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Notizie 16-30 giugno 2018



«Sforzatevi di entrare per la porta stretta»

Gesù attraversava città e villaggi, insegnando e avvicinandosi a Gerusalemme. Un tale gli disse: «Signore, sono pochi i salvati?» Ed egli disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché io vi dico che molti cercheranno di entrare e non potranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, stando di fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici”. Ed egli vi risponderà: “Io non so da dove venite”. Allora comincerete a dire: “Noi abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza, e tu hai insegnato nelle nostre piazze!” Ed egli dirà: “Io vi dico che non so da dove venite. Allontanatevi da me, voi tutti, malfattori”. Là ci sarà pianto e stridor di denti, quando vedrete Abraamo, Isacco, Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi ne sarete buttati fuori. E ne verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno, e staranno a tavola nel regno di Dio. Ecco, vi sono degli ultimi che saranno primi e dei primi che saranno ultimi».

Dal Vangelo di Luca, cap. 13

 


Il presidente Abbas ha rifiutato l'incontro con gli inviati Usa per il piano di pace

LONDRA - Il presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, ha rifiutato di incontrare nelle scorse settimana il consigliere della Casa Bianca, Jared Kushner, e l'inviato speciale statunitense per il Medio Oriente, Jason Greenblatt. Lo riferisce oggi il quotidiano panarabo edito a Londra "Al Hayat" che cita fonti diplomatiche. Secondo la fonte, Abbas ha percepito la proposta di incontro come un tentativo di Washington di spingere i palestinesi ad accettare un processo di pace favorevole agli israeliani. L'invito ad Abbas sarebbe giunto tramite l'Egitto, paese che Kushner e Greenblatt hanno visitato nelle scorse settimane, oltre a Giordania, Qatar, Israele e Arabia Saudita. La leadership palestinese non incontra ufficialmente rappresentanti statunitensi da quando il 6 dicembre scorso il presidente Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale ufficiale di Israele.

(Agenzia Nova, 30 giugno 2018)


Gli occhiali di realtà aumentata regalano la vista a chi non ce l'ha

MyEye, dispositivo messo a punto dall'israeliana OrCam, si fissa all'asta degli occhiali. Grazie a una micro videocamera e al riconoscimento dei gesti, può diventare l'assistente personale di chi ha difficoltà visive.

di Valentina Bernocco

Dai primi Google Glass, ne è stata fatta di strada. Gli occhiali di realtà aumentata forse non sono diventati un fenomeno tecnologico di massa, come inizialmente speravano in quel di Mountain View, però in compenso hanno dimostrato la propria utilità in numerose applicazioni verticali, dalla chiurugia alla odontoiatrica, dalla gestione dei magazzini all'intrattenimento ludico. Ma c'è anche un altro, peculiare utilizzo degli smart glassess, quello di MyEye: creata dalla israeliana OrCam Technologies, questa soluzione può essere messa al servizio delle persone con difficoltà visive di vario tipo, inclusi i non vedenti.
Nella sua nuova versione MyEye 2.0, introdotta lo scorso aprile, è stato messo a punto un oggetto da 22,5 grammi di peso, che può essere fissato sull'asta di un qualsiasi tipo di occhiale. In esso sono racchiusi una microscopica videocamera, uno speaker e un software di riconocimento delle immagini che può memorizzare fino a cento volti diversi, distinguere una banconota da un'altra, leggere un testo scritto. La funzionalità di realtà aumentata si attiva all'occorrenza, quando la persona esegue un gesto specifico e codificato (un "gesture"), come per esempio quello di puntare il dito, oppure semplicemente seguendo il campo visivo di chi indossa gli occhiali. Ci siamo fatti raccontare qualcosa in più da Rotem Geslevich, business development director di OrCam.

 Come è nata la vostra tecnologia?
  Prima di tutto vale la pena raccontare come e perché nasce OrCam Technologies, azienda fondata nel 2010 in Israele, a Gerusalemme, dal professore di informatica Amnon Shashua e dall'imprenditore Ziv Aviram, che insieme hanno ideato, più di dieci anni prima, Mobileye, sistema di assistenza alla guida di portata globale. Dopo il successo di Mobileye, installato su più di 22 milioni di automobili nel mondo (la società è stata acquisita da Intel, ndr), la collaborazione tra Amnon Shashua e Ziv Aviram ha portato alla nascita di una nuova azienda che vuole essere pioniere nello sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative per l'assistenza delle persone non vedenti, ipovedenti o con difficoltà visive.
  Gli anni trascorsi tra il 2010 e il 2015 hanno permesso al team di lavoro, all'inizio totalmente dedicato al comparto Ricerca e Sviluppo, di mettere a punto una tecnologia di visione artificiale che si traduce in un insieme di processi di decodifica e memorizzazione di messaggi, lettura di etichette e informazioni su prodotti di consumo, banconote, identificazione dell'orario, riconoscimento di tratti fisionomici, al servizio di tutte le persone a cui cecità, ipovisione o altre patologie legate alla vista rendono impossibile la lettura o il riconoscimento di volti. La ricerca portata avanti ha permesso di integrare la nuova tecnologia all'interno di una smart camera delle dimensioni di un dito, con l'obiettivo di favorire e incrementare il più possibile una piena autonomia delle persone con questo tipo di disabilità.

 Come funziona?
  OrCam MyEye 2.0 è l'evoluzione delle tecnologie precedentemente sviluppate con OrCam MyEye. Si tratta di una soluzione end-to-end che si serve della computer vision non solo per le funzionalità principali, ma anche a livello della stessa interfaccia utente. Wireless, compatto e leggero, racchiude in un oggetto delle dimensioni di un dito gli sviluppi più avanzati in fatto di tecnologia assistiva per la visione artificiale e di "gesture technology", una tecnologia futuristica che si attiva ed esegue operazioni interpretando i gesti.
  Le funzionalità sono molto varie: OrCam MyEye 2.0 legge in tempo reale testi stampati e in formato digitale, su qualsiasi superficie; capta la presenza di una persona nel campo visivo della smart camera e, una volta memorizzata in archivio, la riconosce istantaneamente, dando così all'utente piena autonomia anche quando è fuori casa e in mezzo a tante persone; identifica prodotti di consumo, colori e banconote. Dato che tutte le operazioni sono processate offline, senza la necessità di una connessione Internet, la comunicazione in formato audio di importanti informazioni visive avviene in totale sicurezza, garantendo il rispetto della privacy.

 In che cosa si differenzia da altre soluzioni?
  Al momento a livello mondiale quella di OrCam MyEye 2.0 è una tecnologia unica. I plus che possono essere evidenziati sono sicuramente la portabilità dell'oggetto, unita a un elevato corpus di funzioni, che vanno dalla lettura alla funzione di orologio (il quale si attiva ruotando il braccio davanti all'occhiale proprio come se si dovesse guardare l'ora al polso), arrivando all'identificazione di prodotti e marchi tramite codice a barre e colori. Un'altra grande novità rappresentata da questo strumento è il fatto di operare in modo molto discreto, migliorando concretamente la vita quotidiana di chi lo utilizza, dal gesto di leggere un libro al momento dell'ordinazione dal menù al ristorante.

 Quali applicazioni immaginate possano prendere piede?
  Tutte le funzioni sono utili e importanti a incrementare l'autonomia delle persone con disabilità di natura visiva, un bacino potenziale di utenti che in Italia comprende 362mila non vedenti e un milione e mezzo di ipovedenti. Grazie all'uso di OrCam MyEye 2.0 queste persone potranno leggere un libro, andare a fare la spesa da soli visionando marchi ed etichette scegliendo prodotti in autonomia, cenare al ristorante senza dover farsi assistere da qualcuno nella scelta dei piatti, soprattutto se pensiamo che i libri, gli opuscoli e le confezioni di prodotti che contemplino il braille fanno ancora parte di un lontano futuro.
  Non bisogna poi dimenticare l'utilità di questo dispositivo per un altro potenziale bacino di utenti: le oltre 350mila persone che in Italia sono affette da dislessia grave, che impedisce una corretta lettura di testi e parole. A queste persone va infine aggiunto un ampio corpus di persone che potranno avere da OrCam MyEye 2.0 degli importanti benefici indiretti: si tratta dei cosiddetti "caregiver", che dedicano parte del loro tempo a seguire a loro carico congiunti o familiari con patologie gravi e disabilità. Ben nove milioni di persone in Italia, il 25% dei quali costretti ad abbandonare la loro attività professionale.

 Quando e come arriverà sul mercato italiano e con quali costi?
  Dopo il lancio, tra gli altri, in Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna, Israele e Australia, è da poco disponibile la versione di OrCam MyEye 2.0 in lingua italiana. Il device è in vendita presso un'ampia rete di distributori sul territorio italiano. All'atto dell'acquisto OrCam Technologies garantisce sempre un accurato training gratuito per illustrare tutte le funzionalità del dispositivo e agevolarne l'utilizzo. Per quanto riguarda i costi, il nuovo device costa 4.500 euro, mentre la prima versione di OrCam Myeye si attesta sui 3.900 euro per il device con funzione di riconoscimento facciale e 2.900 euro per la versione di sola lettura.

 Che tipo di distribuzione/politica commerciale pensate di portare avanti?
  Il nostro obiettivo è di affiancare le persone ipovedenti, non vedenti, con problemi di lettura, inclusi i soggetti dislessici e coloro che faticano a leggere per diversi motivi, aiutandoli a studiare, lavorare e vivere le loro giornate con un alto livello di indipendenza. Per questo motivo, in tutti i Paesi in cui vendiamo i nostri prodotti, Italia inclusa, lavoriamo per incentivare sovvenzioni o rimborsi da parte del sistema sanitario. In ogni Paese operiamo inoltre a contatto con le associazioni di persone non vedenti e con le istituzioni per attivare forme di assistenza per quanto concerne i servizi sanitari. I costi del device possono infine essere già rimborsati in percentuale variabile a seconda dei casi e delle regioni.

(ictBusiness, 30 giugno 2018)


Erdogan sarebbe entrato a gamba tesa su Gerusalemme Est

di Tommaso dal Passo

Arabia Saudita, Giordania e Palestina hanno avvertito Israele in diverse e separate occasioni della dilagante influenza della Turchia a Gerusalemme Est. Secondo Haaretz, i tre paesi arabi hanno detto a Israele che la Turchia stava «estendendo la sua influenza nei quartieri arabi di Gerusalemme nell'ambito di un tentativo del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di rivendicare l'interesse esclusivo di Ankara sulla questione di Gerusalemme.
   Fonti israeliane hanno affermato di essere a conoscenza della crescente influenza della Turchia e dicono di aver monitorato gli sforzi di Ankara da più di un anno. Secondo il quotidiano israeliano e Al Jazeera che rilancia la notizia, la Giordania sarebbe rimasta sconvolta dalla lenta risposta di Israele, soprattutto dopo la firma di un accordo di riconciliazione del 2016 che Israele è fermamente intenzionato a mantenere. L'Autorità palestinese ha, inoltre, espresso preoccupazione per l'impegno della Turchia nel rafforzare la sua influenza a Gerusalemme est, sotto forma di donazioni a organizzazioni islamiche nei quartieri arabi o di visite organizzate di gruppi musulmani turchi strettamente legati al partito Akp.
   La Difesa israeliana ha riferito al quotidiano israeliano che il fenomeno ha raggiunto il suo apice nel 2017 con centinaia di cittadini turchi che hanno stabilito «una presenza regolare in città e nei dintorni» e si sono scontrati sempre di più con le forze di polizia durante le preghiere del venerdì nella moschea Al-Aqsa di Gerusalemme. La polizia ha detto che i turchi stanno cercando di comprare beni immobili e rafforzare la loro posizione politica.
   Le preoccupazioni della Giordania derivano dal fatto che gli sforzi della Turchia per ampliare la sua influenza rischiano di compromettere la posizione del regno hashemita come custode del terzo sito più sacro dell'Islam.
   L'Arabia Saudita, da parte sua, teme che le ambizioni di Erdogan su Gerusalemme possano contribuire a rafforzare la sua immagine nel mondo arabo e musulmano in generale, presentandolo, di fatto, come l'unico leader che si opponga veramente a Israele e all'Amministrazione Trump.

(AGC Communication, 30 giugno 2018)


I soldati israeliani attraversano il confine per portare aiuti ai profughi

L'altra notte i soldati israeliani hanno superato il confine siriano per portare tonnellate di aiuti alle decine di migliaia profughi fuggiti da Daraa dopo l'assalto dei governativi. I profughi si trovano in quattro accampamenti nella parte siriana delle Alture del Golan. I militari hanno consegnato loro 300 tende, 13 tonnellate di cibo, 15 tonnellate di alimenti per bambini, 30 tonnellate di vestiti, medicine ed equipaggiamenti medici. L'operazione è durata molte ore. L'Esercito ha precisato che non verrà permesso agli sfollati di entrare in territorio israeliano, e che il primo compito delle Forze di difesa è quello di garantire gli interessi di sicurezza del Paese; ma i militari, è stato precisato, proseguiranno nel monitoraggio della situazione nella Siria meridionale, senza escludere di continuare a fornire aiuto umanitario ai siriani in fuga (forma di assistenza, ha spiegato Idf, messa in atto da anni durante la guerra in Siria, insieme alla politica di non-intervento). Il ministro della Difesa Avigdor Lieberrnan ha confermato: «Come sempre, saremo disposti ad offrire ogni aiuto umanitario per i civili. Ma non accoglieremo i profughi».

(Avvenire, 30 giugno 2018)


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Israele e il dilemma sui profughi: portare aiuto a chi lo vuole morto

Una scelta tormentata. Sul confine Nord ci sono 500mila siriani in fuga che Tel Aviv vuole soccorrere, ma non al prezzo di suicidarsi.

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - Sul confine di Israele al Nord, si stanno accumulando decine di migliaia di profughi in fuga dalla guerra. È l'epitome del problema dei rifugiati che ormai tormenta tutto il mondo: perché occorre salvare vite, porgere la mano a bambini e vecchi in stato di bisogno inaudito, ma fronteggiare tuttavia insieme la feroce inimicizia araba nei confronti di Israele mentre, tuttavia, si deve porgere orecchio agli esseri umani che chiedono aiuto. Inoltre, Israele è circondata da ogni parte da Paesi arabi nemici o agitati.
   Sul confine di Israele, dalla parte del Golan, si vanno accumulando, dopo 500mila morti, migliaia di profughi siriani. La loro immagine sotto il sole sulle pietre intorno ai camion che li hanno sgomberati dai villaggi attaccati dalle truppe siriane, dai russi sugli aerei, dagli Hezbollah e dagli iraniani amici di Assad col permesso di Putin, è l'immagine stessa della miseria e del bisogno. Un povero mufti in mezzo alla disperazione della gente, circondato da bambini disperati pontifica con un inutile indice levato verso il cielo. Camion sbrindellati caricano profughi verso il nulla. Fino a poco tempo fa i siriani di Assad sono rimasti cauti sui confini con Israele. Una bomba, un proiettile può portare una reazione molto seria da parte di Israele che difende i suoi cittadini oltre il confine e ha già compiuto molte incursioni contro le postazioni iraniane e i rifornimenti agli Hezbollah: ma poi l'ultima offensiva di Deera ha preso la mano ad Assad. Si è spinto a Sud e ha bombardato una quindicina di villaggi. Gli americani non interverranno. I russi, dopo aver garantito una certe quiete con i vari cessate il fuoco, hanno di nuovo aiutato Assad. E così Israele si trova una massa di sunniti in fuga, (così è successo ovunque, tutti i siriani che a decine di migliaia scappano verso l'Europa dalla Siria sono terrorizzati dall'avvento sciita sul territorio) di fronte ad Assad e i suoi alleati iraniani.
   Che deve fare Israele? Prima di tutto, si dice qui, quello che ha sempre fatto: aiutare chi è in difficoltà. Esistono già organizzazioni che si spingono di là dal confine a salvare i feriti e i bambini. Questa è già la scelta di un popolo che sa che l'unica decisione morale è quella di cui invece non ha goduto quando ne aveva bisogno: che qualcuno ti tenda una mano. Ma accogliere in pianta stabile i siriani, è un altro paio di maniche: fra gli uomini in fuga ci sono anche quelli delle organizzazioni salafite sunnite che hanno giurato morte a «crociati ed ebrei». E i siriani tutti, fin dal tempo di Assad padre sono stati fra i più assatanati nemici di Israele. È chiaro che Israele deve stabilire dei limiti perché la misericordia non si trasformi in suicidio. Le organizzazioni caritative operano, al Sud i campi coltivati bruciano sotto la pioggia di fuoco degli aquiloni di Hamas.

(il Giornale, 30 giugno 2018)


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Siria: migliaia in fuga verso Israele e Giordania. Timori per infiltrati tra i profughi

Israele continua a fornire aiuti umanitari agli sfollati ma blinda la sua frontiera e potenzia la presenza militare. Si temono infiltrati di Hezbollah tra i rifugiati.

ELIAD, Golan meridionale - Il flusso di gente in fuga dalle aree di combattimento è praticamente ininterrotto da giorni. Decine di migliaia di uomini, donne e bambini siriani che si muovono verso le frontiere di Giordania e soprattutto di Israele in cerca di un luogo sicuro dove attendere la fine dei combattimenti scatenati dall'offensiva siriana (appoggiata dalle milizie sciite e da Hezbollah) nell'area di Daraa....

(Rights Reporters, 30 giugno 2018)


Apre al Museo di Israele la prima mostra dedicata alla moda

L'Israel Museum di Gerusalemme presenta Fashion Statements

 
In occasione del 70o anniversario della nascita dello Stato di Israele, l'Israel Museum di Gerusalemme ha inaugurato Fashion Statements, la prima mostra dedicata alla moda israeliana e alla sua storia, che sarà aperta al pubblico fino al 29 aprile 2019. Attraverso gli abiti, i bozzetti e le fotografie questa mostra su larga scala illustra l'ampia portata della moda israeliana, dalle radici storiche fino alle collezioni contemporanee, istaurando un dialogo su tradizione e modernità, mito e realtà, e ideologie contrastanti.
  Fashion Statements esplora l'evoluzione della moda israeliana: il periodo pre-sionista di fine 19o secolo, i primi decenni della nascita dello stato con la commistione di influenze dall'Europa e dall'Oriente, la nascita di case di moda come Gottex, Maskit, Fini Leitersdorf e Rojy Ben-Joseph, fino all'emergere di stilisti contemporanei con un seguito globale.
  Con oltre 150 outfit, Fashion Statements segue diverse tematiche ricorrenti tra cui il simbolismo religioso e nazionale, l'ispirazione presa dal territorio israeliano e l'influenza della moda tradizionale, sia ebraica che araba.
  La mostra è organizzata in quattro sezioni:

 Holy/Land
  Il territorio e la storia di Israele sono fonte di ispirazione per le diverse comunità che convivono nel Paese. Questa sezione esplora le tradizioni sartoriali da tutto il mondo, mettendo in luce la ricca varietà della moda locale che trae spunto dagli abiti europei aderenti e dalle forme più ampie del Medio Oriente. Gli outfit in esposizione rappresentano una varietà di materiali e di significati; possono essere realizzati con la lana di una pecora locale o con la seta importata da terre esotiche; i colori passano dalle tonalità soffici del deserto a quelle sgargianti dell'Asia Centrale. Se alcuni enfatizzano le radici nazionali, altri riflettono storie personali che hanno origine lontano da Israele.

 Austerity/Prosperity
  I capi in mostra rappresentano due ideali estetici che si differenziano per design, produzione e messaggio intrinseco. Derivano dalle due ideologie opposte che coesistevano nei primi decenni della nascita dello Stato, socialismo e liberalismo. I valori del socialismo si riflettono in abiti monocromatici e pratici, prodotti in massa e che annullano le differenze di classe e genere. In contrasto, la moda cittadina conserva lo stile di impronta europea. Entrambi gli approcci avevano le loro radici in Europa e si ispiravano da un lato ai movimenti proletari e dall'altro alle capitali mondiali della moda.

 Made in Israel
  Questa sezione presenta le due sfaccettature del Made in Israel: l'industria della moda e gli stilisti indipendenti. Istituita negli anni '30, l'industria della moda israeliana crebbe fino ad ottenere il successo mondiale negli anni '60 e '70. Brand come Gottex, Beged Or e Polgat erano conosciuti in tutto il mondo e i loro abiti furono indossati da icone di stile come Jackie Kennedy Onassis e Sophia Loren. Grazie al supporto da parte del governo, furono fondate diverse case di moda e nel 1965 l'Export Institute instituì la Israel's Fashion Week, che mirava a trasformare Tel Aviv in una capitale della moda e ad attirare buyer da tutto il mondo. Diversi stilisti che lavoravano nell'industria della moda, come Gideon Oberson, Riki Ben-Ari, Jerry Melitz e Tamara Yovel Jones aprirono boutique o atelier di moda indipendenti. Quest'epoca della moda israeliana portò anche all'istituzione nel 1971 del prestigioso Shenkar College of Engineering and Design.

 Fashion now
  Ogni stilista di questa sezione mette in luce un aspetto dell'industria della moda israeliana contemporanea, caratterizzata dalla relazione complessa tra identità locale e globale, tra artigianato e tecnologia d'avanguardia. A volte gli abiti diventano tele sulle quali rappresentare idee sociali mentre altre volte escono completamente dalla loro funzione pratica per trasformarsi in opere d'arte.

  La mostra è curata da: Daisy Raccah-Djivre, capo-curatrice, Tamara Yovel-Jones, Noga Eliash-Zalmanovich e Efrat Assaf-Shapira. Il progetto espositivo è dello Studio De Lange.
  "Gerusalemme come Tel Aviv sempre di più dimostrano grande apertura verso settori, come quello della moda, nuovi e ancora sconosciuti, ma in grande e straordinaria crescita e fermento. La presenza di oltre 151 differenti etnie giunte in Israele da tutto il mondo ha determinato una crescita eccezionale nella creatività israeliana che oggi ha raggiungo straordinarie eccellenze, dal cibo al design, dalla ricerca medica a quella biotecnologica" ha dichiarato Avital Kotzer Adari, direttore Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo in Italia.
  La mostra è accompagnata da un esauriente catalogo a colori che racconta la storia della moda israeliana.

(Napoli Magazine, 30 giugno 2018)


A Berlino alcuni ebrei sfuggirono all'Olocausto grazie a chi rischiò la propria vita per salvarli

Quando Adolf Hitler salì al potere, il 30 gennaio 1933, a Berlino vivevano 160.000 ebrei. Al termine della Seconda guerra mondiale solo in pochi riuscirono a scampare alla persecuzione nazista, si pensa infatti che i sopravvissuti ammontino a poche centinaia. È comunque lecito chiedersi come riuscirono a salvarsi considerando gli omicidi a tappeto perpetrati dagli aguzzini nazisti. Gli ebrei non potevano camminare liberamente per strada, prendere possesso di una casa o acquistare cibo al mercato. Molte persone, non ebree, sacrificarono la propria vita per aiutarli.

 L'esperienza di Erik Perwe raccontata nel libro "The Last Jews in Berlin" di Leonard Gross
Questi ebrei riuscirono a scampare alle persecuzioni grazie all'aiuto e al sostegno di altre persone, quasi sempre non ebree, che misero in pericolo la propria vita pur di proteggerli. I pochi ebrei berlinesi scampati all'Olocausto riuscirono a sopravvivere nascondendosi e acquistando cibo al mercato nero. Questo grazie a quei pochi oggetti che furono in grado di recuperare prima di dover lasciare casa. A tal proposito, Leonard Gross ha scritto un libro dal titolo "The Last Jews in Berlin". Il libro segue le vicende di alcuni ebrei berlinesi che i tedeschi non riuscirono a catturare e a deportare nei campi di sterminio. Buona parte del merito si deve a Erik Perwe, capo di una congregazione della Chiesa di Svezia a Berlino. Perwe si prese cura di loro, li nutrì e li nascose. Nel libro vengono riportate alcune toccanti conversazioni tra Perwe e la moglie. C'è un passaggio in particolare in cui la moglie chiede a Perwe cosa facesse per aiutarli. Lui le risponde che poteva dargli da mangiare, ospitarli o inviare lettere per loro. Ciò, tuttavia, non era sufficiente ad alleviare le sofferenze delle povere vittime. Lui, allora, li abbracciava condividendo le loro lacrime. In un secondo passaggio del libro spiega le motivazioni alla base del suo impegno. Motivazioni che sembrano nascondere un forte credo religioso. Nel suo diario scrive infatti: "Dio chiama. Devo obbedire."

 A Berlino il museo degli "eroi silenziosi", uno dei meno conosciuti della capitale.
Berlino è rinomata per la bellezza dei suoi musei. Ve ne sono oltre 180. Ce n'è uno, però, che sembra essere poco rinomato: il museo dedicato agli Stille Helden, ossia gli "eroi silenziosi". Il museo, nei pressi di Potsdamerplatz, è un simbolo della resistenza contro la Shoah. Al suo interno c'è anche il nastro di cotone sul quale Ilse Rewald, ebrea sopravvissuta allora venticinquenne, scrisse le iniziali e gli indirizzi delle persone disposte a nasconderla. Nastro che la ragazza cucì sulla fodera di una gonna. Annotare queste informazioni su carta, infatti, sarebbe stato molto più rischioso. Al tempo delle deportazioni Ilse si salvò grazie a Kähte Pickardt e alla figlia Ursula. Tra gli ebrei salvati ce ne sono anche di famosi. Tra questi Hans Rosenthal e l'attore Michael Degen. «I motivi che spinsero questi normali cittadini a rischiare la vita sono disparati», ha spiegato lo storico Johannes Tuchel, che dirige il museo. Il giovane Rosenthal fu nascosto da tre vecchie signore che conoscevano sua madre. Degen venne salvato da una coppia di vecchi comunisti. Nel caso di Ilse ad aiutarli furono tedeschi che avevano un marito o una moglie ebrei (i matrimoni misti venivano tollerati caso per caso, non sempre)». Ovviamente non era affatto facile nascondere ebrei nelle proprie abitazioni. Buona parte delle case berlinesi erano infatti costruite in legno e il più impercettibile scricchiolio avrebbe destato sospetti tra i vicini. Era difficile anche dar loro del cibo perché sprovvisti di tessere annonarie. Un'odissea atroce terminata solo nel 1945 e che, oggi più che mai, merita di essere ricordata ogni giorno.

(Berlino Magazine, 29 giugno 2018)


L'Iran riprende ad arricchire l'uranio

Trump ci aveva visto giusto. Viene da Teheran la prova dell'ingenuità europea nell'accordo sul nucleare: riprende la corsa alla bomba atomica

L'accordo
Nel 2015 il gruppo "5+1" raggiunge un accordo sullo sviluppo dell'energia nucleare in Iran, che ne limita l'impiego bellico ma non esclude l'utilizzo di tecnologie atomiche da parte di Teheran.
Il ritiro
Dopo la sua elezione Donald Trump denuncia l'accordo e ritira la firma, ripristinando le sanzioni. Washington chiede a tutti i Paesi di fermare le importazioni di petrolio iraniano entro il 4 novembre.
La minaccia
Il viceministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi non esclude un ritiro di Teheran dall'accordo nelle prossime settimane, se non riuscirà a raggiungere un nuova intesa con l'Europa.

di Mirko Molteni

Mentre si profilano nuove sanzioni americane a partire da novembre, e i partner commerciali europei di Teheran tentennano allo scricchiolare dell'accordo internazionale del 2015, non è una mossa tranquillizzante la riapertura da parte dell'Iran di un importante stabilimento per la raffinazione del minerale d'uranio, impianto che era chiuso da 9 anni, ma riattivato da ieri.
  È stata la Guida suprema della Repubblica islamica, l'ayatollah An Khamenei in persona, a dare l'ordine, per lanciare un messaggio soprattutto ai Paesi europei, come «assaggio» di ricatto se abbandoneranno anch'essi il trattato, come già gli USA in maggio per volere del presidente Donald Trump. L'installazione che l'ayatollah ha fatto riavviare era ferma dal 2009 ed è la UF-6 del centro nucleare UCF (Uranium Conversion Facility) di Isfahan, dove si produce l'esafluoruro di uranio che poi viene trattato in un'altra base atomica, quella sotterranea di Natanz, nelle cui centrifughe a catena si arricchisce il materiale fissile. La fabbrica UF -6, che prende il nome dalla sigla dell'esafluoruro di uranio, è snodo essenziale del processo di arricchimento, poiché il composto vi viene ricavato a partire dalla materia prima, una polvere giallastra di ossidi di uranio ricavata dai minerali nativi. Polvere che in gergo viene chiamata in inglese «yellow cake», «torta gialla». L'esafluoruro, in cui sono mescolati i due isotopi, volgarmente due «versioni» dell'atomo di uranio, U-238 e U-235, verrà poi fatto vorticare a centinaia di giri al secondo nelle migliaia di centrifughe installate nei tunnel di Natanz, per separare l'U-238 dal più utile U-235, il «tipo» giusto per attuare la fissione atomica nei reattori civili oppure nelle armi nucleari. Khamenei ha rafforzato la linea dura che già il primo ministro Hassan Rohani ha palesato il 5 giugno annunciando il potenziamento della linea di centrifughe di Natanz. A parole, per ora, Khamenei e l'Agenzia Atomica Iraniana, dicono di voler mantenere i limiti stabiliti dal trattato del 2015, ovvero il 3,67% di arricchimento, laddove la percentuale necessaria per una bomba atomica deve superare 1'85%, e il massimo di 300 kg di scorte in magazzino di uranio arricchito.

 Sospetti fondati
  Ma riaprire un centro atomico dopo 9 anni è un messaggio controproducente: ottiene l'effetto contrario e mostra la fondatezza dei sospetti di Trump verso Teheran.
  Khamenei ha voluto dare un segnale nazionalista anche per far dimenticare un po' agli iraniani i problemi gravi dell' economia nazionale, specie la massiccia svalutazione della moneta, il rial, che negli ultimi sei mesi è crollato dai 42.000 rìal per un dollaro a fine 2017 ai ben 85.000 degli ultimi giorni.
  Non a caso, appena due giorni fa migliaia di dimostranti hanno protestato davanti al Parlamento di Teheran. Pesano molte incognite, come il braccio di ferro con l'Arabia Saudita per il mercato petrolifero e il timore di non riuscire a vendere più petrolio se davvero le nuove sanzioni USA, in vigore dal prossimo 4 novembre, ostacoleranno il pagamento in dollari su tutti i canali finanziari, impedendo a grandi compratori del greggio persiano, come Cina, Giappone e India, di regolare i loro acquisti.

 Le sanzioni
  Il dilemma si pone anche per i Paesi dell'Unione Europea, sia riguardo al petrolio, sia, in generale, per tutti gli affari con l'Iran. Perciò l'ayatollah supremo ha scelto, malauguratamente, lo spaventare, anziché il tranquillizzare. Può rivelarsi un calcolo sbagliato, tanto più che l'Iran già evita di spiegare precisamente che intenzioni ha nel campo dei missili balistici, il più quotato mezzo di «consegna» degli ordigni atomici, che non vengono espressamente proibiti dal trattato del 2015, motivo principale che ha spinto gli americani a stracciarlo.

(Libero, 29 giugno 2018)


Doriani in Israele: «La Samp? Passione trasmessa da Ceizler»

La particolare storia di Emanuel Kleinman: tifoso doriano in Israele. Ecco chi gli ha trasmesso la fede blucerchiata.

dii Francesca Faralli

La Sampdoria ha tifosi in tutto il mondo, anche in Israele. La storia della passione per i colori blucerchiati della famiglia Kleinman è molto particolare: affonda le sue radici nella seconda guerra mondiale, coinvolge un ebreo rifugiato a Genova diventato poi allenatore. A raccontarla, ai microfoni di SampTV è il figlio di Emanuel Kleinman, ospite di Massimo Ferrero durante il campionato 2017/18: «In Israele tifiamo la Sampdoria con mio padre fin da quando ero bambino. La seguiamo perché mio papà è un grande tifoso fin dagli anni '60. È stato un sogno per noi venire a vederla dal vivo. Con mio padre, mio fratello, mio cognato, i miei figli e i loro cugini, abbiamo avuto l'occasione di venire a Genova e assistere a una partita dal vivo allo stadio. La storia di come siamo diventati sampdoriani risale alla seconda guerra mondiale. Nel 1943/44, il calciatore 'Shoni' Ceizler è scappato dall'Ungheria perché era ebreo. Militò in una delle due squadre che nel 1946 si fusero per dare vita alla Sampdoria. Alla fine della guerra, nel 1948, si è trasferito in Israele e ha allenato mio padre, gli ha sempre raccontato della Sampdoria ed è da quel momento che è diventato un tifoso blucerchiato».

(Sampdoria News 24, 29 giugno 2018)


Polonia-Israele: colloquio tra presidenti, volontà di costruire forti relazioni tra i due paesi

VARSAVIA - Il primo ministro polacco Morawiecki ha detto in conferenza stampa a Varsavia che la legge contestata, promulgata all'inizio di quest'anno, ha contribuito a stimolare il dibattito internazionale sulla storia della guerra in Polonia, tra gli sforzi per proteggere la reputazione del paese all'estero. In una conferenza stampa simultanea a Tel Aviv, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Israele ha accolto con favore la decisione della Polonia di emendare la controversa legge. "Sono contento che il governo polacco, il parlamento, il senato e il presidente della Polonia abbiano deciso oggi di rescindere completamente le clausole che sono state firmate e hanno causato un polverone in Israele e nella comunità internazionale", ha detto Netanyahu. "È ovvio che l'olocausto è stato un crimine senza precedenti commesso dalla Germania nazista contro la nazione ebraica, compresi tutti i polacchi di origine ebraica", ha osservato il premier israeliano.

(Agenzia Nova, 29 giugno 2018)


L'ombra di un nuovo tipo di antisemitismo cala sulla Germania

di Hans von der Brelie

Aggredito al grido "Ebreo! Ebreo!" perché portava la kippa. È successo ad aprile nel centro di Berlino a un giovane arabo israeliano che stava passeggiando indossando il tipico copricapo ebraico come esperimento. Un caso isolato o il ritorno di un incubo?
  La comunità ebraica in Germania teme che sia in crescita un nuovo antisemitismo di tipo islamico, legato alle recenti ondate migratorie. L'aggressore di Berlino è infatti un profugo siriano.
  Così come siriano è il rifugiato che è stato ospitato per un anno dai Michalski, una famiglia ebrea. Un'esperienza talmente positiva che il figlio quattordicenne di Wenzel Michalski, direttore per la Germania di Human Rights Watch ha chiesto di cambiare scuola per poter frequentare coetanei di origini diverse. Ma non è andata come si aspettava, racconta Wenzel: "Alla fine della prima settimana l'insegnante ha chiesto: quali luoghi di culto conoscete? Quando è toccato a mio figlio, ha risposto: la sinagoga. Allora l'insegnante ha detto: e perché conosci la sinagoga? sei ebreo? Lui ha risposto di sì ed è stato l'inizio della fine. Subito dopo sono cominciati gli atti di bullismo. È stato preso a calci, picchiato...".
  Ma non è finita qui: successivamente, dice il padre, i bulli hanno minacciato il ragazzo con una pistola finta, una replica molto simile a un'arma vera, simulando un colpo in testa, un'esecuzione: "Prima due ragazzi più grandi gli hanno afferrato la testa e l'hanno strangolato talmente forte che per un attimo ha perso conoscenza. Poi uno di loro gli ha puntato addosso un'arma finta e ha tirato il grilletto".
  La famiglia Michalski ha origini miste, ebraiche e cristiane. Sotto il nazismo sono stati discriminati e perseguitati. Solo alcuni di loro sono sopravvissuti.
  "Mio padre ha scritto un libro su quell'epoca - ci informa Wenzel mostrandoci il volume -. È pazzesco: ha subito lui stesso attacchi antisemiti dopo la guerra, quando aveva 14 anni. Frequentava il collegio Canisius di Berlino, una scuola gestita dai gesuiti. Aveva la stessa età che ha ora mio figlio. All'epoca mio padre subì l'antisemitismo a scuola. E ora, settant'anni dopo, la stessa cosa sta accadendo a suo nipote. Per lui questo è un terribile shock".
  Wenzel accusa preside e assistente sociale di non essere stati in grado di fermare le aggressioni. I Michalski hanno trasferito il figlio in un'altra scuola. "Dopo quest'esperienza - prosegue Wenzel Michalski - mio figlio ha cominciato a seguire un corso di karate. È orgoglioso della sua cintura rossa, la sua prima cintura... e poi fa body building, e in effetti ha sviluppato dei bei muscoli, come molti altri ragazzi ebrei".
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  La maggior parte dei musulmani in Germania è a favore della tolleranza e della civile convivenza dei popoli. Ma alcuni quartieri di Berlino, come Neukölln, sono oggetto di un'attenzione particolare da parte dei servizi segreti, per via della presenza di cellule legate a gruppi come Hamas o Hezbollah. E qui non c'è bisogno di telecamere nascoste per imbattersi in discorsi di odio antisemita, come quello che fa Abu, un giovane berlinese di origini palestinesi: "Gli ebrei devono sparire. Hitler ne ha uccisi il 90 per cento, ne resta solo il 10 per cento. Questo è un bene: se Hitler non avesse ucciso gli ebrei all'epoca, avrebbero preso possesso del mondo intero".
  Un discorso diretto e brutale, che però resta marginale: la stragrande maggioranza dei musulmani che abbiamo interpellato ama lo stile di vita berlinese, inclusa l'idea della coesistenza pacifica in una società multiculturale.Come fa, da sotto il velo, Amal: "Siamo tutti esseri umani: ebrei, tedeschi, cristiani, musulmani... Tutti i musulmani, i cristiani, gli ebrei del mondo devono essere accettati. Bisogna accettare l'altro".
  E poi ci sono Ender e Joelle, che partecipano al progetto "Meet-to-respect".
  Joelle è attiva nella comunità ebraica ed è sposata a un rabbino ortodosso. Ender è stato per anni a capo della maggiore moschea di Berlino. Insieme intervengono nelle scuole per educare alla tolleranza e all'accettazione dell'altro.
  Abbiamo assistito a una di queste sessioni. I bambini sono invitati a riflettere sulla parola "discriminazione". Fatima racconta la sua esperienza: "Il primo anno a scuola venivo emarginata perché non parlavo tedesco molto bene". La madre di Erik è polacca, "Quindi sono anch'îo polacco - dice -. E per questo dicono che rubo...". Mentre la testimonianza del piccolo Cem è che quando vuole giocare con i bambini turchi, spesso non è accettato perché è curdo.
  "Va bene essere e sentirsi diversi. Ma non va bene essere e sentirsi emarginati", conclude Joelle.
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  Parlando di tutti i tipi di discriminazione, i bambini scoprono che ebrei, musulmani e cristiani condividono valori e problemi comuni, arrivando ad accettare le differenze reciproche.
  "Meet-to-respect" è un'iniziativa della società civile tedesca che sembra avere presa sui ragazzi.
  "Musulmani, cristiani ed ebrei possono diventare migliori amici, l'amicizia è meglio della guerra", sentenzia Cem. E Fatima esprime un disagio diffuso: "Per noi bambini non è facile, non siamo noi a scegliere la nostra religione".
  In troppe scuole tedesche vengono pronunciate parole di odio antisemita. Squadre di attivisti come Ender e Joelle, pronti a mostrarsi insieme come esempio concreto di convivenza civile, sono più necessarie che mai.
  "Qualsiasi tipo di violenza o di odio è sbagliato, è cattivo - ci dice Ender -. E noi siamo contrari in quanto credenti. Siamo per il rispetto e per la carità e mettiamo in pratica tutto questo ponendoci come modelli di riferimento".
  "E io - prosegue Joelle - voglio anche mostrare ai bambini che se hanno pregiudizi contro gli ebrei, si sbagliano. Li invito a osservarmi da vicino: guardate, sono ebrea, potete chiedermi quello che volete".
  Oggi migliaia di tedeschi si riverseranno nelle strade di Berlino indossando le kippah in una forte dichiarazione contro l'antisemitismo. Chi non potrà esserci può sostenere la causa condividendo l'immagine qui sotto scrivendo : "Anch'io sono ebreo".
  Andiamo a Francoforte, dove è stata promossa la "giornata della kippa", in cui i cittadini sono invitati a indossare il copricapo ebraico per tutto il giorno.
  La scuola Wöhler aderisce all'iniziativa. Per un buon motivo, ci spiega il presidente del consiglio studentesco, Carl-Philipp, che è cristiano ma oggi porta la kippa. Un paio di anni fa alcuni ragazzi della scuola si sono scambiati insulti antisemiti, ma gli insegnanti hanno reagito immediatamente.
  Nel 2001 l'istituto ha lanciato un progetto di ricerca storica che ha permesso di scoprire che cosa è accaduto ai suoi studenti ebrei durante l'Olocausto. Incontriamo Carl-Philipp nel giardino della scuola in cui sono commemorati gli studenti uccisi nell'era nazista. Per lui non basta aver distribuito oltre 130 kippot di fronte alla scuola in una mattinata: "È importante andare oltre: non solo attirare l'attenzione sull'antisemitismo ma su ogni forma di discriminazione".
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  Andiamo a incontrare il rabbino Daniel Alter, che per molti anni ha avuto l'incarico di monitorare l'antisemitismo. Nel 2012 è stato aggredito da un gruppo di giovani musulmani che gli hanno rotto uno zigomo di fronte alla figlia piccola.
  Oltre al "tradizionale" antisemitismo di estrema destra ed estrema sinistra, la Germania si trova ora di fronte a un nuovo antisemitismo - per così dire - "d'importazione"? La sua risposta è che "È assolutamente giusto che un paese prospero come la Germania, per quanto possibile, accolga persone che fuggono guerre e persecuzioni, sono completamente a favore. Ma quando pensiamo alla Siria, per esempio... molte persone provengono da società in cui l'odio per gli ebrei e per Israele fa quasi parte della ragion di Stato".
  Per lui l'antisemitismo non è solo un problema che riguarda gli ebrei: "Siamo nel ventunesimo secolo e a Berlino ci sono gruppi che girano per le strade gridando 'Hamas, Hamas, ebrei nelle camere a gas'... Quando si fa largo l'odio nei confronti di una determinata categoria di persone, presto emergeranno forme d'odio anche verso altre categorie".
  Un odio che, dal "kippa day" a progetti come "Meet-to-respect", la Germania combatte a suon di azioni simboliche e iniziative educative, scommettendo sulle nuove generazioni.

