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Notizie 1-15 giugno 2018


Droni esplosivi sul mondiale: l'Iisis minaccia la Russia con un video

"Propaganda fantasiosa" ma "minaccia da prendere sul serio": così gli esperti antiterrorismo bollano il video che l'Isis ha fatto pervenire al britannic Daily Star, che minaccia un attacco esplosivo contro i mondiali di calcio per punire Putin e vendicare l'intervento militare russo in Siria. In passato più di una volta lo sport è stato obbiettivo di attacchi terroristici: dalla strage di atleti israeliani a Monaco '72, alle bombe della Maratona di Boston, fino agli attacchi di Parigi di tre anni fa.

(La Gazzetta dello Sport, 15 giugno 2018)


Nonostante le lodi pubbliche, Israele perplesso sull'accordo Trump-Kim

Dubbi sulla denuclearizzazione nordcoreana, forse pensando a Iran

ROMA - Un rapporto interno al ministero degli Esteri israeliano ha rivelato le perplessità dello Stato ebraico sugli esiti del summit di Singapore tra il presidente Usa Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong Un, nonostante la posizione pubblica del governo sia stata entusiasticamente favorevole. Dubbi, probabilmente, emersi pensando anche alla questione, più vicina, del nucleare iraniano.
Il documento, scritto dal Dipartimento ricerca del ministero e inviato a tutta la rete diplomatica israeliana, sostiene che il summit di martedì ha sollevato "interrogativi" sulla sincerità dell'impegno alla denuclearizzazione della Corea del Nord, secondo quanto riferisce il canale 10 privato.
Ci sono, spiega il documento, "sostanziali gap tra gli dichiarazioni americane prima del summit con la necessità di una 'completa, irreversibile e verificabile' denuclearizzazione e la formulazione del comunicato congiunto, che fa solo riferimento alla completa denuclearizzazione della Corea del Nord".
Un portavoce del ministero degli Esteri israeliano ha confermato che il documento è vero, ma ha rifiutato di fornire ulteriori dettagli.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu martedì aveva lodato Trump per lo "storico summit", definendolo "un importante passo nello sforzo per liberare dalle armi nucleari la Penisola coreana".
Nel documento però si dice che "nonostante le dichiarazioni di Trump sull'attesa di rapidi cambiamenti nella politica della Corea del Nord, la via di un sostanziale cambiamento, se mai verrà, è ancora lunga e lenta".

(askanews, 15 giugno 2018)


San Marino - Gilad Ephrat Ensemble, Trio in "Rainbow of sounds and strings"

In occasione del 70o dalla nascita dello Stato di Israele, tradizionale Concerto promosso dall'Ambasciata d'Israele In collaborazione con la Segreteria di Stato per gli Affari Esteri e l'Associazione Musicale Camerata del Titano.

SAN MARINO - Trio Gilad Ephrat Ensemble, intratterrà gli ospiti con lo spettacolo musicale "Rainbow of sounds and strings".
Gilad Ephrat, Noah Ayali e Keren Meira Tannenbaum sono tre giovani musicisti israeliani che incantano per la loro straordinaria maestria nel condurre il violino, il violoncello e il contrabbasso al limite delle loro capacità fisiche, svelando l'affascinante potenziale degli archi unito al suono melodioso della voce.
Quello che scaturisce è un dialogo vitale ed esclusivo fra strumenti che si scambiano i ruoli di melodia e accompagnamento, capace di produrre un insieme dinamico, ritmato e fortemente emozionante.
Il gruppo, di recente composizione, è stato fondato da Gilad Ephrat, compositore e contrabbassista, autore e arrangiatore dei brani. Il primo album, "Gilad Ephrat Ensemble", risale al 2015, seguito da "Stockholm", uscito ad inizio anno.
Come ormai consuetudine, soprattutto per il Concerto dell'Ambasciata di Israele, per motivi di sicurezza l'accesso al Palazzo dei Congressi Kursaal sarà consentito, solo per chi avrà segnalato preventivamente la propria presenza. Per gli amici della Camerata del Titano questo può essere fatto inviando una mail a cameratatitano@omniway.sm con nome e numero di posti che poi noi gireremo agli uffici competenti.
Come sempre buona musica a tutti.
Associazione Musicale Camerata del Titano

(Libertas, 15 giugno 2018)


Colloquio telefonico Netanyahu-Putin, focus su Siria

GERUSALEMME - Il presidente russo, Vladimir Putin, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, hanno avuto oggi un colloquio telefonico. Lo riferisce l'ufficio dell'esecutivo israeliano. Al centro dei colloqui, gli sviluppi regionali, la situazione in Siria e la prosecuzione del coordinamento tra Israele e Russia in materia di sicurezza. Durante la conversazione, Netanyahu si è congratulato per la Festa nazionale russa e per la decisione di svolgere quest'anno i festeggiamenti in Israele a Gerusalemme Ovest e non a Tel Aviv, dove ha sede l'ambasciata russa. A sua volta, il Cremlino fa sapere che le parti "hanno discusso della situazione in Siria nel quadro dell'impegno congiunto per garantire la sicurezza nell'area di confine tra Israele e Siria". Inoltre, Putin e Netanyahu "hanno espresso la loro disponibilità a rafforzare la cooperazione sulla Siria, compreso il contrasto al terrorismo internazionale".

(Agenzia Nova, 15 giugno 2018)


Italia-Israele, quattro ricercatrici per la biorobotica

 
Un passo avanti nella cooperazione scientifica bilaterale tra Italia ed Israele, all'insegna della creatività e delle idee declinate al femminile. I fondi stanziati dal Ministero della Scienza e della Tecnologia israeliano (MOST) per la costituzione di un laboratorio congiunto di biorobotica tra i due Paesi, vanno a quattro ricercatrici, due italiane e due israeliane.
Ad aggiudicarsi i finanziamenti - al termine del processo di valutazione dei progetti pervenuti in risposta al bando israeliano chiuso il 25 gennaio 2018 - sono le ricercatrici italiane Barbara Mazzolai, dell'Istituto Italiano di Tecnologia e Maura Casadio, dell'Università di Genova. La prima realizzerà con la collega israeliana Yasmine Meroz della Tel-Aviv University, un laboratorio sul tema "A Plant-Inspired Robot Emulating Decision-Making Abilites of Plants in Dynamical Environments". La seconda, che collaborerà con la ricercatrice Nisky Ilana della Ben Gurion University, darà vita al laboratorio "Artificial somatosensation for humans and humanoids".
La biorobotica copre i campi della cibernetica, della bionica e dell'ingegneria genetica. Si tratta di una branca particolare della robotica, che studia come realizzare robot che emulano o simulano meccanicamente o chimicamente gli organismi biologici.
I due nuovi laboratori si iscrivono nell'ambito dell'Accordo di cooperazione per la ricerca scientifica, tecnologica e industriale tra Italia e Israele (2002), che rappresenta il più importante programma di partenariato scientifico bilaterale promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Dal 2002 al 2016 sono stati finanziati più di 115 progetti di ricerca industriale, 58 progetti di ricerca di base e 9 laboratori congiunti.

(Innovitalia, 15 giugno 2018)


Israele twitta pro Iran! È un Mondiale di pace

Sul profilo del ministero degli esteri israeliano compare un post di auguri per la nazionale iraniana in lingua farsi. Poi, in arabo, anche un cinguettio pro Egitto

L'account Twitter del ministero degli esteri israeliano - retto dal premier Benyamin Netanyhau - ha fatto, in farsi, gli auguri alla nazionale di calcio dell'Iran per il suo esordio contro il Marocco nei Mondiali in corso in Russia. Il tweet è accompagnato da una foto dell'attaccante Alireza Jahanbakhsh. In arabo, lo stesso account, ha rivolto l' incoraggiamento alla nazionale di calcio egiziana impegnata invece contro l'Uruguay.

(La Gazzetta dello Sport, 15 giugno 2018)


Mondiali di calcio - Israele: la tv statale trasmette partite in arabo

La televisione statale israeliana ha creato ieri un precedente quando ha trasmesso non solo in ebraico ma separatamente anche in arabo la partita di apertura dei mondiali, Russia-Arabia Saudita. Il programma in arabo e' stato realizzato da due esperti di calcio, Ahmed Wahab e Jawdat Odeh, entrambi arabi cittadini di Israele. La emittente statale ha anticipato che trasmettera' gratuitamente in arabo gran parte delle partite dei mondiali sia sul canale 33 delle tv via cavo che possono essere seguite in Israele sia su un apposito sito (makan.org.il) a beneficio dei telespettatori che si trovano nel mondo arabo. Ieri, in un altro gesto di distensione verso i Paesi vicini, il ministero degli esteri israeliano ha pubblicato un insolito messaggio augurale alla nazionale dell'Arabia Saudita.
I malevoli diranno che non gli ha portato bene


(la Repubblica, 15 giugno 2018)


Su Gerusalemme Abu Mazen rifiuta i negoziati con Usa e Israele

di Giordano Stabile

Il presidente palestinese Abu Mazen tiene la porta chiusa ai negoziati con Israele e si rifiuta di incontrare il consigliere della Casa Bianca, e genero di Donald Trump, Jared Kushner, «finché non sarà risolta la questione di Gerusalemme». La crisi cominciata con la decisione del presidente americano di spostare l'ambasciata nella Città Santa conosce un nuovo avvitamento. Il «no» dell'82enne leader palestinese arriva in un momento cruciale. Kushner e l'inviato speciale Jason Greenblatt hanno in programma la prossima settimana un tour in Medio Oriente con tappe in Israele, Egitto e Arabia Saudita, i tre Paesi coinvolti nella stesura del piano di pace americano, «l'accordo del secolo» come l'ha definito Trump.

 Il piano Usa-Saudita
  In realtà è un piano Kushner-Mohammed Bin Salman, il principe ereditario saudita che ha deciso di rompere tutti i tabù nel fronte arabo pur di risolvere il conflitto ormai settantennale e cementare l'alleanza con lo Stato ebraico in funzione anti-Iran. Kushner e Greenblatt hanno anticipato che il piano «è in gran parte pronto» e che attendono soltanto «le circostanze giuste» per renderlo pubblico.
  È stata l'uscita dell'Autorità nazionale palestinese dai negoziati, dopo l'annuncio della casa Bianca su Gerusalemme, a bloccare la tabella di marcia. C'è un tabù che Abu Mazen non è disposto a rompere. Ed è la sovranità su Gerusalemme Est, finora destinata a diventare capitale del futuro Stato palestinese. Mohammed Bin Salman gli ha offerto in cambio il piccolo sobborgo di Abu Dis, un fazzoletto di terra, e il raiss ha rifiutato.
  Il piano, secondo indiscrezioni lasciate filtrare dall'entourage di Abu Mazen, comprende anche l'annessione di gran parte degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, un altro punto che la leadership di Ramallah considera inaccettabile. Il portavoce di Abu MazenAbu Rudeineh ha detto poi in chiaro che anche la questione dei rifugiati, che sarebbero riammessi in numero simbolico, è un ostacolo che rende impossibile «l'accordo del secolo»: gli Stati Uniti, ha commentato, «continuano a cambiare le regole del gioco e questo rende lo stallo permanente». Una situazione esplosiva, anche perché a Ramallah continuano le manifestazioni di protesta contro il blocco e le sanzioni a Gaza. Ormai non sono più contro Israele ma contro l'Autorità nazionale e la polizia palestinese ha dovuto usare lacrimogeni e manganelli per disperdere una folla sempre più minacciosa.

(La Stampa, 15 giugno 2018)


Israele: l'orgoglio di essere felici

La nuova veste della rivista ebraica Shalom. Presentazione del Direttore

di Giacomo Kahn

Israele: l'orgoglio di essere felici. Abbiamo scelto questo titolo per presentare ai lettori il nuovo formato del magazine Shalom che, insieme alla versione quotidiana web e al potenziamento dei social, costituiscono gli strumenti di comunicazione che la Comunità ebraica di Roma ha deciso di mettere in campo. Strumenti moderni, di più facile accesso, per rafforzare una comunicazione che si rivolge sia agli iscritti, sia a moltissimi non ebrei.
Abbiamo molto da raccontare della nostra storia e cultura, del nostro sentirsi ebrei fortemente italiani ma legati emotivamente e, in molti casi con legami familiari, ai destini di Israele. Non è una contraddizione; è l'essenza stessa di ogni ebreo che vive il presente sempre con una prospettiva millenaria che guarda però non al passato ma al divenire. In questo divenire Israele occupa ovviamente un posto fondamentale, non solo come luogo ideale e allo stesso tempo reale nell'accogliere tutti gli ebrei che fuggono da situazioni di pericolo e da un rinnovato e nuovo antisemitismo, ma anche come un modello di società che pur nuova - appena settanta anni - molto sa insegnare alle più consolidate democrazie occidentali. Nonostante l'immaginario collettivo e il racconto quotidiano che ne fanno i mezzi di comunicazione, Israele non è quel luogo permanente di conflittualità e di sofferenze che le cronache vorrebbero imporci. Gli israeliani hanno saputo sviluppare un modello di vita forse unico: vivere come se i nemici non ci fossero, progettando la loro vita senza lasciarsi condizionare dalle minacce, dal terrorismo e dalla violenza islamista. Non è certamente facile vivere in una condizione di allarme permanente e di controllo pervasivo: si rinuncia ad un pezzo di libertà, si sostengono costi economici ingenti, si sviluppano nevrosi e insicurezze. Ma è l'unico modo per garantire ad ogni cittadino il diritto a vivere pienamente la propria esistenza, il diritto di ciascuno ad aspirare alla felicità.
La caparbia volontà degli israeliani a vivere la vita con pienezza, nonostante il nemico minacci ogni giorno la distruzione, costituisce per lo Stato di Israele un valore 'esportabile' che non ha prezzo, che non si può quotare in borsa ma che vale più di tante startup. È un esempio di comportamento, di forte determinazione collettiva di un intero popolo, che comincia ad essere visto come un modello. L'Europa si è scoperta improvvisamente vulnerabile sotto l'attacco terroristico islamista e si interroga su come riuscire a neutralizzare le minacce senza militarizzare la società, senza blindare la vita dei cittadini, senza scatenare il panico. La risposta può essere nella lezione che viene da Israele: vivere felicemente come se il nemico non ci fosse, combattendo infelicemente tutti i giorni.

(Shalom, giugno-luglio 2018)


L'Onu condanna Israele per le violenze di Gaza e assolve Hamas

Le Nazioni Unite puntano nuovamente il dito contro Israele. Questa volta, lo Stato ebraico è stato dichiarato colpevole di "uso eccessivo della forza" e di avere ucciso centinaia di civili durante le rivolte di Gaza dei mesi scorsi. Nessun accenno alle responsabilità di Hamas.

di Gerry Freda

Israele nuovamente giudicato colpevole di repressione brutale del dissenso palestinese.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, infatti, ha adottato una risoluzione di condanna nei confronti dello Stato ebraico, additandolo come responsabile delle centinaia di civili uccisi durante gli scontri di Gaza degli ultimi due mesi. Il documento non addossa alcuna colpa ai terroristi di Hamas e invoca un risoluto intervento della comunità internazionale a protezione dei Palestinesi.
   120 Paesi membri hanno votato a favore dell'accusa nei confronti delle autorità di Gerusalemme. Tale presa di posizione era stata sollecitata dalla Turchia e dall'Algeria, due dei principali rappresentanti della compagine musulmana presente in Assemblea Generale. A votare contro la risoluzione sono stati, oltre a Israele e Stati Uniti, Australia, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Isole Salomone e Togo. Proprio gli Stati Uniti, nelle settimane precedenti, avevano esercitato il loro diritto di veto, all'interno del Consiglio di Sicurezza, per scongiurare l'approvazione di una condanna analoga. Il documento approvato fa riferimento agli scontri tra manifestanti palestinesi e militari israeliani avvenuti a partire dal 30 marzo di quest'anno nella Striscia di Gaza. Il culmine delle violenze ha avuto luogo il 14 maggio, giorno del quarantennale della fondazione dello Stato ebraico e giorno dell'apertura dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. L'Assemblea Onu addebita al Governo Netanyahu un uso "eccessivo, sproporzionato e indiscriminato" della forza e lo addita come responsabile della morte di 129 abitanti di Gaza. Non ha avuto successo il tentativo americano di modificare la risoluzione affinché Hamas venisse considerata come colpevole di incitamento alla violenza. Il "blocco filo-palestinese" si è limitato a introdurre nel testo finale una generica condanna del lancio di razzi contro i villaggi del Sud di Israele, lancio perpetrato negli stessi mesi delle proteste proprio da Hamas.
   Soddisfazione per la linea adottata dall'Assemblea è stata espressa da Riyad Mansour, rappresentante del Governo Abu Mazen alle Nazioni Unite. Durissima, invece, la reazione del Primo ministro Netanyahu. Egli ha ribadito la correttezza dell'operato dell'esercito, rigettando la tesi Onu secondo la quale i militari di Gerusalemme avrebbero aperto il fuoco contro manifestanti disarmati. Il premier ha dichiarato che le Forze Armate del suo Paese si sarebbero semplicemente difese dagli attacchi dei miliziani di Hamas, capaci persino di impiegare i bambini come armi. Anche Nikki Haley, ambasciatrice Usa al Palazzo di Vetro, ha criticato aspramente la risoluzione e ha accusato i Governi musulmani di avere sottoscritto quest'ultima per guadagnarsi il consenso delle rispettive opinioni pubbliche.

(il Giornale, 15 giugno 2018)


*


L'ipocrita Onu condanna ancora Israele

di Fiamma Nirenstein

Il sentimento di pena ormai sovrasta quello del disgusto politico, che assemblea rincitrullita e autolesionista, al di sotto di ogni critica fattuale: l'Onu mercoledì ha passato una risoluzione che ha condannato Israele per uso «eccessivo, sproporzionato e indiscriminato della forza» durante i recenti scontri in cui i militanti di Hamas hanno portato la gente di Gaza a cercare di sfondare il confine con Israele coprendo gli armati con manipoli prezzolati.
   E ha rifiutato persino di aggiungere alla mozione un emendamento americano in cui almeno si condannava Hamas per tutto il male che fa alla sua popolazione che domina con la violenza, senza darle nessuna speranza, fuorché quella di uccidere. L'Algeria e la Turchia hanno proposto la condanna che ha ricevuto 120 sì, 45 astensioni e solo 8 no, in testa Usa, Israele, Australia, e poi i piccoli Micronesia, Nauru, Isole Marshall, Togo, Isole Salomone, che Dio li benedica.
   È un'alleanza di fatto col terrorismo della maggiore organizzazione mondiale cui si oppone soltanto il pragmatismo di Trump, mentre gli europei liberal sono coi Paesi islamici ormai nelle braccia del terrore, pronti a poggiare la testa sul ceppo in una sistematica abolizione di quanto nel corso dei secoli l'Occidente si era sforzato di definire come accettabile contro l'universo dell'inaccettabile, e nella santificazione di tutto ciò che viola le nostre leggi e anche la nostra morale. Infatti Hamas ha spedito la folla a spaccare un confine con l'unico scopo di uccidere i civili che vivono al di là di quel confine, come è comprovato da bombardamenti, gallerie e missioni omicide continue, e questo ben dopo lo sgombero di Gaza, da cui gli israeliani se ne sono andati nel 2005, a dimostrare che non c'entra nulla «l'occupazione», che non esiste più. Siamo in una fase nuova: la folla «inerme» va d'accordo con la diffusione del Bds, così legale e civile, di fatto invece gestito in combutta con le peggiori organizzazioni terroriste, da Hamas agli Hezbollah che marciano ormai allegri per le vie dell'Inghilterra e della Germania nei cortei del Bds. E va bene con l'incessante alacre elaborazione di nuove forme di terrorismo, tutte destinate a ricadere su di noi: che uso verrà fatto nei Paesi che hanno approvato o si sono astenuti sulla solita condanna a Israele della nuova invenzione terrorista degli aquiloni infuocati? Un aquilone può portare tante sostanze attaccate alla coda: i palestinesi hanno inventato i sequestri aerei e gli eccidi di sportivi o l'esplosione dei mezzi di trasporto pubblici, adesso certo molti epigoni stanno studiando i 500 aquiloni infuocati intercettati, più i 300 che hanno appiccato fuoco ai campi coltivati e dintorni, violando la convenzione di Ginevra che proibisce di «attaccare, distruggere, rimuovere o rendere inutilizzabili ciò che serve indispensabilmente alla sopravvivenza della popolazione». Già, ma a chi gliene importa dei crimini di guerra veri, quelli dei palestinesi, dei siriani, degli iraniani, dei turchi... Sono tanto più attraenti quelli finti, quelli degli israeliani.

(il Giornale, 15 giugno 2018)


La cucina israeliana come Dio comandava

Erbe e spezie antiche per ricreare le ricette, ottime, descritte nella Bibbia. Dalla zuppa di lenticchie di Esaù al semolino di re Salomone.

di Micol Passariello

 
Moshe Basson
Nelle campagne israeliane, a metà strada tra Gerusalemme e Te! Aviv, c'è il giardino dell'Eden. La Biblical Landscape Reserve di Neot Kedumim, così si chiama, è quanto di più vicino ai paesaggi descritti nella Genesi. Una terra protetta selvaggia e naturale con scenari verdi, coltivazioni, specchi d'acqua. È qui che l'archeologa Tova Dickstein fa crescere antichissime erbe e piante selvatiche, alcune usate per produrre spezie, di gran moda nelle cucine degli chef israeliani più blasonati del momento. La Bibbia infatti non ba ispirato solo questi magnifici giardini, ma anche una tendenza culinaria che recupera le tradizioni degli avi e attinge ai testi sacri, rispolverando antiche ricette, per cui si usano spezie millenarie, i cereali e le erbe spontanee che un tempo crescevano nelle regioni desertiche e sulle colline di Gerusalemme: issopo, acetosella, ortiche, malva e portulaca, avena, grano, orzo verde ...
   La culla della nuova cucina biblica non poteva che essere Gerusalemme, e il suo guru Moshe Basson, lo chef più famoso della città. «Sono nato in Iraq, ad Amarah, nel 1950, ma ero neonato quando la mia famiglia si è trasferita a Gerusalemme. Mi ha sempre affascinato il cibo mediorientale. soprattutto quello kosher». Il suo tempio è il ristorante Eucalyptus. dove «l'archeologo del cibos, come viene chiamato, stupisce con le sue preparazioni, le stesse descritte nelle pagine della Bibbia, tanto che i piatti vengono spesso accompagnati dal versetto corrispondente. L'Eucalyptus era la sua casa di famiglia: l'ha chiamato così per via di un albero di eucalipto che lui stesso ha piantato da bambino, per il Tu Bishvat, il Capodanno degli Alberi.
   Etnobotanico, storico dell'alimentazione, Basson è un attivista nella difesa dei cibi antichi. Il menù del suo ristorante la dice lunga: funghi selvatici alla griglia, crostini al pesto di issopo, risotto di freekeh (grano verde), Ezekial Bread (pane ricco di semi benefici) e palikaria, insalata di legumi, agnello cotto sei ore in un piatto tradizionale d'argilla sigillato con pane di pita. Uno dei suoi capisaldi è la zuppa di lenticchie rosse, che prepara nella versione tramandata dalle nonne ebree e arabe: saporitissima, cucinala utilizzando molte erbe, s'ispira alla vicenda di Esaù che svendette la sua primogenitura a Giacobbe in cambio di un piatto di lenticchie. Ma c'è anche il semolino condito con olio d'oliva e spezie, un antenato del couscous citato nel Levitico: viene descritto in diversi passi, per esempio quando Salomone offre grano con olio al re dei Fenici.
   E, come si diceva. se Basson è il più celebre degli chef che propongono la cucina biblica, non è affatto il solo, anzi. Così a Gerusalemme è sempre più facile mangiare come Dio comandava.

(la Repubblica - il Venerdì, 15 giugno 2018)


A proposito di Israele e di nazismo

Risposta a Curzio Maltese sugli scontri di Gaza e sulla reazione del governo israeliano

Sul Venerdì di Repubblica il concetto harendltano di "banalità del male" diventa per Curzio Maltese "la condanna di Israele". Hanna Arendt coniò questa idea non genericamente in "un tribunale a Gerusalemme", ma come è noto nel processo contro Adolf Eichmann, l'ufficiale delle SS che pianificò il traffico ferroviario per condurre allo sterminio milioni dì ebrei e che agli occhi della Arendt apparve con stupore come un grigio funzionario. È evidente quanto il paragone tra Israele e nazismo faccia infuriare ebrei e israeliani. In primo luogo è completamente falso: la guerra ad alta e bassa intensità tra israeliani e palestinesi non ricorda nemmeno da lontano uno sterminio o una pulizia etnica, nulla di confrontabile con quanto successo agli ebrei in Europa tra il 1939 e il 1945. Oggi né a Gaza né a Ramallah si vede nemmeno l'ombra di gaswagen, fosse comuni, camere a gas e forni crematori. Tale raffronto, che viene proposto per Israele, ma mai per altre nazioni, rappresenta di per sé una demonizzazione degli israeliani e come tale smuove (o può nascere da) inconsapevoli sentimenti antisemiti. Gli ebrei tornano a essere, come da duemila anni, i rappresentanti del Male. È tuttavia per chi lo propone un paragone comodo, sia perché evidentemente viene naturale farlo (come sempre coi pregiudizi!), sia perché non vi è dazio da pagare, non essendoci ancora piena consapevolezza del fatto che l'associazione Israele/nazismo abbia queste evidenti implicazioni. A guardare bene, tuttavia, un prezzo c'è, qualunque altra argomentazione sul conflitto passa subito in secondo piano poiché screditata in partenza. Vi sarebbe poi molto da dire "sull'ammirazione degli ebrei», alla quale Maltese fa riferimento e che, come lui stesso dice, è «l'esatto opposto dell'antisemitismo». Un'ammirazione delusa che giustificherebbe la profondità con la quale in occidente ci si senta toccati (in negativo) dalle politiche israeliane. La simmetria con cui la delusione porta a una tale svalutazione descrive il fenomeno della idealizzazione, ma l'idealizzazione dell'altro nasconde sempre aggressività, a cominciare dal semplice fatto che nessuno è ideale, siamo tutti uomini e nel momento che si viene idealizzati si viene anche perciò deumanizzati. E quando l'Immagine ideale viene meno, l'altro può diventare la quintessenza della malvagità. La trasformazione dei buoni ebrei in perfidi nazisti offre cosi anche sollievo ai sentimenti di colpa tuttora inevitabilmente presenti nelle società occidentali. Sentimenti opposti, antisemitismo e idealizzazione, ma intimamente connessi. Non sorprenderà nessuno allora pensare che vi sia tra i due un facile passaggio.

Yasha Reibman
già portavoce della Comunità ebraica di Milano

(la Repubblica, 15 giugno 2018)


Non riportiamo l'indegna replica dell'articolista di Repubblica


Bibi, la mossa del cavallo: acqua agli iraniani

Mano tesa. Un sito con istruzioni in farsi su come combattere la siccità: 100.000 visualizzazioni. "Siete sotto un regime incapace di risolvere i vostri problemi. Noi possiamo farlo" »

di Fabio Scuto

GERUSALEMME - Il confronto fra Israele e Iran sempre sull'orlo della guerra, si arricchisce di un nuovo capitolo, destinato a lasciare il segno. Con un post su Twitter senza precedenti, il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è rivolto, in inglese, al popolo iraniano. Dopo essersi versato un bicchiere d'acqua, il premier ha spiegato che Israele è all'avanguardia nella depurazione e il riutilizzo di questo fondamentale elemento per la vita. "Disponiamo di una tecnologia capace di sventare il disastro", ha assicurato Netanyahu ma ha ricordato che a causa dell'ostilità del regime degli ayatollah verso tutto ciò che è ebraico, Israele non può inviare in Iran i propri esperti. "Siete sotto un regime incapace di risolvere i vostri problemi, nella tecnologia come nell'agricoltura - ha detto Netanyahu - incompetenza e inesperienza mettono in pericolo le vite di coloro che vivono di agricoltura, il popolo israeliano è vicino al popolo iraniano e per questo vuole aiutarlo a gestire un bene prezioso: l'acqua". Come un consumato attore, Netanyahu ha spiegato che Israele è il leader mondiale nella desalinizzazione dell'acqua - rendendola potabile per le popolazioni e per l'agricoltura - e nella tecnologia dell'irrigazione drop by drop, che fornisce a ogni singola pianta esattamente l'acqua di cui ha bisogno. Da adesso, ha poi aggiunto il premier, gli iraniani stessi potranno consultare un sito israeliano, in lingua farsi, dove troveranno consigli su come riciclare l'acqua e combattere la siccità. Il messaggio del premier è stato subito notato in Iran ed in poche ore è stato visto quasi 100.000 volte.
   Nonostante la tensione permanente, già all'inizio degli anni 2000 Israele forniva alla Repubblica degli ayatollah sementi per l' agricoltura, macchine agricole, ma soprattutto grandi sistemi di dissalazione. Era possibile attraverso intermediari. In questo caso la Turchia, che all'epoca aveva eccellenti relazioni con Israele. I macchinari venivano acquistati da una compagnia turca, che li riesportava verso l'Iran. Poi le relazioni fra Israele e Turchia sono degradate e il commercio si è interrotto.
   La mossa del premier Netanyahu è estremamente sofisticata, mira a spiegare agli iraniani che i due popoli sono amici e possono essere solidali, è il regime degli ayatollah che vede in Israele un nemico. Del resto i progressi fatti da Israele in agricoltura sono sotto gli occhi di tutti. Solo pochi anni fa era afflitto da una delle peggiori siccità dell'ultimo millennio, nel 2008 si sfiorò la catastrofe ambientale. Una minaccia che ancora permane per i sistemi agricoli di Paesi della regione come Giordania, Iraq e Iran. Israele, invece, è fuori dall'emergenza. Negli ultimi 10 anni c'è stata una vasta campagna contro lo spreco dell'acqua, servizi igienici e docce a basso flusso sono stati diffusi a livello nazionale, mentre sono stati costruiti sistemi innovativi di trattamento dell'acqua che riutilizzano oltre 1'85 % di quella di scarico; filtrata, viene destinata all'agricoltura. Allo stesso tempo si è ricorsi agli impianti di desalinizzazione cercando di abbattere i costi di manutenzione che rendevano l'acqua desalinizzata troppo cara. Israele ha realizzato miglioramenti tecnologici nei sistemi di filtraggio naturali con alghe, pietre laviche e altri micro-organismi. In questo modo i costi per l'acqua dolce si sono abbattuti e oggi il 55 % dell'acqua che esce dai rubinetti nelle case è desalinizzata.

(il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2018)


Roma, i ragazzi del Socrate ricevuti in sinagoga dopo il saluto romano

La classe del liceo di Garbatella ha incontrato la presidente della comunità ebraica Dureghello e le due sorelle sopravvissute alla Shoah

di Marina De Ghantuz Cubbe

 
La conoscenza, per il momento, è subentrata alla goliardia irresponsabile da una parte e alla minaccia della bocciatura dall'altra. Gli studenti del liceo Socrate che si erano fatti immortalare in una foto mentre facevano il saluto romano sono stati portati, insieme ai compagni di classe, in Sinagoga. Ad accoglierli per parlare con loro Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica e le sorelle Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute ad Auschwitz perché scambiate per gemelle e ritenute perfette per alcuni esperimenti.
Il gesto dei ragazzi aveva fatto discutere perché la foto era stata scattata all'interno della scuola e la preside dell'istituto, Milena Pari, era intervenuta parlando di una semplice goliardata. Nella comunicazione indirizzata al consiglio di classe aveva specificato che non c'era stata alcuna violazione perché, tra l'altro, gli studenti nella foto sorridevano e le avevano detto che si trattava di un gioco, dunque non volevano ricostituire il partito fascista.
La Pari era stata invece fortemente attaccata da chi riteneva il fatto inaccettabile: altri alunni del Socrate, 37 docenti che le hanno poi scritto una lettera all'Ufficio scolastico regionale il cui presidente è Gildo De Angelis. Quest'ultimo aveva parlato con la preside per denunciare la gravità del gesto ma anche delle affermazioni della dirigente stessa . Mentre montava la polemica e i ragazzi rischiavano il 6 condotta (quindi la bocciatura), la Dureghello li aveva invitati in Sinagoga. "Vorremmo incontrarli per far capire cosa rappresenti quel saluto nella coscienza civile del nostro Paese e perché non possiamo permetterci di definirlo solo goliardia" aveva detto. Oggi li ha accolti insieme alle sorelle Bucci per dare il suo contributo nell'educare alla memoria.

(la Repubblica - Roma, 13 giugno 2018)


"Jerusalem Post": l'esercito siriano rafforza la difesa area vicino al Golan

GERUSALEMME - L'esercito siriano ha rafforzato la propria difesa anti-missilistica vicino alle Alture del Golan. Lo riferisce il quotidiano israeliano "Jerusalem Post", citando un comandante militare della coalizione che sostiene il presidente siriano Bashar al Assad. Nei prossimi giorni dovrebbero essere dispiegati ulteriori sistemi di difesa. La presenza del sistema russo Pantsir S1 mira a "rinnovare i sistemi di difesa aerea contro Israele a livello primario", ha detto il comandante, il cui nome non è stato rivelato. Il conflitto siriano nelle ultime settimane si è spostato nel sud-ovest del paese, provocando le preoccupazioni da parte di Israele. Secondo diverse fonti, infatti, Damasco starebbe preparando un assalto contro i ribelli che controllano parte del territorio in prossimità della linea di demarcazione con Israele e Giordania. Finora, grazie ad un'intesa verbale tra Russia, Stati Uniti e Giordania, l'area non aveva visto un'escalation della tensione. Secondo il comandante, i preparativi per l'offensiva governativa nel sud-ovest del paese sarebbero stati ultimati, ma le forze di Damasco sono impegnate nella lotta ai combattenti dello Stato islamico presenti nei pressi della città di Sweida, nel sud della Siria. Da parte sua, Israele rivendica che le forze iraniane e le milizie del movimento libanese Hezbollah siano allontanate dal paese.

(Agenzia Nova, 13 giugno 2018)


Vergogna ONU: condanna Israele per «uso eccessivo della forza» ai confini con Gaza

Vergognosa ma non inaspettata risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che a stragrande maggioranza condanna Israele per «uso eccessivo della forza» durante gli scontri al confine con Gaza.

GERUSALEMME - Come ampiamente previsto (e annunciato) l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato a stragrande maggioranza una risoluzione che condanna Israele per «uso eccessivo della forza» durante gli scontri con Hamas lungo il confine con la Striscia di Gaza.
Sono stati 120 i Paesi che hanno votato a favore della risoluzione presentata da Turchia e Algeria che chiedeva la condanna di Israele per «uso eccessivo e indiscriminato della forza» e una forza militare di pace a protezione dei civili di Gaza. Solo 8 i no mentre gli astenuti sono stati 45....

(Rights Reporters, 14 giugno 2018)


Al cuore dell'ideologia

Pubblicate per la prima volta in italiano le memorie del capo della Hitler-Jugend, Von Shirach

di Francesco Berti

Prendete il Mein Kampf di Hitler e leggetelo, se ne siete capaci, dalla prima all'ultima pagina. Constaterete che si tratta di un testo dominato dalla pars destruens e che l'unico elemento davvero approfondito, per quanto riguarda la pars construens, è quello biologico-pedagogico: la costruzione del "nuovo" tedesco, la purificazione della razza e l'educazione di una schiatta di giovani ariani. Lo stato, per Hitler, era infatti solo un contenitore, uno strumento al servizio del popolo-razza, la cui purezza era vitale per la sorte sua e per quella del mondo. Si capisce pertanto il ruolo centrale che, nel sistema nazista, ebbe a ricoprire la Hitler-Jugend. E si comprende il rilievo storico e politico di Baldur von Schirach, che la resse dal 1931 al 1940, anno in cui fu nominato da Hitler gauleiter di Vienna.
   Condannato a vent'anni di reclusione dal Tribunale di Norimberga, Schirach, liberato nel 1966, compose un'autobiografia dapprima pubblicata a puntate nello Sterne successivamente raccolta in volume. L'opera, però, andò presto dimenticata. Viene ora proposta al lettore italiano, figurando perciò quasi come un inedito, da Gianmarco Pondrano Altavilla, che l'ha curata e tradotta (Baldur von Schirach, Ho creduto in Hitler, Castevecchi). Un testo prezioso, utile per approfondire la conoscenza di quella che, a un certo punto, divenne una delle più numerose organizzazioni giovanili del mondo, ispirata ai valori comunitari e antimoderni dell'ideologia volkish, reinterpretati in chiave nazista. Si tratta di un'opera importante anche per i ritratti che Schirach offre di alcuni dei maggiori gerarchi nazisti, nonché dello stesso Hitler, al quale sono riservate alcune riflessioni acute. "L'immagine che oggi abbiamo di Hitler", scriveva Schirach, è quella, riduttiva, di "un tipo volgare, ripugnante già all'apparenza, un piccolo borghese esaltato, un monomane furioso". Se Hitler fosse stato solo questo, tuttavia, non avrebbe potuto sedurre "un popolo civilizzato" quale era, per alcuni aspetti, quello tedesco degli anni Trenta. In realtà, "l'Hitler efficace e pericoloso che incantava e sottometteva alla sua volontà le masse come i singoli, la gente semplice come quella colta, era l'Hitler dolce, narratore sagace, fervente ammiratore delle belle donne". Hitler era "l'uomo che il popolo tedesco voleva". Emerge qui la spinosa questione del consenso dei tedeschi al nazismo, che certo fu in parte indotto dalla potente macchina di propaganda nazista nella quale parte cospicua ebbe Schirach; ma che fu anche, in misura forse maggiore, spontaneo e sincero, come afferma l'autore, il quale, a titolo esemplificativo, ricorda l'incredibile "espressione di giubilo con cui gli austriaci accolsero Hitler" nel marzo del 1938.
   Le memorie di Schirach si presentano come un libro nel complesso onesto e dal quale si può evincere una revisione critica del passato e delle proprie responsabilità. Schirach non poteva certo misconoscere non solo la sua entusiastica adesione al nazismo, ma anche il suo perentorio antisemitismo. Cercò così di presentare quest'ultimo con tratti più moderati di quelli espressi da fanatici ossessivi come Streicher: operazione del resto tentata da molti nazisti nel dopoguerra. Schirach sottolineò pure, senza ambiguità, la sua corresponsabilità morale nello sterminio degli ebrei. Ma, come il suo ex camerata Albert Speer, compagno di partito e poi di prigione a Spandau, negò ogni partecipazione diretta alla Shoah e affermò di esserne stato all'oscuro sin quasi alla fine del conflitto. Nel caso di entrambi c'è da dubitarne. In particolare, per quanto riguarda Schirach, Pondrano ipotizza che l'ex capo della Hitler-Jugend fosse stato messo a parte del genocidio già nel 1942, se non prima, e che abbia sollecitato lo sgombero degli ultimi 50 mila ebrei di Vienna, che finirono nei campi di sterminio in Polonia.
   L'immagine probabilmente più impressionate del libro è tuttavia precedente all'adesione di Schirach al nazismo. Nelle pagine iniziali, il futuro capo della Hitler-Jugend ricorda il talentuoso fratello, morto suicida nel 1919 a causa della disfatta della Germania nella Grande guerra: "Tutta la loro giovinezza, durante gli anni della guerra, non era stata altro che una preparazione al giorno in cui avrebbero avuto accesso al campo di battaglia. E d'improvviso tutto era svanito". Incapace di far tesoro di questa tragica esperienza personale, Schirach diede un contributo decisivo alla folle corsa verso la guerra e dunque verso il suicidio della nazione della successiva generazione di tedeschi.

(Il Foglio, 13 giugno 2018)


Croazia e Israele concordi per un rafforzamento della cooperazione

Il ministro dell'Interno croato Davor Bozinovic (s.) e il ministro della Sicurezza pubblica israeliano Gilad Erdan
ZAGABRIA - Il ministro della Sicurezza pubblica israeliano Gilad Erdan e il ministro dell'Interno croato Davor Bozinovic hanno concordato nel corso della visita di quest'ultimo in Israele un "rafforzamento di cooperazione in diversi settori". Secondo quanto riferisce oggi il quotidiano croato "Jutarnji list", questi settori comprendono la lotta alla criminalità e i soccorsi in disastri naturali e umanitari. Nella dichiarazione di Bozinovic ai media locali si legge che "l'Israele e la Croazia aprono una nuova fase della cooperazione nel settore della sicurezza, innalzandola a un livello strategico". Precedentemente, il ministero della Difesa croato ha acquistato dodici caccia israeliani F-16.

(Agenzia Nova, 14 giugno 2018)


Talmud Babilonese - Trattato Berakhòt

Domani, al MEIS, lezione di Talmud tra ebraismo e scienza

FERRARA - Alle 18.00 di domani, giovedì 14 giugno, il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - MEIS (Via Piangipane 81, Ferrara) ospita l'incontro sul tema "Il Tempio dopo il Tempio. Il trattato Berachot. Contenuti, traduzione e innovazione".
Ad aprire la lezione, il Coordinatore della traduzione del Progetto Talmud, Rav Gianfranco Di Segni, che interviene sul trattato Berachot. David Dattilo, Responsabile del Software Traduco, ed Emiliano Giovannetti, Responsabile scientifico dell'Unità di ricerca ILC-CNR dello stesso Progetto, illustrano poi la tecnologia su cui si basa il programma di traduzione in italiano del Talmud Babilonese.
Il Progetto Traduzione Talmud Babilonese ha come obiettivo la traduzione digitalizzata in italiano di un testo che, per la cultura ebraica, è fondamentale non solo in campo religioso, ma anche perché tocca ogni aspetto della conoscenza umana, dalla giurisprudenza alla scienza, dalla filosofia alla vita di tutti i giorni. La traduzione commentata, con testo originale a fronte in lingua ebraica e aramaica, viene realizzata con strumenti avanzati di linguistica computazionale e l'utilizzo di un'applicazione creata ad hoc. Il Progetto rappresenta uno straordinario arricchimento del patrimonio culturale italiano e consentirà di accedere a un'opera che ha caratterizzato l'ebraismo e influenzato la storia europea degli ultimi mille anni.
L'appuntamento - a ingresso gratuito - rientra nel ciclo "Gallery Talk. Alla scoperta del percorso espositivo del MEIS" e prende spunto proprio dalla mostra "Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni", che racconta la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.e.v. ad opera dei Romani. Nel trattato Berachot del Talmud Babilonese, appena uscito nella traduzione italiana, viene spiegato come gli ebrei hanno sostituito il Tempio nella loro identità e quotidianità.
Ufficio Stampa
Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - MEIS

(ferraraitalia, 13 giugno 2018)


Gioco di simulazione sulla nascita di Israele: polemiche all'Università di Torino

Giaime Alonge e Riccardo Fassone hanno presentato Eretz Israel, un gioco da tavolo di simulazione storica che ricostruisce la genesi dello Stato di Israele. Le perplessità di alcuni docenti

 
È opportuno un gioco da tavolo sulla nascita dello Stato di Israele, alla luce del conflitto ancora in atto con i palestinesi? È questo l'interrogativo-polemica sollevato da più studenti questa mattina a Palazzo Nuovo durante l'Humanities in a day, dove gli studiosi umanisti hanno raccontato i propri progetti di ricerca attraverso poster scientifici, talk e visite guidate.
Tra di loro anche Giaime Alonge e Riccardo Fassone che hanno presentato Eretz Israel, un gioco da tavolo di simulazione storica che ricostruisce la genesi dello Stato di Israele, dalla dichiarazione Balfour del 1917, con la quale il governo inglese si impegnò a favorire la nascita di un focolare nazionale ebraico in Palestina, sino alla prima guerra arabo-israeliana del 1948-49. "Stiamo valutando di commercializzarlo", ha spiegato Riccardo Fassone.
Tra i due giocatori, che utilizzano gli strumenti del wargame tradizionale e un mazzo di carte, vince chi totalizza il punteggio più alto. A seconda del risultato nasce o meno lo Stato di Israele. Un gioco da tavola che però non ha mancato di attirare critiche da parte di studenti, visti le tensioni e il conflitto in atto.
Interrogato per un commento il professore dell'Università di Torino Ugo Volli, da sempre difensore di Israele, commenta: "Ci sono tanti giochi di strategia su temi attualità: non è detto che non si debba giocare su questo".
A intervenire nel dibattito anche il capogruppo della Lega, Nord Fabrizio Ricca: "Sicuramente è un'iniziativa controcorrente, che però può avere un solo finale: che lo Stato di Israele esiste con buona pace di tutti".

