante i periodi di nostalgia, di incomprensione, di conflitto all'interno e all'esterno del Kibbutz, ho sentito un senso di kedushà, di santità. L'atmosfera creata dal primo gruppo di hallutzim, pionieri americani, è rimasta di grande apertura, di rispetto profondo, di responsabilità verso l'ideale sociale e sionistico che aveva animato questa forma di vita innovativa all'inizio del secolo scorso. Quest'anno Sasa compirà 64 anni ed è ancora un Kibbutz comunitario in tutto e per tutto: il salario individuale dei membri va in una cassa comune. Le grandi decisioni si prendono all'assemblea e le piccole decisioni in commissioni: lavoro, cultura, educazione, salute e altre. Ci sono circa 450 abitanti, una sessantina di famiglie e 215 membri del Kibbutz con diritto di voto nelle assemblee. Non abbiamo nessuna proprietà privata: case, automobile e mezzi di produzione appartengono alla collettività ma abbiamo una splendida piscina, campi da tennis, palestra attrezzatissima, biblioteca, Auditorium, tutti privilegi che si possono ottenere mettendo in comune i propri beni. Abbiamo un budget annuale che ci serve per vestiario, casa e vacanze: colazione e pranzo si consumano in hadar hochel, la grande sala comune e lo chef, Cesare, è italiano per cui la cucina è anche di alto livello. I figli ricevono corsi di arricchimento a loro scelta: teatro, sport, equitazione, triathlon, tennis e poi danza, ritmica, arti marziali. La maggior parte dei bambini suona uno strumento musicale.
   Negli ultimi anni abbiamo aperto un asilo sperimentale di musica e già dall'età di 4 anni i bambini conoscono il solfeggio e suonano. Il kibbutz è una sorta di villaggio dove si trova tutto: un piccolo supermercato, l'ufficio della posta, l'infermeria, il dentista, l'elettricista, l'idraulico, tutti membri del Kibbutz, e quando manca un mestiere si ricorre ai moshavim o ai villaggi circostanti. Nelle due fabbriche lavorano solamente 75 persone di Sasa e il resto, circa 800 persone, vengono da tutta Israele. Ormai vivo qui da 37 anni. Quando giungemmo a Sasa eravamo "diversi": molto giovani, molto esuberanti, molto italiani. Per l'israeliano kibbutznik, introverso e a volte diffidente, era difficile credere all'autenticità dei nostri "ideali", al nostro insaziabile entusiasmo e, paradossalmente, ci trovavamo meglio con i "vatikim", gli anziani, i fondatori, che avevano abbandonato tutto per creare questa sorta di paradiso terrestre piantando, in questa terra brulla e desolata, alberi di melo, di lillà, di avocado, pomele e melograni, costruendo casette di pietra di Gerusalemme, sfidando il gelo, le intemperie, le guerre e le difficoltà. Con loro abbiamo mantenuto e trasmesso il valore e l'unicità del Kibbutz. Con loro cerchiamo di continuare a mantenere l'incanto, il fascino, l'inestimabilità di una comunità dove ognuno dà il meglio di sé stesso e riceve tutto il necessario per sé e per i suoi cari. Uno dei valori fondamentali del Kibbutz comunitario è l'impegno: nel lavoro quotidiano, nel rispetto per la proprietà di tutti, nel consumo e l'uso dei beni pubblici. Ognuno di noi, oltre al suo lavoro, ha anche i turni nei giorni di festa: alla stalla, alle mucche da pascolo, al pollaio, in cucina.
   Siamo stati spesso messi alla prova ma abbiamo sempre cercato di superare i contrasti con pazienza e fiducia uno nell'altro. Non è stato sempre facile. Se ho resistito a molti conflitti, a molte delusioni è merito dei miei amici del garin, dei miei genitori che hanno scelto Herzlyia per la loro Aliyah e hanno fatto di Sasa la loro seconda casa, ma soprattutto per merito dell'angelo che D-o ha voluto mettermi a fianco: il compagno di vita e di ideali
Yehuda
, padre dei miei quattro figli, presente in ogni momento di sconforto e di gioia. La mia guida in un viaggio dove tutti fanno parte dei tuoi progetti per il futuro, decidono per te, bloccano a volte i tuoi sogni o non riescono a capire l'importanza di un'idea! Yehuda è nato a Sasa, è cresciuto nel Beit yeladim, la casa dei bambini. Conosce questa forma di vita dai suoi primi respiri. Ama ogni angolo e ogni albero, ti sa tranquillizzare quando vedi nuove case al di là della frontiera: "Bene, vuol dire che mettono su famiglia, penseranno di più alla pace".
   E ti fa tornare il sorriso quando dopo un'assemblea si è deciso diversamente da quello che speravi: "Non importa, riproveremo, potremo rivolgerci al Consiglio della Regione, potremo organizzare una nuova commissione". Oggi, dopo molti anni, il nostro kibbutz ha rivalutato il suo compito nella società israeliana: la sua posizione strategica, il valore dell'agricoltura, il valore umano e sociale di progetti come Beresheet LaShalom, per il quale ci siamo battuti Yehuda ed io senza posa: il lavoro educativo nella scuola drusa di Hurfeish, il gruppo teatrale con i ragazzi emarginati, con gli anziani e le ragazze abusate sono un orgoglio per un kibbutz che, nonostante l'improvvisa ricchezza, giunta con una nuova fabbrica - Plasan, per blindare veicoli contro il terrorismo - riesce a mantenere l'ideale originario, il ruolo fondamentale di punta di diamante che fa scaturire le note preziose della multiculturalità, dell'uguaglianza, della giustizia sociale e del sostegno al più debole (per saperne di più). Sono giunta in Israele inseguendo, come per magia, quella voce che chiamava, quel bisogno di dare, di creare, di contribuire, e qui, tra queste colline, la voce si trasforma in un coro che mi avvolge tutta e sono fiera di poter continuare il canto di Anna Frank, di Hanna Senesh, di Deborah e di Ruth, di coloro che hanno scritto la storia del popolo ebraico e di coloro che avrebbero voluto farlo.

Un museo a Sasa

(Shalom, febbraio 2013)


f Mentite, mentite, resterà sempre qualcosa

Una redattrice di un giornale locale della provincia di Alessandria intervista un certo Ahmad Shehade presentandolo come fotografo e giornalista palestinese che vive a Gerusalemme ed è tifoso della Juventus. Com'era da aspettarsi, gli chiede che cosa pensa della questione arabo-israeliana, perché vivendo sul posto dovrebbe essere un esperto, e quindi l'intervistatrice non ci pensa nemmeno a fare obiezioni a quello che il palestinese afferma. Ecco uno stralcio dell'intervista:
    Puoi spiegare quello che sta succedendo alla tua gente?
    E'una lunga storia, avrei bisogno di un sacco di tempo per spiegarlo. Provo a dirlo in poche parole. Nel 1948 Israele è arrivato nel nostro paese sostenuta dal Regno Unito, occupando la nostra terra, la Palestina e ha, di fatto, rubato metà del nostro territorio. Nel 1967 ci fu un'altra guerra e Israele, sostenuta dagli Stati Uniti, ha occupato il resto delle nostre terre buttando fuori tutti palestinesi e constringendoli nei campi profughi in Giordania, Libano, Siria, e in Cisgiordania. Quello che è successo a noi è successo prima agli indiani in America, e credo che ognuno ha il diritto di vivere e di tornare a casa sua, visto che siamo in età democratica.

    Come è la convivenza tra israeliani, palestinesi e cristiani?
    Beh c'è una convivenza tra palestinesi e i cristiani molto prima che esistesse una cosa chiamata Israele, ma una convivenza tra palestinesi e israeliani è come accogliere l'uomo che ha ucciso la tua famiglia in casa e offirgli da bere! Non ci sarà mai un rapporto normale, è come cercare di appianare i rapporti tra la vittima e l'assassino.
Efficace la sintesi, no? All'intervistatrice e al direttore del giornale va tutto bene. Purché se ne dica male, di Israele si può dire tutto quello che si vuole senza che né chi parla né chi ascolta si senta obbligato a fare riferimento alla verità dei fatti. Che c'entra la verità? Quando si dice male di Israele si è sempre nel vero. Tutto il resto è colore, come il simpatico fotografo-giornalista tifoso della Juventus a cui si concede diritto all'ignoranza e libertà di menzogna perché, essendo palestinese e parlando male di Israele, è per definizione nel vero e non deve essere contraddetto.

L'intervista

(Notizie su Israele, 15 febbraio 2013)


Il senso di Israele per la neve

di Anna Paola Merone

"I'm so tired" esclamo quando uno dei miei compagni di sci mi chiede come va. Lui sbuffa e sorride. "Me too". Evviva, sono in buona compagnia!

  
A metà settimana mi sono ritrovata, quasi imbucata, in un gruppo fantastico. Sono tutti israeliani, di Gerusalemme, e vogliono semplicemente divertirsi a sciare. Insomma niente fanatismi (del resto da quelle parti credo ne abbiano già abbastanza in questo senso) e un po' di sano deboscio.
"Parliamo solo inglese" mi ha detto il maestro. Fa niente, mi alleno su due fronti. E poi non è che dobbiamo parlare di fisica quantistica.
E, così, si scende verso valle urlando di entusiasmo quando si taglia bene una curva e magari ci scappa pure l'applauso. E quando loro si buttano (spesso) all'improvviso nella neve fresca, stanchi e indisciplinati, io ne approfitto per riposare.
In questa atmosfera surreale sono diventata in poche ore l'allieva modello del gruppo.
Del resto aprirsi al mondo, alle altre culture, offre sempre grandi chance. A me ha dato l'opportunità di conoscere nuove persone, parlare un po' di inglese e, con lo sci, prendere punti. Condividendo allegria e fatica.
Perché gli italiani non sono così. Si sentono tutti un po' Alberto Tomba, si dicono infaticabili e infallibili e le signore del club dei non sciatori sono anche peggio.
Mica stanno lontane dalle piste per incapacità, pigrizia o cose così volgari.
No, loro hanno sempre qualche stiramento, una caviglia lussata, un menisco partito per i paesi caldi…. Sospetto che abbiano qualche falsa radiografia a portata di mano da mostrare agli scettici.
Ma ammettere che ci si vuole buttare nelle braghe no? Ammettere che una bella sosta in baita ci sta? Ammettere una sana tendenza all'ozio?
Sapete che vi dico? Prendersi troppo sul serio fa malissimo. E, allora, Shalom!

(Corriere del Mezzogiorno, 15 febbraio 2013)


La Bulgaria caccia i delegati di Hamas

Tre funzionari del movimento islamista deportati dal Paese. La Bulgaria si difende: "Non erano stati invitati". Ma per Hamas la ragione sono le pressioni israeliane.

ROMA, 15 febbraio 2013 - La Bulgaria deporta
Dal vocabolario italiano Treccani:

Deportare = Condannare alla pena della deportazione; trasportare, accompagnare il condannato nel luogo stabilito per la deportazione: molti ergastolani furono deportati nelle Piccole Antille; al tempo degli zar, i condannati politici venivano spesso deportati in Siberia.
una delegazione di Hamas dietro (pare) richiesta israeliana. Oggi le forze di sicurezza bulgare sono entrate nell'hotel che ospitava una delegazione del movimento islamista palestinese e hanno ordinato ai tre membri (Ismail al-Ashqar, Salah al-Bardawil e Mushir al-Masri) di lasciare il Paese, direzione Turchia.
I tre funzionari - parlamentari di Hamas e membri della lista Cambiamento e Riforma - erano arrivati in Bulgaria mercoledì, nell'ambito di una serie di visite in Europa volte a migliorare i rapporti con i governi esteri e a dare un'immagine istituzionale al partito. Obiettivo di Hamas, secondo il funzionario palestinese Ahmad Yousef, era quello di incontrare i governi europei al fine di convincerli a cancellare il nome del movimento islamista dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Si trattava del primo tour europeo di Hamas in Europa dopo il 2003, anno in cui la UE ha bollato il movimento come gruppo terrorista.
La Bulgaria ha giustificato la deportazione
Dal vocabolario italiano Treccani:

Deportazióne = pena mediante la quale il condannato viene privato dei diritti civili e politici, allontanato dal luogo del commesso reato o di residenza e relegato in un territorio lontano dalla madrepatria.
affermando di non aver mai invitato Hamas nel Paese. Secondo la delegazione islamista, la vera ragione è la dura pressione politica delle autorità israeliane nei confronti del governo bulgaro.
Interviene anche l'OLP: l'ambasciatore palestinese Ahmed Madbouh ha riferito alla stampa le lamentele del Ministero degli Esteri di Sofia, che avrebbe comunque negato il raid nell'hotel. La portavoce del Ministero, Vessela Tcherneva, ha detto al quotidiano israeliano The Jerusalem Post che la delegazione di Hamas non ha incontrato alcun ufficiale governativo, che non era previsto alcun meeting ufficiale con rappresentanti diplomatici bulgari e che il governo di Sofia si è limitato a seguire la politica UE nei confronti del movimento islamista.
La delegazione di Hamas era stata invitata in Bulgaria da una organizzazione non governativa, il Centro per gli Studi Internazionali e Mediorientali di Sofia. Shaul Kamiza Raz, portavoce dell'Ambasciata israeliana in Bulgaria, ha commentato: "Hamas è riconosciuta come organizzazione terroristica in Europa. Non ci possono essere ambiguità sul gruppo e i suoi obiettivi".

(Nena News Agency, 15 febbraio 2013)


Nucleare: nessun accordo tra Iran e Aiea

L'intesa salta: nessun accordo con l'Iran è stato raggiunto dall'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea) su un piano di verifica del suo programma nucleare.
L'annuncio è stato dato dal vicedirettore generale dell'Aiea al rientro da una serie di colloqui a Teheran.
''Il nostro impegno per la continuazione del dialogo è incrollabile", dichiara Herman Nackaerts. "Adesso lavoreremo duro per provare a risolvere le divergenze residue."
L'Aiea prende tempo per riflettere. "È stato impedito l'accesso a Parchin": denuncia, inoltre, il numero due dell'Agenzia. Si sospetta che nella base militare, nei pressi di Teheran, si siano effettuati una decina di anni fa test di innesco per ordigni nucleari.

(euronews, 15 febbraio 2013)


Israele ha confermato l'esistenza del "prigioniero X"

di Vito Di Ventura

Il Ministero della Giustizia Israeliano, in un comunicato ufficiale emesso ieri, ha confermato l'esistenza di un "Prigioniero X", il quale fu arrestato e detenuto nel carcere di massima sicurezza di Ayalon, dove poi si suicidò nel 2010.
Anche se dell'esistenza di un "prigioniero X" e della sua morte venne fuori per la prima volta circa 2 anni fa, l'intera sa storia è saltata fuori lo scorso martedì fa quando un sito web israeliano ha cominciato a intercettare un servizio rilasciato dalla Compagnia di Radiofonica Australiana, secondo la quale il misterioso prigioniero era Ben Zygier, un 34enne originario di Melbourn.
L'ufficio del Primo Ministro Israeliano è stato immediatamente sommerso di richieste da parte dei media, costringendolo, alla fine, a svelare il rapporto. La decisione è quindi avvenuta solo dopo che la storia era stata ampiamente riportata sui media e sui vari siti internet.
Stando alle rivelazioni, Zygier si recò in Israele ai primi del 2000. Le autorità Australiane hanno confermato ieri che fu interrogato in quanto agente del Mossad Israeliano che si era recato anche in Libano e Iran.
"Le autorità carcerarie Israeliane hanno trattenuto un prigioniero che era un cittadino Israeliano che aveva una doppia cittadinanza", ha affermato nel suo comunicato il Ministero della Giustizia Israeliano. "Per ragioni di sicurezza, il prigioniero fu trattenuto sotto falso nome. Comunque, la sua famiglia fu immediatamente avvisata in merito all'arresto e fu difeso in tutte le varie fasi del processo da un avvocato…fu mantenuto in prigione su mandato d'arresto emesso dalla corte. I diritti del prigioniero furono garantiti secondo legge". Tuttavia, nel comunicato non viene mai fatto menzione del nome del prigioniero.
Riguardo alla sua morte, il Ministero ha fatto sapere che "fu trovato morto, impiccato, nella sua cella 2 anni fa" e che fu fatta un'indagine per verificare le circostanze della sua morte e che "l'indagine concluse che si trattò di suicidio".
Ad ogni modo, poiché la morte avvenne in un carcere di massima sicurezza, il giudice ordinò al magistrato di verificare se non ci fosse stata negligenza da parte delle Autorità Carcerarie Israeliane.
Ieri, il Ministro degli Esteri Australiano, Bob Carr, aveva ordinato un'ispezione per verificare come i diplomatici trattarono la detenzione di Zygier e questa mattina ha riferito al Comitato Parlamentare che Canberra fu informata della detenzione del signor Zygier nel febbraio 2010. L'Australia fu avvisata attraverso i canali dei servizi che era stato arrestato "in relazione a gravi reati alla sicurezza nazionale Israeliana" e "sarebbe stato trattato secondo le leggi e i diritti dei cittadini Israeliani", ma non fu avanzata alcuna richiesta di supporto consolare.
Da quanto si è venuto a sapere, Zygier era un membro attivo della comunità Ebraica di Melbourne prima di emigrare in Israele, nel 2000, e di arruolarsi nell'Esercito. All'epoca della sua morte aveva 34 anni, era sposato e aveva 2 figli. Il suo nome ebreo era Ben Alon, ma sul passaporto Australiano era riportato come Ben Allen, e secondo la Fairfax Media Australiana si faceva chiamare anche Benjamin Burrows. I motivi per cui Zygier fu arrestato e incarcerato non sono noti, ma si sa che era stato reclutato dal Mossad.

(Italnews, 15 febbraio 2013)


Chi sottrae l'acqua ai palestinesi?

di Raheem Kassam*

La domanda che frequentemente si pone è: «se i loro fratelli arabi e musulmani nell'area si sentono così legati al popolo palestinese, come mai non sono stati investiti milioni in progetti di sviluppo finalizzati ad alleviare le condizioni di povertà nella Striscia di Gaza?» Al che qualcuno si lagna: «ma... ma... ma Israele?!"...». Una argomentazione futile sul piano teorico come nella pratica. Ma bisogna partire dall'inizio, perché la disinformazione propagandata dai delegittimatori dello stato ebraico spesso conduce ad errate convinzioni, che si radicano nella mente di giornalisti, attivisti e soprattutto politici. Nel frattempo, sarà utile dare un'occhiata a cosa entra a Gaza da Israele qui e qui.
   Come è possibile che sia stata presentata al parlamento britannico una mozione che accusa il governo israeliano per una situazione che già nel 2009 era denunciata dalla Banca Mondiale come insostenibile? con la precisazione che la Banca Mondiale non biasimava Israele, mentre un rapporto delle Nazioni Unite affermava testualmente che mentre l'Operazione Piombo Fuso esasperava i problemi già esistenti, gli stessi erano «riconducibili a mancanza di investimenti nella tutela dell'ambiente e al collasso del meccanismo di governo».
   La mozione afferma che «le politiche di occupazione israeliana» (Israele ha sgomberato unilateralmente da Gaza nel 2005, e da allora soltanto un cittadino israeliano - suo malgrado - vi ha "soggiornato" fino a pochi mesi fa: il caporale Gilad Shalit, sequestrato in Israele da Hamas, NdT) sono responsabili per la scarsità di acqua a Gaza. In realtà, le cause sono molteplici e nessuna di esse è riconducibile all'"occupazione israeliana": una espressione che dal ritiro del 2005 non ha alcun senso. Da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia, trasformando l'area in una piattaforma di lancio per i suoi attacchi terroristici verso Israele, i gazani hanno conosciuto la sofferenza, con Hamas che continua a provocare la reazione israeliana sparando missili contro le zone abitate dello stato ebraico. Alla fine dello scorso anno, Hamas ha bersagliato sia Tel Aviv che Gerusalemme, manifestando il suo obiettivo di provocare quante più vittime umane possibile. Ed è riuscita nell'intento.
   A Gaza, la dittatura di fatto di Hamas comporta che la responsabilità per le infrastrutture è la sua. Ma gli aiuti finanziari che riceve dai donatori internazionali sono impiegati soprattutto per finanziare le attività terroristiche. Le forniture a Gaza sono giustamente contenute per prevenire che siano impiegate come parti di installazioni belliche. Non si tratta di una "politica di occupazione": è una misura difensiva precauzionale adottata da uno stato assediato nell'ambito di un conflitto infinito.
   La Banca Mondiale conferma: la mancanza di materie prime (e di investimenti, NdT) è un fattore che assieme ad altri spiega la scarsità di acqua a Gaza. Le autorità qui hanno scavato illegalmente oltre 250 pozzi senza il consenso del comitato giunto israelo-palestinese. Di recente è stato annunciato un finanziamento da 6.4 milioni di dollari allo scopo di finanziare la costruzione di infrastrutture a Gaza. La sovvenzione sarà finalmente accresciuta da una organizzazione islamica, la Islamic Development Bank, fino a 11.1 milioni, allo scopo di costruire serbatoi e distribuire acqua. Israele, ovviamente, scalpita da più di un anno per avviare un progetto analogo: ad inizio 2012 il ministro per l'energia e l'acqua affermava: «la nostra esperienza è a disposizione di tutti i nostri amici, inclusi coloro i quali non ci accettano: i palestinesi. Vorremmo tanto che i nostri progetti fossero presi in considerazione; ma essi rispondono che se la vedono da soli, e se va bene a loro, va bene anche a noi».
   Israele conosce bene la scarsità di risorse dell'area: sono note le innovazioni sponsorizzate dal governo finalizzate alla riduzione della dispersione di fonti idriche e al contenimento del consumo pro-capite. In realtà gli israeliani consumano soltanto una frazione di acqua in più rispetto ai palestinesi. Il tema dell'acqua è stato dibattuto nell'ambito degli Accordi di Oslo (II Parte), e Israele non solo ha adempiuto ai suoi impegni, ma alla fine ha fornito acqua a Gaza e al West Bank in misura superiore a quanto si era impegnata a fare.
   Ripetiamo un aspetto chiave: Israele ha più che adempiuto a tutti i suoi obblighi nell'ambito degli
Accordi di Oslo, in termini di quantità di acqua da fornire ai palestinesi. Di converso i palestinesi hanno contravvenuto a due aspetti degli Accordi, con riferimento ai "pozzi pirata" e nel consentire che le acque reflue siano confluite nei flussi senza essere preventivamente trattate.
   Nel frattempo, mentre i gazani continuano a ricevere sempre più acqua a favore di una crescente popolazione, i loro fratelli in Egitto continuano a sperperarne in quantità industriale allagando i tunnel che collegano l'Egitto alla Striscia di Gaza, come è stato reso noto in questi giorni. Chiaramente, si tratta di un tentativo di smantellare il contrabbando illegale, sebbene con metodi più dispendiosi e potenzialmente mortali rispetto a quanto fatto dal governo israeliano. Ma tanto, nessuno mai si sognerà di accusare l'Egitto di "creare un campo di concentramento" a Gaza, o di "opprimere il popolo palestinese".

* The Commentator

(Il Borghesino, 14 febbraio 2013)


Indecenti le dichiarazioni di Human Rights Watch sull'operazione Pillar of Defence

di Noemi Cabitza

La faziosità di Human Rights Watch (HRW) su Israele è pari solo a quella di Amnesty International e con le loro ultime affermazioni sull'operazione "Pillar of Defence" ne hanno dato una ulteriore prova attaccando quasi a senso unico lo Stato Ebraico accusandolo di aver violato le leggi di guerra.
Secondo HRW Israele, in occasione dell'operazione difensiva denominata "Pillar of Defence", avrebbe usato la propria aviazione in modo sconsiderato e senza tenere conto del rischio di uccidere dei civili. Secondo la nota organizzazione internazionale i civili uccisi sarebbero stati 40. HRW condanna, in maniera molto debole il lancio di missili da Gaza verso Israele (migliaia di missili in pochi mesi) e fa un accenno piuttosto misero al fatto che quei missili fossero in effetti diretti contro la popolazione civile e non contro obbiettivi militari come invece sono stati gli attacchi aerei israeliani. In compenso parla di "uso sproporzionato della forza" da parte di Israele, usando quindi la solita formula che non si capisce bene da quale considerazione provenga e quali parametri usi per definire e distinguere un uso sproporzionato della forza da un uso proporzionato della forza.
HRW afferma che Israele ha violato le leggi di guerra in almeno 14 occasioni colpendo in maniera indiscriminata degli obbiettivi civili. Nessun cenno al fatto che nonostante oltre 1.800 (milleottocento) attacchi aerei le vittime civili siano state appena 40, tutte grazie al fatto che Hamas nasconde i suoi depositi di armi in prossimità di abitazioni civili. Nessuno cenno al fatto che i terroristi di Hamas e della Jihad Islamica non vestono in divisa così da essere riconosciuti dai civili (proprio per confondersi tra i civili) come prevede la Convenzione di Ginevra, quella si una violazione palese delle leggi di guerra.
Ed è proprio sulla Convenzione di Ginevra che HRW si basa per lanciare i propri faziosi attacchi a Israele. Però lo fa in maniera unilaterale perché applica tali paraetri solo a una parte in conflitto (Israele) e non all'altra (Hamas e Jihad Islamica). Un comportamento del tutto censurabile.
La realtà dei fatti è che il conflitto tra Israele e Hamas non può essere considerato alla stregua di un conflitto convenzionale perché da un lato, quello israeliano, c'è un esercito regolare riconoscibile dalla divisa che colpisce solo obbiettivi militari, mentre dall'altro, quello di Hamas, ci sono terroristi che vestono deliberatamente abiti civili per confondersi tra la popolazione e che attaccano solo ed esclusivamente obbiettivi civili e non militari. E il paradosso è proprio questo. Human Rights Watch (come Amnesty Internazional) pretende da Israele il rispetto delle leggi di guerra stabilite dalla Convenzione di Ginevra, ma non pretende lo stesso rispetto dai gruppi terroristi accampando la scusa che essendo Israele uno Stato democratico ha il dovere di rispettare la legge internazionale, dovere che i terroristi (essendo appunto terroristi) non hanno. Vi rendete conto di quanto ridicola sia questa disquisizione?
E possibile che un gruppo internazionale, premio Nobel per la Pace, come Human Rights Watch (e come Amnesty International) non veda queste sostanziali differenze? Secondo noi non è possibile e quindi c'è solo un motivo per cui periodicamente dobbiamo sorbirci queste dichiarazioni o rapporti tremendamente faziosi, la faziosità deliberata e l'ostilità verso Israele, una ostilità che sfiora l'antisemitismo, un antisemitismo infimo perché mascherato da difesa dei Diritti Umani, il peggiore tra gli antisemitismi.
Cosa fare in questi casi? Non è facile contrastare una corazzata come Human Rights Watch che non appena apre bocca tutto quello che dice viene preso per oro colato. L'unico sistema che abbiamo è quello di contrastarli con i fatti (loro di fatti ne raccontano pochi, in compenso abbondano con le ipotesi e i sentito dire specie da parte araba). E i fatti dicono che Israele in occasione dell'operazione "Pillar of Defence" ha reagito a migliaia di lanci di missili sulla popolazione civile del sud di Israele, che in oltre 1.800 azioni aeree ha colpito 40 civili per lo più perché nelle vicinanze di depositi di armi dei terroristi, che le azioni aeree erano tutte mirate ad obbiettivi militari a differenza di quelle di Hamas e della Jihad Islamica che invece miravano deliberatamente a obbiettivi civili, che prima di scatenare la reazione Israele ha sopportato molto a lungo (troppo) il continuo lancio di missili da Gaza verso il Sud di Israele e che spesso ha avvisato la popolazione di Gaza, via sms o con volantini lanciati dal cielo, di allontanarsi dagli obbiettivi che sarebbero stati colpiti. Questa è la realtà dei fatti e le ridicole illazione di URW non sono altro che trasposizioni deliberate della realtà stessa.