(euronews, 29 giugno 2018)


Netanyahu usa il rigore sbagliato da Ronaldo per spronare gli iraniani a fare la rivoluzione

La propaganda passa anche attraverso il calcio. Lo sa bene il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha usato il rigore sbagliato da Cristiano Ronaldo contro l'Iran ai mondiali per spronare i cittadini iraniani a rivoltarsi contro il presidente Rouhani. "Provate a immaginare quanto sia difficile fermare un goal di Cristiano Ronaldo. Voi mi direte che è quasi impossibile, ma la squadra dell'Iran c'è riuscita ai Mondiali". Il premier israeliano ha invitato a mostrare lo stesso coraggio della loro nazionale e scendere in piazza contro un governo che spreca i loro soldi in inutili guerre in Medio Oriente e che ha molti problemi, dalla scarsità d'acqua all'inquinamento dell'aria. Alla fine del video, Netanyahu immagina una partita di calcio tra Iran e Israele in una Teheran "liberata".

(L'HuffPost, 29 giugno 2018)


L'economia israeliana potrebbe essere colpita duramente dalla guerra commerciale di Trump

Con un'industria high-tech in grande fermento, la Startup Nation continua a cavalcare lo sviluppo economico. Il PIL nel primo trimestre del 2018 è cresciuto del 4.2% e le esportazioni di prodotti tecnologici sfiorano la metà del totale, ma la guerra commerciale di Trump potrebbe seriamente compromettere il futuro del Paese.

di Alberto Ferrante

Da molti considerata come un interessante caso accademico, l'economia israeliana continua a stupire gli studiosi di tutto il mondo, per una costante solidità che sembra resistere a guerre, crisi finanziarie internazionali e disordini sociali.
Basti pensare, in tal senso, all'estate del 2006, in cui la guerra tra Israele e il movimento libanese degli Hezbollah terrorizzò la popolazione con bombardamenti a tappeto nella parte più settentrionale del Paese. In quell'anno, nonostante ciò, Israele registrò un aumento del PIL pari al 6%.
Anche la crisi finanziaria del 2008 sembrò non sfiorare il Paese, impegnato in quel momento in altri
L'economia israeliana è cresciuta più velocemente e con più costanza di ogni altra economia dell'OECD negli ultimi 15 anni.
conflitti contro Hamas.
Stando a quanto presentato recentemente dall'economista portoghese Alvaro Pereira, l'economia israeliana è cresciuta più velocemente e con più costanza di ogni altra economia dell'OECD negli ultimi 15 anni.
Il PIL ha visto una crescita media pari a circa il 3.3% annuo, parzialmente attribuibile all'incremento della popolazione e ad alcune interessanti politiche macroeconomiche, che hanno incoraggiato lo sviluppo del settore high-tech e dei finanziamenti venture capital.
Anche l'inflazione in questi anni è stata tenuta sotto controllo, a quota 0.4% nel 2017; secondo la Banca Centrale, il fattore che ha contribuito maggiormente a tale risultato è stato l'abbassamento dei prezzi dei beni soggetti a controllo dei prezzi da parte del governo.
L'economia israeliana continua a performare egregiamente anche in questa prima metà del 2018: le principali industrie e il sistema bancario continuano a crescere, mentre il PIL è aumentato del 4.2% nel primo trimestre del 2018, in linea con gli ultimi due incrementi trimestrali dell'anno scorso.
E' altrettanto interessante osservare come nell'ultimo decennio Israele abbia generato, in proporzione, più start-up di ogni altro Paese, meritando l'ormai nota denominazione di Startup Nation e attraendo importanti investimenti da parte di multinazionali affascinate dalla rivoluzione tecnologica ancora in corso.
Il settore High-Tech in Israele, infatti, impiegando appena l'8% della forza lavoro industriale totale, ha generato circa il 13% del prodotto interno lordo nazionale del 2017, contribuendo a quasi la metà delle esportazioni complessive. Tel Aviv è riuscita ad attrarre investimenti per 5 miliardi di dollari nel 2016 e a incuriosire oltre 300 multinazionali, tra cui Amazon, Google, Facebook, Apple e Huawei, ben liete di aprire importanti centri di ricerca nel territorio.
L'OECD ha osservato un'ancora drammatica situazione di disuguaglianza sociale, dovuta a un'inadeguata coesione della popolazione.
Oggi, Israele è la settima Nazione in termini di esportazioni di prodotti e servizi tech, informatici e di comunicazione.
A fronte dell'ottima performance degli ultimi anni, l'OECD ha osservato un'ancora drammatica situazione di disuguaglianza sociale, dovuta a un'inadeguata coesione della popolazione. La classe operaia soffre ancora salari troppo bassi e livelli di istruzione insufficienti, mentre l'intera popolazione lamenta prezzi degli immobili incredibilmente alti. Il governo ha provato in più occasione a mitigare l'inflazione nel settore edile, senza successo. Numerosi gli interventi anche sul fronte infrastrutture, dove i mezzi di trasporto pubblico vivono in un quasi paradossale contrasto rispetto alle innovative e rivoluzionarie applicazioni tecnologiche che permeano gli altri settori, agricoltura compresa.
Il più importante monito lanciato dall'OECD riguarda un dato effettivamente preoccupante: sebbene la crescita del Paese sia agevolmente trainata dal vivace settore high-tech, gran parte della popolazione è ancora impiegata nei settori meno produttivi. Il governo, stando a quanto riportato, sembrerebbe non essersi impegnato a sufficienza nella creazione di nuovi posizioni lavorative nei settori trainanti, concentrandosi maggiormente su settori secondari, come il turismo, caratterizzato storicamente in Israele da salari ben più bassi.
In tal senso, il report ufficiale sottolinea come l'aumento della produttività sia garantito da un lavoro più intelligente, più che da un banale incremento dello stesso. La dichiarazione si riferirebbe, per l'appunto, a un settore altamente tecnologico che dovrebbe essere supportato maggiormente.
Quanto fin qui riportato rappresenta però un universo di ombre sull'economia israeliana non imminenti e ancora arginabili, soprattutto se poste a confronto con gli ultimi preoccupanti sviluppi del protezionismo commerciale americano.
Secondo la Banca Mondiale, Israele esporta circa il 30% del suo PIL, una percentuale elevatissima, che supera di gran lunga i valori raggiunti da USA e Cina. Come precedentemente evidenziato, gran parte delle esportazioni sono costituite da prodotti dell'industria high-tech. Il rischio è che la guerra commerciale e la conseguente contrazione dei commerci mondiali possa indebolire Israele, per via della sua natura di Paese esportatore, da tempo aperto agli scambi con l'estero. La situazione si complica, e una nube di incertezza cala sullo sviluppo economico israeliano, se si considera che il Paese è strettamente dipendente dalle importazioni per tutti i beni intermedi necessari per gli straordinari risultati raggiunti dalle sue industrie.

(FX Empire Italy, 28 giugno 2018)


Israele vuole realizzare un "hub" a Cipro per merci destinate a Gaza

Il governo di Nicosia ha confermato la notizia ma ha aggiunto che nessuna decisione è stata ancora presa..

 
Israele ha chiesto al governo di Cipro di realizzare un "hub" marittimo per l'invio di merci alla striscia di Gaza. Attualmente le merci destinate al territorio palestinese controllato da Hamas vengono spedite ai porti israeliani e da lì trasferiti via terra a Gaza.
Al fine di prevenire l'arrivo di armi al gruppo militante islamista Tel Aviv ha imposto un blocco navale sulla striscia di Gaza. Inoltre, insieme all'Egitto, restringe i movimenti lungo la frontiera terrestre. L'ONU ha più volte fatto appello affinché venga permessa una più libera circolazione delle merci attraverso il confine con Gaza, dove la maggior parte dei palestinesi vive in povertà.
L'idea di creare un'infrastruttura portuale a Cipro non è nuova ed Israele di recente, secondo il portavoce del governo cipriota Prodromos Prodromou ha chiesto ancora una volta di esaminare la questione.
«Ci saranno dei contatti tra il governo e tutte le parti interessate nella regione - ha detto - ed è possibile che una decisione venga presa. Ma al momento nulla è stato deciso. La richiesta è sotto esame e non è stata respinta».
Il piano israeliano prevede la costruzione a Cipro di una banchina apposita per l'approdo di navi mercantili con a bordo merci dirette alla striscia di Gaza. Una volta sbarcate, le merci, al fine di impedire il contrabbando di armi, sarebbero sottoposte ad un controllo da parte degli israeliani, e successivamente reimbarcate su navi più piccole con destinazione Gaza City.
Un membro del governo israeliano, Yuval Steinitz, è tra i sostenitori dell'idea dell"hub" a Cipro da dove senza che le merci passino da Israele far giungere le merci a Gaza. Un altro ministro invece ha proposto di costruire un'isola artificiale al largo della costa della striscia di territorio controllata da Hamas.
Tuttavia l'idea dello scalo portuale appare più facilmente realizzabile rispetto all'isola. L'"hub" a Cipro non solo porterebbe via, una volta ricevuto il nulla osta internazionale, poco tempo per la costruzione ma potrebbe essere, in caso di abusi, chiuso facilmente - ha dichiarato Steinitz. La costruzione di un'isola artificiale invece potrebbe richiedere anche 10 anni. «In ogni caso i controlli di security alle banchine - ha aggiunto - dovranno essere effettuati da Israele insieme ad un'organizzazione internazionale come l'ONU».

(Unione Piloti, 28 giugno 2018)


Israele: opportunità di investimento nel settore dell'edilizia alberghiera

di Paolo Fruncillo

Durante una conferenza tenuta dal Ministero del turismo israeliano a Londra in occasione dell'incontro HVS London, finalizzato a reclutare investitori nel settore alberghiero israeliano, la società di consulenza HVS ha presentato il suo rapporto annuale indipendente intitolato The Israel Hotel Market Overview. Lo riferisce in una nota l'ufficio Ice di Tel Aviv. "Nel 2017 il Ministero del Turismo ha approvato sovvenzioni per 35 progetti in tutto il paese per un importo totale pari a circa $ 50 milioni. In totale, nel 2017 sono state approvate richieste per circa 2.570 camere, con un incremento del 33% rispetto all'anno precedente, a conferma del crescente interesse degli investitori e della maggiore fiducia nella forza e nelle potenzialità del mercato israeliano". Tra i partecipanti alla conferenza c'erano rappresentanti di catene alberghiere internazionali, tra cui Hilton, Four Seasons, Accor, Accor Luxury, Movenpick, Rosewood, Wyndham, Radisson, Mandarin Oriental, Benjamin West e STR. Sono stati presentati dati sul potenziale turistico in Israele, sugli aiuti governativi agli imprenditori che cercano di costruire alberghi in Israele con particolare riguardo a percorsi di pianificazione abbreviati e facilitati, sovvenzioni per la conversione di edifici esistenti in alberghi, sovvenzioni fino al 33% dell'investimento totale e la presentazione di una nuova piattaforma del Ministero del Turismo per la mappatura delle potenziali opportunità di investimento nel settore dell'ospitalità.
Durante l'incontro di Londra è stata anche presentato l'International Hotel Investment Summit (IHIS), che si svolgerà dal 19 al 20 novembre a Tel Aviv. L'IHIS sarà il primo evento internazionale dedicato all'investimento alberghiero in Israele. Il Summit fornirà un'analisi approfondita delle opportunità di investimento straniero nel settore dell'ospitalità in Israele, un forum per incontrare partner, condividere idee e costruire partnership per progetti turistici, sviluppi a uso misto e transazioni alberghiere in Israele. Presso l'Ufficio ICE-Agenzia di Tel Aviv è disponibile il rapporto HVS completo, insieme ai bandi di gara già pubblicati ed altro materiale informativo sulle opportunità di investimento nel settore alberghiero in Israele.

(Italpress, 28 giugno 2018)


A Tel Aviv la proiezione di "Gli ebrei segreti della Calabria" di Manuela Procaccia

L'11 luglio all'IIC un'iniziativa con la regista e il produttore Carl Perkal

TEL AVIV - L'Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv ospiterà mercoledì 11 luglio alle ore 18.30 la proiezione - in italiano e inglese con sottotitoli - del documentario "Gli ebrei segreti della Calabria" (2010) di Manuela Procaccia (regia e sceneggiatura) e prodotto da Carl Perkal.
Interverranno regista e produttore insieme a Domenica Sorrenti e Angela Sgambattera che hanno partecipato al documentario.
Molti calabresi hanno radici ebraiche che risalgono all'Inquisizione. Partendo dal racconto di Barbara Aiello, che ha aperto un centro di ebraismo riformista a Serrastretta, nei pressi di Lamezia Terme, il film segue le tracce di storia ebraica rimaste in Calabria e scopre le giudecche, i quartieri che testimoniano la presenza antica degli ebrei in tutta la regione prima della loro cacciata. La presenza di una donna rabbino accende un dibattito nell'ebraismo italiano e non è sempre bene accolta dai locali. La testimonianza di alcuni cristiani evangelici, che serbano un forte amore per Israele e per la cultura ebraica, conduce alle usanze dei marrani conservatesi nel tempo attraverso antichi rituali, ricette di cucina, e spiega l'origine dei loro cognomi.
L'evento, in italiano, è organizzato dall'IIC e dal Comites di Tel Aviv.

(Inform, 28 giugno 2018)


Israele fa pressione su sobborgo francese per rimuovere cartello stradale intitolato alla Nakba

Sotto pressione israeliana, un sobborgo francese oggi ha rimosso un cartello stradale che commemorava la Nakba

Viale della Nakba
"In memoria dell'espulsione di 800.000 palestinesi
e della distruzione di 532 villaggi nel 1948 da parte
del criminale di guerra David Ben Gurion
per la creazione dello Stato di Israele"


Il sindaco di Bezons, un sobborgo nord-occidentale di Parigi, lunedì aveva inaugurato la targa "Viale della Nakba"per commemorare il 70o anniversario della Nakba. La placca è stata rimossa solo poche ore dopo la sua installazione a seguito di una richiesta da parte di un alto funzionario della regione, che ha affermato che potrebbe "disturbare seriamente l'ordine pubblico", secondo quanto riportato da PressTV.
Il cartello stradale, scritto in francese e arabo, recitava: "In memoria dell'espulsione di 800.000 palestinesi e della distruzione di 532 villaggi nel 1948 da parte del criminale di guerra David Ben Gurion per la creazione di Israele".
Israele aveva fatto pressioni sul sobborgo perché la targa venisse rimossa, con il portavoce del ministro degli Esteri israeliano, Emmanuel Nahshon, che descriveva il nome della strada come "un atto nauseante". L'ambasciatore israeliano in Francia, Aliza Bin-Noun, ha accusato il sindaco di sostenere il "terrorismo palestinese" e di incitare all'odio.
Il cartello ha suscitato anche critiche da parte di numerosi gruppi filo-israeliani in tutta la Francia, con il presidente del Conseil Représentatif des Institutions juives de France (CRIF), un gruppo ombrello di comunità ebraiche francesi, che ha definito "scandalosamente irresponsabile e pericoloso" il cartello stradale.
Nel 2014, allo stesso sobborgo fu ordinato di rimuovere una targa commemorativa per Majdi Al-Rimawi, un membro imprigionato del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (PFLP).

(ML NEWS, 27 giugno 2018)


Conflitto arabo-israeliano: piano di pace Usa per dimezzare la Cisgiordania

di Chiara Clausi

 Che cosa è successo
  Il piano di pace americano, «l'accordo del secolo» nelle ambizioni di Donald Trump, è in dirittura di arrivo. Ma l'opposizione del re Abdullah di Giordania rallenta la marcia del trio America-Arabia Saudita-Israele. All'incontro con il premier Benjamin Netanyahu, il sovrano hashemita è stato irremovibile: niente pace «senza uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale». Per Amman, «protettrice» dei luoghi santi musulmani a Gerusalemme, è inaccettabile la proposta saudita che lascerebbe ai palestinesi come capitale il sobborgo di Abu Dis, 13mila abitanti. Per il presidente Abu Mazen a essere inaccettabile è l'intero piano, che darebbe ai palestinesi solo metà Cisgiordania e Gaza, cioè «l'11 per cento della Palestina storica». Abu Mazen ha controfferto «uno scambio di territori» lungo la linea del 1967 che porterebbe alla cessione a Israele del 6,5 per cento della Cisgiordania.

 Che cosa hanno scritto
  A proposito del piano di pace, l'israeliano Haaretz rivela che «la proposta non includerà l'evacuazione di insediamenti israeliani isolati, né un compromesso sui blocchi degli insediamenti. La Valle del Giordano rimarrà sotto il controllo israeliano e lo stato palestinese sarà smilitarizzato. Se questa è davvero l'offerta finale, è molto lontana da ciò che i palestinesi chiedono». Il New York Times ricorda che «i colloqui di pace sono stati congelati dal 2014 e i leader palestinesi hanno boicottato per mesi quelli con gli Usa, lamentando il fatto che Trump ha una predilezione nei confronti di Israele».

 Che cosa succederà
  Il parere di Efraim Inbar, Presidente del Jerusalem lnstitute for strategie studies.
  Non sappiamo ancora i dettagli del piano di pace, anche se circolano rumors e indiscrezioni. Sicuramente è un accordo migliore di quello proposto dall'ex presidente Usa Bill Clinton. Ma rimangono molti problemi da sciogliere. In primis lo status di Gerusalemme, perché i palestinesi non vogliono una spartizione. Inoltre Hamas continuerà a rimanere a Gaza. Ma anche Israele si oppone a una divisione della città, perché Gerusalemme è un luogo sacro per gli ebrei: è lì che sorgono il Muro del Pianto e il Monte del Tempio. Ma perché il piano abbia successo si dovrà fare un compromesso tra le due parti. Il presidente Donald Trump è sicuramente un amico di Israele, ma senza il consenso di ebrei e palestinesi non va da nessuna parte.

(Panorama, 28 giugno 2018)


Israele cura i giovani siriani. In cliniche molto attrezzate

Operazione «Buoni vicini». I bambini vivono nel Golan in una zona frontaliera controllata dai gruppi ribelli.

di Simonetta Scarane

I soldati dell'IDF sulle alture del Golan trasferiscono i siriani feriti in Israele per cure mediche
Le madri siriane che vivono nei villaggi della zona frontaliera controllata dai gruppi ribelli, che si oppongono al regime di Bashar al-Assad, si fanno chilometri a piedi, di notte, per accompagnare i propri bambini dai medici israeliani sul versante delle alture del Golan occupate dallo Stato ebraico. E' dall'agosto 2016 che Israele offre aiuto e cure ai bambini siriani. L'operazione denominata «Buoni vicini» risponde a obiettivi umanitari, ma anche politici.
   Le madri varcano la frontiera e arrivano a un prefabbricato vigilato dai soldati israeliani e si mettono in un angolo ad aspettare di poter salire su un bus, con destinazione la città di Safed, per fare curare i propri bambini negli ospedali israeliani. E' lì che i piccoli siriani vengono visitati dai pediatri. E' lì che vengono curati per patologie degli occhi, per l'epilessia e il diabete, ma anche problemi cardiaci e polmonari. Malattie croniche di fronte alle quali il sistema sanitario siriano, devastato da sette anni di guerra, non può più fare niente, ha spiegato a Le Figaro, Michael Harari, pediatra dell'ospedale de Safed. Fino ad oggi sono stati più di 1.250, circa, i bambini siriani, accompagnati dalle loro mamme, accolti in maniera discreta negli ospedali civili israeliani per sottoporsi alle cure. In genere non rimangono mai più di una giornata nel territorio nemico (Israele e la Siria rimangono teoricamente in guerra nonostante l'armistizio negoziato dopo il conflitto di ottobre 1973. Il loro soggiorno è organizzato dall'esercito in coordinamento con dei medici siriani giudicati degni di fiducia. Finita la visita medica, i piccoli pazienti, insieme alle mamme, aspettano che arrivi il buio della notte per ripartire per i propri villaggi con una scorta di medicine sufficienti per sei mesi di cura. L'anno scorso una cinquantina di bambini siriani è rimasta più a lungo per sottoporsi a interventi chirurgici, secondo quanto ha riportato Le Figaro.
   Questo programma di cure pediatriche, un tempo tenuto segreto, fa parte della campagna umanitaria pilotata dallo Stato ebraico in aiuto alle popolazioni siriane che vivono lungo la frontiera. Nel corso dei due anni passati, l'esercito ha dichiarato di aver trasportato 1.300 tonnellate di cibo, 27.340 scatole di latte artificiale, 230 tonnellate di abiti e 864.520 litri di benzina destinati alle località confinanti.
   L'anno scorso, l'esercito ha fornito il materiale necessario per aprire un ambulatorio gestito da una Ong americana oltre il confine. E più di recente, ha consegnato materiale medico per circa 2 milioni di dollari (1,7 mln di euro) per attrezzare un reparto maternità nel villaggio di Bariqa. Azioni, comunque, non disinteressate. Politicamente dovrebbero servire a creare fra questi siriani non esattamente degli amici, perché sarebbe quasi impossibile, ma a stabilire con loro un legame tale che potrebbe essere d'aiuto a Israele a impedire che l'Iran, Hezbollah, o lo Stato islamico si impianti al confine.

(ItaliaOggi, 28 giugno 2018)


Lancio di razzi dalla striscia di Gaza contro Israele

Anche nella giornata di ieri, da Gaza sono continuati i lanci di aquiloni incendiari e di palloni con esplosivi verso il territorio israeliano. Una ventina gli incendi, che sono stati domati dai vigili del fuoco e dagli artificieri costretti a continui interventi.
La radio militare israeliana ha riferito che l'automobile dalla quale un miliziano stava lanciando i palloni esplosivi è stata distrutta da un carro armato. E, in un comunicato, un portavoce militare israeliano ha avvertito che «Hamas subirà le conseguenze per avere favorito il terrorismo e l'instabilità».
Successivamente Hamas è tornato a lanciare razzi da Gaza su Israele, obbligando decine di migliaia di abitanti del Neghev a trascorrere la notte nei rifugi. Secondo la radio militare israeliana, i lanci sono stati almeno 13, tre dei quali sono stati intercettati dal sistema di difesa Iron Dome. Non ci sono state vittime, ma nella zona la tensione è alta.
Intanto, Israele ha raggiunto una intesa di principio con le autorità di Nicosia, per il transito di merci fra Gaza e Cipro, aprendo così una breccia nel blocco marino alla Striscia.

(L'Osservatore Romano, 28 giugno 2018)


Ecco perché Bashar Al Assad può diventare un "alleato" di Israele

di Lorenzo Vita

 
Bashar al Assad alleato di Israele? Perché no. No, non è un esercizio di immaginazione. Ma un paradosso che potrebbe presto diventare realtà, in questa inestricabile guerra di Siria. Perché le cose cambiano, continuamente, e l'equilibrio del sud della Siria sta per essere definitamente travolto dall'ultima grande offensiva dell'esercito di Damasco.
  Andiamo con ordine. Israele ha avuto sempre un obiettivo nel conflitto siriano: spezzare la mezzaluna sciita. In pratica, il nemico non era la Siria in quanto tale, ma l'Iran, che è sempre stato il vero bersaglio di Tel Aviv. La strategia israeliana, pertanto, non era tanto quella di far cadere Damasco, ma che l'Iran non avesse più un alleato. O al limite trasformare la Siria in un pantano.
  Ma questi piani israeliani non avevano fatto i conti con quella che poi è diventata la realtà: e cioè che Assad la guerra la sta vincendo. Con il supporto iraniano, della galassia sciita, ma soprattutto della Russia, Assad non solo ha riconquistato larga parte della Siria, ma si appresta anche a liberare le ultime sacche di ribelli a Daraa e Quneitra. Più a sud c'è lo Stato ebraico.
  La riconquista da parte dell'esercito siriano è chiaramente una sconfitta strategica da parte di Israele. È chiaro che riavere le forze armate di Damasco al suo confine non era il sogno di Benjamin Netanyahu, che dall'inizio della guerra ha sostenuto i ribelli della parte meridionale della Siria e si ritrova invece "il nemico alle porte" e i ribelli in procinto di cadere. Ma Israele sa anche che da questa sconfitta, può trarne una vittoria.
  La vittoria consiste nell'allontanamento delle truppe iraniane. Perché se è vero che Israele può colpire le forze dell'Iran autolegittimandosi con la presenza di una minaccia esistenziale al nord del suo territorio, la stessa cosa non può farla con Assad. Come può Israele pretendere che le forze armate siriane non riconquistino il proprio territorio? Sarebbe una richiesta assurda che non potrebbe essere accolta neanche dall'interlocutore privilegiato di quel blocco: la Russia.
  Ed ecco quindi la possibile svolta nei piani di Israele. Non colpire la Siria, purché la presenza siriana eviti la contemporanea presenza di truppe iraniane e di Hezbollah. Ecco la tattica di Israele. Ed è un'idea che la Russia sta in qualche modo avallando se non addirittura contribuendo a rendere concreta. Netanyahu vuole allontanare le truppe iraniane dalla Siria? Allora, deve permettere alle forze di Assad di riprendere il controllo del Sud.
  Assad, in questo momento, ha una carta fondamentale da giocarsi. I ribelli stanno scomparendo o cedendo le armi. Gli Stati Uniti hanno abbandonato le sacche di Daraa e la Russia sta già iniziando a martellare le roccaforti ribelli. L'avanzata di Damasco sembra ineluttabile. E Israele non può fermarla. A meno di tragici errori tattici da parte delle forze armate siriane, come un'avanzata verso il Golan occupato da Israele. Questa situazione fornisce al leader siriano la quasi garanzia di vincere. E lui può farlo insieme alla Russia, escludendo l'Iran ed Hezbollah dall'assalto sul fronte meridionale.
  Del resto Israele ha sempre chiesto questo: che le forze iraniane e le milizie sciite rimanessero lontane dal confine. Netanyahu ha chiesto un completo ritiro da tutto il territorio della Siria. Ma già non avere queste forze né al confine né nella fascia di 50 chilometri al di là della linea del fronte, è una realtà che i vertici della Difesa israeliana apprezzerebbero. Pertanto, tra i due mali, ecco il male minore: la Siria riprendere il controllo, ma l'Iran ed Hezbollah devono rimanere lontani dalle operazioni.

 Il nodo dei drusi
  Ma non c'è solo l'Iran al centro della strategia israeliana. Tra le linee rosse imposte da Israele all'inizio della guerra in Siria, c'era anche la protezione della popolazione drusa del Golan. Questa comunità è da sempre sotto l'ala protettrice di Israele, ed è confermato dal fatto che è stata sempre esclusa dal conflitto. I ribelli conquistavano le località limitrofe senza minacciarli. L'esercito siriano non reagiva alla mancata risposta dei drusi alla leva obbligatoria. Sarebbero considerati disertori, ma Assad ha sempre chiuso un occhio.
  Le cose però stanno cambiando. Assad avanza e i ribelli stanno perdendo. E negli ultimi giorni, due razzi hanno colpito la città di Sweida, a maggioranza drusa. E adesso Israele si ritrova di fronte a un dilemma: come salvare i drusi?
  Assad, anche in questo caso, ha una carta molto importante. E a giocarla è stata la Russia, che, secondo Haaretz, ha inviato due generali a parlare con le autorità locali di Sweida. L'esercito siriano è disposto a tutelare la città e a non considerarla ostile, ma vuole che i drusi si uniscano alle sue forze. In caso contrario, la Russia e la Siria considereranno la città come ribelle, quindi possibile oggetto di bombardamenti.
  Israele difficilmente potrebbe intervenire militarmente contro la Russia e contro la Siria per difendere una comunità all'interno di un Paese nemico. Anche a livello politico, l'opinione pubblica potrebbe non accettarlo. Ed esistono poi molti contatti fra i drusi e il governo siriano, in particolare per le città al confine con il Golan occupato.
  In questo caso, Israele, consapevole dell'ineluttabile vittoria di Assad al sud e convinto dalla fine dei ribelli - fonti locali parlano di centinaia di miliziani che si sono consegnati all'esercito - potrebbe accettare questa soluzione per evitare che i drusi finiscano nel conflitto. Una volta garantito sull'assenza di Hezbollah e di forze iraniane, lo Stato ebraico potrebbe ottenere il massimo risultato ormai raggiungibile.

(Gli occhi della guerra, 28 giugno 2018)


William incontra Abu Mazen e Netta Barzilai, vincitrice dell'Eurovision Song Contest

Nuovo bagno di folla per il principe William: questa mattina ha visitato Boulevard Rothschild, lo storico viale di Tel Aviv, dove ha incontrato Netta Barzilai l'estrosa vincitrice israeliana dell'ultima edizione dell'Eurovision Song Contest. Al principe di Cambridge, Barzilai — che in Israele è oramai famosissima — ha regalato una mini «loop station», un sistema di effetti per strumenti musicali e per voce, diventato il suo marchio artistico.

(Corriere della Sera, 28 giugno 2018)


L'Iran in rivolta contro la crisi e gli ayatollah

di Fiamma Nirenstein

Se il destino volesse che l' accordo americano con la Nord Corea andasse in porto, e se gli attuali sommovimenti in seno all'Iran portassero alla caduta del regime degli ayatollah, allora bisognerebbe inventarsi un doppio premio Nobel per Donald Trump. Triplo se le sue proposte di pace per il Medio Oriente avessero qualche risultato. È il tempo delle grandi sorprese. L'Iran prima ancora di risultati concreti con il ripristino delle sanzioni, dopo la cancellazione dell'accordo fra Teheran e i 5 Paesi più uno, soffre una profonda crisi depressiva di segno trumpiano, aumentata dalla disperata crisi economica. Ed è straordinario che, osservando l'Iran, si intraveda qualche possibilità se non altro di una severa destabilizzazione del suo roccioso sistema. La folla nelle strade soffre l'economia immiserita oltre che dalla corruzione anche dalla costosa ambizione imperialista della leadership religiosa, che punta al dominio mondiale dell'Islam sciita: il rial ha perso ultimamente il 40 per cento in confronto al dollaro, e tuttavia Ali Akbar Velayati, consigliere del capo supremo Khamenei, di fronte all'esplicita richiesta dei lavoratori di smettere di occuparsi di guerre di conquista invece che dell'economia indispensabile alla sopravvivenza, ha dichiarato che l'Iran e l'Irak seguiteranno a combattere gli Usa «comune nemico delle nostre nazioni». E il consigliere militare Yahya Rahim Safavi proclama «la nostra forza raggiungerà le spiagge del Mediterraneo».
   Così, non c'è da stupirsi se questa volta in piazza si trovano non solo i giovani ma anche i commercianti del Gran Bazaar di Teheran, dove la gente ha marciato gridando «Lasciate perdere la Siria e occupatevi dell'Iran», «Morte alla Palestina», «Aiutate noi e non Gaza». Così nel grande Paese i cui 80 milioni di abitanti soffrono dal 1979 sotto il giogo di un regime che impicca gli omosessuali, mette i dissidenti in galera, applica la sharia fino alla lapidazione. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lanciato un inconsueto messaggio di congratulazione al popolo iraniano per le sue vittorie sul campo di calcio: avete fatto il miracolo di battere Ronaldo, ora «forza dai, ancora», siete un popolo capace di miracoli. Un'audace mano tesa alla speranza, come quando chiedeva agli Usa di cancellare l'accordo con l'Iran. Poi è successo, chi l'avrebbe detto.
   Adesso la scadenza dura è domani, dopo la preghiera alle moschee. Finora il regime non ha sparato, speriamo che i Basiji non sfoderino la loro proverbiale crudeltà. Forza Iran.

(il Giornale, 28 giugno 2018)


Varsavia ci ripensa: non è reato associare la Polonia alla Shoah

Il premier Morawiecki: «Cambiamo per venire incontro alla realtà internazionale». Netanyahu: «felici delle modifiche»

VARSAVIA - A fine gennaio era stata approvata la legge che stabiliva pene fino a tre anni per chi si riferisse ai campi come «polacchi» o accusasse la nazione di complicità con i crimini nazisti: 57 voti favorevoli, 23 contrari e due astenuti. Seguirono giorni di furiose polemiche internazionali. Ieri la retromarcia.
  Il parlamento polacco ha infatti riformato la legge sull'Olocausto cancellando la norma incriminata. La riforma della controversa legge approvata nel gennaio scorso è stata presentata a sorpresa su iniziativa del premier Mateusz Morawiecki e subito sottoposta ai parlamentari riuniti a Varsavia in una seduta straordinaria del Sejm.

 L'iter
  «Con questa legge abbiamo riaffermato un principio, ma il senso della modifica consiste nel venire incontro alla realtà internazionale» ha detto Morawiecki chiedendo il sostegno all'emendamento della legge. Ora il provvedimento passa al Senato dove, secondo il presidente Stanislaw Karczewski, sarà discussa e votata oggi stesso.
  Il partito al governo Diritto e giustizia (Pis) ha la maggioranza assoluta in entrambe le Camere del parlamento.
  «Mi felicito che il governo polacco, il parlamento, il senato e il presidente abbiano deciso di annullare quei paragrafi che avevano scatenato una tempesta e malumore in Israele e nella comunità internazionale». Lo ha detto il premier Benyamin Netanyhu a commento della modifica della Legge sulla Shoah da parte polacca. «A tutti è chiaro che la Shoah è stato un crimine senza precedenti, perpetrato dalla Germania nazista contro la nazione ebraica e gli ebrei polacchi».

 Il comunicato
  Congiunto il comunicato tra Polonia e Israele: «Abbiamo sempre convenuto che il termine "Campi di concentramento/della morte polacchi" è evidentemente erroneo e sminuisce la responsabilità dei tedeschi per averli allestiti. Respingiamo le azioni volte ad accusare la Polonia o la nazione polacca nel suo complesso per le atrocità commesse dai nazisti e dai loro collaboratori originari di nazioni svariate. Sfortunatamente c'è il triste fatto che certe persone - indipendentemente dalla loro origine o religione - espressero allora il suo lato deteriore».
  Nel suo discorso pronunciato in diretta alla tv di Stato, Netanyahu ha ribadito: «I rapporti con la Polonia sono per noi molto importanti, e si basano su relazioni di fiducia reciproca».