(TorinOggi, 13 giugno 2018)


Kushner torna in Israele per il piano di pace

di Francesco Semprini

Jared Kushner torna in Israele la prossima settimana per discutere con diversi interlocutori il piano di pace per il Medio Oriente messo a punto dall'amministrazione americana. Saranno assenti però i rappresentanti palestinesi, visto che l' amministrazione Trump non ha contatti con loro da oltre sei mesi, ovvero dalla decisione di trasferire l'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme.
   Il genero e consigliere del presidente si incontra invece con funzionari israeliani e, probabilmente, con emissari dei vicini Paesi arabi. Dalla controversa decisione di trasferimento della rappresentanza diplomatica a stelle e strisce, l'Autorità palestinese ha troncato ogni relazione diplomatica con Washington, e il presidente Abu Mazen ha deciso il boicottaggio a oltranza degli Stati Uniti rifiutandosi di incontrare qualsiasi rappresentante americano in visita in Medio Oriente, iniziando dal vicepresidente Mike Pence.
   Per tutta risposta lo scorso mese l'ambasciatrice Usa all'Onu, Nikki Haley, in segno di protesta, ha abbandonato l'aula del Consiglio di sicurezza dell'Onu proprio quando ha preso la parola il rappresentante palestinese. L'amministrazione Trump ha lavorato su un piano di pace per circa un anno, nell'ambito di una «road map» regionale articolata in tre punti. Ovvero il trasferimento dell'ambasciata a Gerusalemme, un piano di pace che prevede la coesistenza di due Stati e l'investitura dell'alleato saudita quale "broker" regionale del piano stesso. La cui divulgazione nei dettagli, secondo i rumors, potrebbe arrivare già entro la fine del mese.
   Sino ad oggi sono trapelati pochissimi dettagli al riguardo e i palestinesi hanno accusato il presidente Trump di assecondare «supinamente» le istanze della destra israeliana, ignorando le loro richieste fondamentali. La Casa Bianca sostiene invece di volere un piano «vendibile» a entrambe le parti.
   Nel frattempo però la situazione si è inasprita con gli scontri di Gaza avvenuti durante l'inaugurazione della nuova ambasciata Usa. Scontri che hanno causato la morte di 112 palestinesi, la gran parte dei quali, secondo gli osservatori, erano legati a organizzazioni «terroristiche» tra cui Hamas e Al-Fatah.
   Inutili gli sforzi di comporre la situazione da parte della comunità internazionale: per la prima volta in 50 anni una bozza di risoluzione (che ometteva l'uso della forza da parte di Israele) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha avuto un solo voto, quello degli Usa.

(La Stampa, 13 giugno 2018)


Firenze - Appuntamento con il Balagan Café

Giovedì 14 giugno: musica, dialogo e buon cibo per una serata in Sinagoga

L'appuntamento in Sinagoga in compagnia del Balagan Cafè riparte domani, a Firenze, per celebrare i 70 anni della nascita di Israele: è in programma infatti una serata intitolata "1948-2018: settant'anni di Israele" (ingresso libero a partire dalle ore 19) nell'ambito della kermesse estiva organizzata dalla Comunità Ebraica di Firenze in collaborazione con il Comune di Firenze all'interno del calendario dell'Estate Fiorentina e con il contributo della Regione Toscana.
Protagonista dell'incontro delle ore 20,30 sarà una delle attrici più importanti in Israele Smadar Yaaron, fondatrice del teatro di Akko, realtà multiculturale unica nel panorama teatrale israeliano, luogo dove artisti ebrei e arabi lavorano insieme, indagando le reciproche storie e memorie.
A seguire "Musica immaginaria mediterranea", il concerto di Raiz storica voce degli Almamegretta, che si esibirà con il gruppo barese di musica popolare Radicanto, che miscela musica folk e canzone d'autore. Il concerto sarà un viaggio immaginario dall'Italia a Israele, seguendo anche la vita stessa di Raiz, da Napoli a Tel Aviv, dagli Almamegretta alla musica ebraica.
A precedere la serata l'apericena con degustazione di piatti tipici della tradizione culinaria ebraica preparati dagli chef Jean Michael Carasso e Michele Hagen (offerta consigliata 10 euro).
Durante la serata sarà possibile effettuare visite guidate in Sinagoga alle ore 20,45 (costo 6,50 euro). Programma completo e info su www.balagancafe.it, www.firenzebraica.it e www.jewishtuscany.it
Informazioni e prenotazioni su sinagoga.firenze@coopculture.it

(Controradio, 13 giugno 2018)


Fintech: Israele porta in Italia eccellenze tecnologiche col supporto Digitouch

MILANO - Milano ha ospitato oggi una selezione di Startup israeliane, che hanno presentato le proprie eccellenze tecnologiche a un pubblico di aziende retail ed e-commerce. Inserito nel roadshow di incontri pianificati in primavera in Europa dal Ministero dell'Economia Israeliano, l'evento dal titolo "Tech Innovation: Israeli's startups meet Italian companies" e' organizzato in partnership con il Gruppo DigiTouch, societa' quotata sul mercato Aim Italia e specializzata nel Mar-Tech. Con il contributo dell'Istituto Israeliano di esportazione e cooperazione internazionale (Ieici), si legge in una nota, sono state selezionate le Startup israeliane piu' all'avanguardia nelle soluzioni di Online Social Commerce, Data & Analytics, AR/VR, Retail Automation, Supply Chain Tech, AI & Voice recognition e di altre innovation tech che possono offrire alle aziende del mondo retail degli asset strategici per emergere in un mercato altamente competitivo. Le Startup che hanno raccontato la loro identita' e la loro esperienza sono Bllush Visuals, BrandGuard, Bringoz Technologies, Dynamic Yield, EyeCue (Qlone), KonnecTo, Personalics, Syte, Viewbix e Weezmo.
   L'appuntamento e' stato organizzato in due momenti, accompagnati da occasioni di networking e di confronto. Si e' aperto con una conferenza plenaria in cui sono intervenuti Natalie Gutman-Chen, Consigliere per gli Affari Commerciali del Ministero dell'Economia Israeliano, le spoke persons di ogni singola Startup che hanno raccontato in breve l'innovazione tecnologica sviluppata, e Paolo Mardegan, ceo del Gruppo DigiTouch.
   L'evento e' proseguito con una ricca agenda di incontri one to one che permetteranno alle Startup di incontrare singolarmente le aziende e mostrare come la propria tecnologia possa applicarsi alla singola azienda. "Questo evento rappresenta un'occasione unica per scoprire e conoscere l'innovazione made in Israel. La collaborazione tra il Ministero dell'Economia dello Stato di Israele e il Gruppo DigiTouch permettera' ad aziende e professionisti del settore retail di entrare in contatto in maniera diretta e con obiettivi mirati e specifici", afferma Natalie Gutman-Chen, Consigliere per gli Affari Commerciali, Ministero dell'Economia Israeliano. "Le aziende israeliane che saranno presenti all'evento rappresentano al meglio la realta' israeliana e il concetto di start up Nation sul quale si fonda il progresso tecnologico israeliano. Siamo entusiasti di contribuire a creare nuove connessioni tra i principali retailers italiani e le piu' avanzate aziende tecnologiche israeliane, cosi' da generare nuove opportunita' di investimento e cooperazione tra i due Paesi", specifica. "Siamo molto lieti di poter collaborare con il Ministero dell'Economia Israeliano nella realizzazione di questo evento, che raccoglie alcune delle maggiori eccellenze tecnologiche a supporto dei Brand del retail e dell'ecommerce", afferma Paolo Mardegan, ceo del Gruppo DigiTouch. "Si tratta infatti di un progetto che ben si inserisce nel percorso intrapreso dal nostro gruppo di posizionamento sul mercato come punto di riferimento per le aziende appartenenti a questi due settori che, intravedendo la possibilita' di portare un efficientamento dei processi e un incremento del proprio business, si mostrano particolarmente aperti all'introduzione di soluzioni tecnologiche innovative. Inoltre, il nostro Gruppo coltiva da tempo un forte interesse nei confronti del mondo delle Startup, manifestato sia attraverso investimenti diretti che mediante l'attivazione di un progetto di co-working, che permette a diverse Startup di inserirsi nei nostri uffici, in un contesto di scambio e di collaborazione reciproca". r

(TGCOM24, 13 giugno 2018)


Israele. Giovane aggredita, «atto terroristico»
      Si notino le virgolette


Le conclusioni dello Shin Bet dopo l'interrogatorio del palestinese che ha accoltellato la ragazza ad Afula. La liceale è grave ma stabile.

GERUSALEMME - Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano, ha confermato che «è stato un attentato terroristico» l'accoltellamento di una liceale ebrea avvenuto Lunedì ad Afula, nel nord di Israele.
   Lo Shin Bet è arrivato a questa conclusione dopo aver interrogato a lungo un palestinese di 20 anni, catturato nelle immediate vicinanze e trovato in possesso di un coltello. Shuva Malka, 18 anni, è stata aggredita alle spalle mentre, poco prima di mezzogiorno, andava a scuola per fare gli esami di maturità. Si è accasciata vicino a una caffetteria. L'attentatore è subito fuggito dalla scena, ma gli agenti di polizia sono riusciti ad arrestarlo poco dopo. Si tratta di un palestinese della città di Jenin, in Cisgiordania, che, ha spiegato la polizia, era entrato in Israele senza permesso. La ragazza resta ricoverata nel reparto di terapia intensiva di un ospedale cittadino. I medici hanno riferito che, dopo aver subito un intervento d'urgenza, è in condizioni gravi ma stabili.
   Michal e Gabriel Malka, i genitori di Shuva, hanno detto alla stampa che la giovane è sopravvissuta «solo per miracolo» a quella aggressione, e hanno chiesto al governo una risposta adeguata affinché i bambini possano camminare per le strade in sicurezza. «Ci aspettiamo che Israele protegga i nostri figli», hanno concluso.

(Avvenire, 13 giugno 2018)


Musica in sinagoga

di Alberto Angelino

 
Alberto Bologni al violino e Carlo Palese al pianoforte
Non saremo mai troppo grati alla Comunità Ebraica di Casale Monferrato e a Giulio Castagnoli per questa rassegna dal titolo "Musica in sinagoga". E non solo per lo sguardo "trasversale" sul repertorio classico, scegliendo tra autori che, per nascita o per biografia, hanno avuto a che fare con l'ebraismo, ma anche per aver estratto dall'ombra tutta una serie di compositori italiani del '900, riconosciuti in tutto il mondo come appartenenti a una prestigiosa matrice culturale eppure poco presenti nei programmi di sala della nostra Penisola.
   E' il caso di questo concerto, domenica 10 giugno che ha visto protagonisti Alberto Bologni al violino e Carlo Palese al pianoforte, dedicato a Mario Castelnuovo Tedesco, Luigi Dallapiccola e John Williams. Il filo che li unisce, come si è detto, è l'ebraismo: anche se Luigi Dallapiccola non era ebreo lo era sua moglie e lui rifiutò la cattedra di composizione del Conservatorio di Firenze nel 1938 proprio per non sottrarla a un collega espulso dalle leggi razziali del'38. Mario Castelnuovo Tedesco che invece ebreo lo era, dovette emigrare nel 1939 in America dove finì per essere un ricercato compositore per Hollywood, anche se scrisse la maggior parte delle sue colonne sonore sotto pseudinomo. Chi invece usò sempre il suo nome nei titoli di coda è il suo allievo più famoso: John Williams: 5 volte Premio Oscar e 51 nomination, (ma anche Henry Mancini e Jerry Goldsmith lo ebbero come maestro).
   Queste le biografie, ma si può parlare anche di uno spaccato dello stile italiano, almeno nella prima parte del programma. In tutta la "generazione dell''80" di cui Dallapiccola e Tedesco costituiscono quasi una coda c'è la nostalgia dell'antica musica strumentale italiana, in particolare rinascimento e barocco, ma senza dimenticare cosa è accaduto nell'Europa, musicale e non, del primo novecento. Ognuno poi ha suo stile particolare. Se Dallapiccola riesce a giocare sulle modulazioni del primo settecento della sua "Tartiniana seconda", Castelnuovo Tedesco nella sonata quasi una fantasia (in prima assoluta in questo arrangiamento) è ispirato a Debussy, Ravel (ma si sente anche Respighi) e abbozza sfumature inaspettate, tra scale pentatoniche, canzoni popolari e persino un Dies Irae. Una cosa è certa: l'esecuzione non sembra essere facile. La parte centrale della Sonata è un mare in tempesta dove natanti di qualsiasi nazionalità sgomitano per farsi vedere e il duo è veramente bravo a guidare l'ascoltatore in questo paesaggio cangiante.
   Di fronte a quest'opera la "Fantasie sulla Fille du Regiment" sembra una innocuo studio operistico dal sapore ottocentesco. E poi c'è John Williams, dato l'organico e la sede il pezzo scelto non poteva che essere il tema da "Schindler's List" realizzato con una esecuzione quanto mai partecipe e del resto Elio Carmi, vicepresidente della Comunità, dedica il concerto a Gena Turgel, 95enne testimone della Shoah scomparsa proprio in questo giorno.

DOMENICA 17 DUO PIANISTICO
Il prossimo concerto della rassegna "Musica in Sinagoga" sarà domenica 17 giugno con "A quattro mani tra otto e novecento": duo pianistico formato da Cristina Laganà e Cecilia Novarino. In programma musiche di Gershwin, Barber, Ravel, Stravinsky.
Nel frattempo la mostra "Sguardi dentro Israele" in Sala Carmi è stata prorogata fino al 24 giugno, mentre la mostra "Another Country Momenti di vita di ebrei in diaspora" si inaugurerà in Comunità il 1o luglio.

(Il Monferrato, 12 giugno 2018)


Congelati per legge i fondi che l'Autorità Palestinese versa ai terroristi

Il presidente della Commissione esteri e difesa: "Non dobbiamo più permettere che Israele sia un anello nella catena di pagamenti che alimenta e incentiva il terrorismo"

"Ci sono due modi per trovare un impiego presso l'Autorità Palestinese - ha scritto lunedì Avi Dichter - Il primo richiede di presentare una domanda e sostenere gli esami necessari. Supponendo che l'Autorità Palestinese decida di assumervi, la paga tuttavia non è molto buona. L'altro modo per trovare un impiego presso l'Autorità Palestinese è compiere un attacco terroristico contro gli israeliani. L'ipotesi più vantaggiosa è uccidere almeno un israeliano, essere arrestati, essere processati in Israele ed essere condannati al carcere. Dopodiché, dal momento in cui venite condannati, siete sul libro-paga dell'Autorità Palestinese e il vostro stipendio dipenderà dalla durata della condanna, con paghe tanto più alte quanto più grave l'attentato e più lunga la condanna. Tutto questo avviene sotto il nostro naso. In base al budget 2018 approvato dal governo di Ramallah solo due mesi fa, 1,2 miliardi di shekel (340 milioni di dollari) andranno a terroristi condannati dai tribunali israeliani e alle loro famiglie. La Knesset ha deciso di porre fine a tutto questo, almeno per quanto riguarda le entrate fiscali che Israele trasferisce all'Autorità Palestinese. Il parlamentare Elazar Stern ed io ci siamo uniti ad altri legislatori nel promuovere la legge che obbligherà il governo, e in particolare i ministri delle finanze e della difesa, a detrarre i fondi che Ramallah paga ai terroristi carcerati e ai loro parenti dalle entrate fiscali che Israele trasferisce all'Autorità Palestinese". Conclude Dichter: "Non dobbiamo più permettere che Israele accetti di essere un anello nella catena di pagamenti che alimenta e incentiva il terrorismo"....

(israele.net, 12 giugno 2018)


Il Balagan va in città. L'attrice Smadar Yaaron in scena alle Murate

FIRENZE - L'icona del teatro israeliano Smadar Yaaron, fondatrice del teatro di Akko, realtà unica nel panorama israeliano, dove artisti ebrei e arabi lavorano insieme sulle rispettive storie e memorie, interpreta "Um Muhamad", dialogo tra una donna ebrea e una donna araba divise dalla storia, dalla religione, dalla cultura, unite dal dolore.
Un racconto appassionato tra due "sopravvissute" (in inglese, con traduzione) che andrà in scena, ad ingresso gratuito, mercoledì 13 giugno a Firenze (ore 20,45 - via dell'Agnolo, Sala Ketty La Rocca; necessaria la prenotazione al numero 055 2346654). La serata è realizzata con il contributo economico dell'Ambasciata di Israele in Italia e con i contributi dei fondi 8xmille dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane in occasione del progetto 2018 dei 70 anni di Israele.
Il Balagan va in città. Si tratta del primo di tre appuntamenti de "Il Balagan va in città", organizzati dalla Comunità Ebraica di Firenze nell'ambito del programma estivo del "Balagan Café". A precedere lo spettacolo un buffet apericena a cura di Ruth's Kosher Restaurant, (ore 19,30 - costo 10 euro).

(agenziaimpress.it, 12 giugno 2018)


Alla ricerca dei "veri ebrei"

A partire da una fotografia, uno scrittore racconta l'immagine costruita attorno ai haredim.

di Keith Kahn-Harris

 
Se mi incontraste per strada, se trovaste una mia foto su internet, cosa vedreste? A volte potreste vedere un uomo di mezza età, un po' hipster, ma senza crederci troppo: la mia barba incolta ricorda Shoreditch, il resto invece è più ordinario. Altre volte potreste trovare qualche tratto da metallaro: capelli neri lunghi, radi sulla fronte, abbigliamento scuro e pantaloni mimetici, aspetto perfetto per un concerto dei Sunn O))). Altre volte ancora sono semplicemente un comune quarantaseienne, ordinario nei miei vestiti comprati in una catena di negozi di abbigliamento e con la pancia flaccida.
   Vedete qualcosa che vi dica che sono ebreo?
   Se indossassi il mio Tribly nero (un regalo di mia moglie per il mio ultimo compleanno) o una giacca nera, se la mia barba fosse particolarmente curata, forse mi guardereste una seconda volta e pensereste «è uno di loro?» Sì, uno di quegli ebrei, quelli che si vestono di nero e hanno la barba lunga, quelli che vivono a Stamford Hill e a Gerusalemme. Hassidici li chiamano, no?
   No, non sono uno di loro, e senza la barba e il cappello non sareste nemmeno caduti nell'errore. Per trovare l'ebreo che c'è in me bisogna conoscerne abbastanza di ebrei. Bisogna avere quello che io chiamo J-dar, ovvero quella sensazione indescrivibile che permette a quelli che sono cresciuti nelle comunità ebraiche di riconoscerci fra di noi, almeno qualche volta. Alla maggior parte dei non ebrei manca questo radar e quindi gli ebrei come me - che si vestono mescolando diversi stili - riescono a passare inosservati. Questo "passare inosservati" è però un problema. Alimenta le fantasie riguardo alle cospirazioni ebraiche nascoste. Gli ebrei vengono derisi dagli antisemiti quando si fanno notare, odiati quando invece non lo fanno. Anche se non si prova ostilità nei confronti degli ebrei, la tendenza che hanno gli ebrei ad essere o del tutto riconoscibili o completamente invisibili è sconcertante.
   È un problema per i media, o almeno lo è diventato per la stampa britannica negli ultimi anni, Siamo ben lungi dall'imporre giornali che trattino soltanto di noi. Oggigiorno, quando si pubblica un articolo - qualsiasi tipo di articolo - bisogna sempre allegare una foto al testo, per nutrire il mostro online. In un'epoca in cui caporedattori e photo editor competenti vengono spesso rimpiazzati da apprendisti tartassati e precari, si è costantemente sotto pressione per trovare quella foto e metterla subito online insieme all'articolo.
   Se l'articolo riguarda gli ebrei ciò significa inevitabilmente scovare la foto "più ebrea" possibile. La foto dei meno ambigui, dei più riconoscibili, degli ebrei che più ebrei non si può, in altre parole ... loro. Due di loro stanno camminando lungo la strada. Li vediamo camminare lontano da noi, tranquilli, uno di loro con le mani dietro la schiena. Ciò che risalta di più nella foto però, sono i cappelli neri e i cappotti lunghi che indossano, lasciando il resto sfuocato nell'ombra. Non si sa chi siano, ma si può vedere il profilo della barba, forse un po' ingrigita, dell'uomo sulla sinistra. L'uomo sulla destra sembra più giovane, è senza barba e porta i payot. Sembra più goffo, meno rilassato dell'altro uomo. Sono padre e figlio? Insegnante e alunno? O semplicemente due amici che passeggiano? Chi sono? Sono loro. Sono anche me. Sono ebrei. Sono generici. Sono haredim. Questo termine, che si può tradurre in modo approssimativo con "i timorosi", non è perfetto, ma è meglio di alternative come "hassidico" (che può fare riferimento solo ad alcuni di loro) o "ultraortodosso" (che è vagamente offensivo).
   Gli haredim sono ebrei come me. A differenza mia, tuttavia, scelgono (o è stato scelto per loro dagli antenati) di relazionarsi al mondo moderno in maniera molto differente. Quando nel diciannovesimo secolo gli ebrei europei sono stati gradualmente liberati dalle restrizioni legali e sono diventati liberi di vivere la propria vita come cittadini, divenne chiaro che alcuni ebrei si stavano approfittando di questa libertà per smettere del tutto di praticare la loro religione o stavano adattando i costumi dell'ebraismo alla vita moderna. Emersero altri tipi di giudaismo, che cercavano di limitare le interazioni degli ebrei con il mondo non ebraico e di rispondere alla modernità con maggior rigore religioso.
   Sono cambiate molte cose dal diciannovesimo secolo. Gli haredim sono stati decimati durante la Shoah. I sopravvissuti hanno impiegato diverse strategie che si sono rivelate un successo straordinario: alto tasso di natalità (sono frequenti famiglie con dieci o più figli), sempre maggiore attenzione all'osservanza religiosa e ricostruzione delle comunità in modo tale che un'elevata percentuale di uomini possa impegnarsi a tempo pieno nello studio.
   Da qualche migliaia nel 1945, ci sono ora più di un milione di haredim nel mondo - una popolazione in continua crescita (nel RU di più del 4% all'anno). Vivono in comunità affiatate e spesso molto ristrette in tutto il mondo in luoghi come Israele, Brooklyn e altre enclavi in America, Stamford Hill, Salford e Gateshead in Inghilterra, Anversa in Belgio e altri.
 
   Pur essendo spesso isolati dalla vita moderna, le immagini degli haredim sono onnipresenti, almeno in Inghilterra. A volte accompagnano gli articoli che riguardano la comunità haredi, altre volte articoli di "tutti" gli ebrei e occasionalmente articoli che non hanno alcun tipo di connessione col mondo ebraico degli haredim. Quando ho caricato la mia foto preferita su Google per utilizzare l'opzione di ricerca inversa, l'ho trovata usata in 50 casi, prima che smettessi di contarli. La si può trovare ovunque, da quotidiani a larga diffusione come The Guardian a siti marginali come World Peace Assembly.
   Negli ultimi anni ho "collezionato" esempi dell'uso di questa foto, ed altri simili. E' un passatempo divertente, al quale partecipano volentieri i miei amici online, inviandomi con entusiasmo nuovi esempi quando li trovano. Però mi preoccupo anche un po' quando vedo ancora una volta i due uomini misteriosi che camminano lungo la strada. E cosa mi spinge ad osservare gli usi che vengono fatti di questa foto è più che una voglia di prendere in giro i redattori stressati e senza fantasia che continuano a riproporla. Riguarda anche i miei sentimenti contrastanti sull'essere rappresentato da questo tipo di foto. Sul serio, gli haredim mi mettono in soggezione. Sono riusciti a crescere e a svilupparsi in un mondo sempre più laico. Nelle comunità che supportano il più possibile il maggior numero di uomini che si dedicano a tempo pieno allo studio, hanno evitato i comfort materiali della modernità. La loro infrastruttura benefica è molto grande e onnicomprensiva, E, in fin dei conti, anche se molti di loro possono non essere felici che gli ebrei come me vivano come facciamo, loro sono la mia gente. L'identità ebraica significa ancora qualcosa per me. Il mio destino è legato al loro.
   La mia soggezione nei confronti di ciò che ha realizzato l'haredi non può essere separata dal mio disagio per molti dei loro modi: i due sessi sono rigidamente separati e le coppie si sposano secondo matrimoni combinati, di solito a 18-21 anni; i bambini (in particolare maschi) spesso hanno accesso solo al livello minimo di istruzione laica e raramente gli è permesso frequentare l'università; in Israele gli haredim creano astio sottraendosi in larga misura al servizio militare e ottenendo sovvenzioni speciali per le loro istituzioni; lasciare la comunità è estremamente difficile e quelli che lo fanno hanno spesso pochi contatti con le loro famiglie; [ ... ]; alcune ideologie denigrano gli altri ebrei e i non ebrei. Quando foto di haredim vengono usate per descrivere le storie di ebrei come me, non posso fare a meno di sentirmi deluso per il fatto che vengano trattati come i "veri" ebrei. Allo stesso tempo però, i legami di identità ebraica che mi uniscono agli haredim producono anche un altro tipo di delusione: la violazione della loro privacy, l'oggettivazione, l'esoticismo. E quella foto, che suscita un misterioso, segreto e -soprattutto - oscuro "altro", sembra essere un invito alle fantasie antisemitiche dell'ermetica sovversione ebraica.
   Foto come quella, inoltre, eliminano la diversità del mondo haredi. Possono sembrare identici nei loro abiti neri, ma ci sono differenze impercettibili nell'abbigliamento che implicano una molteplicità di identità haredi. Gli haredim sono hassidici e mitnagdim (coloro che, storicamente, si opposero all'hassidismo; oggi spesso conosciuti come "Litvak" per la loro origine lituana); gli haredim sono sionisti, antisionisti e non-sionisti; gli haredim sono i Chabad, i Bresloviani, gli Skvever, i Satamarici, i Ger, i Belz, i Bebev e molti altri: questi sono i nomi delle sette che prendono il nome dal loro luogo d'origine o (più raramente) dai loro rebbe.
   Poi c'è il problema del genere. Le donne haredim esistono e sono tanto diverse fra loro quanto lo sono gli uomini. Anche loro hanno le loro differenziazioni per quanto riguarda il modo di vestirsi e di vivere. Ma c'è un dilemma. L'ideale femminile è quello del tzniut, o umiltà, che le porta ad evitare l'esposizione pubblica (alcuni giornali haredim non pubblicano foto di donne), Il fatto di non pubblicare foto delle donne haredim sui giornali rispetta l'aspirazione all'umiltà oltre a contribuire alla loro cancellazione.
   Quando le persone diventano simboli, quando vengono trasformate in emblemi generici, perdono la loro umanità: le parti positive e quelle negative. Come si fa a ritrasformare questi simboli - come gli haredim nella foto - in persone? Incontrandole in quanto persone.
   Ho deciso quindi di rintracciare gli uomini della foto e di incontrarli. Incontrandoli, speravo di poterli "classificare" più nello specifico come ebrei, non semplicemente "ebrei" e collocarli in maniera più precisa all'interno della multiforme subcultura haredi. E ce l'ho fatta - in un certo senso. Ed è stato facile - più o meno. Il primo passo è stato scoprire qualcosa in più sulla foto. Il fotografo si chiama Rob Stothard e lo si può trovare nel catalogo di immagini di Getty Images. È stato facile trovare il sito di Rob e, dopo una breve email introduttiva da parte mia, mi sono ritrovato a parlare con lui. Rob mi ha sorpreso. Non solo era conscio del fatto che la sua foto fosse dappertutto, ma oltretutto questo lo faceva sentire a disagio. In quanto fotografo professionista, non vuole che le sue foto vengano decontestualizzate.
   E' ben consapevole delle questioni che riguardano la fotografia di gruppi marginali. Tuttavia, deve guadagnarsi da vivere e produrre contenuti per cataloghi di immagini come Getty lmages è parte del suo lavoro.
   Se viene contestualizzata, la foto di Rob ha più senso. All'inizio di gennaio del 2015 Getty Images gli ha commissionato alcune foto per una notizia diffusasi alla luce degli attacchi terroristici di Parigi, quando la polizia britannica ha annunciato che avrebbero inviato pattuglie nelle zone ebraiche e anche i servizi di sicurezza della comunità haredi, gli Shomrim, hanno annunciato un aumento della sorveglianza. Non si può dire nulla sul fatto di usare queste foto di haredim, scattate nei quartieri haredi, per illustrare storie che riguardano direttamente i soggetti rappresentati. La questione però non è finita qui. Questo non giustifica il riutilizzo senza fine delle foto fuori dal loro contesto (anche se Rob non è il responsabile per questi usi). E non spiega perché questa foto sia così diffusa.

Keith, dai haredim al metal
"Sono un sociologo e scrittore londinese. Sono curioso di sapere cosa fanno le persone insieme nelle comunità. Mi piace sentire le loro storie". Così si presenta l'inglese Keith Kahn-Harris, docente al Leo Baeck College e al Birkbeck College e ricercatore dell'lnstìtute far Jewish Policy Research di Londra. Autore di diversi libri, i suoi interessi spaziano dalla comunità ebraica britannica alle scene della musica metal estrema. Ha scritto per il Guardian, New Humanist, Times Literarv Supplement, ha curato la rivista Jewish Quarterly magazine nel 2014-2015 e collabora con la BBC. Oltre ad aver dedicato i suoi studi al mondo haredi inglese - come ricorda nell'articolo pubblicato sul sito britannico Boundless - Keith Kahn-Harris ha pubblicato nel 2014 Uncivil War: The lsrael Conflict on the Jewish Community, libro in cui l'autore sostiene che, dal 2000, le comunità ebraiche della diaspora sono diventate sempre più divise rispetto a come relazionarsi con Israele e propone alcune idee per la risoluzione dei conflitti.
 
Keith Kahn-Harris


(Pagine Ebraiche, giugno 2018 - trad. Ilaria Vozza)


Prove generali del dossier Iran

di Fiamma Nirenstein

Nelle ultime ore prima del summit di Singapore, il segretario di Stato Mike Pompeo ha fatto balenare la speranza che il mondo può guardare con ottimismo all'incontro fra Trump e Kim.
   Trump può farcela dove i suoi predecessori hanno fallito e in questo caso lo sberleffo maggiore è dedicato al fallimento di Obama con l'Iran, il Paese che dopo un decennio di trattative e un accordo ha seguitato a progettare sotto il tavolo la bomba nucleare, e sopra ha inaugurato con missili balistici e invasioni territoriali una politica imperialista mai osata. Questo nesso fra l'atteggiamento americano verso le due potenze nucleari più pericolose del mondo investe l'oggi e soprattutto il domani. Tutto il mondo è ansioso di ritrovare un filo di speranza verso la pace e la denuclearizzazione. E nessuno come il Medio Oriente conosce questa necessità, specie da quando le «primavere» sono state seguite dagli attacchi dei califfi, con l'Isis, e degli ayatollah, con l'Iran e gli hezbollah specie in Siria, Iraq, Yemen e sul confine di Israele cui l'Iran ha giurato distruzione e morte. Ed è per questo che Israele, ma il resto dell'area, guarda all'incontro fra Trump e Kim come fosse suo: trasmissioni continue in diretta, corrispondenti e commentatori tutti mobilitati persino durante le ore in cui un nuovo attacco terrorista ha quasi ucciso una 17enne a Afula, e mentre brucia la discussione su Gaza da cui seguitano a partire gli assassini organizzati. Se Trump riesce a fare un accordo con la Corea del Nord, fondamentale per Israele potrebbe essere, rispetto al pericolo iraniano, se esso conterrà un impegno di Kim a cessare di distribuire know how sulle armi nucleari all'Iran e alla Siria, e prossimamente, sembra, anche all'Egitto e forse all'Arabia Saudita. Se poi si avvia un processo di pace, dovrebbe disegnare anche la cancellazione dei missili balistici e la censura di ogni tentativo di espansione territoriale: questo può tracciare la strada per la nuova trattativa, per una svolta con l'Iran. Perché questa è la vera strada che Trump disegna per segnare la storia dei rapporti internazionali: la Corea è un passo importante, ma soprattutto è una prova generale del vero grande cambiamento mondiale che Trump vuole conseguire. Cioè il ridimensionamento di una potenza, l'Iran, che non ha come nemici lontani abitanti dell'Oriente, ma gli amici strategici degli Usa, Israele e i Paesi Sunniti. Un mondo in cui il regime degli ayatollah e il loro messaggio di odio fossero finalmente battuti insieme a quello di Kim, sarebbe un mondo da premio Nobel per la Pace.

(il Giornale, 12 giugno 2018)


In Polonia l'iter infinito per (non) ridare i beni agli ebrei

di Maria Serena Natale

Maria Serena Natale
Ne discute dalla caduta del regime comunista nel 1989, ma finora la Polonia non ha sciolto il nodo delle restituzioni dei beni confiscati agli ebrei dai nazisti e poi nazionalizzati dai sovietici. L'ultimo disegno di legge, presentato dal governo nazional-conservatore nell'ottobre 2017, oggi è congelato, nel clima di scontro sul passato che ha diviso il Paese e creato tensioni con alleati storici come gli Stati Uniti. Lo scorso marzo, 59 senatori americani hanno inviato al premier Mateusz Morawiecki una lettera di protesta per la bozza di legge che «colpirebbe le vittime dell'Olocausto e i loro eredi». Già sotto osservazione della Commissione Ue per la riforma del sistema giudiziario, Varsavia è in attesa del parere della Corte Costituzionale su un'altra norma della discordia - la legge memoriale che prevede fino a tre anni di carcere per chiunque attribuisca alla nazione polacca responsabilità per i crimini del Terzo Reich. il governo fedele al leader carismatico Iaroslaw Kaczynski ha quindi sospeso l'iter per l'approvazione del testo sulle proprietà confiscate, che rischia di sollevare nuove accuse di revisionismo e accendere il pregiudizio antisemita. il provvedimento, che colmerebbe un vuoto normativo unico nell'Unione europea, punta ad accelerare le procedure ma stabilisce requisiti molto rigidi per poter accedere alle compensazioni. Nello specifico, occorre essere cittadini polacchi, diretti discendenti delle famiglie espropriate - e anche dei proprietari originari dev'essere certificata la residenza nella Polonia pre-guerra. Le richieste dovranno essere presentate entro un anno dall'approvazione della legge, le compensazioni copriranno il 20% del valore delle proprietà reclamate (costo stimato delle coperture, tre miliardi di euro). Con 3,5 milioni di persone, prima del secondo conflitto mondiale la comunità ebraica polacca era la più grande d'Europa. Quasi nessuno dei 300 mila sopravvissuti tornò nel Paese. Abolita in epoca comunista, la proprietà privata sarebbe riemersa con la transizione alla democrazia e al libero mercato. Nella nuova corsa alla ricchezza e in assenza di regole chiare, le restituzioni dei beni nazionalizzati non sono mai decollate. Oggi, per le famiglie, l'obbligo di recuperare prove di storie spezzate.

(Corriere della Sera, 12 giugno 2018)


Merci israeliane radioattive

La terza città spagnola adotta il boicottaggio dello stato ebraico

Era già successo. Aveva iniziato il Consiglio comunale di Trondheim, la seconda città norvegese, che aveva approvato una mozione che chiede ai residenti di boicottare personalmente i beni israeliani. Poi la decisione della capitale dell'Islanda, Reykjavík, che ha adottato una mozione per boicottare i prodotti israeliani. E' lo "Zionistfrei", sono le città europee che, simbolicamente almeno all'inizio, annunciano l'adozione del boicottaggio delle merci israeliane. E' un fenomeno importante anche in Inghilterra, dove alcuni consigli comunali sono stati assolti da un tribunale dall'accusa di antisemitismo dopo aver imposto boicottaggi su merci israeliane. Si tratta del Leicester City Council, dello Swansea City Council e di Gwynedd. 0 come la città irlandese di Kinvara, diventata "Israel free". Le merci israeliane scompaiono da città importanti, come Leicester, la decima più grande del Regno Unito. Adesso una simile decisione arriva dalla Spagna. La terza città del paese, Valencia, ha appena votato il boicottaggio di Israele e il leader del terzo partito spagnolo ha definito lo stato ebraico un "paese criminale e illegale". Si tratta di Pablo Iglesias Turrión, leader di Podemos, un partito che ha ricevuto fondi dall'Iran e da ridenti democrazie sudamericane come il Venezuela. Poco prima, Valencia si era definita una "zona libera dalla apartheid israeliana". Il boicottaggio delle merci israeliane, le uniche merci in Europa sottoposte a questo odioso ostracismo settario e razzista mentre si stendono tappeti rossi alle merci iraniane che dovevano restare sotto sanzione, indica un rogo soffice. Per adesso, questo rogo non è in grado di mandare in fumo l'interscambio fra Europa e Israele, che ha nel Vecchio continente il primo partner commerciale. Ma sarebbe un errore ignorare la famosa aria che tira. E questa porta con sé nuvole nere, turpi, antisemite, razziste, che fanno del rogo dei simboli una manifestazione della "giustizia". E' nazismo.

(Il Foglio, 12 giugno 2018)


La statuetta di 3.000 anni fa che nasconde un enigma reale

Il manufatto in porcellana ritrovato in Israele raffigura la testa di un sovrano descritto nell'Antico Testamento: la sua identità è però ancora da chiarire, tra una rosa di nomi e tre diversi regni.

Una scultura di porcellana, dopo 3.000 anni ancora eccezionalmente conservata, ha sollevato un dibattito tra gli archeologi, che si interrogano sull'identità del sovrano raffigurato.
L'oggetto alto 5 cm, appena descritto sulla rivista Near Eastern Archaeology e visibile nel video qui a fianco, è stato rinvenuto nel 2017 durante una campagna di scavi nel sito di Abel Beth Maacah, appena più a sud del confine israeliano con il Libano, vicino alla moderna città di Metula. Dalla corona sul capo sembra chiaro si tratti della figura di un sovrano, ma capire di quale reale si tratti nello specifico è, considerate l'area e l'epoca di realizzazione, un'impresa complessa.

 Terreno di conquista
  La testa scolpita, che sembrerebbe risalire al IX secolo a. C., è stata ritrovata in una zona un tempo occupata dalla città di Abil al-Qamh, menzionata nel Libro dei Re dell'Antico Testamento. L'area sorgeva in una zona di confine contesa tra il Regno degli Aramei con base a Damasco ad est, la città fenicia di Tiro ad ovest e il Regno di Israele con capitale Samaria a sud. Nel Libro dei Re si parla della città come una delle terre attaccate dal re Ben Hadad di Damasco in una campagna contro Israele. Si trattava dunque di un'area fortemente contesa.

 Identikit
  Tuttavia, poiché la datazione al radiocarbonio non permette di stabilire per il reperto una data più precisa del IX secolo a.C., la rosa dei sovrani candidati rimane ampia: potrebbe trattarsi di Ben Hadad o Hazael di Damasco, di Ahab o Jehu di Israele, di Ithobaal di Tiro - tutti descritti nella Bibbia.
Come riporta il Guardian, un elemento che potrebbe aiutare nell'identificazione e che fa pensare al monarca raffigurato come a un uomo del Vicino Oriente è l'acconciatura, simile a quella con cui gli antichi Egizi rappresentavano le vicine popolazioni di origine semitica.
Chiunque sia il suo soggetto, la statua è comunque un esempio di arte figurativa particolarmente raffinato, per essere un manufatto dell'Età del Ferro: in genere, i reperti artistici così antichi sono ancora piuttosto semplici e non raggiungono un tale livello di dettaglio.

(Focus, 12 giugno 2018)


Le minacce degli aquiloni

"Non voglio vedere quelli di Al Fatah. Andrei piuttosto a Tel Aviv"

di Amira Hass

 
"Procurami un permesso così posso venire a trovarti", mi ha detto un amico della Striscia di Gaza. Mi si è stretto il cuore. Mi ha raccontato che gli abitanti di Gaza approvano l'uso degli aquiloni molotov nelle proteste. Anche lui. Il sabotaggio è una tattica rivoluzionaria obsoleta. Ma a cosa servono gli aquiloni che esplodono? Non lo sa nessuno. Sospetto che rallegrino gli abitanti di Gaza perché mettono in imbarazzo la più grande potenza militare del Medio Oriente, che non sa come fermarli.
   Nelle ultime settimane più di seicento aquiloni molotov hanno sorvolato il confine tra la Striscia e Israele. Duecento hanno toccato terra ed esplodendo hanno incendiato circa nove chilometri quadrati di terreni agricoli e boschivi, la maggior parte dei quali ospitava i villaggi palestinesi spopolati e distrutti nel 1948.
   Da alcune cose che mi ha detto il mio amico ho capito che le frizioni tra Hamas e Al Fatah continuano a crescere. La Marcia del ritorno non ha allentato la tensione tra i due partiti palestinesi. Poi abbiamo parlato del Ramadan e delle sue conseguenze sui conflitti familiari, che a volte causano vittime. L'astinenza da nicotina e caffeina rende le persone nervose, in particolare quando guidano. Così aumentano gli incidenti e le liti.
   In ogni caso non posso procurargli un permesso. Non ho contatti così potenti. "Anche se me lo facessi avere, non verrei a Ramallah", ha ammesso alla fine. "Non voglio vedere quelli di Al Fatah. Andrei piuttosto a Tel Aviv".