(Rights Reporter, 15 febbraio 2013)


Israele e noi (ebrei italiani)

ROMA - Sono in molti oggi tra gli ebrei italiani che decidono di trasferirsi in Israele. Per quale motivo? Cosa è cambiato rispetto al passato? E cosa trova oggi un ebreo italiano in questa Terra tanto sognata?
Interrogarsi su quello che Israele rappresenta per noi oggi, ebrei italiani, è una tappa obbligata, se pensiamo al sionismo come valore vivo, sia che esso costituisca un sogno compiuto che si rinnova, sia che esso nasconda altri sogni più attuali ancora poco espliciti.
E si tratta di una riflessione complessa, legata a doppio filo alla nostra realtà ebraica italiana e a una società israeliana che non è quella degli anni '40, '60 o '70 ma è in continua evoluzione.
A parlarne saranno oggi alle ore 19, presso il Centro Bibliografico dell'Ucei, Claudia De Benedetti, presidente dell'Agenzia ebraica (Sochnùt) Italia, Vito Anav, presidente dell'Irgun Olei Italia e Ariela Piattelli, giornalista e responsabile del Golda International Events, insieme ai movimenti giovanili Hashomer Hatzair e Benè Akiva e al Dipartimento educativo Giovani della Comunità ebraica di Roma. A moderare è Alan Naccache, coordinatore del Dipartimento Educazione e Cultura dell'Ucei. Alcune interviste ad ebrei italiani in Israele di diversa generazione accompagneranno gli interventi.
L'incontro fa parte del ciclo "Quale Identità ebraica - Generazioni a confronto" a cura di Sira Fatucci e Ilana Bahbout.

(Notiziario Ucei, 14 febbraio 2013)


Noa: "Io canto Napoli perché somiglia a Israele"

ROMA - È Noa di scena domenica h21 al Parco della Musica. La cantante, nata in Israele da genitori yemeniti, vissuta fino a 17 anni negli Usa e poi trasferitasi a Tel Aviv, torna a esibirsi in Italia con Noapolis-Noa Sings Napoli, omaggio alla tradizione napoletana, tra i suoi riferimenti artistici. «Israele e Napoli - afferma - tante persone in una piccola area, popoli migranti che trovi ovunque nel mondo, salpati per mare sui bastimenti per scampare alle guerre, ai saccheggi, ma col pensiero comunque sempre rivolto alla propria casa». Un'attitudine che avvicina due culture apparentemente piuttosto lontane.
«Zion o Napoli - continua Noa - c'è sempre questa voglia 'e turnà! C'è poi il fortissimo senso dell'ironia che è diretta conseguenza della sofferenza. Prendi una canzone come Tammurriata Nera, dramma umano di una donna intrappolata: tutti ridono del bambino nero ma lei vive una tragedia. Esattamente come una storia yemenita che mi raccontava mia madre».
Con Noa sul palco Gil Dor & Solis String Quartet.

(metronews, 14 febbraio 2013)


Incantevole Israele con le sue città e i paesaggi mozzafiato

di Viviana Persiani

Alcuni nostri fortunati lettori ricorderanno con nostalgia il viaggio fatto, alcuni anni fa, in Israele, con il Giornale. Una visita contrassegnata dal fascino e dall'incanto di una terra che, da sempre, oltre a rappresentare una meta di pellegrinaggio per i credenti, regala cartoline di paesaggi incantevoli, itinerari per gli amanti della storia, iniziative culturali, svago. Un bagaglio di storia e tradizione premiato dai turisti di ogni latitudine e longitudine.
Il 2012, per Israele, è stato un anno da record: 3,5 milioni di visitatori (dei quali quasi 610mila di italiani) sono stati attratti dalle bellezze del Paese, portando un indotto di circa 36 milioni di Nis, la valuta locale (1 euro equivale a poco meno di 5 Nis). Quale è stata la carta vincente di un Paese unico per Dna? Certamente, la versatilità delle sue città. A cominciare da Gerusalemme che per tanti motivi gioca un ruolo fondamentale dal punto di vista turistico. Città Santa per Ebraismo e Cristianesimo, di grande importanza religiosa anche per l'Islam, basta girare per le sue vie per respirare il coacervo di tutte queste professioni di fede, un fatto unico unito al profumo di antico, di sacro, e di storico che trasuda dalle sue pietre. Una città pulsante di energia, animata da una gioventù che ama ritrovarsi nei locali di Nahalat Shiva o della galleria Mamila. Profumi e sapori che si possono cogliere anche nel mercato, a esempio, di Mahane Yehuda, dove, grazie ad iniziative come «Assaggi al mercato!» potrete gustare cibo fresco e verdure gustose che rendono omaggio a una terra piena di risorse.
Non potrete rinunciare al pane arabo o al tradizionale baigele a forma di anello con semi di sesamo: sono da assaporare unitamente alla pasticceria tradizionale, ai bourekas o alla varietà di formaggi; senza trascurare i sottaceti artigianali e le spezie locali.
Il Museo d'Israele è una delle numerose attrattive turistiche di Gerusalemme che, posto di fronte al Museo della Terra della Bibbia, è raggiungibile grazie al tram leggero che accompagna le persone nei punti più importanti della città, come il Museo della Carta Bruciata situato nella Città Vecchia.
Israele non è solo Gerusalemme e il suo carico di storia. C'è Tel Aviv, a esempio, che quest'anno propone, tra le tante iniziative culturali, la splendida mostra multimediale «Van Gogh Alive» che fino al 3 marzo porta il visitatore a tuffarsi, in maniera particolare, nelle opere del grande maestro. Ricchezza culturale sì ma anche uno suggestivo ambiente naturale dominato dalla bellezza della sue spiagge, affollatissime d'estate, ma frequentate anche d'inverno. Non a caso, il sito della prestigiosa guida Lonely Planet le ha premiate con il settimo posto assoluto tra le spiagge più belle e luminose del mondo. E, sempre in tema di riconoscimenti, Lonely Planet ha collocato il deserto di Negev al secondo posto nella graduatoriadelle regioni più interessanti al mondo (dopo la Corsica).
Modernità ma anche attività sportiva. Tel Aviv ospiterà, il prossimo 15 marzo, ben 35mila podisti che si sfideranno nella suggestiva maratona (ma sono sette le distanze a disposizione degli atleti) che si svilupperà all'interno della città. E se avete gambe buone non potrete perdere la marcia dei Monti Gilboa. che si terrà il 15 e 16 marzo sul monte nella Valle di Izreel (Nord di Israele).

(il Giornale, 14 febbraio 2013)

Immagini


Una nuova biblioteca ebraica per la città

di Claudia Campagnano

NAPOLI - Inaugurata ieri mattina presso l'Emeroteca Tucci di Napoli la mostra "Ebraismo e Shoah in 500 libri di cinque secoli" (Piazza Matteotti, palazzo delle poste 2 piano).
Dopo il successo dello scorso anno, quando la mostra di quotidiani sulle leggi razziste restò aperta sei mesi invece di uno per le continue richieste di scolaresche e visitatori, lo staff dell'Emeroteca ha organizzato una nuova esposizione mettendo in mostra parte dei 500 volumi reperiti nell'arco dell'anno, che andranno a costituire un nuovo fondo bibliografico, donando così a Napoli una nuova biblioteca ebraica.
Si tratta di volumi in diverse lingue, italiano, francese, inglese, tedesco, ebraico, spagnolo e ungherese, per la maggior parti volumi riguardanti la Shoah e le leggi razziali, ma anche preziosissimi libri sull'ebraismo, il più antico data al 1632: il De republica hebraeorum di Petrus Cunaeus.
Un fondo preziosissimo, unico nel sud Italia, che va ad aggiungersi a quelli di Roma e Milano (dove gli studiosi del sud erano fin ad oggi costretti a recarsi).
L'inaugurazione è avvenuta alla presenza del Cardinale Crescenzio Sepe che si è congratulato per l'iniziativa di grande pregio, sottolineando l'importanza dell'iniziativa per le future generazioni dato che i testimoni viventi, per ragioni anagrafiche, stanno diventando sempre meno.
Il rabbino capo Shalom Bahbout, oltre a complimentarsi per l'iniziativa, ha auspicato che l'emeroteca possa raccogliere un numero maggiori di documenti e volumi dei secoli precedenti, che riguardino sopratutto la cacciata degli ebrei dalla Spagna e dal sud Italia, altro capitolo doloroso della storia del Meridione.

(Notiziario Ucei, 14 febbraio 2013)


Sanremo 2013, piacciono gli israeliani: Bar Refaeli e Asaf Avidan

IMPERIA - Lei raffinata, elegante e bellissima. La modella Bar Refaeli brilla e incanta al Festival di Sanremo. Lui, Asaf Avidan, cantante 32enne rivelazione dell'anno, ha fatto alzare in piedi gli spettatori dell'Ariston, cantando "One day, Reckoning Song", tormentone dell'anno, applaudito a lungo a Sanremo. Entrambi israeliani, tutti e due conquistano al Festival. E' Bar Refaeli a presentare il suo connazionale, Asaf. Lui canta con trasporto e passione, offrendo il meglio della sua voce roca e fragile allo stesso tempo.
Standing ovation, dice Fazio al termine dell'esibizione e gli chiede il bis. Ancora applausi per Asaf Avidan.

(YouReporter News, 14 febbraio 2013)


Restituiti quadri a ebrei austriaci

Le opere - conservate anche al Louvre - torneranno ai Wiener e ai Neumann

"Abramo e i tre angeli" di Sebastiano Ricci, conservato a Saint-Etienne, è tra le opere restituite
  
PARIGI - La Francia - con una decisione importante, ma presa in sordina - ha scelto di restituire a due famiglie di ebrei austriaci, i Wiener e i Neumann, quadri di grandi artisti italiani, tedeschi e olandesi, di cui quattro conservati al Louvre, a suo tempo sequestrati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Al termine di lunghe ricerche, condotte da storici ed organismi specializzati, Parigi ha dato finalmente il proprio via libera, per ridare ai loro legittimi proprietari le opere firmate Alessandro Longhi, Sebastiano Ricci, Gaspare Diziani, Salvator Francesco Fontebasso, Gaetano Gandolfi, Francois-Charles Palko e Pieter Jansz van Asch. Come detto, quattro erano conservati al Louvre, il grande museo parigino, mentre gli altri tre erano nei musei nazionali di Tours, Saint-Etienne e Agen. Destinati al museo che Adolf Hitler sognava di costruire a Linz, la sua città natale, questi capolavori vennero ritrovati dagli Alleati in Germania e poi spediti in Francia.
Tra le opere, Abramo e i tre angeli di Sebastiano Ricci, conservato a Saint-Etienne e il Ritratto di Bartolomeo Ferracina di Alessandro Longhi. "Il nostro scopo non è guadagnare dei soldi, ma trasmettere ai nostri figli e nipoti l'amore dell'arte di mio nonno" racconte Tom Selldorf, discendente di una delle famiglia ebree i cui beni furono sequestrati dai nazisti. Oggi, Selldorf aspetta solo una cosa: il ritorno a casa delle opere. Anche se la data di restituzione "non è stata ancora determinata", spiegano al ministero della Cultura francese. Intanto, sempre a Parigi, il Memorial de la Shoah dedica alla spoliazione dei beni degli ebrei tra il 1940 e il 1944 una mostra, che durerà fino al 29 settembre.

(Corriere del Ticino, 13 febbraio 2013)


Marocco - Restaurata la sinagoga a Fez: ''Segno della nostra tolleranza''

FEZ, 13 feb - Il re del Marocco Mohammed VI ha salutato oggi la conclusione dei lavori di restauro della sinagoga della citta' di Fez, sottolineando la ''diversita''' e la ''tolleranza'' del suo paese. I due anni di lavoro per il restauro del luogo di culto ebraico di Slat Alfassiyine e' ''una eloquente testimonianza della integrita' spirituale e della diversita' del regno del Marocco e del suo patrimonio'', ha detto il re in un messaggio letto dal primo ministro islamista Abdelilah Benkirane, alla presenza del presidente del Parlamento tedesco, Norbert Lammert, il cui paese ha finanziaro in parte i lavori.
''Le tradizioni secolari della civilizzazione del Marocco traggono la loro essenza dal fatto che i marocchini sono profondamente legati a valori come la coesistenza, la tolleranza e l'armonia fra le diverse componenti della nazione'', ha aggiunto ancora il re.
La nuova costituzione adottata nel 2011 ha riconosciuto l'ebraismo come parte della identita' nazionale del Marocco, dove vivono circa 3.000 persone di fede ebraica. Nella prima meta' del ventesimo secolo erano quasi 250 mila e oltre diecimila vivevano a Fez.

(ASCA, 13 febbraio 2013)


L'Egitto allaga i tunnel di contrabbando al confine con Gaza

GAZA, 13 feb. - Le forze di sicurezza egiziane hanno ripreso ad allagare i tunnel di contrabbando che corrono sotto il confine con la Striscia di Gaza. Le operazioni, ha confermato una fonte militare egiziana, sono iniziate cinque giorni fa, con l'inondazione dei tunnel con acqua pompata 'da uno dei pozzi'. Decine di tunnel sono stati distrutti da quando lo scorso agosto 16 soldati egiziani sono stati uccisi in un attacco di miliziani vicino al confine con Gaza. Allora, il Cairo sostenne che alcuni degli assalitori erano entrati in Egitto attraverso tali tunnel e ne ordino' la distruzione, nonostante le smentite palestinesi. La stretta egiziana sulla rete dei tunnel di contrabbando, grazie alla quale entrano nell'enclave palestinese fino al 30% di tutte le merci, e' stata accolta con irritazione da Hamas, che controlla la Striscia, convinto che l'elezione alla guida dell'Egitto di Mohamed Morsi, legato ai Fratelli musulmani, avrebbe rafforzato le relazioni con il movimento islamico palestinese. Da quando, nel 2007, Israele ha imposto il blocco sull'enclave, sono 233 i palestinesi che hanno perso la vita nel crollo dei tunnel - affermano gli attivisti per i diritti umani di Gaza - compresi una ventina rimasti uccisi nel corso di raid israeliani sul confine. Negli ultimi tre anni, Gerusalemme ha allentato alcune delle restrizioni in vigore, mantenendo tuttavia il controllo su tutto cio' che entra e le limitazioni per le merci che potrebbero essere utilizzare per costruire armi.

(la Repubblica, 13 febbraio 2013)


La pace si scorge dai piccoli gesti

«Attenzione caduta sassi», è un avviso ricorrente nelle strade di montagna. Per fortuna questi incidenti sono rari, e dopotutto bisogna sempre procedere con cautela quando si affrontano percorsi impervi: la natura non guarda in faccia a nessuno. Ma chi lancia sassi, il bersaglio lo guarda in faccia eccome!
Questa dolorosa consapevolezza ha spinto le autorità locali della Samaria, in Cisgiordania, ad allestire un cartello che segnalerà agli automobilisti la presenza di teppisti e terroristi intenti a scagliare pietre e bottiglie incendiarie all'indirizzo dei malcapitati; ebrei, s'intende. I primi cartelli saranno situati sulla statale 55, che costeggia il villaggio arabo di Azzun, dove diversi "incidenti" di questo genere sono stati registrati. Venerdì scorso una donna, incinta di sette mesi, è stata aggredita da una roccia che si è conficcata nel parabrezza, il quale fortunosamente non si è disintegrato. La donna ha riportato ferite ma non è morta.
Queste manifestazioni di aperta ostilità non impediscono che fra israeliani e palestinesi si registrino episodi di pace e di serenità. Nell'ultima settimana è stata irrobustito il cablaggio che da Israele fornisce (gratuitamente) energia elettrica alla parte settentrionale della Striscia di Gaza, dove risiedono oltre 70 mila abitanti. I nuovi impianti forniscono 12.5 megawatt al giorno e sono stati allestiti da una squadra di 15 tecnici della Israeli Electric Corporation (IEC), assistita dall'esercito che ha prevenuto episodi di teppismo se non di accesa ostilità: malgrado questo generoso sforzo, non pochi palestinesi nel passato hanno assaltato le cabine mobili dell'IEC con pietre ed altri oggetti contundenti.
Attendiamo fiduciosi che simili episodi di altruismo siano registrati sull'altro fronte. Qualche giorno fa ha commoso la fotografia che ritraeva un soldato dell'IDF intento ad aiutare in un centro commerciale una donna palestinese, non vedente. Gli odiatori di Israele invece ci vedono benissimo.

(Il Borghesino, 13 febbraio 2013)


Gerusalemme e i suoi sapori

Un punto di vista inedito su una grande capitale dello spirito

Gerusalemme è sicuramente il cuore di qualsiasi viaggio in Israele. Qui, dove tutto continua a raccontare una storia vecchia più di 5mila anni, non sarà difficile restare affascinati dalle tante sfaccettature della città. Non solo per quanto concerne gli aspetti storici e religiosi, ma anche per quanti guardano al benessere, al buon cibo e alle offerte culturali.
Gerusalemme è infatti una città dinamica che può essere considerata la capitale del gusto, come afferma Ezra Kedem del Ristorante Arcadia, una delle eccellenze locali. Questo è dovuto al grande terroir che la circonda, alle tante coltivazioni di frutta e verdura che contraddistinguono questo territorio, a cominciare dagli ulivi di cui le colline e le valli intorno sono disseminate. La natura e la vegetazione sono tutelate a tal punto che proprio nelle valli che circondano Gerusalemme è vietato costruire, e Israele risulta essere l'unico paese al mondo a chiudere il bilancio annuale relativo alle aree verdi sempre in positivo. Questo anche grazie al Tu BiShvat ovvero al Capodanno degli alberi durante il quale, ogni anno, in tutto il paese sono interrate una grande quantità di piante. Si tratta di un gesto simbolico che ha però grande valenza per il territorio e una grande importanza per la cultura del popolo ebraico.
A Gerusalemme convivono due realtà: quella moderna e modaiola del centro cittadino, e quella più antica e spirituale della città vecchia. A sud di Jaffa Rd si trova la zona più viva dal punto di vista commerciale e della ristorazione. Ben Yehuda St è il luogo giusto dove acquistare non solo souvenir, ma anche capi di abbigliamento e oggettistica, mentre poco lontano dalla via pedonale merita raggiungere Moshe Basson, chef dell'Eucalyptus Restaurant, uomo carismatico e grande esperto di cucina biblica e di cucina con le erbe. Resta invece affacciato proprio su Ben Yehuda St il superbo Mamilla Hotel, il primo luxury lifestyle hotel aperto non solo a Gerusalemme, ma in tutto Israele. Dal suo rooftop restaurant si può godere di una vista mozzafiato che spazia dai muri della città vecchia alla torre di Davide e alla porta di Jaffa.
Proprio quest'ultima è una degli otto accessi che consentono l'ingresso nella Gerusalemme vecchia, uno dei luoghi più suggestivi della città. Circondata da mura ed estesa su una superficie di 1 chilometro quadrato, è composta da un dedalo di stradine tortuose e labirintiche. Suddivisa in quartiere cristiano, quartiere musulmano, quartiere ebraico e quartiere armeno, la città vecchia con i suoi innumerevoli bazar è però prima di tutto un luogo sacro, tant'è che al suo interno, a poche centinaia di metri l'uno dall'altro, si possono trovare edifici di culto conosciuti in tutto il mondo: il Muro Occidentale (o del Pianto), la Basilica del Santo Sepolcro e la Cupola della Roccia. Il Muro Occidentale è forse il sanutario più importante del popolo ebraico. Aperto ai fedeli di tutte le religioni ogni giorno dell'anno, può essere visitato sia dagli uomini (che devono però indossare la kippah, ovvero il copricapo) che dalle donne a cui è riservata una zona a parte. Qui si viene per pregare e per lasciare nelle fessure del muro dei bigliettini con i propri desideri che si racconta abbiano maggiori possibilità di essere esauditi che altrove.

(TGCOM24.it, 13 febbraio 2013)


Lavori di bonifica per il fiume più inquinato di Israele

Il progetto di decontaminazione da 55 milioni di dollari è stato affidato alla canadese EnGlobe

Foto
Conosciuto come il ''fiume velenoso della Terra Santa'', Kishon detiene il triste record di corso d'acqua più inquinato di tutta Israele.
GARA INTERNAZIONALE - Situato nel distretto di Haifa, il fiume Kishon potrebbe però tornare limpido, grazie a un concorso internazionale lanciato appositamente dal governo nazionale. Con una partecipazione di aziende da ogni parte del mondo, il Governo ha scelto il gruppo canadese EnGlobe, specializzato nella gestione di terreni contaminati, per l'operazione di pulitura di Kishon.
RISCHIO CANCRO - Un'iniziativa da 55 milioni di dollari che dovrebbe però bonificare a fondo il fiume Kishon. Per lunghi decenni, infatti, le industrie della zona hanno riversato i loro rifiuti chimici direttamente nelle acque, rendendo il luogo altamente inquinato e pericoloso per la quantità di radiazioni cancerogene emesse. Non a caso, dopo aver riscontrato un sempre più alto numero di malattie cancerogene, gli allenamenti militari che si svolgevano nell'area circostante il Kishon sono state interrotte e spostate.
PIU' DI 500.000 METRI CUBI DI SEDIMENTI AVVELENATI - Nota in tutti gli States per le sue operazioni di bio-bonifica, la EnGlobe ha battuto altre 20 aziende concorrenti, prevalentemente provenienti da Nord America ed Europa. I lavori, che dovrebbero durare non più di 36 mesi, consisteranno nella decontaminazione di oltre 500.000 metri cubi di sedimenti avvelenati lungo sette chilometri del fiume. La EnGlobe si avvarrà di una tecnologia sperimentata con successo da oltre trent'anni: la "Biopile".
OPERAZIONE DI DRAGAGGIO - I materiali contaminati, spiega la EnGlobe, saranno rimossi attraverso una profonda operazione di dragaggio: i sedimenti altamente inquinati saranno rimossi e trasportati attraverso un tubo sigillato in un sito vicino per il trattamento biologico. Una volta terminate le operazioni, il terreno verrà utilizzato per realizzare un grande parco per la regione di Haifa. A sovrintendere ai lavori, sarà sempre l'azienda EnGlobe.
I lavori dovrebbero dirsi terminati entro il 2015. Intanto, alle industrie limitrofe è stato posto il veto di scarico rifiuti.

(CasaClima, 12 febbraio 2013)


Gerusalemme punta al raddoppio dei turisti

L'obiettivo è passare da 3 a 10 milioni di turisti in 15 anni; focus su Mice, famiglie e city break

Dei 3,6 milioni di turisti che nel 2012 hanno raggiunto Israele, ben l'85% passa da Gerusalemme. Da questa constatazione parte Hanit Melchior, tourism director di Jerusalem Development Authority, ieri in roadshow a Torino, per spiegare gli obiettivi futuri, oltremodo ambiziosi. "Il nostro sindaco - avverte - conta di passare in 15 anni da 3 a 10 milioni di arrivi turistici. Le distanze tra Gerusalemme e gli altri luoghi di attrattività turistica sono brevi, pertanto la nostra città si presta come base stanziale di soggiorni che prevedono day trip in altre aree del Paese". La manager focalizza l'attenzione sull'ottima rete ricettiva, di alto livello, per promuovere l'immagine di una destinazione che offre "un buon rapporto qualità-prezzo, buone tariffe e un'offerta alberghiera che varia dagli ostelli agli hotel 5 stelle". Tra l'altro è in apertura a giugno l'albergo di lusso del marchio Waldorf Astoria. "Ora stiamo lavorando sulla business community - aggiunge Melchior - I gruppi rappresentano ad oggi il 60% dei flussi in arrivo, ma vogliamo puntare sul target famiglie con bambini". Di rilievo anche l'offerta legata alla parte medica, biotech e al turismo verde. A sostegno del piano investimento per 25 milioni di dollari all'anno per migliorie alla città vecchia e infrastrutture varie. Il nuovo Governo, in carica da un paio di settimane, sta già trattando con la Ue per finalizzare accordi di open sky "ed è prospettabile l'apertura ai vettori low cost". l.d.