(Il Messaggero, 28 giugno 2018)


Bari - Conclusa la missione in Israele delle AdSP MAM e TC

Importanti rapporti in campo accademico, tecnologico, logistico

I presidenti delle Autorità portuali dell'Adriatico Meridionale e del Tirreno Centrale, Ugo Patroni Griffi e Pietro Spirito, si sono recati in missione in Israele. Dopo scambi di vedute con i Ministeri dell'Economia e degli Affari Esteri, si e' tenuto un incontro con l'Autorità di regolazione e gestione dei porti israeliani, nel corso del quale sono emerse, in particolare, opportunità di collaborazione accademica tra l'Università di Haifa e le università napoletana e barese.
Diversi sono stati i contatti con operatori nel settore delle tecnologie marittime, per analizzare lo stato della ricerca e della industrializzazione su questo fronte strategico.
La missione si è conclusa con un incontro con la principale compagnia marittima nel settore dei container israeliana, la ZIM, con la quale sono state analizzate le principali rotte servite e i possibili sviluppi.
"Israele è totalmente dipendente dai traffici marittimi: il 99% del volume del suo import-export passa per il mare e il commercio estero rappresenta il 63% del Pil- commenta il presidente Patroni Griffi. Tra i principali obiettivi della nostra missione, intercettare forme di collaborazione per dare ulteriore impulso al traffico container nei nostri porti, considerati i risultati impressionanti raggiunti, in questo segmento, dai porti israeliani. I due principali scali del Paese, infatti, movimentano attualmente 2,7 milioni di Teu l'anno e puntano a raggiungere quota 3,5 milioni entro il 2021, quando saranno finiti i lavori di potenziamento che li porteranno a ospitare navi fino a 18-19.000 Teu. Proprio in virtù di tali dati, in questi giorni ci siamo interfacciati- conclude Patroni Griffi- con i referenti della compagnia ZIM, per verificare possibili forme di collaborazione e di investimento, soprattutto in vista delle agevolazioni che saranno introdotte delle ZES."
    "Israele registra una crescita media annua del 4% nelle merci che transitano per i suoi porti, nonché investimenti da quattro miliardi di dollari per la costruzione di nuovi terminal container- commenta il presidente Spirito. Uno spiccato protagonismo sia per i collegamenti marittimi sia per quelli terrestri, nella strategia cinese "One Belt One Road". Siamo convinti, inoltre, che il trinomio cultura-scienza-crescita costituisca il volano giusto per produrre innovazione, facendo leva sul capitale umano per raggiungere cruciali obiettivi di crescita. Proprio a tal fine, abbiamo aperto la strada a forme di collaborazione tra le università partenopea e barese e quella di Haifa per favorire l'istituzione di collegamenti che possano essere anche di natura scientifica e accademica. Le vie di collaborazione possono essere diverse, e i nostri porti del Tirreno centrale e dell'Adriatico meridionale- conclude il presidente- intendono svolgere il ruolo di ponte , per rendere il nostro mare un luogo di incontro e non di tragedie."
(Puglia live, 27 giugno 2018)


India e Israele vicini alla firma per la vendita di 4.500 missili Spike

Missile anticarro Spike
GERUSALEMME - India e Israele sarebbero vicini alla firma del contratto per la vendita a Nuova Delhi di 4.500 missili guidati anticarro Spike dalla società israeliana Rafael Advanced Defense Systems. Lo riferisce il quotidiano d'informazione economica israeliano "Globes" annunciando la visita del direttore generale del ministero della Difesa Udi Adam in India, prevista il prossima 2 luglio. Al centro della visita di Adam la cooperazione bilaterale nel settore della difesa. In un primo momento l'India avrebbe dovuto acquistare 8mila missili, tremila dei quali prodotti nel paese, ma l'intesa sarebbe svanita perché Israele non avrebbe accettato un numero elevato di pezzi realizzati all'estero. L'accordo è stato rinegoziato lo scorso gennaio in occasione della visita in India del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Secondo le indiscrezioni, l'intesa prevede che venga prodotto in India un numero minore di missili. "Hindustan Times" riferisce che durante la visita di Adam in India, le parti discuteranno della possibilità di acquistare dalla Israel Aerospace Industries altri due sistemi radar Phalcon-Awacs per un valore di un miliardo di dollari. Tra gli altri temi al centro della visita di Adam un possibile accordo per produrre in India fucili d'assalto Tavor 21 della Israel Weapons Industries.

(Agenzia Nova, 27 giugno 2018)


Missili da Gaza: ancora una notte nei rifugi nel sud di Israele

Gli allarmi missilistici sono risuonati ripetutamente questa notte, tra l'1.45 fino alle 4 del mattino, nel sud di Israele, per ordigni lanciati da Gaza. In particolare, sono state attaccate le aree di Eshkol, Sha'ar Hanegev, Sdot Negev e Ashkelon, a distanze variabili dalla Striscia. Oltre dodici i missili che hanno attraversato i cieli di Israele (35 secondo fonti locali), tre intercettati dal sistema di protezione Iron Dome e gli altri caduti in aree disabitate. La popolazione israeliana, a migliaia, è stata costretta a correre nei rifugi. Non ci sono state vittime né danni rilevanti.
   Come riporta il Times of Israel, questo è il terzo attacco missilistico palestinese in pochi giorni, dopo quelli del 18 e del 20 giugno (45 missili lanciati, uno intercettato e 10 che hanno colpito aree urbane). Hamas ha affermato che si tratta della risposta alle incursioni di droni israeliani, mandati a colpire gli aquiloni e gli ordigni incendiari che stanno devastando i campi coltivati del sud di Israele. I droni israeliani, confermano fonti dell'IDF, hanno colpito due auto e un punto di osservazione palestinese usato da gruppi armati per lanciare attacchi incendiari. Nessun palestinese è stato ferito in questi episodi.
   Dal mese di marzo oltre 600 aquiloni e palloni con attaccati ordigni incendiari sono stati indirizzati verso le comunità agricole del sud di Israele. Nella maggior parte dei casi, hanno causato vasti roghi in campi e foreste della zona, per una perdita economica di circa 1,2 milioni di euro, tanto che il ministero dell'Agricoltura ha offerto dei compensi ai contadini colpiti - come accade per le famiglie toccate da attentati - dai roghi: 60 shekel, circa 15 euro, per ogni dunam andato in fiamme, (0,1 ettari). Sono almeno 500 gli ettari incendiati finora.
   Contro questi ordigni incendiari, che non vengono individuati dal sistema Iron Dome, l'esercito israeliano sta avendo non poche difficoltà, tanto che ha dovuto dispiegare le sue forze speciali e i tiratori scelti lungo la barriera fortificata che separa Israele dalla Striscia di Gaza, e utilizzare dei droni che colpiscano le "armi volanti".

(Bet Magazine Mosaico, 27 giugno 2018)


Turismo - Israele, boom grazie al Giro: 10.000 italiani, +27% sul 2017

Per la partenza da Gerusalemme, la corsa verrà premiata con la Menorah d'Oro

 
L'accoglienza di Gerusalemme al Giro d'Italia
Adesso anche le cifre certificano lo straordinario successo della Grande Partenza del 101o Giro d'Italia in Israele. Dal 4 al 6 maggio, tre tappe a Gerusalemme, Tel Aviv ed Eilat con migliaia di tifosi lungo le strade e un entusiasmo che resterà nella storia centenaria della corsa rosa.

 Lavoro
  Le statistiche di maggio fornite dal ministero del turismo israeliano, partner strategico che ha sostenuto dal primo giorno la decisione di far partire il Giro in Israele, sottolineano un forte incremento degli arrivi turistici. Da tutto il mondo, a maggio hanno raggiunto il Paese 395.900 persone, il 14% in più rispetto a maggio 2017. Un dato che vale 590 milioni di dollari. E se guardiamo alle cifre italiane, l'istituto certifica che sono stati circa diecimila i nostri connazionali che sono arrivati in Israele a maggio, per vacanza o lavoro: il 27% in più rispetto al 2017. Da gennaio a maggio 2018, sono stati 54.500, pari al 41 % in più rispetto al 2017 e all'82% in più sul 2016. Dati che premiano il lavoro dell'ufficio israeliano del turismo in Italia, diretto da Avital Kotzer Adari. E Yariv Levin, il potente ministro del turismo sempre in prima fila al fianco dei dirigenti di Rcs Sport e del filantropo Sylvan Adams (l'uomo che ha lanciato l'idea di questa Grande Partenza), dichiara: «Per il 19o mese consecutivo, vediamo un nuovo record di arrivi. A dare i loro frutti sono l'apertura di nuove rotte aeree e le attività di marketing, tra le quali la Grande Partenza del Giro d'Italia a Gerusalemme». In totale, 1,75 milioni di turisti da gennaio a maggio, +22% sul 2017.

 Premio
  Tre tappe nel nome di Gino Bartali, «Giusto tra le Nazioni», «cittadino onorario di Israele»: come dimenticare l'emozione della cerimonia allo Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto, con la squadra dell'lsrael Academy che ha nominato i suoi corridori «ambasciatori di pace»? E per «l' encomiabile iniziativa di inaugurare a Gerusalemme il Giro nel ricordo di Bartali, per aver mostrato al mondo intero la bellezza della terra d'Israele in una entusiasta e colorata atmosfera di pace», il Bené Berith di Roma (l'organizzazione filantropica ebraica tra le più antiche al mondo, che diffonde i principi di armonia, libertà e pacifica convivenza dei popoli di qualsiasi nazione) ha deciso di insignire il Giro del Premio internazionale Menorah d'Oro (il candelabro simbolo dell'ebraismo). La consegna lunedì alle 19 a Roma, al circolo ufficiali della Marina Militare in Lungotevere Flaminio.

(La Gazzetta dello Sport, 27 giugno 2018)


Prima gli iraniani!

Le proteste in Iran si riaccendono. L'America annuncia uno stop al greggio iraniano dal 4 novembre

Le proteste degli iraniani
Il gran bazaar di Teheran chiuso
Ieri è stato il secondo giorno di sciopero generale dei bazaar in molte città dell'Iran - inclusa la capitale Teheran - contro il governo e contro il potere religioso dei mullah. E' stato uno sciopero molto duro, ci sono stati scontri con la polizia, negozi danneggiati, veicoli dati alle fiamme. Dopo l'uscita con onore dal Mondiale di calcio della Nazionale iraniana avvenuta lunedì contro il Portogallo, il clima nel paese è di nuovo quello di fine dicembre e inizio gennaio, quando focolai di protesta si accesero in 75 città del paese, ma risparmiarono la capitale Teheran. Le proteste furono spente con la forza bruta, la polizia uccise una trentina circa di manifestanti. La differenza con quella prima ondata è che questa volta scende in piazza anche un segmento diverso della società iraniana, a manifestare non ci sono più soltanto i mostazafin, i "senza scarpe", i forgotten man di Mashaad, la città molto conservatrice al confine con l'Afghanistan dove l'inflazione troppo alta fece scoppiare le prime proteste. Adesso ci sono anche i bazaari, i commercianti di Teheran, che prediligono il quieto vivere e si muovono soltanto se la situazione sta virando verso l'insostenibile. Non tutti i commercianti sono d'accordo. Ieri una folla di qualche centinaio di persone girava per il Gran bazaar della capitale costringendo i negozianti ancora aperti a chiudere. Dopo è passata la polizia a rompere le finestre di tutti i negozi chiusi, senza fare distinzioni.
   Nel 2009, quando gli studenti e i giovani dei quartieri bene di Teheran nord formarono l'Onda verde e scesero in piazza si parlò di una protesta libertaria incapace di raccogliere il consenso di tutto il resto della nazione. Ora le condizioni economiche mordono: negli ultimi sei mesi la moneta, il rial, ha perso il cinquanta per cento del suo valore e questa settimana c'è stato un crollo brusco - tra sabato e domenica il tasso di cambio è passato da 75 mila a 90 mila rial contro un dollaro, prima di calmarsi un po' - e il ritorno delle sanzioni economiche americane minaccia di peggiorare ancora di più la situazione. Ieri il dipartimento di stato ha invitato tutto il mondo a non importare più petrolio iraniano a partire dal 4 novembre. Gli slogan della gente non riguardano l'economia in senso stretto, sono politici, sono contro il fatto - evidente a tutti - che il governo iraniano insegue aspirazioni e sogni da potenza internazionale, investe quantità enormi di denaro nei paesi del medio oriente e trascura i suoi cittadini. "Lasciate la Siria da sola e pensate a noi", gridava ieri una piccola folla sotto le finestre del Parlamento. Nelle strade si è sentito anche l'impensabile slogan "Margbar al Falastin!", "morte alla Palestina", come reazione esasperata degli iraniani che vedono il governo spendere molto per finanziare gruppi come Hamas, Hezbollah e il Jihad islamico in guerra contro Israele, senza preoccuparsi troppo dell'economia domestica. Alcuni analisti dicono che i pasdaran potrebbero approfittare della situazione per incolpare e poi spodestare il presidente Hassan Rohani. L'ambizione internazionale causa un'emorragia di risorse. Secondo la rivista americana Bloomberg, il regime iraniano ha speso sei miliardi di dollari finora per appoggiare il presidente siriano Bashar el Assad. Ieri un sito che monitora lo spostamento delle petroliere (TankerTrackers) ha rivelato che una singola petroliera iraniana ha trasportato quasi cinque milioni di barili di greggio dall'Iran alla Siria negli ultimi 315 giorni, per sostenere il governo siriano. Figurarsi come si sentono molti cittadini di fronte a questi dati. Prima gli iraniani.

(Il Foglio, 27 giugno 2018)


Hotel da sogno alla portata di tutti

di Fabiana Magrì

 
Hotel «The Setai» - Tel Aviv
 
Hotel «Saul» - Tel Aviv
 
Hotel «Drisco» - Tel Aviv
Inarrestabile. La crescita del turismo in Israele non si ferma. Il mese di aprile 2018 ha registrato un aumento del 17% rispetto allo stesso periodo del 2017 e del 61% rispetto ad aprile 2016, un'iniezione di 2,1 miliardi di shekel (quasi 500 milioni di euro) nell'economia locale. Se si calcola il giro d'affari generato dal turismo dall'inizio dell'anno, i miliardi di shekel sono sette (ben oltre 1,5 miliardi di euro). La tendenza non potrà che crescere ancora, dopo il grande successo della campagna di comunicazione del Misrad HaTayarut (Ministero del Turismo) - un vero e proprio «blitz di marketing» per usare le parole del ministro Yariv Levin - in occasione della partenza del Giro d'Italia da Israele: oltre mezzo miliardo di persone in tutto il mondo sono state raggiunte dalle immagini di quello che è già passato alle cronache come il più grande e importante evento sportivo che lo stato ebraico abbia mai ospitato nei suoi primi settanta anni di vita. Per accogliere questa ondata di visitatori, il Paese si sta attrezzando con nuove strutture, alberghi di ogni categoria, non solo a Tel Aviv e Gerusalemme. Importanti sovvenzioni statali, pari al 10% degli investimenti, sono state approvate per la conversione di uffici ed edifici residenziali in hotel. Il budget che il Ministero del Turismo ha messo a disposizione per il 2018 è di 250 milioni di shekel (quasi 60 milioni di euro), un bell'aumento rispetto ai 181 milioni stanziati nel 2017. La sovvenzione più sostanziosa è stata di 35 milioni di shekel (quasi 8 milioni di euro) per un hotel a Gerusalemme con capacità di 248 camere. Nella capitale hanno usufruito di finanziamenti cinque progetti per la creazione di un totale di 482 camere. Ci sono in programma nuovi hotel anche a Netanya (356 camere), a Rishon Lezion (240 camere) e Bat Yam (275 suite di lusso).
   Ecco allora i tre hotel inaugurati più recentemente a Tel Aviv. Ad aprile ha festeggiato l'apertura ufficiale «The Setai» a Giaffa. È il primo hotel israeliano della catena di Miami «Leading Hotels of the World». L'albergo - 120 camere e suite, infinity pool, spa, chef restaurant e interni di ispirazione turca a cura di ARA Design - occupa uno degli edifici storici più importanti di Israele. Ci sono voluti 25 anni di interventi di restauro per recuperare il Kishle, fortezza crociata del XII secolo, patrimonio passato agli imperi napoleonico, bizantino e ottomano.
   Ad aprile ha inaugurato anche «Saul» nel centro del centro della White City. Il concept mixa design industriale e atmosfera domestica, motivi classici e contemporanei, Oriente e Occidente, esprimendo l'atmosfera eclettica di Tel Aviv. Le 34 camere sono state progettate con grande attenzione ai dettagli: soffitti alti, giustapposizione di acciaio e cemento a vista con arredi in noce e lampioni restaurati, biancheria in lino turco tessuta a mano. Persino l'accesso gratuito a Netflix.
   Fresco fresco d'inaugurazione a giugno, «Drisco», 42 stanze, è un boutique hotel nell'American Colony, tra i quartieri di Neve Tzedek e Florentin. Si tratta di un ritorno alle origini: l'edificio, del 1866, è stato il primo hotel di lusso nella regione, appena fuori dalle mura di Giaffa. Nei secoli la proprietà passò dai coloni americani ai templari tedeschi fino alla loro deportazione da parte delle autorità del Mandato Britannico in Palestina, nel 1940. Allora l'edificio fu abbandonato fino al 2006, quando è iniziato il lungo processo di restauro guidato dall'architetto e interior designer Ari Shaltiel.

(Shalom, maggio-giugno 2018)


Sonda "intelligente" consente ai chirurghi di rimuovere con precisione i tumori

Una nanosonda che aiuta i chirurghi a rimuovere con precisione i tumori, è stata ideata e sviluppata dai ricercatori dell'Università di Tel Aviv.
   La sonda "intelligente", inserita nel paziente poche ore prima di un intervento per asportare un tumore, in presenza di cellule cancerose si illumina con una luce fluorescente. In questo modo la luce aiuta il chirurgo ad individuare dove si trovano le cellule tumorali, consentendo così la rimozione di più cellule con il minimo danno possibile per il tessuto sano circostante.
   Spesso non sono i vari tipi di cancro ad uccidere i pazienti, ma piuttosto le metastasi, cioè la diffusione di cellule tumorali residue presenti in varie parti del corpo.
   A spiegare come questo sia possibile è la prof.ssa Ronit Satchi-Fainaro, a capo del team interdisciplinare di ricerca e presidente del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia presso la Facoltà di Medicina Sackler dell'Università di Tel Aviv, come riporta il Times of Israel:
"Nei casi di melanoma e tumore al seno, ad esempio, il chirurgo può credere di aver asportato l'intero tumore e lasciato il tessuto rimanente libero dal cancro. Se dopo l'intervento chirurgico rimangono anche solo alcune cellule, magari troppo piccole per essere rilevate da risonanza magnetica o Tac, possono verificarsi recidive e metastasi. La nostra nuova tecnologia consente al chirurgo di eliminare completamente il cancro. La sonda riduce la necessità di ripetuti interventi chirurgici in pazienti con cellule tumorali che rimangono nei bordi del tessuto rimosso. Questa tecnica può portare ad aumentare il tasso di sopravvivenza dei pazienti".
I ricercatori hanno basato il loro lavoro su studi precedenti, in cui viene dimostrato che le cellule cancerose hanno un elevato numero di enzimi chiamati catepsine. Nelle cellule sane la quantità di queste catepsine è bassa. Sulla base di questa conoscenza, gli scienziati israeliani hanno creato la sonda intelligente. Nel momento in cui la sonda viene a contatto con le catepsine tumorali genera una luce fluorescente, nel tessuto sano invece l'area rimane scura.
   La ricerca israeliana è stata portata avanti in collaborazione con il Prof. Doron Shabat della Scuola di Chimica dell'Università di Tel Aviv, il Prof.ssa Galia Blum dell'Università Ebraica di Gerusalemme e il Prof. Zvi Ram e la Dott.ssa Rachel Grossman del Dipartimento di Neurochirurgia del Tel Aviv Sourasky Medical Center. Allo studio, pubblicato a maggio sulla rivista Theranostics, hanno partecipato i ricercatori Rachel Blau, Yana Epshtein ed Evgeni Pisarevsky.
   La ricerca del laboratorio della professoressa Satchi-Fainaro ha ricevuto il sostegno finanziario dal Consiglio europeo della ricerca (CER) nell'ambito del Settimo programma quadro dell'Unione europea.

(SiliconWadi, 27 giugno 2018)


William 'messaggero di pace', vede Rivlin e Netanyahu

Al Memoriale Yad Vashem, 'terrificante'. Poi bagno di folla a Tel Aviv

Il giovane e futuro re William di Inghilterra diventa "messaggero di pace". Quando a Ramallah vedrà Abu Mazen - gli ha confidato ieri al suo primo giorno di visita in Israele il presidente Reuven Rivlin - dica al presidente palestinese che "è giunto il tempo di trovare insieme il modo per costruire la fiducia".
   "Siamo destinati - ha insistito Rivlin con William - a vivere insieme. Tutti i gerosolimitani sanno che dobbiamo vivere insieme e insieme vivremo". Il principe inglese non si è tirato indietro ed ha risposto di non vedere l'ora " di assorbire e comprendere i differenti temi, le differenti culture, le differenti religioni" del Medio Oriente.
   E così la visita del duca di Cambridge, definita più volte da Kensington Palace "non politica" , si colora di diplomazia internazionale specie in un momento in cui il processo di pace è in coma profondo. C'e' una sorta di ironia involontaria - o di calcolato effetto - nel fatto che il "messaggio di pace" sia affidato ad un membro di peso della Casa reale che per oltre 20 anni ha governato nella Palestina Mandataria.
   Per William ieri la giornata è cominciata con la visita "profondamente emozionante" a Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme. "E' terrificante... sto cercando di comprenderne l'entità", ha mormorato sconsolato William, allargando le braccia, di fronte al reliquario delle scarpe sottratte ai deportati uccisi nel campo di concentramento di Majdanek. Poi - accompagnato da due sopravvissuti dei 'Kindertransport' messi in salvo in Gran Bretagna prima della Guerra - la firma del libro di onore di Yad Vashem dove William ha scritto che non bisogna " mai dimenticare la Shoah: l'uccisione di 6 milioni di uomini, donne e bambini solo perché erano ebrei". Dopo aver rivendicato "la responsabilità" per tutti "di insegnare alle future generazioni gli orrori del passato in modo che mai si ripetano", l'erede al trono non ha potuto non ricordare la bisnonna Alice, la principessa 'Giusta tra le Nazioni', che salvò una famiglia di ebrei in Grecia, di cui si è detto "onorato di essere" il bisnipote.
   Un ricordo che si è protratto con l'incontro, nella Residenza di Benyamin Netanyahu, con i discendenti di quella famiglia salvata da Alice, sulla cui tomba al Monte degli Ulivi William pregherà giovedì mattina e definito dal premier "toccante".
   "Abbiamo discusso di molte cose - ha raccontato in seguito Netanyahu che era insieme alla moglie Sarah -. Del nostro rispettivo servizio militare, di elicotteri, di calcio e della Coppa del Mondo".
   Dopo Gerusalemme, Tel Aviv: e qui William ha ritrovato il ragazzo che è in lui, nella città più giovane del Paese. Non solo la partita di calcio a Jaffa tra ragazzini ebrei ed arabi, sponsorizzata dal Centro Peres per la pace, dove ha anche tirato due rigori, entrambi segnati, ma anche il bagno di folla sulla spiaggia di Frishman, una delle più note di Tel Aviv. Occhiali da sole, maniche di camicia arrotolate, sniker ai piedi, contornato, insieme al sindaco Ron Huldai, da gente festante e incuriosita.
   In serata festa grande all'ambasciata britannica in città: 400 invitati, tra i quali Bar Rafaeli.
         Bar Refaeli sembra essere rimasta particolarmente colpita dall'incontro con l'erede al trono britannico, tanto che
         i tabloid inglesi riportano la seguente dichiarazione: "È veramente, veramente affascinante. Penso che sia lui che
         il fratello (Harry) siano entrambi belli. Ma lui è il principe più bello del mondo" (Rep tv).



(ANSAmed, 27 giugno 2018)


Dall'Italia a Israele, Anastazja la nuova curatrice del Museo Nahon di Gerusalemme

di Daniel Reichel

Anastazja Buttitta
"Abbiamo scoperto il nome di Anastazja grazie ad un articolo uscito su Haaretz. E si è rilevato il profilo giusto per l'incarico di curatore del Museo di Arte Ebraica Italiana U. Nahon". Intervistata in qualità di esperta di oreficeria dal quotidiano israeliano, Anastazja Buttitta non immaginava che questo le avrebbe aperto la strada a un nuovo incarico. E invece, come ha spiegato a Pagine Ebraiche il presidente del Museo Nahon di Gerusalemme Jack Arbib, quel pezzo - in cui si parlava di una polemica legata a un gioiello e alla casa reale britannica - ha generato l'interesse del consiglio del Museo, da tempo in cerca di una figura che potesse sostituire Andreina Contessa, partita da Israele per dirigere il Museo storico e il Parco del Castello di Miramare a Trieste. "Avevamo bisogno di qualcuno esperto di storia dell'arte italiana, che potesse valorizzare il grande patrimonio del nostro museo. Anastazja aveva delle ottime referenze, essendosi laureata a Firenze con la professoressa Dora Liscia Bemporad, e così dopo un'approfondita ricerca, abbiamo scelto lei", spiega Arbib. "Può suonare artificiale ma non è così: per me è davvero un sogno che si realizza - racconta Anastazja, classe 1981, nata a Varsavia e figlia del giornalista e scrittore siciliano Pietro Buttitta - Quando sono arrivata alla Ben Gurion University per fare il mio dottorato (su gioielli dell'epoca rinascimentale di Venezia) con la professoressa Nirit Ben-Aryeh Debby ho pensato che sarebbe stato bello lavorare al Nahon, un museo che ho imparato a conoscere grazie agli studi con la professoressa Bemporad".
   E proprio la Bemporad, docente di Storia dell'Arte Moderna all'Università degli Studi di Firenze, afferma di essere "molto contenta per la nomina di Anastazja. È importante che finalmente ci sia qualcuno esperto di Arti minori in un ruolo prestigioso come quella offerto dal Nahon. Anastazja poi è multilingue: parla perfettamente italiano, polacco, inglese e ora ebraico. Ha quindi una visione molto ampia ed europea". Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Firenze, dove si è specializzata in Storia delle arti applicate e dell'oreficeria con la professoressa Bemporad, Buttitta aveva iniziato i suoi studi facendo un anno di giornalismo a Varsavia, dove si era trasferita con la madre dopo la scomparsa del padre nel 1994. Poi però la scelta di dedicarsi all'arte e studiare in Italia.
   In Sicilia, terra al centro dei versi del nonno poeta e partigiano Ignazio Buttitta, Anastazja ha lavorato alla Fondazione Orestiadi, catalogando le grandi collezioni di gioielli e legni dipinti di tutto il Mediterraneo. Poi un passaggio a Roma, "all'Istituto polacco dove mi sono occupata delle arti visive collaborando al Padiglione della Polonia durante la Biennale dove, a rappresentare il Paese, era stata chiamata l'artista israeliana Yael Bartana ".
   E infine l'arrivo in Israele. "Mio padre aveva vissuto in Israele negli anni '60 e io già da tempo pensavo di trasferirmi. Ho sempre avuto una passione per il paese e per la letteratura israeliana in particolare: in passato ho avuto la possibilità di intervistare Amos Oz e Etgar Keret per una rivista italiana. Poi è arrivata l'opportunità del dottorato e così sono andata alla Ben Gurion University". Parlando del lavoro di curatrice, spiega: "Il mio incarico al Nahon è iniziato da qualche giorno e ovviamente ci sono moltissime cose da fare. È una sfida affascinante". Nahon che proprio in questi mesi sta perfezionando il passaggio ad associazione autonoma dal Tempio della Hevrat Yehudè Italia be Israel, la comunità ebraica italiana in Israele, a cui è rimasta la proprietà dei pezzi custoditi dal museo. È un passaggio importante, spiegano sia Jack Arbib sia il presidente della Hevrat Yehudè Italia Sergio Della Pergola, a cui si è arrivati dopo diversi anni di intenso lavoro. "Il museo inoltre è tornato a far parte dell'Association of European Jewish Museums e il prossimo ottobre ospiteremo un loro workshop dedicato al restauro", afferma Arbib, sottolineando come il Museo sia impegnato ad acquisire sempre più risonanza a livello internazionale. "Abbiamo il privilegio di custodire e l'obbligo di valorizzare un patrimonio che rappresenta tutto l'ebraismo italiano - sottolinea il presidente del Museo Nahon - E siamo fiduciosi che Anastazja possa aiutarci in questo".

(moked, 25 giugno 2018)


Cucina Kosher, a tavola con il sapore del tempo

di Marco Lombardi

 
                                   Laura                                                                  Fabiana                                                              Giulia
ROMA - L'undicesima edizione di "Ebraica", il Festival Internazionale della Cultura diretto da Ariela Piattelli, Raffaella Spizzichino e Marco Panella, ha messo al centro il tema del "tempo", perciò si sono svolti degli incontri culinari che sono cominciati ieri e finiranno domani: "Il tempo ebraico è scandito da profumi e sapori specifici: lo Shabbat del sabato sa di challot, un pane fra il dolce e il salato, mentre la Pasqua ha il profumo delle lasagne di pane azzimo, il Capodanno il sapore del miele e la Pentecoste sa di crostate di ricotta e fragoloni», hanno dichiarato Laura Ravaioli di Gambero rosso channel, la storica dell'Arte Fabiana Mendia e la chef Giulia Gallichi Punturello in occasione del convegno di ieri, precisando poi che la cucina delle ricorrenze è il "luogo" in cui vengono armonizzate le regole alimentari tradizionali kosher con le culture dei luoghi in cui gli ebrei hanno vissuto. Oggi e domani - presso il Palazzo della Cultura, nel Quartiere Ebraico - sono previste le presentazioni di due libri: "Di casa in casa. Sapori Kosher dal mondo in Italia", ricette casalinghe provenienti da tutte le comunità ebraiche nel mondo, e "Kosher, Halal e Bio". Regole e mercati" scritto da Elena Toselli.

(Il Messaggero, 26 giugno 2018)


Il viaggio di William in Medioriente: è già nella Storia

Il principe britannico William, Duca di Cambridge, è volato in visita in Medioriente. Il viaggio - "Ufficiale ma di natura non politica" come si sottolinea da parte del Regno Unito - ha come destinazione Israele, Giordania e Territori palestinesi, tre tappe toccate per la prima volta congiuntamente, da un membro della famiglia reale di Londra. In Israele, la prima visita ufficiale in assoluto.
   Altri membri della famiglia di William, incluso suo padre, il Principe Carlo, hanno fatto visite non ufficiali in Israele; Carlo, in particolare, ha partecipato a Gerusalemme ai funerali di Shimon Peres nel 2016.
   Oggi il Duca di Cambridge si è incontrato ad Amman con il principe ereditario della Giordania, Hussein bin Abdullah, 23 anni, suo commilitone alla Royal Sandhurst Academy. William d'Inghilterra incontrerà nel corso del suo viaggio il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Gerusalemme e il presidente palestinese Mahmud Abbas a Ramallah.
   A Gerusalemme è ospite dell'hotel King David, che era il quartier generale amministrativo della Gran Bretagna durante il Mandato prima della fondazione dello Stato israeliano nel 1948 e obiettivo di un attentato antibritannico da parte dell'Irgun nel 1946. Nella mattinata di lunedì, in Israele, ha reso omaggio sul Monte degli Ulivi di Gerusalemme alla tomba della bisnonna, la Principessa Alice di Grecia, madre del principe consorte Filippo. La donna è onorata da Israele per aver protetto gli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale.
   Martedì 26 giugno, William renderà omaggio alle vittime della Shoah, a Yad Vashem.
   Una visita "storica", nell'anno che celebra i 70 dalla Fondazione di uno Stato che ha avuto relazioni controverse con gli inglesi. Celebre la frase di Ben Gurion: "Combatteremo la guerra contro i nazisti a fianco degli inglesi, come se non ci fosse il Libro Bianco e il Libro Bianco come se non ci fosse la guerra". Il Libro Bianco, nelle sue diverse evoluzioni (1922, 1930, 1939), era l'espressione della politica britannica che mirava a frenare l'immigrazione ebraica in Eretz Israel, per non compromettere i rapporti con gli arabi, e gelava le speranze suscitate dalla Dichiarazione Balfour del 1917. Nonostante le ondivaghe politiche britanniche verso gli ebrei, particolarmente odiose alla vigilia della Shoah, 5000 soldati ebrei che risiedevano nel Mandato si arruolarono nell'esercito inglese costituendo la Brigata Ebraica, nel 1944, per combattere il nazifascismo in Europa.
   Qualche polemica segnerà anche la visita storica di oggi. Il Foreign Office segnala che la tappa al Muro Occidentale, massimo luogo sacro dell'ebraismo, avviene nei "Territori occupati".

(Bet Magazine Mosaico, 25 giugno 2018)


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Gaffe su Gerusalemme. Israeliani arrabbiati col principe William

La storia parla di una nonna, Alice, sepolta tra i Giusti per aver salvato ebrei in Grecia, durante la seconda guerra mondiale; l'attualità parla di un accordo economico senza precedenti tra Gran Bretagna e Israele: oltre 400 imprese israeliane operano in Inghilterra e gli scambi commerciali lo scorso anno hanno raggiunto 7 miliardi di dollari. Eppure, ieri l'arrivo al Ben Gurion del principe William, primo membro della famiglia reale in Israele, è stato accompagnato da polemiche: infatti, è bastato un riferimento nel programma ufficiale a Gerusalemme Est come «territori palestinesi occupati), per scatenare le reazioni degli israeliani. «Gerusalemme è stata la capitale di Israele per più di 3.000 anni», ha scritto su Twitter il Ministro degli Affari di Gerusalemme, Zeev EIkin, del partito di destra Likud, vicino a Netanyahu.

(Libero, 26 giugno 2018)


Attualita copia Ebrei americani ''liberal''

di Fulvio Canetti

Ad onor del vero bisogna dire che gli ebrei americani "liberal" sono indifferenti alla situazione politica dello Stato d'Israele e sono ancora amici dell'antisionista Hussein Obama. La decisione del presidente Trump di trasferire l'ambasciata americana a Gerusalemme capitale, è stata recepita da costoro senza entusiasmo e con ostilità. Voglio aggiungere sempre per amor del vero, che gli ''evangelici'' americani hanno invece calorosamente ringraziato il presidente Trump per questa sua coraggiosa decisione. Cosa aggiungere? La Tradizione orale però sa bene che questi ebrei sono in realtà gli ebrei ''dell'esilio'' innamorati del loro carnefice, avendo perso la propria identità ebraica. Pertanto quando si parla di antisionismo spesso si dimentica di mettere nel calderone anche questi ebrei americani liberal e purtroppo non solo americani, che godono di una speciale immunità. La storia dovrebbe insegnare a questi personaggi quanto accaduto alla repubblica di Weimar in Germania, dove il suo presidente, nella persona di Rathenau, venne assassinato dai nazisti, con tutte le sue tragiche conseguenze (Shoà).

(Notizie su Israele, 26 giugno 2018)


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Ad onor del vero: risposta a Fulvio

di Marcello Cicchese

Caro Fulvio, ti ringrazio di cuore di questa tua sincera, spontanea esternazione, che probabilmente ti procurerà qualche critica e antipatia all'interno del tuo ambiente. Preciso, per chi legge, che questa risposta non è stata concordata: Fulvio la legge per la prima volta su queste pagine. Dunque me ne assumo per intero la responsabilità
   Mi preme anzitutto sottolineare l'espressione "ad onor del vero", perché in fondo è stata la verità, una particolare verità, ad avvicinarci fino al punto di farci scrivere insieme un libro recentemente uscito: "Sta scritto".
   Sono convinto, e ho sempre detto, che il "problema Israele" è una questione di verità, non di modi. Le domande a cui spinge a rispondere non sono del tipo "come si fa a ...?", ma "è vero che ...?" Tu ed io abbiamo trovato consenso nel rispondere a questa domanda: "è vero che Israele è il popolo che Dio si è scelto in modo esclusivo per operare nella storia e che a lui ha concesso la terra d'Israele come suo particolare, inalienabile possesso?” Pur nella differenza di quadro teologico in cui abbiamo inserito questa domanda, la risposta è stata per entrambi: SÌ.
   A questo punto, sempre "ad onor del vero", è doveroso precisare che anche tra gli evangelici ci sono i "liberal". Dirai che sono diversi da quelli tuoi; sì, è vero, ma fino a un certo punto. I liberal, siano essi ebrei, cristiani o laici, si assomigliano un po' tutti. Non è il caso qui di elencare tutte le affinità, ma potresti trovarne qualcuna chiedendo qual è, secondo loro, il motivo per cui molti evangelici americani hanno appoggiato Trump nella sua decisione di spostare l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Sentiresti forse, in tutti i casi, lunghi, elaborati, discorsi socio-politici che dovrebbero spiegare perché, secondo loro, quei particolari evangelici devono essere visti come un'espressione religiosa della destra politica. E quando si dice "destra", per un liberal si è detto tutto. E' male. Punto. Poi ciascuno spiegherà, con le sue proprie categorie concettuali, perché.
   Purtroppo però bisogna anche dire che tra gli evangelici gli antisionisti non si trovano soltanto fra i liberal: ce ne sono anche tra i più stretti, tradizionali conservatori. In molti casi, più che di antisionismo si potrebbe parlare di "asionismo", cioè di persone a cui dell'Israele di oggi non interessa proprio niente, o poco più. Ho definito questo atteggiamento "antisemitismo quiescente", perché verso Israele si possono avere tre atteggiamenti: amore, odio o indifferenza. E nei momenti critici l'indifferenza si trasforma in odio. In altre parole, se non è amore, prima o poi diventa odio.
   Tutto questo sembrerà a molti rozzo, primitivo. Ed è così: in effetti sembra rozzo e primitivo; ed è così perché è vero. E in certi casi la verità, quanto più è semplice tanto più dà fastidio. Ci pensano i saggi allora a far di tutto per riuscire a complicarla. E quasi sempre ci riescono, perché sono gente in gamba, loro.
   Qualche giorno fa è venuto a trovarci in comunità un ebreo russo di nome Kirill. Dal nome, per nulla ebraico, indicante un eminente patrono degli slavi, si intuisce il desiderio della famiglia di non dare troppo nell'occhio all'interno della Russia sovietica. In effetti, Kirill è venuto a sapere di essere ebreo dai suoi compagni di scuola, quando hanno preso ad insultarlo chiamandolo "ebreo"; e lui non sapeva che cosa volesse dire. Tornato a casa, l'ha chiesto ai genitori. La madre ha cominciato a dire qualcosa, ma lui non capiva. Per farla corta alla fine ha chiesto: "Ma è una cosa buona o una cosa cattiva". La madre ha tentato una risposta rassicurante: "Non è né buona, né cattiva; è soltanto quello che siamo". A questo punto è intervenuto il padre, tagliando corto: "No, è una cosa cattiva, ma ce la dobbiamo tenere". Più tardi il padre ha spiegato perché la cosa è cattiva: perché loro, gli ebrei, partono sempre in posizione svantaggiata rispetto agli altri. Quindi - diceva al figlio - a noi ebrei, in qualunque lavoro, non basta essere bravi, dobbiamo essere più bravi, perché solo così possiamo sperare di farcela in mezzo agli altri.
   E per molti anni lui e i suoi familiari si sono sforzati di appartenere alla classe emergente della società. Naturalmente, per arrivare a questo la cosa migliore era cercare di dimenticare e far dimenticare di essere ebrei. Altro che Israele! Altro che sionismo!
   Kirill è arrivato a credere in Gesù come Figlio di Dio e Messia di Israele. Adesso predica l'evangelo; l'ha fatto per anni in Germania e adesso lo sta facendo negli Stati Uniti.
   Pochi giorni fa, come dicevo, è passato nella nostra comunità. In uno dei suoi studi ci ha ricordato che quest'anno Israele festeggia i 70 anni dalla sua fondazione. E a bruciapelo ci ha chiesto: voi avete festeggiato? "A onor del vero" abbiamo dovuto rispondere "no". A Kirill è accaduto, come in realtà accade a molti ebrei laici, che proprio la fede in Gesù ha risvegliato in lui il sentimento della sua appartenenza al popolo ebraico e, in questo particolare momento della storia, il suo interesse per lo Stato d'Israele.
   Ci ha spiegato allora (ma avremmo dovuto saperlo) che tutte le nazioni sono sorte come conseguenza di peccato, come reazione di Dio al peccato di superbia degli uomini che volevano unirsi nella costruzione della torre di Babele. C'è una sola nazione che nasce non come conseguenza di peccato degli uomini, ma come frutto di un piano d'amore di Dio: Israele. Al Faraone che si considerava figlio di Dio, il Signore ordina attraverso Mosè: "Lascia andare mio figlio" (Esodo 4:23). Il fatto che nella Bibbia Dio chiami Israele “mio figlio” e che nel battesimo di Gesù una voce dal cielo abbia detto: “Questo è il mio diletto figlio nel quale mi sono compiaciuto” (Matteo 3:17), lega il credente in Gesù, ebreo o non ebreo che sia, al popolo a cui Gesù appartiene e alla storia della nazione di questo popolo: Israele.
   Dunque, è nella verità biblica che vanno cercate le spiegazioni di fondo di tutto ciò che accade intorno a Israele: sia che si tratti di amore, sia che si tratti di odio. Tutto il resto è contorno o chiacchiere.