(Internazionale, 12 giugno 2018 - trad. Andrea Sparacino)


Antisemitismo antisionista, l'allarme degli 007 tedeschi

di Giovanni Quer

L'agenzia di intelligence del Baden-Württemberg, preposta alla difesa della costituzione, ha pubblicato il rapporto annuale sulle attività anti-sistema del 2017
  L'agenzia di intelligence "Landesamat für Verfassungschutz" del Baden-Württemberg, preposta alla difesa della costituzione, ha pubblicato il rapporto annuale sulle attività anti-sistema del 2017. Tra queste anche una sezione che riguarda il fenomeno contemporaneo dell'antisemitismo antisionista e del movimento che promuove il boicottaggio di Israele.
  Il rapporto tratta di un gruppo politico conosciuto come "Der dritte Weg" (la terza via), la cui natura politica è, secondo il rapporto, di estrema destra financo neo-nazista. Responsabile di incitamento xenofobo e antisemita, il partito "Der dritte Weg" ha organizzato dal 2013 varie attività in diverse località tedesche, comprese azioni di pattuglia delle strade e comizi. Il rapporto porta ad esempio del linguaggio antisemita del partito la sua homepage, dove si può leggere che "ogni giorno si possono osservare le immagini di bambini e donne uccisi nella Striscia di Gaza…" mentre i sionisti avrebbero il sorriso sul viso per tali azioni. Nel testo citato dal rapporto si definisce Israele come "l'ulcera sionista" che "si nutre degli attacchi alla propria politica interna, proprio come il fondatore del Sionismo Herzl aveva spiegato, cioè che l'antisemitismo è parte fondante l'identità ebraica". A queste esternazioni segue l'invito a boicottare i prodotti israeliani e le imprese che hanno rapporti commerciali con Israele.
  Secondo i servizi di intelligence si tratta di un fenomeno di antisemitismo antisionista poiché le critiche a Israele vengono usate per la sua demonizzazione o delegittimazione con l'applicazione di un doppio standard. Definizioni come "entità sionista", "stato rapinatore", "criminali sionisti", "l'ulcera del Medio Oriente" svelano l'ideologia di odio antisemita che nega la legittimità dell'esistenza di Israele.
  Ancor più interessante è l'attenzione che il rapporto pone sul fenomeno dell'antisemitismo antisionista, che "da tempo trova adepti al di fuori dell'estrema destra. Un esempio sono i gruppi che non sono da annoverarsi tra i circoli di estrema destra, che in considerazione del conflitto in Medio Oriente promuovono il boicottaggio di Israele", ai quali anche il partito politico in questione cercherebbe di unirsi.
  In un altro rapporto dell'agenzia di intelligence del Rhineland-Palatinate si nomina lo stesso gruppo descrivendone le attività e il linguaggio antisemita-antisionista.
  Il BDS si definisce come movimento acefalo, che agisce però secondo le direttive di una commissione nazionale, la quale definisce priorità, politiche, linguaggio e obiettivi. Diversi gruppi di diverse ideologie e con diversi obiettivi abbracciano il boicottaggio di Israele. Mentre gli attivisti del BDS si definiscono "attivisti dei diritti umani" o "difensori dei diritti umani", spesso i gruppi anti-israeliani avanzano un linguaggio o promuovono una visione del conflitto che agisce da propagatore di motivi antisemiti.
  Il rapporto tedesco dimostra come la causa anti-israeliana funzioni proprio da catalizzatrice di sentimenti anti-semiti che originano da campi politici anche opposti e che strumentalizzano il conflitto arabo-israeliano per avanzare un discorso antisemita-antisionista. Il fenomeno relativamente recente ha antiche radici, che Robert Wistrich analizza nel suo monumentale "From Ambivalence to Betrayal", identificando alcuni elementi antisemiti (come l'accusa di imperialismo, borghese avidità, inassimilabilità, incapacità di cambiamento e adattamento alla modernità, volontà di dominio, sterile attaccamento a desuete tradizioni, particolarismo esclusivista) come parte di una tradizione che si ripropone oggi in una certa visione politica di Israele e del conflitto.
  Che questo sia per la Germania un segnale di allarme per la sicurezza interna e l'estremismo impone un'ulteriore analisi sui confini tra libertà di parola e incitamento all'antisemitismo proprio in quel movimento che si definisce come baluardo dei valori di giustizia e libertà. La funzione di catalizzazione degli estremismi nel boicottaggio di Israele può non esser propria solo della Germania.

(formiche.net, 11 giugno 2018)


Il terrorismo palestinese torna a colpire

di Daniel Reichel

"Quando siamo arrivati sulla scena c'è stato un grande subbuglio. Una ragazza di circa 18 anni era seduta su una sedia all'ingresso di un negozio. Era cosciente ma aveva diverse ferite nella parte superiore del corpo. Le abbiamo prestato le prime cure mediche per fermare l'emorragia e l'abbiamo portata d'urgenza al vicino ospedale HaEmek". Questo il racconta di uno dei paramedici arrivati questa mattina in soccorso di una giovane israeliana di 18 anni, aggredita ad Afula - città nel nord del Paese - da un terrorista palestinese. L'aggressore, un uomo di 30 anni proveniente da Jenin - nel nord della Cisgiordania -, l'ha ripetutamente colpita con un coltello per poi fuggire. La ragazza, raccontano i testimoni, è riuscita a fare pochi passi, fino a un caffè lì vicino e chiedere aiuto. Dopo l'intervento dei paramedici del Maghen David Adom, è stata portata d'urgenza all'ospedale HaEmek. Dall'ospedale fanno sapere che la ragazza ha perso molto sangue e che le sue condizioni sono serie: dopo che è stata stabilizzata e stata spostata in terapia intensiva. La polizia ha invece arrestato l'attentatore, che aveva cercato di scappare. "La polizia ha sparato all'indagato alla gamba dopo averlo invitato a fermarsi", fa sapere il portavoce delle forze dell'ordine israeliane, spiegando che l'uomo "è stato arrestato con un coltello in suo possesso".
   In queste ore intanto a Gerusalemme il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha incontrato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, in visita ufficiale nel paese. Netanyahu ha definito Kurz "un vero amico di Israele e del popolo ebraico" e ha affermato di aver apprezzato i "molti i passi compiuti dal governo e dal parlamento austriaci negli ultimi mesi, in particolare il suo bellissimo discorso in occasione dell'ottantesimo anniversario dell'Anschluss. Lei ha parlato di responsabilità storica. - ha affermato Netanyahu rivolgendosi al cancelliere - Lei si è chiaramente opposto all'antisemitismo e ha parlato della vita ebraica in Austria. Lei ha detto, e voglio citarlo, che 'l'Austria non è stata solo vittima, ma anche colpevole'. Sono parole coraggiose". Da Israele, in occasione della formazione del governo guidato da Kurz, era arrivato un segnale di forte preoccupazione per la decisione del cancelliere di allearsi con l'estrema destra del Partito della Libertà Austriaco.

(moked, 11 giugno 2018)


Israele-Bulgaria: premier Borisov da domani in visita nel paese

Previsti incontri con Netanyahu e con il presidente Rivlin

SOFIA - Della delegazione fanno parte: il vice primo ministro Tomislav Donchev, il ministro dell'Istruzione e della Scienza Krassimir Vulchev, il vice ministro degli Affari esteri e coordinatore nazionale per la lotta contro l'antisemitismo Georg Georgiev e il sindaco di Sofia Yordanka Fandakova. Ad accompagnare Borisov in Israele anche rappresentanti della Chiesa ortodossa bulgara e della comunità ebraica in Bulgaria. Previsto un incontro tra la delegazione e la comunità bulgara a Tel Aviv; a Ramallah invece la rappresentanza bulgara terrà una serie di colloqui con il primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese, Rami Hamdallah, sul processo di pace in Medio Oriente e le opportunità di ampliare la cooperazione bilaterale.

(Agenzia Nova, 11 giugno 2018)


Alle campagne di odio, Israele risponde con gesti di pace

L'Iran grida "morte a Israele", Israele risponde aiutando il popolo iraniano a sopravvivere alla siccità. E ai palestinesi di Gaza dice: "Voi bruciate, noi piantiamo nuovi alberi".

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha offerto le competenze idriche d'Israele alla popolazione iraniana che si trova ad affrontare, a quanto risulta, un vero disastro ambientale a causa della cattiva gestione della siccità che colpisce da anni tutta la regione. In un video in inglese pubblicato on-line, Netanyahu annuncia di voler fare "un'offerta senza precedenti all'Iran". "La popolazione iraniana - spiega - è vittima di un regime crudele e tirannico che le nega l'acqua vitale. Israele sta dalla parte della popolazione iraniana....

(israele.net, 11 giugno 2018)


Hamas e Teheran verso la riconciliazione, Hezbollah punta il mirino

di Giovanni Quer

 
L'Iran avrebbe finanziato un iftar a Gaza con un collegamento internet di Ali Akbar Velayati, consigliere del Leader Supremo e mente del programma nucleare
Il regime di Teheran ha stabilito dal 1979 una nuova festa: la Giornata Internazionale per al-Quds, che cade l'ultimo venerdì del mese di Ramadan ed è occasione di marce e manifestazioni anti-israeliane in Iran e nel mondo. Quest'anno, l'Iran avrebbe finanziato un iftar (pasto alla fine del digiuno quotidiano) proprio a Gaza con un collegamento internet di Ali Akbar Velayati, consigliere del Leader Supremo e mente del programma nucleare. Secondo l'analista Avi Issacharoff, l'Iran ha finanziato anche "la grande marcia del ritorno", pagando i feriti e i morti secondo una lista di premi fatta circolare da Hamas all'inizio delle proteste.
   Tra il 2011 e il 2012 i leader di Hamas avevano preso posizione contro Assad e in favore dei ribelli. Dopo la chiusura degli uffici e l'espulsione degli attivisti, Siria e Iran avevano rotto le relazioni con Hamas. Dall'inizio del 2018 ci sono però segnali di distensione.
   A gennaio 2018 sono stati rivelati i nuovi nomi della gerarchia di Hamas nella West Bank, tra cui Maher Obeid, uomo vicino al regime iraniano e oggi a capo di Hamas in Cisgiordania. Un ulteriore segno di distensione sarebbe la collaborazione tra Hamas e Hezbollah in Libano, come riportato la scorsa settimana dal giornale libanese anti-Hezbollah al-Jumhuriya. La questione sarebbe anche oggetto di un'intensa attività diplomatica di Israele all'Onu, come riportato anche dal giornale israeliano YNet.
   Hamas ha bisogno di nuove fonti di finanziamento. La distruzione dei tunnel e le sanzioni imposte dall'Autorità Palestinese fanno vacillare il regime di Gaza. L'Iran vuole una guerra contro Israele, quindi i comuni interessi porterebbero a una nuova era di relazioni Teheran-Gaza. Qassem Soleimani, il capo delle Brigade Qods, le truppe di élite delle Guardie della Rivoluzione, sarebbe la mente dell'attacco contro Israele dalla Siria. Chiamato "il comandante ombra", Soleimani vive una vita estremamente riservata e le sue capacità militari e politiche sono servite a consolidare la presenza iraniana in Siria. La ferma volontà di intraprendere una guerra con Israele può aver spinto l'Iran a riallacciare i rapporti con Hamas. Soleimani sarebbe vicino al leader di Hamas Yahya Sinwar, che in un'intervista alla rete TV libanese al-Madayeen a maggio lo ha lodato e ringraziato per il sostegno militare e logistico alle Brigate Izz a-Din al Qassam.
   La prospettiva di una nuova guerra con Israele si fa più probabile per la vicinanza degli attori ostili. Dopo il fallimento siriano, l'Iran starebbe agendo da Libano e Gaza per rafforzare le capacità militari di Hezbollah e Hamas, perseguendo il progetto di un conflitto diretto con Israele.

(formiche.net, 11 giugno 2018)


Anche un solo asilo colpito è troppo

Gli attacchi da Gaza e la deterrenza di Israele

Scrive il Jerusalem Post (30/5)

Decine e decine di razzi e proiettili di mortaio hanno colpito le comunità israeliane, centrando fra l'altro una scuola d'infanzia fortunatamente poco prima che vi arrivassero i bambini. Il giorno precedente, diverse case di Sderot erano state bersagliate da raffiche di mitragliatrice esplose da Gaza". Questo il commento del Jerusalem Post all'ultima tornata di attacchi da Gaza su Israele. "Nessuno si è veramente sorpreso per questa escalation. Hamas ha cercato in tutti i modi di imporre di nuovo la striscia di Gaza all'ordine del giorno della comunità mondiale. Ci ha provato con la 'Grande marcia del ritorno', ma con un successo relativamente limitato. Fomentare una guerra con Israele potrebbe fare al caso. Esiste una tendenza a considerare i colpi di mortaio e di mitragliatrice come pericoli 'meno gravi'. E' un grave errore. In passato i proiettili di mortaio da Gaza hanno ucciso degli abitanti dei kibbutz nel sud di Israele. A differenza del lancio di un razzo, per il quale di solito restano alcuni secondi di preavviso per cercare di mettersi al riparo, i proiettili di mortai colpiscono senza che possa scattare in tempo la sirena d'allarme. Le bombe di mortaio saranno anche considerate 'primitive', specie in confronto a razzi e missili a più lunga gittata, ma dobbiamo chiederci: forse che la vita di un abitante di Sderot o di un kibbutz come Nir Am ha meno valore della vita di un abitante di Ashkelon o Tel Aviv? Nel caso in cui un colpo di mortaio mutilasse o uccidesse qualcuno, la reazione d'Israele sarebbe per forza di cose molto più seria e la situazione potrebbe rapidamente degenerare: uno sviluppo particolarmente problematico a fronte di un nemico come Hamas e Jihad islamico che usa sistematicamente la propria popolazione come scudi umani. Queste organizzazioni terroristiche fondate sul culto del martirio vogliono il sangue, che sia palestinese o israeliano. Sono felicissime se civili o militari israeliani vengono uccisi (ogni volta che accade celebrano la cosa con aperte scene di tripudio), ma considerano una vittoria anche una reazione israeliana che causi vittime fra i palestinesi di Gaza (non importa se membri delle organizzazioni terroristiche o innocenti colpiti per errore), giacché rappresenta la possibilità di riportare la 'questione palestinese' sotto i riflettori di tutto il mondo, di dipingere Israele come il cattivo e di invocare ulteriori finanziamenti internazionali. Quello che non si può chiedere a Israele, e che Israele non può permettersi, è di rinunciare alla sua deterrenza. Il mondo ha fatto spallucce quando i palestinesi hanno iniziato a lanciare da Gaza decine e decine di aquiloni incendiari che hanno appiccato vasti incendi, che causano danni economici e ambientali enormi e mettono a rischio beni e vite dei civili israeliani in tutta l'area. Questa settimana, dalla parte sud della striscia di Gaza è stato lanciato un drone carico di esplosivi. Martedì, i residenti hanno dovuto subire una pioggia di razzi e colpi di mortaio. Il mondo sarà anche distratto da altro, ma Israele semplicemente non può permettere che questo stato di cose continui. Israele non vuole la guerra, ma senza deterrenza la guerra prima o poi scoppia inevitabile".

(Il Foglio, 11 giugno 2018)


La battaglia dei cieli fra Israele e Hamas. Droni contro aquiloni incendiari a Gaza

In pochi mesi i palestinesi hanno lanciato centinaia di palloncini che hanno appiccato incendi. Ora l'esercito cambia strategia: "monitoriamo e colpiamo dall'alto".

di Giordano Stabile

Droni contro aquiloni. Lo scontro lungo la Striscia di Gaza mette in scena una sfida inedita, fra l'inventiva palestinese e l'alta tecnologia israeliana. La disparità di mezzi fra i militanti palestinesi e uno dei più potenti eserciti del mondo ha spinto Hamas e altri gruppi a utilizzare tecniche di guerra sempre meno convenzionali, come, ultima in ordine di apparizione, una galleria che sbucava nel mare, pronta per essere utilizzata dagli «incursori» palestinesi, distrutta dalle forze armate israeliane una settimana fa.
   Ma ora, più che i tunnel d'attacco, sono gli aquiloni incendiari a mettere in difficoltà Israele. In un Paese arido basta poco ad appiccare incendi devastanti e gli aquiloni possono essere lanciati a sorpresa, da qualunque posto, richiedono una sorveglianza capillare lungo decine e decine di chilometri di confine.
   Finora le «intercettazioni», con fuoco da terra o da droni armati, si sono rivelate poco efficaci e almeno un terzo degli aquiloni è riuscito a passare le linee e a causare incendi. Ieri per la prima volta l'esercito israeliano ha cambiato tattica e ha usato droni di sorveglianza, armati con un cannoncino, per individuare i lanciatori e bloccarli. Uno ha sparato «colpi di avvertimento» contro un gruppo che si preparava al lancio. Non ci sono state vittime ma i giovani hanno dovuto desistere. L'esercito ha avvertito che «le regole di ingaggio» sono cambiate e ora l'uso di aquiloni o palloni incendiari è considerato «una grave violazione» e pertanto «agirà di conseguenza». Che gli aquiloni si siano trasformati in armi lo hanno ammesso implicitamente le Brigate Salah al-Din, cioè «Saladino», che in un comunicato hanno denunciato l'attacco con un tentato omicidio» e lo hanno definito «la prova del fallimento della strategia di Israele».
   Anche se Hamas non ha mai incitato all'uso degli aquiloni è chiaro che dietro c'è un'organizzazione sempre più massiccia. Da marzo a oggi oltre 800 aquiloni sono stati lanciati verso Israele. Circa 500 sono stati abbattuti, secondo i dati del governo israeliano, ma gli altri hanno appiccato 300 incendi e distrutto due ettari e mezzo di coltivazioni e due ettari di zone protette. Gli abitanti dei kibbutz hanno chiesto al governo di intervenire con rappresaglie nella Striscia. Gli incendi causano notevoli perdite economiche e a volte bloccano il traffico per ore, come ieri sulla superstrada 34 fra Sderot e il kibbutz diNirim. I danni più gravi li hanno subiti la foresta di Besor e la riserva naturale di Carmia, dove un terzo della vegetazione è finito in fumo a opera di un pallone carico di materiale incendiario.
   Per i palestinesi l'uso di aquiloni incendiari è una forma di protesta contro il blocco imposto alla Striscia da parte di Israele e per la repressione delle «Marce del ritorno» al confine: dal 30 marzo oltre 120 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano e circa diecimila feriti. Gruppi come la Jihad islamica e altri salafiti spingono per «azioni militari», a cominciare dal lancio di razzi sulle cittadine israeliane al confine. Hamas non ha ancora dato appoggio esplicito a un salto di qualità nel confronto perché per ora preferisce incassare la solidarietà dei Paesi musulmani per le dimostrazioni al confine. Ma il gruppo continua a lavorare in vista di una possibile guerra aperta. Domenica scorsa l'esercito israeliano ha scoperto un tunnel che sbucava in mare, al confine con Israele, «unico nel suo genere». Hamas, secondo i servizi israeliani, ha addestrato 1500 combattenti per incursioni dal mare e quello rischia di essere il fronte più insidioso.

(La Stampa, 11 giugno 2018)


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Aquiloni incendiari da Gaza devastano il sud di Israele

Milioni di danni, evacuato un villaggio

Il sud di Israele continua a bruciare: da circa una settimana,palloncini e aquiloni incendiari - a cui sono attaccati stracci in fiamme o molotov - inviati dalla Striscia di Gaza stanno colpendo il territorio israeliano, creando danni non trascurabili. Oltre 4.000 dunam (circa 1.000 acri) di foreste di proprietà del Fondo Nazionale Ebraico (KKL-JNF) sono state bruciate dall'inizio di questi attacchi: più di quanto è andato bruciato durante l'operazione Protective Edge nel 2014, quando i terroristi di Hamas lanciato oltre 4.500 razzi e mortai in Israele.
  Secondo il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, da marzo ne sono stati indirizzati 600 verso le comunità agricole del sud di Israele. Nella maggior parte dei casi, hanno causato vasti roghi in campi e foreste della zona, per una perdita economica di circa 1,2 milioni di euro, tanto che il ministero dell'Agricoltura ha offerto dei compensi ai contadini colpiti - come accade per le famiglie toccate da attentati - dai roghi: 60 shekel, circa 15 euro, per ogni dunam andato in fiamme, (0,1 ettari). Sono almeno 500 gli ettari incendiati finora.

 Droni contro aquiloni
  Contro questi ordigni incendiari, che non vengono individuati dal sistema Iron Dome, l'esercito israeliano sta avendo non poche difficoltà, tanto che ha dovuto dispiegare le sue forze speciali e i tiratori scelti lungo la barriera fortificata che separa Israele dalla Striscia di Gaza, e utilizzare dei droni che colpiscano le "armi volanti".

 Evacuato un villaggio
  Fra gli abitanti del sud del paese cresce la paura: il villaggio di Karmei Katif è stato evacuato lunedì 11 giugno, mentre i membri dei kibbutzim al confine chiedono al governo di intervenire contro questi attacchi che devastano le loro colture.

(Bet Magazine Mosaico, 11 giugno 2018)


Ministri Israele: linea dura su Gaza. Nessun allentamento del blocco

Il gabinetto di sicurezza si è riunito ieri per discutere tra le altre cose anche della gravissima crisi umanitaria di Gaza, ma è stato deciso di non allentare il blocco per non favorire Hamas. Lieberman: «basta con l'economia del terrore».

Nessun allentamento del blocco su Gaza per portare sollievo alla popolazione stremata da una crisi umanitaria che trova pochi precedenti, una crisi causata dalla dittatura di Hamas. Si rischierebbe di favorire i terroristi senza però portare alcun sollievo alla popolazione.
E' quanto deciso ieri dal gabinetto di sicurezza riunitosi su ordine del Premier Netanyahu proprio per discutere su alcune proposte avanzate da alcuni tecnici che vedono nell'allentamento del blocco e nel sollievo della popolazione l'unica via per allentare le tensioni....

(Rights Reporters, 11 giugno 2018)


Israele, il mistero della piccola statua di un re del IX secolo prima di Cristo

La statuetta di materiale vetroso ritrovata per caso durante la riesumazioni di reperti dell'età del ferro. Grande appena cinque centimetri raffigura monarchi vissuti migliaia di anni fa e narrati dalla Bibbia.

di Pietro Del Re

 
 
TEL AVIV - Ma chi raffigura la piccola statua rinvenuta lo scorso anno in una cittadina nel sud di Israele? Se lo chiedono gli archeologi di mezzo mondo, perché questa piccola ceramica vetrosa, oggi visibile all'Israel Museum e lunga appena cinque centimetri, risale ai tempi dei re biblici, ossia al IX secolo prima di Cristo. Un ritrovamento eccezionale, secondo gli esperti perché, salvo un pezzetto di barba mancante, è giunta fino a noi in condizioni straordinariamente buone, e nulla di simile era mai stato trovato. Secondo Eran Arion dell'Israel Museum, la maggior parte dei reperti così antichi sono solitamente di pessima qualità, mentre questa è davvero di «straordinaria qualità».
   Il mistero s'infittisce anche per via del luogo della sua scoperta, nel sito di scavi di Abel Beth Maacah, quasi al confine con il Libano, vicino alla città di Metula. Infatti, anche se gli studiosi sono certi che si tratti di un re, per via della barba e della sua corona d'oro, non sanno dire né di quale re si tratti né ovviamente quale fosse il suo regno. Non solo, nell'Ottocento, alcuni archeologi dissero che quel luogo corrisponde al villaggio di Abil al-Qamh, di cui parla nei libro dei Re del Vecchio Testamento.

(la Repubblica, 11 giugno 2018)


Antisemitismo in Europa: prorogata fino al 22 giugno l'indagine on line

È stata prorogata fino al 22 giugno l'indagine on line, un sondaggio capillare dell'Agenzia FRA, tra gli ebrei di numerose nazioni europee, che consentirà il monitoraggio dettagliato della situazione attuale, premessa indispensabile per ogni azione di contrasto al fenomeno dell'odio antiebraico, dell'antisemitismo e del pregiudizio.

di Ester Moscati

Il 9 maggio è partito un sondaggio on line sul tema dell'antisemitismo, al quale anche gli ebrei italiani sono invitati a partecipare. Si tratta di una iniziativa dell'Agenzia per i Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (FRA) con sede a Vienna. La FRA non è nuova a queste indagini. Già nel 2012 era stato condotto uno studio in Italia, Francia, Belgio, Germania, Regno Unito, Svezia, Ungheria, Romania e Lettonia. (QUI i risultati)
  Nel 2018, si aggiungono a queste nazioni anche l'Austria, la Danimarca, l'Olanda, la Polonia e la Spagna. Si avrà dunque un aggiornamento e un ampliamento dell'indagine che darà modo di consultare tutte le maggiori comunità ebraiche europee.
  Sul sito www.eurojews.eu anche gli ebrei italiani trovano, nella propria lingua, un questionario molto dettagliato che riguarda esperienze, percezioni, fenomeni ed episodi di antisemitismo, razzismo, intolleranza, pregiudizio. Alcune domande riguarderanno in particolare la percezione della diffusione e dell'incremento (o meno) di tali fenomeni.
  Insomma, in Italia oggi c'è più antisemitismo rispetto a sei anni fa? E quali tipi di antisemitismo sono in crescita e quali in calo? Quando parliamo di antisemitismo, infatti, il quadro può essere estremamente variegato: di destra, di sinistra, politico, religioso, con margini sfuggenti o estremamente chiaro e motivato; storico e millenario come l'anti-giudaismo cristiano o recente e confuso come l'anti-sionismo che sconfina nell'odio antiebraico. E ancora quello di matrice nazionalistica, che considera gli ebrei i cosmopoliti, transnazionali per eccellenza. Il tutto, in un clima europeo che vede affermarsi e crescere i movimenti populisti, razzisti e xenofobi.
  Una realtà complessa quindi che richiede, per una corretta valutazione, un approccio d'indagine obiettivo e scientifico.
  «Sono tre i filoni principali dell'antisemitismo nel discorso pubblico contemporaneo - spiega Sergio Della Pergola - il presunto eccessivo potere ebraico, la negazione della Shoah, e la demonizzazione di Israele. Un quarto tipo che sottolinea l'ebreo come degenerato fisico e morale è stata importante storicamente, ma oggi è meno centrale. Una quinta forma che invece, anche se non esplicitamente antisemita, è emersa negli ultimi anni specialmente nei paesi centro-nord europei sotto forma di un'apparente preoccupazione pietistica per i diritti della persona fisica e degli animali, e si traduce nel boicottaggio o nella proibizione di rituali ebraici tradizionali come la circoncisione o la macellazione rituale degli animali».
  È importante per contrastare l'antisemitismo, quindi, fare innanzi tutto chiarezza: sull'entità del fenomeno, sulla sua distribuzione e diffusione, in quali ambiti e ambienti sociali (tra le persone meno istruite? O piuttosto nelle università infiltrate dal BDS?), dove ci sono più ebrei o dove non ce ne sono quasi più?
  «Urge un quadro comparativo - orientato ai confronti nel tempo e nello spazio - e va verificata l'eventuale esistenza di associazioni fra eventi antisemiti ed altri eventi esterni - ad esempio la congiuntura economica. - spiega ancora Della Pergola - Va inoltre compresa l'incidenza selettiva e differenziata dell'antisemitismo in base alle caratteristiche geografiche, demografiche, socio-economiche e socio-culturali degli autori. Infine, dobbiamo guardare alla frequenza e ai modelli di risposta e di denuncia ebraica verso i casi di antisemitismo».
  Tutto questo, l'indagine promossa dall'Agenzia per i Diritti Fondamentali dell'Unione Europea consentirà di farlo. Con l'obiettivo di conoscere a fondo tutte le sfaccettature del problema per consentire alla politica europea di mettere in atto strategie capaci di affrontarlo in modo efficace. Per questo, è essenziale la collaborazione di tutto il mondo ebraico.
  Su www.eurojews.eu abbiamo quindi, tutti, la possibilità di contribuire all'indagine, di essere protagonisti e disegnare le fondamenta di una società in cui l'antisemitismo sia attivamente combattuto e contrastato.

(Bet Magazine Mosaico, 11 giugno 2018)


Noga Erez: due date in Italia ad agosto

La giovanissima artista israeliana di Tel Aviv torna in Italia

Noga Erez
La giovanissima artista israeliana di Tel Aviv torna in Italia, dopo il successo dell'album di debutto "Off The Radar" (City Slang), per presentare il nuovo singolo Bad Habits.
"Off The Radar", l'acclamato album di debutto l'ha imposta sulla scena musicale contemporanea come una delle assolute rivelazioni dell'anno.
Nata nel 1990, alla vigilia dello scoppio della Guerra del Golfo, Noga Erez è un'artista fortemente politicizzata; questo elemento si traduce nel disco in un immaginario iper-realista che riflette spesso su temi come la violenza e i mass media e l'attualità. Influenzata sia da artisti come Björk, M.I.A. and fka Twigs che come Flying Lotus, Kendrick Lamar e Frank Ocean, Noga Erez è autrice di un universo sonoro in cui le potenti atmosfere forgiate con i suoi synth e i beats ingenui cavalcano coraggiosamente i generi, esaltati e rinforzati dall'ambiente in cui è cresciuta. Convinta che la musica abbia il difficile compito di fornire agli ascoltatori spunti di ispirazione e di riflessione e allo stesso tempo attimi di puro divertimento e di fuga dalla realtà, Noga si è affermata come una delle artiste elettroniche più promettenti in circolazione.

(Impatto sonoro, 11 giugno 2018)


11 settembre, le relazioni tra Iran e al Qaeda: Teheran ammette

Il regime per la prima volta spiega di aver facilitato il passaggio dei terroristi

L'Iran è stato complice di al Qaeda negli attentati dell'11 settembre alle Torri Gemelle. Questa volta i presunti rapporti tra l'organizzazione terroristica e Teheran non sono il frutto di accuse che arrivano dagli Usa. In un'intervista rilasciata alla tv di stato iraniana il 30 maggio scorso e ripresa da Al-arabiya nei giorni scorsi, Mohamma Javad Larijani, assistente per gli affari internazionali per la magistratura iraniana, ha dichiarato, senza mezzi termini, che il regime dell'Iran è stato complice di al Qaeda negli attentati dell'11 settembre contro gli Stati Uniti. Nel dettaglio, Larijani ha ammesso che nei confronti degli operativi di al Qaeda in transito in Iran, provenienti da Afghanistan e Arabia Saudita, non veniva effettuato alcun controllo né apposto nessun timbro sui passaporti. E' la prima volta che Teheran ammette una collaborazione con al Qaeda.
  I movimenti degli aderenti alla rete di bin Laden, infatti, erano supervisionati dall'intelligence iraniana, al corrente degli spostamenti e della successiva localizzazione dei soggetti. Tutto ciò sarebbe avvenuto a seguito di accordi stretti tra i vertici di al Qaeda e quelli del governo iraniano.

 Le relazioni tra Iran e al Qaeda nei documenti di Bin Laden
  Le dichiarazioni di Larijani sembrano suffragate dai contenuti del copioso materiale, 470.000 documenti, rinvenuto nel covo di Abbottabad all'indomani dell'uccisione di bin Laden da parte dei reparti speciali americani. Nella documentazione, pubblicata dalla CIA nel novembre scorso, circa 20 pagine sono dedicate a evidenziare le relazioni tra l'Iran e al Qaeda. In particolare, secondo un rapporto della Foundation for Defense of Democracies, uno di questi documenti riportava che un eminente membro di al Qaeda aveva confermato in una lettera che l'Iran era disposto a fornire tutto il necessario all'organizzazione di bin Laden (armi, denaro e addestramento nei campi di Hezbollah in Libano) in cambio di attacchi a interessi americani nel Golfo persico.
  Sempre secondo il medesimo rapporto, l'incaricato di intrattenere relazioni tra al Qaeda e il regime degli ayatollah, era stato individuato in Abu Hafs al-Mauritani, soggetto coinvolto nella preparazione e della supervisione dell'attuazione delle stragi sul territorio statunitense.
  Oussama bin Laden aveva chiaramente definito i rapporti da intrattenersi con l'Iran, definendo il ruolo chiave che il regime persiano poteva giocare nell'attuazione dei piani contro Stati Uniti e Occidente.
  A seguito di tale rapporto di partnership, bin Laden inviò Saif al Adel, numero tre di al Qaeda, a ricevere addestramento nei campi in Libano sotto la guida di comandanti iraniani di Hezbollah.
  Anche le ambasciate iraniane in Europa svolsero un ruolo fondamentale per gli incontri tra gli operativi di al Qaeda e i funzionari dei servizi segreti sciiti. Ramzi bin al-Shibh, uno dei dirottatori dei voli usati per l'attacco dell'11/9, e ritenuto coordinatore dell'operazione, incontrò in diverse occasioni Mohamed Atta in alcune città europee sotto l'egida degli iraniani. Le trasferte in Afghanistan e Iran, utilizzate per aggiornare i vertici di al Qaeda e il governo degli ayatollah sull'andamento dei piani, furono effettuate con il concorso degli agenti del Vevak, il servizio segreto persiano dietro indicazioni dell'ambasciata iraniana a Londra.

(ofcs.report, 10 giugno 2018)


Le radici ebraiche del fumetto made in Usa

Alle origini dei Comic Books

di Stefano Priarone

 
Una caricatura di Jerry Siegel (1914-1996) e Joe Shuster (1914-1992), i creatori di Superman. Il debutto del supereroe avviene negli Stati Uniti sul numero 1 di Action Comics, con data di copertina giugno 1938
E' un dato di fatto che gli ebrei americani hanno creato gli albi a fumetti: Siegel & Shuster, i creatori di Superman, ne sono stati i fratelli Lumière, Jack Kirby il Cecil B. DeMille e Will Eisner il D.W. Griffith».
   A parlare è lo studioso americano di comics Adam McGovern egli stesso ebreo. Quando esce il numero 1 di Action Comics, con data di copertina giugno 1938, dove debutta Superman, il comic book, l'albo a fumetti, è un medium nuovo: per anni i fumetti venivano pubblicati solo sui quotidiani, in strisce in bianco e nero nei giorni feriali, e in pagine a colori nell'inserto domenicale, se i cartoonist che lavoravano sui quotidiani erano considerati giornalisti, quelli all'opera sugli albi a fumetti erano visti come mezzi falliti che non erano riusciti ad approdare alla grande stampa.
   «All'epoca negli Stati Uniti gli ebrei erano esclusi da varie occupazioni a causa dei pregiudizi nei loro confronti - continua infatti McGovern. Ma quello dei fumetti era un campo nel quale potevano entrare: gli albi erano rivolti solo ai ragazzini, nessuno vi prestava attenzione. E così il medium diede agli ebrei (ma anche a non pochi italiani, anch'essi vittime di pregiudizi) un'opportunità, come avrebbe fatto in seguito il rock 'n' roll per gli afroamericani e per i bianchi delle zone rurali».
   Erano ebrei gli autori: Siegel e Shuster, Bob Kane e Bill Finger creatori di Batman nel 1939, Will Eisner creatore nel 1941 dell'eroe noir Spirit e dagli anni Settanta autore di fondamentali romanzi a fumetti, Stan Lee e Jack Kirby che nel 1961, con altri autori «gentili» come Steve Ditko e John Romita avrebbero dato vita al cosiddetto Universo Marvel (Fantastici Quattro, Spider-Man, Hulk).
   E anche gli editori: come Harry Donenfeld della National Periodica! Publications (adesso DC Comics) o Martin Goodman della futura Marvel Comics. Stan Lee (vero nome Stanley Lieber) viene infatti assunto, giovanissimo, da Goodman perché suo parente acquisito.E l'origine ebraica si riflette nelle storie: molti supereroi sono ebrei con nome anglicizzato, come i loro autori (Jack Kirby in realtà si chiamava Jacob Kurtzberg), Superman è una sorta di nuovo Sansone (non c'entra nulla con l'Übermensch di Nietzsche e dei nazisti), la zia May di Peter Parker alias Spider-Man è la classica, oppressiva mamma ebrea, il potentissimo essere alieno Galactus affrontato dai Fantastici Quattro è una sorta di versione a fumetti del Dio dell'Antico Testamento.
   «Immigrati o figli di immigrati nel Nuovo Mondo, gli ebrei hanno costruito i mondi fantastici del fumetto», conclude McGovern.

(La Stampa, 10 giugno 2018)


La mozione della Lega: "Basta eventi antisemiti all'università di Torino"

Sarà presto presentata in Comune

di Federico Callegaro

TORINO - Dalle aule dell'Università al tavolo del nuovo ministro dell'Istruzione. Il ciclo di seminari ospitati nelle aule del Campus Einaudi che hanno per argomento lo studio della situazione palestinese in rapporto con lo Stato di Israele verrà segnalato al ministero e al consiglio comunale da Fabrizio Ricca, consigliere della Lega: «Chiederemo al neo ministro dell'Istruzione di intervenire e a consiglio comunale e Università di prendere una posizione forte contro il proliferare, ormai da anni, di eventi a carattere antisemita all'Università di Torino, molti dei quali a carattere seminariale con tanto di crediti formativi - tuona Ricca -. Proporrò una mozione per dire basta a questo genere di eventi e chiedere all'ateneo che venga almeno garantito il contraddittorio, cosa che non c'è mai. Entro l'estate auspico si voti un'altra mia mozione per il gemellaggio fra Torino e Gerusalemme come forte segnale di pace e distensione».

(La Stampa - Torino, 10 giugno 2018)


Hezbollah torna sul confine con la Siria. Il giudizio su Trump divide israeliani ed ebrei Usa

Hezbollah, la milizia islamista libanese filo-iraniana, sta ritornando nell'area di confine tra Siria e Israele nei governatorati di Dar'a e Quneitra, a ridosso delle alture del Golan. I miliziani, camuffati con divise siriane per eludere la sorveglianza aerea israeliana, starebbero posizionando postazioni missilistiche, secondo quanto affermano i gruppi anti-Assad, che ancora controllano pezzi di territorio nella regione . Poco più di una settimana fa si era diffusa la notizia di un accordo tra Gerusalemme e Mosca per l'allontanamento delle forze fedeli a Teheran dall'area.
   Le nuove mosse di Hezbollah con la connivenza del regime di Damasco vengono prese molto seriamente da Israele. Il ministro della Difesa, Avigdor Liberman, in una intervista alla Radio dell'esercito, conferma: "Siamo determinati a impedire la presenza dell'Iran in Siria e faremo di tutto per bloccarla. Il pericolo al nostro confine nord è molto grave". Ostenta determinazione il portavoce militare di Teheran, generale Masoud Jazayeri: "Gli Stati Uniti e Israele stanno disperatamente cercando di modificare la situazione, ma non lo consentiremo. Il regime sionista teme la presenza di combattenti musulmani vicino al confine". Liberman si dice comunque convinto che il regime degli ayatollah "abbia i giorni contati", soprattutto se Washington dimostrerà verso Teheran la stessa determinazione nell'applicare il modello di denuclearizzazione totale utilizzato per la Corea.
   Ma la personalità divisiva del presidente Trump è evidenziata da un sondaggio condotto dall'American Jewish Committee, che mostra la diversità nel giudizio dei cittadini israeliani rispetto agli ebrei americani. La politica di Trump verso Israele giudicata positivamente del 77% dei cittadini dello Stato ebraico, trova soltanto il 44% dei consensi nella comunità ebraica degli Stati Uniti. Analogamente anche la mossa più forte messa in campo da Trump, lo spostamento a Gerusalemme dell'ambasciata Usa, vede l'88% di favorevoli in Israele e il 46% degli ebrei Usa, tra questi ultimi prevale poi la preferenza per la soluzione dei due Stati, israeliano e palestinese, e per il ritiro degli insediamenti in Cisgiordania.

(in20righe, 10 giugno 2018)



«Il tempo è vicino. Chi è ingiusto continui a praticare l'ingiustizia»

"Poi mi mostrò il fiume dell'acqua della vita, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l'albero della vita. Esso dà dodici raccolti all'anno, porta il suo frutto ogni mese e le foglie dell'albero sono per la guarigione delle nazioni. Non ci sarà più nulla di maledetto. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell'Agnello; i suoi servi lo serviranno, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte. Non ci sarà più notte; non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli.
  Poi mi disse: «Queste parole sono fedeli e veritiere; e il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra poco». «Ecco, sto per venire. Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro». Io, Giovanni, sono quello che ha udito e visto queste cose. E, dopo averle viste e udite, mi prostrai ai piedi dell'angelo che me le aveva mostrate, per adorarlo. Ma egli mi disse: «Guàrdati dal farlo; io sono un servo come te e come i tuoi fratelli, i profeti, e come quelli che custodiscono le parole di questo libro. Adora Dio!»
  Poi mi disse: «Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Chi è ingiusto continui a praticare l'ingiustizia; chi è impuro continui a essere impuro; e chi è giusto continui a praticare la giustizia, e chi è santo si santifichi ancora». «Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine. Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all'albero della vita e per entrare per le porte della città! Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna. Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino».
  Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni». E chi ode, dica: «Vieni». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita. Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell'albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro.
  Colui che attesta queste cose, dice: «Sì, vengo presto!» Amen! Vieni, Signore Gesù! La grazia del Signore Gesù sia con tutti."

Dal libro dell’Apocalisse, cap. 22

 


II cancelliere austriaco Kurz in Israele da Netanyahu.

«Responsabilità storica»

Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz è arrivato ieri in Israele per una visita nel corso della quale incontrerà, tra gli altri, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, e visiterà il Memoriale dello Yad Vashem a Gerusalemme. Netanyahu e Kurz - che in passato è già stato in Israele due volte in qualità di ministro degli Esteri - si sono incontrati l'ultima volta a metà febbraio a margine della Conferenza per la Sicurezza di Monaco. In Israele Kurz è accompagnato dal ministro delle Scienze e dell'Educazione, Heinz Fassmann. Lo stesso cancelliere austriaco, qualche tempo fa, aveva commentato su Twitter la notizia della sua visita in Israele parlando della «speciale responsabilità storica» che ricade sul suo Paese. L'Austria «non deve mai dimenticare gli orribili crimini dell'Olocausto», aveva detto Kurz, ed è impegnata «nei confronti della sicurezza di Israele e dei suoi cittadini». «Solo se gli ebrei possono vivere in pace senza restrizioni, in libertà e sicurezza», aveva aggiunto Kurz, allora «non dimenticare» potrà diventare anche un «mai più».

(Avvenire, 10 giugno 2018)


La scelta di Messi di non giocare aiuta Rajoub nella corsa a sostituire Abu Mazen

Lettera al Direttore di La Stampa


Egregio Direttore,
ho sempre pensato che non ci fosse molta differenza tra compagni e camerati, e oggi che una partita di calcio è stata annullata perché non gradita ai palestinesi, che in Italia hanno molti sostenitori a sinistra, sono sempre più convinto che l'idiozia non abbia bandiera. In ogni caso la cancellazione del match Israele-Argentina è un fatto gravissimo, soprattutto per le minacce di morte ai giocatori e i festeggiamenti palestinesi. Penso che si sia trattato di un atto di terrorismo nei confronti dello sport come alle Olimpiadi di Monaco. E l'Onu che dice?
Enzo Bernasconi (Varese)




Caro Bernasconi,
la vicenda dell'annullamento della partita di calcio Israele-Argentina, prevista a Gerusalemme, ha una duplice lettura. La prima, descritta dalle cronache di questi giorni, vede la squadra di Messi cedere a pressioni e ricatti di gruppi anti-israeliani arrivati ad imbrattare di sangue la maglia del campione argentino per far comprendere a cosa sarebbe andato incontro mantenendo l'impegno preso dalla Federazione calcio argentina. Ma è la seconda lettura a consentire una comprensione più articolata di quanto avvenuto perché l'artefice della campagna per l'annullamento del match nel Teddy Stadium di Gerusalemme è stato Jibril Rajoub, presidente della Federazione calcio palestinese, già protagonista di più tentativi di indebolire, se non rompere, il legame della Fifa con Israele.
Ebbene proprio Rajoub è considerato da molti a Ramallah come il più credibile e determinato concorrente alla sostituzione dell'anziano e malato Mohammed Abbas - Abu Mazen - alla presidenza dell'Autorità nazionale palestinese. Nella gara non dichiarata alla successione del leader palestinese - al governo dal 2005 - la sfida è fra veterani dell'Intifada, alti funzionari della sicurezza di Ramallah, fondamentalisti di Hamas e leader della nuova generazione. Rajoub punta a sbaragliare tutti giocando la carta del calcio - lo sport più popolare - contro il «nemico sionista». Ecco perché non ha lesinato sforzi - anche i più spregiudicati - per arrivare ad arruolare Messi.
Maurizio Molinari

(La Stampa, 9 giugno 2018)


Welcome to Tel Aviv - Aeroporto "Ben Gurion"

L'Accademia di musica e danza di Gerusalemme, in collaborazione con 150 musicisti, ballerini e cantanti, ha deciso di sorprendere 2000 giovani ebrei, che hanno deciso di lasciare i loro paesi di origine per vivere in Israele, all'aeroporto Ben Gurion, con canti e balli.