(Guida Viaggi, 13 febbraio 2013)


Erode architetto. La grande mostra a Gerusalemme

Galleria
GERUSALEMME - E' la prima grande mostra dedicata al lato meno noto, almeno pubblicamente, di Erode il Grande, il famigerato monarca che, è scritto nel Vangelo secondo Matteo, ordinò la Strage degli Innocenti per eliminare Gesù, solo per averlo sentito nominare come "Re di Giudea", il suo regno, dai Magi. E che la stessa storiografia romana definisce come un tiranno maniaco e sanguinario, capace, ancora in età avanzata, di fare uccidere tre dei suoi figli per sospetto tradimento. Ma il suo carattere megalomane e egocentrico lo portò, come spesso accade, a pensare e far costruire opere colossali, che lo rendono uno dei più grandi edificatori dell'umanità. Per la prima volta, l'Israel Museum dedica una grande mostra all'Erode urbanista, frutto in gran parte della ricerca dell'archeologo Ehud Netzer, che per anni cercò la tomba del monarca, fino a scoprirla, nel 2007, nella cosiddettà Herodium, e a scoprire tutto il fasto del cosiddetto "palazzo d'inverno" del re, tra cui una sorta di "teatro Vip" a cielo aperto. L'idea della mostra risale al 2010, ma data la grandiosità delle opere scoperte - e alla difficoltà di produrre all'interno di un museo uno show adeguato a rendere giustizia all'originale, si sono dovuti attendere 3 anni per realizzare l'impresa. Basti pensare che sono state trasferite 30 tonnellate tra colonne, pietre e frammenti, e che il tutto ha reso necessario rinforzare pavimenti e rialzare soffitti nello spazio espositivo usuale. La mostra apre oggi, sarà visitabile fino all'autunno. L'allestimento è costruito per rappresentare la vita del re, dal mausoleo alla sala da bagno fino al teatro. "Un kolossal, in scala con lo stesso gusto di Erode", spiega Dudi Mevorach, il curatore dell'evento.

(la Repubblica, 12 febbraio 2013)


In Olanda e Israele Facebook sperimenta la vendita di biglietti online

Sembra che Facebook stia cercando nuovi metodi per attirare ulteriori fonti di fatturato. Di recente il social network ha lanciato la gift card e i messaggi a pagamento, ma sembra non bastare. Ora, infatti, ha lanciato la possibilità di comprare biglietti.
Gli utenti di Olanda e Israele, dalle loro pagine Facebook, possono accedere al nuovo tasto "Buy tickets" che viene a presentarsi sotto i news feed degli eventi. Questi ultimi possono essere di qualsiasi genere, dai concerti alle mostre e chi decide di comprare i biglietti viene reindirizzato verso siti di terze parti. Per il momento, infatti, Facebook sta utilizzando le piattaforme di Ticketmaster e Eventim, due dei maggiori siti web di eventi, per concludere le transizioni con gli utenti. La novità risiede nel fatto che chi organizza l'evento può decidere se rendere quest'ultimo a pagamento o meno e decidere la somma da far pagare per ogni biglietto.
La nuova funzione ricorda la nota Eventbrite, una compagnia che al momento vale più o meno qualche centinaio di milioni di dollari. Particolarità di questa piattaforma è la possibilità di permettere agli utenti di creare i propri eventi e renderli lucrativi mettendo in vendita i biglietti per potervi partecipare.
Per il momento la nuova funzione Facebook è disponibile soltanto in Israele e Olanda, ma non è ancora chiaro se e quando verrà implementata anche nel resto del mond

(TechEconomy, 12 febbraio 2013)


A Gerusalemme in mostra 'L'ultimo viaggio di Erode il Grande'

Eccezionale rassegna inaugurata oggi al Museo di Israele

di Massimo Lomonaco

Video
Se Erode il Grande è stato a lungo un 'enigma' ed è stata soprattutto la sua cattiva fama ad attraversare i secoli, da oggi non sarà più così. Merito dell'eccezionale rassegna - curata da Dudi Mevorach e Sylvia Rosenberg - inaugurata oggi al 'Museo di Israele' di Gerusalemme (in programma fino al 13 ottobre) che per la prima volta mostra al pubblico 250 reperti archeologici in grado di aprire una nuova luce sull'impatto politico, architettonico, estetico, di questo monarca padrone assoluto della Giudea dal 37 prima di Cristo al 4 dell'evo moderno. James Snyder, direttore del 'Museo di Israele' ha descritto la mostra come 'il più grande progetto archeologico nella storia dell'istituzione' e la prima in assoluta incentrata su Erode.
DAL PALAZZO D'INVERNO A GERICO - Intitolata 'L'ultimo viaggio di Erode il Grande', la rassegna ripercorre appunto la processione funeraria dal suo Palazzo di Inverno a Gerico all'Erodium, la tomba dove fu sepolto. Sala dopo sala, in un percorso innovativo come concezione e realizzazione, si disegna la storia di un uomo (e di un regno) ambizioso, colto, punto di incrocio tra occidente ed oriente. Le spade romane che lo portarono al potere furono solo uno strumento: nell'incontro fra le due culture, Erode non fu certo succube. Tutt'altro. A testimonianza della sua capacita' culturale bastano i tre sarcofaghi della Tomba, appena restaurati per la mostra, o gli affreschi ricostruiti sui frammenti originali dell'Erodium, o il suo bagno privato dal palazzo di Cipro.
INEDITE LE PIETRE INCISE DALLA SPIANATA DELLE MOSCHEE - Il pezzo forte sono i mai esibiti, fino ad ora, elementi delle pietre incise provenienti dalla Spianata delle Moschee, ma anche un imperiale bacile di marmo che si pensa possa essere un dono di Augusto. Costruttore infaticabile, Erode lasciò la traccia del suo genio architettonico ovunque nel Paese, Gerusalemme compresa. E si resta sbigottiti - nell'ultima sala della rassegna - di fronte alla straordinaria ricostruzione della camera mortuaria che fa parte del Mausoleo. Come Troia e' legata a Heinrich Schielleman, Tutankamon a Howard Carter, cosi' Erode vuol dire Ehud Netzer, l'archeologo israeliano che ha dedicato la sua vita a ricostruire la vita dell'imperatore. La mostra, costruita sul suo lavoro, è in suo omaggio: Netzer è morto nel 2010 per le ferite riportate in una caduta mentre scavava proprio nell'Erodium.

(ANSAmed, 12 febbraio 2013)


Dicesi "Chiesa cattolica apostolica romana"

Dalla Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani, Vol. IX, pag. 478:
    «Con l'appellativo di Chiesa cattolica apostolica romana si designa la Chiesa, ossia la società di fedeli - società perfetta, distinta dalla civile e da essa indipendente - che ripete la sua origine da Gesù Cristo, suo capo invisibile, e che guarda a Roma come alla sede perpetua di diritto e di fatto del papa, vicario di Cristo, successore di S. Pietro, suo capo visibile. Così si distingue essa da tutte le altre comunità cristiane che si chiamano «chiesa», nome che la Chiesa romana rivendica a sé sola, e sotto il quale viene universalmente riconosciuta quando si parla semplicemente di Chiesa.

    La Chiesa nelle profezie e nel culto dell'Antico Testamento. - Nel Messia venturo si appuntava tutto l'Antico Testamento, storia, legislazione, profezie, liturgia, culto, che a lui si riferivano come figure e simboli, annunziandone l'avvento come quello d'un condottiero del popolo/eletto, che avrebbe fondato un regno senza confini né di tempo né di spazio. È precisamente su questo carattere dell'universalità del nuovo regno, in opposizione al nazionalismo giudaico, che più insistono le protezie messianiche (Zaccaria, Isaia, Michea, Geremia, Ezechiele, ecc.), che caratterizzano questo regno: a) come il regno della verità rivelata da Dio; b) come il sacerdozio eterno; c) come una magistratura infallibile; d) come un governo unitario, teocratico, con giurisdizione perfetta, assoluta e universale. Tutto ciò si verifica nella Chiesa fondata da Gesù Cristo.

    Istituzione divina della Chiesa. - Tutta la dottrina di Gesù Cristo, tutta l'attività spiegata nella sua vita pubblica converge e si riassume nel proposito dichiarato solennemente di fondare il suo regno: un regno soprannaturale, da non confondersi con la Sinagoga; del quale sono chiamati a far parte non solo i giudei, ma anche i gentili (Matt., XXVIII, 19), e che durerà fino alla consumazione dei secoli (Matt., XXVIII, 20). A tal fine sono scelti tra i discepoli dodici apostoli, facendosi obbligo a tutti gli uomini, senza distinzione di nazionalità o di razza, di accoglierli e ascoltarli come altrettanti Messia (Matt., XVI, 15), pena la dannazione eterna. A capo di questa società il fondatore pone Pietro, sulla cui persona essa s'incardina come l'edificio sulla pietra fondamentale (Matt., XVI, 18). A lui sono confidate le chiavi di questo regno (Matt., XVI, 19), simbolo dell'autorità suprema; ed egli è alla testa non solo del gregge, ma di tutti gli altri pastori, che egli deve guidare ai pascoli di vita eterna (Giov., XXI, 15). Perciò fin dai tempi apostolici la Parola Chiesa e l'espressione regno di Dio si trovano indifferentemente usati come termini equivalenti.

    Organizzazione apostolica. - Subito dopo la Pentecoste la Chiesa si presenta al mondo come una società teocratica perfettamente costituita sotto il governo degli apostoli, che riconoscono per loro capo visibile Pietro in rappresentanza di Cristo, capo invisibile. Essi costituiscono una vera gerarchia, che esercita, sempre in dipendenza da Pietro, il triplice potere, legislativo, giudiziario ed esecutivo, come appare dalle loro lettere, dagli Atti degli Apostoli e dall'Apocalisse di S. Giovanni. Il loro è un magistero autentico, quello della Chiesa docente, depositaria e interprete del Vangelo. San Paolo parla della fede come di un ossequio, ragionevole sì, ma obbligatorio, a segno che «se venisse un angelo a insegnare diversamente dalla Chiesa, sarebbe anatema, si condannerebbe da sé. Soggetta alla Chiesa docente, la Chiesa discente, ossia la comunità di tutti i battezzati convertiti dal giudaismo e dal gentilesimo, che da principio costituiscono come una grande famiglia.»
Nella comprensione biblica di molti cristiani evangelici questa superba istituzione religiosa mondiale, espressione politica di quella "superbia dei gentili" contro cui mette in guarda l'apostolo Paolo, è destinata a crollare clamorosamente, in modo pubblico e definitivo. Indipendentemente dagli aspetti contingenti legati alla persona, le inaspettate e insolite dimissioni di questo ultimo papa potrebbero essere un primo scricchiolio. M.C.

Rappresentazione plastica

(Notizie su Israele, 12 febbraio 2013)


I palestinesi assediati e i prodotti israeliani

Sconcerto ed irritazione per l'abbondanza di generi alimentari, beni di prima e seconda necessità, e insomma tutto ciò che popola gli scaffali di un comune supermercato, in quel di Gaza. Una terra che nell'immaginario collettivo ancora è associata a miseria, a stenti, ma che da anni conosce un relativo benessere. E le foto dei centri commerciali stracolmi, dei lussuosissimi alberghi, delle auto di grossa cilindrata che solcano le strade, e delle centinaia di milionari palestinesi stanno lì a testimoniarlo.
Tutto ciò provoca comprensibilmente appunto l'irritazione della militanza filopalestinese, sempre più in difficoltà nel proporre la figura romantica ma lontana dalla realtà del palestinese sofferente per l'"assedio" israeliano; che in effetti c'è, ma si limita al blocco di armi e munizioni al largo delle coste di Gaza....

(Il Borghesino, 12 febbraio 2013)


Netanyahu torna a parlare di Iran e di "linea rossa"

di Luca Pistone

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è tornato a parlare di Iran, prossimo ad attraversare la "linea rossa", oltre la quale c'è l'atomica.
Dal 2003 il gruppo dei paesi 5+1 (Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) cerca di convincere l'Iran a porre un freno al suo programma di arricchimento dell'uranio, secondo l'Occidente ed Israele finalizzato alla produzione di armi atomiche. Teheran ha sempre negato le accuse, sostenendo i fini civili delle proprie attività nucleari.
"Gli iraniani sono sempre più vicini alla linea rossa (…) Non l'hanno ancora attraversata, ma stanno accelerando i tempi per farlo. Vanno fermati, dobbiamo fare maggiori pressioni e imporre sanzioni più severe", ha detto ieri Netanyahu durante un incontro con i leader delle comunità ebraiche statunitensi.
In un intervento lo scorso 27 settembre all'Assemblea Generale dell'Onu, Netanyahu, munito di pennarello rosso e lavagna, aveva marcato una linea enfatizzando che "all'Occidente rimane ormai poco tempo per fermare il programma nucleare iraniano".
Da mesi Netanyahu pretende da Washington una posizione comune sulla faccenda, insistendo sulla necessità di marcare una linea rossa, "un punto di non ritorno oltre il quale può esserci solo l'azione militare (…) Il tempo stringe, forse non tutti conoscono il ritmo dei progressi (del programma iraniano) e pertanto il mio discorso verterà su questo punto (…) Sono sicuro che sarà proprio l'imposizione di una linea rossa la misura che impedirà l'intervento armato".
Tuttavia, i funzionari Usa, Obama primo fra tutti, sostengono che sia ancora tempo prima che l'Iran raggiunga la linea rossa e che al momento siano sufficienti sanzioni internazionali e pressioni diplomatiche. Il nuovo iter intrapreso dal neo-segretario di stato Usa, John Kerry, sembra andare in questa direzione.
Il prossimo colloquio tra la Repubblica islamica e il gruppo dei paesi 5+1 sulla questione nucleare avrà luogo il 26 febbraio in Kazakistan.

(Atlas, 12 febbraio 2013)


Nonie Darwish: "Sono stata allevata nell'odio contro gli ebrei"

di Ryan Jones

Nonie Darwish
Nonie Darwish è cresciuta in una famiglia musulmana a Gaza, e quando aveva otto anni suo padre fu ucciso dalle forze israeliane perché era coinvolto in attività terroristiche contro Israele. In quel tempo il padre lavorava per i servizi segreti egiziani a Gaza, dove la famiglia viveva dal 1950.
"Ho sempre cercato di dare la colpa per la morte di mio padre a Israele, come mi era stato insegnato. Da bambina io non sapevo perché mio padre era stato ucciso. È morto perché come Fedajeen (militante palestinese, letteralmente "colui che si sacrifica") aveva ucciso degli israeliani. Da bambini dovevamo giurare fedeltà alla jihad, la "guerra santa" contro Israele. Avevamo le lacrime agli occhi quando giuravamo che per questa guerra saremmo stati pronti a morire. Chi sostiene che prima della guerra del '67 non c'era terrorismo contro Israele ha torto. Mio padre faceva parte del terrorismo, ed è morto per questo.
La conversione di Darwish al cristianesimo ha provocato in lei un forte amore per lo stato ebraico, e l'ha portata alla convinzione che Dio ha un piano per Israele.
Oggi Darwish lotta per i diritti umani ed è presidente di due importanti organizzazioni, l'"Associazione degli ex musulmani" e "Arabi per Israele". Ha anche scritto diversi libri sulla sua vita.
Il video qui sotto riporta un discorso di Darwish che è stato presentato nel dicembre 2010 in una sinagoga. (Fonte: il blog messianico Rosh Pina Project). Qui lei descrive in dettaglio i motivi per cui una pace tra Israele e i suoi vicini arabi fatta dagli uomini è impossibile. Si veda, in particolare, il modo in cui descrive i metodi con cui i bambini arabi nel loro paese di origine sono educati a odiare gli ebrei.

Video

(israel heute, 11 febbraio 2013, trad. www.ilvangelo-israele.it)


Apple assume in Israele centinaia di ex dipendenti di Texas Instrument

Apple aprirà prima della fine dell'anno un nuovo centro di ricerca e sviluppo in Israele. Fonti locali riferiscono che la casa della Mela ha assunto tra le 100 e le 150 persone, tutte provenienti da Texas Instruments e specializzate a vario livello nel settore delle comunicazioni wireless e nei processori embedded.

di Mauro Notarianni

Apple aprirà entro la seconda metà dell'anno un terzo centro di ricerca e sviluppo in Israele. Lo afferma un articolo del sito locale Globes, nel quale è riportato che il nuovo centro impiegherà tra le 100 e le 150 persone, già assunte alcune settimane addietro e tutte provenienti da Texas Instruments, dopo che quest'ultima aveva deciso il licenziamento di 250 addetti, molti dei quali parte del centro sviluppo israeliano. Il nuovo centro di sviluppo si trova nella zona industriale della città di Ra'anana (a nord di Tel Aviv), ed è il terzo che la casa della Mela apre nel paese dopo l'acquisizione della società Anobit e dell'apertura del development center di Haifa. La maggior parte degli ex dipendenti di Texas Instrument è specializzata a vario livello nel settore delle comunicazioni wireless e in processori embedded.
Israele, lo ricordiamo, è uno dei più fertili al mondo in fatto di società che si occupano di hi-tech questo sia per l'elevatissimo numero di laureati nel settore che arrivano da tutto il mondo, sia per un'oculatissima campagna d'incentivi all'insediamento di aziende ad alta tecnologia.

(Macitynet.it, 11 febbraio 2013)


Iran e Hezbollah stanno addestrando milizie

NEW YORK - L'Iran e il movimento sciita libanese Hezbollah stanno creando un network di milizie in Siria per proteggere i loro interessi nel caso che il regime di Bashar al Assad perda il potere.
Lo affermano funzionari americani e mediorientali citati in forma anonima dal Washington Post, secondo cui si tratta di milizie che attualmente combattono a fianco delle forze governative contro i ribelli. Con ogni probabilità il progetto a lungo termine dell'Iran è di avere una forza affidabile a cui fare riferimento nel caso in cui la Siria, con il crollo del regime di Assad, si ritrovi divisa lungo linee etniche e religiose.
Secondo un alto funzionario dell'amministrazione citato dallo stesso giornale, l'Iran ha affermato di essere impegnato a sostenere 50 mila miliziani in Siria. "Si tratta di una grande operazione", ha detto, aggiungendo che "l'intenzione attuale è quella di sostenere il regime siriano. Ma è importante per l'Iran avere una forza affidabile in Siria su cui poter contare". Si tratta di gruppi, ha affermato la stessa fonte, che vengono addestrati da responsabili del movimento Hezbollah e della Guardia repubblicana iraniana.

(TicinOnline.ch, 11 febbraio 2013)


Tesoro Tucci, una mostra sulla Shoah con cinquecento libri rari

di Vincenzo Esposito

Sarà la più grande biblioteca ebraica d'Italia, con testi rari e antichi. La si potrebbe immaginare in uno dei «ghetti» storici d'Europa, chissà, magari quello di Roma. E invece no. E' stata allestita nell'Emeroteca Tucci, uno dei più importanti motori culturali di Napoli (forse per questo lasciata sola dalle istituzioni) che con questa raccolta, unica, dona un altro prezioso tesoro alla città. Cinquecento libri tra cui il rarissimo originale della «Historia ilustrada del Pueblo judìo» di Nathan Ausubel o la «De republica hebraeorum» di Petrus Cunaeus pubblicata nel 1632. La Tucci diventerà così punto d'incontro tra due grandi religioni. Con la visita del rabbino capo dell'Italia meridionale Shalom Bahbout alla Diocesi e la successiva visita del cardinale Sepe alla Sinagoga, i rappresentanti delle due Chiese hanno iniziato un dialogo interreligioso ed ecumenico che si rafforza ogni giorno che passa.
L'INCONTRO - Sepe e Shalom Bahbout si incontreranno nuovamente mercoledì 13 febbraio nella sede dell'Emeroteca nel Palazzo delle Poste per l'inaugurazione della mostra «Ebraismo e Shoah in cinquecento libri di quattro secoli». Un contributo importante della Tucci sia alla cultura che alla memoria dei sei milioni di ebrei sterminati dalla follìa nazista. I cinquecento libri della mostra sono solo una selezione della più ampia collezione che l'Emeroteca, aiutata da Annamaria Cirillo della Libreria Neapolis, ha cominciato ad acquistare in Italia, Francia e Stati Uniti soltanto da qualche anno. Nell'ambizioso progetto dei giornalisti che gestiscono l'ente culturale vecchio di 106 anni, con il presidente Salvatore Maffei, la raccolta potrebbe diventare, nel volgere di poche stagioni, la più importante biblioteca italiana del settore. Già da fine febbraio i visitatori potranno consultare alcuni libri antichi posseduti soltanto da poche biblioteche nel mondo. Eppure la Tucci può contare per andare avanti solo sul volontariato di un pugno di giornalisti, del presidente Salvatore Maffei e dell'Ordine della Campania. Una battaglia per la sopravvivenza difficile tra fondi promessi e mai concessi, o addirittura deliberati e mai stanziati, di Comune e Regione.
LA COLLEZIONE - L'Emeroteca ogni anno accoglie migliaia di studenti e docenti provenienti da tutto il mondo in cerca di pubblicazioni rarissime che sanno di poter trovare soltanto lì. Dei novemilacinquecento titoli, più di duemila non sono posseduti da alcun'altra biblioteca della Campania e duecento sono unici. Collezioni di quotidiani, riviste, annuari, almanacchi e strenne italiane, francesi, inglesi, tedesche, austriache, russe, spagnole, svizzere, statunitensi, svedesi, neozelandesi e sudamericane. E oltre 35 mila libri dagli incunaboli ai giorni nostri. Però il Comune, per fare un banale esempio, preferisce affidare l'immagine di Napoli investendo sull'America's Cup piuttosto che dare una mano a un grande patrimonio della città. Ma anche questa è una questione culturale.
SEPE E LA SHOAH - Il cardinale Sepe spiega: «Sono stato felice dell'opportunità concessami dal presidente Maffei perché la mostra sulla Shoah è un modo per riaffermare la dignità dell'uomo sulla barbarie. Significa dare testimonianza alla memoria perché simili orrori siano da monito nel cuore e nell'anima degli uomini tutti». Ma non solo per questo. «No, anche per testimoniare che l'Emeroteca Tucci è un patrimonio della città e dei napoletani che lo offrono al mondo e che non può andare distrutto per il mancato sostegno delle istituzioni. Io sono pronto, come ho già annunciato all'Ordine dei giornalisti, di promuovere un'asta in favore della Tucci mettendo a disposizione anche oggetti miei. Non è possibile che una biblioteca che ogni anno accoglie migliaia di studenti e ricercatori possa andare perduta. Sarebbe inconcepibile, un peccato commesso nei confronti di Napoli e della cultura mondiale tutta». Ultimamente anche la prestigiosa università di Oxford ha chiesto aiuto all'Emeroteca per il completamente di un libro di un suo docente sulla «Nave di D'Annunzio» così come un professore di un ateneo di Kyoto è stato ospite della Tucci per una ricerca sulla famiglia Scarpetta.
LA CRISI - L' Emeroteca Tucci non è ancora uscita dalla crisi causata nel 2002 dall'abrogazione di fatto della legge regionale 12/96 (tutt'ora vigente e mai più finanziata). Sopravvive grazie a tre soci sostenitori: l'Ordine dei giornalisti della Campania, il Banco di Napoli e la Camera di Commercio. Ha potuto realizzare questa nuova iniziativa grazie a un contributo straordinario (una tantum) della Giunta regionale, visto che i modesti contributi ex art.11 della legge 7/2003 per gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono stati erogati.
LA MOSTRA - I cinquecento libri selezionati per la mostra di mercoledì sono in sette lingue: italiana, francese, inglese, tedesca, ebriaca, spagnola e ungherese. In prevalenza sono i testi che riguardano il progetto di genocidio degli ebrei, le singole storie dei criminali nazisti che l'idearono e di quelli che l'attuarono nei campi di sterminio, gli sconcertanti silenzi, i processi. I libri più antichi, quelli sull'ebraismo, partono, appunto, dal «De republica Haebraeorumn» scritto da Petrus Cunaeus nel Seicento. Ne viene che l'arco temporale della mostra è di cinque secoli e non quattro. La spiegazione è da cercare in un errore del tipografo, scoperto dagli allestitori dopo la stampa e l'invio dei cartoncini d'invito.

(Corriere del Mezzogiorno, 11 febbraio 2013)


Indossano scialli da preghiera maschili: dieci donne arrestate a Gerusalemme

Le donne dell'organizzazione femminista "Women of the Wall" hanno sfidato il rituale ortodosso, indossando il "talled", uno scialle da preghiera riservato agli uomini.

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Dieci femministe di religione ebraica sono state arrestate dalla polizia israeliana al Muro del Pianto a Gerusalemme vecchia. Le donne dell'organizzazione "Women of the Wall" hanno sfidato il rituale ortodosso, indossando il "talled", uno scialle da preghiera riservato agli uomini.
"Un centinaio di donne si sono riunite al Kotel (il Muro del Pianto o Muro occidentale) indossando gli scialli da preghiera riservati agli uomini, pratica vietata dalla Corte Suprema. Alla fine della preghiera, dieci di loro sono state fermate", ha riferito la portavoce Luba Samri.
La violazione della legge religiosa è punibile con una pena fino a sei mesi di prigione e una multa di 3.000 dollari.
L'organizzazione femminista, che appartiene alla corrente religiosa modernista, sfida regolarmente il disprezzo e gli insulti di alcuni fedeli maschi, raccogliendosi in preghiera con indosso lo scialle, cantando e leggendo la Torah al Muro del Pianto, il luogo più sacro al giudaismo.

(today, 11 febbraio 2013)


El Al, promozione Italia-Israele a marzo

In occasione della Pesach, la Pasqua ebraica, il vettore israeliano El Al lancia una promozione che prevede tariffe speciali per i voli diretti Milano-Tel Aviv e Roma-Tel Aviv in partenza nella seconda metà di marzo.
Nel dettaglio, le tariffe per il collegamento Milano-Tel Aviv partono da 329 euro andata e ritorno, tutto incluso, e sono valide per partenze dal 17 al 19 marzo e rientri dal 28 marzo al 1o aprile 2013; mentre per il collegamento Roma-Tel Aviv i prezzi partono da 355 euro andata e ritorno, tutto incluso, e sono validi per partenze dal 20 al 27 marzo e rientri dal 28 marzo al 1o aprile 2013.
Le tariffe promozionali si riferiscono a voli in classe Economica. La tariffa tutto incluso comprende il supplemento carburante fino a 144 euro e tasse aeroportuali fino a 55 euro da Milano e fino a 60 euro da Roma; i diritti di emissione biglietteria non sono inclusi.
Il supplemento carburante e le tasse aeroportuali sono soggetti a possibili variazioni in funzione del cambio euro/dollaro. La promozione è soggetta a restrizioni e a limitata disponibilità di posti in una specifica classe di prenotazione.