(Notizie su Israele, 26 giugno 2018)


Hamas ha pagato i famigliari della neonata deceduta perché affermassero il falso

Per l'ennesima volta, gran parte della stampa mondiale è volonterosamente caduta nella trappola mediatica dei terroristi. Ma ormai il danno è fatto

Un 20enne palestinese incriminato per terrorismo ha rivelato agli inquirenti israeliani che il capo di Hamas, Yahya Sinwar, ha pagato perché i famigliari affermassero falsamente ai mass-media che la neonata Layla Ghandour era morta per inalazione di gas lacrimogeni.
Il mese scorso la vicenda della morte della piccola Layla Ghandour, descritta come "uccisa dai gas israeliani al confine di Gaza", ha fatto scalpore in tutto il mondo scatenando la consueta ondata di accuse e condanne globali, senza prove né verifiche, contro la gestione da parte delle Forze di Difesa israeliane delle violenze alimentate da Hamas alla recinzione di confine fra Gaza e Israele.
Lo scorso 28 maggio, le forze israeliane hanno arrestato Mahmoud Omar, insieme a un altro membro delle Brigate Martiri di Al-Aqsa, l'ala militare di Fatah, sorpresi mentre tentavano di infiltrarsi in Israele per appiccare fuoco a una postazione militare israeliana in quel momento non presidiata. Stando all'atto d'accusa del Procuratore Distrettuale Sud, Omar faceva da palo mentre altri due membri della sua cellula dovevano tagliare la recinzione e penetrare Israele. Il gruppo non è riuscito a portare a termine l'attacco essendo stato sorpreso dal fuoco dei soldati israeliani. Le forze israeliane hanno catturato Omar e un suo complice, mentre il terzo terrorista è riuscito a fuggire....

(israele.net, 25 giugno 2018)


Il Festival di Cultura Ebraica. Israele, la voce degli scrittori

La cucina ebraica delle feste. L'intelligenza artificiale e la cognizione del tempo. Israele, 70 anni di esistenza raccontati attraverso i suoi scrittori.
Questi i temi della terza giornata di Ebraica, il Festival Internazionale di Cultura in svolgimento a Roma. Il cuore della manifestazione è oggi il Palazzo della Cultura, nell'area del vecchio ghetto. Primo incontro alle 19.30, dedicato ai sapori nella Capitale e introdotto da Ariela Piattelli, con Laura Ravaioli, Fabiana Mendia e Giulia Gallichi Punturello. Alle 21 confronto sul tempo nella percezione ebraica, con uno sguardo alle sfide della contemporaneità: sul palco, con il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, Paolo Benanti, Massimo C. Comparini e Paolo Merialdo (moderatore Marco Panella). Concluderà la serata lo spettacolo teatrale "Dicono della mia terra. Pagine su Israele" di Maria Rosaria Omaggio e Ghila Piattelli. Sul palco, la stessa Omaggio e Ghila Piattelli. Musiche di Oscar Bonelli. Lo spettacolo racconterà lo Stato ebraico attraverso i suoi intellettuali, da Amos Oz a Sayed Kashua, da Eshkol Nevo a Yehuda Amichai.
Un'immagine d'Israele schietta, realistica, talvolta contraddittoria, e che proprio per questo - si annuncia - "svela, al tempo stesso, il segreto del suo fascino".

(moked, 25 giugno 2018)


Usa: Abu Mazen non vuole la pace. L’Anp non incontra Kushner

Nell'incontro tra Netanyahu e il genero di Trump focus su Gaza

di Massimo Lomonaco

 
Benyamin Netanyahu e Jared Kushner, 22 giugno 2018
La frattura tra Usa e palestinesi peggiora quanto più si avvicina la presentazione del Piano di pace a cui sta lavorando Donald Trump. Ieri Jared Kushner, consigliere e genero del capo della Casa Bianca, ha apertamente detto di dubitare che il presidente Abu Mazen voglia veramente la pace, invocando al tempo stesso che sul fronte palestinese almeno qualcuno sia pronto a guardare le carte del Piano. Giudizio e invito prontamente rispediti al mittente da Ramallah che ha confermato l'indisponibilità assoluta ad incontrare Kushner. Parlando con il quotidiano palestinese al-Quds, al termine del suo giro nelle capitali arabe e in Israele per illustrare le linee di fondo del Piano, il consigliere di Trump, pur dichiarandosi disponibile a lavorare con Abu Mazen, ha sottolineato di "chiedersi in che misura" il presidente palestinese "abbia la capacità o la volontà di muoversi per definire un accordo". "La comunità internazionale sta diventando frustrata con la leadership palestinese" ha insistito, richiedendo invece alle dirigenze di entrambi i Paesi la capacità di determinare "quale sia un compromesso accettabile, in cambio di guadagni significativi". A ribadire l'aperta ostilità di tutta la leadership palestinese, il segretario generale dell'Olp Saeb Erekat ha denunciato che l'amministrazione Trump "non è neutrale", anzi promiscua alle posizioni del premier Benyamin Netanyahu e a quelle dei ministri Avigdor Lieberman e Naftali Bennet ritenuti dei 'falchi'. Per di più - ha aggiunto Erekat - Washington punterebbe alla rimozione di Abu Mazen dal suo incarico: il che "è inaccettabile perché la direzione dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) è stata eletta dal popolo".
   Un altro tema di dissenso tra Usa e palestinesi riguarda Gaza: l'amministrazione americana, secondo indiscrezioni stampa sul Piano, punta a interventi finanziari e economici nella Striscia per alleggerirne la situazione umanitaria e favorire così il Piano stesso. Isolando in qualche modo Abu Mazen che, nella sua lotta con Hamas per il controllo della Striscia, sta perseguendo un suo pugno di ferro economico nei confronti di Gaza. Netanyahu stesso ieri ha confermato che nell'incontro avuto con Kushner, durato quattro ore, è stata rivolta "particolare attenzione alla Striscia" la cui situazione umanitaria "va risolta - ha detto - ma senza rafforzare Hamas".
   Da Ramallah la strategia Usa è stata già respinta: gli Usa - ha denunciato nei giorni scorsi Erekat - stanno cercando di trasformare il dossier palestinese da politico a "questione umanitaria" mutando i diritti nazionali in "progetti umanitari".
   
(ANSAmed, 25 giugno 2018)


Come evitare la guerra che l'Iran vuole scatenare? Aumentando la forza militare di Israele

Teheran non si muoverà fino a quando avrà la certezza dei pesanti danni che l'aviazione israeliana può arrecare alle sue infrastrutture.

di Ugo Volli

Al di là di quel che succede giorno per giorno, è chiaro che una guerra fra Israele e Iran è già in corso: l'aviazione israeliana ha fatto "un centinaio" di attacchi contro le infrastrutture iraniane in Siria e i convogli di rifornimenti militari ai suoi alleati di Hezbollah fra il 2017 e il 2018 e queste missioni sono diventate via via più massicce e distruttive. L'Iran ha iniziato da qualche mese a usare armi aeree d'attacco (droni e missili) contro il territorio israeliano e continua a costruire basi, fabbriche e magazzini di armamenti che hanno senso solo nella prospettiva di un attacco a Israele. È importante capire l'origine e le prospettive di questa guerra, che fino al momento in cui scrivo è ancora limitata.
   Fino alla rivoluzione khomeinista, Israele e Iran erano alleati contro le aggressioni degli stati arabi, rappresentati in quel momento soprattutto dalle dittature panarabiste in Egitto, Iraq e Siria. A partire dall'avvento di Khomeini, però, l'Iran identificò Israele come il nemico principale, anche se i due paesi non hanno confini in comune (e quindi non ci possono essere rivendicazioni territoriali) e distano un migliaio di chilometri, essendo separati da diversi stati (Iraq, Siria, Libano, Giordania) e gravitando su mari diversi. La ragione dell'aggressività iraniana contro Israele è dunque in prima battuta esclusivamente ideologica e teologica: gli ebrei sono visti come nemici dell'Islam dai tempi di Maometto, che hanno catturato una parte del territorio musulmano e devono essere perciò eliminati. Questa è una visione condivisa quasi da tutti nel mondo islamico, grazie anche a una propaganda ormai secolare, sicché il tentativo di sconfiggere il "nemico sionista" gode di enorme popolarità. Dunque chi vuole porsi come leader dell'Islam deve mettersi su questa strada: lo fecero Nasser e Saddam; l'Iran ha la stessa ragione politica. Oltre a Israele, l'Iran si batte per la tradizionale divisione settaria contro i nemici sunniti, fino a vent'anni fa l'Iraq, poi l'Isis e oggi direttamente l'Arabia saudita. La sua dunque è una strategia a tenaglia che cerca di circondare il centro del mondo sunnita: a nord attraverso l'Iraq (che ha già egemonizzato col gentile aiuto di Obama), la Siria (idem) e il Libano; a sud alimentando la guerriglia della popolazione sciita contro il Bahrein e l'Arabia orientale, fino a raggiungere lo Yemen dove sostiene gli Huti contro l'Arabia. Torniamo alla guerra con Israele. Essa è interamente frutto dell'aggressività iraniana. Israele si è astenuto dall'intervenire nella guerra civile siriana e non si è avvicinato ai confini dell'Iran, anche se considera l'atomica iraniana un pericolo alla propria esistenza. È accaduto l'inverso. L'Iran ha approfittato della campagna contro l'Isis per stanziare le sue truppe in Iraq e in Siria e poi della controffensiva di Assad contro i ribelli (vittoriosa grazie all'appoggio aereo russo), per avvicinare le proprie truppe e quelle dei suoi alleati e mercenari di Hezbollah fino a pochi chilometri dal confine del Golan; ha continuato a fornire a Hezbollah di armi avanzate (di provenienza russa, cinese e nordcoreana, che possono servire solo ad attaccare Israele, ha continuamente dichiarato di voler distruggere lo stato ebraico. Come potrebbe svilupparsi questa guerra? Bisogna tener conto che il migliaio di chilometri fra i due paesi (che comprende numerosi ostacoli naturali: deserti, i due fiumi della Mesopotamia, catene di montagne) rendono improbabile uno scontro militare terrestre tradizionale. Ciò rende meno influente ma non annulla la grande sproporzione fra i due paesi: l'Iran con 80 milioni di abitanti e 1,65 milioni di chilometri quadrati; Israele con meno di 9 milioni di abitanti e 22.000 chilometri quadrati. L'Iran può contare sui suoi fedelissimi Hezbollah, armati di centomila missili e ormai padroni della politica libanese, ma una guerra attraverso di loro non sarebbe conclusiva per l'Iran, dato che sono certamente in grado di danneggiare con le loro armi il Nord di Israele ma non hanno i mezzi per prevalere e tutto il loro paese è vulnerabile agli attacchi israeliani. Dunque è probabile che fungano solo da appoggio a una possibile offensiva missilistica iraniana. Ma Israele ha una difesa antimissilistica a tre strati che potrebbe certamente limitare i danni di questo attacco e anche l'Iran è vulnerabile. essendo la sua aviazione molto inferiore a quella israeliana. Il 90% delle sue esportazioni petrolifere passa attraverso un singolo terminale a Kharg, un'isola del Golfo Persico e le importazioni più importanti passano per il porto non lontano di Bandar Abbas, entrambe a portata di tiro aereo dal mare, che Israele potrebbe facilmente raggiungere usando lo spazio aereo dell'Arabia, che gli sarebbe certamente aperto in questa guerra. Israele poi dovrebbe tentare di distruggere le infrastrutture dell'armamento atomico iraniano, attaccando siti molto difesi e spesso scavati sotto le montagne come Fordo.
   Insomma prima di attaccare Israele l'Iran deve pensarci molto bene e questo spiega la sua passività di fronte alle azioni israeliane in Siria. Al momento in cui scrivo (metà maggio), la guerra con l'Iran appare come una possibilità, certamente terribile perché la forma missilistica in cui probabilmente avverrebbe coinvolgerebbe pesantemente la popolazione civile, ma tutt'altro che sicura. Proprio la forza e la capacità di deterrenza di Israele sono il fattore principale che la tiene lontana. L'Iran e anche il suo protettore russo sanno che il risultato di un attacco allo stato ebraico non sarebbe probabilmente favorevole all'Iran e costerebbe moltissimo. Per questa ragione chi vuole davvero evitare la guerra aperta in Medio Oriente deve aiutare e incoraggiare la forza militare di Israele. Questo Trump l'ha capito, l'Europa ancora no.

(Shalom, maggio-giugno 2018)


L'Iran perde i pezzi. In difficoltà su diversi fronti

Troppi fronti aperti contemporaneamente, armi ormai obsolete, una aviazione praticamente inesistente, le nuove sanzioni americane che limiteranno anche l'economia e la sempre più concreta minaccia di un conflitto con Israele. A Teheran non hanno di che stare tranquilli.

L'Iran sembra vicina all'assedio e sembra aver perso il suo slancio iniziale. La spiegazione è presto detta. Troppi fronti aperti e troppi finanziamenti: Iraq, Yemen, Siria, Libano, Gaza, per non parlare anche dei legami oltre oceano con i trafficanti in Colombia (vedi il Report Hezbollah e Iran in Colombia).
Mentre in Libano sembra salda la roccaforte Hezbollah, almeno per ora, i colpi inferti dalle IDF in Siria e i successi della coalizione sunnita del Golfo nello Yemen fanno pensare ad un tracollo da "effetto domino" che colpirà anche l'Iraq....

(Rights Reporters, 25 giugno 2018)


Da Israele un dispositivo che produce acqua potabile sfruttando l'energia solare

 
L'azienda israeliana Tethys Desalination ha sviluppato un innovativo dispositivo che trasforma l'acqua salata o inquinata in acqua potabile cristallina sfruttando l'energia del sole.
Il dispositivo, facilmente installabile, può produrre fino a 50 litri di acqua potabile ogni giorno e soddisfare le esigenze di una famiglia. Ad esempio un gruppo di unità installate insieme può sostenere un intero villaggio.
La tecnologia di Tethys produce acqua pulita e potabile da qualsiasi fonte d'acqua: acqua di mare, acqua salmastra, acqua industriale e persino acqua contaminata, riducendo i costi di produzione di acqua potabile del 50%.
Il sistema, che non ha bisogno di un impianto elettrico per funzionare, aiuterà milioni di persone in tutto il mondo ad avere acqua pulita, oltre a sostenere le esigenze dell'agricoltura e dell'industria, riducendo al tempo stesso l'impatto sull'ambiente.
A fondare la società con sede a Tel Aviv, sono stati Moshe Tshuva, responsabile del dipartimento energia presso l'Afeka - Tel-Aviv College of Engineering e impegnato fin dagli anni '80 nella ricerca e sviluppo di impianti solari e progetti di energia verde, e Joshua Altman, con alle spalle 30 anni di esperienza nello sviluppo, gestione e supporto di progetti nei settori del trattamento delle acque, energia solare, tecnologie a infrarossi e dispositivi elettronici e biomedicali.
"Tutti i processi - spiega Joshua Altman - utilizzano molta energia e sono molto aggressivi nei confronti dell'ambiente. Noi abbiamo immaginato una tecnica di desalinizzazione economica, semplice ed energeticamente efficiente. Il sistema si basa sul ciclo dell'acqua con l'evaporazione e la sua ricaduta attraverso la pioggia".
L'azienda israeliana ha creato quella che definisce una "scatola meteorologica", che imita e moltiplica i processi atmosferici naturali di evaporazione e condensazione in modo da avere acqua filtrata e pulita da una varietà di fonti come il mare o le falde acquifere salmastre.
L'impianto di Tethys è contenuto in una struttura, simile ad una scatola. Il sole fa evaporare l'acqua sporca presente all'interno della scatola, lasciando i residui sul fondo. Si trasforma in vapore e alla fine gocciola verso il basso, producendo acqua pulita, proprio come quando piove in modo naturale. L'acqua pulita viene quindi raccolta in contenitori. Questo processo, che imita il funzionamento delle nuvole, viene ripetuto quattro volte per massimizzare la quantità di acqua potabile prodotta.
La desalinizzazione di Tethys è un'innovazione tecnologica che consente la rapida costruzione e il dispiegamento di impianti economici, modulari, off-grid (letteralmente "fuori dalla rete" nel senso che non consuma risorse naturali e non inquina) e altamente efficaci alimentati esclusivamente dall'energia solare.
Tethys renderà l'acqua desalinizzata accessibile a milioni di persone che vivono in comunità che semplicemente non possono permettersi di costruire centrali elettriche per alimentare gli impianti di desalinizzazione.
Tethys si è guadagnata il terzo posto, nella categoria Business Venture, al WeWork Creator Awards, la competizione che supporta progetti innovativi e che si è tenuta il 20 giugno a Gerusalemme.

(SiliconWadi, 25 giugno 2018)


Visita storica, il principe William in Israele e a Gaza

Per la prima volta dopo 70 anni un esponente della famiglia reale inglese in visita di Stato in Israele e nei Territori palestinesi. La visita del principe William in Medio Oriente inizia in Giordania.

di Raffaello Binelli

Il tour del principe William inizia ad Amman, in Giordania, e proseguirà in altri Paesi
Parliamo di visita storica perché comprende anche Israele e anche i Territori palestinesi, dove nessun esponente della famiglia reale inglese aveva mai messo piede, a parte una velocissima visita di Carlo, nel settembre 2016, per assistere ai funerali di Shimon Peres.
   Il duca di Cambridge, secondo nella linea di successione a Elisabetta, sarà in Israele oggi e poi si sposterà a Gaza. In programma incontri con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen. Kensington Palace sottolinea "la natura non politica del viaggio di Sua Altezza Reale, così come tutte le visite reali all'estero".
   La visita di William giunge in un momento particolare, pieno di tensioni, per via del trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme e le dure proteste palestinesi che hanno causato più di 100 morti. La Gran Bretagna governò la regione, con un mandato della Società delle Nazioni, per almeno tre decenni, fino all'indipendenza di Israele nel 1948, settanta anni fa. Ancora oggi è accusata, da entrambe le parti, di aver gettato i semi di un conflitto che continua a devastare l'intera regione.
Su queste terre la storia assegnò un ruolo da protagonista al Regno Unito. Dopo la fine dell'Impero ottomano, infatti, governarono la Palestina e i territori limitrofi sotto il proprio Mandato, che si esaurì nel 1948. Oggi, dopo tutti questi anni, potrebbe tornare a giocare un ruolo importante. Per mediare fra due popoli e superare un conflitto che sembra non avere mai fine.

(il Giornale, 25 giugno 2018)

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Il principe William rompe un tabù. Per la prima volta un reale in Israele

Le polemiche per la tappa alla Città Vecchia risolte con un compromesso: la visita sarà in forma privata. La sosta al Muro del Pianto diventa di competenza dell'Autorità nazionale palestinese.

di Elena Loewenthal

Benché priva di valore politico, la visita del principe William in Israele, che comincia quest'oggi, può definirsi storica. È infatti la prima volta che un reale inglese mette ufficialmente piede nello Stato ebraico, e la «scappata» di Carlo il 30 settembre del 20 16 per i funerali di Shimon Peres non era altro che l'ennesima conferma di un tabù. Che non riguarda il governo britannico e nemmeno il segno di una ostilità nazionale di fondo. È invece una sorta di resistenza della Corona, che ha radici complesse e che fino a oggi ha fatto sì che, malgrado la vocazione dei reali britannici a girare per il mondo, Israele sia rimasta in questi settant'anni esclusa dai loro circuiti.
  È dunque comprensibile che l'arrivo del principe William sia salutato in tutto il Paese con trepidazione, coinvolgimento e immancabili polemiche. Soprattutto quando il passaggio previsto al Muro del Pianto è stato incluso nella parte di visita di competenza dell'Autorità Palestinese: se è vero che la Città Vecchia di Gerusalemme è stata conquistata da Israele nella Guerra dei Sei Giorni e non rientra nei confini del 1948, lo è altrettanto che quello è il luogo più ebraico che ci sia.
  Il compromesso raggiunto è: nessun passaggio ufficiale in Città Vecchia - «solo» tappa privata.

 Le ragioni di un'assenza
  Perché la Corona del Regno Unito, che ha dominato per i quattro angoli del mondo e che il mondo ancora lo gira con quella familiarità che la storia e il potere le hanno concesso, non è ancora mai venuta in Israele? C'è qualcosa di profondo in questa assenza, c'è il segno di un'offesa storica. Gli inglesi sono stati infatti parte integrante nella matassa di avvenimenti che hanno segnato gli ultimi cento anni qui. Alla fine della Prima guerra mondiale, con il crollo dell'Impero Ottomano, la Palestina fu, insieme ad altri territori della regione, assegnata a un governo mandatario inglese che avrebbe dovuto semplicemente preparare il terreno per un riassetto politico stabile. Se questo governo (che potremmo anche chiamare occupazione) si era aperto con i migliori auspici per lo «yishuv», cioè la società ebraica in Palestina, perché nel novembre del 1917 la dichiarazione di Lord Balfour sanciva il diritto del popolo ebraico a un «focolare nazionale», vi è per contro una serie di tre Libri Bianchi che limitavano fortemente, per non dire bloccavano le quote di immigrazione ebraica dall'Europa - nel 1922, nel 1930 e soprattutto nel 1939, con la guerra e la persecuzione alle porte. Tutto ciò e tanto altro fa sì che per gli ebrei di Palestina gli inglesi e la loro Corona, diventino ben presto il nemico, l'occupante. Lo sono, ad esempio, per il piccolo Amos Oz quando racconta della sua infanzia di «fanatico» anti-britannico in «Una pantera in Cantina». Contro gli inglesi combatte strenuamente il Palmach, la Resistenza Ebraica.

 La fine del Mandato
  E per una Corona che aveva saputo abbandonare tutte le sue immense colonie senza dover ingaggiare battaglia, senza andarsene da nemico giurato, il fatto di dover ammainare la Union Jack nel 1948, alla fine del Mandato, nei panni dell'occupante, del bersaglio di una resistenza armata strenua e del tutto inattesa, rappresentava un caso insolito, per non dire un indisponente unicum. Un po' come era successo quasi due millenni prima ai Romani, che in quella sperduta regione si erano dovuti confrontare con un sacco di problemi e con una tenacia incomprensibile che andava dalla lotta armata al rifiuto di adorare l'imperatore, anche la Corona inglese era rimasta spiazzata dalla dura cervice ebraica.
  E forse, come spiegava il compianto Dan Segre, fra i maggiori esperti in proposito anche perché questa storia l'aveva vissuta in prima persona, la Corona sperava, forse era quasi sicura che sarebbe tornata presto a governare la Palestina. Non perché, come auspicava il fronte arabo, gli ebrei sarebbero finiti tutti a mare, ma per l'impossibilità di trovare un accordo fra le parti, per l'immancabile caos e l'emergenza che sarebbero sorti alla partenza degli inglesi. In altre parole, si intravedeva la prospettiva di una vittoria se non militare certo diplomatica da parte della Corona.
  Ma la storia è andata diversamente, e questo cammino di William in Israele - non a caso la nuova generazione di reali, non sua nonna e nemmeno suo padre - segna la fine di un annoso blocco fisico e mentale.

(La Stampa, 25 giugno 2018)


Aerospazio: Ala punta (ora) su Cina e Israele

Il gruppo con quartier generale a Napoli fornisce prodotti e servizi di logistica integrata

di Paolo Plcone

Cina e Israele sono i due mercati sul quale si è focalizzata da qualche mese l'attenzione di Ala (Advanced Logistics for Aerospace), gruppo con quartier generale a Napoli che fornisce prodotti e servizi di logistica integrata ai player del settore aerospaziale. Israele è da sempre uno dei paesi tecnologicamente più avanzati in questo settore, con un'attenzione internazionale indirettamente proporzionata al proprio territorio. La Cina è invece un mercato di dimensioni enormi, con interessi crescenti nel settore e una sempre maggiore specializzazione: il know-how di Ala può risultare dunque fortemente competitivo nell'aerospazio cinese in termini di competenze sulla gestione della supply chain.
   Ed è per questo che l'azienda napoletana, ormai da qualche anno fortemente internazionalizzata, ha puntato sul mercato asiatico. «Dopo un percorso di strategie M&A - ha commentato Gennaro di Capua, amministratore delegato di Ala - che ci ha portato ad essere presenti in 4 mercati chiave per l'aerospazio, oggi stiamo consolidando queste acquisizioni, trasformandoci realmente in una single-company. Ci stiamo pertanto radicando in maniera sempre più significativa nei mercati dove siamo già presenti, mentre guardando a nuovi orizzonti commerciali ci stiamo concentrando su mercati strategici quali Israele e Cina». I prodotti sui quali è specializzata Ala sono i cosiddetti fasteners, cioè gli organi di collegamento per l'industria aeronautica: elettrici, materiali indiretti, parti a disegno, ricambi, interni, grezzi metallici.
   Ala è un azienda nata a Napoli con il presidente Fulvio Scannapieco e l'executive vice president Vittorio Genna, e la sede principale è situata nel quartiere di Fuorigrotta presso il Teatro Mediterraneo all'interno del parco monumentale ed espositivo della Mostra d'Oltremare.
   Ad oggi il gruppo conta circa 250 dipendenti: oltre alle sedi in Italia (Napoli Pozzuoli, Torino, Brindisi e Cameri), ha sedi operative e magazzini in Francia (Tolosa; Mont-de-Marsan), Gran Bretagna (Londra) e Stati Uniti (New York). Inoltre ha anche alcuni uffici commerciali a Roma, Varese, Parigi, Seattle, Shanghai. Ala fornisce soluzioni customizzate di lean supply chain management ai propri clienti. Per le categorie merceologiche che le vengono affidate si occupa dell'intero processo, che prevede pianificazione dei fabbisogni, acquisto, controllo qualità, ricezione, stoccaggio fino ad arrivare alla consegna «Just-In- Time» dei prodotti sulle linee del cliente.
   Ala rappresenta quindi un partner strategico, perfettamente integrato nei processi e nelle linee produttive del cliente. L'azienda napoletana è anche entrata a far parte della prestigiosa Aerospace Industries Association (Aia), prima associazione di categoria che rappresenta i principali produttori del settore aerospaziale e della difesa e fornitori negli Usa, fondata nel 1919 solo pochi anni dopo la nascita del volo, unica tra le aziende italiane a farne parte assieme a colossi del calibro di Lockheed Martin, Boeing, GeneraI Electric, Northrop Grumman e Raytheon.

(L’Economia, 25 giugno 2018)


Dopo i droni israeliani Grazzanise cerca la sponda della Palestina

Non soltanto la partnership con Israele, ma una mano tesa anche alla Palestina. Il sindaco di Grazzanise, il paese dei Mazzoni intorno al cui aeroporto militare potrebbe sorgere - come riferito dal governatore Vincenzo De Luca - un polo di ricerca con lo stabilimento di produzione di droni israeliani, annuncia, infatti, un progetto di collaborazione con l'Università Luigi Vanvitelli e la Palestina per affrontare il comune problema della subsidenza. Un fenomeno geologico che si presenta con un lento e progressivo sprofondamento della superficie e particolarmente frequente in prossimità dei bacini marini. «Sono stato informato - spiega il primo cittadino Vito Granata - dell'interesse che si sta sviluppando intorno al polo di ricerca e di produzione di droni e mi auguro che si possa giungere in tempi brevi ad un'intesa con i gestori del fondo israeliano. Nei nostri territori - aggiunge il sindaco di Grazzanise - l'emigrazione giovanile ha assunto proporzioni allarmanti e favorire investimenti tecnologici può aprire la strada a nuove opportunità di sviluppo. Inoltre, abbiamo avviato anche un percorso di collaborazione scientifica che ci vede, con l'Università Vanvitelli e la Palestina, protagonisti di una sperimentazione per fronteggiare il fenomeno della subsidenza, analogo anche in Medio Oriente, a causa del quale e della friabilità del terreno ci viene impedito di costruire edifici a più piani». Nel piccolo comune di 7 mila abitanti sperano che la realizzazione dei droni israeliani possa portare un vento nuovo. «L'aeroporto militare, sin dagli anni '60, è stato avvertito sempre come un corpo estraneo dalla popolazione - commenta il fotografo Gianni Izzo, interprete, attraverso i suoi scatti, della cruda realtà del Litorale domizio - tranne quando gli F 104 rompevano il muro del suono e mandavano in pezzi qualche vetro delle abitazioni. Ora è arrivata la Nato, ci sono gli elicotteri del 21mo Gruppo e gli alianti. Ben vengano anche i droni se porteranno novità».

(Corriere del Mezzogiorno, 24 giugno 2018)


È iniziato l'assedio contro l'Iran: Usa e Israele preparano lo scontro

di Lorenzo Vita

 
Gli ultimi sviluppi in Medio Oriente indicano che è iniziato l'assedio contro l'Iran. E che ci si potrebbe preparare allo scontro finale. Proprio quando tutto sembrava orientato verso una vittoria di Teheran su scala regionale, il vento ha iniziato a cambiare. Israele e Stati Uniti hanno serrato le fila. E le monarchie del Golfo, loro partner principali in Medio Oriente, hanno preso parte a questo piano attivandosi sui fronti di loro interesse.

 L'Iran da assediante ad assediato
  Fino a meno di un anno fa, l'Iran sembrava avesse preso il controllo della situazione. La guerra in Siria volgeva (come ora) a favore di Bashar al Assad, grazie all'imprescindibile supporto russo e alla controffensiva dell'esercito siriano. In Yemen, gli Houthi sembravano destinati a ottenere quantomeno un equilibrio delle forze. E attraverso il blocco di Astana e il sollevamento delle sanzioni internazionali, l'Iran appariva in grado di estendere la sua influenza e riappropriarsi della libertà di manovra.
  Ma l'inizio di quest'anno, in particolare con l'avvio dei raid israeliani in Siria, la situazione è mutata. Gradualmente, ma in maniera sensibile. Le certezze iraniane hanno iniziato a essere erose da un costante attacco politico, mediatico e militare di tutto il blocco che si contrappone all'Iran. La controffensiva di Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita ed Emirati ha colpito a 360 gradi la politica iraniana. Che adesso si trova costretto a indietreggiare o ristabilire i suoi parametri se non vuole perdere quanto di guadagnato in questi anni di guerra al terrorismo ma anche di enorme lavoro di influenza politica.

 Attacchi israeliani e equilibrio con la Russia
  I bombardamenti di Israele in Siria sono stati, come detto, lo scatto della controffensiva del blocco anti Iran. C'è un prima e un dopo i raid. Israele ha colpito da sempre in territorio siriano, facendolo in modo del tutto arbitrario e, evidentemente, senza alcuna autorizzazione da parte di Damasco.
  Ma se prima lo faceva quasi in maniera clandestina, colpendo qua e là i convogli di Hezbollah o alcuni movimenti di milizie sospette, nel 2018 la sua strategia è cambiata. I suoi attacchi sono sempre stati verificati. E quei pochi raid non confermati da Tel Aviv sono stati tacitamente confermati attraverso interviste o dichiarazioni di vertici della Difesa o degli alleati. Come l'ultimo sulle milizie irachene legate all'Iran ad Abu Kamal.
  Questi attacchi hanno fatto vacillare l'Iran non solo per aver colpito l'infrastruttura miliare in Siria, ma perché hanno imposto alla Russia la scelta, difficilissima, di farsi da parte o intervenire a sua difesa. Vladimir Putin ha difeso sempre l'alleato iraniano dagli attacchi politici. Ma dal punto di vista militare, colpire un aereo israeliano avrebbe significato rompere le relazioni con un Paese storicamente amico della Russia.
  Benjamin Netanyahu ha imposto a Putin una scelta: noi o loro. Mosca ha scelto entrambi, cercando di limitare i danni. Lo ha fatto per salvare soprattutto la sua strategia in Siria, evitando il peggio per Assad e le sue forze. Ma adesso l'Iran si trova nella difficile condizione per cui a Mosca ha un amico che non può (e non vuole) difendere sempre.

 L'uscita degli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare
  L'annuncio di Donald Trump di far uscire gli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare iraniano ha colpito l'Iran sia a livello politico ma soprattutto a livello economico. Vero è che gli Stati Uniti si sono isolati rispetto alle grandi potenze, tutte concordi nel mantenere vivo l'accordo. Ma questo ha comportato per l'Iran un problema enorme di natura economica, che va a incidere sul delicato equilibrio della casse dello Stato ma anche della borghesia iraniana.
  Le aziende americane, europee e internazionali hanno timore a investire in Iran dopo che la fine delle sanzioni aveva permesso al Paese di attrarre soldi, tecnologie e imprese utili a migliorare un Paese costretto a sopravvivere a anni di durissima repressione economica.
  Ma la rinnovata imposizione delle sanzioni ha anche un obiettivo politico: riportare la politica estera iraniana indietro di anni. Isolare di nuovo Teheran, quantomeno dall'Occidente, portandolo a formare un blocco economico forse con l'Oriente. Ma di sicuro ha creato una grossa frattura con le aziende europee e quindi con i partner economici.

 La guerra in Yemen e l'offensiva su Hodeidah
  La guerra in Yemen, altro grande campo di battaglia tra i due poli che si contendono il Medio Oriente, è molto complessa. Le milizie Houthi per anni hanno messo in scacco la coalizione a guida saudita e la pessima strategia di Mohammad bin Salman. L'Arabia Saudita ha perso uomini e credibilità, spendendo miliardi per devastare la popolazione yemenita.
  Ma negli ultimi mesi, la coalizione ha ripreso ad avanzare. L'esercito governativo controlla adesso la maggior parte dello Yemen, mentre gli Emirati, dopo aver occupato molti porti-chiave in mano agli Houthi, hanno iniziato a cingere d'assedio Hodeidah, il bastione della resistenza sciita nel Mar Rosso.
  In questo, le monarchie del Golfo sono supportate dagli Stati Uniti, dalle potenze europee e da Israele. Tutti concordi nel ripristinare il governo yemenita e sconfiggere le milizie ribelli legate a Teheran.

 Il Libano e l'Iraq
  Il Libano e l'Iraq, fino ad ora, sembrano i due Paesi in cui l'Iran può ancora dire la sua. E non sono Paesi secondari: rappresentano due dei tre Stati fondamentali che compongono la cosiddetta mezzaluna sciita da Teheran al Mediterraneo.
  Ma bisogna fare attenzione a catalogare Beirut e Baghdad come vittorie iraniane. L'Iraq non ha mai spezzato i legami con le forze occidentali che hanno preso parte alla guerra allo Stato islamico. E i legami fra partiti e milizie sciite con l'Iran sono stabili ma non privi di contraddizioni. Lo stesso Moqtada al Sadr è personalità complessa, con legami oscuri ma allo stesso tempo certi con l'Arabia Saudita.
  Mentre il Libano, dove Hezbollah ha vinto le ultime elezioni imponendosi come prima forza del Paese, è un Paese complesso e con un governo sempre legato all'Occidente. Saad Hariri è legato a doppio filo ai sauditi. E le forze armate libanesi hanno fortissimi legami con le potenze occidentali, in primis gli Stati Uniti. E nessuno vuole una guerra con Israele che possa devastare il Libano.

(Gli occhi della guerra, 24 giugno 2018)


"Donne e uomini divisi in piazza". No del sindaco agli ortodossi

di Elena Loewenthal

Piazza Rabin è il grande cuore di Tel Aviv. Si chiamava piazza "Re d'Israele" prima del 4 Novembre 1995, quando qui si consumò il terribile assassinio del Primo Ministro per mano di un fanatico ebreo. Qui di sera il palazzo del Municipio si tinge a seconda delle occasioni: il due di giugno prende il nostro tricolore, ma nel novembre del 2015, all'indomani della strage del Bataclan, divenne la bandiera francese. In mancanza di ricorrenze, si può usare come schermo gigante per giocare a Tetris. Nella piazza antistante, forse la più grande di Israele, ci sono spesso grandi manifestazioni di massa. Ultimamente ha cantato qui Netta, reduce dalla vittoria a Eurovision.

 La polemica
  In questi giorni piazza Rabin è al centro di una polemica che sta coinvolgendo il Paese e non poca opinione pubblica ebraica nel mondo. Due blocchi in opposizione frontale, per un dibattito che va ben al di là della circostanza specifica: il comune di Tel Aviv, ma soprattutto il suo attivissimo sindaco Ron Huldai- la cui famiglia ha preso il cognome dal kibbutz Hulda da cui è originaria, baluardo del socialismo collettivista sionista in cui il sindaco è cresciuto insieme, fra gli altri, anche ad Amos Oz - non hanno concesso la piazza per una manifestazione organizzata dalla comunità ortodossa dei Lubatvitch. Che per festeggiare come ogni anno il loro "Messiah in the Square" - un'immensa riunione in memoria del Rebbe Menachem Mendel Schneerson, mancato nel 1994- avevano chiesto la pubblica piazza con la condizione di porvi una divisione per separare gli uomini dalle donne. Di imporre cioè alle donne di sedersi in un'area separata e chiusa, per assistere all'evento intitolato quest'anno "Fede, Gioia, Redenzione". Per l'ebraismo ortodosso, infatti, la mehitzah, la separazione fisica fra i sessi, è un imperativo in ogni occasione collettiva, lieta e non: non a caso ai matrimoni ortodossi si vedono gli uomini che ballano fra di loro, non con le donne. «In nessun evento pubblico è ammessa una segregazione di genere» ha annunciato il Sindaco, spiegando che a questo proposito la comunità Lubavitch è stata irremovibile. «Ma come» si domandano indignati gli ebrei osservanti tanto in Israele quanto in Diaspora, «proprio a Tel Aviv che appena qualche giorno fa era invasa dal gay pride? Dove sta la libertà? Questa sì che è emarginazione!». Ma Tel Aviv e il suo sindaco ultra-liberal non ammettono deroghe proprio alla libertà di essere quello che si è senza dover scendere a patti con la delimitazione del proprio spazio fisico e mentale. Con il risultato di indebolire l'immagine di Tel Aviv come città aperta a tutti.

(La Stampa, 24 giugno 2018)


La “libertà” concessa ai licenziosi del Gay Pride dal sindaco di Tel Aviv è cosa ben peggiore della “costrizione” imposta alle donne dalle guide dei Lubavitch. L’ultra-liberal sindaco della seconda città israeliana evidentemente non vuole danneggiare l’immagine di Tel Aviv presso quel mondo occidentale che vede in Israele un baluardo della sua libertina immoralità. M.C.



