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Notizie 1-15 giugno 2020


Dialogo tra Israele e Usa sulle annessioni dei Territori

Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, il ministro della difesa Benny Gantz e quello degli Esteri Gaby Ashkenazi hanno incontrato ieri l'ambasciatore statunitense in Israele, David Friedman, per discutere del progetto di annessione unilaterale di parti dei Territori palestinesi in linea con il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
   Netanyahu prevede di presentare il suo progetto di annessione in parlamento a partire dal primo luglio, come previsto dall'accordo di governo fra il suo partito, il Likud, e quello Blu e Bianco di Gantz. Il ministro della Difesa, che fra un anno e mezzo prenderà la guida del governo, ha definito il piano Trump «una opportunità storica» per Israele ma non ha chiarito se intende appoggiare un passo unilaterale.
   Secondo quanto scrive il «Times of Israel», Washington sarebbe pronta ad appoggiare Netanyahu ma solo nel caso vi sia il pieno sostegno da parte di Gantz. Il piano Trump è stato duramente criticato dai palestinesi e la comunità internazionale. Alcuni paesi arabi hanno chiesto al governo Netanyahu di ripensare il piano delle annessioni. Anche il movimento dei coloni israeliani nei Territori ha contestato il piano poiché esso prevede in teoria l'istituzione di uno stato palestinese.
   Si segnala la notizia, intanto, secondo cui il governo israeliano sarebbe intenzionato a costruire un nuovo insediamento sulle alture del Golan, territorio conteso con la Siria. Questo nuovo insediamento - stando a fonti di stampa - sarebbe intitolato al presidente Trump. «Avvieremo oggi i passi pratici per costruire Ramat Trump (in ebraico: le alture di Trump)» ha detto ieri Netanyahu.

(L'Osservatore Romano, 15 giugno 2020)


Fase 3: Israele, via libera a matrimoni fino a 250 invitati

Malgrado una ripresa dei contagi da coronavirus, il governo israeliano ha dato il via libera a feste per cerimonie religiose con un massimo di 250 invitati. Il provvedimento riguarda matrimoni, circoncisioni, oltre a bar e bat mitzvha, feste che celebrano la maggiore età religiosa. In base alle nuove linee guida, che entreranno in vigore da oggi, gli organizzatori dovranno scegliere locali abbastanza grandi per garantire distanze sociali di due metri fra gli invitati. La lista dei presenti, con i recapiti, dovrà essere conservata per 20 giorni in modo da rintracciare tutti in caso di contagio. Il tetto di 250 persone non comprende il personale. Per tutti gli altri eventi rimane il limite massimo di 50 persone e l'obbligo di svolgimento all'aperto.
Il via libera alle feste per eventi religiosi arriva mentre Israele sta assistendo ad una ripresa dei contagi.
Il numero complessivo dei casi positivi di coronavirus ha superato oggi in Israele la quota di 19.000, dei quali 15.360 sono comunque guariti o in fase di guarigione. Lo ha reso noto il ministero della sanità. Con la progressiva ripresa dei contagi negli ultimi dieci giorni, 15.963 persone sono state poste in isolamento cautelativo nelle loro abitazioni. I malati accertati sono 3.268, 26 dei quali sono in rianimazione. I decessi sono stati finora 300.
Alcuni giorni fa il primo ministro Benyamin Netanyahu ha esortato tutti al rispetto delle regole di igiene e distanziamento sociale, avvertendo che il governo potrebbe essere costretto a ripristinare alcune restrizioni. Nel frattempo il governo ha congelato i piani per riaprire cinema e teatri e la piena ripresa del servizio ferroviario.

(Shalom, 15 giugno 2020)


Covid-19, in Israele la risposta rapida all'emergenza è passata dal Made in Italy

L'esperienza con MP3 Piaggio. La motoambulanza? Consente di dimezzare i tempi di arrivo di un soccorritore sul luogo dell'emergenza.

 
 Covid-19 in Israele, l'esperienza dei soccorritori MDA
  No, non è un'opinione o un auspicio. E' il risultato dell'esperienza di chi sulle motoambulanze opera dal vent'anni esatti e risponde, dati ufficiali dell'anno 2019, a 535.800 richieste di interventi in emergenza all'anno.
  Ci stiamo riferendo alla Magen David Adom, che con i suoi 650 motociclisti soccorritori e una reattività 24h in ciascun giorno della settimana, risulta essere un pilastro essenziale del sistema di emergenza e soccorso dello stato di Israele.
  La funzione dei motociclisti soccorritori non è troppo lontana da quella svolta in Italia da tanti colleghi su automedica, a parte il fatto che la moto a tre ruote si rivela più performante in termini di tempi, per l'appunto, e di accessibilità in luoghi dal fondo impervio, come possono essere i centri storici delle città, le spiagge delle zone rivierasche e molti siti montani.
  Ed è superfluo sottolinearlo: nel salvare vite umane, ogni minuto è cruciale.