(Ebrei e Israele - Forum Free, 9 giugno 2018)


Da Rohani benzina sul fuoco di Gaza

GAZA - "Israele non potrà mai sentire di essere in un posto sicuro". Così il presidente iraniano Hassan Rohani citato dall'agenzia semi-ufficiale Fars. Ieri in Iran si celebrava la "Giornata di Gerusalemme" contro "l'occupazione sionista", una data che la Repubblica islamica non manca mai di onorare con salve di propaganda.
   "Oggi - ha detto il presidente "moderato" dell'Iran - le nazioni dichiarano che la liberazione di Gerusalemme e dell'intero territorio palestinese è la nostra causa e la nostra aspirazione". "Cause e aspirazioni" che ieri si sono misurati, per l'ennesima volta sul confine tra la Striscia di Gaza e Israele, per un nuovo venerdì di protesta. Cinque i manifestanti palestinesi uccisi e oltre 600 i feriti nei violenti scontri con l'esercito israeliano. Anche queste manifestazioni sono state convocate da Hamas, che ha portato circa 10mila dimostranti di fronte ai reticolati di frontiera, e che Israele accusa di voler capitalizzare sui dimostranti morti. Una situazione destinata comunque a protrarsi. In serata, l'esercito ha attivato attorno alla Striscia il sistema di difesa antimissili, Iron Dome, nel timore di lanci di razzi da Gaza. Gli scontri maggiori - come di consueto - sono cominciati al termine delle preghiere del venerdì nelle moschee, mentre già in precedenza davanti ai reticolati gruppi di giovani avevano dato fuoco ai copertoni per impedire con il fumo la visuale ai tiratori scelti israeliani schierati dall'altra parte del confine. Giovedì sera il capo di Hamas nella Striscia Ismail Hanyeh aveva annunciato che le "Marce del Ritorno" andranno avanti a oltranza fino "alla rimozione del blocco" di Gaza da parte di Israele. Secondo i media israeliani sono stati lanciati da Gaza oltre confine 100 aquiloni incendiari che hanno provocato 45 roghi. L'agenzia Ap ha riferito che alcuni dimostranti hanno indossato casacche "simili a quelle vestite dai deportati ebrei" per denunciare che "l'occupazione israeliana sta commettendo gli stessi massacri perpetrati dai nazisti". La propaganda non muore mai.

(PressReader, 9 giugno 2018)


Iran: «Con il mondo islamico unito Israele ha i giorni contati»

Nella giornata dedicata ad Al-Quds (Gerusalemme) l'Iran rilancia l'idea avanzata da Erdogan di un grande esercito musulmano che distrugga Israele e liberi Gerusalemme

Manichino coperto dalla bandiera israeliana viene impiccato e dato alle fiamme durante la manifestazione per la giornata di Al-Quds a Teheran (foto agenzia MEHR)
A lanciare per primo l'idea di un "esercito dell'islam" per distruggere Israele era stato Erdogan. Da ieri quella idea/proposta, anche se con modalità diverse, è stata fatta propria anche dall'Iran che nella "giornata di Al-Quds" ha rilanciato l'idea di un mondo islamico unito contro lo Stato Ebraico.
A dire il vero non è la prima volta che gli Ayatollah lanciano l'idea di unire tutto l'Islam contro Israele, ma adesso che sono rimasti gli unici insieme alla Turchia a sostenere i palestinesi la richiesta assume un significato diverso e si sposta sulla guerra di religione tra islam ed ebraismo....

(Rights Reporters, 9 giugno 2018)


Israele, 70 anni hi-tech

Vige il "mantra" del sociologo Avi Jorisch: «Tu innoverai". Oggi si lavora sull'intelligenza artificiale applicata alle relazioni tra cervello e tecnologie automatizzate, alle disabilità e alla sicurezza. In una fitta rete di connessioni tra capitali investiti per le start-up di giovani imprenditori e organizzazioni di microbanche

di Paolo Sorbi

 
Gershom Scholem
Jacques Maritain in due suoi scritti, il primo nel 1964, il secondo nel 1970, prese posizione sulla fondazione dello Stato degli ebrei che era avvenuta nel maggio del 1948. In ambedue gli interventi era centrale la distinzione, ma non la separazione' tra il pieno diritto teologico del popolo di Israele alla terra di Canaan ed al contempo alla piena laicità e temporalità della fondazione ebraica di quello stato e quindi alla normalità di qualsiasi critica politica gli potesse arrivare, tranne esplicite dichiarazioni di distruzione militare del territorio ebraico. Un altro grande intellettuale' questa volta di origine ebraica, Gershom Scholem, sullo stesso avvenimento, espresse la necessità - oramai gli ebrei entrati direttamente nella storia degli uomini a pieno titolo, dopo millenni di emarginazione diasporica - di accettare pienamente la rinuncia al «messianismo impolitico» per quello che, in molte occasioni chiamò, il segreto dell'impresa sionista. Segreto che ben descrive lo psicanalista David Meghnagi nel suo recente libro su Benedetto Musolino, ricercatore dei destini ebraici, senatore del Regno d'Italia, risorgimentalista, di impostazione laica.
  Ovviamente, dopo settant'anni di esistenza, e che esistenza, dello Stato di Israele' rimangono aperti temi di moralità politica. Infatti si è sempre riproposto allo Stato israeliano il tema "regolare" della grande politica, cioè l'uso della forza. Rinnovata con il lunghissimo scontro con i palestinesi ed ampie parti dell'area arabo-islamica e, con grande sorpresa degli osservatori e delle opinioni pubbliche del mondo, per l'impressionante capacità di innovazione scientifica e tecnologica, che quell'esperienza ha saputo concretizzare. Ecco perché il concetto polito logico di "moralità" è colto all'interno di dinamiche della storia di un popolo al tempo stesso "differente" e "simile" agli altri: tensione delle molteplici e contradditorie crisi dello stesso millenario giudaismo. Al tempo stesso le capacità tecnologiche ed innovative di Israele oggi, a terzo millennio inoltrato, dalle alte tecnologie che trainano tutto il Pil ad una disoccupazione fisiologica del 4%, ad un impressionante numero di premi Nobel ottenuti, ad un accumulo tra i primi nel mondo per brevetti pro-capite, ma anche con stratificazioni sociali sempre più polarizzate tra un piccolo numero di ricchi ed impoverimenti dei ceti medi, possiamo ben renderci conto della stabilità e dei disequilibri tesaurizzati in questi settant'anni. Effettivamente «Tu innoverai» sembra diventare una sorta di mantra per il futuro di questo Stato. Il recente libro del sociologo Avi Jorisch Tu innoverai: come l'ingegnosità israeliana aiuta il mondo pubblicato da House Press fa ben comprendere in quanti ambiti sociali l'innovazione prodotta in quel territorio ha giovato al mondo. Alcuni, solo alcuni, esempi. 1955: innovazioni sull'uso dell'energia solare da parte del dottor Zvi Tabor. 1965: innovazione nell'agricoltura dell'irrigazione a goccia, che aiuta molto gli agricoltori a economizzare l'irrigazione delle terre. 200l: applicazioni robotiche nel campo chirurgico, specialmente per tutti gli infortuni che derivano da rotture della colonna vertebrale. 2011: innovazioni sui sistemi antimissile "riparo di ferro". Innovazioni di tipo cibernetico che anticipano qualsiasi missile che si precipiti su Israele. 2018: emergono in molti distretti biotecnologici israeliani applicazioni di intelligenza artificiale tra le relazioni cervello-tecnologie automatizzate. Centinaia di milioni di dollari investiti da Facebook su progetti riguardanti disabilità fisiche e sicurezza. In certi distretti tecnologici cresce anche una fitta rete di connessioni tra capitali investiti per le start-up di giovani imprenditori e organizzazioni di microbanche molto orientate al business. Lo stesso esercito prosegue i suoi obiettivi di sviluppo dell'intelligenza artificiale applicata alla sicurezza supplementare peri soldati e a tutta la popolazione nei luoghi di maggiore confluenza e, perciò, di pericolo, come possono essere aereoporti, centri storici in aree urbane, scuole ed ospedali. Infatti l'esercito in Israele sta acquistando quella centralità che aveva negli anni '50 del secolo scorso la grande centrale sindacale dei lavoratori, Histadrut.
  Tutto questo ha prodotto, negli ultimi decenni, nelle leadership militari, una sensibilità vivissima per la storia dell'uso della violenza nell'antichità biblica, nell'archeologia come accumulo di prove del millenario radicamento nei luoghi di Galilea, Giudea e Samaria, fino al mare, delle tribù di Israele. Il megatrend che esprime maggiore dinamicità, nel prossimo futuro - tra gli attuali 70 anni di Israele ed i suoi prossimi 100 anni di vita - sarà la piena autosufficienza dell'acqua che è il vero "petrolio" geostrategico del futuro mediorientale.
Abbiamo visitato dall'8 al 10 maggio ultimo scorso la Fiera dell'Agritech a Tel Aviv. Nella sua XX edizione si possono osservare tecnologie di intelligenza artificiale applicate all' agricoltura, tecnologie di intelligenza artificiale applicate in zone aride che ben presto entrano nel mercato commerciale agricolo con prodotti di ottima qualità, applicazioni di nuove tecnologie nelle culture sotto serra, sviluppi delle biotecnologie nelle nuove varietà di sementi per sempre più ampie produzioni di pomodori e aranci. Si interconnette a questa crescita dell'agritech una serie di nuovi rapporti commerciali e diplomatici - questa è la insperata novità! - con molte realtà private, ma anche statali di Paesi arabi circostanti. Dalla Giordania all'Egitto, a certi Emirati del Golfo, e poi all'impressionante velocità di banche miste tra Arabia Saudita ed Israele. Anche qui con iniziative private - Goldman Sachs ha pianificato investimenti che sfiorano i mille milioni di dollari insieme alle grandi finanziarie saudite sia con creazioni pubbliche statali, con società giordane per l'estrazione e la distribuzione del gas scoperto proprio di fronte alle coste israeliane e di fronte a Gaza. Queste iniziative crescono rapidamente negli ultimi dieci anni e, come ha dichiarato recentemente alla stampa israeliana, Daud Bakar, presidente del Consiglio per l'applicazione della sharia araba della Malesia, c'è necessità di misurarsi in campo aperto per la finanza islamica. Il tutto viene valorizzato dalle aperture diplomatiche del principe ereditario Bin Salman dell'Arabia Saudita.
  Nell' enigmatico libro di Yossi Klein Halevi, tra i più acuti futurologi israeliani, Like Dreamers, si tenta di dare una risposta alla futura saga di Israele che, con tutte le prudenze del caso, Halevi coglie come un processo che si aprirà verso un tempo post-sionistico, di un Israele, al contempo, "Luce delle nazioni" come nottola religioso-biblica e un Israele mediorientale in alleanza con certi Paesi arabi scomponendo i rigidi blocchi del Novecento storico che vedevano mondo arabo contro presenza ebraica. I pessimisti ammoniscono, dice Halevi nel suo libro, che poco è cambiato nella correlazione di forze. Gli ottimisti controbattono che la formidabile potenza tecnologica israeliana e la duttilità politica possono superare "cento muri". Halevi pensa che la legittimità di Israele resti una questione aperta nel mondo islamico e sempre più anche in vaste realtà di certe opinioni pubbliche europee, ma il Paese ebraico, vittorioso di tante guerre, specialmente nelle giovani generazioni, esprime pulsioni di abbandono dei vecchi traumi di quel giugno del 1967.
  Quando gli israeliani si sentono assediati, antico retaggio degli ebrei polacchi, di solito reagiscono irrigidendosi, soffrendo di ossessioni e paure. Quando si sentono ben voluti, si autodisarmano psicologicamente. L'analisi psico-politica è chiara: umiliate ed isolate Israele e la risposta sarà la forza, dialogate con Israele nella comunità internazionale e gli ebrei si sentiranno pronti all'eredità della misericordia biblica. Questi spunti di "futurologia israeliana" furono il cuore di un dialogo con il mai dimenticato Dan Vittorio Segre, grande politologo, diplomatico e giornalista italiano scomparso a Torino, a 92 anni' nel settembre 2014. Dan mi diceva che era spinto da certe sue riflessioni su Maritain, il cardinal Journet e il "Mistero di Israele" Anche i recenti avvenimenti in Israele e più largamente nell' area mediorientale invitano a riflettere, con profondità, sui destini di Israele. Il cardinal Journet scrisse nel 1945 delle pagine indimenticabili su questo argomento e tutta la sua attenzione era orientata verso la realizzazione della speranza messianica che lui vedeva come sotto fondo dello stesso sionismo religioso che avrebbe oltrepassato la pur concreta e necessaria, esperienza del sionismo politico. Dan Segre orientava le sue riflessioni su due concetti teologico-politici che ritengo in profonda sintonia con le riflessioni del cardinal Journet e del Concilio Vaticano II. Il primo concetto definisce il carattere collettivo-biblico particolare di Israele con la frase: «Sarete per me un Regno di Sacerdoti ed un popolo sacro». Il secondo concetto che Dan Segre molto apprezzava era il fondamento di un possibile ruolo neutrale di Israele nella geopolitica: «E non avrete parte fra le nazioni» (Numeri, 23, 9).

(Avvenire, 9 giugno 2018)


Striscia di Gaza. Scontri al confine con Israele

Morti quattro palestinesi

di Giordano Stabile

Un altro venerdì ad alta tensione sul confine fra la Striscia di Gaza ed Israele con scontri e morti durante l'undicesima «Marcia del Ritorno» nell'ultimo venerdì di Ramadan con diecimila persone portate da Hamas ammassate alla frontiera. Quattro manifestanti palestinesi sono rimasti uccisi, oltre 600 sono rimasti feriti. La situazione è tesa e ieri sera l'esercito israeliano ha attivato attorno alla Striscia il sistema di difesa antimissili, Iron Dome, nel timore di razzi da Gaza. Gli scontri maggiori sono cominciati al termine delle preghiere del venerdì nelle moschee, mentre già in precedenza davanti ai reticolati gruppi di giovani avevano dato fuoco ai copertoni per impedire con il fumo la visuale ai tiratori scelti israeliani schierati dall'altra parte del confine. Il ministero della sanità di Gaza ha detto che 117 dei feriti sono stati raggiunti da «proiettili veri», gli altri intossicati dai lacrimogeni. Le «Marce del Ritorno» andranno avanti a oltranza e fino a quando resterà il blocco israeliano ha proclamato giovedì sera Ismail Hanyeh, il capo di Hamas nella Striscia.

 La denuncia dello Stato ebraico
  L'esercito israeliano ha denunciato che «i dimostranti hanno bruciato gomme, tirato tubi ed ordigni esplosivi e sassi verso i soldati, tentando di danneggiare i reticolati. Hanno anche lanciato un aquilone con attaccato un ordigno esplosivo che è deflagrato in aria». Secondo i media israeliani sono stati lanciati da Gaza oltre confine 100 aquiloni incendiari che hanno provocato 45 roghi. L'agenzia «Ap» ha riferito che alcuni dimostranti palestinesi hanno indossato casacche «simili a quelle vestite dai deportati ebrei» per denunciare che «l'occupazione israeliana sta commettendo gli stessi massacri perpetrati dai nazisti».

 Il discorso di Rohani
  Ad alzare ulteriormente la tensione sono arrivate le parole del presidente iraniano Hassan Rohani: «Israele - ha detto ieri mattina il numero uno della Repubblica islamica in occasione della "Giornata di Gerusalemme" celebrata a Teheran - non potrà mai sentire di essere in un posto sicuro. Oggi, le nazioni dichiarano che la liberazione di Gerusalemme e dell'intero territorio palestinese è la nostra causa e la nostra aspirazione». Parole che non hanno fatto altro che portare l'esercito israeliano a ribadire la linea ufficiale già sostenuta da tempo, ovvero che dietro le «Marce del Ritorno» e le manifestazioni violente sul confine c'è l'Iran.

(La Stampa, 9 giugno 2018)


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Le vite risparmiate dal flop dell'ultimo corteo di Hamas

Poche adesioni all'undicesima adunata chiamata del movimento che controlla Gaza. Quattro manifestanti uccisi da Israele, seicento feriti.

di Fabio Scuto

GERUSALEMME - Se Hamas pensava di ripetere gli exploit delle manifestazioni precedenti lungo la Barriera di confine, quella di ieri è stata un mezzo flop. Circa 10.000 palestinesi hanno preso parte alle manifestazioni di massa lungo il confine della Striscia di Gaza per l'undicesima settimana consecutiva. I palestinesi si sono riuniti in 5 punti lungo i 37 chilometri di frontiera con Israele' cercando di avvicinarsi alla Barriera di confine. Negli scontri sono morte almeno 4 persone e secondo il ministero della Sanità di Gaza i feriti sono oltre 600, 90 dei quali da pallottole vere sparate dai cecchini israeliani appostati oltre la Barriera. I palestinesi hanno bruciato gomme, lanciato granate lacrimogene e pietre contro i soldati israeliani. Sono stati lanciati centinaia di aquiloni incendiari in territorio israeliano, che hanno provocato numerosi incendi nei campi agricoli circostanti la Striscia. La maggior parte dei feriti aveva inalato gas lacrimogeni, l'arma di dispersione antisommossa meno letale dell'esercito israeliano.
   Il numero dei manifestanti ieri era molto più basso di quanto previsto dall'esercito. L'Idf si aspettava che decine di migliaia di persone partecipassero, vista anche la mobilitazione totale di Hamas nell'organizzare questa marcia che ricordava anche la Nakba, la bruciante sconfitta degli arabi nella guerra dei Sei Giorni nel 1967 e la conquista israeliana di Gaza e della Cisgiordania.
   L'Idf ha anche schierato intorno a Gaza i sistemi di difesa missilistica "Iron Dome" per contrastare qualsiasi attacco missilistico proveniente dall'enclave costiera, come avvenuto la scorsa settimana quando oltre 100 tra missili e mortai sono stati sparati contro Israele
   Hamas sperava in una partecipazione più massiccia, almeno 40.000 persone per l'ultimo venerdì di Ramadan come parte delle proteste annuali in occasione della Giornata di Al-Quds, così chiamata per il nome arabo di Gerusalemme. La giornata è contrassegnata da manifestazioni in tutto il mondo musulmano e in alcune città europee. Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha dichiarato che le proteste al confine di Gaza continueranno fino a quando Gerusalemme non sarà "libera", secondo la rete tv israeliana Channell 10. Haniyeh ha anche detto che Hamas è disposto a considerare "un' autentica iniziativa per concludere l'assedio a Gaza, ma non a spese dell'integrità della questione palestinese".

(il Fatto Quotidiano, 9 giugno 2018)


Francia, Germania e Gran Bretagna si accordano con Israele per il ritiro dell'Iran dalla Siria

La cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Theresa May hanno presumibilmente raggiunto un "ampio accordo" sulla necessità di rimuovere completamente la presenza militare iraniana dalla Siria, secondo il quotidiano israeliano 'The Times of Israel', che cita come fonte un alto funzionario della diplomazia israeliana.
Questo sviluppo arriva quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha appena concluso il suo viaggio diplomatico in Europa, con il suo unico obiettivo durante questo tour, secondo la sua stessa ammissione, "portare un accordo internazionale affinché l'Iran lasci la Siria."
"Il mio obiettivo era quello di sfruttare i principali paesi europei per opporsi alla continua espansione dell'Iran", si legge nelle dichiarazioni di Netanyahu riportate dal media israeliano.
Il funzionario ha aggiunto che Netanyahu ha anche cercato di persuadere i leader europei a seguire l'esempio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per ritirarsi dall'accordo nucleare iraniano, anche se il primo ministro May avrebbe declinato questa proposta.
La presenza di consiglieri iraniani in Siria è legittimata dal diritto internazionale. Infatti, questi consiglieri sono in Siria su precisa richiesta del governo siriano per ricevere aiuto nella lotta al terrorismo. Illegale è la presenza di truppe di USA e Francia che sono presenti sul suolo siriano senza l'autorizzazione, oltre che dell'ONU, del legittimo governo di Damasco.

(news.reteitalia.net, 9 giugno 2018)


Siria - Leader Hezbollah: "ci ritireremo solo su richiesta del presidente Assad"

BEIRUT - Le milizie del movimento sciita libanese Hezbollah si ritireranno dalla Siria se sarà richiesto dal presidente siriano, Bashar al Assad. Lo ha detto oggi il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, durante un discorso televisivo trasmesso in occasione della Giornata per Gerusalemme. "Hezbollah è intervenuto in Siria su richiesta di Assad", ha ricordato il numero uno del partito sciita. "Anche se tutti lo vorranno, nessun ci obbligherà a lasciare la Siria", ha precisato Nasrallah. Lo scorso 17 maggio, nel loro incontro il presidente russo, Vladimir Putin, e l'omologo siriano hanno discusso del processo politico nel paese martoriato dalla guerra. Tra i temi affrontati dai due capi di Stato il passaggio alla fase della ricostruzione che implica il ritiro della presenza di truppe straniere, senza specificare di quali in particolare. In Siria, infatti, sono presenti, tra gli altri i turchi, gli statunitensi, nel quadro della Coalizione contro lo Stato islamico, i Pasdaran iraniani e gli Hezbollah. La presenza di questi ultimi soprattutto nell'area del Golan preoccupa Israele. Rivolgendosi al governo israeliano, Nasrallah ha affermato: "Ammettetelo, avete perso". Lo Stato ebraico, infatti, ha compiuto una serie di raid contro obiettivi iraniani in Siria nei mesi scorsi, nel tentativo di scardinare la presenza dei pasdaran nel paese.

(Agenzia Nova, 8 giugno 2018)


"Latte, miele e falafel": un libro su Israele e le mille tribù

L'autrice Pinna: Paese caleidoscopio, invito a scoprirne segreti

ROMA - Un libro per scoprire le mille tribù di Israele, dai drusi ai samaritani, dai beduini agli abitanti dei kibbutz. Si intitola "Latte miele e Falafel" (Edizione Terra Santa), il volume scritto dalla giornalista e scrittrice Elisa Pinna, grande esperta delle questioni israeliane e mediorientali. Un libro di viaggio, di scoperta, una sorta di invito ai turisti a conoscere le tribù più nascoste e meno conosciute del Paese.
Come spiega la stessa autrice: "Latte e miele rievocano il messaggio biblico, la terra promessa per il popolo ebraico. Falafel sono le polpettine di ceci che vanno molto in Medio Oriente. Questi tre elementi per indicare che Israele non è un Paese monolitico, come spesso lo vediamo dal di fuori. Israele in realtà al suo interno ha tremila tribù, tremila piccole comunità, ha presente tradizioni religiose molto diverse al suo interno. È un caleidoscopio di popoli e di culture. L'idea mi è venuta perché andando in Israele ho scoperto questi segreti di Israele e tento di raccontarli per gli altri visitatori".
Israele 70 anni dopo: dal sogno sionista al fragile equilibrio attuale. "Mi fermo con le varie comunità, le tribù di Israele, dai samaritani ai drusi, agli stessi coloni, agli ebrei ultraortodossi, o quelli superlaici di Tel Aviv, con i beduini. È una società molto spezzettata, con tante realtà religiose, di una ricchezza incredibile ma anche di tantissimi contrasti".
Un viaggio interiore e umano davvero interessante: "E' stata un'esperienza arricchente e bella. Quando si va in Israele per pochi giorni ci si ferma sui monumenti e sui luoghi più famosi, e non si va mai dietro le quinte. Io invece suggerisco di andare a conoscere queste realtà meno conosciute, più segrete, come i drusi. È interessante andare a vedere le loro feste e conoscerli. Oppure i samaritani, una comunità davvero microbica, ma interessante".

(askanews, 8 giugno 2018)


Nel nome di Mireille

ROMA - L'idea era stata lanciata nel corso della cerimonia di commemorazione organizzata nel Tempio Maggiore di Roma pochi giorni dopo la barbara uccisione. Una proposta subito raccolta dalla sindaca Virginia Raggi. Da oggi la foto di Mireille Knoll, l'anziana donna ebrea parigina sfuggita in gioventù al rastrellamento del Vel d'Hiv e massacrata lo scorso marzo dai suoi vicini di casa islamici, appare su una facciata di Piazza del Campidoglio.
   "Mireille è una vittima dell'odio. Un odio che purtroppo sta tornando in tutta Europa saldandosi con la propaganda di matrice islamica, che nulla ha a che fare con il vero Islam" afferma la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, autrice della proposta, rivolgendosi ai tanti giovani presenti stamane.
   "Da Roma - incalza Dureghello - vogliamo lanciare un messaggio di libertà e di pace. Valori di cui Mireille è un simbolo". Un impegno concreto, quindi, contro ogni forma di odio. Anche quello che, ammonisce, serpeggia nella violenza verbale che caratterizza il mondo del web.
   "Purtroppo - interviene il rabbino capo, rav Riccardo Di Segni - quello di cui parliamo oggi non è un episodio isolato. Ce lo ricordano le uccisioni, sempre in Francia, di Sarah e Ilan Halimi. O quello che sentiamo in queste ore dalla Germania". È fondamentale, prosegue il rav, che questo non sia un grido di dolore soltanto ebraico ma di tutta la società. Perché l'antisemitismo riguarda tutti.
   Si riallaccia a questo pensiero la sindaca Raggi. "Quello che succede a uno di noi, riguarda tutti noi. Apriamo gli occhi, agiamo. Non dobbiamo permettere - dice, guardando in faccia gli studenti - che odio e rabbia prendano il posto di rispetto e tolleranza". Ferma al riguardo la condanna per quanto avvenuto al Liceo Socrate, dove un gruppo di ragazzi si è fatto immortalare in posa col saluto romano. Un episodio che la preside ha definito "una goliardata".
   Emozionano le parole di Daniel Knoll, uno dei figli di Mireille. "Sono qui - afferma - per denunciare una deriva antisemita di cui sono responsabili le stesse persone, gli stessi nemici, che massacrano i cristiani in Oriente, che li detestano quanto destano i veri musulmani e le nostre società. Non restiamo in silenzio". L'invito ai ragazzi, alla generazione ipertecnologica che ha di fronte, è a informarsi, a prendere in mano dei libri. "Ci sono tanti scrittori straordinari - spiega - che meritano di essere conosciuti".
   In un messaggio inviato alla sindaca la presidente UCEI Noemi Di Segni ha scritto: "Esprimere con risolutezza un no alla violenza e alla cancellazione della Memoria, ed esprimere un sì alla verità e alla sensibilizzazione dei nostri concittadini non è un fatto scontato ed è un segno importante di consapevolezza, esempio e responsabilità istituzionale".
   Erano presenti tra gli altri alla cerimonia l'ambasciatore di Israele in Italia Ofer Sachs e l'ambasciatore di Francia in Italia Christian Masset.

(moked, 8 giugno 2018)


Netanyahu rifiuta un incontro con la Mogherini

La ministra degli esteri Ue ha così annullato la sua partecipazione al Global Forum dell'American Jewish Committee

Il premier Benyamin Netanyahu ha rifiutato un incontro con il capo della diplomazia Ue Federica Mogherini che ha così annullato la sua partecipazione ad un forum in Israele la prossima settimana. Lo riferisce la tv 'Hadashot'.
In base alla ricostruzione della tv, Mogherini ha chiesto di vedere il premier durante la sua presenza ad una conferenza del Global Forum dell'American Jewish Committee in programma la prossima settimana a Gerusalemme, ma la sua richiesta è stata respinta e la ministra degli esteri Ue ha annullato la sua partecipazione al convegno.

(tio.ch, 8 giugno 2018)


Israele, dopo il calcio la musica: salta l'Eurovision

L'evento spetta allo Stato ebraico che indica Gerusalemme. Per gli organizzatori «troppo divisiva».

di Fausto Biloslavo

Prima l'amichevole con l'Argentina saltata all'ultimo momento. E adesso tocca ad Eurovìsion, il festival della canzone europea ispirato da Sanremo. Gli organizzatori non vogliono tenere la gara musicale a Gerusalemme città troppo «divisiva» dopo l'investitura americana come capitale di Israele. Lo stesso scoglio politico che ha fatto saltare la partita di calcio fra lo Stato ebraico e l'Argentina di Lione! Messi.
   La notizia non è ancora ufficiale ed è trapelata da Israele, membro organizzativo dell'Unione televisiva europea che manda in onda il festival. Il bello è che i cantanti israeliani hanno partecipato alla competizione musicale europea 41 volte dal 1973 vincendo in quattro occasioni. E ben due volte, nel 1979 e nel 1999, Eurovision è stata ospitata proprio a Gerusalemme, la città contesa con i palestinesi.
   La ministra della Cultura e dello Sport, Miri Regev, ha messo le mani avanti dichiarando che se «Eurovision non si terrà a Gerusalemme non l'ospiteremo da altre parti». Fedelissima del primo ministro Benjamin Netanyahu era stata proprio lei a spostare l'amichevole con l'Argentina da Haifa a Gerusalemme, dove gli Usa hanno da poco trasferito l'ambasciata, sollevando sanguinose proteste dei palestinesi. L' edizione di quest'anno è stata vinta il 12 maggio dalla cantante israeliana Netta Barzilai nella finale di Lisbona. Per questo motivo Eurovision 2019 dovrebbe tenersi in Israele. E secondo il governo a Gerusalemme, la capitale dello Stato ebraico non riconosciuta da tutti i Paesi.
   La battagliera Regev ha chiarito che il costo per ospitare la manifestazione è di 50 milioni di Nis, l'equivalente di 12 milioni di euro. «Se Eurovision non vuole venire a Gerusalemme - spiega la ministra-, penso che sia sbagliato investire una cifra del genere di fondi pubblici». E poi ha aggiunto: «La capitale dello stato d'Israele è Gerusalemme e non dobbiamo vergognarcene».
   In rete sono già apparsi i richiami turistici per Eurovision 2019 sottolineando che il gran finale dovrebbe tenersi allo stadio Teddy o all'arena delle Nazioni a Gerusalemme. In passato Eurovision è già stato terreno di scontro fra arabi e israeliani. Nel 1978 la televisione giordana interruppe la diretta durante l'esibizione della concorrente israeliana. E quando è stato chiaro che avrebbe vinto sospese la messa in onda sostenendo che era arrivato primo il candidato del Belgio. Il Libano che voleva partecipare si è tirato indietro perché non riconosce lo Stato ebraico. Gli album di Eurovision, che oggi sono proibiti, fino al 2009 erano in vendita a Beirut con il nome di Israele cancellato.
   Per la partita di calcio con l'Argentina che si sarebbe dovuta disputare domani la federazione israeliana ha denunciato alla Fifa le pressioni palestinesi sui calciatori argentini. La superstar Messi sarebbe stata minacciata di morte. Adesso sta scoppiando il braccio di ferro della canzone, che rischia di far saltare Eurovision 2019 per motivi puramente politici e timore delle rappresaglie.

(il Giornale, 8 giugno 2018)


Lo zar che vuole edificare sulle macerie di Bruxelles

Netanyahu non tira troppo la corda, manifestando prudenza, e soggezione nei confronti dello zar di Pietroburgo.

di Alfredo De Girolamo ed Enrico Catassi

 
Lo zar di Russia e il suo Ministro degli Esteri Sergei Lavrov ascoltano pazientemente l'Alto Rappresentante dell'Unione Europea, Federica Mogherini
La Madre Russia non è mai stata così influente in Europa. E, c'è chi ritiene, come il finanziere Soros, che l'Italia rischia di essere la testa di ponte del piano putiniano: edificare la cattedrale d'oriente sulle rovine del condominio di Bruxelles. Putin ha saputo avvantaggiarsi internazionalmente grazie al periodo obamiano delle politiche di disimpegno dai contesti caldi, rafforzando poi la sua posizione con la nomina del capriccioso e inaffidabile Trump. Sul piano diplomatico Putin ha messo in campo strategie che hanno cambiato gli assetti di intere regioni: dalla troika con Erdogan e Rouhani per il controllo della Siria, all'appoggio insieme al faraone al-Sisi al generale Haftar per la conquista della Libia. Nuovi e vecchi teatri su cui muoversi in quasi totale libertà.
  Da un lato la Russia postsovietica continua ad avere un peso specifico rilevante sulla questione dei Balcani, in difesa dei fratelli serbi, dall'altro non ha abbandonato qualche velleità nei confronti dei Paesi Baltici. Con la Polonia invece le distanze sono culturali e le affinità politiche. L'ex agente del Kgb poggia gran parte del successo estero su propaganda e lobbismo. Ha assecondato Chirac, Sarkozy, Hollande e ora fa lo stesso con Macron. Con la Merkel non c'è amicizia ma affari, e a Berlino va bene così. Fronte complesso quello con l'Ucraina, una guerra nemmeno troppo silente, tra spionaggio e attentati, veri come l'abbattimento del volo civile MH17 con un missile Buk in dotazione all'esercito russo o falsi come l'assassinio del giornalista russo Arkadij Babcenko, dato per morto e poi ricomparso "resuscitato", lasciando tutti interdetti tranne il controspionaggio ucraino.
  In Italia Putin, può contare su un variegato parterre. La simpatia per Berlusconi, l'endorsement a Salvini e l'elogio per il neo governo guidato da Giuseppe Conte. Ottime relazioni con la Cina dell'imperatore Xi Jinping, l'asse tra il comunismo maoista e quello stalinista continua ad avere una corsia preferenziale, addirittura migliore che in passato quando l'ideologia dell'ortodossia marxista non era sufficiente a spianare aperte "divergenze" d'indirizzo geopolitico, dal Vietnam all'Albania. Nel Vicino Oriente sicuramente Putin non lascerà degenerare la crisi politica in cui è scivolata l'Armenia. Mantenendo allo stesso tempo un legame speciale con Ilham Aliyev, signore dell'Azerbaigian. Sostiene, in linea con l'Europa, l'accordo iraniano di denuclearizzazione. Mentre, concede a Netanyahu sconfinamenti in suolo siriano, basta che venga informato preventivamente e non sia messa in pericolo la vita dei suoi uomini dislocati in appoggio ad Assad.
  Netanyahu non tira troppo la corda, manifestando prudenza, e soggezione, nei confronti dello zar di Pietroburgo. Il quale oltre alla superiorità militare può contare su un fattore sociale, molto convincente: un sesto della popolazione israeliana, con diritto di voto, è di origine russa. Ha tifato, spudoratamente, Brexit. Oggi però paga tensioni crescenti tra le sponde del Tamigi e del Volga. Dal governo della May pesano le accuse che la lunga mano di Putin abbia ordinato l'avvelenamento dell'agente segreto moscovita Sergej Skripal, passato al servizio di Sua Maestà e miracolosamente vivo dopo l'attentato subito. Un caso in stile James Bond con 007 doppiogiochisti e una catena di eventi che ci ha riportato agli anni della Guerra Fredda. Infine, il rapporto tra Putin e Trump, ondivago e difficile da interpretare.
  Tra i due non c'è dualismo e ostilità, al contrario, ma in Usa non solo il Pentagono chiede distanza e maggiore trasparenza. I vertici statunitensi vorrebbero evitare che Trump finisca per diventare un topolino nelle grinfie del gatto siberiano. Il crollo dei regimi comunisti ha portato la Casa Bianca a togliere quel cordone di sicurezza che presidiava i confini adiacenti alla Cortina di Ferro, incluso il nostro. Zone d'interesse strategico che sono diventate prede "appetibili", in un nuovo spazio dove vale sempre di più il principio di "cane mangia cane".

(Il Tirreno, 8 giugno 2018)


Caro Curzio, su Israele stai sbagliando

Lettera a Curzio Maltese

Bravo Maltese, i soldati israeliani fanno il tiro al piccione al confine con Gaza (sul Venerdì del 1o giugno); invece i 180 tra razzi e colpi di mortai porterebbero caramelle ai bambini israeliani. Ho letto lo statuto di Hamas, e ho capito quanto è grande la voglia di pace! Non sono ebreo, sono cattolico ed elettore di centro-sinistra; a questo punto me ne vergogno quasi. Informatevi bene su cosa c'è dietro le marce pacifiche del ritorno; prendete la presunta uccisione di Leila, bambina palestinese di 8 mesi, di cui è stato accusato Israele. È vergognoso ciò che hanno scritto buona parte dei giornali, in particolare di sinistra; e poi, saputo la verità direttamente da Hamas, nessuna smentita
angeloagnano@alice.lt



Ho incontrato a Tel Aviv e a Gerusalemme molti israeliani ed ebrei che si vergognano dell'assassinio di civili nella Striscia di Gaza. Se ci sono italiani orgogliosi di questo massacro, mi dispiace per loro. (c.m.)

(il Venerdì di Repubblica, 8 giugno 2018)


Vergognosa risposta di un giornalista di uno dei più “grandi” giornali italiani. Invece di rispondere sul merito, si richiama, nel più classico modo degli “antisemiti moderati”, ai suoi “amici ebrei” e demonizza chi presenta ragioni che si oppongono alle sue. Basta una risposta come questa per squalificare un giornalista e il giornale su cui scrive. M.C.


L'Iran annuncia di arricchire l'uranio: Israele e USA preparano la risposta

di Lorenzo Vita

 
L'Iran ha annunciato che entro un mese saranno completate le centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. E adesso si apre una nuova fase nei rapporti con il mondo.
A spiegare le prossime mosse del governo, è stato Ali Akbar Salehi, il direttore dell'organizzazione iraniana per l'agenzia atomica (Oiea). L'impianto prescelto è quello di Natanz, nella regione di Isfahan. Il livello di arricchimento arriverà a un volume di 190mila Swu (separative work units). "Speriamo che la struttura sia completata in un mese", ha aggiunto Salehi. Ed ha confermato la comunità internazionale che il programma sarebbe rientrato nel quadro dell'accordo sul nucleare del 2015.

 Stati Uniti e Israele preparano le contromosse
  Israele e Stati Uniti hanno sempre chiarito che l'arricchimento dell'uranio da parte del governo iraniano sarebbe stato considerato un atto ostile. E Donald Trump, dopo l'annuncio di Ali Khamenei sulla volontà di attivare il processo di arricchimento, disse che ci sarebbero state "conseguenze molto severe".
In queste "conseguenze", è possibile che rientri anche un attacco ai siti nucleari iraniani prima che questi si attivino. Un'ipotesi non così remota, se si pensa alla dottrina israeliana di colpire preventivamente ogni Paese nemico ritenuto capace di costituire un arsenale nucleare.
Basti pensare all'ultimo tweet di Mike Pompeo, segretario di Stato americano, dopo le notizie giunte dall'Iran: "Non permetteremo all'Iran di sviluppare un'arma nucleare. L'Iran è consapevole della nostra determinazione ". Parole arrivate dopo l'annuncio di Salehi sull'impianto di Natanz e che impongono alcune riflessioni. A cominciare da un'altra frase: "Non dovrebbe sorprendere nessuno se le proteste in Iran continuano".
Anche le immagini degli F-35 su Beirut, considerate da molto come un atto di tracotanza da parte israeliana, potrebbero rientrare nella guerra mediatica tra Iran e Israele. L'Iran continua a mescolare le carte, promettendo accordi ma annunciando la ripresa dell'arricchimento dell'uranio. Mentre a Tel Aviv continuano a minacciare attacchi e utilizzano spesso i media per lanciare messaggi nei confronti dell'Iran.

 Gli Stati Uniti rafforzeranno Israele
  Secondo l'intelligence israeliana, Donald Trump avrebbe approvato un piano per il rafforzamento delle forze armate israeliane in caso di guerra con l'Iran. Il piano prevede l'incremento delle capacità di difesa israeliane, ma anche l'aumento della presenza militare Usa in Israele.
In questo senso, non vanno sottovalutate le parole del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg sul fatto che l'Alleanza non avrebbe sostenuto Israele in caso di guerra con l'Iran. Le dichiarazioni sono arrivate dopo l'incontro del segretario Nato con Trump. Probabilmente il leader dell'Alleanza non avrà voluto mettere gli alleati europei con le spalle al muro, visto che molti Stati membri del Patto atlantico sono contrari all'ostilità nei confronti di Teheran.
Il blocco composto da Stati Uniti e Israele non sembra intenzionato a cedere anche dopo queste frasi di Stoltenberg. E c'è da credere che il viaggio di Benjamin Netanyahu in Europa serva anche per testare le reazioni dei leader europei nell'eventualità di una nuova ondata di ostilità contro l'Iran.

 Un messaggio anche per la Corea?
  La scelta iraniana di arricchire l'uranio proprio quando Trump si è convinto a incontrare Kim Jong-un, impone anche un confronto con il nodo coreano.
Kim e Trump si incontreranno a Singapore fra cinque giorni. La scelta del governo iraniano di riprendere il processo nella centrale di Natanz proprio alla vigilia del vertice fra Usa e Corea del Nord rischia di scatenare reazioni indirette da parte di Washington. I due temi, Corea e Iran, sono molto legati fra loro.
Non va dimenticato che il giorno in cui Trump ha deciso di ritirare gli Usa dall'accordo sul nucleare iraniano, Pompeo viaggiava a Pyongyang per incontrare il leader nordcoreano. Tutto è strettamente connesso. E anche il tipo di reazione americana nei confronti della scelta dell'Iran sarà proporzionato al messaggio che si vorrà dare alla Corea del Nord.

 Il viaggio di Rohani in Cina
  Il presidente iraniano Hassan Rohani partirà domani alla volta della Cina per il 18esimo vertice dell'Organizzazione della cooperazione di Shanghai (Sco) a Qingdao. Rohani incontrerà Xi Jinping e avrà colloqui anche con altri capi di Stato, in particolare anche il presidente russo, Vladimir Putin.
Rohani cerca di ottenere il pieno sostegno di Cina e Russia per mantenere vivo l'accordo sul nucleare iraniano. Ma cerca anche fondamentali sponde per tutelarsi da un eventuale attacco di Israele e Stati Uniti. Il blocco eurasiatico potrebbe essere un ostacolo insormontabile alle mire di Washington e Tel Aviv.

(Gli occhi della guerra, 7 giugno 2018)


Senatore Merlo: solidarietà a Israele e Argentina,

"Aderiamo all'appello di Dureghello"

di Ricardo Merlo
Presidente del Movimento Associativo Italiani all'Estero

"Da Senatore della Repubblica italiana e italo-argentino, eletto dagli italiani in sud America, sono profondamente addolorato nel vedere che la partita amichevole tra Israele ed Argentina sia stata annullata. La Nazionale di calcio Argentina è stata costretta ad annullare la partita che si sarebbe dovuta tenere nel fine settimana a Gerusalemme soltanto a causa delle parole e degli atti intimidatori degli estremisti filopalestinesi che in queste ore rivolgendosi al campione Leon Messi hanno spaventato e messo a repentaglio la sicurezza dei nostri sportivi. Voglio esprimere anzitutto allo Stato d'Israele, ai suoi rappresentati, al suo popolo, solidarietà per questo ennesimo attacco finalizzato alla delegittimazione, in secondo luogo voglio dire alla Nazionale Argentina di non avere mai timore e che il popolo argentino è sempre al loro fianco. Voglio affermare con forza un concetto: nessuna intimidazione e nessuna minaccia potranno mai allontanare l'Italia o l'Argentina da Israele, perché l'amicizia tra i nostri Paesi sta anzitutto nell'amicizia tra i nostri popoli ed è proprio in seguito a fatti come quello di oggi che le amicizie si rafforzano. Aderiamo all'appello della Presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, che ha chiesto proprio un queste ore al presidente del CONI Malagò un segnale da parte del mondo dello sport e del calcio italiano per quanto accaduto alle nazionali di Argentina e Israele quest'oggi, lo auspichiamo e attendiamo anche noi credo insieme a molti tifosi, un gesto di vicinanza e amicizia."