(agenzia di viaggi, 11 febbraio 2013)


Allerta a Gerusalemme per la gara del Beitar

di Francesco Gregorace

  
Sale la tensione a Gerusalemme. La polizia è stata mobilitata a causa dell'incontro tra la squadra locale, il Beitar, e la compagine araba israeliana del Bney Sakhnin. Il match avviene a tre giorni dall'incendio doloso di un ufficio del Beitar Gerusalemme attribuito a tifosi ultras della squadra che sono in fermento per il recente ingaggio di due giocatori ceceni di religione musulmana. Nel tentativo di impedire manifestazioni di carattere razzista, centinaia di agenti di polizia saranno schierati nelle vicinanze e dentro lo stadio Teddy di Gerusalemme. I tifosi del Bney Sakhnin saranno inoltre scortati da cordoni di agenti, per garantire la loro protezione. La tribuna orientale dello stadio - quella dove in genere si raccolgono gli ultras - sara' tenuta chiusa per dare una forte risposta dopo che due settimane fa e' stato esposto uno striscione con la scritta: "Beitar pura per sempre", ossia composta da solo giocatori ebrei. Questi episodi di razzismo sono stati condannati all' unanimita' dal premier Benyamin Netanyahu (Likud Beitenu) e da altri dirigenti politici e sportivi israeliani. Da parte sua il Beitar Gerusalemme ha reso noto che ''costi quel costi" i due giocatori ceceni resteranno nella squadra.

(calcioweb, 10 febbraio 2013)


«Foibe e Shoah non vanno accomunate»

I giorni della Memoria e del Ricordo non andavano accomunati. Lo sostiene la sezione salernitana dell'Anpi, che ha scritto al prefetto Gerarda Maria Pantalone esprimendo "rammarico" per la decisione...

I giorni della Memoria e del Ricordo non andavano accomunati. Lo sostiene la sezione salernitana dell'Anpi, che ha scritto al prefetto Gerarda Maria Pantalone esprimendo "rammarico" per la decisione di ricordare in una unica giornata le vittime innocenti delle Foibe e della Shoah. «Le commemorazioni - scrivono i partigiani salernitani - riguardano momenti diversi della storia del nostro Paese e non solo, e in tal senso il Parlamento ha opportunamente legiferato. Dalla volontà del legislatore appare evidente che si tratta di tragedie storiche diverse che per la loro complessità richiedono distinzione affinchè il ricordo possa basarsi sul ricordo approfondito delle stesse».
Alla Prefettura è stato dunque chiesto che dal prossimo anno le celebrazioni avvengano in momenti diversi sia per insegnare ai giovani a distinguere le due tragedie, sia per evitare, proprio in merito all'Olocausto, la riproposizione del negazionismo e della nascita di fazioni neonaziste o neofasciste.
Eppure, nel corso della manifestazione, fu proprio il prefetto a spiegare le motivazioni della scelta: «Accomuniamo queste due ricorrenze - disse - per meglio testimoniare che la morte degli innocenti non ha differenze, va solo ricordata per evitare che accada di nuovo».

(la Città di Salerno, 10 febbraio 2013)


Se la giornata della memoria deve diventare il giorno in cui si ricorda che "la morte degli innocenti non ha differenze", sarebbe davvero meglio che se ne proclamasse ufficialmente la fine. Si potrà mai evitare che avvenga nel mondo la generica “morte degli innocenti”? Evidentemente no, quindi è come se il prefetto avesse detto che neanche un altro Olocausto è evitabile. E’ questo che pensa il prefetto Pantalone? M.C.


Un concerto per Tullia Zevi

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ROMA - "Andartene via di sabato pomeriggio, proprio all'uscita dello Shabbat in cui noi ebrei leggiamo il testo dei dieci comandamenti, nonna, è solo l'ultima delle attenzioni che hai mostrato a noi ed alle cose importanti che guidano la nostra vita. Da musicista, come dice sempre mio padre, hai saputo, con il tuo senso dell' armonia e del ritmo, scegliere un momento che ci trovasse tutti insieme anche per questo. Non te ne sei andata lo scorso anno, mentre ero in America a perfezionare gli studi, o in Israele. Me lo avevi promesso e, come sempre, hai mantenuto. Già ieri, chissà se te lo saresti aspettato, giornali e televisioni hanno ripercorso la tua vita densa di impegni e successi, dagli anni dell' antifascismo alla presidenza Ucei, dall'esilio in America alla commissione d' inchiesta sui crimini commessi dai militari italiani in Somalia. Lo stesso percorso che tu ed io, di fronte ai pranzi squisiti che cucinavi, tra risate e qualche volta anche lacrime, abbiamo fatto qualche anno fa per pubblicare il nostro libro".
Con queste parole, pubblicate sul Corriere della sera all'indomani della scomparsa, Nathania Zevi rendeva omaggio alla straordinaria figura della nonna, Tullia Zevi, protagonista alcuni anni prima del saggio, vero e proprio passaggio tra generazioni di valori e memorie familiari, 'Ti racconto la mia storia'. Una storia appassionante, proiettata nel mondo ebraico e in tutta la società italiana, che viene ricordata questo pomeriggio alle 19 al centro culturale Pitigliani di Roma con un concerto di musiche sefardite e con le testimonianze, tra gli altri, del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e del presidente del Pitigliani Ugo Limentani.
Il concerto, intitolato Aman Sepharad, ha come interpreti Arianna Lanci (canto), Sara Mancuso (arpa, clavicytherium, organo portativo) e Marco Muzzati (salterio, percussioni).

(Notiziario Ucei, 10 febbraio 2013)


L'Iran aggira le sanzioni

di Dimitri Buffa

Pochi giorni fa l'ultimo allarmato articolo sul quotidiano saudita stampato a Londra, Al shark al awsat, e posseduto da un magnate più o meno liberale: il traffico d'oro tra Turchia e Iran, via Dubai, per triangolare il pagamento del gas di Teheran ad Ankara, sta alterando i valori del mercato. E gli Stati Uniti non staranno più a lungo a guardare e a fare finta di niente. Il meccanismo di base che sta andando avanti da almeno due anni è semplice: la Turchia ha bisogno di gas e se ne frega dell'embargo comprandolo dall'Iran. Però non può pagare in euro o dollari perché l'Onu proibisce alle banche le transazioni. Ergo? Gli iraniani accettano le lire turche ma in cambio pretendono che, in campo neutro, i turchi vendano il proprio oro in cambio di esse.
Il campo neutro è il Dubai dove l'oro, comprato da agenti dei servizi segreti iraniani con le lire turche (con cui è stato pagato il gas iraniano direttamente per conto del governo di Teheran) lo possono convertire in valuta pregiata, possibilmente differenziata. Oppure tramite spalloni di lusso si riportano direttamente l'oro turco in lingotti, che è uno dei più pregiati nel post lavorazione, in Iran. Questo sta alterando il prezzo dell'oro che quasi tutte le banche danno in crescita fino a 2 mila dollari l'oncia entro il 2013 ma che attualmente sta subendo una flessione, a quota 1650 dollari l'oncia, dopo l'impennata di fine 2012 in cui aveva toccato i 1800 dollari. Nei primi 9 mesi dell'anno in corso il deflusso d'oro dalla Turchia ha battuto il record ed è arrivato a 10,7 miliardi di dollari. 6,4 miliardi di dollari in oro sono stati mandati nell'Iran.
Nel bilancio energetico turco la quota del gas iraniano sale al 18%. L'Iran, che rappresenta uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e gas, è da tempo sottoposto a pesanti sanzioni, a seguito delle controversie sul suo programma nucleare, che alcuni Paesi occidentali, Usa e Israele in testa, ritengono nasconda finalità belliche. Queste sanzioni, che l'UE ha rafforzato unilateralmente, danneggiano certamente l'economia iraniana (che dipende per l'80% dalle esportazioni di idrocarburi) ma colpiscono inevitabilmente anche quei Paesi che, come il nostro, dipendono in parte più o meno significativa dal petrolio e dal gas iraniani. E la Turchia, Paese in rapido sviluppo industriale, che attualmente importa dall'Iran il 18% del fabbisogno di gas e il 51% di petrolio necessario per i propri consumi privati e industriali, ha ritenuto di usare questi metodi un po' sporchi per aggirare questi svantaggi. Nel corso dei primi mesi del 2012 la Turchia, come si diceva, ha venduto 6,4 miliardi di dollari di oro all'Iran. Per avere un'idea dell'exploit delle transazioni in oro tra i due Paesi, basti pensare che, nel corso di tutto il 2011, la cifra totale era stata di appena 54 milioni di euro.

(l'Opinione, 10 febbraio 2013)


Rabbini a confronto sul futuro delle Comunità ebraiche

di Rossella Tercatin

Torino - Sala gremita al centro sociale della Comunità ebraica di Torino per il convegno "Quale comunità per gli ebrei italiani del XXI secolo?" organizzato dal Gruppo di Studi ebraici. Chiamati a discuterne, tra gli altri, diversi rabbanìm, partendo dai differenti background. Al centro dei loro interventi, varie sfumature del rapporto tra ebraismo e modernità e delle sfide con cui si devono confrontare le kehillot del nuovo millennio.
Ad aprire la sessione mattutina moderata dal presidente del Gruppo Franco Segre, dopo il saluto del presidente della Comunità Beppe Segre, è stato l'intervento del rabbino capo della città Eliahu Birnbaum. "Se un tempo la Comunità costituiva un elemento di protezione per gli ebrei nei confronti della società pubblica, il loro anello di congiunzione con lo Stato, oggi il mondo è cambiato, e questo modello è stato superato - ha spiegato il rav - Oggi, nel chiederci quale tipo Comunità perseguire, dobbiamo tenere a mente che il nostro futuro non è mai scontato, ma ciascuno di noi ha il compito di impegnarsi per garantirlo: a mio parere, questo passa per la sfida di rendere la Comunità un istituto maggiormente inclusivo, capace di avvicinare coloro che ne rimangono oggi lontani". Una delle sfide messe in risalto dai vari interventi per l'ebraismo italiano è quella di aprirsi al rapporto con le realtà di altri paesi. Anche in questa prospettiva, rav Pierpaolo Punturello ha offerto un approfondimento sull'identità modern orthodox, capace di offrire una sintesi fra tradizione e realtà contemporanea. E una diretta applicazione della capacità della visione ebraica di fornire spunti per problematiche moderne è stata spiegata dal rabbino capo di Modena Beniamino Goldstein, che si è concentrato sul problema dell'approccio ebraico alle tematiche del diritto del lavoro e dei lavoratori.
Rav David Sciunnach ha invece affrontato il tema del pluralismo all'interno delle Comunità ebraiche, spiegando la ricchezza che offre il confronto fra tradizioni diverse, ma mettendo anche in guardia dal rischio di perdere o sbiadire la propria identità, come è successo, sotto molti aspetti, alla tradizione ebraica italiana in parte assorbita da quelle ashkenazite e sefardite. Un rischio che viene scongiurato solo costruendo identità forti grazie allo studio e all'approfondimento. A concludere la mattinata è stato poi il rabbino capo di Padova Adolfo Locci, che si è concentrato sul rapporto tra il rav e la kehillah. "Partiamo dal presupposto che molti dei problemi di cui discutiamo non sono soltanto condivisi da numerose altre realtà ebraiche nel mondo, ma esistono da molto tempo anche nell'ambito delle nostre Comunità - ha ricordato il rav - E' importante capire che il rabbino e la Comunità sono insieme corresponsabili di portare avanti la Torah e i suoi precetti. È finito il tempo in cui il rav rappresenta la figura cui la Comunità delega l'osservanza delle mitzvot".
Nel pomeriggio previsti gli interventi di rav Michael Ascoli, del maskil Gadi Piperno e della rabbanit Renana Birnbaum, in un incontro introdotto da Dario Disegni, presidente della Fondazione Margulies-Disegni e, a conclusione della giornata, la tavola rotonda "L'ebraismo italiano e le sfide del nostro tempo: la parola ai giovani", coordinata dal consigliere della Comunità ebraica Sarah Kaminski con la partecipazione tra gli altri del presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia Susanna Calimani.

(Notiziario Ucei, 10 febbraio 2013)


Hezbollah: la solita Catherine Ashton complice dei terroristi

di Noemi Cabitza

  
Catherine Ashton
Come avevamo anticipato, il rapporto finale delle indagini sull'attentato di Burgas individua in Hezbollah (e quindi nell'Iran) i mandanti del vile atto terroristico compiuto il 18 luglio scorso in Bulgaria nel quale persero la vita cinque turisti israeliani. Non ci sono dubbi ,è chiaro a chiunque, ed Hezbollah deve essere posto nella lista nera europea dei gruppi terroristici.
Eppure, nonostante le prove inconfutabili che le autorità bulgare hanno fornito, la rappresentante europea della politica estera, Catherine Ashton, continua a difendere i terroristi di Hezbollah affermando che le prove fornite dalle autorità bulgare (con l'ausilio dell'EROPOL) non sono decisive e che "occorre riflettere attentamente prima di inserire Hezbollah nella black list europea".
Beh, lasciatemelo dire, siamo alla complicità manifesta con un gruppo terrorista che da anni terrorizza e tiene in ostaggio il Libano, che è coinvolto nella repressione siriana, che è a capo di uno dei più potenti cartelli della droga a livello mondiale e che compie attentati su commissione di Teheran. Se questa è la rappresentante della politica estera europea allora non ha senso che ci sia una Unione Europea.
Abbiamo più volte denunciato la complice connivenza di Catherine Ashton con un altro gruppo terrorista, Hamas, ma adesso siamo davvero alla complicità aperta con uno dei più sanguinari gruppi terroristici che la storia ricordi, un gruppo terrorista persino più pericolo di Al Qaeda perché ha una organizzazione capillare e diffusa in tutto il mondo, in alcuni casi persino legalizzata come accade in Venezuela.
Sconcerto per le dichiarazioni di Catherine Ashton arrivano anche dagli Stati Uniti. Il neo Segretario di Stato, John Kerry, ha esortato l'Unione Europea a inserire senza indugi Hezbollah nella black list affermando che in caso contrario "passerebbe il messaggio della impunità per i terroristi" che quindi si sentirebbero liberi di colpire ovunque.
In qualità di cittadini europei non ci sentiamo rappresentati da chi è complice di gruppi terroristici come Catherine Ashton, per altro non votata da nessuna ma imposta dalla elite europea. Catherine Ashton non può più parlare a nostro nome, non può più rappresentare l'Unione Europea essendosi dimostrata complice dei terroristi e quindi ne chiediamo le immediate dimissioni. Lo faremo oggi stesso, per la terza volta in due anni, con un esposto al Parlamento Europeo nel quale chiederemo l'immediata rimozione di Catherine Ashton dal ruolo di alto rappresentante della politica estera europea.

(Rights Reporter, 7 febbraio 2013)


"Parole trasparenti", la fuga di due sposi ebrei. Anteprima ad Anghiari

Si intitola "Parole Trasparenti. Diari e lettere 1939 - 1945" ed è un libro che racconta la storia sorprendente, intensa e ricca di emozioni di due giovani sposi ebrei che decidono, nell'Italia del 1939, di lasciare il loro paese per raggiungere la Palestina e sfuggire alle persecuzioni razziali. Il volume, edito nella collana Storie Italiane dell'Archivio diaristico nazionale, sarà presentato domenica 10 febbraio, ad Anghiari.
L'appuntamento è per le 17,30 presso la Sala Rossa (piazzetta della Croce). Insieme al curatore Daniele Finzi, interverranno il sindaco di Anghiari Riccardo La Ferla e Tiziana Nocentini, direttrice dell'Istituto storico aretino della Resistenza e dell'età contemporanea. L'iniziativa è organizzata in occasione della celebrazione del Giorno della Memoria da Comune di Anghiari, Biblioteca comunale di Anghiari, Istituto storico aretino della Resistenza e dell'età contemporanea e Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano.
"Parole Trasparenti" raccoglie un fitto epistolario che nel 2011 ha vinto la 27esima edizione del Premio Pieve. Le lettere raccontano quanto avvenuto dal febbraio 1939 al 1945. Dopo l'arrivo in Palestina, la sposa, Adele Foà, avvocato in un prestigioso studio legale di Milano, vivrà per un lungo periodo sola a Tel Aviv con due figli piccolissimi. Suo marito, Ettore Finzi, chimico industriale, trova infatti lavoro ad Abadan in Persia, alle dipendenze della Anglo Iranian Oil Company. Tra loro ci sono migliaia e migliaia di chilometri, ma per sentirsi più vicini Adele ed Ettore si scrivono ogni giorno raccontandosi la quotidianità e confidandosi i timori per i parenti rimasti in Italia, esposti ai pericoli della guerra e della deportazione.

(Arezzo Notizie, 9 febbraio 2013)


Testimonianza di Marcello e Lidia Cicchese
E’ con una certa commozione che riportiamo questa notizia perché con Ettore e Adele Finzi abbiamo avuto per parecchi anni una sincera amicizia, con stima reciproca. Erano i tempi in cui i cattolici volevano aprirsi ai non cattolici e quindi andavano cercando con zelo rappresentanti di altre fedi. Ebrei ed evangelici, essendo piuttosto rari, erano molto ricercati. Erano soprattutto riunioni di signore, ma ad esse si presentava anche, unico uomo, Ettore Finzi. Una volta però Lidia chiese anche a me di partecipare, perché la volta prima avevano parlato dei dieci comandamenti e voleva che qualcuno esponesse con più precisione la posizione evangelica. Ci andai, esposi come stanno veramente le cose nella Bibbia riguardo al comandamento sulle immagini, e da quella volta si allentarono i nostri rapporti con i cattolici e si strinsero quelli con gli ebrei. Ettore Finzi è stato in un certo senso il primo a destare il nostro interesse per il sionismo perché molto gentilmente si offerse di farcene una presentazione nella nostra piccola chiesa evangelica. Cosa che fece puntualmente, in due lunghe, interessanti sedute, in cui offrì a noi evangelici, allora piuttosto ignoranti in materia, un ampio quadro del sionismo fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Era ben documentato sui fatti storici e ben informato sui fatti di attualità da fonti che - diceva - si trovavano proprio in Israele. Ci fece anche dono di una sua relazione scritta sull’argomento, che abbiamo conservato e adesso presentiamo, con qualche piccolo aggiustamento editoriale, nella rubrica “Approfondimenti”. Invitiamo a leggerla, perché probabilmente anche i più informati potrebbero trovarvi qualche elemento non conosciuto. M.C.


Trochenbrod, città di ebrei cancellata, resuscita adesso grazie a un libro

Non sono rimaste nemmeno le macerie, il vuoto, niente

di Ishmael

Foto
Nata a metà dell'Ottocento da una smagliatura che s'era aperta, con la liberazione dei servi, nelle leggi antisemite dello zar, Trochenbrod era una città zarista, poi polacca, dove agli ebrei era consentito, per la prima volta nell'Europa cristiana, di lavorare la terra.
Di questa minuscola città ebraica, uno Shtetl attraversato da «una via lunga, diritta e sporca, che correva da nord a sud per circa tre chilometri, fiancheggiata su entrambi i lati, negozi, botteghe artigiane e sinagoghe», non rimane più nulla, solo un pascolo, il guado («trochen») e qualche ricordo nella testa di quanti (prima che la Wehrmacht e le SS facessero sparire Trochenbrod dalla faccia del pianeta, senza lasciare praticamente superstiti) emigrarono in Israele, a New York, in Argentina.
Avron Bendavid-Val, figlio d'uno di questi emigrati, ricostruisce la storia terribile di questa comunità in un libro avventuroso e commovente, uno straordinario Spoon River yiddish: I cieli sono vuoti. Alla ricerca di una città scomparsa, Guanda 2013, pp. 208, 18,50 euro, ebook 13,99 euro. Hitler, racconta Bendavid-Val, fu soltanto l'ultimo dei Cavalieri dell'Apocalisse che piombarono su Trochenbrod portandovi distruzione e follia. Già durante la prima guerra mondiale, quando furono i polacchi a occupare la città, ne seguirono pogrom devastanti (di cui gli antisemiti polacchi furono sempre grandi specialisti). Se i polacchi se la prendevano con tutti gli ebrei, ricchi e poveri, senza fare distinzioni, i comunisti russi (che arrivarono dopo di loro, armati fino ai denti) se la presero soltanto con gli ebrei possidenti e «borghesi»: fu ai ricchi che toccò il pogrom, da cui i «proletari» furono soltanto sfiorati (solo qualche omicidio, giusto il saccheggio generalizzato, che spazzò via quel che era sfuggito ai soldati polacchi, e qualche stupro occasionale).
Ma Trochenbrod, sopravvissuta ai polacchi e ai bolscevichi, addirittura tornando a prosperare negli anni Venti e Trenta, non resse alle tempeste d'acciaio della guerra hitleriana e all'Olocausto. Fu rasa letteralmente al suolo.
Non ne è rimasto un solo mattone. Niente.
Non si è trasformata in una città fantasma da film western: è stata cancellata del tutto. Ma Bendavid-Val, col suo libro, l'ha riportata in vita. È grazie a lui che Trochenbrod — come come una comunità di musicisti di Chagall in volo, sia pure dentro cieli vuoti — non sarà mai più dimenticata.

Video

(ItaliaOggi, 9 febbraio 2013)


Milano - Nuovo Cinema Israeliano, sesta edizione

Dal 23 febbraio allo Spazio Oberdan

Presso la Sala Alda Merini - Spazio Oberdan della Provincia di Milano, dal 23 al 28 febbraio, Fondazione Cineteca Italiana in collaborazione con la Fondazione CEDEC Onlus (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), organizza la sesta edizione della rassegna dedicata alla cinematografia israeliana, a cura di Nanette Hayon e Paola Mortara.
Si tratta di un appuntamento milanese ormai consolidato da anni, frutto di una proficua collaborazione con il Pitigliani Kolno'a Festival di Roma.
Il cinema israeliano continua a suscitare interesse, ad essere apprezzato e a vincere premi nelle manifestazioni internazionali. Tra i film presenti nella rassegna, ad esempio, Footnote di Joseph Cedar si è aggiudicato il premio per la Migliore Sceneggiatura a Cannes ed è stato poi nominato agli Oscar; Hadas Yaron, protagonista di La sposa promessa di Rama Burshtein, ha vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia; The Exchange di Eran Kolirin è stato candidato al Leone d'Oro 2011, mentre Restoration di Yossi Madmoni ha ottenuto il Crystal Globe a Karlovy Vary; God's Neighbors di Meni Yaesh si è aggiudicato il premio SACD a Cannes e Life in Stills di Tamar Tal ha vinto, tra gli altri, il premio Talent Dove al Leipzig DOK Festival.
Dalla vasta scelta di titoli in programmazione, vale la pena di segnalare, oltre a "La sposa promessa", l bellissimi film Footnote e Restoration, che trattano in maniera diversa del rapporto conflittuale tra padre e figlio, anche in campo professionale. L'originale God's Neighbors, invece, mostra come la forte religiosità di tre giovani li spinga a commettere azioni violente che diventano l'essenza stessa della loro quotidianità.
Da non perdere alcuni documentari di grande interesse che difficilmente vedremmo sui nostri schermi. Ad esempio "The last Flight of Petr Ginz", storia di un ragazzo morto ad Auschwitz, all'età di 16 anni. I suoi poetici racconti illustrati da lui stesso, prigioniero in un lager ma libero con la fantasia, sono stati lasciati nello spazio dal primo astronauta israeliano.
E ancora "Life in Stills", in cui attraverso il racconto di una storia vera molto curiosa, si narra l'intenso e, a tratti, divertente rapporto tra una anziana signora e suo nipote.
A un grande del cinema, Woody Allen, è dedicato un lungometraggio, frutto di una recente intervista all'attore/regista arricchita da numerosi spezzoni di film, che ne racconta la storia umana e professionale in modo interessante e divertente.
Infine nel programma viene dato spazio alla creatività dei giovani studenti del Dipartimento di Cinema e Televisione dell'Università di Tel Aviv, la scuola israeliana più importante del settore.
Da segnalare alcuni interessanti incontri con personalità del mondo della cultura, ad esempio con Roni Hamaoui, autore del libro Il Mediterraneo degli altri. Le rivolte arabe tra sviluppo e democrazie e quello con Ruggero Gabbai, Consigliere Comunale nonché regista, che parlerà sui rapporti tra le città gemellate di Milano e Tel Aviv. E poi ancora lo studioso di ebraismo Marco Ottolenghi che ci guiderà nella conoscenza del pensiero di Yeshayahu Leibowitz, un grande personaggio che ha scosso profondamente l'opinione pubblica israeliana sui temi della politica, della scienza e della religione.

PROGRAMMA

(Eco di Milano, 9 febbraio 2013)


Avrà la pensione chi lavorò nei ghetti ebraici

Germania - Una lunga controversia vicina alla conclusione

Sembra ormai vicina a una soluzione la lunga controversia legale tra lo Stato tedesco e i sopravvissuti alla Seconda guerra mondiale costretti a lavorare nei ghetti ebraici.
Secondo quanto scritto l'8 febbraio dal il sito dello Spiegel, Berlino sarebbe pronta a concedere una pensione retroattiva, a partire dal 1997, a decine di migliaia di persone, come avrebbe indicato in un documento interno la sottosegretaria al ministero del Lavoro, Annette Niederfranke.
PRIMO RICONOSCIMENTO. Un primo riconoscimento per questo particolare gruppo di vittime, non considerate alla stregua dei lavoratori forzati, era arrivato nel 2002 da parte del parlamento tedesco che aveva accordato loro il diritto a una pensione. A causa delle stringenti clausole poste dal legislatore, tuttavia, quella decisione s'era rivelata largamente insoddisfacente: oltre il 90% delle 70 mila persone che avevano fatto richiesta si era visto rifiutare quanto pensavano gli spettasse.
IPOTESI DI CAMBIAMENTO DELLA LEGGE. Gli esperti del ministero sono ora tenuti a decidere se sarà necessario cambiare la legge o basterà accordare un indennizzo a forfait. I costi per la copertura delle pensioni a partire dal 1997 sono stimati in circa 500 milioni di euro. L'ambasciatore israeliano a Berlino, Emmanuel Nahshon, ha, intanto, invitato il governo ad accelerare il processo: «Ogni giorno che passa muoiono altri superstiti della Shoah. Non siamo disposti ad accettare che il riconoscimento degli indennizzi s'infranga su ostacoli burocratici».