 Covid-19 in israele, quando una priorita' e' la risposta immediata
  Le emergenze mediche richiedono un tempo di risposta estremamente rapido, pochi minuti.
  Ed è innegabile, lo sa qualsiasi autista soccorritore, che tempi di risposta delle organizzazioni di emergenza pre-ospedaliera risultano influenzati dalla presenza dei team sul territorio e dal fattore "traffico".
  Abbiamo avuto la possibilità di porre alcune domande a questi valenti soccorritori di un'altra sponda dello stesso mar Mediterraneo, i quali hanno gentilmente acconsentito a risponderci.
  In modo non troppo differente da quella svolta dai nostri soccorritori 118, l'attività della Magen David Adom ha ben presto incluso la risposta all'emergenza determinata dalla pandemia da coronavirus.
  Ma l'approccio della MDA ha presentato anche alcune peculiarità che è interessante approfondire.

 L'intervista ai responsabili di Mda sulla gestione dell' epidemia da Covid-19
  - Un'emergenza Covid-19 che ha investito all'improvviso Israele come l'Italia e come il resto del mondo: come avete affrontato un percorso tanto impegnativo?
  E' da febbraio che la MDA, l'organizzazione di emergenza pre-ospedaliera nazionale israeliana sta combattendo il coronavirus.
  Ad oggi, il timore di un ritorno di un picco COVID-19 è alto, ma l'efficienza della risposta israeliana fa ben sperare.
  Molto di ciò che è stato fatto dalla MDA può essere preso come spunto in ogni parte del mondo. Come la Croce Rossa, la MDA non è sostenuta dallo Stato, ma dalle donazioni, in particolar modo da quelle della comunità ebraica.

- Come ha fatto la MDA a rispondere in modo così efficace ad una situazione mai affrontata come la pandemia?
  Una situazione davvero mai affrontata. In quel momento diversi turisti che stavano visitando Israele sono stati trovati positivi a COVID-19. Era il 22 febbraio.
  In tutta risposta, il Ministro della Salute israeliano ha condotto un'investigazione epidemiologica e ha comunicato pubblicamente i luoghi che questi turisti avevano visitato, chiedendo a tutti i cittadini che erano stati in quelle specifiche aree, di autoisolarsi per 14 giorni.
  Chiunque avesse riscontrato in quei giorni febbre alta, tosse o difficoltà respiratorie avrebbe dovuto chiamare la MDA e sottoporsi ad un tampone.
  Gli israeliani che sono stati esposti al virus dovevano esser isolati per evitare che la comunità si infettasse a sua volta.

- E quale è stata la risposta a questa "chiamata alla responsabilità" rivolta al popolo israeliano?
  Immediatamente, migliaia di israeliani chiamarono il 101, e un operatore li ha messi in contatto con i professionisti della MDA.
  Molti di loro non sapevano con certezza se si fossero esposti al contagio.
  Alcuni erano stati infettati ma non presentavano sintomi, mentre altri manifestarono febbre e difficoltà respiratorie.
  Nonostante ciò, non hanno ricevuto trattamenti specifici poiché non compresero la ramificazione dei sintomi.
  Da quel momento è iniziata la guerra di Israele contro il virus.

- Che cosa ha determinato, in termini organizzativi, l'impegno dei volontari MDA?
  Immediatamente MDA ha rimpolpato le proprie centrali operative aggiungendo più volontari e creando postazioni operative di dispatch aggiuntive (call-answering desks).
  Soccorritori con responsabilità amministrative e apprendisti paramedici sono stati formati per coprire il ruolo di operatori telefonici di una linea dedicata e di organizzatori di dispatch.
  Negli stessi giorni, MDA ha formato migliaia di volontari che allestirono tende per ospitare eventuali postazioni operative aggiuntive e ha trasferito del personale nelle aziende e nelle scuole, chiuse per colpa della pandemia, per utilizzare le loro linee telefoniche.
  Le telefonate ricevute da MDA sono salite esponenzialmente.
  In tempi di "normalità", MDA coinvolge 80 operatori telefonici che rispondono a circa 6 mila telefonate ogni giorno.
  A metà marzo, MDA aveva già 500 operatori telefonici che in un solo giorno hanno risposto a 82 mila telefonate.
  Da quando la pandemia ha colpito Israele, MDA ha risposto a ben 2 milioni di telefonate, facendo guadagnare al call center il primato nella lotta al coronavirus.
  A tutti coloro che sono stati esposti al virus è stato richiesto di stare nelle proprie case in quarantena e in una stanza separata dai propri familiari.
  Persone che hanno presentato anche sintomi leggeri, sono state registrate su un sistema di tracciamento dedicato.
  Gli scopi di questa prima fase sono stati raggiunti, assicurando che tutti coloro che sono risultati infetti sono stati in quarantena evitando di infettare altre persone.
  Il passo successivo è stato quello di effettuare tamponi a chi è stato esposto e ha mostrato qualche sintomo.
  In molti paesi, casi come questi sarebbero stati trasportati in ospedale, ma questo avrebbe significato lo spostamento di questi pazienti fuori dalle loro case e potenzialmente, permettere loro di infettare altri.
  Per prevenire ciò, i professionisti della MDA si sono equipaggiati di DPI adeguati, come le tute, e si sono recati a casa dei pazienti ad effettuare loro i tamponi, impedendo così che tali pazienti interrompessero la quarantena.
  I test a domicilio sono stati integrati dai centri Drive-Through che MDA ha organizzato nel Paese.
  Fino ad ora, più di 260 mila israeliani si sono sottoposti al test. Il modo in cui la MDA ha trattato questa crisi è servita da modello che potrebbe essere implementato in altre aree, non solo in risposta al COVID.
  Come organizzazione a servizio della comunità, la MDA può rapidamente espandere i propri servizi, attivare volontari aggiuntivi e assumere altri ruoli.