(macchioni, 7 giugno 2018)


"Escludete Messi e l'Argentina dai Mondiali"

La società incaricata di organizzare l'amichevole con Israele vuole sottoporre il caso alla FIFA.

L'Argentina sta vivendo la preparazione al Mondiale in Russia in maniera burrascosa. La Selecciòn avrebbe dovuto sfidare Israele in una gara amichevole sabato a Gerusalemme, ma la partita è stata cancellata dalla federazione calcistica argentina dopo le minacce subite da Messi e compagni (con tanto di magliette bruciate) da parte di alcuni contestatori palestinesi. A scatenare l'ira della comunità araba la decisione di organizzare l'incontro nell'ambito delle celebrazioni per il settantesimo anniversario dello Stato d'Israele. "È come se noi giocassimo per festeggiare l'occupazione inglese delle Isole Malvinas", si è lamentato l'ambasciatore palestinese a Buenos Aires.
   L'annullamento del test match deciso dall'Argentina ha inevitabilmente provocato forti reazioni da parte israeliana. Fa sapere Olé che la Comtec, l'impresa incaricata di organizzare l'amichevole tanto discussa, chiederà alla FIFA di escludere l'Argentina dai prossimi campionati del mondo in Russia con l'accusa di "discriminazione religiosa": "Vogliono farci fuori", titola a tutta pagina il giornale online.
   L'iniziativa sta avendo molto risalto sui media argentini: a capitanare la richiesta ci sarebbe la stessa equipe di avvocati che nel 1994 si è occupata del caso O. J. Simpson, il giocatore di football americano accusato di aver ucciso la moglie e un cameriere ma assolto dopo il processo. Oltre all'esclusione dal Mondiale, la Comtec avrebbe chiesto alla federazione argentina la restituzione dei due milioni di euro dati come compenso per aver accettato l'amichevole.
   Il ministro degli Affari Esteri argentino, Jorge Farie, ha spiegato che "i giocatori sono rimasti profondamente scossi e hanno preferito rinunciare all'amichevole, chiedendo che venisse cancellata. La campagna palestinese divenuta virale e la pressione della stampa hanno reso il clima insostenibile". Dichiarazioni condivise da Gonzalo Higuain che, ai microfoni di 'Espn', ha commentato: "Di fronte alle minacce ha prevalso il buon senso".

(Virgilio Sport, 7 giugno 2018)


Israele: «O l'Eurovision sarà a Gerusalemme o non l'ospiteremo»

Dopo l'annullamento dell'amichevole con l'Argentina, il governo mette i puntini sulle i per quanto riguarda la manifestazione canora.

Il giorno dopo la cancellazione da parte dell'Argentina dell'amichevole di calcio con Israele, la ministra dello sport e della cultura Miri Regev ha minacciato di ritirare lo Stato ebraico come Paese ospitante del prossimo Eurovision Song Contest se la competizione non si svolgerà a Gerusalemme per «considerazioni politiche».
«Raccomanderò al governo - ha detto alla radio Regev, che i palestinesi considerano responsabile dello spostamento "politico" da Haifa a Gerusalemme della partita di calcio - che se la gara musicale non si svolgerà a Gerusalemme, allora sarà giusto non ospitarla».
La ministra ha spiegato che la gara «avrà un costo di 50 milioni di shekel (circa 12 milioni di euro) e ha lo scopo di lanciare sul mercato il Paese. Per questo dico a titolo personale che se l'Eurovision non si terrà a Gerusalemme, non è giusto investire quella somma di fondi pubblici». «Israele - ha concluso - ha una capitale che si chiama Gerusalemme e di questo non si deve vergognare».

(tio.ch, 7 giugno 2018)


La flotta di Israele si esercita inscenando un attacco di Hezbollah

 
Israele e il mare. Un connubio sempre più forte in cui la flotta israeliana assume, ogni anno, un ruolo più rilevante. E per questo si esercita su possibili attacchi, in particolare alle piattaforme off-shore, da parte di Hezbollah .

 Le esercitazioni della Marina
  L'ultima esercitazione si è conclusa in questi giorni, come ha confermato il portavoce delle Israel Defense Forces (Idf).
  Secondo quanto annunciato dalle forze di Israele, nella prima parte delle esercitazioni è stato previsto l'attacco da parte di un drone diretto su una piattaforma di gas. Obiettivo era provare a intercettarlo con il sistema di difesa aerea Barak-8 una volta identificato dai sistemi navali.
  Nella seconda esercitazione, è stato colpito un bersaglio navale che simulava un'imbarcazione nemica in avvicinamento. Ed è stato realizzato un lancio di missili da crociera dalle navi Saar recentemente aggiornate con nuovi sistemi di rilevamento e di cyberwar.
  Il colonnello Adar Gershon, a capo dell'esercitazione, ha dichiarato che "gli squadroni missilistici sono preparati e pronti per tutte le minacce nel settore marittimo".

 Cosa difende la Marina israeliana
  Israele ha unilateralmente esteso la sua zona economia esclusiva (Zee) fino a 150 miglia nautiche dalla costa. Un'estensione irrituale e non riconosciuta dagli altri attori internazionali, ma che di fatto assegna alla flotta una notevole quantità di territorio da proteggere.
  In tutto questo, il vero scopo dell'estensione della Zee è anche il controllo dei giacimenti di gas. Per Israele una vera e propria fucina di denaro ma anche un modo per incrementare il ruolo geopolitico. E le piattaforme off-shore sono diventate il centro della strategia navale israeliana. E anche obiettivo della propaganda di Hezbollah e di Hamas che le hanno spesso identificate come bersagli dei loro assalti.
  "L'importanza del mare per Israele è molto chiara. Tutto nel paese arriva via mare. Israele non potrà mai trovarsi nella posizione in cui le sue acque non sono protette ". Queste le parole di un alto ufficiale della Marina dello Stato ebraico al Jerusalem Post. "Crediamo che Hezbollah abbia la capacità di colpire qualsiasi punto nelle nostre acque".

 La sfida con Hezbollah
  Israele e Hezbollah si sfidano da tempo sulla questione energetica. E il motivo è legato a doppio filo con la scoperta dei giacimenti nelle acque territoriali del Libano.
  Il governo israeliano ha definiti come "un atto di guerra" l'esplorazione nei giacimenti presente nelle acque disputate. Per Beirut sono acque sovrane. Per Israele sono acque contese. Le trivellazioni sono state considerate dal ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, una provocazione. In Libano, l'opposizione alle parole israeliane è stata netta, sia da parte di Hezbollah che da parte del governo di Saad Hariri.
  Hezbollah ha minacciato più volte di colpire le piattaforme come rappresaglia. E l'arsenale missilistico del movimento sciita può effettivamente raggiungere gli obiettivi. E la guerra latente fra Iran e Israele è certamente un fattore di aumento del rischio.
  Colpire il cuore dell'energia israeliana, che potrebbe in futuro fornire il 75% del fabbisogno di gas del Paese, potrebbe essere un obiettivo fondamentale. E la guerra in Siria, con i continui attacchi di Israele alle forze sciite libanesi, ha acuito notevolmente lo scontro.

(Gli occhi della guerra, 7 giugno 2018)


I flussi e riflussi della storia

di Emanuel Segre Amar

Non si vuole qui fare un confronto tra le politiche di due primi ministri che hanno governato in situazioni tanto differenti l'una dall'altra, e nemmeno fare previsioni su quanto durerà ancora il premierato di Netanyahu che potrebbe superare in lunghezza quello di Ben Gurion.
   È ben nota la frase che Ben Gurion pronunciò nel 1939: «Noi dobbiamo appoggiare l'esercito come se il Libro Bianco non esistesse, e combattere il Libro Bianco come se la guerra non ci fosse.»
In quel momento, vigilia della II guerra mondiale, Ben Gurion doveva trattare con gli inglesi nonostante questi dimostrassero in ogni occasione di essere più interessati a collaborare con gli arabi che con gli ebrei.
   Nessuno può oggi affermare con certezza che siamo alla vigilia di una nuova guerra mondiale, anche se per alcuni questa sarebbe già iniziata; ma sicuramente le tensioni della politica internazionale sono al color rosso, e non lasciano prevedere nulla di buono. E questa settimana, come Ben Gurion 79 anni fa, Netanyahu, nel trattare con l'Inghilterra (ancora lei), e con la Francia (oltre che con la Germania), era ben cosciente che questi paesi al Consiglio di sicurezza, nella risoluzione voluta dal Kuwait, non hanno riconosciuto il giusto diritto di Israele di difendere i propri cittadini dagli attacchi di Hamas. Netanyahu ha dovuto far finta che tutto quanto succede nel Palazzo di vetro e dintorni non sia avvenuto perché, come allora bisognava vincere la guerra contro i paesi dell'Asse, così oggi bisogna vincere la contesa contro l'Iran e spaccare quella strana alleanza tenuta insieme solo da evidenti interessi economici.
   Non molto dissimile, poi, è la situazione con Russia e Cina che, all'ONU, non perdono occasione di votare contro lo Stato di Israele, ma che poi, con questo, firmano importanti contratti economici e anche non meno importanti accordi politici (anche se di questi si conoscono solo le conseguenze).
   Insomma, sono passati tanti anni da quel settembre del 1939 quando Ben Gurion pronunciò quella frase passata alla storia, ma la politica sembra ancora seguire le stesse logiche.

(L'informale, 7 giugno 2018)


Gli aquiloni del terrore di Hamas portano fiamme e distruzione

Che gli aquiloni tornino a volare in cielo come innocenti e colorati giochi di bambini e smettano di essere terribili armi incendiarie, che mandano in fumo raccolti e foreste. E' questa la speranza diffusa tra gli abitanti delle aree rurali di Israele ai confini con la Striscia di Gaza, devastate nelle ultime settimane da violenti incendi provocati da aquiloni e mongolfiere trasformati in strumenti di terrore da Hamas, l'organizzazione politico-militare islamista che domina sull'area costiera palestinese al confine con Egitto e Israele. Dall'inizio della cosiddetta 'Marcia del Ritorno', promossa da fine marzo per rivendicare la proprietà di terre appartenute a palestinesi ed espropriate in Israele, da Gaza sono stati lanciati all'interno dello Stato ebraico oltre 600 ordigni incendiari volanti. I droni delle Forze di difesa israeliane (Idf) ne hanno abbattuti circa 400, ma quelli che hanno portato a termine la loro missione hanno distrutto migliaia di metri quadri di superfici agricole nel pieno della stagione del raccolto e zone boschive nelle aree protette. Il Fondo Nazionale Ebraico-Keren Kayemet LeYisrael (Kkl) ha potenziato i servizi anti-incendio, riducendo il più possibile la portata della minaccia terroristica. Sin dalla sua creazione, il Fondo ha piantato più di 240 milioni di alberi in Israele, ha costruito 180 dighe e bacini artificiali, reso coltivabili importanti superfici di territorio e creato più di mille parchi naturali. Accanto all'offensiva degli aquiloni incendiari, Hamas ha ripetutamente cercato di colpire Israele anche con razzi e colpi di mortaio, provocando la risposta difensiva dell'Idf, che ha colpito e distrutto obiettivi del gruppo terrorista nell'area della Striscia.

(in20righe, 7 giugno 2018)


Autogol argentino

Il no all'amichevole a Gerusalemme

di Riccardo Redaelli

Ma sì, in fondo è solo un'amichevole, avranno pensato a Buenos Aires. Quando mai ci è venuto in mente di organizzarla. E tenerla poi a Gerusalemme. Ci sono anche le minacce a Messi e consorte, quindi ragioni di sicurezza più che giustificate. Insomma, non facciamo una tragedia per una partita di calcio. Tragedia no, per carità, ce ne sono già troppe in Medio Oriente. Ma una riflessione seria sulla brutta figura fatta dall'Argentina, che ha cancellato la partita prevista della propria nazionale contro quella di Israele dopo le animate proteste palestinesi, è certo il caso di farla.
   Perché quando entra in campo (metaforicamente o meno) Israele, ecco che scatta il meccanismo del rifiuto a partecipare, del boicottaggio o della paura che vi siano ritorsioni. Per decenni, il conflitto israelo-palestinese, in particolare durante la Guerra Fredda, è diventato un campo ideologizzato di battaglia, oltre le singole ragioni e i torti. Così, se nei circoli politici di Washington Israele aveva sempre ragione per il semplice fatto di essere Israele (una posizione portata all'estremo oggi dall'Amministrazione Trump), per altri Israele aveva sempre torto. Per il semplice fatto di essere Israele.
   Innumerevoli sono state le campagne di boicottaggio dei prodotti israeliani per protestare contro l'oppressione dei palestinesi, con il risultato che, spesso, i primi a essere colpiti fossero proprio i lavoratori arabo-israeliani o palestinesi delle aziende coinvolte. Ancora più odiose le campagne promosse da docenti e ricercatori universitari a partire dallo scorso decennio per boicottare le università e i centri di ricerca israeliani, invitando a interrompere le collaborazioni, a non invitare i docenti e a non partecipare a eventi da loro promossi. Una mossa che doveva spingere a una revisione delle politiche del governo israeliano, ma che si è risolta - come era facile prevedere - in una sterile polemica, giustamente bollata "retrograda" e controproducente. Non solo perché colpiva gli ambienti più liberali e aperti di quel Paese, quali sono le università israeliane, ma perché offriva il fianco alle accuse di essere pregiudizialmente ostili al popolo ebraico, favorendo paradossalmente la propaganda della destra israeliana più estrema. In effetti, non ci si ricorda di campagne per boicottare le università di altri paesi del Medio Oriente, neppure quelle delle peggiori dittature. Il che non significa che non si abbia il diritto/dovere di criticare anche aspramente quelle decisioni del Governo israeliano che sembrino sbagliate - come anche chi scrive ha fatto spesso dalle pagine di questo giornale. Criticare sì, rifiutare l'incontro e la discussione a priori mai.
   E, per tornare alla partita mancata fra Israele e Argentina, le goffe giustificazioni delle autorità di Buenos Aires hanno solo peggiorato questa brutta figura: suona patetico che i calciatori fossero spaventati al punto di rifiutarsi di partire, quasi fosse stato chiesto loro di giocare ad Aleppo, in Siria, o nelle province controllate dai taleban in Afghanistan. In verità, i primi ad aver voluto politicizzare l'evento sono stati proprio gli israeliani, chiedendo di spostare l'incontro da Haifa a Gerusalemme, città simbolo ora più che mai del duro confronto israelo-palestinese. Ma una volta accettata la proposta, probabilmente con troppa superficialità, la scelta peggiore è stata cedere alle proteste e alle minacce. Riproponendo l' «eccezionalismo» di Israele nel sistema politico internazionale. Questa propensione al rifiuto di Israele nello sport e nella cultura, paradossalmente, continua proprio quando a livello politico la questione palestinese gode ormai di un sostegno minimo.
   Anche (e forse soprattutto) all'interno del mondo arabo. Con il processo di pace ormai morto, i palestinesi divisi, il Medio Oriente dilaniato da una guerra civile settaria e forte di un sostegno incondizionato da parte di Washington, il governo israeliano da anni mostra una crescente durezza, e a volte vera tracotanza, nelle proprie decisioni. Non bisogna desistere dal criticarne gli errori e gli eccessi nei confronti dei palestinesi, ma se c'è una via moralmente sbagliata e politicamente controproducente è proprio quella di tornare ai boicottaggi, ai doppi standard e ai distinguo. Non è certo così che si rilancia la discussione, pur ineludibile, sui diritti di un popolo ancora senza Stato come quello palestinese. E neppure sullo status di Gerusalemme, città di tutte le fedi. Non solo di una.

(Avvenire, 7 giugno 2018)


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«Il boicottaggio è sempre la scelta sbagliata»

Quattro domande a Ofer Sachs, ambasciatore di Israele in Italia

 
Ofer Sachs
- Un mese fa il Giro d'Italia partiva da Gerusalemme, e dopo 3 tappe vissute in un clima di grande festa e senza alcun tipo d'incidente lasciava Israele. Cos'è cambiato da allora, ambasciatore Sachs?
  «Niente. La decisione dell'Argentina di non venire a giocare l'amichevole a Gerusalemme è molto triste. Il Giro è stato in Israele e chi l'ha accompagnato ha potuto apprezzare i luoghi che ha visitato. Io penso che gli argentini con questa decisione abbiano perso di vista il ruolo dello sport, che è quello di creare ponti, di unire la gente. Nella nostra nazionale di calcio giocano tranquillamente insieme cristiani, musulmani ed ebrei».

- Cos'è successo?
  «Il movimento BDS (acronimo della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, ndr) è relativamente forte in Argentina e ha potuto influenzare la decisione. Il punto però è un altro: boicottare, e parlo in generale, non solo in relazione a questo episodio, è lo strumento che si oppone al dialogo. Se boicotti qualcuno o qualcosa non sarai mai capace di costruire un ponte che unisca le parti. Puoi essere in disaccordo, pensarla diversamente, litigare, ma alla fine deve sempre prevalere il dialogo, l'incontro, l'interazione. E con la decisione presa, generata dalla pressione di cui parlavo prima, gli argentini in questa partita hanno preso le parti della squadra sbagliata».

- Nemmeno l'intervento del Primo Ministro Benjamin Netanyahu col presidente argentino Mauricio Macri ha potuto cambiare le cose.
  «So che hanno provato a trovare una soluzione per rovesciare la decisione, ma col Mondiale alle porte apparentemente era troppo tardi per tornare indietro».

- Qual è il suo dispiacere maggiore?
  «Sono due. Il fatto che l'Argentina, un Paese con una grande tradizione sportiva, si sia arreso di fronte a questioni politiche senza senso. E la delusione e la frustrazione di tanti tifosi di Messi pronti ad accoglierlo con incredibile entusiasmo».

(La Gazzetta dello Sport, 7 giugno 2018)


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Qatar sì, Israele no. L'Argentina cede ai ricatti e non va a Gerusalemme.

"E' la coppa del mondo all'ipocrisia"

di Giulio Meotti

ROMA - Con la cancellazione dell'amichevole fra Argentina e Israele, il movimento per il boicottaggio dello stato ebraico ha ottenuto il suo scalpo più pregiato, il suo "successo più ambizioso" come lo definisce il Washington Post. "Bruciamo le maglie di Lionel Messi se va a giocare a Gerusalemme", aveva detto Jibril Rajoub, il capo della Federcalcio palestinese. Le minacce ("anche di morte" ha detto Messi) hanno funzionato. Ma la stampa argentina castiga la Nazionale. Sul quotidiano Clarìn, il giornalista Miguel Winazki ha detto che è il momento di "sollevare la Coppa del Mondo dell'ipocrisia". Per essere coerente nella decisione di evitare controversie all'estero, ha scritto Winazki, la Nazionale "non dovrebbe giocare in Russia, perché il Cremlino è dietro la decisione di lanciare incursioni militari in Siria". Non dovrebbe giocare contro la Spagna, "per le sue enclave coloniali a Ceuta e Melilla". Winazki ha una soluzione: "Aboliamo il calcio, diventiamo un faro morale e innalziamo la Coppa del Mondo dell'ipocrisia". Messi, ha notato lo scrittore Daniel Lagares, vive a Barcellona, dove solo l'anno scorso 13 persone sono state uccise in un attacco dell'Isis. Altri membri della squadra argentina giocano in Inghilterra "dove c'è stato un attacco sul ponte di Londra", e a Parigi, dove lo Stade de France era uno degli obiettivi degli attacchi del 2015. "Ora sono stati avvertiti che Gerusalemme è pericolosa. Ma è più pericolosa di altre città?" si chiede Lagares. Difficile credere che le "minacce" fossero talmente serie da spingere una nazionale a boicottare un altro paese e a scatenare una crisi politica con telefonate fra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente argentino Mauricio Macri. Anche se è vero che Buenos Aires nel 1992 fu teatro di due spaventosi attentati terroristici contro la comunità ebraica e l'ambasciata israeliana (la matrice era iraniana con Hezbollah a fare da tramite). Ma la spiegazione, forse, è più banale: il vile denaro. Uno dei principali finanziatori del boicottaggio di Israele è il Qatar, che è anche uno dei primi sponsor di Hamas a Gaza. Il Qatar nel 2022 ospiterà i Mondiali di calcio e, come farebbe giustamente notare Winazki, in quel caso l'Argentina ci sarà, anche se Doha è una satrapia islamista dove gli operai (tutti stranieri) impiegati nella costruzione degli stadi da calcio sono trattati come schiavi. Israele è soltanto l'ottava destinazione mediorientale delle esportazioni argentine, dopo Qatar, Iran, Turchia, Iraq, Arabia Saudita, Yemen ed Emirati Arabi Uniti. E col Qatar, l'Argentina ha appena stretto uno dei più copiosi patti economici nella storia del paese sudamericano. La Qatar Petroleum, il più grande fornitore al mondo di gas naturale liquido, il 3 giugno ha acquistato il trenta per cento della Exxon Argentina. E lo stesso Lionel Messi è la star del Barcellona, il cui sponsor guarda caso era la Qatar Airways. Si vendono più maglie a un miliardo di musulmani che a diciassette milioni di ebrei.

(Il Foglio, 7 giugno 2018)


Israele non è la Svizzera

Lettera al settimanale del Corriere della Sera 7

L'analisi di Paolo Lepri su 7 ("Israele-Palestina. Quando la diplomazia perde la strada", 24 maggio) a proposito del futuro politico di Israele e dei Palestinesi è stimolante ma suscita alcune perplessità. Innanzitutto, nel lavoro di grandi scrittori come Abraham B. Yehoshua va distinto il ruolo del letterato da quello dell'analista politico. Se per il primo A.B.Y. suscita ammirazione, sul secondo ha già fatto in passato qualche passo falso, per esempio negando valore all'esperienza degli ebrei della diaspora e definendoli come irrilevanti rispetto agli Israeliani. L'idea di uno Stato confederale Israele-Palestina mi pare che sia una stravagante provocazione intellettuale oppure che esprima una posizione sostanzialmente anti-israeliana, ossia contraria all'autodeterminazione del popolo ebraico (sempre nei limiti del diritto internazionale). Lo Stato federale (o confederale) non può esistere se non prevale il consenso su almeno un principio fondamentale: la necessità esistenziale suprema di vivere insieme. Questo manca totalmente nel nostro caso. E poi al centro del logo con la stella di David, sullo sfondo rosso andava messa non la croce della Svizzera bensì la mezzaluna della Turchia. Tanto per capire meglio che tipo di pluralismo e di fioritura culturale ci si possa attendere da questo artificioso innesto. Meglio due Stati per due popoli.
Sergio Della Pergola



Gentile professor Della Pergola, la proposta avanzata da Abraham Yehoshua di «una partnership israelo-palestinese che dovrebbe portare ad una confederazione basata sul modello dei cantoni» ha un fascino irrazionale che possiedono le idee nuove quando il senso di disperazione contagia anche gli uomini di buona volontà. Ma ho sostenuto d'altra parte che «l'ingegneria costituzionale appare enormemente lontana» da questi luoghi che tanto amiamo. Il mio, insomma, è uno scetticismo temperato dal rispetto che merita questo grande scrittore. Certo, meglio «due Stati per due popoli». Ci abbiamo sempre creduto, da tempo ho smesso di crederci. Ma sarei felice che diverse leadership, in Israele e nell'Autorità Nazionale Palestinese, mi convincessero con gesti concreti che sto sbagliando.
Paolo Lepri

(7 - Sette, 7 giugno 2018)


Ecco come funziona Iron Dome, il sistema antimissile di Israele

di Paolo Mauri

 
Batteria del sistema antimissile israeliano Iron Dome
 
Missile Tamir
Iron Dome, la "cupola di ferro". Si chiama così il sistema antimissile che protegge Israele da tutta una serie di minacce balistiche che vanno dai colpi di artiglieria sino ai razzi. L'esigenza di Tel Aviv di dotarsi di un sistema di difesa di questo tipo nasce durante la cosiddetta Seconda Guerra del Libano, nel 2006.
  In quella circostanza sono stati lanciati circa 4 mila razzi, del tipo Katyusha a corto raggio, su Haifa e sulla regione settentrionale di Israele causando 44 morti e l'evacuazione di 250 mila abitanti. Tra il 2000 ed il 2008 si calcola che un totale di 4 mila proietti di mortaio e altrettanti razzi "Qassam" siano stati sparati da Gaza sul sud dello Stato ebraico, e, dato il miglioramento del raggio d'azione dei "Qassam", circa un milione di persone si è venuta a trovare a portata di tiro.
  Per questo il governo di Tel Aviv - per iniziativa del Ministero della Difesa - ha deciso, a febbraio del 2007, di sviluppare un sistema mobile di difesa aerea.
  Iron Dome è stato sviluppato dalla Rafael Advanced Defense Systems e dalla Iai (Israel Aerospace Industries) con la successiva partecipazione dell'americana Raytheon che dal marzo del 2014 si occupa del processo di sviluppo del vettore da intercettazione "Tamir", come clausola per avere la possibilità da parte di Israele di accedere a fondi Usa. Tali fondi ammontano globalmente a 1,4 miliardi di dollari nel periodo che va dall'anno fiscale 2011 sino al 2016 e coprono attualmente il 55% dello sviluppo e manifattura dei componenti del sistema da difesa aerea.

 I primi sviluppi di Iron Dome
  Iron Dome è stato testato con successo per la prima volta nel marzo del 2009, sebbene in quella occasione il vettore non abbia intercettato alcun tipo di razzo o missile, cosa che poi è avvenuta nel test successivo risalente al luglio dello stesso anno.
  Il primo battaglione ad essere dotato del nuovo sistema di difesa è diventato operativo nell'agosto del 2009 entrando a far parte della Iaf (Israeli Air Force). Al gennaio del 2010 risale il primo test in cui Iron Dome ha intercettato con successo un lancio multiplo di razzi che simulavano i "Qassam" e i Katyusha.
  Il test finale, in cui il sistema ha intercettato esclusivamente quei razzi che rappresentavano una minaccia - determinando così la reale efficienza del meccanismo di discriminazione - risale al luglio del 2010.
  Iron Dome è entrato definitivamente in servizio nel marzo del 2011 e, secondo le stime ufficiali, è in grado di intercettare tra il 75 ed il 95% delle minacce balistiche, rendendolo molto più preciso di altri sistemi da difesa aerea come il "Patriot", che pure fa parte dello scudo antimissile di Israele.
  Ad oggi Iron Dome risulta il sistema più messo alla prova al mondo, con centinaia di colpi di artiglieria e missili intercettati. Solo nel 2015, secondo fonti israeliane, sono stati 1500 i razzi lanciati dai militanti palestinesi colpiti e abbattuti.
  Tra il 2012 ed il 2014 Israele ha provveduto a migliorare il sistema di fuoco e di tracciamento aumentando nel contempo il numero di batterie dispiegate che sono passate da cinque a dieci.

 In cosa consiste Iron Dome?
  Iron Dome è formato da tre elementi fondamentali: un radar di scoperta e tracciamento, un sistema di controllo del fuoco e gestione della situazione di combattimento (Bmc) ed una unità di lancio missili (Mfu).
  Una batteria di Iron Dome consiste di tre/quattro lanciatori fissi trasportabili su camion ciascuno dei quali dotato di 20 missili "Tamir" associati ad un radar sviluppato dalla israeliana Elta. Recentemente Israele si è dotato della versione migliorata del radar AN/TPY-2 operante in banda X, lo stesso usato dal sistema Abm americano Thaad integrabile nel sistema Iron Dome. Ogni batteria può coprire un'area di approssimativamente 150 km quadrati con un raggio di azione compreso tra i 4 ed i 70 kilometri.
  Tutti i componenti sono semimobili e trasportabili come carichi pallettizzati quindi una batteria può, secondo le necessità, essere smontata e riposizionata ove più necessario, ma sembrerebbe che ci sia la possibilità che siano utilizzati anche mentre sono su camion.
  Il sistema di gestione della situazione di combattimento calcola il punto di intercettazione delle possibili minacce e provvede a dare il via al lancio dei missili "Tamir" ed è l'unica componente ad essere gestita da personale. Dopo la scoperta e l'identificazione del razzo o proietto, il radar di Iron Dome ne monitora la traiettoria e grazie ad un particolare algoritmo il sistema Bmc ne calcola la proiezione per stabilire il punto di impatto del vettore di intercettazione solo se viene identificato come una reale minaccia.
  Iron Dome ha caratteristiche ognitempo e può operare sia di giorno sia di notte, ed è stato pensato per funzionare nelle particolari condizioni ambientali che caratterizzano lo Stato di Israele incluse nuvole basse, nebbia o tempeste di sabbia.
  Il missile "Tamir", cuore del sistema, è lungo tre metri ed ha una circonferenza di 160 millimetri per un peso di circa 90 kilogrammi. È equipaggiato con un sensore elettro-ottico e ha alette stabilizzatrici mobili in grado di dargli un buon grado di possibilità di cambiare la traiettoria di volo. La testata di guerra, esplosiva, viene innescata da un sensore di prossimità.
  Secondo alcune fonti il costo unitario di un "Tamir" oscilla tra i 20 mila ed i 50 mila dollari, mentre una batteria completa di Iron Dome verrebbe a costare tra i 50 ed i 100 milioni di dollari.
  Iron Dome fa parte del sistema da difesa area multistrato lavorando di concerto con i "Patriot", e coi sistemi Arrow-2 e 3 e David's Sling ed Iron Beam pensato per poter intercettare i più insidiosi proietti di mortaio.

 Le controversie sull'efficacia di Iron Dome
  Secondo i mass media americani ed israeliani Iron Dome rappresenterebbe, col suo rateo di intercettazioni pari al 90%, il più efficace sistema difensivo antimissile/antirazzo al mondo.
  A contraddire questa tesi, che si potrebbe definire di propaganda, si è però levata la voce di Ted Postol, esperto di difesa missilistica del Mit (Massachusetts Institute of Technology), che sostiene che Iron Dome avrebbe una reale efficacia pari solo al 5%. In un suo rapporto ha infatti analizzato le scie - e quindi le caratteristiche di volo - dei missili "Tamir" unitamente alle caratteristiche degli stessi (spoletta e testata di guerra) stabilendo che per neutralizzare un razzo in arrivo Iron Dome deve colpirne la testata e non semplicemente danneggiare la parte dedicata alla propulsione, quindi avere un profilo di intercettazione di tipo frontale.
  I diagrammi forniti da Postol nel suo rapporto, prodotti analizzando i lanci effettuati durante l'offensiva del 2012, dimostrano che l'impatto frontale è avvenuto solo nel 10 - 20% dei casi, fattore che, unito alla probabilità di distruzione che si aggira intorno allo 0,3/0,6, ne abbassa il rateo di abbattimenti al 6/12% o anche meno.
  Controversie simili sono già emerse in passato in merito al "successo" dei missili "Patriot" utilizzati da Israele e dagli Usa durante la Prima Guerra del Golfo nel 1990/91. In quella occasione al "Patriot" veniva assegnata una precisione pari all'80% ma studi successivi ne abbassarono via via il valore portandolo addirittura al 9%.
  Perché quindi Iron Dome viene propagandato come (quasi) infallibile? Il merito è ascrivibile principalmente a due fattori. Il primo è la particolare natura dei razzi "Qassam" e Katyusha che non hanno una precisione tale da essere adatti ad un attacco di tipo puntuale e soprattutto non sono mai stati usati in attacchi di saturazione d'area. Il secondo è ascrivibile all'efficacia del sistema di difesa civile israeliano che ha permesso di limitare di molto il numero di morti proprio per merito dei numerosi rifugi presenti sul territorio e del tempestivo allarme lanciato alla popolazione civile.

(il Giornale, 7 giugno 2018)


Le vernici speciali del Colorificio Zetagì passano in mani israeliane

L'azienda vicentina ha fornito i materiali per grandi opere come lo Juventus Stadium, la Torre Diamante a Milano o le stazioni di Afragola (Napoli) progettata dall'archistar Zaha Hadid, recentemente scomparsa, Torino Porta Susa e Roma Tiburtina.

di Eugenio Occorsio

ROMA - Un altro segmento del made in Italy, piccolo ma di prestigio, passa di mano. Per la verità, la proprietà era già straniera (un fondo scozzese), e ora è una società israeliana a rilevare il Colorificio Zetagì, con sede a Olmo di Creazzo (Vicenza). La società israeliana è la Tambour di Tel Aviv. L'importo dell'operazione non è stato reso pubblico, è stato invece reso pubblico il riconoscimento alla capacità italiana di know-how in un settore particolare ed estremamente sofisticato. Il Colorificio fu fondato nel 1957 e nel corso degli anni si è allargato acquisendo una serie di altri marchi del settore. Tra questi, nel 2011, la storica azienda Veneziani, la più antica nel settore delle vernici anticorrosive e navali, fondata nel 1863.
Le vernici speciali Zetagì sono state utilizzate nella costruzione di piattaforme marine e di grandi opere tra cui lo Juventus Stadium, la Torre Diamante a Milano, l'avveniristica stazione per l'alta velocità ad Afragola (Napoli) progettata dall'archistar Zaha Hadid, recentemente scomparsa, e infine le nuove stazioni di Torino Porta Susa e Roma Tiburtina. Attualmente l'azienda vicentina occupa 56 dipendenti e fattura circa 15 milioni di euro.

(la Repubblica, 7 giugno 2018)


Gli amici di Israele

di Emanuel Segre Amar

Al Consiglio di Sicurezza di New York, risoluzione dopo risoluzione, si vede chi è amico di Israele, e chi amico non è, pur tra diverse sfumature.
Il Kuwait ha cercato di far condannare Israele per i noti scontri avvenuti sul confine di Gaza, e la risoluzione non è passata solo grazie al veto frapposto dagli USA di Trump e di Nikki Haley. Grave il voto della Francia in favore della condanna di Israele, e altrettanto grave l'astensione di paesi come l'Inghilterra e la Svezia. La nostra Italia, nel recente passato responsabile di vergognosi voti, si è salvata per non essere più membro del Consiglio di Sicurezza, ma in futuro dovremo seguirne con attenzione le nuove posizioni in occasione dei voti alle Nazioni Unite.
Nello stesso giorno gli USA hanno presentato una seconda risoluzione volta a far condannare Hamas per le sue responsabilità negli scontri delle scorse settimane, ma nessuno Stato ha votato con loro, mentre, tra gli altri, Francia, Inghilterra e Svezia si sono astenute. Posizione di inspiegabile equidistanza o piuttosto vergognosa dipendenza, del genere della Nostra Bandiera sempre sventolante, or qua, or là?

(moked, 6 giugno 2018)


Netanyahu è in vantaggio nel duello europeo con Khamenei

Ora l'Iran ricomincia ad arricchire uranio e mette pressione agli europei. Israele mostra un memorandum segreto iraniano per un passaggio rapido dal 20 al 90 per cento dell'arricchimento dell'uranio.

 
MILANO - Il processo per aumentare la capacità di arricchimento dell'uranio è stato avviato, la Repubblica islamica d'Iran ha notificato all'Agenzia atomica dell'Onu la decisione; a Natanz i lavori sono già cominciati. La Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ha annunciato che il suo paese è pronto, le centrifughe inizieranno a operare a ritmi e capacità aumentati se l'accordo internazionale sul nucleare dovesse collassare - cioè se gli europei non riusciranno a mantenerlo in vita nonostante l'uscita degli Stati Uniti. Il direttore dell'Agenzia atomica iraniana, Akbar Salehi, ha precisato in conferenza stampa che Teheran è ancora dentro i parametri stabiliti dall'accordo siglato nel 2015, "se continuassimo in modo normale" ad arricchire uranio, ha detto, "ci avremmo messo sei o sette anni ad arrivare a un risultato che ora potremo raggiungere in pochi mesi". Come questa accelerazione possa essere tecnicamente compatibile con gli standard negoziati è tutto da verificare, ma il fatto che in poche settimane i ritmi siano cambiati così tanto e così in fretta giustifica le preoccupazioni di Benjamin Netanyahu, premier israeliano in questi giorni in tour in Europa, per convincere gli alleati a non dare credito agli ayatollah: di loro non ci si può fidare.
  L'accordo del 2015, siglato da Iran, Stati Uniti (che si sono ritirati proponendo un altro negoziato con precondizioni che sono state annunciate dal segretario di stato americano, Mike Pompeo, e rifiutate dal regime iraniano), Germania, Francia, Regno Unito, con l'approvazione di Russia e Cina, prevede che l'arricchimento dell'uranio si fermi sotto a un limite del 5 per cento, e la Guida suprema Khamenei sostiene che il programma è ancora dentro a questo parametro. Ma, avverte, la pazienza dell'Iran non è eterna: "Gli europei si aspettano che la nazione iraniana tolleri e lotti con le sanzioni mentre abbandona le sue ambizioni nucleari, che sono un requisito assoluto per il futuro del nostro paese. Dirò a questi governi che questo brutto sogno non si avvererà". Lo scorso mese, Khamenei aveva posto agli europei sei condizioni per far sopravvivere l'accordo, che comprendono l'esclusione da ogni negoziato delle capacità balistiche dell'Iran, la continuazione dei contratti sulla vendita di petrolio (con compensazione delle eventuali perdite) e delle linee di finanziamento fornite dalle banche europee. Tuttavia l'Amministrazione Trump non soltanto ha reintrodotto le sanzioni che erano state sospese in seguito all'accordo, ma ne ha aggiunte altre - colpendo soprattutto le attività gestite delle Guardie della rivoluzione-e soprattutto ha minacciato di sanzionare anche imprese e istituti finanziari europei che continuano a operare con l'Iran.
  All'annuncio di una ripresa dell'arricchimento dell'uranio, Netanyahu ha risposto dicendo: questo è un attacco diretto a Israele, non siamo sorpresi, ma non permetteremo che la Repubblica islamica ottenga l'arma nucleare. Netanyahu è in Europa per convincere i firmatari dell'accordo a non mantenerlo più in piedi, mentre molte aziende - l'ultima è la casa automobilistica francese Psa - devono rivedere i loro contratti in Iran perché temono di non poter sostenere le misure sanzionatorie in arrivo dagli Stati Uniti. Netanyahu ha presentato agli europei molti documenti redatti dall'intelligence che dimostrano le attività nucleari dell'Iran, in particolare un memorandum del 2001 che parlava di un passaggio rapido dal 20 al 90 per cento dell'arricchimento - è un grado militare - firmato da Amir Daryaban Ali Shamkhami, che oggi è il consigliere per la Sicurezza nazionale di Teheran e uno dei più importanti consiglieri militari di Khamenei. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha detto che continuerà a tentare di mantenere in essere l'accordo con l'Iran, ma ha convenuto con Netanyahu sul fatto che le attività di destabilizzazione iraniane nella regione devono essere fermate - soprattutto in Siria, dove la minaccia per Israele è ravvicinata (e da dove arrivano, ha ricordato il premier israeliano, i rifugiati che stanno spezzando le alleanze europee). Anche nell'incontro con Emmanuel Macron, presidente francese, la discussione è stata simile: gli europei vogliono tenere in vita l'accordo, ma tra sanzioni americane e minacce iraniane, le chance di riuscita sono minime.

(Il Foglio, 6 giugno 2018)


Israele: forse è arrivato il momento di colpire la dirigenza di Hamas

E' inconcepibile come Israele rimanga sostanzialmente immobile di fronte alla ondata di aquiloni incendiari che stanno devastando il territorio israeliano con gravissimi danni alle colture e all'ambiente

In Israele stanno montando le critiche verso il Governo del premier Benjamin Netanyahu. Da giorni i terroristi di Hamas stanno scatenando un vero e proprio inferno nel sud del Paese attraverso l'uso di aquiloni incendiari ma il Governo sembra rimanere sostanzialmente immobile.
Qualcuno, come l'editorialista di Yedioth Ahronoth, Daniel Friedmann, sostiene che fino ad oggi la risposta di Israele è stata troppo blanda. L'IDF ha bombardato diversi obiettivi di Hamas come ritorsione per gli attacchi missilistici, ma non un solo terrorista di Hamas è stato colpito nei raid. Nessuna ritorsione invece per i devastanti aquiloni incendiari....

(Rights Reporters, 6 giugno 2018)


Quelle buche scavate nel cimitero a Damasco. Contenevano i resti di tre soldati israeliani?

Spariti dal 1982. I gruppi jihadisti in fuga «volevano rendere le spoglie al Mossad». I genitori hanno accusato il governo di essersi disinteressato del caso

di Davide Frattini

GERUSALEMME - Per quasi tre anni solo i morti sono potuti entrare in questi due chilometri quadrati di macerie, ai vivi non era concesso uscire. Il cimitero del campo Yarmouk ha continuato ad accogliere i rifugiati palestinesi che avevano chiesto di essere seppelliti nella loro casa in Siria, anche quando i soldati di Bashar Assad non lasciavano passare nient'altro, neppure il cibo per i civili rimasti intrappolati tra il dominio crudele dello Stato Islamico e la fame imposta dall'assedio.
   Sono chiamate le «tombe dei martiri» perché negli anni Settanta e Ottanta qui venivano interrati i miliziani di gruppi come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina caduti negli scontri con gli israeliani. Sono diventate le tombe del mistero da quando l'esercito ha ripreso il controllo di Ya.rmouk e ha scoperto che le fosse sono state tutte scavate, nuovi buchi per provare a riempire un buco nel passato.
   Gli ufficiali siriani e i capi del Fronte popolare sono convinti che gli uomini del Califfato e gli islamisti del Fronte Al Nusra abbiano cercato di recuperare i resti di tre soldati israeliani dispersi dal 12 giugno del 1982, dalla battaglia di Sultan Yaqoub. Che Damasco ancora celebra come una vittoria, mentre lo Stato ebraico commemora un giorno di dolore, i militari uccisi sono stati trenta.
   «Una donna è stata fermata perché cercava di portar via alcuni sacchi pieni di terriccio», dice Anwar Raja, tra i leader del Fronte popolare che godono della protezione e dell'ospitalità di Assad. Ne fa una teoria della cospirazione a uso della propaganda: i fondamentalisti sarebbero al servizio del Mossad - «alleati», forza le ipotesi Raja -, gli agenti segreti israeliani da trentasei anni in cerca di informazioni sui tre carristi Zachary Baumel, Yehuda Katz e Zvi Feldman. Il loro tank è stato centrato da un colpo di artiglieria, i corpi non sono mai stati ritrovati, ufficialmente per lo Stato Maggiore restano needarim, scomparsi in azione durante quella prima guerra del Libano in cui sono intervenuti anche i siriani.
   Yona, il padre di Baumel, è stato certo fino alla morte nel 2009 che il figlio fosse tenuto prigioniero. Assieme alla moglie Miriam ogni 17 novembre festeggiava il compleanno di Zachary, oggi avrebbe 57 anni, ne aveva 21 quando è sparito nella valle libanese a pochi chilometri dal confine con la Siria. Yona sosteneva di aver raccolto le prove per dimostrare che fosse sopravvissuto: le lettere di un libro recuperato attraverso un informatore a Damasco sarebbero state segnate per formare il nome Zac Baumel assieme alle frasi «Io ho speranza» e «Aiutatemi».
   I genitori di Zachary e dei commilitoni hanno accusato il governo e l'esercito di disinteressarsi al caso, di non aver cercato di arrivare a una mediazione per riportare a casa almeno i corpi - se fossero ormai morti -, soprattutto dopo che altri due militari, catturati lo stesso giorno del 1982, erano stati liberati in uno scambio con il Fronte popolare. Il premier Benjamin Netanyahu due anni fa ha ricevuto in dono da Vladimir Putin quello che avrebbe dovuto essere il carrarmato di Baumel, Katz e Feldman, consegnato dai siriani agli allora alleati sovietici: gli esperti hanno negato che fosse lo stesso mezzo perché era intatto e con un codice di fabbrica diverso. I parenti si sono sentiti usati per giochi politici e presi in giro dal primo ministro che aveva annunciato: «Non hanno una tomba dove pregare, adesso potranno visitare questo tank».
   Qualsiasi israeliano ricorda il nome di Ron Arad, il pilota dell'aviazione scomparso dopo essersi lanciato dal jet sopra al Libano nel 1986, «mentre per questi tre non ci sono mai state campagne pubbliche perché fossero ritrovati», ha commentato Efraim Inbar, docente di Studi strategici, alla rivista digitale Times of Israel. «E come se fossero stati inghiottiti dal terreno».