(Lettera 43, 8 febbraio 2013)


La mostra di Van Gogh a Tel Aviv

Fino al 3 marzo duemila opere verranno proiettate su schermi giganti, ma anche sui muri, sul soffitto e sul pavimento del centro espositivo

Il 3 febbraio ha aperto all'Israel Trade Fairs Center di Tel Aviv, in Israele, la mostra Van Gogh Alive, che proietta duemila opere del pittore olandese su maxi-schermi HD oltre che sulle pareti, sul soffitto e sul pavimento. La mostra è itinerante: è stata presentata per la prima volta in Australia, da allora è stata riproposta in altri paesi - tra cui la Turchia, gli Stati Uniti e Singapore - ed è stata vista da circa 300 mila persone in tutto il mondo. L'esperimento unisce l'arte tradizionale con la tecnologia multimediale e la regia cinematografica. Resterà aperta fino al 3 marzo.

Galleria fotografica

(il Post, 8 febbraio 2013)


Azionista di El Al: 'I voli di sabato sono necessari'

La compagnia aerea 'kasher' potrebbe rompere il riposo settimanale

  
ROMA, 8 feb - Rispettare i precetti religiosi o fare fronte ai debiti. E' il dilemma che la compagnia di bandiera israeliana El Al appare chiamata a dover fronteggiare.
Tradizionalmente, El Al non offre voli di sabato, in rispetto ai precetti religiosi ebraici che vietano di mettersi in viaggio durante lo shabat, il riposo settimanale. Ma i conti tutt'altro che rosei del vettore potrebbero ora determinare la rottura di questo tabù. Secondo Izzy Borovich, azionista di maggioranza della società: "El Al deve volare di shabat. E' l'unico modo per sopravvivere nel mondo dell'aviazione globale". "Bisogna cambiare la cultura aziendale - ha aggiunto l'imprenditore, le cui parole sono state riportate dal sito d'informazione economica israeliano 'Globes' -, questa è la cosa più importante". La dirigenza della compagnia avrebbe già iniziato alcuni colloqui preliminari con i dipendenti con l'obiettivo finale di concordare un nuovo contratto di lavoro. Ma - prevedibilmente - le resistenze saranno dure da vincere. E non solo tra i lavoratori El Al: il cambiamento tanto auspicato da Borovich sarebbe certo tutt'altro che gradito ai clienti (abituali o potenziali) ultra-ortodossi, che potrebbero lanciare un boicottaggio. I precedenti sono diversi. In passato, per esempio, alcuni rabbini avevano tuonato contro lo stratagemma operato all'epoca dalla compagnia di bandiera per aggirare il riposo settimanale: mettere in piedi una compagnia surrettizia, la Sun d'Or International Airlines. Questa utilizzava velivoli e equipaggio El Al per volare di shabat e durante le festività religiose, emettendo però biglietti con un codice proprio. In quel caso, tuttavia, i super religiosi non furono gli unici a protestare contro questo gioco delle parti.
Critiche giunsero fin dall'Europa, e alla fine alla Sun d'Or fu revocata la licenza. El Al decise allora di dare in leasing i suoi aeromobili a due compagnie charter, Israir e Arkia. Una mossa che a oggi consente al vettore di continuare a fregiarsi del titolo di 'compagnia area kasher', anche se solo formalmente, ma che da punto di vista economico non rende abbastanza. E stavolta El Al potrebbe cedere sotto al peso dei suoi debiti (svariate decine di milioni di euro).

(ANSAmed, 8 febbraio 2013)


"La tenda di Abramo": seminario ebraico sull'accoglienza a Termoli

TERMOLI - Si svolgerò a Termoli il seminario sull'accoglienza "La Tenda di Abramo", tenuto da membri di origine ebraica facenti parte del mondo accademico con l'obiettivo di "formare" la futura leadership dell'accoglienza e si rivolge ad un gruppo di studenti dell'Istituto alberghiero "Federico di Svevia" di Termoli che saranno impegnati per otto intere giornate di lezione.
Lunedì 11 febbraio, alle ore 12, presso la sala meeting del Martur Resort di Termoli, si terrà la conferenza stampa di presentazione. All'incontro saranno presenti il sindaco di Termoli Antonio Di Brino, il vicesindaco Vincenzo Ferrazzano, il docente Dan Wiesenfeld, la responsabile del progetto Paola Giugno, la Preside dell'Istituto alberghiero "Federico di Svevia" Maria Chimisso, un rappresentante del pastificio 'Colavita' ed un rappresentante dell'oleificio Com.A.Gra.

(primonumero, 8 febbraio 2013)


Canto proibito

La 17enne Ofir Ben Shetreet, originaria di Nir Galim, un villaggio sulla costa sud del paese, è stata sospesa da scuola perchè ha cantato in una trasmissione televisiva, The Voice, l'equivalente del nostro X Factor, davanti a spettatori di sesso maschile.

Ofir
La 17enne Ofir Ben Shetreet ha deciso di intraprendere la carriera di cantante partecipando allo show televisivo "The Voice", l'equivalente del nostro X Factor. Il pubblico della trasmissione, composto da uomini e donne è stata la causa della sua sospensione da scuola. La giovane è infatti stata accusata di aver cantato davanti agli uomini, e la scuola in cui andava ad Ashdod, ha deciso di non farle più frequentare le lezioni. Il laeder religioso del suo paese, Zvi Arnon, ad un'intervista al canale 7, si è dichiarato contrario al suo allontanamento dalla scuola, ma ha comunque dichiarato che è inammissibile che una donna canti davanti a degli uomini, secondo la tradizione del "Kol Isha". Una tra le più contestate tradizioni del mondo ebraico, il Kol Isha non permette alle donne di esibirsi davanti agli uomini. La ragazza non si è però lasciata scoraggiare, e continua ad andare avanti per realizzare il suo sogno. Alle interviste ha dichiarato: «Io canto fin da quando sono bambina, la Torah vuole che siamo felici e invita ad ascoltare la musica per esserlo. Credo sia possibile conciliare le regole con questi insegnamenti, per questo ho scelto di partecipare allo show». Forti le parole di Aeron Leibowitz, un rabbino moderato, che ha dichiarato: «Ofir è la voce di una generazione che sta cambiando. Non ha rinunciato alla religione, sta cercando la sua strada attraverso le definizioni classiche di giudaismo. Questi giovani, uso una metafora musicale, stanno attuando un remix». A questo punto non resta che tifare tutti per la vittoria della giovane, vittoria che, forse, darà un segnale forte di emancipazione a tutte quelle ragazze che vogliono perseguire il suo stesso sogno.

(Net1News, 7 febbraio 2013)


Musica del Mediterraneo per Tullia Zevi

ROMA - "Nella concezione ebraica dell'esistenza non c'è separazione netta tra pubblico e privato. Si deve osservare tra le mura domestiche un comportamento coerente con il volto che si mostra all'esterno. Un'idea molto distante dai modelli proposti ai giorni nostri. Se penso a mia nonna, e a cosa la mia generazione dovrebbe imparare, questo è forse il primo messaggio che mi viene in mente. Occorre vigilare sulle proprie azioni senza creare una gerarchia di situazioni: è importante essere all'altezza tanto nei momenti solenni quanto nei piccoli gesti quotidiani; trattare con rispetto le persone di riguardo, e con attenzione ancora maggiore chi invece ci appare più umile".
Una lezione, qua raccolta nelle riflessioni del nipote Tobia (Pagine Ebraiche maggio 2011), che ha contribuito a fare di Tullia Zevi, la "signora dell'ebraismo italiano", un personaggio indimenticabile. A due anni dalla scomparsa, l'omaggio congiunto di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Pitigliani con un concerto di musiche sefardite in programma domenica alle 19 nella sede del centro culturale trasteverino. Una serata nel segno dell'arte, di quella musica del Mediterraneo che Tullia Zevi, eccelsa suonatrice d'arpa, portava nel cuore. Ma anche un'occasione per declinare, nel racconto di alcuni amici, lo straordinario impegno profuso nelle istituzioni ebraiche e in tutta la società. Giornalista, intellettuale, firmataria delle Intese che avrebbero aperto una nuova fase nei rapporti tra ebraismo italiano e Stato. A renderle omaggio con una testimonianza, tra gli altri, l'attuale presidente dell'Unione Renzo Gattegna e il direttore del Pitigliani Ugo Limentani.
Il concerto, intitolato Aman Sepharad, vedrà esibirsi Arianna Lanci (canto), Sara Mancuso (arpa, clavicytherium, organo portativo) e Marco Muzzati (salterio, percussioni).

(Notiziario Ucei, 8 febbraio 2013)


I libri di testo palestinesi sono razzisti contro Israele

di Leonardo Piccini

Adesso è ufficiale: i libri di testo delle scuole palestinesi, delle elementari alle Università, «tendono ad avvalorare tesi razziste e pregiudizi negativi contro Israele e il popolo ebraico». A metterlo nero subianco, uno studio commissionato dall'Unesco a tre ricercatori, che per alcuni anni hanno letto e riletto i manuali in uso nelle scuole dell'Autorità Nazionale Palestinese e in quelle controllate da Hamas a Gaza. I tre esperti, il professore Sami Adwan, docente palestinese dell'Università di Betlemme, Daniel Bar-Tal, dell'Università di Tel Aviv, e il professore Bruce Wexler, dell'Università americana di Yale, hanno presentato il risultato del loro lavoro, in una conferenza stampa a New York, evidenziando come «gravi manipolazioni, omissioni storiche e una falsa rappresentazione degli eventi politici, tendano a rappresentare il popolo israeliano come nemico dei palestinesi, ed esaltino al contempo, le gesta del popolo palestinese come vittima di gravi ingiustizie e soprusi». Gli studiosi rincarano la dose affermando come «perfino eventi storici poco significativi, vengono presentati in modo assolutamente selettivo e artificioso, al fine di avvalorare l'idea di una comunità e di un popolo in lotta contro l'ingiustizia». Non mancano poi «delle descrizioni artificiose che tendono a disumanizzare gli israeliani... libri che spesso non parlano né della religione, né della cultura, né dell'eco - nomia o delle attività quotidiane e perfino della semplice esistenza degli israeliani. L'assenza di questo tipo di informazioni serve a sminuire la presenza legittima dell'altro». Il rapporto dimostra che «la rappresentazione negativa dell'altra comunità, e l'assenza di qualsiasi informazione che la riguardi, sono estremamente marcate nei libri in uso nelle scuole palestinesi, mentre si ravvisano casi meno eclatanti e più sporadici nelle scuole ultraortodosse ebraiche». I tre professori hanno insistito sulla scientificità di un lavoro che ha analizzato anche i libri in uso nelle scuole israeliane: hanno studiato per tre anni 640 manuali (492 israeliani, e 148 palestinesi): «il 58% dei libri palestinesi non menzionano l'esistenza di frontiere tra i due Stati (la "linea verde", che dal 1949 divide Israele dalla Cisgiordania), arrivando perfino a bollare come una leggenda l'esistenza e la legittimità storica dello Stato d'Israele». Secondo l'81% dei libri in uso nelle scuole secondarie palestinesi, «gli israeliani sono "IL NEMICO", e l'87% dei libri definisce come negativi o molto negativi, gli atti compiuti dagli israeliani». Il rapporto dei tre studiosi avvalora la denuncia da parte israeliana secondo cui i testi scolastici palestinesi continuano a essere in stridente contraddizione con lo spirito del processo di pace avviato nel 1993. Il movimento islamista Hamas ha ulteriormente aggravato la situazione: nelle scuole primarie «circolano libri che paragonano gli ebrei a serpi assassine e la lotta armata in nome della Palestina viene invece celebrata con toni trionfalistici». In questi testi «è perfino scomparsoil nome di Israele, né si facenno alla presenza ebraica nell'antica terra d'Israele/Palestina. Nella striscia di Gaza, le scuole distribuiscono materiale didattico in cui il processo di pace vieneamalapenacitato ». Viene poi introdotto il concetto di "ri - bat", che letteralmente indica l'occupare posizioni strategiche contro i nemici dell'Islam: un concetto che esalta la lotta religiosa contro Israele, ed è propedeutico alla regola del jihad, cioè della guerra santa contro l'infedele.

(Libero, 7 febbraio 2013)


Il calcio, il razzismo e il vento che cambia

di Adam Smulevich

Dopo le polemiche, argomento di discussione sui media di mezzo mondo, l'occasione propizia per voltare pagina e rendere gli stadi israeliani "un posto migliore". Con un lungo intervento apparso sul sito del Jerusalem Post il giornalista Allon Sinai, firma principe della redazione sportiva, interviene in merito agli striscioni razzisti apparsi nella curva del Beitar, principale squadra cittadina, che nel corso di un recente incontro di campionato aveva accolto con l'espressione "il Beitar sarà per sempre puro" il ventilato acquisto di due giocatori in forza al club ceceno Terek Grozny. Un colpo di mercato, in quelle ore ancora non ufficialmente concluso, che aveva suscitato malessere nei supporter più radicali per via del credo religioso dei calciatori - Dzhabrail Kadiyev e Zaur Sadayev (nella foto, il giorno della presentazione) - entrambi di fede musulmana.
Striscioni inquietanti, che avevano fatto indignare il presidente della Repubblica Shimon Peres in persona e che erano stati largamente ripresi - anche se con alcune gravi distorsioni, come ha scritto rav Roberto Della Rocca in un suo commento - dalla stampa italiana e internazionale. Da allora, ed è passata più di una settimana, sono successe molte cose. I fischi contro il malcapitato Kadiyev da parte dei fan più estremisti del Beitar, la folle esultanza di alcuni di loro per la sconfitta con il Ramat HaSharon, pagine di social network imbrattate di parole e violenza verbale. Un insieme di situazioni che hanno portato nuovamente la tifoseria giallonera, già in passato protagonista di deprecabili imprese a sfondo razziale, nell'occhio del ciclone e il pericolosissimo nesso calcio-curve-politica, una piaga ecumenicamente diffusa nei cinque continenti, al centro del dibattito.
Così, sostiene Sinai, d'ora in poi non sarà più possibile "chiudere un occhio" e la campagna di sensibilizzazione contro il pregiudizio della dirigenza del Beitar e di tutte le persone di buona volontà ripetutamente scontratesi in questi anni con le frange più oltranziste dovranno diventare presupposto di una battaglia comune per addetti ai lavori e tifosi. I primi segnali si sono avuti con l'uscita pubblica di solidarietà dei compagni di squadra dei due calciatori offesi e con altre manifestazioni di affetto e solidarietà trasversali nel mondo della politica e in tutta la società. Il vento, scrive il giornalista, sembra cambiato.
"Magari l'acquisto di Kadiyev e Sadayev avrà avuto finalità diverse, slegate totalmente da un discorso di identità religiosa o altro. Resta però il fatto che, grazie all'ultima figuraccia - conclude - lo sport israeliano ha preso consapevolezza della strada da percorrere".

(Notiziario Ucei, 7 febbraio 2013)


Pacifici: forze dell’ordine e magistratura si occupino di Stormfront

"A Stormfront.org, sito xenofobo e razzista, ci pensino le forze dell'ordine e la magistratura". Lo dice il presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, dopo la denuncia di Alessandro Ruben, parlamentare uscente di Fli e candidato al Senato nella lista 'Con Monti per l'Italia', che ha sollevato il caso di un video su Youtube dal titolo 'Il nemico occulto', nel quale si parla di una presunta lobby ebraica che influenza la vita democratica del nostro Paese.
"Ci siamo costituiti parte civile contro Stormfront - aggiunge Pacifici - ed e' in atto un processo. Siamo in una fase in cui l'avvocato di uno degli incriminati presenta le scuse e ci chiede come poter rimediare alle cose nefande che hanno fatto e scritto su quel sito. Devo capire come si conciliano questi ravvedimenti con reati che sono reiterati. La palla deve passare alla giustizia: il problema non e' condannare Stormfront, ma lottare contro tutto ciò di razzista va sulla rete".
"Sul web c'e' l'odio per i diversi - denuncia il presidente della comunità ebraica di Roma - la caduta di questo governo e le elezioni anticipate non hanno consentito di avere questi due mesi per andare a dama sulla proposta Riccardi-Severino, in merito alla lotta al razzismo, al cybercrime e al reato di negazionismo, recependo l'accordo quadro del 2008 di Budapest, che invita gli Stati membri a legiferare come reato il negazionismo, come gia' avviene in 14 Paesi europei. In Italia - fa notare - c'e' stato un impegno bipartisan per far approvare questi provvedimenti, ma lo scioglimento delle Camere non ha consentito di portare a termine il percorso".
"Chiediamo alla politica - rimarca Pacifici - e a tutti i candidati di ogni schieramento, cosa pensano di queste proposte di legge. Nuove realta' politiche come il Movimento 5 Stelle, Rivoluzione civile e la Destra di Storace, come si esprimono? Sarebbe interessante sapere se almeno su questi argomenti c'e' unita', anche nelle giuste e diverse prospettive su altri temi".

(Comunità Ebraica di Roma, 7 febbraio 2013)


La rete di Hezbollah e gli «amici» europei

di Fausto Biloslavo

  
"Militanti" agli ordini del Partito di Allah
Migliaia di affiliati, cellule dormienti, operativi che si infiltrano in Israele ed ong islamiche per la raccolta fondi sono la rete di Hezbollah in Europa.
Martedì la Bulgaria ha rivelato i legami fra i terroristi dell'attentato anti israeliano di Burgas del luglio scorso con il Partito di Dio
Sarebbe meglio chiamarlo "Partito di Allah", saremmo tutti più contenti, compresi gli islamisti.
libanese. L'Unione Europea dovrà decidere se iscrivere Hezbollah nella lista nera dei gruppi del terrore. Da Beirut il numero due dei miliziani sciiti, Naim Qassem, parla di «campagna diffamatoria di Israele». Hezbollah è ben radicato in Europa e conta su amici influenti per timore di rappresaglie o calcolo politico.
Prima delle rivelazioni bulgare l'Olanda era l'unica, sui 27 Paesi Ue, ad aver bollato il movimento armato sciita come organizzazione terroristica vietando qualsiasi attività sul suo territorio. L'Inghilterra ha messo al bando solo il servizio segreto estero di Hezbollah, ma non il Partito di Dio. Nel 2009 il Foreign Office ha dato il via libera a contatti «attentamente selezionati» con personaggi dell'ala politica degli sciiti libanesi.
Germania, Francia e Spagna hanno invece proibito la messa in onda della televisione del Partito di Dio, Al Manar. Gli altri Paesi Ue non hanno preso alcun provvedimento nei confronti della rete di Hezbollah in Europa. Nel 2006, l'allora ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, andava a braccetto in giro per Beirut bombardata dagli israeliani con un deputato del Partito di Dio. Lo scorso anno il ministro degli Esteri di Cipro, Erato Kozakou-Marcoullis, aveva ammesso che «non c'è consenso nella Ue nell'inserire Hezbollah nella lista nera, perché mancano prove tangibili».
I caschi blu nel sud del Libano, comandati dal generale Paolo Serra, hanno sempre avuto a che fare con Hezbollah, che controlla la parte meridionale del Paese dei cedri.
Nel 2011 il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, aveva accusato i miliziani sciiti dell'attacco a soldati francesi della missione Onu.
La Germania è il Paese europeo preferito da Hezbollah: secondo i servizi segreti i suoi affiliati sul suolo tedesco sono 950. Nel 2008 hanno arrestato all'aeroporto di Francoforte quattro libanesi con 8,7 milioni di euro. I soldi derivavano dal traffico di cocaina in Europa e due dei sospetti erano stati addestrati in un campo di Hezbollah. Si sospetta che parte del narcotraffico nel vecchio continente serva a finanziare i miliziani sciiti in Libano. Hezbollah ha sempre smentito.
In tutta Europa vengono raccolti fondi da una rete di ong che ufficialmente sono destinati ad opere sociali in Libano, ma sotto il controllo delle organizzazione umanitarie legate al Partito di Dio. La stessa Unione Europea finanzia con 3,8 milioni di dollari un programma educativo libanese che inculca ai giovani studenti il «mito della resistenza» anti israeliana.
Nel 2006 il Tesoro inglese ha chiuso la filiale della banca iraniana Saderat. Attraverso i suoi conti Teheran aveva trasferito 50 milioni di dollari per i miliziani sciiti.
Il vero pericolo sono le «cellule dormienti» disseminate in Europa. «Hanno degli operativi che non utilizzano da tempo, ma possono venir attivati in caso di necessità», spiega Alexander Ritzmann della Fondazione per la democrazia di Bruxelles.
Non solo: i passaporti e gli aeroporti europei sono i preferiti per infiltrare quinte colonne di Hezbollah in Israele. Una dozzina di spie e terroristi partiti dall'Europa come Hussein Mikdad, Stephan Josef Smyrek, Fawzi Ayoub sono stati catturati dagli israeliani.

(il Giornale, 7 febbraio 2013)


Israele impone una no-fly zone di fatto sul nord della Siria

di: Niccolò De Scalzi

Benny Gantz, capo di stato maggiore dell'IDF, Benjamin
Netanyahu e il ministro della difesa Ehud Barak durante
una riunione pochi giorni prima dello strike in Siria
Nel settembre del 2007 nel corso di una telefonata carica di tensione l'ex primo ministro israeliano Ehud Olmert avvisò George Bush che anche senza il sostegno americano l'aviazione israeliana avrebbe arrestato il programma nucleare siriano. Pochi giorni quella telefonata, il 7 settembre, alcuni caccia israeliani colpirono il misterioso complesso industriale di Al-Kibar nei pressi della città di Deir Ez-Zor. Proprio all'interno del compound si trovava un reattore nucleare a grafite di produzione nord coreana. L'operazione "Frutteto" fu un successo per Israele, l'ex ministro Olmert era stato di parola.
All'alba del 30 gennaio scorso, due caccia israeliani hanno colpito e distrutto un convoglio in movimento carico di armi in territorio siriano. Secondo quanto sostengono fonti di intelligence occidentale, i caccia, muovendosi a bassa quota e lentamente, avrebbero colpito anche un complesso militare a Jamraya. I due fatti sono collegati dato che il camion colpito dall'aviazione israeliana trasportava una batteria di missili anti-aereo SA-17 di fabbricazione russa che si trovavano proprio al deposito di Jamraya. A differenza di quanto inizialmente riportato il deposito di Jamraya sarebbe stato colpito "per errore" dato che si trovava poco distante dal convoglio in movimento. Secondo il dipartimento del tesoro americano, lo Scientific Studies and Research Centre di Jamraya sarebbe il luogo dove il regime di Bashar al-Assad sviluppa e produce armi non convenzionali e testate missilistiche. Difficile pensare che l'aviazione israeliana avesse intenzionalmente colpito un deposito di gas nervini e sarin, dato l'alto rischio di diffusione di agenti patogeni.
Il 3 febbraio, nel corso della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, il ministro della difesa Ehud Barak ha implicitamente confermato che lo strike è opera israeliana, "non posso aggiungere altro a quello che avete letto sui giornali, quello che è successo in Siria è la prova di ciò che abbiamo detto e cioè che non può essere consentito muovere armi dalla Siria". Secondo DEBKAfile, fonte vicina all'intelligence israeliana, immediatamente dopo la replica dell'operazione "Frutteto" a Damasco è arrivato Saeed Jalilee, segretario del Consiglio supremo di sicurezza iraniano. L'Iran e la Siria stanno valutando come attivare dispositivi di mutua sicurezza assieme ad Hezbollah.
Il lento collasso del regime siriano avrebbe portato negli ultimi mesi diversi uomini di Hezbollah a Damasco, Aleppo e Homs con lo scopo di aprire un ponte verso il Libano. Grazie a questo canale si cerca di far arrivare dalla Siria armi sofisticate e gas tossici oltre ad ufficiali in grado di addestrare le milizie di Hezbollah ad usarle. Secondo fonti di intelligence occidentali, Mustafa Badr Al Din, uno dei top leader di Hezbollah, starebbe guidando la diserzione di ufficiali alawiti verso il Libano. Il convoglio colpito trasportava missili SA-17 acquistati dalla Siria proprio dopo l'operazione "Frutteto" quando, per la prima volta, i caccia israeliani bucarono le difese radar siriane senza che nessuno si accorgesse di nulla. I SA-17 sono in grado di ingaggiare 24 obiettivi simultaneamente e hanno tutto il potenziale del "game changer" per gli equilibri regionali. Se scivolassero nella mani di Hezbollah per i droni israeliani sarebbe impossibile sorvolare il Libano per presidiare il confine nord israeliano
Per prevenire rappresaglie in seguito allo strike in territorio siriano, il 29 gennaio l'esercito israeliano (il giorno prima dell'attacco) aveva deciso il trasferimento ad Haifa (nel nord di Israele) 2 batterie su 6 del sistema Iron Dome ("cupola d'acciaio"), mentre più a nord, in Turchia, 6 batterie di Patriot sorvegliano i confini con la Siria.
Con questo avvertimento Israele ha di fatto stabilito una no-fly zone lungo il confine tra Siria e Libano. Una misura necessaria per creare una zona cuscinetto tra il nord di Israele e la Siria che arriva sino alle alture del Golan. Qui si trova l'altra buffer zone necessaria a Gerusalemme per garantire la sicurezza dei 39.000 israeliani che vivono nelle alture, dove da mesi si susseguono scontri tra ribelli e il regime siriano con spettro di infiltrazioni qaediste. Non a caso nel luglio scorso Ehud Barak, proprio durante una visita nel Golan, affermò di non poter scartare la possibilità di uno strike chirurgico sulla Siria in caso di movimenti sospetti di armamenti missilistici o agenti patogeni.
Secondo fonti militari riportate da DEBKAfile, il 22 gennaio, Aviv Kochavi, direttore dell'Aman (l'intelligence militare israeliana) avrebbe avvisato preventivamente il presidente Obama dell'intenzione di colpire il territorio siriano. Contemporaneamente, Yakov Amidror, fidato consigliere di Netanyahu sarebbe volato a Mosca per mettere al corrente Putin di quanto stava per accadere.
Il disco verde di Washington rappresenta a tutti gli effetti un precedente per la crisi siriana. Per la prima volta l'America autorizza l'intervento di un attore esterno in una guerra civile che in 22 mesi ha già causato 60.000 morti e 70.000 rifugiati (fonte: Nazioni Unite). Lakhdar Brahimi, inviato speciale dell'Onu in Siria ha parlato di città che, per effetto dei bombardamenti dell'aviazione del regime, ricordano Monaco nel 1945
Per il governo israeliano il collasso della Siria rappresenta un rompicapo. Da un lato rimuovere Assad priverebbe l'Iran dell'unico alleato nell'area e indebolirebbe il sostegno con gli Hezbollah libanesi. Dall'altro, il complesso mosaico etnico religioso siriano, con la caduta di Assad avrebbe effetti destabilizzanti per tutta l'area. Michael Herzog, capo gabinetto del ministero della difesa e uomo molto vicino a Barak, ha messo in chiaro le preoccupazioni israeliane in vista di quello che ha chiamato il "regime crumbling" siriano. Non esiste soluzione militare per Damasco, ma solo un compromesso per mantenere equilibrio etnico religioso. Lo scenario più probabile è una frammentazione territoriale in più stati confessionali.
Il silenzio israeliano sullo strike chirurgico al convoglio siriano è definito "strategico", un mix di deterrenza e minacce attive coperte da un velo di silenzio per non surriscaldare anche con le dichiarazioni una situazione già delicata. Non risulta tutt'ora chiaro come sia stato possibile bucare le difese siriane senza attivare i sistemi anti-missile del regime, così come non è esclusa la possibilità che i caccia dell'Israeli Air Force abbiano attraversato lo spazio aereo turco (altro plausibile motivo del silenzio israeliano). Il via libera di Washington potrebbe essere un messaggio per Bashar al-Assad, Israele è il nostro martello.