«... le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che stanno per accadere»

Io Giovanni, vostro fratello e compagno nell'afflizione, nel regno e nella costanza di Cristo Gesù, ero nell'isola chiamata Patmos, a motivo della Parola di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo. Mi trovai nello Spirito nel giorno del Signore e udii dietro a me una forte voce, come di una tromba, che diceva: "Io sono l'Alfa e l'Omega, il primo e l'ultimo, e ciò che tu vedi scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese che sono in Asia: ad Efeso a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea".
Io mi voltai per vedere la voce che aveva parlato con me. E, come mi fui voltato, vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo, vestito d'una veste lunga fino ai piedi e cinto d'una cintura d'oro al petto, Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come bianca lana, come neve, e i suoi occhi somigliavano ad una fiamma di fuoco, I suoi piedi erano simili a bronzo lucente, come se fossero stati arroventati in una fornace e la sua voce era come il fragore di molte acque, Egli aveva nella sua mano destra sette stelle e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, acuta, e il suo aspetto era come il sole che risplende nella sua forza.
Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli mise la sua mano destra su di me, dicendomi: "Non temere! Io sono il primo e l'ultimo, e il vivente; io fui morto, ma ecco sono vivente per i secoli dei secoli amen; e ho le chiavi della morte e dell'Ades. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che stanno per accadere dopo queste, il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia destra e quello dei sette candelabri d'oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri che hai visto sono le sette chiese".

Dal libro dell’Apocalisse, cap. 1

 


Ulpàn: scuola di lingua ebraica, storia e pensiero

Corsi serali tenuti nel centro di Milano

"Ulpàn" - in ebraico אלפן scuola - è il nome delle scuole di lingua ebraica per i nuovi immigrati in Israele e del metodo di insegnamento comunicativo sviluppato al loro interno.
L'Ulpàn di Milano è attivo già dagli anni '70. Da sempre collabora con le scuole israeliane per portare il metodo Ulpàn in Italia, ma offre anche ulteriori percorsi di apprendimento, propri.

 Corso di ebraico moderno: il metodo Ulpàn
  Approccio comunicativo, metodo situazionale e nozionale-funzionale • lo studente parla, legge e scrive in ebraico sin dalla prima lezione • metodo semplice e intuitivo che non richiede predisposizione per le lingue • strutturato in più livelli a partire dai principianti assoluti e docenti madrelingua.

 Corso di grammatica ebraica e lettura testi
  Approccio formalistico, metodo grammaticale-traduttivo • porta lo studente ad affrontare in modo autonomo testi biblici e moderni • la grammatica viene analizzata sotto ogni suo aspetto • la lezione si svolge in italiano e docente madrelingua.

 Corso di storia e pensiero ebraico
  Ciclo di conferenze tenute in italiano • testi, interpretazioni e leggi del popolo ebraico e la loro influenza sulla sua storia • incontri tenuti da docenti di diverse discipline: un professore di filosofia e una professoressa di storia.

(la Repubblica - Milano, 24 giugno 2018)


Al via l'XI edizione del Festival Ebraica: cinema, cibo, musica, teatro e tradizione

di Jacopo G. Belviso

 
Cinque giorni di dibattiti, maratone di eventi culturali, musica, teatro, degustazioni ed incontri letterari: torna, dopo il successo degli scorsi anni, l'undicesima edizione del Festival internazionale di cultura ebraica con la nuova intestazione di "Ebraica", curata da Marco Panella, Ariela Piattelli e Raffaella Spizzichino. Il festival si svolgerà dal 23 al 27 giugno non soltanto nelle usuali location nell'antico quartiere ebraico, come il Palazzo della Cultura e i Giardini del Tempio, ma quest'anno si affiancherà anche l'Isola del Cinema all'Isola Tiberina.
   L'evento - "Time&Life" è il tema dell'edizione 2018 - ha l'obiettivo di approfondire il concetto del tempo come paradigma fondamentale della relazione tra vita ed esseri umani, intorno alla quale raccogliere il contributo e le riflessioni di filosofi, intellettuali, scrittori, scienziati e artisti. "Ebraica" si apre e si chiude su due casi storici: quello del rapimento di Edgardo Mortara, su cui ha annunciato da tempo un progetto Steven Spielberg e che sarà ricostruito da una narratrice di noir come Franca Leosini assieme a Davide Kertzer e Serena Di Nepi, e quello del "Moretto", il pugile Pacifico Di Consiglio.
   L'inaugurazione, sabato 23, è stata affidata come tradizione alla Notte della Cabbalà, nuovamente organizzata nella zona tra il lungotevere De' Cenci e via del portico D'Ottavia e tra via Arenula e il Teatro di Marcello, un serata all'insegna della mistica ebraica, delle musiche tradizionali e delle tipiche bontà culinarie. Il festival «non si pone come unico obiettivo quello di creare un'occasione per cercare di trasformare la città in un laboratorio a cielo aperto - spiega una nota - ma celebra, ancora una volta, il sodalizio tra la Capitale e la Roma ebraica, offrendo alla città l'opportunità di visitare gratuitamente il Museo Ebraico, la Grande Sinagoga e la Fondazione Museo della Shoah - Casina dei Vallati».
   Qui, sabato 23, si avrà l'occasione di visitare la Mostra "1938. Vite spezzate", secondo capitolo del ciclo di esposizioni che la Fondazione Museo della Shoah - Onlus ha realizzato in occasione dell'80o anniversario della promulgazione delle Leggi Razziali in Italia. Per completare il programma della prima giornata di festival, alle ore 21.45 al Palazzo della Cultura, si potrà visionare la mostra "Donne straordinarie.1948 Nascita di una Nazione" che illustra per immagini la partecipazione delle donne alla nascita, alla crescita, e allo sviluppo dello Stato d'Israele. Di seguito l'appuntamento che segna l'inizio della collaborazione con l'Accademia musicale di Santa Cecilia: il Trio Dmitrij per una "Jewish jazz story" con opere con contaminazioni klezmer di Shostakovic e Leonard Bernstein.

(Il Messaggero, 23 giugno 2018)


Mondiali di Robotica, trionfa Israele

La Tommaso Fiore di Bari sul palco per premiare i vincitori

di Gianluca Lomuto

Non un'avventura, ma un sogno vero e proprio, realizzato con tutti i crismi. Ai campionati mondiali di robotica, in Canada, i ragazzi della Tommaso Fiore di Bari hanno fatto la loro splendida figura; è vero che non hanno trionfato, ma se sono stati chiamati sul palco a premiare i vincitori, un motivo evidentemente c'è. Basta pensare che all'inizio non c'erano neppure i soldi per partire, raccolti all'ultimo momento con grande fatica e determinazione, per rendersi conto di quanto importante sia il risultato raggiunto.
A vincere su tutti è stata la formazione di Israele, capace di mettere in riga perfino i russi e addirittura Cina e Giappone, le formazioni più temute dai nostri ragazzi prima di partire per Montreal, dove hanno vissuto un'esperienza che ricorderanno per tutta la vita, al di là del piazzamento, non reso noto dalla giuria oltre il terzo posto perché, questo il senso, al di là del risultato conta quello che i ragazzi hanno imparato.
Determinante ai fini della competizione, inutile negarlo, la perfetta conoscenza dell'inglese, che un po' ha li penalizzati insieme alla inevitabile tensione. Del resto, la squadra della Tommaso Fiore era anche la più piccola d'età rispetto alle 25 nazioni presenti.
La competizione prevedeva anche la creazione dei così detti super team, formati da più squadre che insieme dovevano preparare uno spettacolo nuovo, utilizzando almeno un robot di ogni nazione programmato da zero appositamente.
All'Italia sono toccate l'India e la Slovacchia. La sinergia che si è venuta a creare con gli avversari-compagni è un altro tassello di questa importante esperienza che i ragazzi porteranno dentro per tutta la vita, insieme al susseguirsi di emozioni vissute durante questo viaggio unico.
L'essere saliti sul palco per premiare i vincitori rappresenta dunque un grande riconoscimento per questi ragazzi, chiamati a rappresentare con onore l'Italia e che della loro nazione hanno sempre esposto con orgoglio la bandiera. Mentre scriviamo, la squadra è in viaggio da Roma verso Bari. Ben tornati ragazzi, e ben fatto.

(il Quotidiano Italiano, 23 giugno 2018)


Israele: un Paese che corre velocissimo

Gli straordinari numeri di un'economia che non conosce recessioni e che investe sui giovani, sulla ricerca e sullo sviluppo.

Sono trascorsi 70 anni dal maggio del 1948 quando nacque lo Stato di Israele i cui abitanti erano appena 806 mila; gli ebrei nel mondo erano 11 milioni e mezzo e solo il 6% stava in Israele. Oggi gli israeliani hanno raggiunto la cifra di 8,84 milioni: il 74,5%, ovvero circa 6,59 milioni, sono ebrei, mentre gli arabi israeliani sono circa 1,85 milioni (il 20,9%), e altri 404 mila sono cristiani non arabi e membri di altri gruppi etnici. Gli ebrei nel mondo sono 14,5 milioni e il 45% risiede nello Stato ebraico. Israele ha il tasso di natalità più alto dei paesi dell'Occidente: 3,11 bambini ogni donna contro quello medio dei paesi Ocse che è 1,7. Negli ultimi 12 mesi a nascere sono stati circa 177 mila bambini contro la morte di 41 mila israeliani e l'arrivo di 28 mila immigranti con una crescita della popolazione dell'1,9%. Al corrente tasso, nel 2048 - data dei 100 anni dello Stato ebraico - gli israeliani saranno 15,2 milioni. Israele è un Paese giovane, sia dal punto di vista della storia politica, sia per l'età media. Ai giovani è rivolta una quota significativa degli investimenti pubblici e ogni anno non meno del 4.5% del Prodotto Interno Lordo viene destinato alla ricerca e allo sviluppo, fatto che ha attirato ben 350 multinazionali (tra cui Intel, Apple, Google, Samsung, General Electric e Orange). che hanno aperto nel paese centri di ricerca interconnessi ed efficienti.
Israele conta inoltre 6 mila startup (una ogni 1.500 abitanti); ma anche 180 fondi di capital risk, 22 incubatori, 160 acceleratori e 16 università, tra cui la celebre Technion di Haifa, che con il suo campus di 15 mila studenti dà vita ogni anno a un'ottantina di startup in media.
Ma come si spiega questo primato? L'industria militare è una palestra di ricerca e sviluppo tecnologico e gli israeliani hanno un'alta propensione al rischio, non mancano di indipendenza, coraggio e capacità di lavorare in team. «Se hai un progetto e una squadra, in Israele trovi un finanziamento senza problemi», assicura un giovane imprenditore. Ma forse la risposta sta anche nelle dimensioni del mercato israeliano: «Non c'è mercato locale in Israele. Il nostro mercato è il mondo». [G.K.]


I NUMERI RECORD DI ISRAELE
  • Il Weizmann lstitute of Science di Tel Aviv ha vinto due volte
  • il Turing Award (il cosiddetto Nobel per il calcolo informatico)
  • Dopo gli Stati Uniti, Israele è il paese con il maggior numero di aziende quotate al Nasdaq di New York
  • Israele occupa il 6o posto nella classifica per aspettativa media di vita (80,6 anni per gli uomini e 84,3 per le donne)
  • È il 3o paese al mondo per consumo di caramelle
  • È il 1o paese al mondo per numero di libri tradotti
  • È al 2o posto nella classifica mondiale per nuove pubblicazioni ogni anno
  • Il 44% degli avvocati israeliani è donna
  • 11 israeliani sono stati premiati con il Premio Nobel (l'ultimo nel 2013 ad Arieh Warshel per la Chimica)
  • A Haifa esiste il sistema metropolitano più piccolo al mondo. Vi sono 137 spiagge su una costa lunga appena 237 km.
  • Il Mar di Galilea si trova 212 metri sotto il livello del mare ed è il lago più basso al mondo
  • Il Mar Morto è il punto più basso del pianeta, 400 metri sotto il livello del mare
  • Le mucche israeliane producono ogni anno 11.653 litri contro gli 8.000 di una mucca europea
  • Israele ha la più alta produzione di cotone per dunam (1.000 mq), 245 kg, contro una media mondiale di 70 kg.

IN ISRAELE È STATA INVENTATA:
  • la pennetta di archiviazione dati USB;
  • l'App Waze usata da miliardi di persone per viaggiare;
  • il primo epilatore 'Epilady' venduto in oltre 30 milioni di pezzi;
  • la selezione e vendita del pomodoro ciliegina;
  • Viber famosa App di messaggistica istantanea;
  • la batteria per auto dell'azienda StoreDot che si ricarica in 5 minuti
  • BabySense il dispositivo che monitora i neonati e allerta nel caso di pericolo per le morti in culla;
  • il sistema di irrigazione a goccia che risparmia acqua e fertilizzanti;
  • la Bibbia più piccola al mondo, una intera Torah incisa su un chip piccolo come un chicco di zucchero;
  • ICQ, la prima chat nel 1996;
  • il Centrino, il più diffuso processore della Intel;
  • Window XP. uno dei più diffusi sistemi operativi per PC;
  • il primo sistema antivirus, nel 1979;
  • la prima crema repellente contro le meduse.


(Shalom, giugno-luglio 2018)


Il CEO del Gruppo Volkswagen Diess in Israele

Colloqui politici e incontri con start-up innovative

 
Benjamin Netanyahu stringe la mano al CEO di Volkswagen Herbert Diess nel suo ufficio a Gerusalemme
 
Uno dei primi viaggi all'estero nel ruolo di CEO del Gruppo Volkswagen ha portato Herbert Diess in Israele. Oltre a incontrare il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Diess si è recato in visita al Memoriale sull'Olocausto Yad Vashem; successivamente si sono svolti colloqui con rappresentanti delle start-up israeliane e confronti con i CEO di Gett e Mobileye su servizi di mobilità innovativi e guida autonoma.
  Herbert Diess ha visitato Israele nel suo nuovo ruolo di CEO del Gruppo Volkswagen. "Ci tenevo particolarmente a venire in questo Paese all'inizio del mio mandato, soprattutto visto il passato della nostra Azienda" ha affermato in occasione dell'incontro con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu nella sua residenza ufficiale a Gerusalemme. Uno degli argomenti del confronto è stata la possibilità di collaborare su servizi di mobilità innovativi.
  In precedenza, Diess aveva visitato il Memoriale sull'Olocausto Yad Vashem, firmando il registro presenze: "Abbiamo la responsabilità di mantenere viva la memoria dell'Olocausto, di ricordarne le vittime e di assicurarci che una tragedia del genere non accada mai più" ha affermato Diess.
  Durante la visita in Israele il CEO ha anche avuto modo di approfondire la conoscenza dello scenario tecnologico e delle start-up del Paese. Con più di 1.000 start-up, Tel Aviv è uno tra i centri di innovazione più grandi e più agili al mondo. Di recente l'Azienda ha aperto il proprio Campus Volkswagen Group "Konnect" in città per sfruttare al meglio questo potenziale. "Konnect" permette a start-up e partner locali di avere uno scambio diretto con il Gruppo e con le sue Marche. Inoltre, "Konnect" consente a Volkswagen di osservare da vicino gli sviluppi nei campi della connettività, della guida autonoma, della navigazione intelligente, della cyber security, della mobilità elettrica e addirittura di big data.
  Per quanto riguarda i servizi di mobilità innovativi, il Gruppo Volkswagen detiene già il 20% di quote in una partnership con la società di ride hailing israeliana Gett. Durante la sua visita Diess ha discusso gli sviluppi dei futuri robotaxi con il CEO di Gett Dave Waiser. Ha anche incontrato Amnon Shashua, CEO e CTO di Mobileye, per confrontarsi sul guida autonoma e relativi test drive. Anche in questo caso, la forza innovativa e le potenzialità della scena tecnologica israeliana, che offre spunti interessanti per il Gruppo Volkswagen, sono stati evidenti.

(Volkswagen Group Italia, 23 giugno 2018)


Legge la Bibbia in un bar. Scambiata per una terrorista

La donna è africana, i clienti del locale hanno chiamato i carabinieri

CIVITANOVA MARCHE - Entra in un bar, si pianta dritta davanti ai clienti e comincia a leggere la Bibbia che tiene aperta in mano. Giovane, africana, i clienti del bar la guardano attoniti, la scambiano per un'attivista dell'Isis e chiamano i carabinieri.
È successo in un bar di Civitanova, di via Martiri di Belfiore, dove la pattuglia è dovuta intervenire per il timore generato nel locale dal comportamento della donna, che non è nuova a questo tipo di iniziative. Da tempo gira per Civitanova, con la Bibbia in mano, e fa divulgazione della parola di Dio fermandosi in mezzo alla strada, tra i tavolini dei locali, all'interno di bar e ristoranti a leggere interi passi della Bibbia.
Ma in questo bar, chissà perché, l'hanno scambiata per una possibile terrorista. La donna è stata controllata dai carabinieri, è di nazionalità nigeriana e con regolare permesso di soggiorno in Italia. È stata rilasciata e può continuare nella sua attività di divulgazione della parola di Dio.

(il Resto del Carlino, 23 giugno 2018)


Arriva Rampage, il nuovo missile supersonico di concezione israeliana

L'industria militare israeliana, così come negli altri settori, eccelle e produce armi sofisticate che aumentano per l'IDF, la possibilità di risposta difensiva contro qualunque attacco.
E' notizia di oggi che è in arrivo il nuovo missile aria-superficie, dotato di una testata, con motore a razzo e navigazione avanzata e precisione di mira degli obiettivi.
Lungo 4,7 metri, dal peso di 570 kg, il missile è stato progettato per gli attacchi contro i centri di comando, aeroporti e basi aeree, infrastrutture ed obiettivi protetti dalle batterie di difesa aerea.
Secondo quanto affermato da Eli Reiter, della Israeli Military Industry, "quattro aerei da caccia che trasportano quattro missili Rampage ognuno consente di colpire in condizioni che non avevamo mai avuto prima".

(Osservatorio Sicilia, 23 giugno 2018)


Il sogno di Teheran: stritolare Israele in una morsa

Impegnare l'esercito israeliano in tre fronti contemporaneamente: a Gaza con Hamas, sul Golan con le truppe siriane e al confine con il Libano con Hezbollah.

Nell'ampia escalation di tensioni del Medio Oriente nel 2018, Israele ha dovuto far fronte a due minacce. Nella Striscia di Gaza è partita la cosiddetta "marcia del ritorno": nei mesi di aprile e maggio, ogni venerdì, migliaia di palestinesi hanno cercato di forzare la frontiera con Israele. Una mobilitazione organizzata da Hamas, in cui i terroristi si sono fatti scudo dei civili, causando decine di morti. Ma il fronte più caldo è diventato quello settentrionale, dove la minaccia iraniana si è fatta sempre più concreta. Il cosiddetto "corridoio sciita", che parte dalla Repubblica Islamica e attraverso Siria e Libano giunge fino al Mediterraneo, è ormai una realtà di fatto. Ma nelle ultime settimane sono intervenuti nuovi fattori. Il lancio di missili iraniani dalla Siria, infatti, è divenuto più fitto: molti sono stati abbattuti dall'iron dome, ma l'esercito ha anche dato l'ordine ai sindaci di aprire i rifugi antimissile. La risposta militare israeliana poi è stata la più intensa, su questo fronte, dal 1973. Israele ha così alzato il livello di scontro, colpendo obiettivi sensibili iraniani in Siria. La cosiddetta "guerra d'attrito" con l'Iran è dunque salita di tono. Questo tipo di conflitto combattuto a distanza ravvicinata ma non con modalità tradizionali è caratterizzato da una tensione costante con intensità alterne, le cui fasi sono inevitabilmente condizionate da fattori esterni. Forte influenza ha esercitato la crisi siriana, che ha portato i due Paesi a una sostanziale contiguità territoriale, offrendo all'ayatollah la possibilità di "estirpare il cancro sionista dalla Palestina".
   Ma oltre alle milizie sciite iraniane al di là del Golan, ci sono le significative capacità militari di Hezbollah. Nelle elezioni libanesi del 6 maggio, il movimento di Nasrallah ha ottenuto un nuovo successo con 14 deputati (oltre a quelli degli altri alleati sciiti) in Parlamento: una conferma della sua posizione dominante a discapito del primo ministro sunnita Saad Hariri (da 32 a 21 deputati), che ha pagato anche la sua vicinanza all'Arabia Saudita. Ad alimentare le tensioni, l'8 maggio, l'annuncio di Trump del ritiro dall'accordo sul nucleare, il Jcpoa (Joint Comprehensive Pian of Action). Una decisione presa da tempo, ma che ha segnato il passaggio ad una nuova fase di politica estera, già annunciata dalle nomine di John Bolton a Consigliere per la sicurezza nazionale e Mike Pompeo a Segretario di Stato. La minaccia di estendere le sanzioni anche a quelle aziende europee che non annulleranno i contratti fatti in questi tre anni rischia di rinvigorire l'ala più fondamentalista dell'Iran, appoggiata anche da quelle fazioni che possono lucrare dal ritorno dell'isolamento internazionale. La tenuta dell'accordo era comunque già in bilico. Il 1 maggio, Netanyahu aveva rivelato al mondo il mancato rispetto del trattato da parte dell'Iran, che aveva effettivamente lavorato alla bomba fino al 2003 (il progetto Arnad), pur evidenziando in buona parte informazioni già note alle intelligence degli alleati. A ciò va aggiunta la minaccia del programma missilistico.
   Il ritiro americano dal trattato ha dato maggiore sicurezza a Israele. Nello stesso tempo, l'attacco in Siria di metà aprile non è stato su ampia scala, ma limitato a colpire le infrastrutture per la produzione di agenti chimici e le basi da cui sarebbero partiti gli aerei che hanno sganciato le armi chimiche: Trump non vede infatti nessun vantaggio a restare in Siria, ma preferisce appoggiare le iniziative anti-iraniane di Israele e Arabia Saudita. Da qui Israele ha trovato un altro incentivo a intervenire in Siria, mantenendo comunque obiettivi mirati negli attacchi. Il rischio è che con un aumento ulteriore delle tensioni nei prossimi mesi la guerra d'attrito si espliciti e il conflitto si allarghi.

(Shalom, maggio-giugno 2018)


«Nel mio museo a Tel Aviv porterò l'arte fuori dalla torre d'avorio»

Tania Coen Uzzielli, la nuova direttrice parla della missione che l'attende. Archeologa, specializzata in Storia antica, ha lavorato finora all'lsrael Museum di Gerusalemme curando mostre capaci di coinvolgere il pubblico dei non specialisti

di Luca Molinari

 
Tania Coen Uzziell
Quando un museo porta la comunicazione specialistica al di fuori della propria torre d'avorio trasformandola in un contenuto ricco e appassionante per tutti, è il momento in cui la nostra storia va dritta al cuore del visitatore e lo arricchisce di una nuova prospettiva». Con queste parole Tania Coen Uzzielli, attuale responsabile dei servizi curatoriali per l'Israel Museum di Gerusalemme, appena nominata nuova direttrice del Museo d'Arte di Tel Aviv, commenta la sua personale idea di museo contemporaneo e la missione che l'attende.
   La sua storia racconta di come stia profondamente cambiando il modo di guardare a un'istituzione culturale che sappia confrontarsi con un mondo in profonda trasformazione. Il suo percorso personale è anomalo come tante figure che in questi anni stanno rivoluzionando il modo di amministrare i musei: archeologa e accademica di formazione, con una specializzazione in Storia antica, quindi addetta culturale presso il Consolato israeliano di San Francisco alla fine degli anni Novanta, dove per la prima volta è stata costretta a confrontarsi con la produzione culturale per un pubblico non specialistico. Si tratta di un'esperienza decisiva, perché al ritorno in Israele la Coen Uzzielli è stata chiamata direttamente a lavorare all'Israel Museum, la più importante istituzione culturale del Paese, che in quegli anni stava vivendo una vera rivoluzione manageriale sotto la guida di James S. Snyder, che tra il 1997 e il 2016 ha portato il museo a diventare l'istituzione culturale israeliana più importante a livello internazionale.
   «Il lavoro con James è stato per me una scuola di vita, perché lavorando al suo fianco ho capito che immaginare un'istituzione culturale oggi vuole dire non solo concentrarsi sulla collezione, ma insieme pensare alla comunicazione, gli sponsor, le pubblicazioni, i laboratori, fino all'ideazione di eventi e mostre che attirino l'attenzione di una comunità sempre più vasta». Così nell'arco di questo ventennio una serie di esposizioni e iniziative curate da Tania Coen Uzzielli ha colpito per lo sguardo innovativo capace di mettere insieme materiali archeologici e frammenti di arte e cultura contemporanea, aprendo le porte del museo a un pubblico che difficilmente sarebbe stato interessato da questa esperienza.
   La mostra «Beauty and Santity» del 2005 mise, ad esempio, in dialogo visivo e simbolico oggetti sacri provenienti dalla collezione del museo e opere d'arte con una forte connotazione estetica e visiva. E lo stesso approccio è stato applicato in un altro evento che ha avuto un ampio riscontro internazionale, quando l'Israel Museum coinvolse lo scrittore Yval Noah Harari per mettere in scena i temi principali del suo libro Breve storia dell'umanità.
   Il risultato fu sorprendente: «Abbiamo deciso di illustrare le grandi rivoluzioni sociali e materiali indicate da Harari attraverso tredici oggetti iconici provenienti dalle collezioni del museo stesso. Dal falcetto più antico, proveniente dall'area della Mezzaluna, alle tracce di un focolaio primordiale, entrambi capaci di narrare la rivoluzione agricola. Dai Rotoli del Mar Morto, per parlare della nascita delle leggi, fino alle lettere originali di Einstein, per descrivere la relazione tra scienza e creatività. Non esisteva alcuna distinzione di età storica o stile, ma unicamente la necessità di usare la purezza e bellezza simbolica di questi oggetti per raccontare un tempo della lunga storia dell'uomo».
   Adesso Tania Coen Uzzielli è chiamata a una nuova avventura, trasformare il Museo d'Arte di Tel Aviv, l'istituzione più antica dedicata all'arte in Israele, fondata nel 1932 e recentemente ampliata, in un museo internazionale e laboratorio aperto alle trasformazioni che stanno investendo il nostro tempo per comunità che stanno profondamente cambiando. Una sfida necessaria per un mondo inquieto che chiede visioni e sguardi aperti sul nostro futuro.

(La Stampa, 23 giugno 2018)


Israele - Campionati Nazionali di ciclismo 2018

Il giovane Goldstein oro a cronometro

Omer Goldstein
Omer Goldstein conquista finalmente la maglia a crono di Israele ai Campionati Nazionali 2018. Malgrado la giovane età il corridore della Israel Cycling Academy era infatti già salito sul podio nelle tre precedenti edizioni, per una crescita che lo ha portato finalmente oggi, a 21 anni, sul gradino più alto. Una vittoria di misura quella che lo ha visto imporsi su Aharon Hitman e Yuval Ben-mordechay, che hanno entrambi concluso i 28 chilometri in programma ad Atlit con un ritardo di soli otto secondi. Da segnalare che, in attesa della nuova prova in linea, la famiglia Goldstein è campione in entrambe le prove visto che lo scorso anno fu Roy Goldstein a conquistare la corsa.

(cyclingpro, 23 giugno 2018)


I bambini e l'eternità del tempo ebraico

Una giornata di confronto culturale per i più piccoli alla Casina di Raffaello

ROMA - Una giornata per i più piccoli, interamente dedicata alla cultura e alla volontà di educare a un tipo di cultura diversa dalla nostra. Domani "Facciamo Festa!" alla Casina di Raffaello con una nuova, entusiasmante avventura gratuita rivolta ai bambini dai 5 ai 10 anni.
La ludoteca dell'Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità Solidale è lieta di ospitare, nei giorni dell'undicesima edizione della manifestazione Ebraica- Festival Internazionale di Cultura, un laboratorio sul tema dell'eternità del tempo nell'ebraismo curato dal Dipartimento Educativo Giovani della Comunità Ebraica di Roma e realizzato in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.
Presentandosi direttamente al desk di Casina di Raffaello, le famiglie potranno iscrivere i propri figli e consentire loro di partecipare, dalle l0.30 alle 12.30, a un laboratorio educativo e creativo che permetterà loro di conoscere e approfondire, attraverso elaborazioni in 3D, alcuni aspetti della cultura ebraica.
Sin dai tempi più antichi, l'uomo ha avuto necessità di misurare il tempo. Tale bisogno era connesso a esigenze agricole, ma anche alle pratiche religiose e vari aspetti socio economici. Nell'ebraismo il tempo assume un ruolo fondamentale: nel corso dei millenni gli ebrei hanno sviluppato, fiduciosi nell'arrivo del Messia, una visione unitaria del tempo e slegata dallo spazio. Esempi lampanti sono, ad esempio, lo Shabbat, la creazione, il ciclo delle festività. Argomenti al centro dell'attività laboratoriale che comprenderà le seguenti attività formative: "La creazione", "Il ciclo dei 7 gìornì" e lo "Shabbat", "Shulkhan - La tavola da apparecchiare", "Il Ciclo delle feste" .

(il Romanista, 23 giugno 2018)


Incredibile: per le Nazioni Unite Israele occupa ancora la Striscia di Gaza

Una dichiarazione di fantomatici quanto improbabili "esperti di Diritti Umani dell'Onu" afferma che Israele dovrebbe assumersi responsabilità sulle condizioni di vita a Gaza in quanto "potenza occupante". Peccato che dal 2005 Israele non occupi più la Striscia di Gaza.

Si definiscono "esperti di Diritti Umani delle Nazioni Unite" ma non sanno nemmeno chi occupa realmente la Striscia di Gaza visto che proprio ieri hanno rilasciato una dichiarazione dove si chiede a Israele di assumersi le proprie responsabilità in quanto "potenza occupante".
Lo riferisce l'agenzia di stampa iraniana Abna24 (1) che citando alcune dichiarazioni rilasciate da "esperti di Diritti Umani dell'Onu" alla Palestine News Network afferma che questi fantomatici "esperti" appoggiano «le richieste di una risposta internazionale su vasta scala alle enormi necessità di assistenza sanitaria delle persone che vivono a Gaza»....

(Rights Reporters, 23 giugno 2018)


La protesta delle mille tavole da surf contro l'estrazione di gas: "Non avvelenateci"

Quasi mille surfisti israeliani si sono tuffati in mare con le tavole per protestare contro la costruzione di una piattaforma off-shore per l'estrazione di gas. In 992 hanno formato un grande cerchio al largo della costa di Herzliya, regione nella zona centrale di Israele. Sulle loro magliette lo slogan "non avvelenateci". Le autorità israeliane affermano che la nuova piattaforma non è una minaccia né per l'ambiente né per la salute. Gli organizzatori dell'evento vogliono comunque sottoporre le immagini al Guinness World Records per il riconoscimento di "cerchio di surfisti più grande del mondo".

(la Repubblica, 23 giugno 2018)


Nella Spagna dei porti aperti, gli israeliani sono ''personae non gratae"

Iglesias contro il "paese illegale". Merci, orchestre, diplomatici, così lo stato ebraico è messo al bando. La Navarra prima regione europea a boicottare Gerusalemme.

di Giulio Meotti

ROMA - Con il caso della nave Aquarius, la Spagna del nuovo governo socialista di Pedro Sànchez ha mostrato il suo volto accogliente e aperto. Ma in sordina e lontano dalle telecamere, tutte concentrate nel porto di Barcellona, la stessa Spagna stava diventando la nazione europea più ostile a Israele.
  Prima c'è stata la decisione della terza città del paese, Valencia, di abbracciare il boicottaggio di Israele auto- proclamandosi "zona libera dalla apartheid israeliana". Poi il leader del terzo partito spagnolo, Pablo Iglesias Turrion a capo di Podemos, ha definito lo stato ebraico un "paese criminale e illegale".
  La città di Oviedo, capitale delle Asturie, ha poi cancellato il concerto dell'orchestra sinfonica israeliana di Netanya, citando "ragioni politiche". Il produttore locale del concerto, che si sarebbe tenuto a Oviedo in autunno, ha ricevuto un avviso ufficiale dal comune in cui si dichiarava che la cancellazione dell'evento era il risultato di una decisione politica di "non tenere più attività israeliane in città". Oviedo ha cancellato anche la performance di un balletto israeliano. Il Consiglio comunale di Cadice aveva già cancellato un festival di cinema israeliano, sostenendo che "contraddice l'adesione alla campagna 'liberi dall'apartheid israeliana"'. E a Benicassim, vicino a Barcellona, il musicista ebreo e star del reggae Matthew Paul Miller, in arte "Matisyahu", si era rifiutato di ottemperare alla richiesta della direzione del festival di musica che gli aveva imposto di produrre un video o una dichiarazione scritta nella quale il cantante avrebbe dovuto sostenere uno stato arabo-palestinese. La sua esibizione è stata annullata.
  Mentre l'ambasciata israeliana a Madrid lamentava "una mancanza di cooperazione da parte della città", arrivava la notizia della prima regione autonoma europea che boicotta ufficialmente Israele. Si tratta della Navarra, dove tutti i partiti spagnoli tranne i Popolari hanno votato la mozione in cui si invita la Spagna a "sospendere i suoi legami con Israele" fino a che il paese non cessi la sua "politica di repressione criminale della popolazione palestinese". Ottanta città e consigli comunali spagnoli hanno già aderito alla campagna di boicottaggio di Israele.
  L'ambasciata israeliana a Madrid ha scritto una lettera ai membri di Podemos in cui li accusa di praticare una "politica sistematica di boicottaggio" contro Israele, dopo che un gruppo di deputati ha deciso di non partecipare a un incontro in programma con l'ambasciatore israeliano Daniel Kutner. La El Al, compagnia aerea di bandiera d'Israele, aveva intenzione di creare un volo diretto da Santiago di Compostela a Tel Aviv, ma il progetto è stato bocciato dai dirigenti turistici spagnoli come atto simbolico d'appoggio al boicottaggio.

 "Navarra 1498-Pamplona 2018"
  E' notizia di ieri che anche la città di Pamplona ha dichiarato i funzionari israeliani "personae non gratae" in città. Stavolta i socialisti hanno votato contro, mentre il Partito nazionalista basco, Podemos e il Partito comunista si sono schierati a favore. L'ambasciata israeliana a Madrid ha condannato la risoluzione, ricordando che "il regno di Navarra è stato l'ultimo della penisola iberica a espellere gli ebrei e il Consiglio comunale di Pamplona è stato il primo a dichiararci persona non grata. 'Navarra 1498: ebrei fuori - Pamplona 2018: ci è vietato entrare"'. D'altronde il Mundo, il giornale che ha contribuito a modellare la storia recente della Spagna, ha pubblicato un articolo di Antonio Gala, venerato maestro delle lettere iberiche. Titolo, Los elegidos?, gli eletti, in cui parlando di Gaza scrive che gli ebrei hanno "meritato" l'espulsione dalla Spagna nel 1492. I porti spagnoli sembrano aperti a tutti, tranne che agli israeliani.

(Il Foglio, 22 giugno 2018)


Israele fornisce preservativi, Hamas li trasforma in bombe

I palestinesi lanciano migliaia di condom pieni di gas infiammabile contro il territorio dello Stato ebraico. Danni per un milione di dollari

di Ilaria Pedrali

 
 
Terroristi di Hamas riempiono preservativi e palloncini con gas elio, infiammabile, e li collegano a una piccola carica esplosiva; poi li lanciano verso il territorio di Israele dove arrivano e prendono fuoco.
Profilattici gonfiati pronti a prendere fuoco. Ecco l'ultima strategia che Hamas ha messo in atto a Gaza per combattere Israele. I condom vengono riempiti di elio e poi lanciati in aria. Il vento che soffia mite dal Mediterraneo fa il resto e gli ordigni improvvisati raggiungono le zone oltre il confine con Israele. Qui incendiano le sterpaglie di un deserto' quello del Negev, sempre più arido, grazie a piccole cariche esplosive attaccate alla loro estremità che una volta toccata terra danno fuoco a quel che trovano. In un giorno, in concomitanza con la fine del mese di Ramadan, Hamas è arrivato a lanciarne anche 5mila.
  Una tecnica, quella dei preservativi, che insieme agli aquiloni e ai palloncini delle feste di compleanno, va avanti da oltre due mesi, provocando danni immensi in termini economici per lo Stato ebraico. Come a dire che se il lancio dei razzi e gli attacchi all'arma bianca finora poco hanno fatto per indebolire l'esercito israeliano, i militanti di Hamas nella Striscia di Gaza affidano la loro protesta al vento e ai preservativi, lasciando a loro il compito di danneggiare Israele almeno sul piano economico, colpendo la produzione agricola israeliana.

 Sempre più figli
  Sembra una tecnica bizzarra, di sicuro molto economica, di fronte alla potenza dell'esercito israeliano, quasi innocua. In realtà finora la strategia del cosiddetto piroterrorismo sta dando i suoi frutti, mettendo in ginocchio l'esercito israeliano e arrecando un danno di quasi un milione e mezzo di dollari alle terre coltivate da Israele. Tanto che Hamas ha persino creato un'unità ad hoc per appiccare questo tipo di incendi e studiare la direzione del vento per raggiungere le zone abitate o coltivate dagli israeliani. E il risultato è garantito anche in termini mediatici, dal momento che le alte nubi che si ergono in seguito agli incendi giocano a favore di telecamera.
  Israele può fare poco per prevenire il fenomeno di quelli che vengono chiamati «terror condom», cioè i preservativi del terrore. Utilizza droni e sofisticati mezzi per intercettarli, ma quasi inutilmente. Inoltre, visto l'alto tasso di natalità nella Striscia, l'uso del profilattico non viene vietato e le organizzazioni non governative lo incentivano. Solo che Hamas usa l'anticoncezionale in questione in modo alternativo e a Gaza la popolazione continua a crescere. Al momento il Ministero della Difesa dello stato ebraico ha minacciato di limitare l'ingresso di elio nella Striscia, per impedire che il gas, normalmente utilizzato per far funzionare le macchine per la risonanza magnetica negli ospedali, venga utilizzato per gonfiare i profilattici e permettere a questi ordigni improvvisati di percorrere decine di chilometri oltre confine. Nel frattempo le forze di difesa israeliane hanno messo in campo bombardamenti verso chi lancia i condom incendiari.
  Una situazione, quella che sta vivendo Gaza che degenera ogni giorno, e il primo ministro di Israele, Benyamin Netanyahu ha dichiarato di essere pronto a ogni scenario. Stando a Tel Aviv o a Gerusalemme non è raro sentire, di notte e di giorno, il rumore degli aerei diretti a sud e a ovest, e l'ipotesi di una nuova guerra si fa ogni giorno più concreta. I bombardamenti di Israele sulla Striscia sono all' ordine del giorno, e quasi, a leggere i giornali locali, non fanno più notizia. La notte tra martedì e mercoledì è stata la peggiore, quando Israele ha intercettato molti dei 25 razzi lanciati da Gaza nel deserto del Negev e ha risposto con un pesante bombardamento che ha distrutto molte basi militari di Hamas nella Striscia. La situazione umanitaria a Gaza e dintorni è disastrosa, e questo non lascia presagire nulla di buono.
  Per oggi sono state indette nuove manifestazioni lungo il confine e ci si aspetta che molti aquiloni incendiari e molti profilattici gonfiati verranno fatti librare in aria. Da quando si è riaccesa la spirale di violenza, in seguito alla Grande Marcia del Ritorno, organizzata dai palestinesi per chiedere che i discendenti dei rifugiati che hanno perso le loro case nel 1948 possano ritornare alle proprietà della loro famiglia nei territori che attualmente appartengono a Israele, sono 137 i palestinesi ammazzati dalle forze israeliane, e 13 mila i feriti.