(Corriere della Sera, 6 giugno 2018)


Tel Aviv inaugura il museo sulla natura

Tel Aviv inaugura il suo museo di storia naturale da 40 milioni di dollari, tra i suoi pezzi anche animali scomparsi da tempo in Medio Oriente. La sua missione recuperare il nostro spirito naturale ricordandoci che siamo un tutt'uno con madre natura .
Come dice il suo direttore, Alon Sapan, "Vogliamo che il nostro pubblico comprenda l'importanza della diversità delle specie e quali sono i problemi che affrontiamo quando questa diversità è danneggiata a causa dello sviluppo umano. Vogliamo creare questa consapevolezza attraverso un approccio parzialmente sentimentale, emotivo e anche logico, così saremo in grado di costruire il nostro futuro e quello dei nostri figli in un modo molto migliore ed equilibrato ".
L'idea del museo nasce nel 1961, nove le aree espositive distribuite in oltre 9.000 quadrati e cinque piani. Il museo comprende anche 12 laboratori di ricerca.

(euronews, 5 giugno 2018)


Sventato un attentato a Netanyahu"

di Marco Paganelli

Lo Shin Bet ha annunciato di avere sventato un attentato contro il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat e il primo ministro Benjamin Netanyahu.
Una cellula terroristica, guidata da "un operativo dalla Siria", era pronta infatti a colpire e sono stati arrestati, pertanto, tre membri del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Uno dei sospettati, secondo quanto si è appreso da fonti della sicurezza interna, è il trentenne Muhammad Jamal Rashad, residente nel campo profughi di Shuafat, situato nella parte orientale della Città santa. Il giovane era stato incarcerato in passato per alcune attività legate all'estremismo e avrebbe pianificato recentemente di introdurre, nel paese mediorientale, dalla Giordania il commando jhadista incaricato di agire. Tutto ciò rappresenta l'ennesimo segnale dell'elevata tensione, in tutta la regione mediorientale, a causa dei ripetuti scontri tra l'esercito di Tel Aviv e i militanti della Striscia di Gaza e per le ostilità sempre più frequenti, tra le autorità israeliane e il regime del rais di Damasco Bashar al-Assad, a causa di continui raid aerei contro l'esercito di quest'ultimo.

(Agenzia Stampa Italia, 5 giugno 2018)


In Siria si negozia per stabilizzare i diversi fronti

Negoziati a tutto campo coinvolgono in questi giorni tutti i protagonisti, interni ed internazionali, della crisi siriana con l'obiettivo di dare una parvenza di stabilità alle diverse aree dello Stato arabo.

Nel sud ovest siriano l'esercito di Bashar Assad è pronto a far scattare un'offensiva per strappare ai ribelli i territori lungo il confine israeliano e giordano: Russia, Stati Uniti, Giordania e Israele stanno negoziando un'intesa che preveda il ritiro delle forze iraniane ed Hezbollah libanesi che affiancano le truppe di Assad da quella regione della Siria a ridosso delle Alture del Golan e del confine giordano, in cambio dello smantellamento delle forze anti-governative addestrate in questi anni in Giordania da consiglieri militari.
Il raggiungimento dell'accordo consentirebbe ad Assad di riprendere il controllo di una porzione strategica del territorio nazionale garantendo Israele che forze di Teheran e degli alleati Hezbollah non stazioneranno a ridosso del Golan.
Il 26 maggio gli Stati Uniti avevano avvertito il regime siriano di essere pronti ad adottare "misure decise ed appropriate" per impedire un'eventuale offensiva contro le forze ribelli nel sud della Siria.

 Intesa nel sud ovest
  I termini dell'accordo sarebbero già stati approvati da Mosca e Washington con l'avallo di Amman e dello Stato ebraico mentre il quotidiano panarabo-saudita al Hayat afferma che la Giordania e gli Stati Uniti, che hanno influenza sulle milizie siriane anti-governative nelle regioni di Daraa e Quneitra, sono pronte a fare pressioni perché queste forze si arrendano di fronte all'avanzata delle forze governative siriane.
La Russia, alleata di Israele e dell'Iran, sta lavorando alla definizione di questo complesso accordo, scriveva il 30 maggio il quotidiano.
"Soltanto le forze di Damasco devono rimanere al confine della Siria con Israele" ha detto il 28 maggio il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, escludendo quindi che nella parte meridionale della Siria possano venire dispiegate forze iraniane.
Le sue dichiarazioni, durante una conferenza stampa a Mosca citata dalla Tass, confermano anticipazioni pubblicate da Haaretz. Secondo il quotidiano, che cita fonti israeliane, i russi vogliono un significativo allontanamento delle forze iraniane, e delle milizie sciite loro alleate, dal confine meridionale della Siria.
Il cambiamento nella posizione russa, si legge, è dovuto al timore che nuovi attacchi militari israeliani contro postazioni iraniane in Siria finiscano per minacciare la stabilità del regime di Bashar al Assad.
Oggi fonti siriane sul posto sentite dall'agenzi di stampa Aki-Adnkronos International hanno rivelato che le milizie iraniane fedeli a Teheran hanno iniziato a ritirarsi dalle loro posizioni nel sud della Siria con colonne di veicoli in marcia dalle loro posizioni verso il nord di Daraa.

 Gli iraniani fanno un passo indietro
  Stando a queste fonti, il ritiro di queste forze, iniziato sabato, sarebbe il frutto delle condizioni poste da Stati Uniti e Israele nel quadro dell'"accordo sulle zone di de-escalation nel sud della Siria, ma le fazioni armate fedeli all'Esercito Siriano Libero (ESL) nel sud, affermano che le milizie si stanno trasferendo nelle caserme del regime dove stanno sostituendo mezzi e uniformi con quelle dell'esercito regolare di Assad per poi tornare a sud, sottolineando che ai checkpoint stanno facilitando il loro transito.
L'Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus, ong vicina ai ribelli anti-Assad sostenuti dagli anglo-americani), senza citare le proprie fonti, ha fatto sapere che Damasco intenderebbe "sciogliere i gruppi paramilitari fedeli alle forze governative e quelli addestrati e finanziati dall'Iran".
L'Ondus conferma però che le forze fedeli all'Iran stanno ritirando i loro miliziani dal triangolo Daraa-Quneitra-Rif, a sud ovest di Damasco aggiungendo che "elementi di nazionalità non siriana sono stati integrati nelle forze del regime, mentre le forze della Quarta divisione sono arrivate nelle regioni che Damasco ha minacciato di attaccare nel sud, probabilmente per dispiegarsi lungo il confine con il Golan occupato e con la Giordania".
L'accordo sembra prevedere che le forze dell'opposizione siriana restino presenti nelle aree tornate sotto l'amministrazione di Damasco dove però non entreranno le truppe di Assad, creando così una sorta di zona cuscinetto non sottratta alla giurisdizione siriana ma priva di truppe governative lungo i confini con Israele e Giordania.
Secondo l'intelligence israeliana, riferisce il quotidiano Haaretz, in Siria vi sono al momento 2mila militari iraniani, compresi consiglieri militari e membri delle Guardie della Rivoluzione. A loro si aggiungono 9mila miliziani sciiti provenienti da Afghanistan, Pakistan e Iraq, oltre a 7mila combattenti della milizia sciita libanese degli Hezbollah.
Il ministro degli Esteri siriano Walid Muallem ha legato ieri la partecipazione di Damasco ai negoziati al ritiro americano da un'altra regione, situata più a est lungo la frontiera con Iraq e Giordania. Da settimane l'esercito siriano invia delle truppe di rinforzo nel sud per rafforzare le forze in vista di un'eventuale operazione militare che punti a cacciare le forze ribelli che controllano il 70 per cento circa delle province meridionali di Deraa e Quneitra.
"Non credete a tutti i discorsi che prospettino un accordo sul Sud finché gli Stati uniti non avranno ritirato le loro forze dalla base di al Tanaf", ha affermato il capo della diplomazia siriana. La Coalizione a guida Usa mantiene quella base ufficialmente per lanciare operazioni contro l'Isis, ma vi ha anche addestrato ribelli siriani anti-Assad e negli ultimi mesi ha lanciato da lì in più occasioni attacchi contro le forze siriane e le milizie loro alleate.
Secondo Muallem il regime, che controlla più del 60 per cento del territorio siriano, favorirà la definizione della sorte del sud con "accordi di riconciliazione" e "si agirà quando arriverà il momento se questa via si rivelerà conclusiva".
Il 31 maggio Assad ha però smentito nuovamente che ci siano truppe iraniane in Siria. "Non abbiamo truppe iraniane. Non le abbiamo mai avute e non possiamo nasconderle. Non avremmo problemi ad ammettere la loro presenza, così come abbiamo invitato i russi, avremmo potuto invitare gli iraniani".
Assad ammette che ci sono ufficiali iraniani "che lavorano con l'esercito siriano e che offrono un aiuto" e circa i recenti attacchi aerei attribuiti a Israele contro presunte basi iraniane in Siria, Assad è stato categorico: "E' una bugia israeliana. Anche nel recente attacco, alcune settimane fa, hanno detto di aver attaccato basi e campi iraniani… ci sono state decine di martiri siriani e soldati feriti, ma nessun iraniano".

 Le prospettive nella Siria Orientale
  Delicata anche la situazione nel nord est della Siria dove Bashar Assad non ha escluso si possa aprire un fronte di guerra contro le milizie curdo-siriane delle Forze Democratiche Siriane (FDS) sostenute dagli Stati Uniti e che controllano una vasta area tra il confine turco, l'estremo est del Paese e la provincia di Deir Ezzor fino al confine con l'Iraq. Terre strappate in gran parte al controllo dello Stato Islamico ma con l'obiettivo di interrompere la continuità della cosiddetta "mezzaluna scita", l'asse strategico che unisce l'Iran a Iraq e Siria fono a raggiungere le coste del Mediterraneo nel Libano meridionale controllato da Hezbollah.
In un'intervista rilasciata nei giorni scorsi alla tv Russia Today, Assad afferma che sul tavolo ci sono due opzioni per l'est siriano: una negoziale e una militare. Secondo Assad, per ora sono in corso negoziati con le forze curdo-siriane. In caso di fallimento delle trattative, "libereremo la zona con la forza".
E circa la presenza militare degli Stati Uniti, Assad ha aggiunto: "Faremo questo con o senza gli americani… che comunque devono andarsene. E se ne andranno".
In questo settore 4 soldati russi sono stati uccisi dai ribelli il 26 maggio. Lo ha annunciato il giorno successivo il ministero della Difesa di Mosca, citato dall'agenzia stampa Tass e dai media arabi.
I quattro soldati, definiti "consiglieri militari", sono stati uccisi nella provincia orientale di Deir al Zour, dove diversi miliziani ribelli hanno attaccato una batteria d'artiglieria del governo siriano di Bashar al Assad.
"Due consiglieri militari russi, che controllavano il fuoco della batteria siriana, sono morti sul posto", si legge in una nota del ministero della Difesa, aggiungendo che altri cinque soldati sono stati feriti e ricoverati in un ospedale militare russo. Due dei ricoverati sono morti successivamente per le ferite riportate.
Il ministero ha infine precisato che in questo scontro a fuoco "forze siriane e russe hanno partecipato e uccisi anche 43 ribelli". Diversa però è la versione fornita dalle Ong attive in Siria, secondo le quali si è trattato di un attacco dei terroristi dello Stato islamico. Secondo L'Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra, sarebbero 9 i soldati russi uccisi e 26 quelli del governo di Damasco.

 Arrivano i sauditi?
  A preoccupare Assad sono soprattutto le informazioni circa un intervento militare saudita al fianco dei curdi nei territori a est dell'Eufrate controllati dalle FDS, probabilmente nell'ottica di un ritiro a breve termine dei militari Usa già preannunciato da Donald Trump.
Consiglieri militari sauditi si sarebbero infatti incontrati per la prima volta nella Siria nord-orientale con rappresentanti delle FDS, secondo la tv al-Jazeera e altri media panarabi, secondo cui l'incontro è avvenuto la settimana scorsa nella base militare americana di Kharab Ishaq, a sud della nota cittadina di Kobane, nel settore centrale della zona controllata dalle milizie curdo-siriane.
Secondo le fonti, l'incontro ha avuto lo scopo di coordinare gli sforzi sauditi per rafforzare le file dei combattenti siriani arabi nella lotta contro l'Isis e nel contenimento dell'espansionismo iraniano e russo a est dell'Eufrate. L'agenzia turca Anadolu, citata da al Jazira, afferma anche che ha preso il via con fondi sauditi il reclutamento di nuovi miliziani nelle città curdo-siriane di Hasaka e Qamishli. L'arrivo di forze saudite sul territorio siriano amplificherebbe il conflitto coinvolgendo direttamente gli stessi iraniani.

 L'accordo Usa-Turchia sulla pelle dei curdi
  La presenza militare statunitense in quella regione, circa 2mila uomini, non solo non è giustificata sul piano del diritto internazionale ma è aspramente criticata anche dalla Turchia che deve limitare le sue operazioni per creare una fascia di sicurezza di 50 chilometri lungo il confine con la Siria proprio a ovest del Fiume Eufrate proprio a causa delle truppe americane che affiancano i curdi.
Ankara e Washington sembrano del resto aver raggiunto un accordo per la gestione di Manbij, area di strategica importanza nel nord della Siria presidiata da truppe Usa e curde delle FDS, che a differenza di Afrin non è stata attaccata dalle truppe di Ankara proprio a causa della presenza statunitense.
L'intesa è basata su una road map da portare a termine in tre fasi. La prima fase prevede il ritiro delle milizie curde nei 30 giorni successivi la definizione dell'accordo, un'amministrazione temporanea da parte dei militari turchi e americani nei 45 giorni successivi e la formazione di un'amministrazione locale nei due mesi successivi la firma dell'accordo tra Ankara e Washington, raggiunto il 4 giugno dal ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha incontrato a Washington il segretario di Stato Mike Pompeo.

 Nuova alleanza ribelle a Idlib
  Nel Nord Ovest siriano invece 11 gruppi armati di opposizione affiliati all'ESL hanno costituito una nuova alleanza anti-Assad a Idlib, provincia controllata in gran parte dai ribelli ma assediata dalle forze di Assad. Fonti interne ai gruppi armati hanno spiegato il 29 maggio all'agenzia di stampa turca Anadolu che l'alleanza è stata chiamata Fronte Nazionale per la Liberazione e conta quasi 30mila uomini.
Ne fanno parte gruppi quali la Legione Sham, Jaysh al-Nasr, Free Idlib Army, Shuhada al-Islam Darayya e Brigata Al-Hurriyat, milizie che operano a Idlib e nella parte settentrionale della provincia di Hama. A guidare la nuova alleanza, che per forza militare è uno dei principali gruppi anti-Assad, è il comandante della Legione Sham, Fadil Allah al-Hajji, mentre Suhaib Layyush di Jaysh al-Nasr è stato nominato suo vice.

(Analisi Difesa, 5 giugno 2018)


Calcio - Annullata Argentina-Israele dopo le proteste palestinesi

L'amichevole era in programma sabato a Gerusalemme: minacce verso la squadra di Sampaoli.

L'amichevole Argentina-Israele è stata annullata. Il match era in programma sabato a Gerusalemme ma la violenta reazione dell'opinione pubblica palestinese ha spinto la Federcalcio dell'Albiceleste a cancellare il test per motivi di sicurezza come riferisce Olè.
"Sarebbe come celebrare l'anniversario dell'occupazione delle Malvinas, sarebbe un'aberrazione, una mancanza di rispetto e un'aggressione al sentimento del popolo argentino. Lo stato della Palestina è stato occupato da Israele nel 1967" aveva dichiarato Husni Abdel Wahed, ambasciatore palestinese in Argentina.
La Nazionale, in ritiro a Barcellona, sarebbe stata anche minacciata. Un gruppo di tifosi palestinesi si sarebbe avvicinato al campo di allenamento della Seleccion mostrando alcune magliette di Messi macchiate di sangue: "È doloroso vedere che la squadra, che ha l'amore e il sostegno di tanti cittadini palestinesi e arabi, partecipa alla violazione del diritto internazionale".
A tirare in ballo il fuoriclasse era stato il presidente della Federazione palestinese Jibril Rajoub: "Leo è un simbolo di pace e amore, gli chiediamo di non partecipare ai crimini dell'occupazione israeliana. Il governo israeliano sta cercando di dare una portata politica ad un evento sportivo insistendo sul fatto che si giocherà a Gerusalemme. Messi ha molti milioni di fan nei Paesi arabi e musulmani: se scenderà in campo, chiediamo a tutti di bruciare le sue magliette e i suoi poster".

(PremiumSportHD, 5 giugno 2018)


Khamenei: "pronti a riprendere l'arricchimento dell'uranio"

di Cinzia Rizzi
E' ripreso questo martedì il processo di arricchimento dell'uranio in Iran. La guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ha informato l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, che sono iniziati i preparativi per riprendere la produzione di uranio arricchito. Un avvertimento agli europei, dopo la decisione di Donald Trump di abbandonare l'accordo.
Intanto, dopo la visita a Berlino, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è questo martedì a Parigi, dove incontrerà il Presidente francese, Emmanuel Macron. Lo scopo del premier è chiaro: convincere l'Europa a seguire le orme degli Stati Uniti, facendo crollare l'intesa sul nucleare in Iran.

di Anelise Borges
"Benjamin Netanyahu sostiene che non abbia senso continuare a lottare per l'accordo, ora che gli Usa hanno fatto marcia indietro e vuole che l'Europa si concentri piuttosto sulla minaccia nucleare che l'Iran rappresenta per il mondo".

(euronews, 5 giugno 2018)


Firenze - Giardino della Sinagoga: tornano gli appuntamenti di "Balagan Cafè"

Gli eventi si terranno giovedì 7, 14, 21, 28 giugno; 5 e 26 luglio; 2 e 30 agosto, 2 settembre. Apericena dalle 19.30, conferenza alle 20.30, concerto 21.30.

 
La Sinagoga di Firenze
Anche quest'anno il Giardino della Sinagoga torna ad aprirsi alla città con la quarta stagione di Balagan Cafè che proporrà una serie di incontri, concerti e appuntamenti enogastronomici, nei giovedì sera estivi. A completare la rassegna anche due eventi collaterali "Il Balagan va in città" in cui i cinema e teatro israeliano saranno l'occasione per parlare del contemporaneo.
   Gli eventi si terranno giovedì 7, 14, 21, 28 giugno; 5 e 26 luglio; 2 e 30 agosto, 2 settembre. Apericena dalle 19.30, conferenza alle 20.30, concerto 21.30.
Il tema del Balagan Cafè 2018 è lo "Storytelling"; la comunità ebraica ha scelto di interpretarlo nel senso del racconto della vita ebraica in Italia e in Europa nel '900, attraverso la narrazione dei tanti anniversari che si celebrano nel 2018. Il titolo della rassegna di questo anno è: "18: il racconto della vita", giocando sul fatto che nella tradizione cabalistica che lega le parole ai numeri tramite l'interpretazione matematica dell'alfabeto ebraico, 18 è un numero celebre e significativo, corrispondente alla parola chai, vita.
   Gli appuntamenti partiranno dalla narrazione di grandi momenti della vita italiana ed europea legati al 2018 da un anniversario: dal 1938, anno delle leggi razziali, al 1948, anno della Costituzione italiana, e al contempo anno della nascita di Israele; ma arrivando anche al '68, e ad altri compleanni meno noti. Di seguito alcune delle tracce previste, che animeranno le serate del Balagan, consolidando ed espandendo la grande esperienza di questi anni.
   La Comunità Ebraica di Firenze uscirà anche dal giardino della Sinagoga di via Farini e si sposterà alle Murate Pac, con due incontri per parlare di teatro e cinema israeliano, aprendo così le porte a una prospettiva nuova e moderna per comprendere le dinamiche della contemporaneità.
   Parlare di teatro e di cinema israeliani significa parlare della società, della cultura, della storia e della politica di Israele.

(Firenze Today, 5 giugno 2018)


Israele, festa grande per i primi Settant'anni

di Paola Pisa

ROMA - «Auguri a Israele. Paese prospero, moderno, democratico. Che vince sfide e successi. Che ha raggiunto rapporti di pace con tanti Stati vicini», dice sul palco l'ambasciatore di Israele Ofer Sachs ricordando l'importanza dell'innovazione e salutando gli invitati al ricevimento per una ricorrenza molto importante, il 70esimo Anniversario dell'Indipendenza dello Stato di Israele. Applaudono i duemila e più ospiti che riempiono i mega saloni di un grande albergo sulla collina di Monte Mario. Tra le personalità più bersagliate da foto, saluti, selfie il Ministro degli Interni e Vice Presidente del Consiglio Matteo Salvini che dichiara «Sono sempre e sempre sarò dalla parte di Israele».

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Il saluto ufficiale viene dal Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati. Prima sullo schermo ha inviato il suo augurio il Presidente di Israele Reuven Rivlin. L'ambasciatore Sachs e la consorte Rony accolgono il Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, Ruth Dureghello Presidente della Comunità Ebraica di Roma, il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, Mara Carfagna, gli ambasciatori di Stati Uniti, di Austria, Brasile, Australia, Germania, Slovacchia, Finlandia.
   Ci sono Alessandro Profumo, Luigi Abete, il Capo del Cerimoniale della Repubblica Riccardo Guariglia. Gli inni sono cantati dai bambini, li ascoltano Beatrice Lorenzin, Furio Colombo, Luca e Daniela Zevi, Cesara Bonamici, Su cartelloni o schermi sfilano le immagini di successi tecnologici, nel campo di medicina, agricoltura, ricerca. Ecco i volti dei Nobel. Ha introdotto gli interventi Barbara Carfagna.

(Il Messaggero, 5 giugno 2018)


Wanda Lattes, voce libera. Oggi l'addio al cimitero ebraico di Firenze

Una testimone della storia, anche drammatica, del Novecento.

Si terranno oggi alle ore 16, a Firenze, al cimitero ebraico di via di Caciolle, le esequie di Wanda Lattes. La grande giornalista fiorentina è stata ricordata anche nei messaggi arrivati da istituzioni, e non solo. «Ho appreso con dolore della scomparsa di Wanda Lattes, giornalista eccellente e donna dedita da sempre all'impegno civile: a Firenze mancheranno il suo rigore e la sua voce libera - ha detto il sindaco, Dario Nardella -Alla famiglia le condoglianze dell'amministazione e della città». Per il governatore, Enrico Rossi, era «testimone della storia, anche drammatica, del Novecento, non solo una apprezzata giornalista e scrittrice. E stata una voce tra le più autorevoli nel giornalismo toscano e nazionale». «Se ne va una voce autorevole - ha dichiarato la senatrice Rosa Maria di Giorgi (Pd) - Wanda ha sempre mantenuto quella passione che ne ha fatto una figura centrale del giornalismo e della cultura del nostro Paese». Il cordoglio del mondo del giornalismo espresso dalla Associazione Stampa Toscana e dal suo presidente, Sandro Bennucci: «Wanda è stata una collega che ha onorato la professione e, con le lacrime agli occhi, siamo vicini alle figlie, Fiamma, Simona e Susanna. Ha lavorato per il Corriere della Sera e nel Corriere Fiorentino, che ha contribuito a fondare, dove è stata fino a un istante prima di spegnersi». E l'Ordine dei Giornalisti toscano, in una nota, aggiunge: «La collega Wanda Lattes è stata una delle prime giornaliste in Italia ~ firma di punta di importanti testate. E stata esempio per generazioni di giornalisti». Dall'Associazione Italia-Israele dell'Alto Adige, il presidente Alessandro Bertolfi, ha dichiarato: «Fu colpita dalle leggi razziali del 1938, partecipò alla Resistenza, è stata per decenni una delle giornaliste più apprezzate e amate. Insieme a tutte le Associazioni Italia-Israele, esprimo le più sentite condoglianze alla famiglia».

(Corriere Fiorentino, 5 giugno 2018)


Su Gaza e Israele le parole feriscono

di Anna Masera.

Anna Masera
Il modo di raccontare il conflitto israelo-palestinese è un tema che lacera da sempre il pubblico e dopo i fatti del 14 maggio scorso è tornato di attualità. Anche i lettori de La Stampa tendono a dividersi. Ho chiesto al direttore Maurizio Molinari, ex corrispondente da Gerusalemme-Ramallah, di rispondere alle domande sulla linea editoriale. Mi ha chiesto di affrontare il tema a bocce ferme per «evitare la sovrapposizione con emozioni e pregiudizi». «Il conflitto israelo-palestinese è parte del più ampio conflitto arabo-israeliano iniziato nel 1880 quando i primi gruppi di pionieri sionisti in fuga dalle persecuzioni zariste in Russia arrivano nell'allora Palestina sotto dominio ottomano e le popolazioni arabe locali li accolgono con un rifiuto simile a quello che avrebbe portato, dopo la nascita di Israele nel 1948, gli Stati arabi a scendere in guerra nel tentativo di impedirne la nascita. Da allora solo due Stati arabi - Egitto e Giordania - hanno riconosciuto l'esistenza di Israele. Il conflitto israelo-palestinese inizia nel 1947 quando gli arabi residenti nella Palestina rifiutano la spartizione del territorio decisa dall'Onu fra uno Stato ebraico e uno arabo».
   Molti lettori considerano inappropriati i termini «scontri» e «morti» per descrivere la strage di Gaza in cui sono rimasti uccisi solo palestinesi, tra cui bambini. «In Medio Oriente i fatti sono sempre in bilico, le parole feriscono e dunque serve cautela per evitare che il racconto diventi parte del conflitto. A confermarlo è la vicenda della bambina di Gaza Leila al-Ghandour di otto mesi la cui morte il 14 maggio è stata attribuita da fonti palestinesi ai lacrimogeni israeliani per poi essere smentita, il 27 maggio, dal ministero della Sanità di Hamas che ha depennato il suo nome dalla lista dei palestinesi la cui morte è attribuita ad Israele. Episodi simili non sono rari. "Scontri" è una definizione sufficientemente neutra per definire il confronto fra 40 mila palestinesi che tentano di invadere Israele violando un confine internazionale, e i soldati israeliani posti a difesa del medesimo confine».
   E' stata contestata la scelta sulla prima pagina de La Stampa del 15 maggio di mettere nello stesso titolo Gaza e Al Qaeda: alcuni si ribellano al nesso implicito, ma altri che non lo escludono e capiscono l'importanza della geopolitica chiedono tuttavia che il giornale trovi spazio per rivolgere un'attenzione pietosa alle vittime. «Nella giornata del 14 maggio in Medio Oriente sono avvenuti tre fatti: l'inaugurazione dell'ambasciata Usa a Gerusalemme, gli scontri al confine fra la Striscia e Israele in cui vi sono stati almeno 60 morti palestinesi e la scelta di Ayman Zawahiry, successore di Osama Bin Laden alla guida di Al Qaeda, di chiamare alla Jihad contro "il nemico sionista". Tutti e tre meritavano la prima pagina. L'importanza dell'appello di Al Qaeda si deve alla competizione in corso, dentro i gruppi jihadisti, per imporsi gli uni sugli altri. Se Al Qaeda ha scelto il 14 maggio per l'appello è perché voleva imporsi su Hamas, fra gli stessi palestinesi a Gaza».
   E' contestata anche la mancanza di fonti terze al di fuori di quelle israeliane, salvo che per la conta dei morti. «Le informazioni arrivate il 14 maggio provenivano da giornalisti sul campo, da entrambi i lati del confine».

(La Stampa, 5 giugno 2018)


Netanyahu va in Europa per discutere di Iran

Incontrerà Merkel, Macron e May

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu e' partito oggi per una missione diplomatica in Europa centrata sulla ''questione iraniana'' che egli si prefigge di discutere con la cancelliera tedesca Angela Merkel, poi con il presidente francese Emmanuel Macron ed infine con la premier britannica Theresa May e col ministro degli esteri Boris Johnson. ''Discutero' con loro - ha detto alla stampa - di due argomenti: dell'Iran e dell'Iran. Innanzi della necessita' di continuare ad esercitare pressioni contro i suoi progetti nucleari. E poi anche - ha aggiunto - della necessita' di bloccare la aggressivita' iraniana nella Regione, innanzi tutto in Siria''.

(ANSAmed, 4 giugno 2018)


Friedman: "Nessuno ha saputo dire cos'altro avrebbe dovuto fare Israele per difendersi"

L'ambasciatore Usa in Israele: "I fatti contano, altrimenti non si fa giornalismo ma si avalla un'opinione, ci si adegua a un'agenda politica"

L'ambasciatore degli Stati Uniti in Israele David Friedman ha criticato i mass-media, lunedì, per non essere stati capaci di riportare in modo corretto i fatti relativi ai sanguinosi scontri delle scorse settimane al confine fra striscia di Gaza e Israele. E' chiaro che vi possono essere critiche legittime, ha detto Friedman, ma giornalisti e opinionisti, prima di accusare Israele di crimini ed abusi avrebbero dovuto lavorare molto di più per trovare e indicare alternative concrete alle azioni messe in campo dalle Forze di Difesa israeliane.
"Mi sembra - ha detto Friedman, parlando a una conferenza organizzata a Gerusalemme dall'agenzia The Media Line - che in un ambiente giornalistico in cui nove articoli su dieci relativi al conflitto di Gaza criticano e attaccano Israele, ci si poteva aspettare che alcuni giornalisti si prendessero la briga di parlare con esperti e cercare di capire concretamente cosa si sarebbe potuto fare in modo diverso o migliore, prima di criticare e accusare. Ma io non ho visto niente del genere"....

(israele.net, 5 giugno 2018)


Hamas attacca Israele con gli aquiloni dotati di molotov da Gaza

Hamas attacca Israele con aquiloni-bomba, lanciati dalla Striscia di Gaza

Lancio di aquilone-killer
I miliziani pro-Hamas hanno adottato una nuova tattica per compiere attacchi dentro Israele dalla Striscia di Gaza. Non potendo disporre di velivoli o droni armati, a seguito dell'embargo posto sulla vendita di tecnologia e componentistica da parte dello Stato ebraico, i jihadisti sono ricorsi agli aquiloni. Questi sono stati dotati di bombe molotov e lasciati volare oltre la barriera di confine. A seguito di ciò hanno causato un grave incendio presso il Sapir College a Sderot. Lo riporta Avi Mayer, portavoce dell'Agenzia Ebraica per Israele e già spokeperson per le IDF sul suo profilo Twitter. Azioni di questo tipo sono incontrollabili e potrebbero causare danni e vittime imprecisati. Una volta che l'aquilone-killer è decollato, infatti, può precipitare dovunque, senza preavviso, seminando distruzione.

(Difesa e sicurezza, 5 giugno 2018)


Aquiloni incendiari, Israele chiede un indennizzo

Gli incendi attizzati da aquiloni inendiari palestinesi lanciati dalla Striscia di Gaza hanno causato gravi danni all'agricoltura e alla natura

Israele intende farsi indennizzare dall'Autorità nazionale palestinese (Anp) per i gravi danni all'agricoltura e alla natura del Neghev causati dagli estesi incendi attizzati da aquiloni incendiari palestinesi lanciati dalla Striscia di Gaza.
Ieri l'ufficio del primo ministro ha reso noto che Benyamin Netanyahu ha dato mandato al consigliere per la sicurezza nazionale Meir Ben Shabbat di mettere in moto un meccanismo in base al quale dai dazi doganali che mensilmente Israele restituisce all'Anp siano detratti i risarcimenti che dovranno essere versati agli agricoltori del Neghev. I danni immediati, secondo le prime stime, sono di diversi milioni di shekel, una cifra superiore al milione di franchi. Ma i danni all'ambiente non sono ancora stati calcolati.
In media gli agricoltori israeliani devono combattere ogni giorno contro una decina di incendi dolosi. Complessivamente, secondo la stampa, lungo i 40 chilometri di confine sono bruciati nelle ultime settimane 2800 ettari di terreni.

(tio.ch, 4 giugno 2018)


Israele e la strategia dell'acqua

di Roberto Jona, agronomo

 
Palmachim, le "candele" di dissalazione in funzione, montate in batteria
 
Il professor Josef Misrachi mostra un frutto di Pittayia gialla
La direttrice di Palmachim Iris Sutzkover-Gutman a colloquio con Roberto Jona
Durante un viaggio in Israele di un gruppo di professori di quattro diverse università del NordOvest italiano, il tema dell'acqua è balzato in primo piano. Periodicamente in Italia si sentono lamentele per la siccità, ma in Israele il problema è endemico. E' stato quindi interessante e istruttivo capire come è stato affrontato e risolto in modi diversi, ma sempre brillanti.
  Il primo caso è stato con un parco pubblico: entro il perimetro comunale di Herzliya. Dove si incontra un problema particolare: durante le piogge invernali si ha un accumulo appena sotto la superficie del suolo di grandi quantità di acque, che ristagnano, creando una zona malsana e comunque problematica. Il problema era, ovviamente, presente anche nell'antichità tanto che il Talmud riferisce che il Coen Gadol invocava il Signore affinché le piogge invernali non arrecassero danno agli abitanti della zona, lo Sharon. Il problema persiste ancor oggi e nel creare il Parco non si sono eliminate le acque, ma si è scelto di governarle, convogliandole in una serie di strutture idrauliche per realizzare laghi, stagni, piccoli corsi d'acqua di valore paesaggistico e naturalistico. Si è voluto mantenere il carattere di "zona umida", e invece che abbandonarla a se stessa sono state create correnti e circuiti di acque, depurati mediante il saggio e abile impiego della fitodepurazione. In un paese arido è una situazione sorprendente, ma non dimentichiamo che i primi chalutzim, alla fine dell' '800 e agli inizi del '900, dovevano lottare proprio contro le paludi e la conseguente piaga della malaria.
  Il giorno seguente, il problema dell'acqua era diverso. Non molto distante da Herzliya, tra Netanya e Tulkarem c'è un impianto che raccoglie e governa le acque di un comprensorio comprendente circa 56mila ettari, 40 villaggi di vario tipo e una popolazione di poco più di 40mila persone. Qui i metodi di purificazione sono molteplici e complessi. Si parte dal governo e dalla raccolta delle acque piovane del comprensorio, nel quale è incluso il Nahal Alexander, che da torrente semipaludoso ed inquinato a partire dal 1995, ad opera del KKL, grazie alle offerte degli ebrei italiani, è diventato l'asse di un parco particolarmente attraente e assai frequentato. La visita si è però concentrata sul lago artificiale creato dall'Ente della Valle Hefer dove vengono convogliate le acque di origini diverse: le acque reflue di Netanya, e quelle di alcuni villaggi, le acque di sgrondo delle varie valli del comprensorio della Samaria, a monte della valle Hefer. Il risultato: un ampio lago artificiale che oltre che serbatoio per l'irrigazione delle colture agricole, serve anche da zona di ristoro per i volatili migratori.
  Il direttore di Emeq Hefer ci mostra i "confini" dei "territori": dal tetto della palazzina vediamo come sarebbe stretto Israele: 12 chilometri che si colgono con un'occhiata sola. Una manciata di chilometri di pianura che un carro armato ostile potrebbe percorrere in un quarto d'ora. Lasciato questo piccolo, ma brillante capolavoro tecnologico di idraulica agraria, più a Sud a qualche decina di chilometri da Tel Aviv si trova Palmachim, un kibbutz dove una giovane dottoressa, Iris Sutzkover-Gutman, dirige una "fabbrica" sorprendente: "fabbricano" acqua dolce. Sono in riva al mare e, con ogni precauzione per risparmiare energia, prelevano milioni di metri cubi di acqua marina, dalla quale rimuovono il sale, nonché il boro e la forniscono agli acquedotti di tutta Israele. Non solo: Israele in base al trattato di pace del 1979 deve fornire 50 milioni di metri cubi di acqua alla Giordania e buona parte di quest'acqua è "fabbricata" qui. A dispetto della catastrofica previsione che la prossima guerra in Medio Oriente sarebbe scoppiata per il possesso dell'acqua, chi più della Giordania può desiderare che Israele viva? Il sistema di estrazione è quello dell'osmosi inversa. Quindi non più risparmio dell'acqua piovana, ma fabbricazione partendo da quella fonte sterminata che è il mare. Un'altra logica altrettanto rigorosa, ma diversa: siamo a pochi chilometri da Emeq Hefer, ma qui si ragiona diversamente. Più a sud ancora, a Meitar, Itshack Moshe illustra le fini tecnologie del KKL per rallentare il corso tumultuoso delle acque piovane, evitando l'erosione del terreno e convogliare le acque verso le piante della foresta. Il risultato, soprattutto dopo aver attraversato una zona desertica è sorprendente ed affascinante: una foresta che sembra alpina. Ma le realizzazioni più sorprendenti si trovano nell'Aravà.
  A pochi chilometri dalla leggendaria e biblica Sodoma, un insediamento, Hatzeva, con la doppia funzione di sperimentazione e produzione, ha montato delle "serre" coperte da robusti, ma sottili tessuti discretamente trasparenti che hanno la doppia funzione di ombreggiare e proteggere dal vento del deserto che prosciugherebbe tutti i liquidi delle piante coltivate. All'interno di queste serre il clima è decisamente caldo e la luce forte, ma entrambi sono mitigati rispetto all'ambiente esterno. L'irrigazione con acqua salmastra, ricavata dalle falde del deserto è effettuata a goccia, così da lasciare il sale sulla superficie del terreno, mentre l'acqua priva di sale scende in profondità ad alimentare le radici delle piante. I risultati sono spettacolari: tralci lunghi anche 12 metri, carichi di pomodorini saporitissimi. Piante alte oltre 2 metri, cariche di grossissimi peperoni, albicocchi con i frutti in maturazione a metà aprile e vigneti con l'uva in fiore. Fuori delle serre, viali di palme Medjoul con i grappoli di frutti in rapida crescita. Infine una visita ad un originalissimo orto "botanico", all'Università Ben Gurion di Beer Sheva, costituito da una grande varietà di piante grasse produttrici dei più diversi tipi di frutti. I più promettenti sono quelli di Pittayia, molto aromatici, con un vago sapore di vaniglia e con bellissimi fiori distribuiti su rami "grassi" e lunghissimi. Ma il prodotto più affascinante sono i fichi d'india senza spine. Una mutazione selezionata dal professor Mizrahi, la quale può costituire la base per una fiorente agricoltura di zone aride di tutto il mondo. Malgrado il clima, le foglie (botanicamente: cladodi) del fico d'india sono ricche di liquido che la pianta accumula e trattiene: somministrate come foraggio ad animali lattiferi (vacche, capre, ovini) sostituiscono validamente i grossi quantitativi di acqua che occorre somministrare a questi animali per supportare la produzione del latte.
  Una logica comune lega tutte queste realizzazioni tra loro, ma al tempo stesso i modi di ricerca e i metodi d'impiego dell'acqua sono ognuno diverso dall'altro, ma a ben vedere è la sete che guida tutti i ricercatori verso una meta unica: l'acqua dolce. Per sé, per gli animali e per le piante. In fondo è il sogno plurimillenario degli ebrei che attraversavano il deserto che diviene realtà grazie alla tecnologia e rende il Paese quella Terra Promessa che il Signore aveva garantito agli Ebrei che esitanti ed incerti attraversavano l'aridità del Sinai. Ciò che lascia stupiti e sorpresi è come gli israeliani abbiano affrontato queste varie tecnologie in modo approfondito e radicale, ma separatamente una dall'altra. Ogni metodo ha una sua logica e ogni sistema vive di vita propria: solo alla fine si incontrano e si supportano a vicenda: l'acqua del mare, dissalata, va negli acquedotti, da cui deriva indirettamente la produzione di una parte di acque reflue che vengono utilizzate per irrigazione. Mentre le piante grasse o l'utilizzo delle acque salmastre del deserto fanno storia a sé: qui non occorrere più percuotere la roccia per dissetarsi, bastano le falde sotto le sabbie e le radici delle piante.

(Pagine Ebraiche, giugno 2018)


I palestinesi non vogliono che Messi giochi l'amichevole contro Israele

"Bruceremo le sue magliette". Chiesto all'Argentina di non far scendere in campo il fuoriclasse del Barcellona

Lionel Messi
Messi? No, grazie. Il generale Jibril Rajoub, possibile successore del presidente Abu Mazen e capo della Federcalcio palestinese, ha chiesto al campione del Barcellona e dell'Argentina di non giocare la partita amichevole contro Israele a Gerusalemme e ha chiesto ai tifosi del fuoriclasse di bruciare le sue magliette se scenderà in campo.
Rajoub, nel corso di una conferenza stampa a Ramallah, ha detto di aver scritto al governo argentino chiedendo che Messi non disputi la gara in programma il 9 giugno. "Questa partita è diventata uno strumento politico", ha spiegato Rajoub.
"Il governo israeliano sta cercando di dargli un significato politico per il fatto che si terrà a Gerusalemme", dopo la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di riconoscere la città Santa come capitale di Israele.
"Messi è un simbolo di pace e amore, gli chiediamo di non giocare e ripulire l'immagine dell'occupazione israeliana e dei suoi crimini", le parole del presidente.
Poi la minaccia: "Messi ha decine di milioni di fan nei Paesi arabi e musulmani, chiederemo a tutti di bruciare le loro magliette con il suo nome e i poster con la sua immagine".
Il partita si giocherà al Teddy Stadium (capienza di circa 34 mila spettatori, biglietti andati esauriti in 20 minuti) a Gerusalemme, nel quartiere di Malha, dove un tempo sorgeva il villaggio di Al Maliha.
Un luogo simbolo. Nella guerra arabo-israeliana del 1948, al termine della quale gli ebrei proclamarono la nascita dello stato di Israele, le milizie paramilitari dell'Irgun infatti attaccarono il villaggio costringendo gli abitanti a fuggire.