(Meridiani Relazioni Internazionali, 7 febbraio 2013)


La star di «X Factor» sospesa da scuola

La 17enne Ofir punita per aver cantato davanti agli uomini. Il rabbino: «Inammissibile che una donna si comporti così»

di Davide Frattini

  
GERUSALEMME - Ofir (nella foto) porta l'abito nero e giallo con la gonna che copre le ginocchia e le maniche che nascondono i gomiti. Osserva le regole della sua famiglia e del villaggio religioso dove vive, il moshav Nir Galim sulla costa verso sud. Non è bastato ai rabbini che dirigono la sua scuola: Ofir ha cantato da sola in pubblico - davanti a milioni di israeliani - perché ha voluto partecipare al concorso televisivo The Voice , versione locale dello show americano. È?stata punita, sospesa per due settimane, i genitori hanno accettato il castigo, non l'hanno tenuta a casa.
Ofir Ben-Shetreet è andata avanti, si è presentata ai giudici dello spettacolo che definiscono la sua voce «angelica» e tra loro ha scelto come mentore il «diavolo»: Aviv Geffen, il simbolo della Tel Aviv libertaria e trasgressiva. La rockstar l'ha sfidata a lasciarsi guidare da lui, lei ha intuito che può aiutarla a sviluppare il suo talento di diciassettenne.
Zvi Arnon, il rabbino del villaggio, giustifica la decisione della scuola (che sta ad Ashdod, metropoli portuale poco lontana), la sospensione è arrivata dopo le proteste dei genitori di altri allievi. «Per me Ofir resta - ha commentato in un'intervista al Canale 7 - una giovane con una forte moralità, molti nel villaggio la difendono. Ma nessun leader religioso può permettere che una donna canti davanti agli uomini».
La regola del kol isha è tra le più contestate dai laici, viene applicata alle cerimonie di Stato o militari, dove spesso i soldati ortodossi lasciano la sala per non ascoltare le donne cantare. Un anno fa la Giornata della Gioventù aveva spaccato la cittadina di Kfar Sava, quando i movimenti religiosi avevano preteso che nessuna ragazza si esibisse.
«Io canto fin da quando sono bambina - racconta Ofir - e sento il bisogno di realizzare il mio talento. La Torah vuole che siamo felici e invita ad ascoltare la musica per esserlo. Credo sia possibile conciliare le regole con questi insegnamenti, per questo ho scelto di partecipare allo show».
Rabbini moderati come Aaron Leibowitz sentono in lei «la voce di una generazione che sta cambiando. Non ha rinunciato alla religione, sta cercando la sua strada attraverso le definizioni classiche di giudaismo. Questi giovani - uso una metafora musicale - stanno attuando un remix». Lo psicanalista Carlo Strenger invita sul quotidiano Haaretz il presidente americano Barack Obama a seguire l'accoppiata Ofir-Aviv Geffen per scoprire «un'Israele normale»: «Le elezioni di fine gennaio sono state presentate come una guerra tra tribù, gli ultraortodossi contro i laici. Dobbiamo capire che siamo una società multiculturale di immigrati che deve imparare la tolleranza per sopravvivere».

(Corriere della Sera, 7 febbraio 2013)


Roma chiama Tel Aviv, proposte e nuovi percorsi

ROMA - Molti gli argomenti all'ordine della conferenza stampa che si è svolta a Tel Aviv, in occasione della missione istituzionale di Roma Capitale. L'ambasciatore italiano a Tel Aviv, Francesco Maria Talò ha aperto le porte della propria residenza per favorire l'incontro tra Roma Capitale e i suoi operatori turistici con le istituzioni e il mondo del turismo di Israele. Roma Capitale, rappresentata da Antonio Gazzellone - delegato del sindaco Alemanno al turismo, sarà presente fino al 7 febbraio anche alla IMTM - International Mediterranean Tourism Market nella convinzione che i forti legami tra Roma e la comunità ebraica internazionale siano un elemento importante anche in termini di sviluppo di nuovi flussi turistici verso la capitale.
Il turismo romano continua a crescere positivamente, come evidenziato puntualmente dai dati elaborati dall'EBTL - Ente Bilaterale per il turismo del Lazio ed ha chiuso il 2012 con un saldo positivo del +5,11% rispetto al 2011.

(Italpress, 7 febbraio 2013)


La gioventù hitleriana palestinese si prepara al Jihad

Quasi 10.000 bambini palestinesi hanno ricevuto un addestramento militare da Hamas, allo scopo di prepararsi al jihad nei confronti di Israele. Gli esponenti di Hamas riportano che circa 9.000 bambini si sono iscritti nei 36 campi dislocati in tutta la Striscia di Gaza, dove hanno appreso l'uso di diverse armi, e a maneggiare esplosivi.
I campi sono stati intitolati "Al Futuwwa": è il nome del movimento giovanile nazionalista panarabo di simpatie naziste, esistente in Iraq durante gli anni '30 e '40. Nel 1938, il movimento Al Futuwwa inviò un delegato alle celebrazioni del partito nazista a Nuremberg, e ricevette in seguito la visita del leader della gioventù hitleriana Baldur von Schirach. Hamas afferma che lo scopo di questi campi è di preparare i bambini palestinesi, sia dal punto di vista militare che da quello psicologico, a «liberare la Palestina dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo)", rispecchiando le ambizioni di Hamas di sradicare lo stato ebraico nella sua interezza.
Khaled Abu Toameh, un giornalista arabo israeliano del Jerusalem Post, si chiede: «come si può parlare di soluzione di due stati per due popoli, quando migliaia di bambini palestinesi sono educati ad usare armi ed esplosivi per cancellare lo stato ebraico e rimpiazzarlo con uno islamico? Mahmoud Abbas ritiene che questi bambini accetteranno mai una strategia di pace nei confronti di Israele?»
Secondo Abu Toameh, questo addestramento è tenuto sotto la supervisione del ministero dell'istruzione di Hamas.
La passata settimana, durante una cerimonia di consegna dei diplomi per migliaia di bambini, il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh ha affermato che il suo movimento sta pianificando l'istituzione di una accademia militare. E rivolgendosi ai cadetti, ha dichiarato: «siete voi i futuri leader. Condurrete il popolo verso la libertà e la dignità. I campi Al-Futuwwa porteranno alla vittoria e alla liberazione di tutta la Palestina, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo».

Fonte: The Commentator

(Il Borghesino, 6 febbraio 2013)


L'ufficio di Google a Tel Aviv: un paese delle meraviglie

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Chi si reca ogni giorno nel nuovo ufficio di Google a Tel Aviv, in Israele, ha senz'altro un secondo lavoro: gestire l'invidia di chi non può accedervi. Più che un quartier generale, quello disegnato dall'azienda Camezind Evolution, in collaborazione con Setter Architects e lo Studio Yaron Tal, è un vero e proprio paese delle meraviglie grande 7.800 metri quadrati.
Scrivanie e computer quasi si "nascondono" per non rovinare l'ambiente surreale creato all'interno: i corridoi assomigliano a vicoli di piccole città, la sala riunioni sembra ideata per surfisti e non per ingegneri e dietro l'angolo ci si può imbattere addirittura in un frutteto. Per non parlare dei ristoranti: sono tre e ognuno ha un proprio stile.
Tutti gli spazi, disposti su un totale di sette piani, costituiscono una sorpresa continua e sono l'ideale per "sognare", come Google invita i suoi dipendenti a fare tramite una grande scritta lucente - "Dream" - posta su una delle pareti. Al risveglio, magari, ci sarà anche tempo per lavorare.

(L'Huffington Post, 6 febbraio 2013)


Quanti politici ci andavano a braccetto...

di Fiamma Nirenstein

E ora cosa ci racconteranno i volenterosi politici dell'Ue che ancora il 9 gennaio scorso non potevano trovare un accordo sul fatto che gli Hezbollah sono terroristi? Francia e Germania ci spiegheranno ancora che se anche un po' terroristi lo sono «hanno forza politica e sono socialmente impegnati» come disse Massimo D'Alema dopo la passeggiata di Beirut dell'agosto 2006? Ci ricorderanno di nuovo che fanno parte del governo e che accusandoli si destabilizza il Libano? Eppure in questi anni gli Hezbollah di destabilizzazione ne hanno distribuita in tutto il mondo, e intrisa di sangue. 1983: due autobombe, 241 marines americani e 58 parà francesi uccisi; 1984: 18 americani uccisi in Spagna; 1985: un aereo Twa dirottato; 1992: 29 morti all'Ambasciata d'Israele e poi nel '94 altre 85 vittime al centro ebraico di Buenos Aires… fino alla strage del 14 febbraio 2005 in cui vengono uccisi a Beirut il premier libanese Rafiq Hariri più altre 21 persone… la lista arriva fino a Burgas ed è incoronata dall'aiuto dato dagli Hezbollah alle stragi di Assad in Siria e da almeno 40mila missili in loro possesso. Finalmente abbiamo sentito della gente per bene parlare chiaro in Bulgaria! Che farà ora il resto d'Europa?

(Informazione Corretta, 6 febbraio 2013)


Tredicimila visitatori a 'Piazza Italia' a Tel Aviv

Lo spazio all'International Mediterranean Tourism Market

TEL AVIV, 6 feb - 'Piazza Italia': una vetrina sul paese che ha attirato, grazie alle sue proposte, ben 13.000 visitatori alla principale Fiera del turismo in Israele, l''International Mediterranean Tourism Market 2013' in corso a Tel Aviv. Organizzato dall'Enit, la 'Piazza' - uno spazio di oltre 100 metri quadri - ha visto gli stand della regione Puglia, di Roma Capitale e una delegazione della regione Marche, tutte intenzionate ad incrementare i flussi turistici da Israele verso l'Italia. ''Cultura, arte, itinerari paesaggistici, gastronomia: un patrimonio immenso - ha detto l'ambasciatore italiano Francesco Maria Talo' in una serata organizzata per le delegazioni italiane - in grado di soddisfare qualsiasi esigenza turistica. L'Italia e le sue citta', a partire da Roma, sono un polo di richiamo mondiale. Un asset che si puo' incrementare e che ha grande significato nel sistema economico nazionale. E' stato quindi molto importante partecipare ad un evento come la Fiera di Tel Aviv visitata da cosi' tanti tour operator israeliani. Una prova ancora della collaborazione di sistema tra Ambasciata e la Camera di Commercio Italia-Israele''. ''I risultati del turismo a Roma, con un incremento nel 2012 rispetto all'anno precedente del 5,46% negli arrivi e del 4,80% nelle presenze, sono un chiaro segno - ha osservato Antonio Gazzellone, delegato al settore del sindaco Gianni Alemanno accompagnato a Tel Aviv dal presidente della Federalberghi Roma e Lazio, Tommaso Tanzilli - della strategia messa in atto dall'amministrazione comunale e che sta dando risultati importanti''. Gazzellone ha poi sottolineato l'importanza dei ''forti legami tra Roma e la Comunita' ebraica internazionale come elemento importante per lo sviluppo di nuovi flussi turistici nella capitale''. Tema condiviso dal presidente della Comunita' ebraica romana Riccardo Pacifici che, tra l'altro, ha ricordato il successo in termini di visitatori del Museo ebraico della Sinagoga e lo sviluppo della ristorazione kasher (cibo e cucina secondo le regole ebraiche) che oggi conta nella Capitale ben 35 ristoranti.
''I risultati della 'vendita' di Roma e dell'Italia dal punto di vista turistico testimoniano la qualita' dell'approccio piu' professionale di questi ultimi anni. E' una strada - ha sottolineato Cobi Benatoff presidente della Camera di Commercio Italia-Israele - che intendiamo continuare a percorrere per raggiungere obiettivi ancora piu ambiziosi'' .

(ANSA, 6 febbraio 2013)


È arrivata a Tel Aviv la mostra multimediale 'Van Gogh Alive'


La mostra multimediale, dedicata al genio della pittura olandese, è sbarcata nella città costiera israeliana dopo aver già raccolto centinaia di migliaia di visitatori in diversi Paesi, come Turchia, Singapore e Stati Uniti. Tremila le immagini proiettate su quaranta schermi giganti ad alta definizione, muri, colonne, soffitti e perfino pavimenti. Il visitatore resta immerso nei colori. Tra le opere proiettate anche gli autoritratti del pittore. "Van Gogh Alive" è una mostra itinerante creata nel 2011 in Australia. A Tel Aviv rimarrà aperta fino al 3 marzo.

(euronews, 6 febbraio 2013)


Gan Gnam Gaza Style

Questi ragazzi di Gaza hanno creato la loro personale versione del popolarissimo Gan Gnam Style della (ormai) popstar coreana Psy. Usando la telecamera del cellulare si sono ripresi mentre imitano i passi del ballo sullo sfondo di una Gaza distrutta. Il video vuole sottolineare le dure condizioni di vita della città, così compaiono cartelli che evidenziamo quali sono i problemi più rilevanti: disoccupazione, mancanza di carburante e elettricità. "Grazie a Dio possiamo mandare un segnale al mondo intero ecco perché abbiamo fatto questo video: per divertire, lanciando però un messaggio forte".
Video

(la Repubblica, 6 febbraio 2013)


A Gaza non vivono né possono vivere ebrei. Che cosa ne pensano questi giovani? Gli arabi palestinesi che vivono in mezzo agli ebrei israeliani nella “Palestina occupata” stanno molto meglio. Hanno mai provato i ragazzi di Gaza a mettere insieme quesi due fatti? M.C.


La libertà di stampa (secondo Hamas)

di Dimitri Buffa

Di questo ovviamente Human rights watch non se ne occupa e Amnesty "Amnesy" neanche (tranne qualche raro caso): la libertà di stampa sarà mai concepibile nel futuro stato di Palestina già ammesso come osservatore all'Onu con l'inopinato voto del governo Monti? Secondo il sindacato dei giornalisti palestinesi, a fine gennaio di nuovo in sciopero contro le prepotenze squadristiche di Hamas ma anche dell'Anp, sicuramente no. Per ora vige l'intimidazione, la bastonatura e in non pochi casi l'omicidio. Hamas ha ripetutamente preso di mira il sindacato dei giornalisti negli anni seguenti alla presa di potere nel 2007, e ha cercato di rimpiazzare i membri di questo gruppo con giornalisti affiliati ad Hamas stesso.
Le uniche notizie in materia vengono prevalentemente da un gruppo su facebook che si chiama "Progetto Dreyfus" e che tutela il diritto alla inormazione corretta su Israele, senza disdegnare di occuparsi di diritti umani nei paesi arabi limitrofi. Pare che un po' di giorni orsono il governo di Hamas abbia categoricamente negato di aver arrestato nessun giornalista, ha affermato un corrispondente di Ma'an dopo un incontro con gli ufficiali del ministero degli interni a Gaza City.
Ma proprio un sibillino comunicato dal ministro degli interni che annunciava che «alcune adunate di persone con mestieri differenti stava ponendo domande su alcune questioni che mettono a repentaglio la sicurezza della comunità» erano state disperse con la forza ha posto più di un dubbio sulla versione ufficale. Secondo Hamas i randellati non sarebbero giornalisti veri e propri: «Queste persone non sono giornalisti in maniera categorica. Persino coloro che lavorano come giornalisti in realtà usano questo campo come una copertura per portare a termine atti alquanto loschi».
Sia come sia, il sindacato dei giornalisti palestinesi si è rivolto ad Hamas per domandare il rilascio dei sei giornalisti detenuti a Gaza City dopo una campagna di arresti arbitrari contro reporter e cronisti effettuata nell'ultima settimana di gennaio e conclusasi con l'arresto di sei persone considerate spie di Fatah. Anche la federazione internazionale dei giornalisti, di solito molto attiva soprattutto contro Israele, ha accusato giovedì scorso le forze di sicurezza di Gaza di aver lanciato una vera e propria caccia al cronista.
«Il clima di pura brutalità e di spietata intimidazione, che prende di mira il giornalismo a Gaza, ha nuovamente mostrato che Hamas non è certo amico della libertà di stampa» ha detto in un comunicato il presidente della federazione Jim Boumelha.

(l'Opinione, 6 febbraio 2013)


Gli Hezbollah dietro l'attentato che uccise cinque turisti israeliani in Bulgaria

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In Bulgaria le indagini sull'attentato terroristico dello scorso luglio a Burgas, sul Mar Nero, portano direttamente agli Hezbollah libanesi.
Nell'attacco un uomo si era fatto esplodere su un autobus, uccidendo cinque turisti israeliani e l'autista bulgaro.
Secondo l'inchiesta delle autorità l'attentato è stato orchestrato da tre persone.
Oltre all'uomo che ha agito il giorno stesso, gli altri due indiziati - ha precisato il ministro dell'interno bulgaro, Tsvetan Tsvetanov - hanno passaporti canadese e australiano.
In passato erano stati già segnalati per aver avuto legami con il gruppo fondamentalista sciita Hezbollah. Entrambi vivevano in Libano, uno dal 2006, l'altro dal 2010.
Da Israele la reazione del primo ministro Benjamin Netanyahu che ha sottolineato che le indagini confermano che gli Hezbollah libanesi, alleati con l'Iran stanno conducendo una "campagna basata sul terrore a livello mondiale".

(euronews, 5 febbraio 2013)

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Iran ed Hezbollah dietro all'attentato di Burgas: adesso ci sono le prove

di Sharon Levi

Sono stati terroristi di Hezbollah su commissione dell'Iran a compiere l'attentato che lo scorso 18 luglio ha ucciso cinque turisti israeliani nella città bulgara di Burgas. A sostenerlo è il rapporto di chiusura delle indagini della magistratura bulgara che verrà diffuso oggi ma del quale se ne sono avute alcune anticipazioni.
I dettagli dell'indagine erano già stati condivisi qualche settimana fa dalle autorità bulgare con quelle israeliane quando il ministro degli Esteri bulgaro, Nikolai Mladenov, era volato a Gerusalemme per una visita a sorpresa che aveva proprio lo scopo di illustrare al Primo Ministro Netanyahu e al Presidente Peres i risultati finali dell'indagine.
Nessuna sorpresa da parte israeliana. Le prove raccolte sin da subito puntavano dritto verso l'Iran ed Hezbollah e Gerusalemme ha subito puntato il dito verso il gruppo terrorista sciita libanese. In quell'occasione Gerusalemme era tornata a chiedere all'Unione Europea di inserire Hezbollah nella lista nera dei gruppi terroristici, ma l'Europa aveva nicchiato dicendo che voleva aspettare i risultati dell'indagine. Ora vedremo come si comporteranno gli europei di fronte al rapporto finale sull'attentato di Burgas.
In Europa c'è una forte corrente a favore di Hezbollah e fortemente anti-israeliana, una fronda potente guidata da Catherine Ashton e che comprende gruppi trasversali che più o meno riguardano tutti i Paesi europei, dalla Gran Bretagna alla Francia per finire all'Italia dove, specie a sinistra, il gruppo pro-Hezbollah può vantare nomi eccellenti tra i quali il probabile prossimo Ministro degli Esteri, Massimo D'Alema.
Nonostante queste ulteriori prove della connotazione terrorista di Hezbollah, a Gerusalemme non nutrono molte speranze che l'Unione Europea abbia un sussulto di onorabilità e inserisca il movimento terrorista sciita libanese nella lista nera. "Troveranno sicuramente un'altra scusa per non farlo" fa sapere un funzionario del Ministero degli Esteri israeliano.

(Rights Reporter, 5 febbraio 2013)


Peres attacca l'Iran all'inaugurazione della Knesset

Il presidente israeliano mette in guardia contro l'Iran in occasione della seduta inaugurale del nuovo Parlamento. Shimon Peres è intervenuto davanti ai 120 deputati eletti il 22 gennaio.
Il premier uscente Benjamin Netanyahu è stato incaricato di formare il nuovo governo. Proprio Netanyahu negli ultimi mesi aveva minacciato di ricorrere a un'operazione militare contro gli impianti nucleari iraniani.
Dal canto suo Peres davanti alla diciannovesima Knesset ha affermato che la minaccia di un Iran dotato di armi nucleari sta crescendo sotto quella che ha definito la terrificante dittatura alla guida della Repubblica islamica. Peres ha inoltre accusato Teheran di sponsorizzare la milizia libanese Hezbollah.

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(euronews, 5 febbraio 2013)


Tappeto rosso per la nuova Knesset

di Rossella Tercatin

  
Molti ipotizzano che non durerà a lungo, ma oggi i riflettori sono tutti puntati sulla cerimonia di insediamento della diciannovesima Knesset nella storia dello Stato d'Israele.
Tappeto rosso e fiori per i 120 deputati eletti lo scorso 22 gennaio, suddivisi in 12 partiti. Sono ben 49 i nuovi politici, un numero record, ha fatto notare all'indomani delle elezioni il Jerusalem Post, pari al 41 per cento dei seggi totali. E per assicurarsi che siano ben preparati ai compiti che li aspettano, negli scorsi giorni sono stati chiamati a frequentare un corso accelerato sul funzionamento del Parlamento, come racconta il Times of Israel. A tenerlo sono stati il presidente dell'attuale Knesset Reuven Rivlin e Binyamin Ben-Eliezer, 77 anni, veterano del Parlamento, in cui siede dal 1984. Tra i temi affrontati, le procedure legislative, ma anche le regole etiche che i membri della Knesset devono rispettare (per esempio è proibita la richiesta di farsi spostare in classi più alte sui voli). Record anche per la presenza femminile, il 23 per cento dei parlamentari insediati oggi sono donne, 27 in totale. Circa un terzo i deputati che dichiarano di condurre uno stile di vita religioso, mentre il 10 per cento degli eletti vive oltre la Linea verde, rispetto al 4 per cento del totale della popolazione israeliana. Sette infine gli immigrati: quattro dall'Ex Unione Sovietica, due dall'Etiopia e uno dagli Stati Uniti.
Nel frattempo proseguono le trattative per la formazione del nuovo governo guidato da Benjamin Netanyahu. La stampa israeliana riferisce che gli sforzi in questo momento sarebbero concentrati sul convincere Tzipi Livni a farne parte. O, quanto meno, a garantire l'appoggio dei sei parlamentari del suo Hatnua.

(Notiziario Ucei, 5 febbraio 2013)


Ahmadinejad in Egitto

IL CAIRO - Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è arrivato oggi al Cairo per la prima visita di un capo di Stato iraniano in Egitto dalla rivoluzione del 1979, in un appuntamento che sottolinea rapporti più aperti tra i due Paesi da quando in Egitto è stato eletto un capo di Stato islamico.
Il presidente Mohamed Mursi ha accolto Ahmadinejad baciandolo quando è sceso dall'aereo all'aeroporto del Cairo, come si vede nelle immagini della tv egiziana.
La visita sarebbe stata inimmaginabile durante il governo di Hosni Mubarak, che nei suoi 30 anni al potere ha salvaguardato il trattato di pace con Israele e ha intensificato i rapporti tra il Cairo e l'Occidente.