(Libero, 22 giugno 2018)


Jared Kushner in Medio Oriente: si prepara la guerra all'Iran?

Il radicamento iraniano in Siria è il vero problema discusso da Jared Kushner e Jason Greenblatt con i leader arabi nel loro viaggio in Medio Oriente e non quindi la cosiddetta "questione palestinese".

Ieri sera Jared Kushner e Jason Greenblatt sono arrivati in Egitto dopo aver fatto tappa in Arabia Saudita. Obiettivo ufficiale del viaggio, discutere con i leader arabi delle crisi regionali a partire dalla questione palestinese. Ufficiosamente però i due incaricati dal Presidente Trump hanno discusso di tutt'altro con i leader arabi.
E' stato quello del radicamento iraniano in Siria e le mosse per contrastarlo l'argomento principale discusso dagli inviati americani con i leader arabi. Jared Kushner ha ribadito a sauditi ed egiziani che il piano per raggiungere un accordo di pace tra israeliani e palestinesi sarà pronto per la fine dell'estate, un piano che non si dovrebbe discostare di molto da quello trapelato lo scorso gennaio e che ha fatto letteralmente infuriare Abu Mazen. Ma, come detto, il vero punto che ha portato Jared Kushner e Jason Greenblatt a incontrare i leader arabi è il pericolo iraniano....

(Rights Reporters, 22 giugno 2018)


Lunedì storica visita del principe William in Israele e territori

Il Principe William
ROMA - La prossima settimana il principe William sarà il primo membro della famiglia reale britannica a fare una visita ufficiale sia in Israele che nei territori palestinesi.La Gran Bretagna governò la regione sotto un mandato della Società delle Nazioni per quasi tre decenni fino all'indipendenza di Israele 70 anni fa, ed è tutt'oggi accusata da entrambe le parti di aver gettato i semi di un conflitto che continua a devastare la regione. Secondo nella successione al trono britannico, il 36enne arriverà lunedì senza la moglie Kate, che in aprile ha dato alla luce il loro terzo figlio, il principe Luigi.
   La visita di William giunge in un momento particolarmente delicato dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e ha trasferito l'ambasciata di Washington, scatenando l'indignazione araba e sanguinosi scontri al confine di Israele con Gaza. Kensington Palace ha sottolineato la "natura non politica del ruolo di Sua Altezza Reale, in comune con tutte le visite reali all'estero". Ma a ovest del fiume Giordano, tutto ha una valenza politica. Il riferimento ufficiale del programma a Gerusalemme est indicato come "territori palestinesi occupati" ha suscitato particolare rabbia tra alcuni politici israeliani di destra. "Gerusalemme unita è stata la capitale di Israele per più di 3.000 anni", ha scritto su Twitter il ministro degli affari di Gerusalemme, Zeev Elkin, del partito di destra del Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu. "Nessuna distorsione nel documento informativo per questo o quel tour cambierà la realtà", ha detto il ministro, che è candidato a sindaco di Gerusalemme. Israele definisce l'intera città come la sua capitale "eterna e indivisibile", mentre i palestinesi vedono Gerusalemme Est come la capitale del loro futuro Stato. Israele aveva preso il controllo della Cisgiordania e la parte araba di Gerusalemme dalla Giordania nella guerra dei Sei giorni del 1967. In seguito Gerusalemme est venne annessa allo Stato ebraico.

 Programma
  William arriverà domenica ad Amman, dove rimarrà nella residenza privata del re Abdullah, anche se non è previsto un incontro con il sovrano Abdallah II.
  • Lunedì volerà in Israele e soggiornerà presso l'hotel King David di Gerusalemme, che era il quartier generale amministrativo della Gran Bretagna durante il suo mandato in Palestina prima della fondazione dello stato israeliano nel 1948. Nel 1946 gli ebrei militanti che combattevano contro il dominio britannico bombardarono l'edificio, uccidendo e ferendo decine di persone, molti dei quali impiegati civili britannici o personale militare.
  • Martedì, William visiterà lo Yad Vashem e deporrà una corona di fiori. Avrà quindi colloqui con il premier Benjamin Netanyahu e incontrerà il presidente Reuven Rivlin.
  • Mercoledì, chiamerà il presidente palestinese Abu Mazen a Ramallah e incontrerà profughi e giovani palestinesi.
  • Giovedì, ultimo giorno, sarà dedicato alla visita del Monte degli Ulivi di Gerusalemme.
(askanews, 22 giugno 2018)


Serata su Gerusalemme: successo al Beth Shlomo e visita al Museo della Brigata Ebraica

 
MILANO - Prima la visita guidata al Museo della Brigata Ebraica, poi l'importante serata "Dalla Bibbia a Trump. Capire la Gerusalemme di oggi attraverso la sua storia". Storia, attualità, ebraismo e cultura sono stati quindi i temi dominanti dell'incontro, lo scorso 13 giugno, alla sinagoga Beth Shlomo. Il Direttore del Museo Davide Romano assieme a uno dei tre curatori, lo storico Stefano Scaletta, ricercatore all'Università del Piemonte Orientale a Vercelli, hanno accompagnato i tanti visitatori accorsi ad esaminare pannelli e fotografie d'epoca della Brigata, in attesa dell'inaugurazione ufficiale dell'esposizione che avverrà prossimamente. Dopo la mostra, curata anche dagli esperti Cristina Bettin, ricercatore della Ben Gurion University of the Negev, e Samuele Rocca dell'Università di Ariel, è stata la volta della visita guidata alla Sinagoga, tenuta da Eugenio Schek responsabile del tempio Beth Shlomo.
  A seguire, il dibattito "Dalla Bibbia a Trump. Capire la Gerusalemme di oggi attraverso la sua storia" moderato da Renato Coen, Responsabile Esteri Sky Tg 24 e organizzata da ADI Associazione Amici di Israele.
  Gerusalemme è un luogo di eccezionale rilevanza, non solo religiosa o politica ma anche culturale e artistica. Su questi temi si sono soffermati tre relatori: Avital Kotzer Adari, Direttore dell'Ente del Turismo Israeliano a Milano, il giornalista blogger Roberto Zadik e Oscar Marcheggiani, saggista e storico. A cominciare l'approfondimento l'esaustiva introduzione di Coen che ha raccontato la sua esperienza. "A Gerusalemme sono tornato due volte, una da ragazzo a 19 anni scoprendo cose belle e lati negativi, che non immaginavo esistessero, e l'altra professionalmente da giornalista". Come ha sottolineato più volte, la capitale israeliana è affascinante e suscita sentimenti estremi: "È la più amata e la più odiata dagli israeliani; ho incontrato un ragazzo di Tel Aviv che volutamente non ci metteva piede da 17 anni". Un luogo che mescola etnie, religioni e culture, anime parallele che nemmeno si parlano o si incontrano in "un detonatore atomico perennemente sul punto di esplodere, come disse il grande scrittore israeliano Meir Shalev", ha ricordato Coen. Descrivendo la città, il giornalista ha sottolineato che "esistono zone sconosciute anche a chi ci abita, arabi e ebrei vivono divisi e non si parlano e non si toccano".
  Subito dopo si è passati ai tre interventi. Avital Kotzer Adari che "israeliana da sei generazioni" ha espresso la sua emozione, "visto che la Brigata Ebraica mi coinvolge anche a livello famigliare". Nel suo discorso "L'altra Gerusalemme" la Direttrice dell'Ente del Turismo israeliano a Milano ha messo in luce la complessità e il fascino di Gerusalemme. Fornendo dati e informazioni, avvalendosi di diapositive e slide molto complete, la Adari ha spiegato che "a Gerusalemme vivono persone da tutto il mondo, che provengono da più di 103 Paesi diversi e tutte le religioni convivono in armonia, nonostante quello che tante volte dicono i media, la realtà è molto diversa". Nella sua appassionante relazione, la Direttrice ha spiegato la particolarità di Gerusalemme e i suoi luoghi più caratteristici, dal Museo dello Yad Vashem, al Muro del Pianto, in una città che "non è solo storia o religione ma moltissimi altri elementi assieme. Interessanti quartieri, mercati vivaci in un luogo aperto a tutti e dove c'è posto per tutti". Importanti iniziative e festival si sono tenuti nella capitale israeliana e sono in programma per i prossimi mesi, come la Maratona di Gerusalemme o le prime tre tappe del Giro d'Italia e, in tema di musica e spiritualità, da agosto il Festival "Mekudeshet" (Santificata) coi suoi eventi e serate dal vivo (info en.mekudeshet.com).
  Molto efficaci anche gli altri due interventi. Il giornalista e conduttore Roberto Zadik ha brillantemente esposto gli aspetti religiosi e culturali di Gerusalemme, partendo dalle fonti bibliche e talmudiche. "Anche se nella tradizione biblica Gerusalemme viene nominata 669 volte - ha detto - nella Torah se ne parla spesso in modo indiretto e ambiguo, mentre dai Salmi al Talmud i riferimenti sono molto più espliciti". Citando vari brani e versi dei Testi, ha sottolineato, fra battute e note letterarie, la centralità di Gerusalemme nella Torah. Fra gli esempi, si parla di Gerusalemme quando si menziona il Monte Moriah dove venne "legato" Isacco e, nello stesso luogo, sorgeva la scuola di Malki Tzedek, fondata dal figlio di Noè, Sem "da cui deriviamo noi semiti e dove venne a studiare anche Abramo, come si narra". È anche, secondo la tradizione, il luogo dove Adamo, il primo uomo, fu forgiato da Dio che "soffiò nelle sue narici". Zadik ha ricordato poi vari Salmi, momenti di preghiera e Benedizioni dove si parla di Gerusalemme, dalla Amidà alla Birchat Ha Mazon, al Digiuno di Tisha'beAv, quando si ricorda la distruzione della città e il calvario subito dai suoi abitanti. Nel suo intenso intervento, ha ricordato non solo la parte religiosa ma anche quella culturale, passando dalla letteratura, al cinema alla musica. Citando vari autori e fonti, Roberto Zadik ha messo in luce quante poesie, da Tasso ad Amichai, quante canzoni - come Gerusalemme d'oro di Naomi Shemer (la cui storia è raccontata nel suo recente libro Isramix, Proedi, dedicato alla musica israeliana di oggi) o Muoio per te di Sting e Zucchero - o quanti film, da Qualcuno con cui correre ispirato al romanzo di Grossman fino al controverso Kadosh di Amos Gitai, abbiano avuto questa città come protagonista.
  Ultimo intervento, molto efficace, quello dello storico e saggista Oscar Marcheggiani, dedicato alla storia e ai mutamenti urbanistici della capitale dello Stato ebraico. A partire dai tempi di Re David e Salomone, lo storico ha descritto, avvalendosi di slide, i mutamenti della Città, sia nei suoi momenti di splendore, quando Salomone decise di ampliarla, sia nei periodi di crisi e tensione, quando venne attaccata dagli Assiri o nelle distruzioni ordinate dallo spietato imperatore Tito, fino alla conquista dei musulmani durante il periodo degli Abbasidi. Citando date, episodi storici fondamentali o libri, fra cui ha ricordato "il bellissimo saggio di Maristella Botticini I pochi eletti, Il ruolo dell'istruzione nella Storia degli ebrei, lo studioso ha fornito alcuni dati demografici sulla presenza ebraica nei secoli. Nei suoi studi ha rilevato come gli ebrei "rispetto alle masse erano spesso alfabetizzati grazie allo studio della Torah". In tema di migrazioni verso la Terra Promessa e Gerusalemme, Marcheggiani ha ricordato che le aliyot avvennero ben prima del 1948 e ci fu chi, specialmente dall'Est Europa, decise insediarsi nella zona di Mea Shearim nel 1860, nel 1869 e nel 1872.
  Una serata molto appassionante prima della pausa estiva seguita da domande e da un'atmosfera conviviale.

(Bet Magazine Mosaico, 22 giugno 2018)


Israele, incriminata la moglie del premier

Cene per 80mila euro a carico dello Stato

di Massimo Lomonaco

Guai giudiziari per Sarah Netanyahu, moglie del premier israeliano. È stata incriminata per sospetta frode per una vicenda legata alla gestione della residenza ufficiale del primo ministro a Gerusalemme negli anni 2010/2013 ed anche della casa privata di Cesarea. L'accusa principale è quella di «aver istruito» lo staff della residenza ad ordinare pasti in ristoranti gourmet per circa 350mila shekel (oltre 80mila euro) nonostante la struttura avesse a disposizione un cuoco. Pasti il cui costo è stato addebitato allo Stato.
   Insieme a Sarah Netanyahu - il cui avvocato ha respinto gli addebiti definendoli «bizzarri e infondati» - è finito nei guai anche Ezra Saidoff, ex vice direttore generale dell'ufficio del premier, sospettato anche di aver falsificato documenti. Nell'atto di accusa si denuncia che i due hanno agito per «addossare allo Stato spese di gestione della residenza ufficiale del premier a Gerusalemme e di quella privata di Cesarea che non erano previste dai regolamenti». Inoltre, sempre secondo l'accusa, la signora Netanyahu avrebbe sostenuto che non c'era alcun cuoco a quel tempo nella residenza in modo da poter ordinare i pasti all'esterno.
   L'indagine che imbarazza Benyamin Netanyahu era in corso da oltre un anno e già nei mesi scorsi l'avvocato generale, Avichai Mandelblit, e il procuratore di Stato, Shaul Nìtzan, avevano notificato alla moglie del premier la loro intenzione di procedere con le accuse, nonostante Sarah avesse ripetutamente respinto ogni sospetto. Nel tentativo di allontanare l'incriminazione si è anche cercato un accordo con gli inquirenti ma - secondo i media - la moglie del premier avrebbe rifiutato di restituire le spese e di ammettere gli addebiti. Un'ipotesi che, secondo le stesse fonti, può ancora essere percorsa visto che nell'atto di accusa - lungo una ventina di pagine - Sarah Netanyahu ed Ezra Saidoff sono avvertiti che, se giudicati colpevoli, potrebbero rischiare un periodo di reclusione.
   «È la prima volta in Israele e al mondo - hanno contrattaccato gli avvocati della first lady - che si processa la moglie di un leader per cibo offerto su vassoi usa-e-getta». «Non c'è stata alcuna frode e nessun abuso di potere, e nessun'altra infrazione. La moglie del premier - hanno sottolineato - non è una dipendente statale e non conosceva le procedure» per la gestione della residenza ufficiale del primo ministro. L'atto di accusa, secondo questi legali, si basa inoltre «su affermazioni menzognere e su dati errati o falsati», nonché su procedure che a loro parere non sono mai state convalidate.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 22 giugno 2018)


«Voi ebrei mai contenti»: la mail oltraggiosa dell'hotel di Pavia alla turista israeliana

Bella Nudelman per sbaglio aveva assegnato solo 5 stelle su Booking.com all'Hotel Ristorante Italia. Un dipendente - ora sospeso dalla direzione - le ha scritto: «Colpa vostra se in Europa stanno tornando i nazisti e i fascisti»

Bella Nudelman con il marito Boris
La turista israeliana s'era trovata davvero bene, col marito e gli amici, nella notte passata in un hotel a Certosa di Pavia. Quando però ha compilato la recensione su Booking.com, in auto, sul cellulare, si è sbagliata e ha dato soltanto 5 stelle su 10. Ma lo choc è stato nel leggere, poco dopo, la mail di risposta (in inglese) da parte dell'albergo: «Voi ebrei non siete mai contenti! Non lamentatevi se in Europa stanno tornando i nazisti e i fascisti. C'è un motivo... Voi!». La signora ha subito segnalato la gravissima offesa al sito Booking.com, che ha chiuso sulla propria piattaforma l'accesso alle prenotazioni dell'albergo. La direzione dell'hotel si è scusata ed ha detto di aver sospeso il dipendente, autore della mail, in modo da risolvere i «suoi problemi comportamentali».

 La mail
  La protagonista della vicenda, raccontata dal giornale israeliano Yediot Ahronot , si chiama Bella Nudelman. Con il marito Boris e altre due coppie di amici ha soggiornato una notte all'Hotel Ristorante Italia a Certosa di Pavia. «Tremavo quando ho letto il messaggio», ha raccontato la turista al quotidiano, spiegando di aver assegnato 5 stelle mentre era in auto, per sbaglio, mentre in realtà l'hotel era molto piaciuto a lei e agli altri della comitiva. Poi però è arrivata la risposta. «È stato semplicemente tremendo ricevere quella mail. Se solo ci avessero contattato per chiederci il motivo della valutazione scarsa, avremmo spiegato che si era trattato solo di uno sbaglio. Ma sostenere che gli ebrei sono colpevoli per ciò che accade in Europa? Questo è intollerabile».

 Le reazioni
  Dopo aver ricevuto la denuncia di Bella Nudelman, la piattaforma Booking.com ha rimosso l'hotel in questione dalla lista degli alberghi prenotabili: «Non tolleriamo questo genere di discriminazione», si legge in una nota di Booking.com. Da parte sua, l'Hotel Ristorante Italia ha pubblicato una nota di scuse: «Abbiamo preso con la massima serietà il comportamento esecrabile del dipendente che ha inviato la mail, che è stato sospeso dal suo incarico. Nulla giustifica questa mail, a prescindere dalla valutazione assegnata dall'utente sul sito di prenotazione. Ci metteremo presto in contatto con i clienti israeliani, chiediamo loro perdono e penseremo ad un modo per risarcirli».

(Corriere della Sera, 22 giugno 2018)


Stop ai palloni incendiari. Israele bombarda Gaza

Sale la tensione. Hamas: pioggia di razzi a ogni incursione aerea. Netanyahu: la risposta sarà adeguata

di Luigi Fantoni

Una pioggia di razzi e colpi di mortaio da Gaza - almeno 45, di cui 7 intercettati - si è abbattuta nel sud di Israele innescando la reazione dell'aviazione dello Stato ebraico che ha centrato 25 obiettivi di Hamas nella Striscia. La tensione sul confine aumenta in un conflitto sempre più immanente.

 Le cause
  Motore dell'ultima crisi il lancio continuo da Gaza verso Israele di aquiloni, palloni incendiari ed esplosivi con vasti danni ad agricoltura e boschi ed allarme continuo nei kibbutz a ridosso dell'enclave palestinese. Vengono usati persino condom gonfiati con l'elio o palloncini usati per le feste colorati e con scritte in inglese e arabo, con piccole micce accese che hanno distrutto centinaia di acri di terreno, secondo quanto riporta Times of lsrael.
A far salire lo scontro in atto c'è la decisione delle fazioni della Striscia di rispondere ad ogni incursione della aviazione israeliana a Gaza con lanci di razzi verso Israele. Nel tentativo di stroncare il fenomeno dei palloni incendiari (oggi 12 i roghi appiccati), finora l'aviazione dello stato ebraico - ha spiegato il portavoce dell'esercito Jonathan Conricus - ha colpito nei pressi dei lanciatori o le postazioni da loro usate. Lo stesso - ha aggiunto - ha fatto ieri sera l'aviazione dopo un ulteriore tiro e un tentativo di infiltrazione da Gaza in territorio ebraico.
La risposta delle fazioni palestinesi, da Hamas alla Jihad islamica, è stata la salva di razzi e colpi di mortaio in nottata su Israele che ha costretto la gente delle zone a correre nei rifugi: uno dei colpi ha anche sfiorato un asilo. Ad annunciare il cambio di passo, il portavoce di Hamas Fawzi Barhum: ogni incursione della aviazione israeliana provocherà d'ora in poi lanci dì razzi dalla Striscia verso Israele. «Salutiamo la resistenza che ha replicato ai bombardamenti israeliani contro le sue postazioni: questo è un nostro diritto. Il nostro messaggio - ha aggiunto - è "bombardamento contro bombardamento"»

 Lo scenario
  Conricus ha detto che Israele «non tollererà» l'attuale situazione che vede quotidiani attacchi dal cielo sul proprio territorio. E il premier Benyamin Netanyahu ha ammonito Hamas che la risposta israeliana «aumenterà quanto necessario». «Siamo pronti ad ogni scenario - ha aggiunto citato dai media - ed è meglio che i nostri nemici lo capiscano e subito».

(Il Messaggero, 21 giugno 2018)


Il negazionismo della Shoah

 
"In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l'abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma anche se qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme a voi. E anche quando qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti; dirà che sono esagerazioni della propaganda Alleata e crederanno a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei lager, saremo noi a dettarla".
   Citando le ultime pagine di Gli assassini sono tra noi di Simon Wiesenthal nel suo I sommersi e i salvati, Primo Levi metteva in evidenza che il negazionismo della Shoah era realmente iniziato con i suoi stessi autori. Subito dopo la guerra, vi erano stati notevoli sforzi per ridurre al minimo le atrocità naziste e giustificare la politica nazista contro gli ebrei, sostenendo la loro esagerazione, la non conoscenza dello sterminio da parte dello stesso Hitler, e le non meno crudeli azioni militari Alleate.
   In questa fase era assente il negazionismo della Shoah, o almeno, non vi era niente di simile a un movimento di negazione. Ma ciò è cambiato, soprattutto dopo il processo contro Adolf Eichmann nel 1961, quando è sorto qualcosa di più sinistro di un movimento che nega la storia interamente, dato che camuffa l'immoralità, il razzismo, e obiettivi politici con la storia legittima.
   Il negazionismo della Shoah è stato propagandato con tempistiche diverse, con alterni risultati, da diversi sostenitori e attraverso mezzi diversi. I negazionisti hanno risposto alle varie richieste dei circoli della negazione, in Paesi e in sedi diversificate: i movimenti di destra, le onde improvvise o rigurgiti di antisemitismo, le tendenze storiografiche, e nuovi lavori (degli stessi negazionisti e degli storici di professione) hanno contribuito alla riscrittura e alla diffusione della letteratura della negazione dell'Olocausto.
   A differenza degli storici di professione, i negazionisti hanno dovuto modellare le loro opere per far sì che fossero considerate scientificamente accettabili. In particolare, hanno cercato di guadagnare legittimità in quanto partecipanti di una ricerca storica. Come Charles Maier e Deborah Lipstadt hanno suggerito, "essi hanno lavorato duramente per insinuarsi nell'arena della discussione e del dibattito storico".
   In un certo senso, quindi, si potrebbe affermare che i negazionisti hanno usato il revisionismo come un mezzo per dare un fondamento più solido alla loro ricerca.

(Espertoditesti, 21 giugno 2018)


Medio Oriente: insopportabile complicità dei media con i terroristi

Il silenzio dei "grandi media" sui missili di Hamas è il preludio di una strategia già vista in passato: vittimizzare i terroristi e colpevolizzare Israele.

Nella informazione occidentale c'è uno squilibrio evidente a favore dei terroristi nel raccontare i fatti in Medio Oriente se è vero che 45 missili sparati da Gaza contro i civili israeliani in un sola notte non fanno notizia.
E' uno squilibrio che diventa complicità con i terroristi quando in maniera deliberata si vittimizza chi attacca mirando a far del male e usa i propri civili come arma e si colpevolizza chi si difende e chi soprattutto, al contrario dei terroristi, difende i propri civili.
Ed è questo il motivo per cui ieri la "grande stampa" ha ignorato uno degli attacchi più violenti degli ultimi anni contro Israele: non c'era nulla nella reazione israeliana che potesse far gridare alla "reazione sproporzionata", nulla che potesse vittimizzare i "poveri palestinesi" e colpevolizzare i "cattivi israeliani".

(Rights Reporters, 21 giugno 2018)


Farmaci e cure su misura nell'era della medicina digitale

Israele sta investendo 280 milioni di dollari per creare un nuovo sistema sanitario tecnologicamente avveniristico.

di Mila Fiordalisi

Digitalizzare i dati sanitari di 9 milioni di cittadini con l'obiettivo di mettere a punto programmi di prevenzione iper-personalizzati, ma anche di consentire a ricercatori e imprese farmaceutiche di studiare nuovi farmaci e nuove cure per specifiche patologie. In sintesi, per migliorare la vita e le condizioni di salute dei cittadini. È questo l'ambizioso progetto appena annunciato dal governo di Israele. Un piano che vale 1 miliardo di shekels, alias circa 280 milioni di dollari.
  "Stiamo lavorando allo sviluppo del futuro. Facendo leva su tre cose: i big data, l'intelligenza artificiale e la connettività", ha detto il premier Benjamin Netanyahu in occasione del Consiglio dei ministri che ha dato il via libera alla nuova strategia digitale quinquennale per la sanità israeliana. Il programma può già contare sul lavoro fatto nel corso degli ultimi anni che ha sortito la digitalizzazione dei dati clinici del 98% della popolazione israeliana. Dati che potranno essere analizzati e studiati per individuare le patologie più diffuse nel Paese, gli esami clinici più ricorrenti e le aree ed i singoli presidi ospedalieri in cui si concentrano specifiche richieste e per valutare le esigenze presenti ma soprattutto future dei cittadini in termini di cura e assistenza sanitaria. "Vogliamo consentire a medici e personale sanitario di fare diagnosi più efficaci per velocizzare e migliorare le cure", ha sottolineato Eli Groner, direttore generale dell'Ufficio del Primo Ministro. Il tutto nel pieno rispetto della privacy e della sicurezza dei cittadini "i quali saranno informati in totale trasparenza sull'uso dei loro dati e avranno accesso liberamente alle proprie informazioni", ha assicurato il Ministro della Salute Ronny Sapir.
  Al centro del progetto la piattaforma "Mosaic", infrastruttura nazionale che farà da base alla creazione della banca dati nazionale e che con tutta probabilità sarà impiegata anche per la realizzazione del primo database nazionale della genetica. E il governo ha scelto l'azienda tedesca Sap come main partner tecnologico del piano quinquennale.
  Obiettivo del maxi programma è anche e soprattutto sviluppare un mercato, quello della sanità digitale "il cui potenziale è maggiore di quello persino della cybersecurity e il cui valore è stimato in 6 trilioni di dollari", ha aggiunto Netanyahu. "Se fossimo in grado di mettere a frutto solo il 10% di questo potenziale - una stima conservativa - saremmo in grado di generare un mercato da 600 miliardi di dollari".
  La macchina dell'industria tecnologica sanitaria israeliana si è già messa in moto da tempo. Secondo dati dell'Ufficio Commerciale e Investimenti del Ministero dell'Economia di Israele sono oltre 400 le aziende operative nel settore della salute digitale che hanno sede nel Paese e ad oggi quasi il 100% delle cartelle cliniche sono elettroniche e il 95% dei medici di base utilizza la prescrizione in modalità elettronica. Fra le innovazioni made in Israele ci sono: il monitor indossabile di BioBeat, che consente di monitorare in tempo reale parametri vitali, tra cui la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, la piattaforma digitale per la cura del diabete ideata da GlucoMe che include anche una app mobile per il controllo dei valori; la piattaforma FoodPrint di Nutrino per mettere a punto piani nutrizionali personalizzati. E queste soluzioni sono considerate già eccellenze mondiali al punto da essere state protagoniste - insieme ad un'altra ventina di best practice israeliane - dell'edizione 2018 della Conferenza dell'Himms (Healthcare Information and Management Systems Society) che ha riunito a Las Vegas, dal 5 al 9 marzo scorso, circa 40.000 operatori sanitari, tra cui esperti IT, medici, dirigenti sanitari e aziende del comparto. "Per oltre 25 anni il sistema sanitario israeliano ha implementato l'Information Technology della salute, le cartelle cliniche elettroniche e l'analisi aziendale - si legge sul sito italiano Israeletrade.it - Israele è dunque uno dei principali destinatari dell'innovazione della salute digitale e può essere considerata una Digital Health Nation".

(Shalom, maggio-giugno 2018)


L'Università di Torino contro l'evento "Ebrei italiani, fascismo e sionismo"

L'Ateneo precisa: "Tale iniziativa costituisce un seminario autogestito. Ospitandolo si contravverrebbe quanto meno allo statuto deontologico dell'UniTo"

di Federico Callegaro

TORINO - Presa di posizione più forte da parte dell'Università degli Studi contro l'evento organizzato oggi, 20 giugno, da alcuni collettivi. Il titolo dell'iniziativa era «Ebrei italiani, fascismo e sionismo» . L'Ateneo spiega in una nota: «L'Università di Torino, in riferimento all'evento 'Ebrei italiani, fascismo e sionismo', annunciato da ignoti con affissione di volantini (nel frattempo rimossi) e previsto per oggi mercoledì 20 giugno nella Lunch room del Campus Luigi Einaudi, precisa che tale iniziativa costituisce un seminario autogestito, e non può essere ad alcun titolo annoverata tra gli eventi istituzionali promossi dall'Ateneo. L'Università non ha ricevuto alcuna richiesta da parte degli organizzatori e non ha autorizzato né lo svolgimento dell'evento, né la concessione dello spazio che verrà interdetto».
   Ad aver spinto l'Ateneo a prendere posizione netta è stata la lettera che il professore Ugo Volli ha invitato ai direttori dei vari dipartimenti: «Qui non si tratta nemmeno di aver pareri differenti su un tema ma di un incontro che ha per tema gli 'ebrei' - afferma Volli -. Ospitandolo si contravverrebbe quanto meno allo statuto deontologico dell'Unito».
   
(La Stampa - Torino, 20 giugno 2018)


Splendore notturno nel cuore di Siena: apertura straordinaria della Sinagoga

Per Arcobaleno d'Estate, sabato 23 giugno, visita guidata alle 22.15

La Sinagoga di Siena, vista dal matroneo
È un'apertura veramente eccezionale quella che la Sinagoga di Siena regala in occasione di Toscana Arcobaleno d'Estate sabato 23 giugno. Dopo il tramonto sarà infatti possibile partecipare (ore 22.15) a una speciale visita guidata al Tempio di vicolo delle Scotte, a due passi da piazza del Campo, e scoprire le vicende e il vissuto di questo spazio che oppone a una facciata esterna, volutamente anonima, un interno ricco d'arte e di storia. Inaugurata nel 1786, su progetto di Giuseppe del Rosso come ampliamento di un più antico luogo di preghiera, la Sinagoga è uno dei pochi esempi di architettura tra Rococò e Neoclassicismo della zona. Al suo interno conserva argenti e paramenti rituali di grande valore, oltre alla sedia di Elia o sedia per la circoncisione, finemente intarsiata con versetti in ebraico e realizzata nella seconda metà del XIX secolo da artisti legati alla scuola del Purismo senese. L'appuntamento "Splendore notturno nel cuore di Siena" si inserisce nel cartellone di eventi Toscana Arcobaleno d'estate pensato per festeggiare l' arrivo dell' estate con iniziative particolari.

(Siena Free, 20 giugno 2018)


Quel cabaret antisemita

Da Oslo a Parigi, è l'ora dei rapper islamisti che eccitano gli "esclusi"

di Redazione

Un rapper norvegese assunto dalla città di Oslo per cantare a un evento destinato a celebrare la "diversità" ha maledetto "gli ebrei fottuti" durante la sua esibizione. Si tratta di Kaveh Kholardi, che dopo aver augurato ai musulmani "Eid Mubarak", il tipico saluto in arabo per la festa di Eid al Fitr che venerdì scorso ha segnato la fine del Ramadan, Kholardi ha chiesto se ci fossero dei cristiani nel pubblico, sorridendo dopo aver sentito gli applausi. Poi ha chiesto se ci fossero anche degli ebrei, aggiungendo: "Fottuti ebrei". Non è il primo caso. I rapper Kollegah e Farid Bang hanno vinto il premio per il miglior album agli Echo Awards, gli oscar della musica in Germania. Nato a Friedberg, in Assia, il primo, a Melilla, enclave spagnola in territorio marocchino da genitori marocchini il secondo, i due rapper avevano scritto in musica: "Faccio un altro Olocausto, arrivo con la molotov". Polemiche in Francia invece per l'invito rivolto dal Bataclan, il locale parigino teatro del massacro dell'Isis (90 morti), al rapper Médine, musulmano, figlio di immigrati algerini, che canta "siano crocifissi i laici sul Golgota" oppure intitola una canzone "Jihad".
   Questi rapper sono usciti dal ventre molle dell'ideologia islamista antisemita e antieuropea. Ne fa parte anche il più celebre Dieudonné M'bala M'bala, Questi rapper e intrattenitori sono degli "islamo-progressisti'', beneficiano di un enorme capitale di simpatia da parte dei multiculturalisti e le loro offese sono tutto sommato liquidate come una boutade, un gesto di cattivo gusto. Al pubblico di sinistra, gettano in pasto il discorso sullo schiavismo bianco, l'antiamericanismo e il colonialismo, dunque il vecchio senso di colpa occidentale; nei giovani eccitano il risentimento delle periferie, degli esclusi, dei paria verso il centro e il potere; e nei musulmani scaldano il turpiloquio antiebraico. E' la guerra del povero contro il ricco, dell'immigrato contro il nativo, di tutti contro Israele. E' un orrendo cabaret che fa ormai il tutto esaurito.

(Il Foglio, 20 giugno 2018)


Sfida uomo-macchina senza precedenti: il Project Debater di Ibm tiene banco senza colpo ferire

L'esperimento condotto presso il Watson Center dell'azienda ha visto in campo l'israeliano Noa Ovadia in un confronto one-to-one con la "creatura" basata sull'intelligenza artificiale. 10 minuti a testa per confrontarsi su tesi e teorie relative alla possibilità di sovvenzionare l'esplorazione spaziale.

di Giorgia Pacino

Altro che i soliti comandi da eseguire. L'intelligenza artificiale è ora in grado di confrontarsi con il suo interlocutore, dibattere di temi complessi e portare argomentazioni a sostegno di ciò che dice.
   Lo dimostra l'esperimento condotto all'Ibm Watson Center di San Francisco. Un campione di dibattiti in carne e ossa, l'israeliano Noa Ovadia, si è confrontato con il sistema di intelligenza artificiale Ibm Project Debater a suon di dichiarazioni, confutazioni e conclusioni. I due si sono sfidati a partire dall'enunciato "Dobbiamo sovvenzionare l'esplorazione spaziale". Quattro minuti per sostenere la propria tesi, quattro per controbattere all'avversario, due per una sintesi finale. Al termine dei due interventi, è stato condotto un sondaggio istantaneo tra il pubblico. Ebbene, secondo la maggioranza degli ascoltatori Project Debater ha dimostrato di possedere elementi di conoscenza rilevanti sul tema.
   Project Debater è infatti in grado di immagazzinare una mole elevata di informazioni, di costruire un discorso ben strutturato su un tema, di ascoltare il suo interlocutore e di replicare alle obiezioni senza seguire un copione prestabilito. Non a caso è stato messo alla prova anche su un tema su cui non era stato istruito in precedenza: nel secondo dibattito ha sfidato l'esperto Dan Zafrir sulla dichiarazione "Dovremmo aumentare l'uso della telemedicina". Pur non essendo preparato sulla questione, è riuscito comunque ad argomentare le sue tesi.

(CorCom, 20 giugno 2018)


Netanyahu dal re giordano con il piano di pace Usa

di Giordano Stabile

 
Benjamin Netanyahu e Re Abdallah di Giordania
Il primo incontro ufficiale fra Benjamin Netanyahu e Re Abdallah di Giordania dopo quattro anni dà il via a un tour de force diplomatico per aprire la strada al piano di pace americano per il Medio Oriente, «l'accordo del secolo» nelle ambizioni di Donald Trump. Al summit di lunedì sera è seguito subito, ieri pomeriggio, l'incontro del sovrano giordano con l'inviato speciale della Casa Bianca Jason Greenblatt e il consigliere, nonché genero del presidente, Jared Kushner. Re Abdallah ha un ruolo decisivo in questa difficilissima partita. Il re hashemita, discendente diretto del Profeta, è il «protettore» dei luoghi santi musulmani di Gerusalemme. Netanyahu ha ribadito il suo impegno «a mantenere lo status quo» per quanto riguarda la Spianata delle moschee, Monte del Tempio per gli ebrei, dove sorgono la moschea di Al-Aqsa e la Cupola della Roccia. Rimarranno cioè sotto il controllo amministrativo di una fondazione religiosa, Waqf, che fa a capo alla Giordania.
  È un punto imprescindibile per Abdallah. Il sovrano è alle prese con una crisi economica che ha portato alle più imponenti proteste di piazza dal 2011. Dopo un vertice di urgenza alla Mecca, il 10 giugno, ha incassato la promessa di aiuti per 2,5 miliardi da parte di sauditi ed emiratini e in cambio ha accentuato i toni anti-Iran. Perché, oltre che sulla questione palestinese, a Israele e agli alleati del Golfo preme mantenere l'allineamento della Giordania contro il fronte sciita, incrinato dopo l'incontro fra lo stesso Abdallah e il presidente iraniano Hassan Rohani a Istanbul. Netanyahu non a caso era accompagnato dal capo del Mossad Yossi Cohen e dal consigliere militare Eliezer Toledano. Fra i punti in discussione c'era anche l'apertura dello spazio aereo giordano ai jet israeliani che compiono raid contro le milizie filoiraniane in Siria.
  L'ultimo summit ufficiale Netanyahu-Re Abdallah si era tenuto nel 2014, ma i due leader si erano visti in segreto ad Aqaba nel 2016, durante il tentativo di mediazione dell'ex segretario di Stato John Kerry. Ora la mediazione è nelle mani di Kushner e Greenblatt. Dopo Amman faranno tappa in Egitto, Qatar e Arabia Saudita. L'obiettivo è presentare il piano di pace alla fine del tour ma le distanze fra Israele e i palestinesi sono abissali.

 Offerta e controfferta
  Secondo indiscrezioni di Al-Fatah e media arabi, il piano offre ai palestinesi soltanto metà Cisgiordania e Gaza, cioè «l'11 per cento della Palestina storica». Abu Mazen ha fatto una controfferta per «uno scambio di territori», lungo la linea del 1967, che porterebbe alla cessione a Israele «del 6,5 per cento della Cisgiordania», ma non certo della metà.