 MP3 Piaggio come strumento di risposta in emergenza, qualche riflessione
  L'intervista si conclude, congediamo il nostro gentile interlocutore.
  Effettivamente raggiungere i luoghi da controllare con il metodo adottato da MDA potrebbe essere una valida soluzione.
  Del resto il drive-through è un approccio che ha ottenuto una certa approvazione anche nel nostro paese.
  Che il futuro per una fase 3 che coniughi salute pubblica nazionale e ritorno alla vita "normale" sia in questo?
  Con soccorritori che si spostano rapidamente e in modo snello nei vari luoghi nei quali si sospetta necessario un tampone o un altro tipo di assistenza sanitaria, e che altrettanto rapidamente l'eventuale test raggiunga i centri laboratoriali per gli esiti del caso?
  Non pare essere tanto peregrina, come ipotesi: da un lato velocizzerebbe alquanto le procedure covid, dall'altro consentirebbe di riservare le ambulanze a trasporti di natura più consueta e tradizionale.

(Emergency Live TOTAL, 15 giugno 2020)


Iniziati i lavori per 'Trump City', la cittadina dedicata al presidente americano

 
Ad un anno di distanza, hanno preso avvio ieri i "passi pratici" per la fondazione di 'Ramat Trump' la località sulle Alture del Golan dedicata dal premier Benyamin Netanyahu al presidente americano per il suo riconoscimento della sovranità israeliana sulla zona conquistata alla Siria durante la Guerra dei 6 Giorni del 1967. L'annuncio è stato dato dallo stesso premier nella riunione di governo a Gerusalemme. Ramat Trump (in ebraico le 'Alture di Trump') fino allo scorso giugno si chiamava Bruchim, un agglomerato di piccole rustiche case di campagna arroccate su una collinetta in cui vivevano 15 persone, in prevalenza immigrati russi. Secondo i progetti di sviluppo dopo la decisione di Netanyahu, il posto è destinato a crescere grazie all'arrivo di ebrei americani e canadesi, intenzionati a trasferirsi nel luogo. Altamente bucolico ma piuttosto isolato, Bruchim - ora Trump city - faceva parte di Kela Alon, un insediamento molto più benestante e organizzato. Alla cerimonia per il nuovo nome, partecipò l'intero governo israeliano e l'ambasciatore Usa David Friedman.

(Shalom, 15 giugno 2020)


Napoli - Addio a piazzale Ascarelli, il cambio di nome affossato da veti di storici e residenti

Lo stop in commissione Toponomastica a Fuorigrotta, "resiste" piazzale Tecchio. De Magistris aveva promesso la svolta.

di Giuseppe Crimaldi

NAPOLI - Nessuna piazza per Giorgio Ascarelli. Triste e amara, la verità emerge dopo quasi due anni di attese e di speranze. Lo chiedevano in tanti, a cominciare dall'amministrazione comunale guidata dal sindaco dc Magistris. Se lo aspettavano i tifosi del Napoli, società sportiva che proprio Ascarelli fondò nel 1926; e ci credevano soprattutto tutti quelli che conoscevano la storia di un uomo che a Napoli aveva dato tanto. E non soltanto nello sport. Sembrava tutto ormai in dirittura d'arrivo nella decisione di sostituire l'intestazione di "piazzale Tecchio", a Fuorigrotta, in "piazzale Ascarelli". Ma alla fine sono bastati due veti - durante i lavori In Commissione Toponomastica - a dissolvere ogni speranza: quelli dell'Istituto di Storia Patria e le proteste di Un comitato civico del residenti nel quartiere.