(Reuters, 5 febbraio 2013)


Haredim, un mondo complesso

di Hulda Liberanome

Sono appena tornata da Israele dove sono rimasta tre settimane vedendo numerose persone. Penso che possano interessare i lettori di Moked alcuni dati che riguardano il mondo haredi apparsi in uno studio molto accurato appena pubblicato ed eseguito dal dipartimento di geostrategia dell'università di Haifa dal professor Arnon Soffer, dalla dottoressa Li Kahaner e da Nicola Yuscoff.
Secondo la ricerca il numero dei haredim nel mondo si aggira su 1 milione e 396mila di unità complessive di cui 800mila in Israele (13 per cento del totale della popolazione ebraica), 468mila negli Stati Uniti (8 per cento), 53mila in Gran Bretagna (20 per cento), 20mila in Belgio (60 per cento) e 25mila in Francia (5 per cento). Sono praticamente spariti i centri dei haredim in Russia a causa della politica del regime comunista, mentre l'88 per cento dei haredim nei numerosi nuclei che esistevano prima della seconda guerra mondiale in Polonia sono periti nella Shoah. La percentuale dei haredim che vivono in Israele è da anni tendenzialmente in aumento a causa dell'emigrazione e soprattutto per l'incidenza delle nascite che nell'ultimo decennio si è aggirata su 7.7-5.6 bimbi per donna in età fertile. I haredim israeliani si dividono fra hassidim (33 per cento), lituani (29 per cento), ortodossi sefarditi (21 per cento) per lo più influenzati dalla rigida scuola dei lituani. La maggioranza di loro abita a Gerusalemme e a Bnei Brak ma negli ultimi anni si è delineata una chiara tendenza, specie fra le giovani coppie, di stabilirsi altrove - anche in alcuni insediamenti - ma comunque preferibilmente dove sono in assoluta prevalenza numerica. La maggioranza dei haredim ashkenaziti è politicamente rappresentata dal piccolo partito Deghel Hatorah che ha sempre avuto i suoi membri nella Knesset mentre i sefarditi votano per lo più per Shas che rappresenta molti sefaradim ortodossi e non è numericamente assai più importante. I sefaradim ortodossi tendenzialmente non si chiudono in quartieri particolari. La numerosità della famiglia media e il fatto che una parte cospicua non lavora oppure per propria scelta lavora solo part time fa sì che il livello di vita medio dei haredim sia sotto la fascia di povertà anche se è presente un aiuto da parte dello Stato e in molti casi anche di sussidi privati. Non sono facili i rapporti fra i haredim, in minoranza, e la maggioranza dei "tradizionalisti" e soprattutto dei non praticanti perché i primi tendono a chiudersi nelle loro comunità seguendo le regole della halakhah mentre cercano di influenzare le leggi comunali e dello Stato ad esempio per quanto riguarda il servizio militare (dal quale per lo più sono liberi), l'imposizione della halakhah, l'osservanza dello shabbat, i programmi scolastici, la separazione uomini-donne, la kasherut. Il resto della popolazione in un modo o nell'altro insiste sullo Stato laico e sull'importanza decisiva della magistratura e sul diritto sostanziale di scegliere il proprio stile di vita. Questa è senza dubbio una delle fondamentali problematiche che i haredim e il resto della popolazione ebraica devono urgentemente affrontare per evitare il crescente divario fra gli uni e gli altri. La ricerca degli studiosi di Haifa parla di certe reciproche influenze fra le varie parti in cui si divide la popolazione ebraica israeliana che tuttavia, almeno fino ad oggi, si sono rivelate tutto sommato insufficienti.

(Notiziario Ucei, 5 febbraio 2013)


Manhattan terra promessa degli ebrei in fuga da Parigi

Un esodo di docenti di Science Po, imprenditori, famiglie e studenti. "In Francia troppe polemiche religiose, i musulmani ci odiano"

di Maurizio Molinari

NEW YORK - Verso le 12 di ogni sabato sui marciapiedi dell'Upper West Side si sente parlare francese. Si tratta di gruppi di fedeli in uscita dalle sinagoghe sulla 75a, 78a e 84a Strada, frequentate da un numero di ebrei francesi che cresce ogni settimana.
Sono famiglie con bambini, giovani, docenti o manager. Il consolato sulla Fifth Avenue non ha stime numeriche di questo fenomeno, le cui manifestazioni si moltiplicano.
Nella «Manhattan Day School» i docenti si sono trovati ad accogliere i figli di una famiglia arrivata con un preavviso di pochi giorni.
Mentre Alessia Lefebure, direttrice dell'«Alliance Program» fra Columbia University e «Sciences Po», parla di «un notevole numero di docenti ebrei parigini che chiedono di insegnare qui».
Per comprendere cosa sta avvenendo bisogna entrare nel Jewish Center sulla 86a Strada, dove nel marzo 2012 gli ebrei newyorchesi si strinsero assieme ai correligionari francesi per commemorare le vittime della strage nella scuola «Ozar Hatorah» di Tolosa, dove il jihadista Mohammed Merah uccise un rabbino trentenne, i figli di 6 e 3 anni e un'altra bambina di 8 anni. A guidare quella cerimonia fu Zachary, 29 anni, di Strasburgo, manager nei trasporti. «Se New York si riempie di ebrei francesi il motivo è da rintracciarsi nel 2002 - spiega - quando in coincidenza con la Seconda Intifada palestinese iniziò da noi una stagione di aggressioni fisiche da parte degli arabi che non è più cessata, hanno portato il conflitto del Medio Oriente nelle nostre strade». Oltre l'80% dei circa 600 mila ebrei francesi - la seconda comunità più numerosa fuori da Israele, dopo quella americana - viene da Marocco, Tunisia e Algeria. Famiglie sefardite con alle spalle secoli di convivenza con i musulmani, obbligate a fuggire dal Maghreb a causa dei pogrom arabi degli Anni 50-60 ma che avevano poi ritrovato in Francia la coesistenza fra fedi monoteistiche. «I sintomi dell'intolleranza musulmana verso di noi c'erano anche prima del 2002 - aggiunge Daniel, impiegato di una banca francese a Manhattan - ma la Seconda Intifada li ha trasformati in atmosfera asfissiante». «L'uccisione di Ilan Halimi, 23 anni, nel febbraio 2006 fu il primo choc. Poi ne sono seguiti altri» spiega David, padre di due figli, cresciuto a Las Lilas, alla periferia di Parigi: «Quando da ragazzo andavo a scuola il 20% dei residenti erano ebrei, ora non è rimasto quasi più nessuno».
L'allontanamento dalla Francia segue un percorso che Noam Ohana, manager di BeaconLight Capital, ricostruisce così: «Ci si sposta dalla periferia di Parigi al centro, fino al XVI quartiere che ha quasi più ristoranti kosher di Manhattan, e poi il salto successivo è verso Israele o New York». La tesi di Ohana, autore del libro «Da Science Po a Tzahal», è che «gli ebrei francesi se ne vanno per motivi che non si limitano all'intolleranza ma includono ragioni simili a quelle che spingono ad andarsene il ceto medio-alto, ovvero la ricerca di migliori opportunità rispetto ad una società che non consente più di pensare in grande». Come dire: è il modello francese ad essersi indebolito. Ciò che accomuna Zachary, Daniel, David e Noam è aver frequentato le scuole pubbliche, essersi formati nella «laicità dello Stato» e aver realizzato negli ultimi 5-6 anni che «la nazione è cambiata perché dilagano le polemiche religiose». Sui cellulari c'è chi ha memorizzato le immagini dei fischi alla Marsigliese nello «Stade de France» nell'agosto 2001, in occasione di Francia-Algeria, e li riascolta, sempre più incredulo per l'«intolleranza verso la nostra nazione». La sorella di David è stata aggredita a Nizza da alcuni arabi. «Episodi che avvengono in continuazione, in strada o sulla metro - aggiunge Aharon, designer in una start up - ti obbligano a camminare a testa bassa, a mettere il cappello per celare la kippà». Il rimprovero alla polizia è di «classificare spesso le aggressioni non come antisemitismo ma rapine o violenze» celando le vere dimensioni del fenomeno.
Le simpatie politiche sono a metà fra destra e sinistra. Ohana conosce dal di dentro i socialisti di Hollande ed assicura che «c'è la determinazione a garantire maggiore sicurezza agli ebrei» ma sulla possibilità di convincerli a tornare c'è chi è prudente: «Non possono controllare le aspirazioni di coloro, ebrei o meno, che vogliono andare altrove a perseguire i propri sogni». Aharon è più concreto: «Trovare lavoro in una corporation in Francia per gli osservanti è impossibile mentre a New York non bisogna neanche spiegarlo, tutti sanno che a Kippur, nelle feste o il sabato non lavoriamo». Il risultato è che Parigi è una città da cui gli ebrei se ne vanno, senza clamore ma con continuità, portandosi dietro tradizioni e simboli. Come le maglie della «AS Menorah», che gioca sui campi di Harlem, contribuendo a modificare l'identità di una Francia dove i musulmani aumentano e gli ebrei diminuiscono.

(La Stampa, 5 febbraio 2013)


Ebrei a Roma

di Monia Manzo

Partiamo dal presupposto che Gianfranco Pannone sia uno dei più poliedrici e validi registi di documentari nell'Italia contemporanea. Dopo Io che amo solo te (2004), Il sol dell'avvenire (2008) e Scorie in libertà (2012), Ebrei a Roma si presenta a confronto come un lavoro molto più asciutto e per niente incline alla critica socio-culturale come è solito essere il DNA dei film del regista pontino.
Presentato all'ultima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Roma, il documentario è stato scelto per essere proiettato dall'Ambasciata francese in occasione della recente celebrazione della Shoah.
Ebrei a Roma rappresenta una gradevole sorpresa per coloro che non si sono mai realmente addentrati nella Roma ebraica, un luogo dove il moderno si fonde ad antiche tradizioni con naturalezza e armonia.
Pannone ci avvicina a più storie di giovani e meno giovani, rendendoci partecipi di vite che si sviluppano perlopiù in un luogo non luogo, qual'è il Ghetto. Che era nato con l'emissione da parte di Paolo V della bolla Cum nimis absurdum, con cui il papa aveva revocato tutti i diritti, determinando dalla metà del 500' discriminazioni e non indifferenti difficoltà nelle vite quotidiane degli Ebrei romani - potevano bere solo acqua di fiume e non gli era concesso possedere case, ma solo pagare "giustificati" costosissimi affitti. Oggi, a differenza dei periodi più bui, il Ghetto si presenta come luogo curato e straripante di vita, dove una fervente attività commerciale e turistica anima l'esistenza di molti suoi abitanti. Così incontriamo molti abitanti della Roma ebrea, che Pannone ama ritrarre nelle loro intimità domestiche e lavorative; a partire da Michela guida turistica all'interno del Ghetto, David Limentani il più anziano che è a capo di un'attività commerciale giunta alla settima generazione e per finire con Giovanni un simpatico quarantenne che ha deciso di avviare una fiorente attività gastronomica, basata sulle regole kosher. Il regista di Latina ha dichiarato in più occasioni di essere affascinato dalla vita degli Ebrei romani e soprattutto dalla riscoperta dei più giovani delle tradizioni ora invece riprese con entusiasmo e grande serenità che paradossalmente, invece, erano state un po' trascurate dalle generazioni post-belliche le quali, reduci delle persecuzioni, hanno preferito confondersi e in parte dimenticare il male subito dopo il rastrellamento del 1943. Vedere un lavoro di tale caratura è senz'ombra di dubbio un'operazione culturale importante in cui storia, tradizione, integrazione (viene documentata anche la testimonianza degli Ebrei libici immigrati da pochi decenni a Roma) e soprattutto la reinvenzione dell'essere ebrei, ci proiettano all'interno della più antica e vivente tradizione giudaica esistente al mondo.

Video

(close up, 5 febbraio 2013)


Arrestati venticinque militanti di Hamas

L'Esercito israeliano ha reso noto di aver arrestato durante la notte 25 militanti di Hamas in diverse zone della Cisgiordania. Gli arresti sono stati in parte confermati dallo stesso gruppo radicale palestinese, secondo cui ci sarebbero stati 20 arresti, tre dei quali riguardanti parlamentari. Costoro sono stati identificati come Hatem Kafisha, Mohammad al-Tal e Ahmad Atoun: i primi due sarebbero stati catturati a Hebron, il terzo invece a Ramallah, dove ha sede il Consiglio Legislativo, cioe' il Parlamento dell'Autorita' Nazionale Palestinese. Su un totale di 132 seggi, in quest'ultimo siedono 72 deputati di Hamas, 12 dei quali sono attualmente detenuti in Israele.

(la Repubblica, 4 febbraio 2013)


Il commento di Andrea Jarach

Andrea Jarach
Cerco sempre di rifuggire troppi accostamenti tra Shoah e Stato di Israele. Ciononostante dopo questa settimana che si è aperta con le celebrazioni del Giorno della Memoria, le relative polemiche a seguito delle dichiarazioni di Silvio Berlusconi, e l'arresto a Napoli di alcuni elementi della destra vicina a Casa Pound, intenzionati a colpire degli ebrei in quanto tali, vorrei condividere alcune riflessioni cui mi porta questo clima.
"Di fronte ai complotti degli ebrei, l'Europa non poteva sopportate i loro tratti caratteriali, le loro prerogative esclusive, la loro corruzione, il loro controllo e la loro scalata alle posizioni di governo. Nel 1290 re Edoardo I emanò un decreto che bandiva gli ebrei [dall'Inghilterra]. Dopo di lui fu la volta di Francia, Germania, Austria, Olanda, Cecoslovacchia, Spagna e Italia. Le nazioni europee ritenevano d'aver patito una tragedia per aver offerto rifugio agli ebrei. Successivamente gli ebrei ottennero la Dichiarazione Balfour, e l'Europa vide in essa una soluzione per sbarazzarsi di loro".
Il virgolettato è parte del testo di un documentario passato molte volte alla Tv Palestinese e registrato da Palestinian Media Watch. Questo ci riporta alle contiguità ideologiche tra i movimenti arabi, e il nazismo e arrivo con un veloce salto logico, che prego i lettori di perdonarmi al cuore di questo mio intervento.
Esiste senza dubbio uno strato inscalfibile di antisemitismo che accomuna il mondo, parte generato da ignoranza e parte proprio da scelta ideologica. Sulle cui origini sarebbe troppo lungo approfondire in questa sede poichè esse si perdono nella notte dei tempi.
Si tratta di qualcosa di così radicato che la razionalità nulla può. Addirittura talvolta qualcuno si dichiara "filo" ebreo/israeliano e nel farlo dà voce alle sue profonde incrostazioni antisemite "voi che siete intelligenti...".
Esso emerge in tutto l'atteggiamento dell'Europa nei confronti della questione mediorientale e anche nella elaborazione delle responsabilità verso l'orrore della Shoah. Emerge ogni giorno alle Nazioni Unite inerti di fronte agli orrori del mondo e sempre in ansia di mettere Israele, ebreo del mondo, fuori dal contesto delle Nazioni.
Questo antisemitismo ha delle conseguenze pratiche che ben riassume il signor Perugia in una lettera, pubblicata proprio da Informazione Corretta all'inizio di questa settimana, prendendo spunto dalla indignazione giustamente suscitata dalle dichiarazioni di Berlusconi su Benito Mussolini
In realtà non si tratta di una lettera del signor Perugia, ma di un articolo di Deborah Fait
.
    «... quelli che protestano sono (anche) quelli che piangono le loro lacrime di coccodrillo nella Giornata della Memoria e che poi inneggiano alle barche piene di filoterroristi che veleggiano verso Gaza per provocare Israele.
    Sono quelli che vanno a braccetto con terroristi hezbollah, sono quelli che vogliono che l'Europa allacci rapporti ufficiali con Hamas.
    Sono quelli che urlano "Israele non esiste", sono quelli che, in visita ufficiale in Israele si rifiutavano di andare a Gerusalemme non riconoscendola Capitale di Israele.
    Sono quelli che declinavano l'invito di recarsi allo Yad vaShem per non rinunciare a un incontro con Arafat, sono quelli mai venuti a dare solidarieta' a Israele in 5 anni di terrorismo quotidiano, quando qui avevamo anche 15/20 attentati al giorno.
    Sono quelli che, al contrario, andavano a dare solidarieta' a chi ci massacrava, al terrorista Arafat per poi accusare Israele di essere nazista.
    Sono quelli che sbattono docenti e studenti israeliani fuori dalle universita' e licenziano i ricercartori israeliani.
    Sono quelli che possono dire che Israele sia "un piccolo paese di merda" senza suscitare nessun tipo di indignazione se non la nostra di israeliani.
    Sono quelli che definiscono "innocui sigaretti" i missili che hamas spara contro Israele e si mettono a urlare quando Israele reagisce.
    Sono quelli che ci accusano di aver derubato i palestinesi delle loro terre.
    Sono quelli che tappezzavano i muri di Roma con manifesti che li raffiguravano abbracciati ad Arafat mentre lui ci stava massacrando col terrorismo.
    Sono quelli che negli anni del peggior antisemitismo dei governi italiani, facevano fuggire terroristi palestinesi dopo che avevano assassinato cittadini ebrei italiani.
    Sono quelli che hanno definito "coloni" i bambini, la piu' piccola di tre mesi, sgozzati a Itamar.
    Sono quelli che non hanno voluto fare un solo minuto di silenzio alle Olimpiadi per ricordare la strage di Monaco.
    Sono quelli che hanno smesso di parlare della strage di bambini ebrei a Tolosa appena saputo che l'assassino era arabo.
    Sono quelli che dicono "sti ebrei non hanno imparato niente, fanno ai palestinesi quelli che hanno patito dai tedeschi"
    Sono quelli che definiscono Gaza una prigione a cielo aperto.
    Sono quelli che si sono imbarcati sulla Mavi Marmara e le altre barche piene di innamorati degli assassini di ebrei.
    Sono quelli che vorrebbero che Israele diventasse Palestina.
    Sono quelli che dicono che l'11 settembre e'stata opera di Israele.
    Sono quelli che deridono la nostra attenzione al pericolo Iran che potrebbe portare a una seconda e definitiva Shoa'.
    Sono quelli che considerano hezbollah un "partito politico".
    Sono quelli che disegnano vignette raffiguranti Netaniahu, col nasone da ebreo delle vignette naziste, che costruisce un muro col sangue e pezzi di corpi dei poveri palestines, pubblicata esattamente il 27 gennaio.
    Sono quelli che dicono "anche l'ONU vi condanna" e non gliene frega niente che Le condanne contro Israele siano centinaia contro ZERO nei confronti di paesi che commettono massacri e genocidi.
    Sono quelli che non si indignano se gli ebrei europei devono tenere un basso profilo per non farsi riconoscere.
    L'elenco dell'ipocrisia sarebbe infinito.»
Spero di aver risvegliato l'attenzione su questa lettera nella parte riservata alla ipocrisia antisemita.
E concludo con un appello per chi, anche assolutamente insospettabile di antisemitismo, insiste per gesti unilaterali da parte di Israele sulla via della trattativa: i responsabili della Autorità Palestinese devono dichiarare in lingua araba e inglese di fronte alle telecamere arabe e mondiali che sono disposti a cercare una convivenza con Israele e accettano l'esistenza entro confini sicuri dello Stato di Israele, e che con reciprocità il futuro Stato di Palestina offrirà la possibilità di vita e lavoro agli ebrei nella misura in cui lo fa lo Stato di Israele con gli arabi fin dalla sua creazione. Solo così sarà possibile sperare in una vera pace e non in una replica della storia ispirata dalle medesime folli ideologie antisemite.
Solo così la questione degli insediamenti ebraici riprenderà un aspetto non viziato dai pregiudizi.
Comunque sia mi auguro che la futura Palestina non debba essere dichiarata Judenrein (libera da ebrei) e mi dichiaro fin da ora pronto a combattere in tutte le sedi nazionali e internazionali perchè la storia non possa ripetersi. Come invece ha stabilito l'ONU in una delle ultime risoluzioni che condannano gli insediamenti israeliani come lesivi dei diritti umani dei palestinesi, non so se vi rendete conto della follia di questa dichiarazione la cui conseguenza pratica è che ora il tribunale penale internazionale dell'Aia potrà condannare i dirigenti israeliani per delitti contro l'umanità. Pazzesco e immorale. Ma perchè gli ebrei non possono abitare in Palestina? Anche qualora i confini post bellici dovessero includere gli attuali insediamenti?
Un vero schifo. Mentre in Siria si muore nelle code per il pane o nelle fosse comuni. Arabi per mano di altri arabi. E il mondo guarda, come guardò nel tragico periodo della Shoah.

(Informazione corretta, 4 febbraio 2013)


Lapid e Bennett mettono Bibi alle strette

Una nuova mossa irrompe sul tavolo dei negoziati per la formazione del prossimo governo israeliano. Il partito centrista Yesh Atid di Yair Lapid e la formazione di ultradestra Habayit Hayehudì guidata da Naftali Bennett si sarebbero accordati per mettere alle strette il premier Benjamin Netanyahu: entrambi non accetteranno di entrare a far parte di un governo puntellato dai partiti religiosi haredim Shas e United Torah Judaism. A svelarlo è stato il quotidiano Maariv, che indica come fonte un dirigente del Likud.
Capace di cementare l'asse tra i due partiti (che si sarebbero detti decisi a offrire a Netanyahu un aut-aut: entrambi in una coalizione formata con queste premesse, o entrambi all'opposizione), sarebbe stato un accordo di massima sulla questione dell'arruolamento dei giovani studenti delle yeshivot haredim. Sul tema Lapid e Bennett condividono la stessa posizione: è necessario che tutti contribuiscano a sopportare il peso del "fardello", come viene definito il servizio militare nell'Esercito di difesa israeliano, eventualmente prevedendo un numero consistente di eccezioni per gli studenti eccellenti, e consentendo alle ragazze di optare per il servizio civile.
Se confermate, queste notizie potrebbero avere un peso determinante nel formare la coalizione, considerando che insieme Yesh Atid e Habayit Hayeudi contano 31 seggi nella nuova Knesset, esattamente lo stesso numero del blocco Likud-Beytenu (che tuttavia si è presentato alle elezioni con un'unica lista). Notizie che per giunta sono arrivate solo poche ore dopo che Lapid aveva fatto trapelare come stesse seriamente prendendo in considerazione l'ipotesi di rimanere a capo dell'opposizione con l'obiettivo di nuove elezioni in tempi brevi per ottenere la maggioranza relativa e dunque la carica di primo ministro (fonte il Canale 2 della televisione israeliana).
Le trattative per formare il governo in ogni caso proseguono e le variabili sono molte. Per esempio l'offerta di United Torah Judaism a Bennett di opporsi al congelamento degli insediamenti (di cui il leader di Habaiyt Hayehudi è il punto di riferimento politico) in cambio della garanzia di mantenere il supporto economico dello Stato alle yeshivot, mentre altre fonti riferiscono di un probabile ingresso nel governo di Tzipi Livni con il suo Hatnua (sei seggi).
Dal conferimento ufficiale dell'incarico, avvenuto al termine dello Shabbat, Netanyahu ha 28 giorni (prolungabili) per riuscire a formare la coalizione. Si pensava avrebbe impiegato poco tempo. Ma in queste elezioni, le previsioni sembrano fatte per essere smentite.

(Notiziario Ucei, 4 febbraio 2013)


Gerusalemme, roadshow per il trade italiano

La Torre di Davide a Gerusalemme
A febbraio il Jerusalem Development Authority sarà impegnato nel suo primo roadshow italiano, a Verona, Torino e Bologna. Ilanit Melchior, tourism director del JDA, condurrà gli operatori del settore alla scoperta della destinazione, proponendo loro le ultime novità e le iniziative in programma per il 2013.
Nel corso del roadshow saranno messe in evidenza anche alcune peculiarità proprie della città di Gerusalemme: la musica, la gastronomia e i city-break. A ognuno di questi elementi è stata associata una città italiana che incarna l'eccellenza nei campi sopracitati. Il tour partirà l'11 febbraio da Verona, città della musica, per proseguire con gli appuntamenti del 12 a Torino, città della gastronomia, e del 13 a Bologna, città dei city-break.
In ogni tappa i partecipanti potranno partecipare a un incontro formativo con la presentazione dei partner coinvolti e dei testimonial chiamati a esporre le peculiarità della città in termini musicali e gastronomici. Ogni incontro si concluderà con un buffet, la consegna di un Manuale degli Espositori - una guida pratica alla destinazione - e la possibilità di partecipare all'estrazione di numerosi premi messi a disposizione dai partner, che daranno ai vincitori la possibilità di visitare di persona la città di Gerusalemme durante un city-break.
Tra le novità da segnalare: la Formula 1, in programma a giugno; la mostra dedicata a Erode il Grande, in programma dal 12 febbraio al 5 ottobre; la Conferenza Internazionale sul Turismo, in programma a maggio; il Campionato Giovanile Europeo a giugno; il nuovo utilizzo della stazione dei treni, trasformata in un Centro Culturale, in cui vengono organizzate fiere ed eventi culturali, tra cui il Festival Internazionale della Birra, il Festival Gastronomico di Gerusalemme, il Festival del Ghiaccio, la Settimana del Design; il lancio (a settembre 2012) del sito itraveljerusalem.com nella versione in italiano
Partner dell'iniziativa sono l'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo e la compagnia di bandiera El Al.

- Il programma dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo
  «Il 2012 è stato un anno record, con ben 170mila turisti che dall'Italia hanno visitato Israele - sottolinea Tzvi Lotan, consigliere per gli Affari Turistici dell'Ambasciata d'Israele e dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo - E non dimentichiamo il dato mondiale: una crescita complessiva di 3.5 milioni di visitatori. Il nostro obiettivo è quello di un'ulteriore crescita - speriamo del 10% - nel 2013. Il nostro impegno sarà finalizzato a raggiungere questo obiettivo».
Per il 2013, il programma dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo è allineato a quello della Città di Gerusalemme, pur comprendendo anche altre destinazioni, e può essere così riassunto: promozione dei long weekend a Gerusalemme; promozione dei city break a Tel Aviv; promozione dell'Anno della Fede con programmi dedicati a Maria; Gospel Trail; promozione della destinazione come luogo per sport, divertimento, musica e benessere.

(agenzia di viaggi, 4 febbraio 2013)


Leggi razziali. La sicurezza degli ebrei non era motivo di preoccupazione per il Vaticano

Che cosa accadde agli ebrei di Roma nel 1943 a partire dal 9 settembre, quando i tedeschi presero il controllo di Roma, fino al 16 ottobre, quando misero in atto la razzia contro gli ebrei?
La Chiesa Cattolica era, all'epoca, l'unica istituzione presente a Roma che avesse uno Stato sovrano a sua disposizione e centinaia di conventi e di monasteri pronti ad aiutare i bisognosi.
Papa Pio XII era consapevole che l'occupazione tedesca di Roma avrebbe potuto rappresentare un pericolo per gli ebrei.
«Tuttavia il Papa negoziò con i tedeschi su una sola istanza: il mantenimento della neutralità del Vaticano e della sua integrità territoriale, che significava anche la propria sicurezza personale».
Lo afferma lo storico e diplomatico Sergio I. Minerbi nel saggio dal titolo «Pio XII e il 16 ottobre 1943», pubblicato dalla rivista «Nuova Storia Contemporanea», diretta dal professore Francesco Perfetti.
In questo saggio Minerbi solleva alcune questioni sul coinvolgimento del Vaticano e in particolare di Papa Pio XII riguardanti gli ebrei di Roma prima, durante e dopo quel fatale 16 ottobre 1943.
«La sicurezza degli ebrei non era considerata un tema sufficientemente importante da rappresentare una grande preoccupazione per il Papa. Nonostante questo centinaia di conventi e di sedi religiose cattoliche di Roma offrirono ricovero agli ebrei che giungevano a richiedere asilo e, in questo modo, ne furono salvati più di 4500», scrive Minerbi.
Ma non fu un merito del Papa.