(TPInews, 4 giugno 2018)


Il programma televisivo sul Mossad induce polemiche, forti smentite in Israele

Funzionari israeliani hanno smentito le notizie secondo cui il Primo Ministro avrebbe chiesto al capo del servizio di sicurezza interna del paese di spiare il direttore dell'intelligence del Mossad e il capo dell'esercito. I dinieghi sono stati motivati da accuse che saranno fatte per intero giovedì, quando l'ultima puntata del programma di notizie investigative Uvda (Fact) andrà in onda sul canale televisivo israeliano Channel 12.
   Secondo il programma, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, per motivi di sicurezza, ha chiesto che i telefoni personali degli alti funzionari di sicurezza israeliani, compresi quelli dei capi del Mossad e dell'esercito, venissero intercettati.
   Il programma di notizie investigative ha riferito, il 31 maggio, che la richiesta "senza precedenti" ha le sue radici in un "grande programma segreto" lanciato dal governo israeliano nel 2012. Il programma ha richiesto una grande trasformazione del budget, del personale e delle risorse dell'intelligence del paese. Sebbene numerosi individui della comunità di intelligence israeliana fossero stati informati sul progetto, il primo ministro israeliano era preoccupato per le fughe di notizie dai media. Ha quindi tenuto il suo Gabinetto all'oscuro del programma e, non si sarebbe consultato con la Knesset, o con i membri della sottocommissione della Knesset sull'intelligence e i servizi segreti (per legge deve essere pienamente informato sulle operazioni di intelligence israeliane).
   Uvda sostiene inoltre che nel 2013 Netanyahu ha convocato una riunione straordinaria di alti funzionari, che comprendeva la partecipazione del procuratore generale, il capo dello Shin Bet (il servizio di sicurezza nazionale israeliano) e altri. Fu durante quell'incontro, secondo Uvda, quando Netanyahu presumibilmente si avvicinò a Yora Cohen, l'allora direttore dello Shin Bet, e gli chiese di "monitorare i partner del progetto segreto". Alla domanda su cosa intendesse, Netanyahu avrebbe affermato che i direttori delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) e il Mossad avrebbero dovuto avere sotto controllo i loro telefoni per possibili fuoriuscite di notizie non autorizzate ai media.
   Due nomi furono menzionati durante quell'incontro, secondo Uvda: Tamir Pardo, capo del Mossad, e Benny Gantz, capo di Stato Maggiore dell'IDF, entrambi nuovi nelle loro posizioni.
   Secondo quanto riportato da Uvda, alla fine, quando Cohen presentò la richiesta di Netanyahu agli alti funzionari del Ministero della Difesa, questi "rimasero sconcertati e in disaccordo".
   Domenica scorsa, Cohen ha fatto il passo insolito di rilasciare una smentita alle accuse di Uvda, in riferimento alle "intercettazioni di Gantz e Pardo […], definendole non vere e assolutamente infondate". Lo stesso ha proseguito affermando che le accuse di Uvda rappresentavano "una distorsione totale degli sforzi sistemici che vengono fatti di volta in volta per salvaguardare le informazioni sensibili relative alla sicurezza di Israele".
   Sempre domenica, il primo ministro Netanyahu ha criticato direttamente i commenti fatti da Pardo che ha definito l'agenzia come "un sindacato criminale con una licenza", commenti che il leader israeliano considerava dannosi per la reputazione del Mossad.
   Netanyahu ha affermato che "il Mossad non è un'organizzazione criminale. È un'eccezionale organizzazione che svolge un lavoro sacro nella lotta contro il terrorismo e altre minacce allo stato di Israele.

(PRP Channel, 4 giugno 2018)


L'esempio dei drusi israeliani

Gli altri arabi d'Israele dovrebbero smettere di fare le vittime e prendere in mano il loro destino, come hanno fatto gli arabi drusi.

Nei giorni scorsi, i mass-media hanno dato molto risalto ad alcune centinaia di manifestanti arabi israeliani che hanno sventolato bandiere palestinesi in alcune città a popolazione mista ebraica e araba. Quelle immagini, associate alle reazioni di alcuni personaggi pubblici israeliani, hanno generato un discorso molto negativo sui social network nei confronti della comunità araba d'Israele. E' possibile modificare questo atteggiamento?
Prendiamo, ad esempio, la comunità arabo-drusa: come ha fatto a diventata parte della società israeliana? Chiedete a qualunque israeliano per la strada, e la risposta sarà semplicemente che gli arabi drusi rappresentano una comunità che contribuisce sul serio allo stato e alla sua sicurezza e che è conosciuta per la sua esemplare cittadinanza e per quante energie investe nella comunità stessa e nella società in generale. Con una popolazione di circa 140.000 cittadini, gli arabi drusi rappresentano meno del 2% della popolazione israeliana totale. Per contro, il resto della popolazione araba israeliana, sia cristiana che musulmana (sunnita), rappresenta circa il 20% della popolazione. Com'è che una comunità così piccola è riuscita a fare ciò che un gruppo che ammonta a un quinto della popolazione del paese trova così difficile fare, cioè integrarsi nella società israeliana?...

(israele.net, 4 giugno 2018)


«Insulti antisemiti e saluti romani». La denuncia della Comunità ebraica di Milano

Tre episodi in corso Vercelli: perseguitato il dirigente di un'associazione religiosa. Oltre alle offese, in una occasione l'uomo si è messo a cantare «Giovinezza» in strada

La prima volta non ha parlato. S'è soltanto fermato in mezzo alla strada e ha alzato un braccio teso. Un saluto romano, in mezzo ai passanti, in una delle strade del quartiere tra corso Vercelli e piazza Piemonte.
   Non un gesto casuale, ma mirato, fatto con spavalderia e con un intento in qualche modo intimidatorio. Se quell'episodio fosse rimasto isolato, si sarebbe comunque trattato di un gesto dal significato violento e offensivo, ma non tale da far alzare il livello di preoccupazione. E invece, dopo quel primo incontro, ne sono avvenuti altri due, con caratteristiche ancora più gravi. In particolare perché la vittima è una personalità piuttosto nota nella comunità ebraica milanese, in passato presidente di un'importante associazione e tra gli organizzatori del «Giorno della memoria» al Binario 21 della stazione Centrale.
   Per tre volte, sempre nella stessa zona della città, s'è trovato di fronte la stessa persona: non c'è mai stata un'aggressione fisica, ma le minacce sono state sempre piuttosto plateali. Per questo, nei giorni scorsi, l'esponente della comunità ebraica ha firmato una lunga denuncia che ora si trova negli uffici della Questura.
   Gli episodi sono avvenuti nell'arco di alcuni mesi. Il primo è stato il saluto romano. L'ultimo, che dovrebbe risalire alla settimana scorsa, è stato invece un urlo. Sempre la stessa persona, di nuovo in pubblico, in mezzo alla strada, ha urlato un insulto il cui contenuto antisemita e discriminatorio non è equivocabile. In questo caso la vittima era di passaggio con un familiare.
   Il terzo fatto ricostruito nella denuncia, e che racconta un filone di aggressività riemerso più volte e sempre con le stesse caratteristiche, è stato addirittura più ostentato. L'uomo infatti, rivolgendosi alla vittima, s'è messo a cantare «Giovinezza», una delle canzoni più diffuse durante il Ventennio, identificata da allora con il regime fascista e diventata «patrimonio» dei nostalgici. In tutte e tre le occasioni non c'è stato alcun contatto, ma la ripetitività degli episodi è ritenuta comunque inquietante.
   Stando a quanto è stato possibile ricostruire in questi giorni, è probabile che gli incontri siano stati casuali, e che dunque dietro ai tre episodi di antisemitismo non ci sia un «progetto» preordinato. Anche perché si è trattato di fatti piuttosto distanti l'uno dall'altro. È dunque presumibile che la vittima e l'aggressore frequentino per ragioni personali la stessa zona: allo stesso tempo, però, in ogni occasione l'uomo si è fatto notare con gesti, urla e insulti, sfociati in una sorta di «atti persecutori» con motivazione di razzismo.
   C'è infine un elemento che ha provocato preoccupazione nell'esponente della Comunità ebraica. Perché l'aggressore, sconosciuto, conosce invece la sua identità e nel momento di fare il saluto romano, cantare «Giovinezza» o gridare le offese non si è mai preoccupato di essere in strada, dunque potenzialmente di fronte a testimoni che potrebbero riconoscerlo e identificarlo.
   È infine un segno che insulti del genere siano rivolti proprio a chi ha avuto un ruolo «nella costruzione della memoria collettiva e della consapevolezza individuale», secondo il principio primario della fondazione «Memoriale della Shoah». G.San.

(Corriere della Sera - Milano, 4 giugno 2018)


Raid aereo israeliano contro postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza

GERUSALEMME - L'Aviazione israeliana ha compiuto questa notte 15 bombardamenti contro obiettivi del movimento islamista Hamas nella Striscia di Gaza. Lo riferisce un comunicato stampa delle Forze di difesa israeliane (Idf) citato dal quotidiano "Jerusalem Post". Il raid è avvenuto in risposta al lancio di razzi in territorio israeliano e in seguito ai tentativi da parte di esponenti di Hamas di danneggiare la barriera che divide lo Stato ebraico dall'enclave palestinese. Secondo le Idf quattro razzi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza verso il sud di Israele,, di cui tre intercettati dal sistema di difesa antimissile "Iron Dome" e uno caduto in territorio palestinese. Se Hamas "sceglie di seguire il percorso del terrorismo e non quello di risolvere le difficoltà della gente di Gaza, continuerà a pagare un prezzo pesante che diventerà solo più alto, se necessario", si legge nella dichiarazione delle Idf. Questa notte elicotteri di attacco dell'Aviazione israeliana hanno colpito cinque obiettivi all'interno di un avamposto di Hamas. Non sono state riportate vittime tra i media palestinesi e si ritiene che Hamas e la Jihad islamica abbiano ordinato ai loro uomini di evacuare gli avamposti prima dell'attacco. I media palestinesi riferiscono che l'avamposto di Yarmouk nel quartiere Shuja'iyya a Gaza è stato bombardato e danneggiato.

(Agenzia Nova, 4 giugno 2018)


Razzi e incendi, l'odio palestinese continua a minacciare Israele

Era stato il movimento terroristico di Hamas a chiedere a Israele un cessate il fuoco, ma, come accaduto ripetutamente in passato, la tregua temporanea è stata violata da Gaza. Nella notte dalla Striscia sono infatti partiti quattro razzi, diretti verso il Sud d'Israele e intercettati dal sistema di difesa Iron Dome: migliaia di persone nel cuore della notte sono state costrette a correre nei rifugi antimissile, prima che i tre razzi fossero abbattuti. Il quarto è caduto in una zona disabitata. A questo nuovo attacco, l'esercito israeliano ha risposto colpendo 15 postazioni strategiche di Hamas a Gaza. "Hamas è l'unico responsabile di tutti gli eventi che si verificano nella Striscia di Gaza e che ne derivano. Se Hamas continua a contare sul terrore invece di risolvere i problemi che affliggono i civili di Gaza, continuerà a pagare un prezzo pesante, che aumenterà se necessario", le parole del portavoce dell'esercito che ha spiegato come l'operazione compiuta dall'aviazione israeliana nell'enclave palestinese sia stata anche una risposta agli "incidenti terroristici guidati e resi possibili dall'organizzazione terroristica di Hamas nel corso del fine settimana".

(moked, 3 giugno 2018)


Tutte le passioni di Wanda

Addio alla Lattes, la giornalista innamorata di Firenze e della cultura. La giovinezza partigiana, l'incontro con Alberto Nirenstein, le figlie: storia di un'amica.

di Franco Camarlinghi

 
Wanda Lattes
«Come le cinque dita di una mano. Storie di una famiglia di ebrei da Firenze a Gerusalemme»: è il titolo di un bellissimo libro, pubblicato da Rizzoli nel 1998. Le cinque dita erano Alberto, Fiamma, Simona, Susanna e Wanda, che in queste ore se ne è andata, per raggiungere certamente il suo Alberto, quel giovane soldato ebreo, nato in un villaggio vicino a Varsavia, che era venuto dalla Palestina a combattere per la libertà dell'Italia e dell'Europa. La sua uniforme era quella della compagnia 148 dell'esercito britannico, dell'VIII armata di Montgomery: giunto a Firenze aveva incontrato la giovanissima partigiana Wanda e in una città appena liberata si erano sposati, per dare vita a quella mano che sarebbe diventata la famiglia Nirenstein. Wanda lo ricorda nella prefazione al libro, poche pagine che disegnano, come raramente accade, i tratti essenziali della storia del popolo ebraico nel '900.
  Del resto la prima parte della sua storia si era intrecciata con quella dei due decenni che avevano separato la fine della prima guerra mondiale dall'inizio e dallo svolgimento della seconda. La storia di un'ebrea di buona borghesia, Lattes per parte di padre e Volterra per parte di madre, una delle famiglie di antiquari più importanti di Firenze e dell'Italia. Era affascinante parlare con lei di quel periodo in cui tante cose sembrava che fosse impossibile accadessero agli ebrei in Italia. Poi il brusco risveglio delle leggi razziali, la disperazione di non avere più lavoro, di non poter andare a scuola, l'inizio delle persecuzioni, la guerra, le deportazioni, lo sterminio. La giovanissima Wanda non avrebbe avuto esitazione, nella difficile lotta per sopravvivere, ad aderire alla Resistenza e avrebbe fatto la sua parte, come staffetta e portaarma, entrando nelle fila del Fronte della gioventù.
  Non era incline alle celebrazioni e alla retorica, ma era orgogliosa di questo suo passato: ricorda lei stessa, nel libro che ho citato, come al suo matrimonio, in un tempo in cui nessuno aveva niente da regalare, il dono più ricco fu la presenza dei padri spirituali dell'antifascismo fiorentino, da Ragghianti a Cancogni, da Bilenchi a Calamandrei. Poi venne la disillusione, si aprì una ferita che non si sarebbe mai sanata in maniera definitiva: all'inizio degli anni cinquanta Alberto tornò in Polonia per cercare le tracce della sua famiglia, sterminata nel campo di Sobibor: ci doveva stare pochi giorni, ma il regime comunista gli impedì di tornare in Italia per quattro, lunghissimi, anni.
  Wanda restò sola con Fiamma e Susanna e mentre cercava disperatamente e inutilmente aiuto nello stesso Pci per riavere il marito, riuscì a costruire quella che sarebbe stata la sua professione di brillante e colta giornalista, senza mai abbandonarla fino ai tempi attuali. Dopo il ritorno di Alberto, anzi molto dopo, sarebbe arrivata Simona e a quel punto le cinque dita ci sarebbero state tutte. Il suo grande maestro fu Romano Bilenchi, a cui sarebbe rimasta grata tutta la vita. Era divertente parlare con lei di Romano, del fascino indiscutibile del direttore del Nuovo Corriere, del modo in cui duramente imponeva ai suoi giovani collaboratori di imparare a scrivere, della sua libertà di atteggiamenti rispetto alla politica ufficiale, di quella stessa che sosteneva il giornale, cioè il Pci che, infatti, a un certo punto il NuovoCorriere decise di chiuderlo.
  «Pallina, leva, leva, che la stessa cosa si può scrivere con un decimo di parole»: una grande lezione di giornalismo che Wanda amava ricordare spesso e che avrebbe ben imparato: la sua scrittura sarebbe sempre stata efficace, essenziale, brillante come oggi è difficile trovare altrove. Dopo un passaggio al Giornale del Mattino, venne il tempo de La Nazione, di cui sarebbe diventata una delle voci più importanti, sia come cronista che poi come responsabile della cultura, assumendo il ruolo di personalità autorevole della città, come tale riconosciuta anche sul piano nazionale: non a caso è stata poi collaboratrice del Corriere della Sera.
  Un capitolo a parte è l'ultima esperienza giornalistica di Wanda, quella del CorriereFiorentino, di cui divenne naturalmente l'amata decana. Nei dieci anni che sono trascorsi dalla fondazione del giornale il suo entusiasmo per questa nuova avventura non ha mai conosciuto un attimo di incertezza. Lo scrivo da amico, ricordando le tante conversazioni che a cena a casa sua abbiamo avuto, in cui a un certo punto parlava del suo nuovo giornale. Lo sentiva come un'impresa di assoluta importanza per Firenze, alla quale dedicava una quotidiana collaborazione, che, in certi momenti, si traduceva in alcuni degli editoriali più belli che personalmente abbia letto ogni dove.
  A parte la passione per il mestiere, che mai l'avrebbe abbandonata, c'era un'altra passione che non si era mai affievolita: Firenze. Non si trattava della retorica fiorentinista che ormai lascia il tempo che trova, ma di un senso della fiorentinità, come carattere speciale, legata a un grande passato, ma mai passatista, anzi in continuo confronto con le possibilità e con le disillusioni della città contemporanea. Per capire quest'aspetto della personalità di Wanda bisogna fare un passo indietro, salire le scale di Via Cocchi 45, per partecipare ad una delle sue serate, un tempo frequenti e attese da molti. Chi ha avuto la fortuna di essere accolto in via Cocchi, nella casa che Leonardo Savioli aveva immaginato e realizzato per Wanda, Alberto, Fiamma, Susy e Simona, la prima cosa che non dimenticherà è l'inusuale eleganza fatta di semplicità, ma insieme di ricercatezza e di memorie di vita piene di significato. Da una parte Fiesole, dall'altra la Cupola della del Brunelleschi, sulle pareti i quadri e i disegni di tanti artisti che con Wanda avevano avuto un rapporto speciale, riconoscendone il talento di scrittrice e di giornalista, ma soprattutto la passione per l'arte e la storia dell'arte che andava ben oltre le esigenze imposte dalla sua professione.
  La presenza ora di Fiamma, ora di Susy oppure di Simona portava il vento di esperienze nazionali ed internazionali. Gli amici erano di solito alcune delle personalità più interessanti della vita culturale fiorentina e la città, con le sue esigenze e le sue contraddizioni, era al centro della conversazione. Wanda aveva una propria versione di mondanità, in realtà vista come occasione per riflettere e discutere su ciò che più le stava a cuore: il destino e il ruolo di Firenze. Poi tutto si sdrammatizzava: ci pensava Alberto che, convinto di essere in un kibbutz, agli ospiti che se ne andavano regalava una mela che per lui era il dono più bello che ci si potesse attendere. Tutto questo e tanto altro era il mondo di Wanda che ora ci ha lasciato, ma tanti continueranno, come chi scrive, ad essere felici di averla conosciuta e di esserle stati amici.

(Corriere fiorentino, 3 giugno 2018)


L'ambasciatore d'Israele: Impedire a Hamas di mistificare la realtà

Lettera a "l'Espresso"

Scrivo per rammaricarmi per quanto visto pubblicato nel numero di domenica 20 maggio.
Il modo in cui sono stati riportati gli eventi di Gaza è un'ulteriore prova che l'organizzazione terroristica, votata alla distruzione di Israele, è riuscita nell'intento di manipolare i media internazionali, demonizzando Israele per le azioni legittime in difesa dei suoi cittadini.
Il titolo "Gaza brucia'; le foto esclusive del "massacro" e gli articoli non rappresentano realmente quanto accaduto.
   Per la popolazione di Gaza l'agire in base a valori di libera espressione del pensiero e di manifestazione spontanea è una possibilità che semplicemente non esiste. Analizzare i fatti applicando i parametri democratici di libertà di parola non rispecchia in alcun modo la realtà di una regione stretta nelle mani violente di Hamas.
   Anche solo riferendosi al volantino da questi diffuso con istruzioni dettagliate su come portare armi e rapire cittadini israeliani, si può capire che le "marce per il ritorno" non sono manifestazioni organizzate in modo spontaneo dalla popolazione di Gaza, ma delle vere e proprie operazioni pianificate da Hamas per mimetizzare i suoi uomini tra i civili, con l'obiettivo di sfondare il confine con Israele.
   A riprova di quanto detto - come sostenuto in un'intervista televisiva da Salahal-Bardawi, membro dell'Ufficio Politico di Hamas - su 62 persone rimaste uccise negli scontri del 14 maggio scorso, ben 50 erano operativi del gruppo terroristico.
   Un altro esempio delle mistificazioni informative di Hamas riguarda la morte della bambina di otto mesi, Leila al-Ghandour, deceduta non per i lacrimogeni israeliani, ma per cause naturali, come asserito da un medico di Gaza. Questo confermato anche dall'agenzia di stampa tedesca Ntv, che dichiara che il nome della bambina non risulta più essere presente nella lista delle vittime degli scontri redatta dal Ministero della Salute di Gaza.
   Impedire a Hamas di mistificare la realtà serve la giusta informazione e disincentiva i terroristi dal perseguire le loro crudeli strategie.

Ofer Sacks
Ambasciatore di Israele in Italia

(l'Espresso, 3 giugno 2018)


Scomparso Giovanni Di Veroli: unico ebreo romano a giocare in seria A

Morto all'età di 85 anni, è stato uno dei protagonisti della prima Coppa Italia della storia del club biancoceleste e l'unico ebreo romano nel calcio professionistico del dopoguerra

Si è spento ieri a Roma un pezzo di storia del calcio laziale e italiano: Giovanni Di Veroli, nato il 12 agosto del 1932 nella Capitale. Una storia particolare la sua, che nel massimo campionato italiano veste la maglia biancoceleste per cinque stagioni e poi si ritira giovanissimo, a soli 25 anni.
Non senza prima però aver regalato alla Lazio la Coppa Italia del 1958, la prima della sua storia. Di Veroli è stato inoltre l'unico ebreo romano a militare nel calcio professionistico del dopoguerra e, come ha affermato il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dugherello, "ha rappresentato un modello per tanti giovani della Comunità Ebraica. I valori sportivi che ha portato avanti sono stati e saranno d'ispirazione per chi vede nel calcio un sogno da raggiungere. Siamo orgogliosi che un atleta e un uomo così sia appartenuto alla nostra Comunità".

(globalist, 3 giugno 2018)



«Dio li ha abbandonati a passioni infami»

L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia; poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato come Dio, né l’hanno ringraziato; ma si son dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d’intelligenza si è ottenebrato. Benché si dichiarino sapienti, son diventati stolti, e hanno mutato la gloria del Dio incorruttibile in immagini simili a quelle dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Per questo Dio li ha abbandonati all’impurità, secondo i desideri dei loro cuori, in modo da disonorare fra di loro i loro corpi; essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è benedetto in eterno. Amen.
Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura; similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami, ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento.
Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente; ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati. Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette.

Dalla lettera dell’apostolo Paolo ai Romani, cap. 1

 


«La Nato non difenderà Israele dall'Iran»

Così il Segretario dell’Alleanza Atlantica al settimanale Der Spiegel

BERLINO, 2 GIU - La Nato non difenderà Israele nel caso venisse attaccato dall'Iran. Intervistato dal settimanale tedesco Der Spiegel, il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha detto che Israele è un partner, ma non un membro della Nato e che le "garanzie di sicurezza" dell'Alleanza non si applicano ad Israele.
Stoltenberg ha quindi ricordato che la Nato non è coinvolta nel processo di pace in Medio Oriente.

(ANSA, 2 giugno 2018)


Stampa e Israele: disinformazione "corretta". Calunnia, calunnia… … qualcosa resterà

Perché i media italiani "odiano" Israele? Ecco voci e testimonianze di un fenomeno diffuso. È dopo la Guerra dei Sei giorni che lo Stato ebraico perde la simpatia occidentale. Poiché ha osato vincere. E vivere.

di Nathan Greppi

È ormai un dato di fatto: i maggiori media italiani hanno sempre provato un certo astio verso Israele, soprattutto quelli di sinistra. O meglio, una data di nascita per questo sentimento c'è: giugno 1967, all'indomani della vittoriosa Guerra dei Sei Giorni. Israele osa vincere e vivere, umilia gli eserciti arabi (e la loro alleata, la Russia). E così, da un giorno all'altro, la musica cambia: l'Unità, organo del Partito Comunista Italiano, rinnega le simpatie sino ad allora manifestate verso il piccolo Stato degli ebrei e inizia la sua campagna antisionista, come ben documenta il saggio di Luciano Tas Cartina rossa del Medioriente. Ma oggi, come si manifesta questo sentimento di ostilità, che dovrebbe essere incompatibile con una informazione oggettiva e corretta? E quali sono le sue cause? Lo abbiamo chiesto ai testimoni diretti dal fronte della stampa, giornalisti italiani che hanno respirato per anni l'aria delle Redazioni Esteri di casa nostra.
  Vi ricordate il caso Al Dura, quello del video in cui compariva un dodicenne palestinese presumibilmente ucciso dai soldati dell'IDF a Gaza? Dopo che il canale televisivo France 2, nel 2000, aveva messo in onda il video, questo fece subito il giro del mondo, facendo del piccolo Muhammad Al Dura un simbolo, tanto che in molti Paesi islamici gli dedicarono strade e francobolli. Se non che, quattro anni dopo, il giornalista francese Philippe Karsenty dimostrò che il video era un falso, ma dovette prima affrontare un processo per diffamazione conclusosi solo nel 2008. E chi si ricorda di quando a Ramallah, il 12 ottobre 2000, due miluim, soldati israeliani della riserva, con l'unica colpa di aver sbagliato strada, vennero linciati da una folla inferocita? In quell'occasione una troupe di Mediaset filmò tutto, e il cameraman palestinese, minacciato di morte, fu espatriato in Giordania la notte stessa. Mentre il corrispondente della RAI, Riccardo Cristiano, si era precipitato a scrivere all'ANP che "lui non aveva filmato il linciaggio", fedele alle regole d'ingaggio palestinesi.

 La manipolazione, un automatismo
  Non sono, questi, casi isolati: nei maggiori media italiani, specialmente quelli di sinistra, è molto comune imbattersi in manifestazioni di astio, manipolazioni della realtà più o meno sottili e subdole, omissioni e veleni nei confronti dello Stato ebraico. Chi lo ha sperimentato in prima persona, ed è disposta a raccontarlo, è Lucia Ferrari, ex-vicecaporedattore di Tg3 RAI, oggi free lance, la quale ha avuto una carriera lunga e intensa. Giornalista dal 1986, negli anni ha visitato molti Paesi: dall'Iraq della guerra del Golfo, alla guerra dei Balcani, in Bosnia; dall'Etiopia alla Costa d'Avorio, portando avanti i suoi ultimi reportage in Sierra Leone. Ma nel corso di questa carriera, che ha concluso nel 2016 quando è andata in pensione, ha assistito a numerosi atti di disinformazione sistematica, attuata nei modi peggiori e a scopi ideologici, sul conflitto israelo-palestinese.
  «Nelle redazioni dove ho lavorato ho constatato di persona un atteggiamento prevalentemente anti-israeliano - dichiara Lucia Ferrari a Bet Magazine-Bollettino. - Nella maggioranza dei casi i colleghi si definivano 'di sinistra', e io non ho mai colto posizioni obiettive verso Israele. Ad esempio, in occasione della Seconda Intifada, ho cominciato ad accorgermi di pregiudizi antisraeliani che coincidevano con l'antisemitismo: quando scrivevo il breve testo di lancio di un servizio che il conduttore doveva leggere, e indicavo il numero delle vittime sia israeliane sia palestinesi fornito dalle agenzie di stampa, il numero delle vittime palestinesi veniva aumentato, in diretta, durante la messa in onda del telegiornale. E quando eravamo in onda non potevo più intervenire. Alla fine del Tg chiedevo al conduttore o alla conduttrice perché avessero cambiato la cifra e rispondevano: 'eh, perché quello che ci dai, anche se lo prendi dalle agenzie, è tutto di parte'. Per loro, agenzie come ANSA o Reuters, per esempio, erano di parte filo-occidentale, filo-israeliana, filo-americana. Da quel momento, - racconta Ferrari - con il passare degli anni, da così grossolana la propaganda si è fatta sempre più subdola, fino ad arrivare a capovolgere la regola delle "cinque W", alla base del giornalismo occidentale. Dopo la Seconda Intifada mi sono accorta che la disinformazione è diventata un modo di fare costante. Si negano le cause e viene modificata la storia. Anche durante l'Operazione Piombo Fuso si è sempre preferita l'espressione "attacco militare" piuttosto che "risposta militare"».
  Lucia Ferrari aggiunge che «in tanti anni di riunioni di redazione riguardo a Israele e alla questione palestinese, ho sempre detto le mie opinioni, ma sono sempre stata in minoranza. E il taglio dei pezzi veniva realizzato così come la direzione desiderava. La battuta che mi è stata rivolta spesso negli ultimi anni è stata "meglio il velo delle divise"; mi hanno dato della fascista, della conservatrice, a me che vengo da tradizioni culturali di sinistra; a me che non appartengo a nessuna congrega, a nessuna confessione religiosa, a nessun partito politico», conclude Ferrari.
  Tuttavia, oltre ai casi di disinformazione più o meno velata da lei descritti, ne esistono anche di più espliciti: la rivista Internazionale, ad esempio, nel maggio 2017 ha pubblicato un articolo del filosofo sloveno Slavoj Zizek, il quale insinuava che l'antisemitismo di oggi fosse causato dal Sionismo e dall'esistenza di Israele. La stessa rivista, alla fine del 2017, ha dedicato un intero numero a storie sulla Palestina. Un caso analogo è quello di Radio Popolare, che nel febbraio 2016 accusò Israele di essere un regime di apartheid che "ruba l'acqua ai palestinesi". Ma come ha avuto origine tutto questo? Se guardiamo a come la stampa parlava di Israele pochi decenni fa, ci accorgiamo che sono cambiate molte cose. Oggi pochi potrebbero credere che, nel febbraio 1948, L'Unità accusò il Gran Muftì di Gerusalemme di voler massacrare gli ebrei. All'epoca la sinistra sosteneva Israele perché era ciò che voleva l'URSS. Una posizione che ha cominciato a vacillare dopo la Guerra dei Sei Giorni, in seguito alla quale Israele venne sempre più dipinto come "un'entità colonialista".

 La Sindrome dell'American Colony
  Ferrari non è l'unica persona ad aver assistito a una tale avversione e a manifestazioni di pregiudizio anti-israeliano da parte di giornalisti italiani: lo sa bene anche Daniele Moro, per anni inviato di guerra del TG 5, caporedattore della testata e collaboratore di Terra!, oggi docente alla Johns Hopkins University, il quale racconta a Bet Magazine le radici del fenomeno, e in particolare quella che lui chiama "Sindrome dell'American Colony": «L'American Colony, - spiega - è un albergo, ma anche un'istituzione. È a Gerusalemme Est, ed è da sempre il luogo dove i media internazionali fanno base quando "coprono" il Medio Oriente. Idem per il personale delle Agenzie dell'ONU che hanno gli uffici nelle vicinanze. È in "territorio occupato", e tu dormi dalla parte dei palestinesi. È considerato un luogo neutro, ma tradizionalmente tutto il personale è palestinese. Il condizionamento ambientale è una cosa di cui gli israeliani non hanno mai capito l'importanza, e all'American Colony questo condizionamento è clamoroso, perché se tu vuoi sapere qualcosa devi andare lì, perché lì ci stanno tutti i giornalisti, lì arrivano tutte le notizie. È un luogo molto protettivo, ti trattano bene, ma è chiaro che se tu fai un servizio giornalistico scrivendo dalla terrazza dell'American Colony non lo fai "contro" i palestinesi, perché altrimenti corri dei rischi».
  Parlando delle sue esperienze personali, Moro ha raccontato un fatto avvenuto dieci anni fa, legato al programma televisivo Terra!: «C'era una puntata su Israele, per cui mi mandarono a fare un servizio, ma poi durante il montaggio ho scoperto che mi usavano per giustificare altri quattro servizi filopalestinesi; divenni la foglia di fico della redazione. Loro pensavano che io fossi "il filoisraeliano", mentre io cercavo solo di essere obiettivo, di fare un lavoro professionale e serio».
  Un altro caso, più recente, di disinformazione legato a Mediaset riguarda il programma Le Iene che, il 4 aprile di quest'anno, mostrava le reazioni dell'esercito israeliano alle manifestazioni a Gaza, senza spiegarne minimamente il contesto, e tacendo sulla violenza di Hamas. Altro esempio legato al mondo della televisione riguarda il programma La Gabbia su La7, dove, nel giugno 2016, il giornalista Giulietto Chiesa accusò Israele di finanziare l'Isis, oltre a definirlo, assieme a Turchia e Arabia Saudita, «tre Stati canaglia a cui bisogna tagliare le unghie». Una dichiarazione, la sua, alla quale non aveva ribattuto né il conduttore Gianluigi Paragone né il pubblico in sala.
  Tuttavia, secondo Moro, negli ultimi anni ci sono stati anche esempi di buona informazione, dovuti a una presenza massiccia di italiani nello Stato ebraico: «La comunità italiana in Israele si è distinta per aver fatto sentire la propria voce. Sui social network, attraverso lettere ai giornali o interventi nei blog degli opinionisti, migliaia di ebrei italiani che oggi vivono in Israele hanno espresso la loro opinione e raccontato la realtà dei fatti, il che ha scombussolato i filopalestinesi». «Noi italiani siamo "razzisti alla rovescia" - conclude Moro - per cui, dato che gli israeliani sono "occidentali" e gli arabi 'poveretti', allora simpatizziamo per i palestinesi. Nella sinistra si pensa che se sostieni Israele sei automaticamente "di destra", ed è un pregiudizio difficile da scalfire».

 La Shirley Temple Palestinese
  Un chiaro esempio di buona informazione proviene proprio da La7, e riguarda il caporedattore Silvia Brasca, la quale si è occupata della storia di Ahed Tamimi, la "Shirley Temple palestinese", protagonista di tante provocazioni e sceneggiate davanti ai soldati israeliani. «Nel suo caso,- spiega - sono andata a cercare, e ho visto che compariva più volte in altri video, sin da quando era bambina. Ora ha 17 anni, è stata processata da un tribunale israeliano; si può discutere se la sentenza sia giusta o meno, ma per capire vanno approfondite la sua storia e quella della sua famiglia.
  Lei è figlia di un clan, il più importante nel suo villaggio, ed è una famiglia di persone con atteggiamenti violenti nei confronti di Israele, di filo-terrorismo, che i suoi genitori non hanno mai sconfessato. Inoltre, noi siamo abituati a immaginarci il ragazzo palestinese con la keffiyah; lei invece è una ragazza di pelle chiara con i capelli biondi, che cattura l'attenzione, un'immagine che si presta bene per la pubblicità, con una forza di comunicazione molto accesa. Ovviamente Amnesty e Human Rights Watch la dipingono come un'eroina, emblema di una protesta pacifica. Ma questa storia va raccontata bene, non c'è niente di pacifico nelle loro proteste. Uno dei suoi parenti ha postato, sul suo profilo Facebook, calunnie contro Israele, come quella di asportare organi di palestinesi, derivante dall'accusa medievale del sangue».
  Ma ci sono casi dove l'astio non proviene solo dai giornalisti, ma anche dal pubblico; a testimoniarlo è l'avvocato Barbara Pontecorvo, che dal luglio 2017 al febbraio 2018 ha curato un blog sul sito de Il Fatto Quotidiano. Una collaborazione nata «in seguito a un articolo di Gianluca Ferrara, oggi senatore del Movimento 5 Stelle, che parlava di 'Shoah dei palestinesi'. Dato che avevo recentemente partecipato al programma Matrix con Peter Gomez e gli avevo detto che ero indignata per quell'articolo, dopo esserci scontrati lui mi propose di avere un mio blog. Ci riflettei a lungo, e dopo un po' accettai. Sul primo articolo ricevetti 480 commenti, quasi tutti di odio, all'ultimo 270. Ma poi mi sono arrivate minacce dirette, pesanti. Alla fine ho chiuso il blog, anche se sono rimasta in buoni rapporti con la redazione, che mi ha detto che potrei tornare se lo volessi».
  Barbara Pontecorvo ha aggiunto che, prima del diverbio con Gomez, ne aveva avuti altri con giornalisti del Fatto: nel gennaio 2017 aveva partecipato a una conferenza al Teatro Farnese di Roma, dove «mi scontrai con un giornalista del Fatto, Stefano Citati. Avevo chiesto di partecipare perché il panel era troppo squilibrato, ma nonostante fossi tra i quattro relatori, non mi hanno mai interpellata».
  Ma allora, quali sono i media che non sono prevenuti, vittime di pregiudizi antisionisti o altro? Secondo Ugo Volli, oltre a significative eccezioni come Il Foglio e Il Giornale, nei maggiori media italiani esistono anche singoli opinionisti che esprimono idee diverse (come Pierluigi Battista sul Corriere della Sera e Maurizio Molinari su La Stampa). Come abbiamo visto, dunque, è dopo il '67 che è cambiato radicalmente il modo in cui una parte della sinistra racconta Israele, al quale non viene perdonato il fatto di esser riuscito a sopravvivere. In questo contesto, assumono valore le parole del giornalista israeliano Ben-Dror Yemini, pubblicate su Yediot Ahronoth in occasione dei 50 anni della Guerra dei Sei Giorni: «Dobbiamo ricordare una cosa: l'alternativa alla vittoria era l'annientamento. Perciò, scusateci se abbiamo vinto. Poiché un'occupazione senza annientamento è preferibile a un annientamento senza occupazione».

(Bet Magazine Mosaico, 2 giugno 2018)


Esperto: Israele sta cercando di minare le relazioni USA-Turchia

Tel Aviv sta cercando di mantenere la sua superiorità qualitativa dei caccia F-35 costringendo gli alleati degli Stati Uniti a non vendere alla Turchia il software che aumenta la capacità stealth del caccia. Il politologo turco Murat Yesiltas in un'intervista a Sputnik ha spiegato il suo punto di vista sulle preoccupazioni di Israele.

- Israele sta cercando di convincere gli Stati Uniti a non vendere alla Turchia il software speciale per i caccia F-35. Sa di che software si tratta?
  "Non ci sono informazioni chiare, ma penso che Israele stia cercando di speculare sui caccia F-35 turchi provenienti dagli Stati Uniti. Penso che questa sia la strategia di Israele. Come sapete, la Turchia ha svolto un ruolo importante in questo progetto, mentre Israele no. Ma dopo che la Turchia avrà più di trenta caccia F-35, credo che cambierà l'equilibrio di potere nella regione. E questo è il motivo principale per cui Israele parla di questo problema."

- Pensa che Israele sia preoccupato per le capacità difensive della Turchia?
  "Sì, certo. Se si guardano gli ultimi 15 anni, si può facilmente affermare che l'industria bellica in Turchia si è sviluppata più degli altri paesi della regione. A questo proposito, credo che il prodotto nazionale sia una delle componenti importanti dell'industria bellica turca.
Attualmente, l'industria bellica turca produce oltre il 57% dei prodotti militari presenti in Turchia. Questo è molto importante e, rispetto alle capacità di difesa di Israele, la Turchia si trova in una posizione migliore in termini di sviluppo di queste tecnologie; lo stesso si può dire dal punto di vista della cooperazione con altri paesi, come la Russia.Pertanto, si può facilmente affermare che esiste una concorrenza tra Turchia e Israele nel settore dell'industria bellica, e non solo per le tecnologie di difesa. Ad esempio, esiste anche una concorrenza sulla questione della decisione strategica della Turchia sui sistemi missilistici russi."

- Potrebbe essere più chiaro?
  "Il sistema missilistico S-400 è uno dei più importanti sistemi strategici di difesa turca, e se alla fine del 2019 Ankara riceverà il sistema, sarà un cambiamento radicale per la Turchia in confronto alle capacità militari di altri paesi della regione. Questo è anche un segno del crescente avvicinamento della Turchia alla Russia.Penso che un tale riavvicinamento strategico tra Russia e Turchia sarà anche una potenziale minaccia per le relazioni tra Turchia e Stati Uniti in futuro. Quindi penso che Israele stia cercando di minare le relazioni tra Turchia e Stati Uniti, affermando che il riavvicinamento con la Russia mina la struttura di sicurezza della NATO."

- Un altro ostacolo nei rapporti tra la Turchia e gli Stati Uniti è il sostegno di Washington ai curdi siriani. Pensa che questo problema possa essere risolto?
  "Penso che sia possibile, ma preferirei inquadrare il sostegno degli Stati Uniti non verso i curdi ma verso il PKK o il YPG nella regione. Come sapete, gli Stati Uniti e la NATO considerano il PKK un'organizzazione terroristica, e in questo contesto, la cooperazione con un'organizzazione terroristica al fine di sconfiggere le altre organizzazioni terroristiche non è una buona idea; questo non solo dal punto di vista delle norme e delle leggi internazionali, ma anche delle relazioni pluriennali tra i due paesi della NATO.
Penso che entrambi i paesi sono d'accordo sul ritiro del PKK o della milizia di difesa popolare da Manbij, ma non credo che ci sia un potenziale accordo sulla questione. Entrambi i paesi stanno cercando di trovare una soluzione valida e completa per raggiungere un'intesa comune sull'integrità territoriale della Siria. Pertanto, credo che questa sia una questione molto importante che i due paesi dovranno affrontare nel prossimo futuro."

(Sputnik Italia, 2 giugno 2018)


Milan Academy, a luglio il primo Junior Camp in Israele

Il Milan Junior Camp approda per la prima volta in Israele, per un'estate all'insegna dei colori rossoneri, buon calcio e natura. Questa nuova edizione di MJC sarà organizzata dal partner locale SoccerSTARS, e avrà luogo la prima settimana di luglio nella località di Ma'agan Michael.
"È un vero onore per me poter lanciare il primo camp in Israele sia da tifoso oltre che Presidente del Milan Club Israele, sia per il calcio israeliano - ha dichiarato Elad Levin, General manager di SoccerSTARS - Questo progetto è perfetto per i giovani calciatori che vogliono migliorare le proprie abilità, imparare i valori positivi dello sport e divertirsi grazie a questa esperienza internazionale. Voglio ringraziare il Club rossonero per questa opportunità e sono certo che sarà la base per sviluppare insieme molti altri progetti internazionali nel prossimo futuro"
"Israele è una terra splendida, sono molti gli appassionati di calcio italiano, soprattutto del Milan e dopo tanti anni di lavoro siamo felici che questa opportunità si sia realizzata in una delle località più belle del nostro paese. Siamo felici che i bambini di tutto il Paese abbiano la possibilità di divertirsi e imparare il metodo Milan attraverso il lavoro degli allenatori che troveranno al nostro MJC", ha concluso Elad Levin.