 L'annuncio
  Alla fine del gennaio del 2018 fu lo stesso de Magistris a postare la bella notizia sui social: "Piazzale Vincenzo Tecchio, l'ex segretario provinciale del partito nazionale fascista - aveva scritto il primo cittadino - si chiamerà piazza Ascarelli. Il mio annuncio arriva nel giorno in cui ricordiamo Luciana Pacifici, una delle più piccole vittime della ferocia nazista, morta ad Auschwitz. Anche via Vittorio Emanuele III, che promulgò le leggi razziali, cambierà nome in via Salvatore Morelli. Per non dimenticare, mai!»
   Già, perché Giorgio Ascarelli, come la piccola Luciana Pacifici (deportata in un campo di concentramento durante i rastrellamenti dei nazifascisti a Napoli nel periodo della Seconda Guerra Mondiale) era un ebreo napoletano. A plaudire all'iniziativa di Palazzo San Giacomo erano stati in tanti, a cominciare dalla Comunità ebraica di Napoli, insieme con la Federazione Italia-Israele, che si era resa promotrice dell'iniziativa di cancellare dalla toponomastica cittadina la targa che ricordava un uomo che si era sporcato le mani di sangue accettando le leggi razziali. Soddisfazione era stata espressa anche dall'ambasciata dello Stato d'Israele in Italia. Sostegno e incoraggiamento erano arrivati poi anche dai tifosi del Napoli, felici di poter finalmente vedere intestato il piazzale antistante lo stadio San Paolo a chi aveva fondato la società azzurra. Poi, però, è accaduto qualcosa che ha affossato il progetto.

 I veti
  Strano Paese, il nostro. Nel quale il parere di esperti che siedono nelle varie commissioni e sottocommissioni pubbliche contano più del volere comune, e spesso anche del buon senso. Proviamo a ricapitolare. La proposta formulata dall'amministrazione comunale aveva fatto il suo corso, approdando nella Commissione toponomastica di Palazzo San Giacomo. Nessun veto di carattere politico, massimo sostegno alla proposta del sindaco e dell'assessore delegato al settore, Alessandra Clemente. E quando tutto sembrava andare verso la conclusione, ecco la sorpresa. Dal verbali emerge che l'iter è stato stoppato - e definitivamente affossato - per il parere contrario espresso dai rappresentanti che siedono nella consulta in rappresentanza dell'Istituto di Storia Patria. La motivazione resta oscura. Ma ad affossare il progetto ha contribuito anche la miope avversione di un non meglio comitato di residenti nella zona: i quali avrebbero opposto un fermo "no" al cambio della lapide marmorea nel largo di Fuorigrotta che dà accesso alla stazione, con una originale motivazione: modificare, dopo tanti anni, il nome di una via o di una piazza creerebbe confusione e difficoltà persino nel recapitare la posta.

 La delusione
  E così Ascarelli non troverà spazio nella toponomastica napoletana. A meno di ravvedimenti. E dire che Giorgio Ascarelli fu un napoletano esemplare. Imprenditore, filantropo e sportivo, oltre a fondare il Calcio Napoli, commissionò e finanziò a proprie spese la costruzione di un nuovo campo sportivo, di proprietà privata del club, al Rione Luzzatti, nei pressi di piazza Garibaldi, quello noto per l'Amica geniale. Uomo di cultura, ma soprattutto filantropo. A Napoli quasi nessuno lo ricorda più. Eppure fu lui, tra le tante cose buone realizzate in questa città, a finanziare anche un orfanotrofio a Posillipo.

(Il Mattino, 15 giugno 2020)


Casale ebraica, Carmi alla presidenza

 
Salvatore Giorgio Ottolenghi ed Elio Carmi
Storico passaggio di consegne a Casale Monferrato, dove al vertice della Comunità ebraica c'è da qualche ora Elio Carmi. Vicepresidente nello scorso mandato, è Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche e tra i più noti creativi italiani.
   Prima di lui, ininterrottamente dal 1958 ad oggi, presidente degli ebrei casalesi è stato Salvatore Giorgio Ottolenghi. Il leader più longevo di una Comunità locale e il protagonista di una fase indimenticabile di idee e coraggio. Nel nuovo Consiglio anche Adriana Ottolenghi e Marcello Tedeschi.
   All'ex presidente, classe 1923, è stato assegnato il titolo di Presidente emerito. Una piccola cerimonia nella sua abitazione ha visto gli amici stringersi a lui e alla moglie: proprio in queste ore festeggiano i 61 anni di matrimonio. Sarà lei, d'ora in poi, ad assicurare la continuità familiare in Consiglio.
   Ha sottolineato Ottolenghi, suggellando con queste parole il passaggio di consegne: "Gli anni sono tanti e non mi consentono di venire in Comunità quanto vorrei. Eppure nella vita di una organizzazione attiva come la nostra sono tanti i momenti in cui la presenza del presidente è imprescindibile, dal ricevere ospiti istituzionali, al presenziare alle tante celebrazioni e inaugurazioni. Ho sentito il desiderio di ratificare una situazione già in atto: da parecchio tempo Elio Carmi come vicepresidente rappresenta la Comunità e ha contribuito in modo determinante a farla crescere in questi anni".
   Ottolenghi è ricordato da tutti come l'artefice della rinascita della Comunità nel dopoguerra. Grazie alla sua coraggiosa decisione di restaurare la sinagoga e di creare il primo nucleo del museo ebraico, la città è da oltre 50 anni un punto di riferimento internazionale per la cultura ebraica e uno dei siti più visitati della provincia di Alessandria. "È stato una specie di miracolo, quando sono riuscito a tornare a Casale dopo la guerra non ho trovato più nulla: la sinagoga era fatiscente, non c'erano fondi per il restauro e anche se l'avessimo restaurata chi ci sarebbe andato? Ormai erano rimasti pochi ebrei a Casale. Poi una sera, per caso, dopo una conferenza in biblioteca comunale, io e l'architetto Giulio Bourbon abbiamo incontrato l'architetto Luciano Mazzarino, al momento Soprintendente alle Belle Arti, che ci ha convinto a cominciare i lavori. I finanziamenti e le persone sarebbero arrivati. Da allora - la sua testimonianza - non ho fatto altro che tenere le porte sempre aperte". L'iscrizione del piatto commemorativo donatogli recita: "Ogni ebreo è responsabile per ogni altro ebreo".