(ArticoloTre, 3 febbraio 2013)


Sventato un rapimento dal servizio di sicurezza israeliano

La jihad islamica voleva tenerlo prigioniero in Cisgiordania

TEL AVIV, 3 FEB - Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, e' riuscito a sventare in extremis il rapimento di un israeliano, militare o civile. L'ostaggio - secondo i progetti - doveva essere condotto a Jenin (Cisgiordania) e la' tenuto prigioniero. L'episodio, avvenuto la notte di Capodanno, e' stato reso noto solo oggi. Arrestati un gruppo di attivisti della Jihad islamica. Il loro obiettivo, a quanto pare, era di scambiare in un secondo tempo l'ostaggio con palestinesi detenuti in Israele.

(ANSA, 3 febbraio 2013)


Il futuro della ricerca passa per il cervello umano

di Viviana Kasam

  Henry Markram e Idan Segev
Riprodurre il cervello umano su computer, con tutti i suoi 100 miliardi di neuroni (cifra peraltro controversa) e un numero di sinapsi che si stima in milioni di miliardi.
Sembra una utopia visionaria, è invece così reale l'Unione Europea ha deciso di investire un miliardo di euro in dieci anni sul Progetto Human Brain (HBP), al quale ha assegnato il FET (Future and Emerging Technologies) Flagship, un superfinanziamento dedicato a progetto scientifico ritenuto prioritario per le potenzialità di innovazione tecnologica e di sfruttamento economico, che nasce all'interno di Horizon 20-20, il programma quadro per riportare l'Europa al centro dello sviluppo.
Pochi sanno che Human Brain è un progetto che è nato in Israele, da una idea di di Henry Markram (nell'immagine in alto), anatomo-fisiologo che lavorava all'Istituto Weizman (oggi è all' EPFL di Losanna, dove dirige dell'immenso laboratorio che raccoglie ed elabora i dati provenienti da tutti i centri associati) e Idan Segev (in basso), neuroscienziato computazionale (così si definisce chi crea modelli matematici dei vari processi mentali e li replica su computer), che ha fondato la prima struttura interdisciplinare dedicata al cervello all'Università ebraica di Gerusalemme.
Segev è ancora uno dei più stretti collaboratori di HBP, che oggi coinvolge 87 centri di ricerca in 23 Paesi, e Israele si è aggiudicato il 2 per cento del budget totale, cioè 20 milioni di Euro in dieci anni.
La motivazione del Flagship, istituito nel 2010 (i vincitori sono stati annunciati il 28 gennaio, dopo un iter di due anni), nasce dalla constatazione che nessun Paese europeo da solo può permettersi di competere con le grandi potenze economiche a livello di ricerca, ed è quindi necessario, se non si vuole che l'Europa perda il treno dell'innovazione, assicurare attraverso l'Unione europea dei fondi, garantiti nell'arco di diversi anni, per mobilitare i migliori ricercatori su un obiettivo comune, che sia in grado di innovare e far progredire la scienza, ma anche di garantire un importante ricaduta industriale ed economica.

(Notiziario Ucei, 3 febbraio 2013)


Barak: La caduta di Assad è imminente, sarà una dura sconfitta per l’Iran

MONACO, 3 feb. - La caduta del presidente siriano Bashar Assad è imminente e sarà una dura sconfitta per l'Iran. Lo ha detto il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, alla Conferenza internazionale sulla sicurezza in corso a Monaco. La dichiarazione arriva pochi giorni dopo che un raid aereo israeliano ha colpito in territorio siriano. L'attacco non è tuttavia stato confermato da Israele. Barak ha detto in proposito: "Ciò che è accaduto in Siria diversi giorni fa, è la prova che quando diciamo qualcosa lo crediamo davvero, diciamo di credere che non debba essere permesso portare sistemi di armi avanzate in Libano". Secondo ufficiali Usa, il raid ha colpito un convoglio carico di armi, diretto al gruppo libanese Hezbollah. Damasco ha invece detto che l'attacco ha colpito un centro di ricerca scientifica. "Hezbollah dal Libano e gli iraniani sono gli unici alleati rimasti ad Assad", ha proseguito Barak. Quando il presidente siriano cadrà, ha aggiunto definendo imminente questo passo, "sarà un duro colpo per gli iraniani e per Hezbollah", che "pagheranno delle conseguenze".

(LaPresse, 3 febbraio 2013)


il nuovo Console Generale d'italia a Gerusalemme ha iniziato la sua missione

E' giunto a Gerusalemme il nuovo Console Generale dott. Davide La Cecilia che ha immediatamente iniziato la sua missione assumendo l'incarico nella palazzina del Consolato Generale d'Italia nel quartiere di Katamon a Gerusalemme; il dott. La Cecilia ha preso il posto dell'Ambasciatore Giampaolo Cantini che ha assunto un nuovo importante incarico presso il MAE.
Dopo avere incontrato tutti i funzionari e impiegati del Consolato Generale d'Italia a Gerusalemme e quelli della Cooperazione Italiana, il Console Generale La Cecilia ha avuto in data odierna un primo incontro di lavoro con il Presidente del Com.It.Es. avv.to Beniamino Lazar.
Nelle prossime settimane il Console Generale La Cecilia intende anche incontrarsi con i responsabili delle varie istituzioni italiane di Gerusalemme, e con i loro rispettivi Comitati.
Nel frattempo il Consolato Generale d'Italia a Gerusalemme, cosi' come tutte le altre rappresentanze diplomatiche e consolari, sta ultimando tutte le procedure per l'invio dei plichi elettorali ai connazionali.

IL COM.IT.ES. D'ISRAELE

(politicamentecorretto.com, 3 febbraio 2013)


La barriera difensiva sulle alture del Golan sarà la più sofisticata al mondo

La barriera in costruzione
La barriera in costruzione sulle alture occupate del Golan sarà probabilmente l'ostacolo fisico più sofisticato al mondo: lo sostiene il quotidiano Maariv secondo cui quel tratto di barriera, lungo 60 km, costerà ad Israele circa 50 mln di euro.
Un altro tratto di 9 km e' già operativo.
La necessità di erigere una forte barriera lungo la linea di demarcazione con la Siria si è manifestata già l'anno scorso con l'allentarsi del controllo dell'esercito siriano sul proprio territorio.

(ArticoloTre, 3 febbraio 2013)


Israele? Nelle news solo per le condanne

Lettera a Beppe Severgnini

Caro Severgnini, ho letto solo qualche veloce titolo su Corsera questa settimana, e poco e niente su altri quotidiani. Delle volte meglio così. Meno si parla di Israele, meglio è. Solitamente quando un quotidiano ne parla è per mancanza di notizie in genere (difficile in questo periodo di campagna elettorale), o a seconda della posizione politica del giornale, per fomentare idee tendenzialmente negative sullo stato ebraico. Nei giorni scorsi, martedi' precisamente, Israele ha dovuto neutralizzare obiettivi su territorio siriano, sorvolando il Libano. La notizia sui media ovviamente non ha avuto gran rilievo, effettivamente non era niente contro Gaza, quindi non c'era motivo di darne notizia con la solita enfasi. Israele ha dovuto neutralizzare ancora una volta minacce alla propria resistenza, nel confine siriano. Questa volta si parla di un convoglio che trasportava missili di fabbricazione russa, da Assad al Libano, per essere facilmente usati contro Israele. Non so se si è capito. Israele non si fa problemi a neutralizzare chi lo minaccia, ovunque sia. La notizia dei massacri di Assad che sta perpetrando oramai da mesi sulla popolazione non interessa praticamente nessuno, nessuna Flottilla è organizzata allo scopo di fermare questa tortura, e la comunità internazionale sembra non avere particolarmente la stessa fretta di agire, rispetto a quanta ne ha spesso per Israele. Israele continua ad essere sotto minaccia da chiunque lo circonda, e deve stare 24 ore su 24 per 365 giorni l'anno, vigile per propria esistenza. A volte mi piacerebbe che tanti paesi europei fossero confinanti con stati come quelli che circondano Israele, per rendersi conto che il tempo della diplomazia è finito, delle volte bisogna "fare", non solo "parlare".
Gabriele Bauer

(Corriere della Sera - blog, 3 febbraio 2013)


Concluse le consultazioni, stasera Peres incarica Netanyahu

GERUSALEMME, 2 feb. - Il presidente israeliano, Shimon Peres, conferira' oggi l'incarico di formare il nuovo governo: lo conferma un comunicato ufficiale diramato dal suo ufficio, secondo cui Peres "annuncera' in serata il candidato incaricato di formare il prossimo esecutivo". Appare scontata la designazione del premier uscente, Banjamin Netanyahu, che giovedi' ha concluso le consultazioni, anche se la nota non fa nomi limitandosi a indicare l'orario del conferimento dell'incarico, le 20 ora locale, le 19 in Italia. In base ai numeri e alle stesse valutazioni espresse nei giorni scorsi dagli interlocutori del capo dello Stato, e' evidente che la designazione tocchera' di nuovo a Netanyahu, il cui Likud ha accusato un calo di consensi nelle elezioni anticipate del 22 gennaio ma, per l'occasione alleato con gli iper-nazionalisti di Yisrael Beiteinu, ha comunque ottenuto il maggior numero di deputati al Parlamento monocamerale israeliano: 31 su un totale di 120. Sulla carta il premier uscente dovrebbe poter contare su una maggioranza di 82 seggi, a cominciare dai diciannove conquistati dagli esordienti centristi di Yesh Atid, vera e propria sorpresa della consultazione insieme al suo 'inventore', la giovane star televisiva Yair Lapid.
Questi, incontrando il presidente mercoledi', ha ribadito il proprio sostegno per Netanyahu, in cambio del quale otterra' probabilmente per se' uno dicasteri piu' ambiti: le Finanze o addirittura gli Esteri, che sarebbero cosi' sottratti al loro precedente titolare nonche' alleato di ferro del Likud, Avigdor Lieberman. Della partita dovrebbero inoltre essere i sionisti di HaBayit HaYehudi, gli ultra-ortodossi sefarditi dello Shas, i loro omologhi ashkenaziti di Yahadut HaTorah HaMeukhedel, i moderati di Kadima e, infine, persino gli altri nuovi venuti, cioe' i liberali di HaTnuah guidati da Tzipi Livni. Trattative dietro le quinte sono in corso fin dalla chiusura dei seggi, ma formalmente occorrera' attendere l'annuncio di Peres per potervi dare effettivamente corso.
Dopodiche', il premier designato avra' a disposizione 28 giorni di tempo per assemblare una coalizione, e dunque una compagine in grado di gestire il Paese.
Quale problema di minore facilita' a risolversi si profila la convivenza tra Yesh Atid e i partiti religiosi piu' radicali. In campagna elettorale Lapid punto' in particolare sulla necessita' di una "piu' equa distribuzione degli oneri": un eufemismo dietro il quale si cela l'intento di eliminare il privilegio che ha visto finora gli ebrei di rigorosa osservanza evitare il servizio militare, peraltro obbligatorio in Israele.
Per lo Shas e per Yahadut HaTorah HaMeukhedel, pero', si tratta di poco meno di una bestemmia.

(AGI, 2 febbraio 2013)


Viaggio della memoria fra le sinagoghe e il cimitero ebraico di Praga

di Giuseppe Milano

PARMA - Dopo avere visitato il campo di Terezin, oggi i ragazzi de "Il Viaggio della Memoria" si sono immersi nell'atmosfera unica del quartiere ebraico di Praga. Accompagnati da professori e guide, hanno visitato le diverse sinagoghe ed il museo dove sono esposti, fra gli altri, i disegni realizzati dai bambini rinchiusi con le loro famiglie nel campo di Terezin.
Toccante poi la visita al cimitero, una delle testimonianze più vive della comunità ebraica di Praga, che contava ottantamila abitanti prima della Shoah. Oggi solo 1500. Tutto è rimasto fermo alla fine della seconda guerra mondiale perché qui i nazisti avevano deciso di riunire gran parte delle opere d'arte trafugate agli ebrei per costruire il "museo della razza esista", un terribile luogo di memoria per ricordare quel popolo che loro avevano distrutto. La follia hitleriana non si è alla fine fortunatamente compiuta sino in fondo ma qui, in un pezzo del centro storico di Praga, tutti i monumenti ne ricordano la follia.
''E sembra proprio che gli abitanti se ne siano andati solo pochi giorni fa - commenta Elena -. Tutto sembra essere in attesa che i vecchi abitanti ritornino a casa, nelle loro sinagoghe, nel loro cimitero per visitare i cari''. Riflessioni che colpiscono quasi di più che la visita a Terezin. ''Subito non avevo nemmeno capito che eravamo entrati in un campo - spiega ancora una sua compagna -. Quella fortezza non mi ricordava la mia idea dei campi che mi ero fatta sui libri di scuola''.
Domani per gli studenti di Romagnosi, Bertolucci, Toschi, Ulivi, Zappafermi, Mainetti, Marconi, Giordani e Melloni sarà il giorno del ritorno. Partenza all'alba da Praga, arrivo in serata a Parma dopo almeno dodici ore di pullman.

(Gazzetta di Parma, 1 febbraio 2013)


L'Africa Nera nel cuore di Israele

Non completamente risolto il problema dell'inserimento degli immigrati etiopi

di Jonatan Della Rocca

A fine ottobre 2012 con l'Operazione 'Ali di Colomba' sono arrivati all'aeroporto di Tel Aviv circa trecento ebrei dall'Etiopia. E' l'ultimo sbarco di un'emigrazione che dura da quasi quarant'anni, che ha portato dal Paese africano in Israele circa centotrentamila persone. Rispetto a tutte le altre aliot, si può senz'altro definire questa la più difficile, soprattutto per il discorso dell'integrazione. Ha riguardato persone che hanno dovuto superare il lungo viaggio verso la modernità in un batter d'occhio: da villaggi remoti del terzo mondo in cui erano dei semplici agricoltori alla supermoderna Tel Aviv, regina incontrastata delle start up. Accadde qualcosa di simile ai tempi dell'arrivo degli ebrei yemeniti nel 1950. L'emigrazione dall'Etiopia ebbe inizio, dopo che l'allora rabbino sefardita d'Israele, Rishon Lezion, Rav Ovadia Josef nel 1973 riconobbe l'identità ebraica di quei correligionari, che la leggenda fa risalire alla discendenza del Re Salomone e della Regina di Saba, e di conseguenza fu applicata a loro la Legge del Ritorno.
Da fine anni Settanta iniziò il massiccio esodo, soprattutto grazie a tre operazioni organizzate dallo Stato d'Israele, per mano dell'Agenzia ebraica: l'Operazione 'Mosè' del 1984, l'Operazione 'Regina di Saba' negli anni a seguire e l'Operazione 'Salomone' nel 1991. In quest'ultima, con una gigantesca impresa di salvataggio l'American Joint Distribuition, dopo l'allacciamento dei rapporti diplomatici tra Israele ed Etiopia, riuscì ad organizzare dapprima lo spostamento di decine di migliaia di ebrei dalla città di Gondar ad Addis Abeb, salvandoli miracolosamente nel mezzo della guerra civile dopo il collasso del governo di Menghistu, e poi a mettere in piedi la gigantesca operazione in cui, nel giro di 36 ore con voli non-stop di 34 aeromobili israeliani, furono portati in salvo in Israele decine di migliaia di ebrei abissini. In quegli anni l'agenzia ebraica aveva predisposto l'esodo, organizzando in Africa un piano per ottimizzare l'emigrazione, con scuole, corsi di lingua ebraica, e ospedali da campo sul posto. Una volta in Israele, l'impresa non era finita, c'era un'emergenza di integrazione da fronteggiare in più ambiti che presentava molte incognite: da quello culturale a quello sociale.
L'impatto dall'Africa con la realtà israeliana si presentava diverso dalle altre aliot, per il semplice motivo che il background dei nuovi immigrati non era lo stesso con cui aveva avuto a che fare con gli olim lo stato d'Israele. Oltre a un vero problema iniziale di inserimento in un Paese ultramoderno, emergevano traumi di carattere sociale dovuti a una popolazione che era abituata a vivere in tribù. Problemi attutiti in parte tra i giovani, grazie all'inserimento prima nella scuola e poi nell'esercito. Ma il grosso nodo rimane ancora oggi, a distanza di decenni, l'inserimento soprattutto nel mondo del lavoro che li vede penalizzati, tanto che sono frequenti i sit in contro razzismo e discriminazione che si inscenano all'esterno della sede del Parlamento a Gerusalemme.

(Shalom, gennaio 2013)


Negazionista ungherese condannato a visitare Auschwitz

Potrà in alternativa scegliere il museo dell'Olocausto o Yad Vashem. In una manifestazione aveva scritto: "Shoah non è avvenuta"

ROMA, 1 feb. - Il primo ungherese a essere stato condannato in base alla legge che vieta la negazione dell'Olocausto, Gyorgy Nagy, ha ricevuto una pena sospesa a 18 mesi di carcere e a visitare a scelta il campo di sterminio di Auschwitz, il memoriale della Shoah Yad Vashem o il museo dell'Olocausto di Budapest. L'ha comunicato oggi il tribunale magiaro.
Il ventaglio di opzioni dato a Nagy è: o visita tre volte il museo dell'Olocausto di Budapest, o si reca a visitare Auschwitz in Polonia o lo Yad Vashem a Gerusalemme.
Nella sentenza c'è anche il divieto per il condannato - un tecnico di computer - di partecipare a manifestazioni politiche. E' la prima volta che la legge, approvata nel 2010, porta a una condanna.
Durante una manifestazione politica nel 2011 a Budapest, il 42enne ha innalzato uno striscione con una scritta in lingua ebraica che diceva: "La Shoah non è avvenuta". Lo striscione è stato visibile per circa 15 minuti prima che Nagy fosse arrestato dalla polizia, secondo quanto ha riportato il settimanale Hvg.
La negazione del genocidio nazista è stata dichiarata un reato punibile fino a tre anni di carcere a febbraio del 2010. Sempre nello stesso anno è stata approvata una legge che punisce la negazione dei crimini commessi dal regime ungherese durante l'era comunista.
Il governo di destra di Viktor Orban, tuttavia, è stato accusato di essere tollerante con gli antisemiti, che recentemente hanno riservato onori a Miklos Horthy, leader filonazista durante la seconda guerra mondiale, e la riabilitazione di alcuni scrittori antisemiti. Accuse che hanno portato al passo clamoroso del premio Nobel per la pace Elie Wiesel, sopravvissuto alla Olocausto, a restituire la massima onorificenza dello Stato ungherese che gli era stata in passato assegnata.

(TMNews, 1 febbraio 2013)


La sinagoga di Senec restaurata diverrà galleria regionale e mostra di cultura ebraica

  La sinagoga di Senec
La Regione di Bratislava si occuperà del restauro e ripristino della sinagoga di Senec, che diventerà una galleria regionale e una mostra permanente di cultura ebraica. I lavori alla sinagoga, che è di proprietà della regione, sono stati decisi nell'autunno scorso dal consiglio regionale, e includeranno nuovi locali che serviranno al meglio per le esigenze della nuova galleria, operazione che si inserisce nel più vasto progetto Stratene Mesto (Città perduta) realizzato con il sostegno regionale, del Museo della Cultura Ebraica e del Museo della comunità ebraica di Bratislava che ha sede nella Sinagoga di Heydukova ulica. L'intento globale del progetto è avvicinare il pubblico alla cultura spirituale e storica ebraica, all'Olocausto e alla vita quotidiana della minoranza ebraica in Slovacchia.
La sinagoga ebraica di Senec fu costruita nel 1825, e venne poi rinnovata nel 1904 nella sua forma attuale in stile Art Nouveau con elementi orientali. Attiva fino al 1948, era l'unico edificio sacro della comunità ebraica in zona. Dal 1953 è stata adibita a granaio, e poi come deposito di prodotti chimici. Da molto tempo è in uno stato di rovina.
Il progetto "Stratené mesto: Bratislava Pozsony Pressburg", che dovrebbe partire in via definita quest'anno, ha visto nel 2012 una prima operazione nell'area della capitale un tempo occupata dal ghetto ebraico: l'allestimento di una replica temporanea in scala della perduta sinagoga di Bratislava, su Rybne Namestie, demolita dal regime nel 1960 insieme al ghetto e gran parte dei quartieri Vydrica e Zuckermandel per far posto al moderno ponte Most SNP.

(Buongiorno Slovcchia, 1 febbraio 2013)


Israele: dopo il raid in Siria minacce iraniane e ipocrisia oltre ogni limite

di Miriam Bolaffi

"Non verrà tollerato il trasferimento di armi dalla Siria a Hezbollah o ad altri gruppi terroristici". A parlare così è stato il vice consigliere per la sicurezza nazionale USA, Ben Rhodes, che ha anche confermato che gli Stati Uniti erano stati messi al corrente dei raid israeliani sulla Siria e li avevano approvati intuendo la pericolosità di un trasferimento di armi tecnologicamente avanzate ad Hezbollah.
Almeno sul fronte americano sembra quindi che Israele abbia ritrovato il suo alleato di sempre anche se si è attirato addosso gli strali della Lega Araba e di altri paesi filo-islamici, silenti sul massacro in Siria oppure sulla reazione turca al lancio di proiettili di mortaio sul suolo ottomano, ma pronti a organizzare riunioni di emergenza e a minacciare interventi quando è Israele a muoversi anticipatamente allo scopo di difendersi. C'è un solo termine per questo atteggiamento: ipocrisia.
Sono invece prese in seria considerazione le minacce arrivate ieri dall'Iran, se non altro per possibili attentati contro obbiettivi israeliani nel mondo. Teheran ha ammonito che "ci saranno dure conseguenze per la città di Tel Aviv" alludendo a un attentato nella città israeliana mentre Damasco ed Hezbollah hanno fatto sapere che da ieri si sentono autorizzati a portare attacchi a sorpresa contro Israele e contro obbiettivi israeliani in tutto il mondo.
Preoccupata per l'attacco preventivo israeliano in Siria si è detta la Russia che però si è guardata bene dal condannare l'azione difensiva israeliana limitandosi ad una protesta formale per altro indebolita dalla ammissione sulla mancanza di riscontri ufficiali sul fatto che siano stati aerei israeliani a colpire, chiaramente una scusa per rimanere defilati nel coro di condanna dei Paesi Arabi.
E in tutto questo mare d ipocrisie non poteva mancare la dichiarazione del Segretario Generale dell'Onu, Ban ki-Moon, anche lui silente per mesi di fronte a massacri in Siria ma pronto a salire sul carro dei "preoccupati"
Preoccupati! Sono tutti preoccupati. No, non tutti. Solo i buoni. I cattivi non sono preoccupati, i cattivi sparano. E' una caratteristica delle nazioni buone, e quindi di quel concentrato di bontà che sono le Nazioni Unite, di essere preoccupate.
Di che cosa?
per l'intervento difensivo israeliano. Peccato però che nessuno ammetta che Israele ha fatto il lavoro che avrebbe dovuto fare UNIFIL, cioè la forza che rappresenta proprio le Nazioni Unite, schierata nel sud del Libano per impedire il riarmo di Hezbollah e che in tanti anni non ha mai svolto seriamente il lavoro per cui è stata istituita. E perché ,piuttosto, Ban ki-Moon non si chiede cosa sarebbe successo se quel convoglio di armi fosse arrivato in Libano e cosa succederebbe se le armi chimiche siriane finissero nelle mani di Hezbollah?
Ecco in che clima deve districarsi Israele per difendere il proprio Diritto all'esistenza, un clima che oltre a essere rigonfio di ipocrisia è portatore di gravi pericoli. In stato di massima allerta le truppe israeliane schierate sui confini nord. Massima allerta anche per l'aviazione e la marina. Un rapporto dei servizi segreti consegnato ieri sera parla di "considerevole aumento delle attività" anche da parte della Jihad Islamica nella Striscia di Gaza, il che fa pensare ad una imminente ripresa del lancio di missili sul sud di Israele.

(Rights Reporter, 1 febbraio 2013)


Nuovo governo, a Netanyahu l'incarico

Concluse le consultazioni del presidente israeliano Shimon Peres con i capi dei 12 partiti che hanno trovato posto nella diciannovesima Knesset: a formare il nuovo governo sarà, come anticipato da giornali e analisti, Bibi Netanyahu. Il leader del blocco Likud-Beytenu, che ha ottenuto 31 seggi, riceverà ufficialmente l'incarico da Peres al termine dello Shabbat, riferisce il quotidiano Haaretz. A indicare il nome di Netanyahu come capo del governo, sono stati i rappresentanti di Likud-Beyteinu, Yesh Atid, Habayit Hayehudi, Shas, United Torah Judaism e Kadima (per un totale di 82 deputati). Gli altri hanno scelto di non indicare alcun nome. Uno dei temi più discussi durante i colloqui con il presidente è stato l'arruolamento dei giovani haredim nell'esercito. Un tema condiviso tanto dal partito centrista Yesh Atid di Yair Lapid, quanto da Habayit Hayehudì, punto di riferimento politico degli insediamenti guidato da Naftali Bennett. Sulla questione dell'arruolamento negli scorsi giorni sembrava essere emersa un'apertura al compromesso anche da parte dello Shas, la formazione religiosa sefardita che ha come punto di riferimento spirituale il rabbino Ovadia Yosef. Anche se, nell'incontro con Peres, uno dei leader dello Shas, Aryeh Deri, ha consegnato al presidente una lettera del rabbino che esprime la preoccupazione secondo cui "una mossa del genere causerebbe una spaccatura nel paese".

(Notiziario Ucei, 1 febbraio 2013)


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