(Spazio Milan, 2 giugno 2018)


L'ipocrisia europea e i missili di Hamas

di Niram Ferretti

Tra il 28 e il 29 maggio, da Gaza vengono lanciati 120 missili su Israele. Fortunatamente non ci sono state conseguenze gravi per la popolazione. Una parte dei missili non hanno raggiunto gli obbiettivi, altri sono stati intercettati da Iron Dome.
   "I recenti attacchi provenienti dall'interno di Gaza sono i maggiori dal 2014" dichiara Nikki Haley, l'ambasciatrice USA all'ONU, chiamando in causa il Consiglio di Sicurezza, così solerte nel condannare Israele quando si difende, ma in uno stato di sopore quando viene attaccato.
   Invero, la comunità internazionale si fa sentire. Giungono da Germania, Francia, Gran Bretagna e da altri paesi, condanne esplicite nei confronti di Hamas. Peccato che il suono della musica sia stato ben diverso quando si è trattato di focalizzare la propria attenzione sulla cosiddetta "Marcia della Pace", organizzata sempre da Hamas il 30 marzo scorso ai confini di Gaza e Israele. E come mai? Semplice. Ci furono dei morti palestinesi, 16 la prima volta e poi, il 14 di Maggio, in concomitanza con lo spostamento dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, altri 62. Apriti cielo. Partì un unico coro di accuse nei confronti di Israele, come avviene tutte le volte che esso si difende.
   A Hamas è bastato utilizzare il linguaggio che sa avere una presa immediata in Europa e in Occidente. Camuffare il tentativo di introdurre i propri miliziani in Israele nel contesto di una manifestazione "per la pace" è stato sufficiente. Chi sarebbe stato ucciso dai soldati israeliani sarebbe stato immediatamente trasformato in "vittima", in "inerme", in "innocente" e la risposta risoluta di Israele, in "carneficina" e "massacro". Così è stato, come da copione.
   I mass media occidentali hanno potuto organizzare il loro usuale sabba intorno allo Stato ebraico mentre le cancellerie europee accusavano Israele di reazione "sproporzionata", di "abuso della forza", le stesse che poi hanno alzato il dito contro Hamas quando in un giorno e mezzo ha lanciato 120 missili a sud del paese.
   Abbiamo assistito forse a un cortocircuito, a una débacle cognitiva? No, si è trattato e si tratta di feroce malafede. Condannare Israele perché in mezzo a 40,000 manifestanti uccide settantasei uomini che Hamas stesso dichiara essere dei propri (14 dei 16, morti il 30 di marzo e 52 dei 62, morti il 14 di maggio) e poi essere solidali nei suoi confronti perché questa stessa organizzazione terroristica gli lancia addosso 120 missili, non solo è grottesco, è infame.
   Non potrebbe essere più chiaro di così. La schizofrenia europea nei confronti di Israele che è andata in scena in questi giorni è il segno tangibile e inequivocabile della sua profonda ipocrisia e della sua sudditanza psicologica riguardo alla propaganda di Hamas, che poi null'altro è se non la conseguenza del suo radicato filopalestinismo.
   Hamas è sempre vincente quando Israele risponde alle sue aggressioni provocando vittime, soprattutto se, malauguratamente, si tratta di civili, sulla cui morte esso lucra cinicamente con grande abilità, tuttavia sporca un po' la propria immagine quando, come nel caso dei 120 missili, la risposta di Israele non provoca nessun morto arabo. Allora l'Europa, obtorto collo, è costretta a dichiarare che insomma, no, lanciare missili e colpi di mortaio contro Israele non va bene perché in questo modo si compromette "il processo di pace"…risum teneatis.

(Caratteri Liberi, 2 giugno 2018)


Siria. «Israele e Russia, accordo anti-Teheran»

L'intesa sarebbe stata raggiunta dopo la telefonata fra Putin e Netanyahu. Gerusalemme: pronti a colpire l'Iran, però rispetteremo il regime.

GERUSALEMME - Israele e Russia avrebbero raggiunto un'intesa in base alla quale sarà impedito in futuro alle forze iraniane dislocate in Siria di assestarsi sul confine con Israele, lungo le alture del Golan: lo hanno riferito i media israeliani che citano le informazioni raccolte dal giornale arabo a-Shark al-Awsat. Secondo il giornale giovedì, in un colloquio telefonico fra il presidente russo Vladimir Putin ed il premier israeliano Benjamin Netanyahu, e in un quasi contemporaneo incontro a Mosca fra i rispettivi ministri della Difesa Sergeij Shoigu e Avigdor Lieberman, Russia ed Israele hanno anche concordato che nel resto del territorio della Siria la presenza militare iraniana dovrà essere contenuta. Alcuni media hanno inoltre aggiunto che Israele ha fatto intendere a Mosca che potrebbe colpire «qualsiasi obiettivo sia considerato una minaccia, ad eccezione delle postazioni delle forze del regime» di Damasco. Un chiaro riferimento ad obiettivi iraniani in Siria. Il giornale filogovernativo "Israel ha-Yom" ha scritto che «gli iraniani stanno per lasciare la Siria meridionale» ma ha precisato che è ancora presto per stabilire che la alleanza russo-iraniana si sia incrinata. Solo giovedì l'Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra, riferiva di preparativi delle forze sostenute dall'Iran - "consiglieri" iraniani e miliziani del movimento sciita libanese Hezbollah - per un ritiro dal sud della Siria.

(Avvenire, 2 giugno 2018)


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Tra Iran e Israele, la Russia sceglie Israele

Nervosismo a Teheran e conseguenze in Siria. L'Unione Europea, infatti, farebbe bene a smettere di considerare l'Iran una opportunità e aprire gli occhi.

di Dorian Gray

 
Pressato a prendere una posizione chiara da Israele, Giordania e Arabia Saudita, il Cremlino ha ormai fatto sapere da settimane che, senza compromessi, ritiene sia necessario ritirare tutte le milizie straniere dalla Siria.
   Con questo termine, Mosca ovviamente include anche i pasdaran iraniani, i jihadisti sciiti di Hezbollah e quelli di altre milizie sciite create da Teheran in questi anni. In particolare, in Siria sono presenti decine di gruppi paramilitari sciiti iracheni, ma anche di origine afghana e pakistana. Come dimenticare che il regime iraniano, in questi anni, ha inviato in Siria centinaia di rifugiati afghani e pakistani - inquadrati nella Divisione Fatwmiyoun - per la maggior parte di etnia Hazara, giunti nella Repubblica Islamica per cercare una nuova vita? Rifugiati mandati a morire per Assad, in cambio di una carta verde, della promessa di un passaporto iraniano e di un salario mensile che si aggira tra i 500 e gli 800 dollari al mese.
   La forte presa di posizione del Cremlino è figlia di una evoluzione crescente, che è sfuggita a diversi osservatori. In primis tutto è cominciato con le parole del vice ambasciatore russo a Tel Aviv, Leonid Frolov. Ad una domanda molto chiara "con chi si schiererebbe la Russia in caso di guerra tra Israele e Iran", Frolov ha risposto senza mezzi termini "in caso di aggressione contro Israele, non solo gli Stati Uniti starebbero dalla parte israeliana, ma anche la Russia".
   Dopo le parole di Frolov, l'attenzione di Mosca è stata dedicata molto a chiarire la strategia in Siria nel post-Isis. In primis, ha iniziato Alexander Lavrentiev, inviato speciale di Putin a Damasco. E' stato proprio lui il primo a dire chiaramente che, a fronte della sconfitta di Isis, tutte le forze straniere "inclusi americani, turchi, Hezbollah e iraniani", devono lasciare la Siria. Posizione ribadita direttamente dal presidente Putin ad Assad, quando il dittatore di Damasco è stato convocato a sorpresa a Sochi.
   Il regime iraniano, ovviamente, ha fiutato subito il malvento. Per questo, poco dopo le parole di Putin, sia il portavoce del Ministero degli esteri iraniano Qassemi, che lo stesso ministro degli esteri Zarif, hanno affermato che Teheran non ha alcuna intenzione di lasciare la Siria, perché le forze di Teheran si trovano in quel Paese su espressa richiesta del Governo siriano. A Mosca però non scherzano: ecco perché, davanti alle ritrosie iraniane, sono giunte anche le parole del forte ministro degli esteri russo Lavrov. Come riportato dalla Tass, Lavrov non ha solo ribadito quando affermato in precedenza dal presidente Putin, ma ha anche intimato alle milizie filo-iraniane di abbandonare immediatamente il sud della Siria, come richiesto sia da Netanyahu che dal Re giordano Abdallah II.
   Il giorno dopo le parole di Lavrov, il ministro della difesa russo Sergey Shoigu riceveva a Mosca il suo omologo israeliano Avigdor Lieberman, per discutere della questione siriana, in particolare della situazione nel sud della Siria nelle aree di "de-escalation".
   Non è dato sapere come questo scontro di posizioni tra Mosca e Teheran finirà, ma quello che è noto è che in Iran alcuni giornali, hanno già iniziato ad accusare Putin di essersi ormai schierato definitivamente con Israele. La questione però è più ampia e l'Europa dovrebbe assolutamente tenerne conto.
   In primis, gli interessi di Putin. Il presidente russo non ha alcuna intenzione di arrivare ad uno scontro con Israele, ne tantomeno con i principali attori sunniti della regione (ormai in guerra aperta con l'Iran). Per quanto riguarda Israele, nello Stato ebraico vivono oltre un milione di russi, che rappresentano per il Cremlino un soft power di assoluta importanza. Senza contare l'importanza per Putin di mantenere tranquille le basi di Latakia e Tartus, fondamentali per Mosca per avere un piccolo sbocco in un mare caldo (oltre a quello, fragile, in Crimea). Per quanto concerne il mondo sunnita, Putin non ha alcuna intenzione di scontrarsi con Paesi come l'Arabia Saudita, l'Egitto, la Giordania, per far felice Teheran. Si tratta di Paesi che possono essere estremamente preziosi per la Russia sia in chiave diplomatica, ma anche in termini commerciali (petrolio, nucleare, armi) e di sicurezza (contrasto al jihadismo sunnita in Russia).
   C'è poi una questione tutta interna alla Russia: per Mosca l'Iran non è solo un alleato, ma anche un importante competitor. Soprattutto nel settore oil & gas, ove il regime iraniano - se completamente rilegittimato - potrebbe contribuire a diversificare l'export di energia verso l'Europa a danno proprio della Russia, ma anche verso alcuni Paesi asiatici (ad esempio la Cina e il Giappone). Senza contare i rapporti con la Turchia, il centro di passaggio per eccellenza dei pipeline verso l'Europa, considerata da Mosca strategica anche in ottica della costruzione del Turkish Stream, importante per aggirare l'Ucraina e ridurne l'importanza geopolitica.
   La domanda finale è: che posizione prenderà il Governo siriano in questa partita? Attualmente, non è possibile avere una risposta definitiva, considerando anche che, fino a qualche giorno fa, le forze siriane erano impegnate a riprendere tutte le aree di Damasco anche con il sostegno delle milizie controllate da Teheran.
   Forse, però, qualche indizio lo si può trovare in merito alla posizione siriana. Un indizio è dato dalla decisione diplomatica recentemente presa dal Governo siriano: il riconoscimento ufficiale dell'indipendenza delle regioni georgiane dell'Abkhazia e del Sud Ossezia, da anni sotto il controllo russo (con annessa decisione di stabilire relazioni diplomatiche bilaterali). Il secondo indizio, è l'intervista concessa in esclusiva da Assad a Russia Today. In quella intervista, ovviamente piena di teorie complottistiche, Assad ha negato la presenza sul suo territorio di truppe iraniane, parlando di "presenza limitata a qualche ufficiale". Apparentemente sembrerebbe una risposta negativa verso Putin, ma non è così. Anzi, la risposta di Assad rappresenta una grande delusione per Teheran.
   Assad, infatti, non solo ha negato la presenza di truppe iraniane, ma lo ha fatto affermando che "non ci sono mai state e se le avessimo invitate non ci saremmo vergognati a dirlo". In altre parole, Assad ha negato le giustificazioni che proprio l'Iran sta dando per mantenere le sue truppe in Siria ("siamo stati invitati dal Governo siriano!"). Indirettamente, quindi, Assad ha dato il suo sostegno all'idea del ritiro dei militari iraniani dalla Siria, sostenendo la posizione russa. Un messaggio probabilmente anche dettato dall'incapacità dimostrata da Teheran di rispondere agli attacchi dell'aviazione israeliana contro obiettivi iraniani all'interno della Siria.
   Questi due indizi - riconoscimento zone separatiste in Georgia e intervista di Assad - lanciano indubbiamente dei segnali importanti. Segnali che l'Europa dovrebbe cogliere. L'Ue, infatti, farebbe bene a smettere di considerare l'Iran una opportunità e aprire gli occhi: quando le sanzioni secondarie saranno definitivamente approvate dalla Casa Bianca a girare le spalle a Teheran saranno in molti, a cominciare da quelli che oggi sono considerati gli "alleati" della Repubblica Islamica.

(Atlantico, 2 giugno 2018)


Nazioni Unite: da mezzo di pace a scimitarra dell'Islam

Il tentativo del Kuwait di far passare una risoluzione che portasse forze straniere e amiche (turche) a Gaza è solo l'ultimo di una serie di fatti a volte incredibili che dimostrano come ormai le Nazioni Unite siano un organismo islamizzato e quindi debole e poco credibile

C'è voluto il veto americano per bloccare una risoluzione presentata dal Kuwait al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che se fosse passata avrebbe portato truppe straniere (turche o pakistane) nella Striscia di Gaza con inimmaginabili conseguenze sugli equilibri regionali. Contemporaneamente lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite respingeva una risoluzione americana che chiedeva di condannare le decine e decine di missili sparati nei giorni scorsi da Hamas e Jihad Islamica contro i civili israeliani.
Questa è la cronaca sintetica di una normale giornata alle Nazioni Unite targate Islam, quelle che danno la direzione del Consiglio dei Diritti Umani a un saudita, che inseriscono l'Iran nella Commissione che dovrebbe tutelare i Diritti delle donne e che ogni giorno producono altre amenità del genere (la lista è lunghissima)....

(Rights Reporters, 2 giugno 2018)


"Giro, emozione unica. E non è finita"

di Adam Smulevich

Tom Dumoulin indossa la prima maglia rosa a Gerusalemme
Un successo su tutta la linea. Da un punto di vista organizzativo, con l'apparato che ha retto perfettamente a tante e diverse sollecitazioni. Ma anche nei contenuti, sportivi e non solo. Con le immagini di un paese normale, letteralmente rapito dalla magia della bicicletta, una vera e propria febbre rosa diffusasi ad ogni livello, che hanno avuto un impatto globale.
   "In tutti i posti in cui sono andato, da quando la corsa si è spostata in Italia, non ho fatto che ricevere complimenti. Gli abbracci, le richieste di selfìe: ho perso il conto. Fino alle ultime salite alpine. Fino al giorno dell'arrivo". E' entusiasta Sylvan Adams, presidente onorario del comitato della Grande Partenza del Giro d'Italia da Gerusalemme. Quella della 101esima edizione della corsa, sottolinea, è stata una scommessa più che vinta. "Un vero trionfo", afferma con orgoglio.
   E al riscontro positivo della tre giorni israeliana, con la cronometro di Gerusalemme e le due successive tappe in linea da Haifa a Tel Aviv e da Beersheva a Eilat che hanno avuto centinaia di televisioni al seguito, si aggiunge una soddisfazione ulteriore per la squadra di casa. La Israel Cycling Academy, di cui Adams è co-proprietario, è infatti riuscita a portare al traguardo dei Fori Imperiali uno dei due corridori israeliani schierati al via. Guy Niv, colpito da un virus al termine di una delle tappe siciliane, e nonostante un eroico tentativo di restare in gruppo la mattina successiva, ha dovuto abbandonare il Giro nelle prime fasi. Ce l'ha fatta invece un altro Guy, il 23enne Sagiv.
   Era uno degli obiettivi della vigilia, da un punto di vista simbolico forse il più significativo, ed è stato centrato. "Sarà una bella sfida. Se riusciremo a vincerla, daremo un grande segnale al paese. Un paese dove di potenziale per questo sport ce n'è tanto, in larga parte da scoprire" raccontava Adams nelle settimane che precedevano la partenza. Scommessa vinta anche in questo caso. Per Guy tanti onori, anche all'arrivo all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv dove ad attenderlo c'è stata una piccola folla festante. E per il movimento ciclistico nel suo insieme l'opportunità di fare il salto di qualità, di andare oltre la contingenza di questo Giro un po' speciale e scrivere un futuro costellato di altre imprese.
   In Israele, nelle giornate della corsa, c'era anche Ofra Farhi. Oggi è viceambasciatrice di Israele in Italia, dopo un precedente mandato come addetta culturale. Ma nel suo passato, tra le esperienze che più l'hanno formata, c'è stato un incarico di vicepresidente della federazione ciclistica. Allora tutto quello che è stato realizzato sarebbe apparso un miraggio, ma le prime fondamenta è stata comunque lei a porle. "Incredibile, incredibile. Mi sembra un sogno" sottolineava guardando la folla raccoltasi lungo tutto il percorso di Gerusalemme. O ancora a Tel Aviv, dove decine di migliaia di persone si sono ritrovate sul traguardo.
   Spettacolo di folla ed emozioni indimenticabili. Sagiv ce l'ha fatta e il suo volto all'arrivo sui Fori diceva tutto: merito individuale, ma anche di squadra. Una squadra, spiega il co-proprietario Ron Baron, "dove si è come in famiglia, una grande famiglia dove tutti si aiutano". E la famiglia Academy, dal 4 al 27 maggio scorso, ce l'ha messa tutta. Anche nel tentativo - arduo, ma non così lontano dall'essere raggiunto - di una vittoria di tappa. C'è mancato poco, anzi pochissimo, perché il veterano degli otto uomini della Academy potesse alzare le braccia al cielo in una delle frazioni più suggestive. E cioè la prima del trittico alpino che ha poi deciso la corsa, con la leggendaria azione in solitaria di Chris Froome. Ventiquattro ore prima, con arrivo a Prato Nevoso, il 38enne spagnolo Ruben Plaza ha azzeccato la fuga di giornata e, rimasto insieme a uno sparuto gruppo di corridori sull'ultima salita, ha giocato le sue carte con saggezza. Venendo più volte staccato, ma tornando sempre sul duo di testa col suo passo. All'ultimo ricongiungimento, a 500 metri dalla fine, sembrava lui il favorito. Non è andata così, ma il suo secondo posto resterà comunque un pezzo di storia dello sport israeliano. Non a caso il team ha parlato di "prova straordinaria, che non sarà dimenticata". E anche lo sponsor italiano, Cristiano De Rosa, si è esaltato: "Atleta con una grande personalità e carisma e una grinta da primato. Grazie Ruben!" ha subito commentato. Passano i giorni, il ricordo si allontana, ma resta la sensazione di aver assistito a qualcosa di davvero unico che non potrà non lasciare un segno anche per il futuro. Si riparte nel segno di valori forti, che hanno pedalato oltre le frequenze dello sport e intessuto una narrazione che ha colpito per intensità e capacità di coinvolgimento. Scriveva Andrea Monti, il direttore della Gazzetta dello Sport, mentre la carovana lasciava Eilat alla volta della Sicilia: "Alla presentazione delle squadre, nella piazza del municipio intasata di gente entusiasta, l'applauso più intenso è andato, insieme con la Israel Cycling Academy, a due formazioni sponsorizzate dagli arabi: Bahrain-Merida e Uae-Team Emirates. Che cosa cambia un battito di mani nel mare dell'odio? Molto per chi lo vuole sentire".

(Pagine Ebraiche, giugno 2018)


Giro d'Italia, due indagati per il sit-in antisemita a Roma

La Rai consegna le immagini della tappa

La brutta conclusione del Giro d'Italia a Roma, domenica scorsa, ha lasciato uno strascico anche in procura. Dopo l'indagine della magistratura contabile per i danni portati dalle buche che hanno impedito la regolare conclusione della manifestazione sportiva, i pm hanno cominciato ad identificare il gruppo di manifestanti che contestava i ciclisti con cori antisemiti. Due di loro sono stati già identificati dalla Digos e iscritti al registro degli indagati, con l'accusa di manifestazione non autorizzata e tentate lesioni per il lancio di bottigliette di plastica mentre il corteo di biciclette sfilava. Altri potrebbero essere individuati nei prossimi giorni, grazie all'acquisizione delle immagini delle telecamere di sorveglianza e - ieri pomeriggio - delle immagini realizzate dalla troupe della Rai. In questo caso ai primi reati potrebbe sommarsi quello di imbrattamento. Le immagini della Rai potrebbero essere utili anche a capire se alla contestazione abbiano partecipato in più occasioni le stesse persone e se dunque ci fosse un unica regia mirata a interrompere la manifestazione sportiva. La tv pubblica ha seguito tutte le ventuno tappe e aveva la concessione anche delle telecamere montate sulle moto che accompagnano la corsa, dunque potrebbe essere più semplice il raffronto tra momenti diversi del Giro. Ad accendere gli animi dei manifestanti pro Palestina, la decisione di far partire la corsa da Gerusalemme, proprio nell'anno in cui Israele ha deciso di dichiararla capitale dello stato. Sa. Men.

(Il Messaggero, 2 giugno 2018)


Sul sughero si legge la storia del mondo.

A Palermo le opere dell'artista israeliano Avner Sher dal 14 al 31 agosto

 
Avner Sher è un artista Israeliano che utilizza il sughero come materiale principale per le sue opere. Lo incide, lo graffia, lo brucia, lo tratta con materiali diversi che insinuandosi tra le rughe creano una sorta di pergamena su cui esprimere, per mezzo del linguaggio visivo, i sentimenti contrastanti di disperazione e di speranza che l'autore condivide con il suo popolo.
   Dopo aver organizzato numerose mostre in tutto il mondo, l'artista sarà presente, da Giovedì 14 giugno alle 18,30 e fino al 31 Agosto, nella Sala delle Verifiche e nel primo cortile del complesso monumentale dello Steri a Palermo con la mostra "Bridge Palermo Jerusalem". La mostra è organizzata da Acribia in accordo con l'Università di Palermo, gode del patrocinio dell'Ambasciata di Israele ed è inserita nel programma di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018.
   "Un progetto site-specific realizzato per l'Università degli Studi, che si rivela particolarmente significativo - spiega il Rettore Fabrizio Micari - da un lato, si ricollega alla poetica di Avner Sher, profondamente legata a Gerusalemme e ai concetti di distruzione e rinascita associati alla storia del popolo ebraico; dall'altro, si radica nella città che ospita la mostra scaturendo da un'originale ricerca su riproduzioni di carte antiche di Palermo".
   Per questa mostra Avner Sher sta ideando un progetto site-specific che si riallaccia al precedente "950 mq: Topografie alternative" curato da Smadar Sheffi al Museo della Torre di David della Storia di Gerusalemme.
   L'artista coglie l'essenza della città Palermitana attraverso lo studio di riproduzioni di antiche carte, ne vede le diverse sovrapposizioni culturali, fonde la storia con la modernità e il risultato è una mappa illusoria su sughero per un racconto immaginario, colmo di desideri e di rabbia, del capoluogo siciliano. Avner Sher con il suo sguardo si immerge all'interno della città, strade, stradine, odori, voci, diverse religioni, tutte antiche espressioni di un passato glorioso fatto di incontri, di scambi Culturali e Commerciali che la rendono unica.
   Nel cortile saranno sistemati quattro obelischi due rossi e due neri espressione di diverse sovrapposizioni Culturali. I due rossi rievocano il mito della creazione giudaico-cristiana, su quelli neri sono incisi simboli africani che non presuppongono la conoscenza della cultura Africana. Sul pavimento sono sparsi piccoli pezzi di legno su cui sono incise richieste di aiuto in diverse lingue africane.
   L'artista si ispira ad antichi linguaggi visivi, richiama antichi popoli, ma anche il primo Moderni-smo e l'estetica dei primi giochi per i computer.

(Esperonews, 2 giugno 2018)


Le false speranze nella hudna con Hamas

Non può venire nulla di buono da una "tregua" che per la tradizione islamica ha lo scopo di permettere ai musulmani di riorganizzarsi per nuovi combattimenti

Secondo quanto riportato da diversi mass-media, tempo fa Hamas avrebbe fatto conoscere a Israele la propria disponibilità ad impegnarsi in una hudna ("tregua") a lungo termine che prevedrebbe la cessazione del blocco anti-terrorismo da parte di Israele ed Egitto e il libero passaggio di fondi destinati a riabilitare l'economia di Gaza in cambio della restituzione da parte di Hamas di due civili israeliani trattenuti come ostaggi dal gruppo terroristico e delle salme di due soldati israeliani caduti a Gaza nel 2014. Stando a molti mass-media, non raccogliendo queste "aperture" di Hamas, Israele si sarebbe reso responsabile del fallimento del possibile accordo....

(israele.net, 2 giugno 2018)


Assad ha mentito sull'assenza di forze iraniane in Siria

Il ministro dell'Energia israeliano, Yuval Steinitz, ha accusato il presidente siriano, Bashar al Assad, di aver mentito dichiarando che non sono presenti forze iraniane nel paese. In un'intervista rilasciata al quotidiano "Yedioth Ahronoth", l'esponente del partito Likud ha detto: "Ci sono forze iraniane e c'è una presenza iraniana in Siria. Tutti lo sanno". Inoltre, "sia milizie iraniane ed anche un generale è stato ucciso in Siria, sia di recente che in passato", ha aggiunto. "Non è la prima volta che Assad mente", ha proseguito Steinitz, che ha definito le dichiarazioni di Assad "propaganda spicciola". Il presidente siriano "ha consentito agli iraniani, ad Hezbollah ed alle milizie sciite sostenute dall'Iran di entrare nelle sue basi militari contro lo Stato di Israele e forse contro l'intera regione", ha affermato Steinitz, ribadendo: "Siamo determinati a prevenire tutto ciò".

(Agenzia Nova, 1 giugno 2018)


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La Russia mette all'angolo Assad. Via dal Golan tutte le milizie sciite

L'intesa fra Putin e Netanyahu consente la creazione di "una zona cuscinetto senza presenza lraniana" In cambio Damasco avrà il via libera per riconquistare la provincia di Oaraa. Ma senza aiuti esterni. Il Cremlino nei giorni scorsi aveva detto che le forze straniere dovevano lasciare la Siria

di Giordano Stabile

 
L'accordo Russia-Israele, raggiunto nel colloquio fra il presidente Vladimir Putin e il premier Benjamin Netanyahu il 9 maggio a Mosca, ha il primo effetto sul terreno in Siria. Le milizie sciite appoggiate dall'Iran, a cominciare da Hezbollah, si ritireranno da tutta l'area a ridosso del Golan, e verrà a crearsi così una zona cuscinetto «senza presenza militare iraniana», la principale richiesta israeliana per futuri assetti in Siria.
   Segno che l'intesa di Mosca regge e si allarga la divergenza strategica tra i russi e gli iraniani sul teatro siriano. Putin guarda già oltre le prossime battaglie, vuole un accordo di pace che accontenti anche lo Stato ebraico e dia alla Russia la statura di «onesto mediatore» negli affari mediorientali.
   L'accordo è stato confermato anche dall'opposizione siriana, attraverso l'Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha notato attraverso la sua rete di informatori i preparativi per il ritiro delle milizie nelle province di Quneitra e Daraa.
   Fonti vicine a Hezbollah hanno invece smentito, mentre il governo siriano fino a ieri sera non aveva commentato. Ma in realtà il presidente Bashar al-Assad, dopo molte resistenze, avrebbe accettato la proposta russa. La zona cuscinetto sarà probabilmente profonda 60 chilometri, come chiesto l'anno scorso dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. I dettagli sono stati discussi ieri a Mosca dai ministri della Difesa russo e israeliano, Sergei Shoigu e Avigdor Lieberman, che ha detto di apprezzare «la comprensione della Russia per le nostre preoccupazioni per la sicurezza, in particolare al confine Nord». Netanyahu aveva espresso le sue richieste a Putin nel lungo colloquio il 9 maggio scorso a Mosca, in occasione delle celebrazioni della vittoria russa contro la Germania nazista. Putin aveva dichiarato qualche giorno dopo che le «forze militari straniere» avrebbero dovuto ritirarsi dalla Siria una volta sconfitte le formazioni terroristiche.
   L'Iran aveva protestato e ribattuto che i suoi consiglieri militari sono in Siria su richiesta del governo siriano. Putin e Netanyahu si sono parlati di nuovo ieri al telefono «come follow-up dei colloqui del 9 maggio» e hanno discusso «alcuni aspetti dell'accordo di pace siriano». Due giorni fa Netanyahu aveva ribadito che in Siria non doveva esserci posto per la «presenza militare iraniana, in alcun luogo». Ma sembra aver accettato il compromesso.
   Assad ha ottenuto in cambio il via libera da Mosca per la riconquista della provincia di Daraa. Se ci sarà un'offensiva sarà condotta però con sole forze militari siriane, senza milizie straniere. Il principale obiettivo è riaprire il valico di frontiera che porta ad Amman, in modo da ripristinare il collegamento autostradale fra la capitale siriana e quella giordana. Prima ci sarà una mediazione russa con i ribelli di Jaysh al-Khor, l'Esercito libero siriano.
Mosca offre, come già nella Ghouta, il trasferimento di combattenti e famiglie nel Nord della Siria, sotto protezione turca. In cambio i ribelli dovranno consegnare le armi pesanti. La polizia militare russa sorveglierà i punti di accesso all'area, in particolare quelli più vicini alla Giordania e a Israele.

(La Stampa, 1 giugno 2018)


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"Yedioth Ahronoth": l'Iran ostacola la strategia di Putin in Siria

La richiesta russa di allontanare le "forze straniere" dalla Siria non è guidata dall'interesse del presidente Vladimir Putin per il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, o per lo Stato ebraico, ma perché l'Iran sta fermando gli sforzi di Mosca per stabilizzare la situazione e sta cercando di competere con la Federazione a livello economico (anche nel settore degli idrocarburi e dei fosfati) nei progetti post-conflitto. Lo afferma un editoriale pubblicato oggi dal quotidiano israeliano "Yedioth Ahronoth", in concomitanza con la visita a Mosca del ministro della Difesa Avigdor Liberman. "L'intervento militare in Siria di Putin è l'iniziativa più importante e di successo a livello internazionale negli ultimi dieci anni", si legge nell'approfondimento. Secondo l'autore, in tal modo Mosca è diventata una "potenza guida nel Medio Oriente, togliendo gli Stati Uniti dalla loro posizione esclusiva di influenza a livello regionale". L'analisi pubblicata da "Yedioth Ahronot" prosegue affermando che "Putin vuole ottenere come risultato vantaggi economici" durante la fase di ricostruzione del paese, dopo la distruzione della guerra civile. Inoltre, per l'editorialista Putin è intenzionato anche a ridurre la presenza militare e quindi le spese in Siria. "Per raggiungere questi obiettivi, la Russia ha bisogno di imporre l'autorità del presidente Bashar al Assad su tutto il territorio siriano, a livello militare ed operativo, per raggiungere un accordo diplomatico che ponga fine alla guerra civile e faciliti lo sviluppo di iniziative economiche". Nel caso in cui la situazione dovesse seguire questo schema, si legge, Putin guadagnerebbe prestigio fino ad aprire un dialogo con la Corea del Nord. Secondo l'editorialista è questo il quadro da tenere in considerazione per capire il motivo per cui i russi sono interessati ad evitare un conflitto tra Israele, Iran, Assad ed il movimento sciita libanese Hezbollah sul territorio siriano, oltre a fornire una spiegazione del perché in questa fase la Russia sembra condividere la posizione di Israele chiedendo di togliere la presenza di truppe straniere dalla Siria.

(Agenzia Nova, 1 giugno 2018)


Arriva l'opera multimediale di Yuval Avital

Rappresentazione per musica e immagini ispirata alla figura biblica di Giobbe

di Paola Pariset

Liliana Segre e Yuval Avital
ROMA - «Giobbe»: è il breve titolo dell'impressionante evento multimediale dell'israeliano Yuval Avital, che oggi alle 21 chiude - tra i reperti archeologici delle Terme di Diocleziano - i tre giorni dedicati dall'UCEI all'80o anniversario della promulgazione delle leggi razziali, in questo anno in cui l'Italia entra nell'IHRA (Associazione Internazionale per la Memoria dell'Olocausto). L'evento è curato da Marilena Catelli Francese e da Vìviana Kasam. Yuval Avital è artista molto noto per la sua curiosità e sperimentalismo artistico: compositore e chitarrista, ha creato un'opera definita icono-sonora - noi diciamo multimediale - e musicalmente molto articolata. E' ispirata alla figura biblica di Giobbe - il libretto è dell'ebraista H. Baharier e della critica teatrale Magda Poli - e si avvale della 'narratrice silenziosa' Liliana Segre, senatrice a vita sopravvissuta all'Olocausto, oltre che delle voci narranti di Lorenzo Lucchetti e Gaia Petronio. Le sconvolgenti immagini surreali provengono dall'Osservatorio Solare della Nasa e dai materiali di RAI Teche, che daranno forza al tema della persecuzione razziale. Il compositore ha poi fatto ricorso all'Ensemble Vocale Auditivvokal di Dresda, all'Orchestra Contempora del Parco della Musica diretta da Tonino Battista, ai Cori Tradizionali (con solisti) delle tre religioni monoteiste .

(Il Tempo, 1 giugno 2018)


Concorso "Alla scoperta di Israele" 2018/2019

Pubblicato il Bando del concorso per studenti delle scuole superiori italiane. Ai migliori elaborati, viaggio-premio di una settimana in Israele.

La realtà storica e culturale del Novecento in Italia e nel mondo è parte integrante e sostanziale dei programmi di studio e del percorso formativo delle scuole secondarie di secondo grado. La complessa vicenda storica del secolo scorso ha conosciuto drammatici eventi di rifiuto e di intolleranza, connotati da violenze senza precedenti, seguiti però anche da tentativi ed esperienze di rinascita e di dialogo fra popoli e culture tali da ispirare nuova speranza per le generazioni future....

(israele.net, 1 giugno 2018)


Come esercitare la Memoria

di Rav Alberto Moshe Somekh

Ricordo dai libri d'arte che il Santuario di Vicoforte presso Mondovì, dove lo scorso inverno hanno trovato requie le spoglie mortali del re Vittorio Emanuele III rientrate dall'Egitto, è famoso nella storia dell'architettura per il fatto di sorreggere la cupola ellittica più grande del mondo. Essa fu eseguita nel primo Settecento, pochi anni dopo che il minuscolo Ducato dei Savoia divenne un Regno. L'edificio apre e chiude così la storia di una dinastia accogliendo una figura a sua volta ... ellittica, nel senso di "mancante". Fra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Torino è stato recentemente pubblicato un poema in ebraico e italiano, dedicato da un certo Diodato Segre a Carlo Emanuele I nel 1622. Questo ebreo di corte ebbe a lodare il casato ebraicizzandone il nome in Shevuyah. Pochi avranno allora apprezzato l'ironia. Il termine significa in realtà: "la prigioniera"!
 
Meghillat Ester, Israel Museum, Gerusalemme
   A 170 anni dallo Statuto Albertino e a 80 dalle Leggi razziste, il 16 febbraio scorso si è svolto presso la stessa Biblioteca Nazionale un convegno su "Religione e Democrazia", promosso congiuntamente dalle Comunità valdese ed ebraica. Il professor Sergio Soave dell' ateneo torinese ha tenuto una approfondita relazione intitolata: "Dalle persecuzioni secolari alle lettere patenti: il doppio volto di una dinastia''. Ha ripercorso 250 anni di relazioni fra i valdesi e i Savoia dal 1532, anno del primo sinodo di Cianforan, fino alla Rivoluzione Francese. Ho così potuto confrontare le vicende della Comunità ebraica con una storia a tutti gli effetti parallela. Emanuele Filiberto, per esempio, stipulò con i valdesi un accordo che pose fine ad anni di eccidi nello stesso periodo in cui invitava gli ebrei sefarditi a stabilirsi nel Ducato per incentivarne l'economia. Dalla lezione è emerso in particolare come i rapporti fra la minoranza valdese e la casa regnante abbiano visto alternarsi sistematicamente atteggiamenti persecutori a periodi di distensione. Non estraneo a ciò è stato, secondo lo storico, il legame dei Savoia con la Chiesa cattolica. Il richiamo al trascendente da questa incarnato sarebbe stato indispensabile per giustificare il loro dominio su un territorio ristretto e anomalo, situato a cavallo di alte montagne e poco più. È noto d'altronde che quando si trattò di attuare nei nostri confronti la politica di reclusione nei Ghetti i Savoia furono fra gli ultimi regnanti in Europa a piegarsi al diktat del Papa: a Torino il ghetto fu istituito solo nel 1679, nel resto del Piemonte addirittura nel 1723. Anche la firma delle Leggi razziste da parte del re Vittorio Emanuele nel 1938 si colloca in questa lunga tradizione politica altalenante. Per quanto la ferita sia ancora aperta, è una delle tante nella nostra storia plurisecolare. Mi domando se le recenti polemiche conseguenti alla traslazione delle esimie esuvie non siano state sopra le righe. Me lo suggerisce anzitutto il concetto halakhico di kevod ha-malkhut, "dignità del regno" (cfr. Midrash Tanchumà, P. Miqqetz, 9). "H. parlò a Moshe e Aharon e li incaricò riguardo ai Figli d'Israel e al Faraone re d'Egitto, affinché facesse uscire i figli d'Israel dalla terra d'Egitto" (Shemot 6,13). Rashì si interroga sulla menzione speciale riservata al Faraone in questo versetto e spiega che "H. li incaricò di attribuirgli il giusto onore" in quanto re d'Egitto, ancorché si trattava di un persecutore. La Meghillat Ester riferisce con dovizia di particolari la tragica fine di Haman e dei suoi dieci figli, ma non fa alcuna menzione della morte del re Achashverosh, benché quest'ultimo avesse ratificato lo scellerato decreto di sterminio degli Ebrei promosso dal Primo Ministro in carica. Neppure il Midrash, che non lesina pesanti ironie e un giudizio negativo nei confronti del re di Persia, sembra interessato all'argomento. La Halakhah prescrive la recitazione di una apposita Berakhah alla vista di un re, anche non ebreo. L'obbligo sussiste persino nei confronti di un malvagio, perché la moralità del re passa qui in secondo piano rispetto all'onore e alla grandezza (kavòd u-gdullah) dovuti al suo rango. Lo scopo è anzi proprio rimpiangere gli antichi re d'Israel: "se tanta è la dignità che D. riserva a un re non ebreo, quanto maggiore sarà quella che Egli riserverà ai re d'Israel, possa il loro regno essere presto ripristinato" (Shulchan 'Arukh, Orach Chayim 224, 8-9 e Kafha-Chayim ad loc.). Può ancora essere affermato che la caduta della monarchia nel 1946 ha già espiato per le mancanze del re. Senza ridurre le oggettive responsabilità di questi, trovo difficile pretendere che il popolo italiano ora rinunci ad onorare la figura di quello che, nel bene e nel male, fu Capo dello Stato per molti anni. E forse è una politica a lungo andare controproducente. Se dovessimo portare eterno rancore verso chi ha firmato contro di noi, smarriremmo ogni senso sociale. Meglio tacere e compatire. La Shoah non può diventare la misura di tutte le cose. "Non detestare l'Egiziano, perché ospite sei stato nella sua terra" (Devarim 23,8). Sono trascorsi 80 anni? Non dobbiamo dimenticare. Ma domandiamoci se noi più giovani esercitiamo la Memoria per sacro rispetto dei martiri del nostro popolo o se invece lo facciamo pensando alla nostra visibilità. In tal caso sarebbe più onesto voltare pagina. Il nostro futuro poggia su altre basi. Con il declino dei superstiti occorre rinforzare l'immunità? Ricordiamoci che l'antisemitismo è come il virus dell'influenza: ti vaccini contro un ceppo e l'altro ti aggredisce!

(Pagine Ebraiche, 1 giugno 2018)


Il gay pride di Tel Aviv

Israele pronta per l'evento dell'anno

di Elena Loewenthal

C'è anche chi, con buona dose di sterile sprezzo, lo definisce «pink washing»: il politicamente corretto della libertà sessuale, che in Israele sarebbe il modo per distogliere dal conflitto con i palestinesi l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale. Sta di fatto che Tel Aviv è ormai universalmente nota come la città più gay friendly del mondo, dove il rispetto delle scelte individuali si esercita su una vasta piattaforma che va dall'abbigliamento ai gusti sessuali alla creatività artistica. Qui tutto è sempre aperto, un po' come l'orizzonte sconfinato sul mare.
   La settimana del gay pride è da queste parti uno degli eventi più al top dell'anno, forse il più clamoroso- anche se quest'anno dovrà giocarsi il primato con l'avvio del Giro d'Italia, qualche settimana fa. Sta di fatto che a pochi giorni di distanza dalla gay parade che l'8 giugno prossimo fermerà il traffico della città e la riempirà di colori sgargianti, musica, performance d'ogni sorta, tutta Tel Aviv è piena di bandiere arcobaleno che sventolano per le strade, appese ai balconi delle case, dentro i negozi. Ovunque dei cartelli stradali indicano i luoghi fulcro della settimana del gay pride, che prevede eventi ludici ma anche incontri e dibattiti. Ristoranti, locali, alberghi e spiagge offrono pacchetti d'accoglienza creati apposta per l'evento. Il palazzo del municipio in piazza Rabin si appresta a tingersi dei colori dei gay pride in un gioco di luci più allegro che mai.C'è insomma un coinvolgimento totale della città che, come scandiscono i suoi slogan preferiti, «non dorme mai e non sta mai ferma»: ed è proprio così, più che mai in questo 2018 - settantesimo compleanno dello stato ebraico - quando per curiosa coincidenza la settimana del gay pride si accavalla a quella del Taglit, il «viaggio scoperta» fatto apposta per i ragazzi ebrei della Diaspora, che sono arrivati qui a migliaia.
   Ma la cosa più stupefacente di questa settimana dell'orgoglio omosessuale a Tel Aviv è la sua normalità, che è lo specchio di quello che la città è giorno dopo giorno, nella sua quotidianità: coppie di genitori dello stesso sesso ai giardinetti con il passeggino, alti ufficiali dell'esercito che fanno coming out senza per questo occupare pagine di giornale. Certo, Tel Aviv non è tutto Israele e Israele è un insieme di mondi diversi, a volte opposti fra di loro. Ma è pur vero che qui la settimana del gay pride ha dalla sua il fatto di essere ormai parte della città in un modo così pregnante che quasi tutti i cittadini sentono queste giornate come qualcosa che appartiene a Tel Aviv, che sta dentro il suo cuore.

(La Stampa, 1 giugno 2018)


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Omofobia

"Omofobia" è un neologismo introdotto in modo puramente strumentale per ingiuriare e intimorire chi non manifesta consenso all'ideologia omofiliaca nelle sue varie forme: omosessualità, bisessualità, transgender e altro. La paura qui non c'entra niente. Il rifiuto di questo modo di pensare, vivere e fare pressioni sulla società ha diversi motivi che possono non essere condivisi, ma sono comunque tutti validi. Il motivi possono essere:
  • Emotivi - Senso di disgusto e repulsione davanti a sfacciate e "fiere" esposizioni in pubblico di effusioni omosessuali.
  • Politici - Convinzione che l'accettazione legalmente riconosciuta dell'omosessualità sia un elemento di grave disgregazione della società, il che implica che tutti devono avere il diritto di esprimere la propria netta opposizione senza ricevere epiteti ingiuriosi e intimidatori.
  • Religiosi - Fede in un Dio che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza ("li creò maschio e femmina", Genesi 1:27), e conseguente convinzione che rapporti come quelli propugnati dal movimento omofilo sono in aperta ribellione a Dio, e che ad essi dunque è doveroso opporre decisa resistenza, non con la lapidazione o il pugnale come fanno gli islamici, ma con una parola ferma e chiara, oltre che con l'esempio.
Purtroppo lo Stato ebraico si è spinto così avanti nell'approvazione e nella pratica di depravati costumi sessuali occidentali da arrivare al punto di vantarsi del primato raggiunto nella loro omologazione giuridica. E' un fatto grave, un'emblematica scelta di indipendenza da quel Dio da cui in ultima analisi proviene il suo fondamentale diritto a vivere e governare su quella terra. Questo diritto non gli sarà tolto, ma è certo che di questo e di altro ancora dovrà un giorno rendere conto al Signore.
E dovranno renderne conto anche tutti coloro che proprio su questo punto lodano e appoggiano Israele. M.C.

(Notizie su Israele, 1 giugno 2018)



Un capolavoro del diavolo
Essere riuscito a fare in modo
che il mondo considerasse Tel Aviv
capitale degli omosessuali
e nello stesso tempo scegliesse Tel Aviv
come capitale d'Israele
al posto di Gerusalemme
è un capolavoro del diavolo.

 


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