(moked, 15 giugno 2020)


Le sinagoghe britanniche riapriranno solo quando si potrà riunire un minyan

di Ilaria Ester Ramazzotti

Nel Regno Unito i luoghi di culto potranno riaprire dal 15 giugno per la preghiera individuale, ma le comunità ebraiche rimanderanno l'apertura delle sinagoghe a quando sarà possibile svolgere preghiere collettive. Lo riferisce il Jewish Chronicle.
   The United Synagogue, l'organizzazione che riunisce le congregazioni ortodosse, ha infatti comunicato l'intenzione di non riaprire i templi fino a quando non sarà possibili avere un minyan e leggere la Torah. Il rabbino capo britannico Ephraim Mirvis e il segretario delle comunità Robert Jenrick valutano invece la possibilità di aumentare il numero di partecipanti ammessi in ogni cerimonia di matrimonio ad almeno tredici persone, in modo da poter includere, oltre al minyan, le madri e fratelli o sorelle degli sposi.
   "Gli ebrei danno la priorità alla preghiera comunitaria piuttosto che alla preghiera individuale, e noi diamo priorità alla santità della vita", ha dichiarato al Guardian Laura Janner-Klausner, rabbino del movimento Reform in Inghilterra.

(Bet Magazine Mosaico, 14 giugno 2020)


Fatah chiede di porre fine allo scontro con Hamas e di ricostruire l'unità

RAMALLAH - In occasione del 13mo anniversario dello scontro tra i movimenti palestinesi Fatah e Hamas che ha portato al potere il gruppo islamista nella Striscia di Gaza , diverse fazioni e funzionari dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) hanno chiesto di porre fine alla disputa e ritrovare l'unità. Hamas, da parte sua, ha ignorato l'anniversario e i suoi leader non hanno commentato pubblicamente l'occasione. In una dichiarazione, diffusa ieri in occasione del tredicesimo anniversario della presa di potere di Hamas nella Striscia di Gaza, Fatah ha dichiarato che il gruppo islamista "insiste per continuare la sua politica di colpo di Stato e divisione". Riferendosi ai legami di Hamas con l'Iran e l'organizzazione dei Fratelli Musulmani, Fatah ha accusato Hamas di servire "ordini del giorno esterni a spese della questione palestinese" e di lavorare per stabilire uno Stato palestinese separato con confini temporanei nella Striscia di Gaza. Il colpo di Stato di Hamas, ha affermato Fatah.

(Agenzia Nova, 14 giugno 2020)


Netanyahu: non cala il numero dei casi in Israele

Premier: rispettare le regole. Sanificata la residenza di Rivlin

"Non c'e' miglioramento" nel numero dei casi di coronavirus in Israele e per questo vanno rispettate strettamente le misure di prevenzione imposte dal governo. Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu in apertura della consueta riunione domenicale di governo a Gerusalemme. "Il numero delle infezioni - ha spiegato il premier - continua ad essere di circa 200 al giorno, che è una bandiera rossa. Ripeto, ognuno deve obbedire alle linee guida e rispettare le regole del ministero della sanità". Oggi l'intera residenza del presidente israeliano Reuven Rivlin a Gerusalemme è stata sottoposta a sanificazione dopo che ieri uno degli impiegati del luogo è stato trovato positivo al coronavirus. Tutti quelli che hanno avuto contatti con l'uomo sono stati sottoposti a controlli e oggi la residenza è stata chiusa. Per ora non è stata chiesta la quarantena per Rivlin.