(La Stampa, 20 giugno 2018)


Gaza, nuovi lanci di razzi palestinesi e raid israeliani nella notte

GERUSALEMME - Nuovi lanci razzi palestinesi contro Israele e raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza sono avvenuti nella notte tra martedì 19 e mercoledì 20 giugno. Secondo il quotidiano "Jerusalem Post", almeno 45 razzi e colpi di mortaio sono stati lanciati verso il territorio israeliano e almeno tre proiettili hanno colpito alcuni insediamenti meridionali, senza causare vittime ma solo danni a edifici e veicoli. Il sito web informativo "Walla!" riferisce che un razzo è caduto vicino a un asilo nella sede del Consiglio regionale di Eshkol. Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno annunciato che il sistema di difesa Iron Dome ha intercettato sette razzi, mente tre sono caduti all'interno della Striscia di Gaza. L'aeronautica israeliana ha risposto colpendo 25 obiettivi del gruppo islamista palestinese Hamas. L'escalation della tensione, spiega il "Jerusalem Post", è iniziata dopo che i jet israeliani hanno bombardato ieri alcuni obiettivi in una base di Hamas a sud di Gaza, in risposta all'impiego di "aquiloni-bomba" lanciati dai palestinesi verso il territorio israeliano da almeno 15 postazioni diverse durante la giornata di martedì, 19 giugno.

(Agenzia Nova, 20 giugno 2018)


Trump silura il comitato Onu anti-lsraele

La decisione di Trump è annunciata dall'ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite Nikki Haley
Gli Stati Uniti hanno annunciato il loro ritiro dal Consiglio Onu per i diritti umani, accusandolo di pregiudizio nei confronti di Israele. L'ambasciatrice statunitense Nikki Haley ha dato la notizia ieri notte in una conferenza stampa con il segretario di stato Mike Pompeo a Washington. La stessa Haley ha ripetutamente minacciato di dimettersi dall'organismo con sede a Ginevra, istituito nel 2006 per promuovere e proteggere i diritti umani in tutto il mondo.
   La decisione, nell'aria da diverso tempo, è accompagnata dall'accusa di ipocrisia rivolta a un organismo che l'amministrazione Trump definisce pervaso da un pregiudizio verso Israele.
   Nikki Haley ha criticato più volte il Consiglio per il trattamento riservato a Israele. «Quando questo organo approva più di 70 risoluzioni contro Israele, un Paese con una forte posizione sui diritti umani, e solo sette risoluzioni contro l'Iran, che invece ha una pessima reputazione in materia, sai che qualcosa è profondamente sbagliato».
   Il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric ieri pomeriggio si era rifiutato di commentare prima di ricevere un annuncio formale: «Aspetteremo di sentire i dettagli di quella decisione prima di commentare pienamente», aveva aggiunto.

(Libero, 20 giugno 2018)


Israele, caccia agli aquiloni incendiari

A fuoco un parco naturale. Il vicepremier Bennet annuncia la tolleranza zero verso i palestinesi responsabili.

di Francesca Musacchio

Danni all'agricoltura per circa 2.5 milioni di dollari, circa 2250 acri di terreni e foreste andati in fiamme e decine di incendi ancora da domare. Tre mesi dopo il primo aquilone incendiario, dalla Striscia di Gaza sono ripartiti i lanci verso Israele. Una situazione che sta creando notevoli problemi, anche se al momento non si registrano morti e feriti. Tra gli incendi più gravi, quello divampato nel parco naturale di Or Ha-Ner che ha distrutto 25 ettari di boscaglia.
   Gli aquiloni incendiari, che negli ambienti palestinesi vengono definiti ironicamente «la nuova generazione di Fl6», sono di dimensioni variabili, addobbati con stracci incendiari in fiamme e tizzoni ardenti e fatti volare come «stelle comete».
   «Anche se provocano danni ai terreni che ci sono stati tolti con la forza dagli israeliani, gli aquiloni sono ancora un simbolo di pace e libertà. Non fanno male a nessuno di proposito, non è il nostro obiettivo», riferisce a Middle east eye il 25enne palestinese Abed Marwan.
   «Gli aquiloni incendiari ed i palloni esplosivi non sono un gioco da ragazzi - ha dichiarato il vicepremier Naftali Bennett - Sono armi micidiali che mirano ad uccidere i nostri bambini. È un'altra forma del terrorismo assassino di Hamas. Per cui occorre riferirsi ai palloni esplosivi e agli aquiloni incendiari come se fossero razzi: dobbiamo smettere di limitarci a spari di avvertimento e dobbiamo piuttosto centrare l'obiettivo». L'Esercito israeliano, nel tentativo di ridurre il lancio, ha intercettato alcuni aquiloni servendosi dei droni armati in dotazione, con cui ha distrutto anche alcune abitazioni dalle quali gli aquiloni sarebbero partiti, uccidendo anche un uomo palestinese, il 24enne Sabri Abu Khader, vicino al confine.
   Oltre agli aquiloni, da Gaza partirebbero anche palloncini e preservativi esplosivi. La settimana scorsa Israele ha annunciato la limitazione dell'ingresso di elio nell'enclave costiera gestita da Hamas, utilizzata per varie ragioni mediche, tra cui le macchine per la risonanza magnetica.
   Secondo Tel Aviv, infatti, i palestinesi hanno usato l'elio per riempire palloni incendiari al fine di aumentare la distanza che potevano percorrere. Ma la limitazione dell'elio nella Striscia di Gaza non è stata sufficiente e altri palloni esplosivi continuano a volare su Israele.

(Il Tempo, 20 giugno 2018)


In favore di Hamas. L'Onu e l'Europa sempre contro Israele

Ancora una volta l'Onu si schiera contro Israele accusandola, in pratica, di eccesso di legittima difesa perché per difendere i propri confini ha usato la forza innanzi a folle inferocite, aizzate da Hamas, pronte a compiere qualsiasi gesto pur di colpire i cittadini israeliani. Ammesso e non concesso che le nazioni arabe possano appoggiare tale teoria, quello che meraviglia maggiormente è che anche l'Europa si sia schierata con esse quando, con finita ipocrisia, spesso condanna l' antisemitismo.
Armando Vidor Loano (Savona)

(il Giornale, 20 giugno 2018)


Il grande coraggio delle donne di Israele

Nella cornice di Ebraica, festival internazionale di cultura, che si terrà a Roma dal 23 al 27 giugno, l'evento di apertura sarà la mostra "Donne straordinarie. 1948 Nascita di una Nazione", promossa dalla Comunità Ebraica di Roma in collaborazione con CDEC e ADEI-WIZO-sezione di Milano nell'ambito di Ebraica-Festival Internazionale di Cultura e curata da Marco Panella, Ariela Piattelli e Raffaella Spizzichino. L'esposizione illustra per immagini la partecipazione delle donne alla nascita, alla crescita, e allo sviluppo dello Stato d'Israele. Un contributo che ha radici lontane, sin dai primi vagiti del nascente Stato. Nell'Israele pre-statale, infatti, le donne hanno già un ruolo di primo piano, e contribuiscono alla vita sociale e politica del luogo. L'esposizione racconta, dunque, attraverso un percorso fotografico, le diverse storie di figure femminili, tra cui gli esempi più illustri che hanno rivestito incarichi e ruoli importanti a livello politico, culturale e sociale, come il Primo Ministro Golda Meir, la grande biblista Nechama Leibowitz, e Rebecca Sieff, fondatrice della "Women's International Zionist Organization (WIZO )". Ma soprattutto, con queste immagini, si rende omaggio ai volti comuni di questa storia avvincente, persone che con coraggio hanno colto la sfida e combattuto per creare un "nuovo mondo" in cui poter vivere, crescendo bambini, lavorando nei campi, accudendo una Madre Terra che diviene figlia di tutte queste donne straordinarie, perché anche loro, da protagoniste, hanno contributo a fare di lsraele la Nazione che è oggi. Il Festival da diverse edizioni guarda al futuro come territorio della conoscenza, osserva ed esplora i linguaggi dell'innovazione e del cambiamento cercando di interpretarne la portata rispetto alla dimensione del vivere quotidiano e lancia una riflessione sul significato del tempo.

(il Romanista, 20 giugno 2018)


Insultava un ebreo, denunciato lo stalker antisemita

MILANO - Al trotto, la sua seconda casa, i suoi capelli lunghi e la barba folta gli erano valsi il nomignolo di «Gesù». Ma non c'era nulla di cristiano negli insulti e nelle provocazioni di cui aveva fatto bersaglio un ebreo ortodosso, molto conosciuto nella comunità. Tre episodi, a distanza ravvicinata, tra corso Vercelli e piazza Piemonte: un braccio teso, un «ebreo di m ... » gridato a piena voce in mezzo alla strada, e poi «Giovinezza», canto fascista intonato a mo' di provocazione. Troppo per la sopportazione dell'uomo, che il 30 maggio scorso aveva denunciato lo sconosciuto fascistoide per stalking, non prima di aver ricevuto attestati di solidarietà e sconcerto nella comunità. Gli investigatori della Digos sono partiti dalla strada, dalle testimonianze dei commercianti di corso Vercelli. Che quella faccia particolare l'avevano vista da un pezzo. Qualcuno lo ha localizzato in zona ippodromo, alludendo al suo vizio per i cavalli e per le scommesse. E lì, in via Lampugnano, lo scorso 15 giugno, i poliziotti lo hanno pizzicato e denunciato a piede libero. «Gesù», al secolo Bruno H., 73enne con problemi di alcol già in carcere negli anni Ottanta per ricettazione e con altri precedenti per truffa e bancarotta fraudolenta ma non per reati politici, ha ammesso tutto, anche se ha provato a minimizzare le fascisterie.

(la Repubblica, 20 giugno 2018)


David Meghnagi: "La minaccia del nuovo antisemitismo è nell'odio contro Israele"

di Ilaria Myr

 
David Meghnagi
«Siamo di fronte a una nuova variante dell'antisemitismo. Un antisemitismo politico che ha come sfondo la demonizzazione di Israele, trasformato in Stato paria, messo in discussione nei suoi fondamenti e nel suo diritto di esistere. Nel nuovo antisemitismo, le proiezioni demoniache che un tempo erano rivolte contro gli ebrei come individui, e come collettività, sono oggi proiettate sullo "Stato degli ebrei", che diventa "l'Ebreo" degli Stati. Uno Stato che non è giudicato per quello che fa, ma per il fatto di essere». Sono parole amareggiate quelle di David Meghnagi, psicanalista, docente universitario e assessore alla cultura dell'Ucei, che da anni segue con preoccupazione l'evoluzione dell'odio antiebraico in Europa e che approfondirà questo tema di grande attualità mercoledì 27 giugno al Teatro Franco Parenti di Milano, nell'ambito di alcuni appuntamenti con Claudio Martelli sul tema "La resistibile ascesa del nazionalpopulismo".
  «Uno degli aspetti più preoccupanti del nuovo antisemitismo è il ritardo con cui viene affrontato dalla cultura democratica, che ha elaborato degli strumenti per combatterlo nelle sue versioni più vecchie, ma è terribilmente in ritardo nell'affrontare la sua attuale versione - spiega a Mosaico -. Nelle settimane precedenti il conflitto del giugno 1967, il mondo tremò per il futuro di Israele. Un piccolo paese, accerchiato da ogni parte. Le piazze del mondo arabo, inneggianti alla sua distruzione. Per non parlare dei pogrom contro le minoranze ebraiche indifese. Gli ebrei tremarono e Il mondo si commosse all'idea che il piccolo David sopravvissuto alla catastrofe della Shoah, potesse essere annientato, nel rifugio che si era dato. Uscito vittorioso da una guerra provocata dalla folle scelta di Nasser di chiudere lo stretto di Tiran e di espellere i soldati delle Nazioni Unite che vigilavano sui confini dell'armistizio del '48-49, Israele vide capovolgersi nel giro di pochi anni l'immagine positiva della rinascita e del riscatto, che tanti giovani aveva fatto sognare negli anni cinquanta e sessanta, in quella opposta di uno "Stato oppressore".
  La nuova narrativa non avviene nel vuoto. È il frutto di una costruzione politica, che avviene per fasi ed è il frutto di un'alleanza fra il movimento comunista internazionale, il movimento terzomondista e quello panarabo. Nella logica delle rappresentazioni, che si andranno imponendo e faranno da sfondo al nuovo antisemitismo, Israele è uno stato "artificialmente creato" per "dominare" i popoli della regione. Il salto si ha dopo la guerra del Kippur. L'ascesa degli stati petroliferi, il loro ingresso nella scena internazionale come potenze finanziarie, detentrici della più importante materia prima per il funzionamento delle economie occidentali, cambia per intero il quadro. Nel gioco delle rappresentazioni delle immagini, Israele diventa il capro espiatorio di una perversa logica di scambi simbolici, in cui l'Europa può liberarsi dal fardello delle sue colpe coloniali, mentre i regimi arabi autoritari possono presentarsi come "anticoloniali" e "antimperialisti". In questa nuova alleanza che ha come sfondo per l'Europa la necessità di rifornirsi di petrolio, le colpe del colonialismo "diventano" le "colpe" di Israele, mentre il mondo arabo può ripresentarsi come immacolato, indipendentemente dal fatto che le minoranze sono perseguitate, la ricchezza è concentrata in poche mani e a dominare sono le dittature militari».

 Le migrazioni importano l'odio antiebraico musulmano
  Il quadro si complica ulteriormente con le grandi ondate migratorie che portano in Europa una massiccia presenza di musulmani, e con essi l'ostilità antiebraica del mondo arabo, evidente in molti episodi antisemiti degli ultimi anni. «Il risultato di questo mix esplosivo è lo scenario in cui stiamo vivendo: Israele viene sempre presentato come Stato criminale che attacca ingiustamente il povero popolo palestinese - e non, invece, come una nazione sotto un'offensiva politica e militare dell'organizzazione terroristica Hamas. Nei media va affermandosi in modo trasversale una narrazione falsa della Storia, in cui la nascita di Israele sarebbe il risultato di un'invasione in cui dal nulla un popolo estraneo alla regione, ne caccia uno che è "nativo" e "originario", altro, e che il conflitto arabo israeliano del '48 fu ordito per espellere la popolazione araba, omettendo volutamente che fu il mondo arabo a rifiutare la proposta dell'Onu di spartizione del territorio del Mandato britannico in due Stati per due nazioni che avrebbero dovuto vivere in pace; che Israele accettò il piano di spartizione e furono gli Stati della Lega araba ad attaccare per distruggerlo. Nel corso della guerra del 1948-49, Israele perse l'uno per cento della sua popolazione, una percentuale pari ai morti italiani nel corso della Prima guerra mondiale. Nel decennio precedente c'erano state le leggi razziste in Europa, il Libro Bianco con cui si bloccava l'immigrazione ebraica nell'unico paese al mondo dove gli ebrei braccati in ogni luogo non sarebbero stati respinti alla frontiera e poi la Shoah…. In un sussulto di vita, in cui a dominare è stata la speranza e la visione di un futuro possibile, Israele ha creato una vibrante democrazia».

 Il silenzio sul grande esodo degli ebrei dai Paesi arabi
  A questo si aggiunga il totale silenzio che regna sull'esodo silenzioso di 850.000 ebrei fuggiti fra il '48 e il '58, dai Paesi arabi. Per non parlare dei pogrom. «La maggioranza degli ebrei fuggiti dal mondo arabo, ricostruì la sua esistenza spezzata in Israele. Sublimando il dolore, trasformarono la fuga in esodo, la vita nei campi di raccolta in una nuova rinascita. L'esodo degli ebrei dal mondo arabo fu un esodo silenzioso, la fuga invisibile. A differenza di profughi palestinesi, non erano parte del conflitto scatenato dagli eserciti arabi per impedire la nascita di Israele. Gli ebrei del mondo arabo erano delle minoranze oppresse. Erano ostaggi in un conflitto cui non avevano partecipato, che si svolgeva a centinaia e migliaia di kilometri di distanza». Dall'altra parte, invece, c'è il mondo arabo, che ha per decenni impedito qualunque soluzione che non fosse la fine di Israele, rendendo il dramma dei profughi irrisolvibile, facendoli diventare profughi per "sempre", e creando una situazione esplosiva e ingovernabile.
  «La delegittimazione morale di Israele, cui assistiamo - spiega Meghnagi -, alimenta l'odio antiebraico, perché il mito di Israele come Stato che ha trasformato le vittime in carnefici è alla base del nuovo antisemitismo. Non è in discussione il diritto dovere alla critica di questo o quel governo politico in Israele, come in ogni altro luogo nel mondo. Non è in discussione la necessità di trovare una composizione politica, di conflitti che si trascinano da decenni, e che hanno molteplici sfaccettature. Il diritto alla critica è il sale della democrazia. Come il sentimento della pietas è a fondamento della convivenza umana. Il fatto di doverlo ripetere ogni volta che si parla del conflitto arabo israeliano, è l'indice di qualcosa che non funziona. Abbiamo bisogno in primo luogo di curare le parole malate. Le guerre nella regione, l'offensiva dell'Iran e la sua corsa al nucleare, che potrebbe essere imitata da altre potenze della regione. Proviamo a immaginare che cosa diventerebbe il Vicino Oriente se dopo l'Iran, provassero a dotarsi di armamenti nucleari, la Turchia, l'Araba Saudita e poi l'Egitto… Uno scenario da incubo che va affrontato con fermezza, evitando derive, misurando e curando le parole».
  Come dunque uscire da questa drammatica impasse? «Innanzitutto riconducendo il dibattito sul conflitto mediorientale alle sue vere origini storiche - dice lo studioso -, e soprattutto guarendo le parole 'malate' usate in questo contesto: una necessità, questa, imprescindibile, tanto più di fronte agli attuali sviluppi"».

(Bet Magazine Mosaico, 19 giugno 2018)


Gaza: l'Egitto prolunga di due mesi l'apertura di Rafah

Dopo lo sblocco record per il Ramadan

IL CAIRO - L'Egitto ha deciso un prolungamento di due mesi dell'apertura del valico di Rafah, già aperto per oltre un mese in occasione del Ramadan. Lo riferisce una fonte del passaggio di frontiera con la Striscia di Gaza.
   L'apertura in occasione del mese del digiuno islamico, terminato la settimana scorsa, è stato il più lungo periodo di transito ininterrotto al valico dal 2013. Le precedenti aperture, consentite da allora ogni due o tre mesi, erano state infatti solo di pochi giorni.
   Secondo la fonte, in linea con vari media, è stato deciso che l'apertura venga prolungata fino all' Eid al-adha, la ''festa del sacrificio'' che quest'anno inizia tra il 21 e 22 agosto.
   Il valico è il principale collegamento tra la Striscia di Gaza e il mondo esterno e l'unico non controllato da soldati israeliani, oltre che un termometro dei rapporti fra il Cairo e Hamas, al potere nella striscia. Ogni giorno stanno transitando per il valico, nei due sensi, tra i 400 e i 600 palestinesi, ha riferito ancora la fonte.
   L'apertura solo col contagocce del valico era stata decisa dall'Egitto per contrastare infiltrazioni terroristiche provenienti da Gaza e dirette al Sinai dove e' in corso dal 2013 una guerra a bassa intensità che le forze armate egiziane sembrano ormai sul punto di vincere contro la branca egiziana dello Stato islamico.
   La situazione si è creata dopo che l'attuale presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi - allora comandante in capo delle Forze armate egiziane - nell'estate 2013 aveva guidato un rivolta popolar-militare contro i Fratelli musulmani, da una cui costola e' nato il movimento di Hamas che controlla la Striscia.
   La Confraternita era andata al potere in Egitto con le elezioni del 2012 ma era stata cacciata l'anno dopo. Il blocco egitto-israeliano di Gaza era cominciato con l'avvento di Hamas nel 2007.

(ANSAmed, 19 giugno 2018)


"Ebrei in America". Balagan Cafè nel segno di Leonard Bernstein e Philip Roth

Philip Roth
FIRENZE - Una serata all'insegna del ricordo e della celebrazione di grandi personaggi ebrei dalla musica alla letteratura. E' quella in programma giovedì 21 giugno in Sinagoga a Firenze, nell'ambito di un nuovo appuntamento con il "Balagan Cafè", la rassegna cultural-gastronomica organizzata dalla Comunità ebraica di Firenze in collaborazione con Comune di Firenze e Regione Toscana.
  Conversando con Elèna Mortara Di Veroli "Ebrei in America: 100 anni di Leonard Bernstein e l'inizio dell'assenza di Philip Roth" è il titolo della serata che si aprirà con l'incontro con Elèna Mortara Di Veroli, studiosa e docente di letteratura americana all'Università di Roma. Alle 20,30 l'assessore alla cultura della Comunità Ebraica di Firenze Laura Forti dialogherà con la docente a partire dalla recente scomparsa di Philip Roth di cui Mortara Di Veroli ha curato il primo Meridiano Mondadori a lui dedicato con l'obiettivo di presentare l'opera di Roth alle nuove generazioni, offrendo informazioni preziose e inedite anche a chi di Roth è già lettore appassionato.
  A seguire (ore 21,30) il concerto di Faye Nepon (voce) e Marco Rapetti (pianoforte) dedicato a "Musical e i compositori ebrei americani" a 100 anni dalla nascita di Leonard Bernstein e a 75 dal debutto di "Oklahoma", musical di Rodgers e Hammerstein. La cantante americana propone un vasto repertorio vocale che include oltre al jazz, al musical americano e alla canzone italiana, le multiformi espressioni del canto ebraico, da quello ashkenazita, sefardita e italiana alla più giovane musica ebraica israeliana e statunitense. Incontro e concerto sono ad ingresso gratuito.
  Apericena e visite in Sinagoga Come da tradizione a precedere incontro e concerto è l'apericena che in quest'occasione sarà "Ameryiddish", un mix tra prelibatezze della cucina ebraica e americana preparate da Ruth's Kosher Restaurant (ore 19,30 - offerta consigliata 10 euro). Durante la serata sarà possibile effettuare visite guidate in Sinagoga alle ore 20,45 (costo 6,50 euro). La serata è realizzata con i fondi 8xmille dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane. Programma completo e info su www.balagancafe.it www.firenzebraica.it www.jewishtuscany.it
  Informazioni e prenotazioni sinagoga.firenze@coopculture.it, 55 2346654 o 055 2466089.

(agenziaimpress.it, 19 giugno 2018)


Sul confine con Gaza Israele difende la sua esistenza

È inaccettabile che si chieda allo Stato ebraico di non reagire ai tentativi di invasione di centinaia di terroristi che si nascondono dietro donne e bambini. Non sono manifestazioni pacifiche ma operazioni pianificate per portare la violenza e il terrore.

di Fiamma Nirenstein

In tanti anni di guerra su Israele, in verità raramente mi sono trovata così innervosita dall'atteggiamento dei media e dei politici europei, come nella reazione delle prime pagine, sul trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme e sulla cosiddetta "strage" o meglio "massacro" di palestinesi sul confine di Gaza.
   Intanto, cos'è una strage? O perfino un "massacro'" legato a un "genocidio" come ha detto quell'inqualificabile dittatore turco che è Tayyp Erdogan? "Un massacro è una situazione" ha scritto il giornalista Ron Ben Yshai, Premio Israele "in cui le vittime inermi sono completamente alla mercè della parte più forte, che li uccide approfittando della loro impossibilità di cambiare il loro fato". Tutto il contrario di quello che è successo: qui le vittime sono state spedite all'assalto del confine dall'organizzazione terrorista Hamas, organizzate, spesso con pagamenti in denaro o con ordini di squadra, o con un desiderio islamista di martirio, con lo scopo di uccidere i nemici israeliani dopo averne sfondato il confine nazionale con la violenza, e con gruppi armati al centro dello scontro. 24 dei 50 uccisi erano guerrieri di Hamas. Ma i giornali di tutto il mondo, quanto banalmente e con volontaria ignoranza, hanno adorato ironizzare, sanzionare, lacrimare sulla doppia immagine da una parte di Ivanka Trump che elegante e felice svelava la targa nella nuova dell'ambasciata a Gerusalemme nel quartiere di Arnona, e dall'altra la grande battaglia spontanea, le donne, i bambini che nella lotta per la loro terra e nella fame indotta da Israele (che dal 2007, ritiratasi completamente da Gaza, ha solo cercato di seguitare a dare aiuto umanitario contenendo tuttavia il terrorismo assassino che promana dalla Striscia) marciavano in una manifestazione civile, esprimendo pacificamente il loro dissenso verso Israele per una politica che li discrimina, e anche verso Trump per aver deciso di trasportare l'ambasciata a Gerusalemme. Un sacco di bugie, una facile equazione di immagini che non c'entrano nulla l'una con l'altra, un volontario fraintendimento delle intenzioni di un'organizzazione che opprime la sua popolazione fino a farla morire di fame per la sua scelta bellicistica che ha impedito qualsiasi sviluppo e anche qualsiasi investimento da ogni parte, anche da parte europea. Chi va a investire a Gaza, nelle mani di Ismail Hanje e di Sinwar? La garanzia è che gli investimenti finiscano in missili e mitra, in allenamenti militari e in educazione all'uso della violenza. E che niente vada in tecnologia, case, cibo, acqua, ospedali... Persino Abu Mazen ha smesso di finanziare Gaza temendo che Hamas usi i suoi soldi contro di lui.
   La scelta dell'ambasciata a Gerusalemme, senza ora entrare di nuovo nei particolari, è una scelta storica e di verità che conferisce al popolo ebraico il riconoscimento al medesimo diritto che hanno tutti i popoli, quello a designare la loro capitale. Il che, per altro, era già avvenuto dalla fondazione dello Stato e, nel cuore del mondo ebraico, da sempre, anche nella diaspora. La scelta di Donald Trump restituisce realtà a una contesa che oggi è disegnata sullo status quo e domani potrebbe voler dire chissà quale arrangiamento in città fra le due parti: questo Trump l'ha detto, auspicando possibili future trattative, anzi, spingendole. Intanto, la capitale, dove si trova la Knesset, il Governo, la Corte Suprema, la storia intera da David in avanti, è riconosciuta. E basta.
   Ma Hamas non ha mandato quarantamila persone a sfondare il confine per questo: la sua battaglia è esistenziale, già il 30 marzo altri morti avevano punteggiato i soliti scontri, la solita guerra contro gli ebrei e per prendere la leadership del mondo palestinese, oltre che per ricordare al mondo arabo di sostenere Hamas e per riaffermare la propria natura islamista belligerante punteggiata di Shahid e ricordare all'Occidente che essi devono essere tradotti nella ideologia corrente in "combattenti per la libertà".
   È ridicolo ma vero: il Sud Africa, che ha protestato duramente e ritirato l'ambasciatore, ha chiesto a Israele di uscire a Gaza. Peccato che ne sia uscito dieci anni fa, e con quale risultato glorioso! Erdogan accusa Israele di genocidio, mentre elimina sistematicamente i curdi. Gli europei, che sparano ai loro terroristi senza problemi, accusano Israele quando ferma le loro masnade esplicite sul confine.
   I manifestanti erano in buona parte uomini di Hamas che dirigevano la folla armati; un drappello di otto carichi di esplosivo è stato fermato mentre con le cesoie si avvicinava al recinto; i giovani che hanno cercato di sfondarlo avevano in genere bombe molotov, cesoie, coltelli e spesso anche armi da fuoco. Gli altri, bruciando i copertoni che in una specie di nemesi intossicavano anche loro, coprivano in una massa di donne e ragazzini i drappelli di Hamas. Se questi ultimi fossero entrati, avrebbero ucciso, esploso, avrebbero assalito i kibbutz, le auto, i passanti... poteva Israele permetterlo? No di certo. Poteva lasciare che cinquantamila manifestanti si accalcassero e sfondassero il confine? Certo che no.
   Hamas ha avuto una vittoria di carta: ha ottenuto che la carta e i teleschermi si riempissero delle sue immagini e che tutti i corrispondenti stranieri cascassero nella trappola dei morti a fronte della festa dell'ambasciata. Che pacchia! Ma si sa che a sera gli uomini di Hamas dopo le pressioni dell'Egitto e avendo visto che la West Bank non li seguiva, sono andati a ordinare alla gente sul confine di tornare a casa e di restarci anche il giorno dopo. Adesso vedremo. La storia non è finita; non finisce mai, soprattutto quando un'organizzazione come Hamas, che giura di uccidere tutti gli ebrei e di distruggere l'Occidente, mentre tiene il suo popolo in uno stato di fame e di sete, viene esaltata dall'Occidente come un eroe.
   Le reazioni diplomatiche non sono state tuttavia quelle che Hamas sperava: viviamo un'epoca in cui il mondo sunnita tiene più a Israele come alleato contro l'Iran che a Hamas che ne è intimo amico. Ha certo condannato, ma quasi doverosamente, senza enfasi. Per ora, i leader di Hamas stentano a dare un significato e un seguito alla saga di tutti quei morti. La sua leadership è solo feroce, non abile. Solo l'Europa sembra cadere sempre nella sua trappola pseudo umanitaria.

(Shalom, maggio-giugno 2018)


Paul, 80enne in bicicletta sulla strada Berlino-Londra che lo salvò dai nazisti

Era tra i bimbi rifugiati in Regno Unito: ringrazierò il principe. Alexander aveva 19 mesi, la madre lo affidò a una sconosciuta che lo portò in Inghilterra.

di Francesco Giambertone

 
Paul Alexander davanti a una statua commemorativa del "Kindertransport" , vicino alla stazione ferroviaria di Friedrichstrasse a Berlino
A vederli abbracciati nelle loro tutine da bici, caschetti in testa e occhiali da sole, tutti sorridenti per una foto a Friedrichstrasse, potevano sembrare un gruppo di ciclisti qualunque. Invece quei 42 patiti della bicicletta riuniti sotto il cielo della capitale tedesca erano lì per cominciare un viaggio unico nella Storia e nella memoria. Partiti domenica dal cuore di Berlino, pedaleranno per sei giorni e oltre mille chilometri per raggiungere Londra. Non (solo )per il gusto dell'impresa sportiva, ma per il significato di quel viaggio.
   È il viaggio di una vita, quella di Paul. E di altre diecimila. Le vite dei bambini che il «Kìndertransport», il programma di trasporto per minori non accompagnati approvato nel 1938 dal governo Chamberlain, salvò dagli orrori del nazismo facendoli rifugiare in Inghilterra (a spese della comunità ebraica). Tra loro c'era il piccolo Paul Alexander, che oggi - a 79 anni da quella fuga in treno, quand'era poco più che un lattante - percorrerà in bicicletta il viaggio che gli salvò la vita.
   «È la mia risposta a Hitler - racconta al Corriere da Hannover, traguardo della seconda tappa - e un modo per celebrare la mia vita: mi sono sposato, ho lavorato, ho avuto una bella famiglia. Sono stato fortunato». E diventato padre di tre bambini, poi nonno di altri nove. Con lui e altre 39 persone - tutti parenti di quei bambini salvati - ci sono anche un figlio e un nipote, Nadav e Daniel: «Quest'avventura ha anche un valore educativo per loro». Vivono tutti in Israele, dove Paul ha costruito la sua carriera da avvocato. Un'esistenza che il nazismo voleva negare e che un treno, sua madre e un'infermiera sconosciuta resero possibile quasi 80 anni fa.
   L'inferno era arrivato nella Notte dei cristalli, tra il 9 e il 10 novembre del '38: i nazisti deportarono e uccisero centinaia di ebrei tra Germania, Austria e Cecoslovacchia. Suo padre Alfons fu rinchiuso nel campo di concentramento di Buchenwald. Sua madre Eva, che di bambini ne aveva già persi due, entrambi durante il parto, per salvare la vita al piccolo Paul avrebbe fatto qualunque cosa. Si straziò per mesi, poi si decise: a luglio del 1939, quando il bimbo aveva un anno e mezzo, alla stazione di Lipsia lo mise tra le braccia di una volontaria, su un vagone diretto in Inghilterra. «La vera eroina di questa storia è mia mamma: immaginate quanto sia difficile accettare l'idea che potresti non rivedere più tuo figlio», spiega l'ottantenne. Non andò così: little Paul, arrivato nel Regno Unito passando da Berlino, fu affidato alla famiglia del benefattore Harry Jacobs, che lo crebbe per tre anni anche grazie ai fondi del World Jewish Relief, un'associazione di mutuo aiuto della comunità ebraica. Fin quando gli Alexander riuscirono a riunirsi: il padre era stato liberato da Buchenwald, la madre si era finta una ricca nobile per lasciare la Germania a bordo di un treno di prima classe quattro giorni prima che scoppiasse la guerra.
   «Dopo il ricongiungimento ho avuto un'esistenza felice. La devo ai miei genitori e al governo inglese, l'unico che ebbe un'iniziativa del genere». Al telefono, dopo 297 chilometri pedalati in due giorni, oggi Alexander racconta che «è la corsa più tosta che abbia mai fatto, ma sta andando alla grande». Ciclista da sempre, si è allenato duramente per due mesi. «Ho scoperto di questa commemorazione ad aprile dell'anno scorso e ho pensato: la farò, devo farla». Venerdì all'arrivo a Londra troverà tutta la famiglia ad attenderlo. Poi tornerà in Israele, dove vivrà un'altra settimana incredibile. «II principe William verrà in visita di Stato: ha voluto incontrarmi, gli racconterò la mia storia al museo dell'Olocausto di Gerusalemme». In confronto al resto, per Paul sarà una scampagnata.

(Corriere della Sera, 19 giugno 2018)


Spiava per l' arcinemico Iran: arrestato ex ministro israeliano

Gonen Segev, in passato al governo con Rabin e Peres, si è recato anche a Teheran: preso in Guinea Equatoriale. Il suo voto alla Knesset fu decisivo per la ratifica degli accordi di Oslo con i palestinesi.

di Guido Olimpio

Gonen Segev
Ha spiato per il nemico più duro di Israele: l'Iran. Ha mantenuto contatti con agenti iraniani all'estero. Accuse gravi che ne hanno determinato l'arresto in Guinea Equatoriale e l'espulsione verso Israele dove lo hanno messo in cella. È questa la parabola di Gonen Segev, ex ministro israeliano dalla vita spericolata. Troppo spericolata.
   La storia del politico è piena di sorprese, con mosse ad effetto e cadute rovinose. Laureato in Medicina, 62 anni, pediatra, capitano dell'aviazione - ormai congedato -, Segev era entrato nel Parlamento israeliano nel 1992 nelle file del partito Tzomet del famoso Rafi Eitan. Poi si era staccato conquistando una certa notorietà in quanto il suo voto alla Knesset fu decisivo per la ratifica degli accordi di Oslo con i palestinesi. Per un paio di anni ha guidato il dicastero dell'Energia, con premier Rabin e Peres , quindi è tornato alla vita privata e ai suoi affari. Non sempre puliti. Nel 2004 resta impigliato in una vicenda di stupefacenti. E arrestato per aver cercato di contrabbandare dall'Olanda 32 mila pillole di ecstasy: finisce in galera ed esce per buona condotta nel 2007. Impossibilitato a esercitare la professione di medico parte e si trasferisce in Nigeria. E qui che inizia la seconda parte delle sua avventura.
   Attorno al 2012 - secondo quanto rivelato dalla sicurezza interna, lo Shin Bet - bussa alla porta dell'ambasciata iraniana. Il contatto lo porta nelle braccia degli 007 di Teheran che lo arruolano. Lui sosterrà che sono stati gli ex nemici ad agganciarlo con la scusa di acquistare materiale sanitario, una possibilità di lavoro che ne ha aperta una più intrigante. Segev, sempre in base alle accuse, allarga il suo network cercando di carpire informazioni ad altri uomini d'affari israeliani invitati in Africa. Raccoglie dati sul settore energetico, sulla difesa, su personaggi e siti sensibili. Per portare avanti la sua missione si reca almeno un paio di volte in Iran, ha «appuntamenti» con i «gestori» khomeinisti all'estero, usa sistemi di comunicazione criptati. Una talpa a tempo pieno, probabilmente mossa dal desiderio di denaro.
   Alla metà di maggio raggiunge la Guinea Equatoriale, forse per un altro incontro, ma lo stanno aspettando. La polizia locale lo ferma e lo rispedisce a Gerusalemme. Ora sarà interessante capire quanto danno ha provocato: per ovvie ragioni alcune parti del suo dossier sono coperte dal segreto.

(Corriere della Sera, 19 giugno 2018)


Galilea, un antico torchio per vini in una riserva idrica

Acqua e vino per la prima volta insieme: la scoperta, avvenuta nel Parco Nazionale di Tzippori, risale al IV secolo dopo Cristo...

di Salvo Cagnazzo

 Perché se ne parla
 
Parco Nazionale di Tzippori
  Sembra risalire al periodo bizantino quell'antico torchio trovato nello scavo di un serbatoio d'acqua, scoperto due settimane fa nel Parco Nazionale Tzippori, nella regione centrale della Galilea. Gli scavi, guidati dall'Autorità per la Natura e per i Parchi di Israele, si sono svolti in un antico serbatoio d'acqua profondo 3,5 metri, con un soffitto che poggia su cinque archi risalenti al periodo romano. "Questa è la prima volta che abbiamo trovato un torchio per vini in un luogo precedentemente utilizzato come riserva d'acqua. Probabilmente i proprietari dei vigneti hanno pensato che fosse una posizione comoda in quanto vicino alle loro vigne", ha detto al servizio stampa Tazpit il Dr. Zvika Zuk, capo archeologo dell'Autorità per la Natura e i Parchi di Israele. Secondo i ricercatori, il serbatoio d'acqua fu adattato a un torchio nel IV secolo d.C.

 Perché andarci
  Il Parco Nazionale Tzipori, nota nell'antichità anche come Sepphoris e Diocesarea, si trova nella bassa Galilea, a ovest di Nazareth. Questo comprende molti resti dell'antica Tzipori, tra cui bellissimi mosaici, antiche costruzioni e un sistema idrico. Sono tutte tracce archeologiche di epoche diverse: greca, romana, bizantina, crociata, araba e ottomana. Una delle attrazioni più famose è il mosaico di Monnalisa. Ma qui di mosaici se ne contano oltre sessanta, databili tra il III e il VI sec d.C.

 Da non perdere
  Da ammirare anche i mosaici dedicati a Dioniso della grande villa di epoca romana (III secolo d.C.), quelli con motivi floreali e immagini di eroi e divinità che adornavano un edificio pubblico del V secolo d.C. (tra cui proprio quella della Monnalisa), nonché quelli della sinagoga risalente al V-VI secolo d.C, con immagini di personaggi della Bibbia, lo zodiaco, il sacrificio davanti al Tempio di Gerusalemme e scritte in ebraico.
Nel parco archeologico di Zippori sono presenti ,inoltre, un teatro romano della capienza di 4.500 posti, in parte ristrutturato, e la fortezza crociata ricostruita nel XVIII secolo, da dove ammirare il bellissimo paesaggio circostante.

 Perché non andarci
  In Israele atti terroristici ai danni di turisti e pellegrini si sono verificati raramente. Ma si raccomanda comunque di tenere alta l'attenzione e di evitare gli assembramenti.

 Cosa non comprare
  Ceramiche e pietre, oggetti sacri e spezie colorate, prodotti wellness a base dei sali del Mar Morto e libri: trovare un souvenir sbagliato è davvero difficile. Un solo consiglio: quando passate dal centro, se non volete essere assaliti dai venditori ambulanti, quelli che vanno in giro con monili in mano, evitateli.

(Turismo.it, 19 giugno 2018)


Attacco aereo in Siria: accuse su Israele. Messaggio dirompente a Teheran?