(ANSAmed, 14 giugno 2020)

Netanyahune

Israele: un groviglio politico giudiziario

di Ugo Volli

E' una notizia abbastanza significativa da essere arrivata anche sui media italiani, normalmente disattenti sulla politica interna di Israele. E lo è davvero, perché minaccia di innestare una nuova crisi politico-costituzionale. Si tratta di una sentenza della Corte Suprema, che ha abrogato la legge che condonava le case costruite in Giudea e Samaria su terreni rivendicati come proprietà privata da cittadini dell'Autorità Palestinese, in cambio di un risarcimento del 125%. E' una legge fatta per risolvere una serie di vertenze giudiziarie particolarmente complicate (perché in Giudea e Samaria valgono ancora delle leggi ottomane, che consentono l'usucapione di chi abbia coltivato anche per poco tempo un terreno, perché i catasti sono carenti e non è sempre chiara la proprietà), ma anche importante per consolidare i diritti delle comunità ebraiche di Giudea e Samaria.
   E' comunque una scelta politica della Knesset, che non si può certo accusare di violare diritti umani fondamentali. La corte ha dichiarato la legge incostituzionale, anche se nella legislazione israeliana non c'è una costituzione scritta e non vi è nessuna base legale per la sua pretesa di cassare le leggi, cosa che ha iniziato a fare solo nel 1995. Il problema è che la sentenza non abroga solo una legge che ha già fatto i suoi effetti, ma si mette di traverso alla scelta, maggioritaria nella Knesset e nel paese, a estendere la sovranità israeliana su parti della Giudea e Samaria. E' dunque un atto politico.
   E' probabile che passi una nuova legge per convalidare quella abrogata, ed è possibile che se ne proponga una per permettere alla Knesset di annullare con un nuovo voto le sentenze di abrogazione. C'è una maggioranza parlamentare per questo, che però non coincide con quella che sostiene il governo. Se la crisi si intensificherà, sarà dunque possibile un ridimensionamento legislativo della Corte Suprema, che oggi assomma in sé i poteri che in Italia sono divisi fra Corte di Cassazione, Corte Costituzionale e Tar, oltre a poter ricevere petizioni da chiunque, senza il filtro di tribunali inferiori. Ma non è escluso che quest'ennesima interferenza politica della corte porti a nuove elezioni.

(Shalom, 14 giugno 2020)


Israele apre al mondo la sua collezione di 2.500 rari manoscritti e libri islamici

 
La Biblioteca Nazionale d'Israele, in coordinamento con il Fondo Arcadia, ha annunciato un'importante iniziativa volta a permettere l'accesso digitale a oltre 2.500 preziosi manoscritti e libri islamici. L'imponente progetto dovrebbe concludersi entro il 2023. Grazie a una sovvenzione di Arcadia, un fondo di beneficenza di Lisbet Rausing e Peter Baldwin, il progetto prevede la digitalizzazione e il caricamento on line di immagini ad alta risoluzione della vasta collezione di libri e manoscritti, il miglioramento della loro descrizioni in arabo e in inglese e lo sviluppo di una piattaforma digitale in inglese, ebraico e arabo. Gli esperti della Biblioteca Nazionale di Gerusalemme, spiega il sito Israele.net che riprende il "Jerusalem Post", esamineranno meticolosamente tutti i documenti da sottoporre a scansione allo scopo di garantirne la migliore conservazione, adottando le adeguate misure di salvaguardia su tutti i libri e manoscritti ritenuti in cattive condizioni.
   L'iniziativa permetterà agli utenti di tutto il mondo di accedere ai manoscritti e ai libri attraverso immagini ad alta risoluzione, opzioni di ricerca facilmente intuitive e altri strumenti appositamente predisposti. Tra alcuni dei documenti unici che verranno inclusi nel processo di digitalizzazione figura una copia iraniana della grande raccolta Tuhfat al-Ahrar del poeta mistico persiano Nur al-Din Jami, originariamente prodotta nel 1484 quando l'autore era in vita. Fra gli altri elementi della collezione figurano copie del Corano riccamente decorate e opere letterarie ricamate con foglie d'oro e lapislazzuli, provenienti da tutto il mondo musulmano. Oltre a quelli in arabo tradizionale, molti dei documenti islamici conservati nella Biblioteca Nazionale d'Israele sono scritti in persiano e turco, spaziando dal IX al XX secolo.
   La maggior parte dei manoscritti venne acquisita tramite una donazione di Abraham Shalom Yahuda (1877-1951), uno studioso nato a Gerusalemme che fu linguista, scrittore e traduttore di molti manoscritti islamici e di testi giudeo-arabi medievali. La collezione è anche caratterizzata dal fatto di abbracciare tutte le principali discipline islamiche e le varie tradizioni letterarie, con eccezionali documenti provenienti dalle biblioteche reali Mamelucche, Moghul e Ottomane. La Biblioteca Nazionale d'Israele si configura così come un importante centro per i ricercatori che studiano opere relative alla cultura islamica e mediorientale. "Abbiamo il privilegio di poter aprire l'accesso digitale a questi tesori - ha dichiarato Raquel Ukeles, curatrice della collezione Islam e Medio Oriente della Biblioteca Nazionale d'Israele - e ci auguriamo che questo progetto contribuisca a una maggiore conoscenza e a promuovere studi condivisi relativi alla civiltà islamica. È una delle tante iniziative volte a connettere la Biblioteca Nazionale d'Israele, con sede a Gerusalemme, e la comunità globale". Anche Peter Baldwin, co-fondatore e presidente di Arcadia, ha sottolineato l'importanza dell'apertura di un accesso digitale: "Siamo lieti di sostenere la Biblioteca Nazionale d'Israele nello sforzo di garantire il libero accesso delle persone di tutto il mondo questa sua eccezionale collezione".

(Shalom, 14 giugno 2020)


Hanno estratto energia elettrica dalle piante

di Eduardo Lubrano

Un prato per illuminare la propria casa. La corsa alla ricerca di energia rinnovabile, sostenibile e pulita non si ferma mai. Alcuni scienziati israeliani dell'Università di Tel Aviv hanno scoperto che si può ottenere elettricità dalle piante. E che sia l'energia ottenuta che la fonte sono pulite. Dopo sei anni di ricerche e di collaborazioni con l'Università dell'Arizona i team dei professori Iftach Yacoby e Kevin Ridding hanno potuto dare l'annuncio e pubblicare sulla rivista inglese Energy and Enviromental Science i risultati del loro lavoro:

 La scoperta
  La base nasce dal ragionamento che le piante possono produrre elettricità particolarmente efficiente, partendo dal processo della fotosintesi: quel processo attuato dagli organismi autotrofi - quelli vegetali che possono svolgere la propria funzione di nutrizione, elaborando alimenti inorganici mediante assunzione d'energia dal mondo inorganico - per produrre glucosio a partire da acqua e diossido di carbonio (anidride carbonica), utilizzando come fonte di energia la luce solare assorbita da un particolare pigmento fotosensibile, la clorofilla.

Dice il professor Yacoby:
"Tutte le piante verdi, che siano foglie, erba o alghe, contengono veri e propri "pannelli solari" e sanno come prendere un raggio di luce e trasformarlo in un flusso di elettroni. La nostra sfida era quella di estrarre questa corrente dalla pianta. Per collegare un dispositivo all'elettricità, basta collegarlo a una presa elettrica. Nel caso di una pianta, non sapevamo dove inserire la spina. Abbiamo cercato un nano spinotto lavorando su una micro alga, in cui abbiamo iniettato un enzima, che produce idrogeno utilizzando un bioreattore".
Un ulteriore passaggio è stato quello delle micro alghe che hanno creato delle cellule contenenti il nuovo enzima e i ricercatori hanno scoperto che produceva effettivamente elettricità.
"Questa potrebbe quindi essere una nuova era nell'agricoltura che, dopo aver nutrito le persone per millenni, potrebbe essere utilizzata anche per produrre energia.
"Pensavamo che ci fosse un potenziale, ma non sapevamo se avrebbe funzionato e ha funzionato. Ci sono molte cose che possiamo pensare di fare con i risultati della nostra ricerca, come a lungo termine, ridurre l'inquinamento nel campo dei trasporti dell'industria pesante".
(Impakter Italia, 14 giugno 2020)


Shalom News - Edizione del 14 giugno 2020

di Giacomo Kahn

Conduce Luca Clementi
In questo numero:
- La libreria Kiryat Sefer Libreria Ebraica nel cuore del quartiere ebraico
  (servizio di Sara Milano);
- Il libro della settimana consigliato da Marta Spitz;
- La serie tv Shtisel (servizio di Luca Spizzichino).

(Shalom, 14 giugno 2020)


Copiamo Israele per modernizzare l'agricoltura

Lettera a "La Verità"