Inizialmente attribuito agli Stati Uniti, l'attacco aereo che domenica ha colpito una base di milizie legate all'Iran al confine tra Siria e Iraq oggi viene unanimemente attribuito all'aviazione israeliana

L'attacco aereo che domenica notte ha colpito la base di al-Harra - al confine tra Siria e Iraq - e che ha lasciato sul terreno almeno 50 vittime, attacco del quale inizialmente sono stati accusati gli Stati Uniti, sarebbe stato in realtà effettuato da Israele, almeno secondo l'Iraq, secondo il governo siriano e persino secondo un alto funzionario della Casa Bianca citato dalla CNN.
I fatti
Domenica notte un attacco aereo ha colpito la base siriana di al-Harra, al confine tra Siria e Iraq. Sebbene la base appartenga al Governo siriano sarebbe in realtà gestita dall'Iran e ospita un certo numero di miliziani sciiti iracheni e di militari iraniani. Inizialmente Damasco ha accusato la coalizione a guida americana dell'attacco ma sin da subito da Washington sono arrivare secche smentite. Ieri il dito è stato puntato su Israele che, anche secondo un funzionario americano sentito dalla CNN, avrebbe condotto l'attacco aereo che ha lasciato sul terreno almeno una cinquantina di vittime tra miliziani sciiti iracheni e militari iraniani....

(Rights Reporters, 19 giugno 2018)


«Hamas pronta a colpire Tel Aviv e Gerusalemme»

Une rete del terrore impegnata nell'organizzazione di attentati in Israele è stata scoperta a Nablus, in Cisgiordania, dallo Shin Bet, che ha arrestato una ventina di militanti di Hamas. Si tratta di una cellula terroristica, ha affermato l'intelligence israeliana, «di ampiezza straordinaria». Gli arresti sono avvenuti alla fine di aprile, ma «dagli interrogatori successivi è emerso che la rete voleva piazzare bombe nelle città che si trovano nel centro di Israele e nel nord della Cisgiordania. Nel mirino vi erano, tra gli altri obiettivi, Tel Aviv e Gerusalemme».

(il Giornale, 18 giugno 2018)


Genova - Nuovo volo per Israele

L'aeroporto "Colombo" cresce

Israir, seconda compagnia aerea israeliana e quella in più forte espansione, è la prima a lanciare un volo diretto Tel Aviv-Genova. Quest'anno il vettore opererà un volo settimanale al sabato, utilizzato dai turisti in visita nella città ligure, ma anche dai crocieristi di Msc Crociere, che ha a Genova il suo homeport. «Siamo felici di aprire una nuova rotta che consentirà ai turisti in arrivo da Israele di visitare Genova e i suoi dintorni, ma che renderà anche più semplice il viaggio per i viaggiatori che vorranno scoprire Israele, dove il numero di visitatori italiani è in costante crescita», dichiara Gil Stav, direttore Marketing e vendite di Israir. «La presenza di visitatori israeliani a Genova continua a crescere costantemente - dice Elisa Serafini, assessore comunale al Marketing territoriale -. Negli ultimi mesi abbiamo lavorato con le istituzioni israeliane per sviluppare accordi di collaborazione e partnership culturali: da questo autunno Israele sarà l'ospite d'onore del Festival della Scienza». «Siamo estremamente soddisfatti dell'avvio di questo volo e siamo grati a Israir per avere deciso di investire sul nostro territorio - dice Paolo Odone, presidente dell'Aeroporto di Genova -. Siamo certi che Genova attrarrà sempre più visitatori da Israele».

(la Repubblica - Genova, 18 giugno 2018)


L'apertura dei tifosi sauditi: "Un’amichevole con Israele"

È il Mondiale delle sorprese. Argentina e Brasile che impattano rispettivamente con Islanda e Svizzera. La Germania detentrice del titolo che affonda con il Messico. Ma le sorprese, come spesso accade, arrivano anche fuori dal campo.
   "Una partita amichevole con Israele. Perché no?". Parole che pesano se a pronunciarle sono dei tifosi dell'Arabia Saudita, raggiunti dalla televisione israeliana a poche ore dall'incontro inaugurale con la Russia. Lo stato d'animo, alla vigilia del match, era senz'altro euforico. Magari gli stessi tifosi, poche ore dopo, con cinque reti incassate dai padroni di casa, non si sarebbero neanche fermati davanti alle telecamere. Resta però il fatto. Ed è un piccolo-grande miracolo sportivo, ancor più sorprendente perché realizzatosi a breve distanza da alcune affermazioni del portavoce del ministero israeliano agli Affari Esteri Emmanuel Nahshon.
   "Oggi iniziano i Mondiali - aveva twittato il 14 giugno mattina - ed è un grande momento per tutti gli appassionati di calcio un po' ovunque. La nostra nazionale non ci sarà: siamo la startup nation, ma prendere a calci un pallone è un'altra cosa. Un grande in bocca al lupo ai nostri vicini". Dove per vicini, forzando un po' il concetto, oltre all'Egitto effettivamente confinante si intendeva proprio l'Arabia Saudita. Le bandiere dei due paesi a condire questo messaggio zuccherino intriso naturalmente di valutazioni e comuni sentimenti geopolitici. Incluso il fermo fronte comune contro l'Iran, alla cui tifoseria comunque il premier Benjamin Netanyahu ha rivolto un augurio in lingua farsi prima della partita con il Marocco.
   "È calcio, non è politica. Io ci sto" ha detto un tifoso saudita. E un altro si è spinto oltre, augurandosi "le migliori relazioni e un futuro di pace e fratellanza tra i due paesi".
Per il calcio israeliano, ancora ferito dalla cancellazione dell'incontro amichevole con l'Argentina, un grande assist per spingere sull'acceleratore. Israele-Arabia Saudita, adesso si può.

(moked, 18 giugno 2018)


L'economia di Israele verrebbe danneggiata dalla guerra commerciale Usa-Cina

GERUSALEMME - I dazi imposti dall'amministrazione statunitense su una serie di beni cinesi potrebbero colpire duramente l'economia israeliana. Lo affermato oggi un editoriale del quotidiano israeliano "Jerusalem Post". Israele esporta circa il 30 per cento del suo Prodotto interno lordo (Pil) in beni e servizi, secondo i dati della Banca mondiale. Si tratta di una percentuale molto più alta di quella di Stati Uniti e Cina, evidenzia "Jerusalem Post", e qualsiasi guerra commerciale punterebbe direttamente a quei prodotti. Se, quindi, il commercio mondiale dovesse diminuire, il nuovo "ordine" danneggerà soprattutto paesi come Israele, ovvero Stati con una piccola economia ma una grande percentuale di esportazioni in Pil, prosegue l'analisi. In un'intervista a "Jerusalem Post", Alex Zabezhinsky, economista della società di investimenti Meitav Dash, ha dichiarato che "Israele, in quanto economia aperta che importa quasi tutti i tipi di materiali rari, beni di consumo e beni intermedi per l'industria, potrebbe farsi male a causa dell'aumento dei prezzi d'importazione".

(Agenzia Nova, 18 giugno 2018)


Un popolo dalla dura cervice ma ben istruito

Israele occupa i primi posti nelle classifiche mondiali per qualità delle università e per numero di nuovi brevetti.

di Luca D'Ammando

 
Una società riesce a essere dinamica e innovativa quando lo è il suo sistema d'istruzione. E Israele, sotto questo punto di vista, è all'avanguardia. Lo dicono chiaramente i numeri. Da ultimi quelli dell'Ocse, che ha inserito Israele al terzo posto nella sua classifica dei paesi più istruiti al mondo.
   L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ogni anno misura il livello di istruzione di un paese in base alla percentuale di abitanti, tra i 25 e i 64 anni, che hanno conseguito una laurea. E nel 2016 in Israele questa percentuale era al 49,9%, superata solo dal Canada (56,27%) e dal Giappone (50,5%). Per rendere meglio l'idea, nello stesso periodo l'Italia era appena al 35esimo posto, con il 18% di laureati.
   Anche le università israeliane compaiono nelle classifiche delle migliori al mondo: nel 2017, l'Academic Ranking of World Universities (Arwu) inseriva il Technion di Haifa al 93o posto, e al 44o tra le migliori per le scienze e la matematica. Se i poli universitari israeliani sono diventati così fortemente attrattivi per studenti di numerosi Paesi è anche grazie alla cultura ebraica profondamente imperniata sulla coltivazione dello studio, oltre alla conseguenza di una serie di contingenze nel lungo processo di costruzione della sua nazione che hanno costretto lo stato israeliano a concentrarsi sulla ricerca per sopperire alla carenza di risorse naturali e alle necessità di difesa.
   A tutto questo si aggiunge un ulteriore aspetto di eccellenza: il maggior numero di documenti scientifici pro capite pubblicati rispetto a qualsiasi altra nazione con un ampio margine, nonché uno dei più elevati tassi pro capite di brevetti depositati. Più importante, il 4,5% del Pil israeliano è destinato alla ricerca e allo sviluppo, la più alta percentuale d'occidente.
   Qualche tempo fa l'Economist tentò di indovinare attraverso uno studio dove sarebbe meglio vivere nel 2030: Israele finì al ventesimo posto, prima di Regno Unito, Francia, Italia e Giappone. D'altra parte lo stato israeliano è un focolaio di attività hi-tech, con il più alto investimento pro capite del mondo in start-up, come confermato anche dal World Competitive Global Competitive Index, che vede Gerusalemme come la terza realtà più innovativa al mondo. Questo perché l'economia del Paese si fonda sull'innovazione e sulla tecnologia. Negli ultimi dieci anni Israele si è trasformato in una piccola Silicon Valley del Medio Oriente.
   Nell'ultimo trimestre del 2017 le imprese ad alta tecnologia hanno attirato capitali per 4,8 miliardi di dollari e nel 2016 gli investimenti sono cresciuti del 40 per cento. Si è creata così una costante richiesta di persone laureate in materie scientifiche e tecnologiche (il tasso di disoccupazione è al 4,8%, il dato più basso degli ultimi trent'anni). Se a settant'anni dalla sua nascita Israele è una realtà in continuo sviluppo, aperto alla tecnologia, alla ricerca e all'innovazione, molto merito va a un sistema d'istruzione che è un modello per tutto l'Occidente.

(Shalom, giugno-luglio 2018)


Hezbollah usa l'aeroporto di Beirut per contrabbando di armi e droga

WASHINGTON - Secondo un articolo del "Washington Times", il Corpo delle guardie rivoluzionarie iraniane (Irgc) è stato autorizzato a utilizzare l'aeroporto internazionale di Beirut Rafiq Hariri come base operativa del movimento sciita Hezbollah. Il rapporto afferma che l'Irgc sta svolgendo ruoli di primo piano in molte delle guerre in corso in Medio Oriente, come in Siria, Yemen e Iraq. Si legge, inoltre, che l'aeroporto viene utilizzato per facilitare il contrabbando di droga e armi e anche per consentire ai combattenti filo-iraniani di attraversare altri paesi. Avere l'Hezbollah filo-iraniano incorporato nella struttura politica del potere libanese fornisce alle Guardie rivoluzionarie un facile accesso all'aeroporto internazionale di Beirut. L'ingerenza dell'Iran, secondo il quotidiano, può essere fatta risalire al 1990, quando è stata istituita la Forza Quds.

(Agenzia Nova, 18 giugno 2018)


Razzi da Gaza, bombardamenti israeliani sui palestinesi

Resta elevata la tensione fra Gaza ed Israele, dopo che aquiloni e palloni incendiari palestinesi lanciati dalla Striscia hanno provocato diversi incendi nel Neghev.
Israele accusa inoltre il ferimento di 3 soldati. La reazione dell'aeronautica con la stella di David non si è fatta attendere e la scorsa notte ha colpito a Gaza nove obiettivi di Hamas, senza fare vittime.
Stamane ad Ashqelon, a sud di Tel Aviv, sono suonate ancora le sirene di allarme dopo che tre razzi erano stati lanciati da Gaza. Anche questi sono caduti senza provocare vittime.

(euronews, 18 giugno 2018)


L'antica Cesarea torna ai fasti del passato grazie ad investimenti sul turismo

A duemila anni dalla sua costruzione come principale porto della Regione, Cesarea si candida alla qualifica di principale sito archeologico di Israele. In questa località,visitata ogni anno da un milione di turisti, israeliani e stranieri, è stata inaugurata un'ulteriore attrazione: una passeggiata sulle mura erette nel 1251 in occasione della visita del re di Francia Luigi IX. I visitatori potranno aggirarsi nel mercato crociato e passare attraverso un tunnel segreto utilizzato durante gli assedi per garantire l'approvvigionamento della città con cibo e munizioni.
   "Cesarea rappresenta un modello particolare di successo fra i siti archeologici israeliani - ha spiegato Shaul Goldstein, direttore dell'Autorità israeliana per i parchi e la natura - Innanzi tutto perché qua i resti archeologici si sono preservati in maniera eccellente".
   Inoltre, nel parco archeologico di Cesarea sono attivi giorno e notte locali di ritrovo fra cui ristoranti, caffè, botteghe. Per la sua perfetta acustica e per la sua ubicazione in riva al mare anche il teatro romano richiama molte migliaia di spettatori in occasione di spettacoli musicali.
   Lo sviluppo delle attrazioni turistiche di Cesarea è sostenuto, oltre che dal governo israeliano e da altri enti, anche dalla Fondazione Edmond de Rothschild che nell'ultimo decennio ha investito 150 milioni di shekel, 40 milioni di euro. Il suo obiettivo, ha precisato la baronessa Ariane del Rothschild nella serata di inaugurazione della passeggiata, è non solo di incentivare il turismo, ma anche di rafforzare il tessuto sociale fra Cesarea e due città vicine. Mentre la prima si distingue per il suo elevato tenore di vita, nella ebraica Or Aqiva e nella araba Jisser a-Zarka vivono anche strati sociali popolari. Per Jisser a-Zarka viene adesso progettato un pittoresco porticciolo di pescatori che sarà collegato con una passeggiata sul mare al sito di Cesarea. A ridosso di Jisser a-Zarka sarà recuperato inoltre un breve tratto dell'acquedotto romano rimasto finora in abbandono.
   "La nostra visione - ha concluso Israel Hasson, direttore dell'Autorità israeliana per le antichità - è di restituire Cesarea ai suoi giorni di gloria, quando era un porto vibrante che offriva ai visitatori anche esperienze culturali".

(Travel Quotidiano, 18 giugno 2018)


Feriti nello sgombero di un insediamento illegale

Da ieri sera la polizia israeliana e la polizia di frontiera hanno sgomberato 13 case nell'insediamento illegale occidentale di Tapuach a Samaria. Gli edifici sono situati su terreni di proprietà dei palestinesi e devono essere demoliti per ordine del tribunale.
   Gli abitanti delle case sono già partiti senza resistere. Ma dopo, molti giovani si sono riuniti nell'insediamento per opporsi allo sfratto e scontrarsi con le forze di sicurezza israeliane. Diverse centinaia di poliziotti sono stati coinvolti nell'evacuazione degli edifici.
   I giovani si sono trincerati nelle case, hanno lanciato pietre e altri oggetti e versato candeggina sui poliziotti. Durante gli scontri, 11 poliziotti sono rimasti leggermente feriti; tra i manifestanti ci sono stati cinque feriti e sei di loro sono stati arrestati. Nel corso della giornata, le case saranno demolite.
   Il presidente della contea di Samaria Yossi Dayan ha invitato i ministri del governo a fermare lo sfratto e la demolizione delle case. "La maggior parte delle case sono già state trasferite in un'area che non fa parte dell'area controversa", ha affermato. "Non c'è motivo di continuare questo sfratto 'volontario'. Le famiglie, molte delle quali con molti figli, hanno bisogno di una casa. Hanno sofferto abbastanza nell'ultimo anno, nel periodo precedente allo sfratto programmato. Non può essere che il governo, che si presenta come un governo nazionale si coinvolga nella persecuzione di famiglie che hanno già investito nella delocalizzazione delle case. Ci sono migliaia di case arabe costruite illegalmente nella regione che non sono state bonificate a causa della "carenza di personale". Invito almeno i ministri a non demolire le case che sono state trasferite".
   "Sono sicuro che stamattina rimpiangerete la demolizione di un altro insediamento nella terra di Israele. Fermate questa ulteriore inutile distruzione", ha continuato.

(israel heute, 17 giugno 2018 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Netanyahu: "L'Iran deve ritirarsi dalla Siria o agiremo"

Venti di guerra in Medio Oriente dopo le dichiarazioni del primo ministro a Gerusalemme

L'Iran "deve ritirarsi completamente" dalla Siria, sia dall'interno del paese sia dai suoi confini. Lo ha dichiarato oggi il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, durante la riunione settimanale del suo governo a Gerusalemme. Il premier ha informato il gabinetto dei suoi contatti telefonici avuti durante la scorsa settimana con il presidente russo, Vladimir Putin, e con il segretario di Stato degli Usa, Mike Pompeo. "Abbiamo discusso della regione, ovviamente facendo particolare attenzione alla Siria", ha affermato Netanyahu. Il capo del governo dello Stato ebraico ha, quindi, dichiarato che "in primo luogo, l'Iran deve ritirarsi completamente dalla Siria". Secondariamente, Israele "agirà per prevenire tentativi di consolidamento militare da parte dell'Iran e dei suoi alleati, sia ai confini della Siria sia all'interno del paese". A tal riguardo. Netanyahu ha avvertito: "Agiremo contro questo consolidamento ovunque in Siria".

(Agenzia Nova, 17 giugno 2018)



«Io sono in mezzo a voi come colui che serve»

Nacque poi una contesa fra loro per sapere chi di loro fosse reputato il maggiore. Ma Gesù disse loro: I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che hanno autorità su di esse son chiamati benefattori. Ma tra voi non deve essere così; anzi, il maggiore fra voi sia come il minore, e chi governa come colui che serve. Poiché, chi è maggiore, colui che è a tavola oppur colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve. Or voi siete quelli che avete perseverato meco nelle mie prove; e io dispongo che vi sia dato un regno, come il Padre mio ha disposto che fosse dato a me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno, e sediate sui troni, giudicando le dodici tribù d'Israele.

Dal Vangelo di Luca, cap. 22

 


Al via il volo Genova-Tel Aviv

Ad accogliere i primi passeggeri in arrivo da Israele erano presenti Elisa Serafini, Paolo Odone e Bruno Gazzo, Presidente dell'Associazione per l'Amicizia Italo-Israeliana.

GENOVA - Israir, la seconda compagnia aerea israeliana e quella in più forte espansione, è la prima a lanciare un volo diretto tra Tel Aviv e Genova a partire da oggi. Quest'anno il vettore opererà un volo settimanale ogni sabato. Il volo sarà utilizzato dai turisti in visita nella città ligure, ma anche dai crocieristi di MSC Crociere, che ha a Genova il suo homeport.

 Tratte
  «Siamo felici di aprire una nuova rotta che consentirà ai turisti in arrivo da Israele di visitare Genova e i suoi dintorni ma rendere anche più semplice il viaggio per i viaggiatori che vorranno scoprire Israele, dove il numero di visitatori italiani è in costante crescita», ha dichiarato Gil Stav, Direttore Marketing e vendite di Israir.

 Rapporti
  Negli ultimi mesi il Comune di Genova ha lavorato fianco a fianco con la compagnia aerea per promuovere la città in Israele, anche offrendo al management del vettore un viaggio alla scoperta della città e delle sue bellezze. «La presenza di visitatori israeliani a Genova continua a crescere costantemente - dice Elisa Serafini, Assessore al Marketing territoriale del Comune di Genova - È un trend positivo che vogliamo supportare e promuovere a beneficio delle nostre attività commerciali, industriali e turistiche. Negli ultimi mesi abbiamo lavorato con le istituzioni israeliane per sviluppare accordi di collaborazione e partnership culturali: da questo autunno, Israele sarà l'ospite d'onore del Festival della Scienza».

 Visite
  Questi contatti hanno già dato a Genova una grande visibilità in Israele: lo scorso aprile una troupe di Keshet Channel, il principale canale televisivo israeliano, ha scelto Genova per le riprese di un episodio di "The Feed", il programma di cucina condotto da Michal Ansky, uno dei giudici di MasterChef Israele. Inoltre lo scorso fine settimana un gruppo di giornalisti israeliani ha scoperto le bellezze di Genova, dai Palazzi dei Rolli ai "caruggi", dalle botteghe storiche ai sapori della cucina genovese, incluso l'immancabile Pesto.

 Territorio
  «Siamo estremamente soddisfatti dell'avvio di questo volo e siamo grati a Israir per avere deciso di investire sul nostro territorio - conclude Paolo Odone, Presidente dell'Aeroporto di Genova - Oggi diamo il benvenuto ai primi viaggiatori in arrivo da Tel Aviv. Siamo certi che Genova attrarrà sempre più visitatori da Israele, anche grazie all'impegno del Comune nel promuovere il nostro territorio e grazie all'attrattiva delle crociere. Siamo certi che questo volo sarà solo il primo passo di una lunga e fruttuosa collaborazione con Israir».

(Genova.Post, 16 giugno 2018)


Israele: "Dagli operatori italiani risultati incredibili"

di Gaia Guarino

"In generale - spiega Mariagrazia Falcone, direttrice dell'ufficio stampa dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo - si sta registrando un andamento positivo già da dicembre e gli operatori stanno inanellando risultati incredibili".
"Inoltre - aggiunge Avital Kotzer Adari, Consigliere per gli Affari Turistici Ambasciata d'Israele - l'incoming dall'Italia nel periodo gennaio-maggio è aumentato del 41% rispetto al 2017 e dell'82% a confronto col 2016".

 Focus sul Negev
  Grande focus dell'ente per la stagione autunnale sarà il Negev, ma restano sempre in forte promozione anche i '2 cities 1 break' con destinazione Gerusalemme e Tel Aviv, una formula che piace molto agli italiani e sembra funzionare bene.
Anche durante giugno e luglio continueranno gli incontri con gli operatori, i webinar e gli eventi b2b che, nel solo mese di maggio, hanno permesso all'ente di Israele di incontrare più di 1.300 agenti di viaggi.
"Al momento pensiamo all'estate, che sta registrando un andamento positivo grazie anche agli oltre 80 voli settimanali che collegano l'Italia dagli aeroporti del Centro-Nord".

(ttgitalia.com, 16 giugno 2018)


Al Meis il primo convegno "Persone e beni culturali"

Presentato il 15 giugno un progetto di ricerca che unisce identità personale e patrimonio culturale

A partire dalle ore 9 di venerdì 15 giugno il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - Meis (Via Piangipane 81, Ferrara) ospita il primo convegno nazionale "Persone & beni culturali. Azioni per lo sviluppo lavorativo e sociale". L'evento presenterà nuovo progetto di ricerca che punta alla promozione, al recupero e al rafforzamento del senso di identità personale attraverso la conservazione del patrimonio artistico e culturale italiano.
  Promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dall'Università degli Studi di Padova - Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, ha il patrocinio del Comune di Ferrara, della Regione Emilia-Romagna, della Comunità Ebraica di Ferrara e dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna.
  Introdurranno ai lavori Simonetta Della Seta (direttore del Meis), Andrea Pesaro (presidente della Comunità Ebraica di Ferrara), Massimo Maisto (vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Ferrara), Anna Ancona (presidente dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna), Massimo Mezzetti (assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna) e Carla Di Francesco (segretario generale del Mibact).
  Seguiranno gli interventi di Nicola Alberto De Carlo dell'Università degli Studi di Padova, Greta Schonhaut di Psiop - Scuola di Psicoterapia, Anna Quarzi dell'Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, Laura Dal Corso dell'Università degli Studi di Padova, Paula Benevene dell'Università di Roma-Lumsa e Livio Zerbini dell'Università degli Studi di Ferrara.

(estense.com, 16 giugno 2018)


"Attraverso gli ebrei racconto l'istinto universale alla salvezza"

Intervista a Lia Levi

di Carla Attianese

In attesa di conoscere il nome del vincitore del Premio Strega, che dopo la designazione della cinquina dei finalisti verrà assegnato il 5 luglio, per il quinto anno consecutivo una giuria di giovanissimi tra i 16 e i 18 anni ha assegnato il Premio Strega Giovani, che in un significativo passaggio di testimone tra generazioni ha visto prevalere per l'edizione 2018 il romanzo di Lia Levi, classe 1931, "Questa sera è già domani" edito da e/o (fresco di designazione anche nella cinquina finale).
  La storia di Lia Levi è quella di tante famiglie ebree italiane, che dopo la promulgazione delle leggi razziali nel 1938 e la persecuzione nazifascista, si ritrovarono costrette a scappare o a rifugiarsi. Dopo l'8 settembre 1943 Lia riuscì a salvarsi, rifugiandosi con le sorelle nel collegio romano di San Giuseppe di Chambéry. Come è poi successo a tanti, Lia ha fatto del racconto della memoria lo scopo della vita, come sceneggiatrice, giornalista e autrice di numerosi romanzi, tra cui "Una bambina e basta", un testo studiato oggi nelle scuole.
  Nell'ultimo romanzo, premiato dai giovanissimi giurati del Premio Strega Giovani, Levi si è ispirata alla storia vera della vicenda del marito, Luciano Tas, scomparso quattro anni fa. Il racconto è quello di una famiglia ebrea di Genova e dei sentimenti, le paure e le contraddizioni che la storia che ne fa da sfondo, quella terribile delle leggi razziali, farà emergere. A osservare tutto ciò il personaggio che fa da perno al romanzo, il taciturno Alessandro, un bambino considerato un piccolo genio.
  Incontriamo l'autrice per Democratica, una ottantaseienne con la voce squillante e la parlantina vivace di una ragazzina.

- Signora Levi, il suo romanzo, a cui fa da sfondo un pezzo drammatico della storia recente, è piaciuto ai più giovani. Dunque c'è speranza?
  In effetti io stessa sono rimasta quasi frastornata dalla sorpresa. Anche il ragazzo che ha letto la motivazione ha dimostrato di avere compreso benissimo lo spirito del romanzo, raccontando il libro nel modo giusto, anche dal punto di vista storico. Certo poi la forma d'arte che è il romanzo aiuta ad introiettare il problema, e in questo il ruolo degli insegnanti è fondamentale. Ma direi di sì, c'è speranza eccome.

- Lei racconta di chi si trova costretto a fuggire, respinto dalla maggior parte dei Paesi. Le analogie con quanto accade oggi sono evidenti.
  Certo ci sono analogie importantissime. Il respingimento è un atto difficilissimo da sopportare, perché dici a te stesso "non mi consideri abbastanza importante da essere salvato". E se pensiamo alle analogie con il presente, a proposito della vicenda di Aquarius mi è venuta in mente quella di un'altra nave, la St. Louis, che con a bordo mille ebrei tedeschi nel 1939 partì in cerca di un porto sicuro, ma nessun Paese li volle. Cuba li rifiutò, e lo stesso fecero l'America e i paesi europei . Alla fine di lunghe trattative quegli ebrei furono sbarcati in vari porti europei, ma si stima che in circa 250 trovarono poi la morte per mano nazista. D'altra parte però, c'è anche la storia poco conosciuta di cinquemila profughi ebrei austriaci sui quali l'Italia fascista chiuse un occhio, e che per questo furono accolti a Genova e salvati, dunque nell'animo umano qualcosa c'è.

- In questo libro, come già in passato, lei racconta l'esclusione e il rifiuto attraverso gli occhi dei bambini.
  Sì, ma quello di questo racconto è un bambino diverso. È un genietto sveglio ma anche solitario, emarginato perché più piccolo, ma che però osserva. Nei miei libri metto l'esclusione sempre sotto vari punti di vista, ad esempio nel caso dei ragazzi anche attraverso episodi di bullismo, che è un primo, piccolo passo che può portare anche al razzismo. Il ragazzo del romanzo dunque non è solo ebreo - la grande esclusione -, ma anche un bambino emarginato perché piccolo.

- Per scrivere questo libro si è ispirata a una storia vera.
  È la storia vera di mio marito, ricostruita attraverso gli episodi che lui di tanto in tanto raccontava, e insieme il racconto di una salvezza quasi miracolosa che io ho concatenato in un romanzo.

- Lei ha parlato di "mistero dell'animo umano" di fronte alle prove che la vita, a volte, sottopone.
  Di fronte a un pericolo l'essere umano reagisce in modi diversi, e nelle scelte di vita fatte in momenti simili converge tutto quello che siamo, lo spirito avventuroso, il coraggio, la paura, perché l'essere umano è fatto di grandi contraddizioni, ed ecco perché è un mistero. In questa storia un ragazzo che scappa, come laico, si impunta a voler portare con sé una catenina che potrebbe metterlo in pericolo, e che invece diventerà un simbolo di salvezza. L'ultima parte poi è molto avventurosa, con elementi che fanno capire quanto bisogna lottare per difendere se stessi, e forse i ragazzi si sono identificati anche per questo.

(Democratica, 16 giugno 2018)


La comunità ebraica di Roma rilancia Shalom

di Giulio Meotti

ROMA - All'indomani della Guerra dei Sei giorni del 1967, la comunità ebraica di Roma sentì la necessità di dotarsi di uno strumento di informazione che raccontasse non soltanto la realtà della più grande e antica comunità ebraica italiana e della Diaspora, ma che facesse fronte anche alla micidiale delegittimazione esplosa contro Israele. Nacque così Shalom, il magazine fondato da Lia Levi e Luciano Tas e oggi diretto da Giacomo Khan.
Una rivista che adesso passa attraverso un ambizioso rilancio e restyling delle sue firme, della sua grafica e dei suoi contenuti. Ne parliamo con Ruben Della Rocca, vicepresidente della comunità ebraica di Roma con delega alle comunicazioni.
   "Più che di rilancio parlerei di uno Shalom che, al 51esimo anno di età, aggiorna il suo sistema di comunicare con i propri lettori, iscritti alla comunità ebraica di Roma e non, ebrei e non ebrei, e lo fa non solo attraverso il magazine, rinnovato nella sua veste grafica, ma anche attraverso una versione on line quotidiana e attraverso i suoi social, che ci permetteranno di essere sempre più immediati e diretti nei confronti del nostro pubblico affezionato. La peculiarità di Shalom e la sua longevità sono figlie dell'autorevolezza con la quale è stato raccontato per oltre mezzo secolo il mondo ebraico e il suo rapportarsi con gli altri mondi e la coerenza con la quale ha presentato e dibattuto le questioni ebraiche e il suo prodigarsi per una informazione corretta riguardo a Israele, cosa che purtroppo in questi ultimi decenni è spesso mancata da parte dei media, nazionali e stranieri".
  Di Shalom si parlerà anche il 27 giugno nell'ambito del Festival internazionale di cultura ebraica a Roma. "L'informazione ebraica, in un mondo come quello dei media, troppo spesso dominato dalle fake news e da un pregiudizio figlio di un odio viscerale nei riguardi degli ebrei e di Israele, ha necessità di evolvere i propri sistemi di comunicazione e arrivare con immediatezza a dare risposte e notizie 'corrette'" prosegue Della Rocca. "Non a caso questa innovazione parte da Roma, il luogo dove vivono più della metà degli ebrei italiani e la città dove vive la più antica comunità della diaspora e non a caso è proprio Shalom, con la sua storia, ad essere portabandiera nazionale di questa innovazione".
  Dalla decisione americana di spostare a Gerusalemme l'ambasciata alla crisi al confine di Gaza, si è visto come molti media abbiano ormai un pregiudizio radicale e radicato nei confronti di Israele. "La situazione non è delle migliori e la domanda sarebbe da girare a quegli addetti all'informazione, atavicamente antisionisti che 'mascherano' il loro odio antiebraico dietro le 'critiche legittime allo Stato di Israele', salvo giungere poi alle conclusioni estreme riguardo il metterne in dubbio il diritto alla sua esistenza o a lanciare idee di boicottaggi di varia natura che sono figli del retaggio nazifascista del 1938. L'antisemitismo è una piaga difficile da estirpare e l'antisionismo ne è la forma moderna e con questo l'informazione ebraica deve fare i conti quotidianamente. Per questo Shalom è e sarà sempre in prima linea, assieme ad altri esempi virtuosi di testate come il Foglio, nel fornire un'informazione giusta ed equilibrata ai proprio lettori ed ai propri followers sui social".

(Il Foglio, 14 giugno 2018)


Potere del calcio, da Israele gli auguri all'arcinemico Iran

di Francesca Caferri

Auguri alla Nazionale che rappresenta il "buon popolo dell'Iran". Firmato: il ministero degli Esteri di Israele, per mano del suo reggente, il primo ministro Benjamin Netanyahu.
Anche questo accade durante i Mondiali di calcio: che fra i Paesi la cui rivalità infiamma il Medio Oriente scoppi una finta, fintissima, pace calcistica.
Basta uscire dall'universo di Twitter - dove il messaggio è stato inviato, in lingua farsi - per tornare alla consueta retorica bellica: ieri è stato il turno della Guida suprema iraniana Ali Khamenei, che in una celebrazione per la fine del Ramadan ha sostenuto che Israele «Non durerà a lungo. Tutte le esperienze storiche lo dimostrano con certezza perché questo regime ha problemi di legittimità fondamentali».
Ma che i Mondiali abbiano anche un lato politico lo hanno sottolineato ieri anche i sostenitori della Nazionale iraniana, che hanno usato la prima partita della loro squadra in Russia - contro il Marocco, vinta per la cronaca dall'Iran per 1-0 - per rilanciare la battaglia contro il veto all'ingresso negli stadi per le donne iraniane, in vigore dal 1979, anno della Rivoluzione islamica.
Striscioni in questo senso sono stati esposti nello stadio durante la partita (a cui hanno partecipato anche le donne, visto che non si giocava in patria) e anche nella zona circostante: le fotografie sono rimbalzate su Twitter sotto l'hashtag #NoBan4Women dando alla campagna un'eco globale.

(la Repubblica, 16 giugno 2018)


Israele «Non durerà a lungo. Tutte le esperienze storiche lo dimostrano con certezza perché questo regime ha problemi di legittimità fondamentali». Questo afferma il governo islamico iraniano, e il mondo non si scandalizza perché l’Iran dice a chiara voce quelli che tanti pensano. La forma attuale di antisemitismo è ben espressa dalla Guida suprema iraniana: è «antisemitismo giuridico», come da sempre andiamo dicendo su questo sito. 0ccupazione, occupazione, occupazione, mai si deve smettere di insistere su questo punto: questo è il peccato imperdonabile di Israele. Illegale, illegale, illegale, ripetono fino alla sfinitezza gli antisemiti giuridici accompagnati in coro dagli equidistanti amanti della pace che vogliono tanto bene a Israele e non vorrebbero mai un giorno dover piangere sulla sua sparizione, anche se poi si consolerebbero facilmente con qualche altro “Giorno della memoria”. E’ il governo iraniano ad avere qualche problema. Con Dio. E insieme a lui ce l’hanno tutti quelli che sorvolano su quello che proclama a chiare lettere l'attuale capo islamico della Persia e badano soltanto ai loro interessi commerciali. Israele? Beh, sono affari suoi. Pensano, anche se non lo dicono. M.C.


Moda hi-tech. "Il computer quando sbaglia crea poesia''

La designer e artista israeliana trentenne Noa Raviv è considerata l'enfant prodige della rivoluzione tecnologica nel fashion. Due modelli della sua collezione «Hard COPY», ispirata a errori informatici, sono esposti a Gerusalemme nella mostra sui primi cento anni di moda in Israele

di Fabiana Magrì

 
Noa Raviv
Noa Raviv
TEL AVIV - Gioco con la tecnologia, cerco di farla sbagliare, di farle fare operazioni per cui non è stata progettata. In un mondo in cui tutto può essere replicato, sono gli errori ad avere il potenziale dell'unicità». La designer e artista israeliana Noa Raviv (30 anni) è considerata l'enfant prodige della rivoluzione tecnologica nella moda. Hard Copy, il suo progetto di laurea del 2014 è una collezione ispirata a errori informatici e digitali che le è valso la partecipazione, nel 2016, alla mostra Manus x Machina. Fashion in an Age of Technology al Met di New York, accanto a Coco Chanel, Yves Saint Laurent e Christian Dior, a tu per tu con gli eroi del suo olimpo: il curatore inglese del MET Andrew Bolton, lo stilista belga Raf Simons e il designer giapponese Issey Miyake.

 La storia
  In Off-line, il suo primo lavoro dopo il trasferimento a New York, nel 2016, Raviv ha trasformato le sue intuizioni in una collezione di capi prèt-à-porter. «Il mio approccio parte da un'idea, e non mi curo della sua fattibilità. Questo mi mette nella posizione di poter anticipare ciò che non è mai stato fatto». L'anno scorso, per la nuova serie Non-place, la designer ha esteso la riflessione sui «non-luoghi» di Mare Augé al mondo della realtà virtuale e oggi che l'Israel Museum di Gerusalemme dedica la mostra Fashion Statements. Decoding Israeli Dress ai primi cento anni di moda israeliana, due modelli della collezione Hard Copy di Raviv attendono il visitatore nell'ultima sala, tra le tendenze odierne del paese, alle prese con un'identità divisa tra locale e globale, tra artigianato e tecnologia all'avanguardia.

 Le idee
  Noa Raviv vive a Long Island City «a due passi dal Moma PS 1, un loft tutto bianco con grandi finestre che affacciano su Manhattan, muri coperti da tessuti e dai materiali più diversi, il mio computer e una spaziosa terrazza piena di fiori. Ma anche se vivo a New York come israeliana sono molto influenzata da tutto ciò che accade qui, dal cibo alla tecnologia, dalla politica al clima caldo. Ogni esperienza è parte di ciò che sono, personalmente e professionalmente. Mi sento fortunata a essere cresciuta con la mentalità israeliana del "si può fare", di essere figlia della Start-Up Nation, sempre immersa nelle nuove tecnologie, con gli strumenti più innovativi a portata di mano.»

 Illusione ottica
  Non per questo Raviv, che lavora nell'intersezione tra arte, moda e tecnologia, mette in secondo piano l'importanza dell'incanto. Il suo obiettivo è trasformare l'imperfezione, l'errore, l'inaspettato, in un cortocircuito poetico. «Nei miei lavori è difficile individuare il confine tra stampa 3D e cucito a mano. Cerco di creare un'illusione ottica, di confondere reale e virtuale. Mentre di solito ci aspettiamo la perfezione dalla macchina e l'imperfezione dal lavoro umano, io umanizzo il computer facendolo sbagliare e creo parti artigianali impeccabili»
  L'artista sviluppa deliberatamente immagini digitali manipolate, interrotte e distorte con software di «computer modeling» per immaginare oggetti che in realtà non possono essere stampati né prodotti, che esistono solo nello spazio virtuale. Finché non interviene il gesto del designer a tagliare e cucire a mano ogni singolo pezzo, a renderlo davvero irriproducibile. «Il mondo della moda è caotico ci sono tanti movimenti in atto, anche contraddittori. È un momento unico, non si può paragonare a nessun altro, nel passato. Tecnologia e moda hanno molto in comune, il motore di entrambi è il cambiamento della percezione di ciò che consideriamo attraente».

(La Stampa, 16 giugno 2018)


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