Pur non essendo un esperto del settore (sono un laureato in ingegneria elettrotecnica che insegna materie tecniche di indirizzo elettrico presso un Itis a Milano), vorrei suggerire uno spunto di indagine o, meglio, di ricerca, che è un po' un mio pallino. Mi riferisco all'utilizzo su larga scala delle tecniche intelligenti e automatizzate di irrigazione dei campi le quali, secondo me, potrebbero rappresentare un ottimo volano per l'agricoltura e per la nostra industria in genere. A questo proposito ricordo che l'unica cosa degna di nota che vidi durante una mia visita con una scolaresca a quella boiata di Expo fu il nuovo modo con cui, rispetto ai consueti mezzi di irrigazione, operano oggigiorno in Israele, con appositi impianti, prodotti in parte, se non vado errato, anche da ditte italiane, gestiti da remoto tramite pc i quali, oltre a irrigare solamente quando lo richiede la scarsa umidità del terreno appositamente monitorata, lo fanno goccia a goccia in modo da utilizzare il minimo quantitativo di acqua, evitando inutili sprechi dovuti all'evaporazione e ovviando alla cronica penuria d'acqua. Vi immaginate quale vantaggio potremmo ottenere anche noi con una soluzione del genere? E non solo nel Sud Italia ma anche nella Pianura padana. Tra l'altro, oltre a risolvere la penuria d'acqua del nostro Meridione ma, ora, sempre più relativa anche al Nord dove d'estate per via dell'agricoltura quasi si «prosciuga» il lago di Garda, questa tecnica potrebbe servire da impulso per le ditte meccaniche che potrebbero cosi trovare un nuovo mercato. E che dire, poi, del fatto che potrebbero nascere nuovi tecnici specializzati e dunque nuovi seri corsi scolastici o universitari? Inoltre, non si potrebbe implementare una ricerca circa lo sviluppo di macchine atte all'automatizzazione dei processi di raccolta? A questo proposito mi sembra emblematico l'esempio di come, da svariati decenni, nel Nord America effettuano la raccolta dei costosi (per lo meno qui) mirtilli rossi.
Roberto Mazzoni

(La Verità, 14 giugno 2020)



«Chi crede in me, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno»

Nell'ultimo giorno, il gran giorno della festa, Gesù stando in piedi esclamò: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno». Disse questo dello Spirito, che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui; lo Spirito, infatti, non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato.
Una parte dunque della gente, udite quelle parole, diceva: «Questi è davvero il profeta». Altri dicevano: «Questi è il Cristo». Altri, invece, dicevano: «Ma è forse dalla Galilea che viene il Cristo? La Scrittura non dice forse che il Cristo viene dalla progenie di Davide e da Betlemme, il villaggio dove stava Davide?» Vi fu dunque dissenso tra la gente, a causa sua; e alcuni di loro lo volevano arrestare, ma nessuno gli mise le mani addosso.
Le guardie dunque tornarono dai capi dei sacerdoti e dai farisei, i quali dissero loro: «Perché non l'avete portato?» Le guardie risposero: «Nessun uomo parlò mai come costui!»

Dal Vangelo di Giovanni, cap. 7

 


Coronavirus in Israele, il governo reintroduce alcune "zone rosse"

"Ieri abbiamo superato la soglia dei 200 nuovi casi, che è esattamente il punto dove ci trovavamo a marzo quando abbiamo preso le prime misure di lockdown", è stato il monito del primo ministro Benjamin Netanyahu in una conferenza stampa giovedì sera. In Israele le restrizioni per contrastare il coronavirus sono state allentate gradualmente alla fine della Pasqua ebraica, a partire dal 19 aprile, a fronte di numeri incoraggianti. La misura più significativa è stata adottata il 3 maggio, con l'apertura del sistema scolastico.
Ma negli ultimi 15 giorni, il paese è andato incontro a un costante aumento di nuovi contagi: dai circa 20 quotidiani di metà maggio ai 214 di giovedì (i deceduti da Covid-19 sono diventati ieri 300). Motivo per cui ieri il governo ha reintrodotto alcune "zone rosse", in una città beduina del Negev e in un quartiere a Sud di Tel Aviv, entrambe zone ad alta densità popolare, in cui grandi nuclei familiari vivono in una stessa unità abitativa.
  L'altro grande epicentro di contagi è stato il sistema scolastico: a oggi in tutto Israele, 165 scuole hanno chiuso, 460 studenti e staff scolastico sono risultati positivi al test e circa 25.000 si trovano in isolamento. Nonostante questi dati, il governo ha deciso per ora di non chiudere le scuole e in generale di non tornare indietro sulle aperture adottate finora, rimandando la valutazione alla prossima settimana e annunciando un inasprimento delle sanzioni per gli esercizi che non rispettano le misure di distanziamento (multe fino a 1000 euro) o per chi non indossa la mascherina (50 euro), obbligatoria anche negli spazi pubblici all'aperto.
  I dati vanno anche analizzati alla luce del significativo aumento in test effettuati nell'ultimo mese (più di 17.000 solo nella giornata di giovedì). "Oltre all'aumento dei test che rivela più contagi, va anche notato che non c'è stato nessun aumento dei casi gravi o degli intubati (23 a oggi)" dice a Repubblica il professor Nadav Davidovitch, direttore della Scuola di Salute Pubblica dell'Università Ben Gurion, tra i consulenti del governo per l'emergenza Covid. "Nel momento in cui si è deciso di riaprire l'economia, l'aumento dei contagi era un fattore preso in conto, per questo non ci sorprende. Non bisogna diffondere il panico, ma d'altro canto nemmeno compiacersi dei risultati, disincentivando il pubblico al rispetto delle istruzioni base, mascherina, distanziamento fisico e igiene, che sono fondamentali". Alla domanda se in Israele sarà possibile adottare un altro lockdown, risponde: "Ci stiamo preparando all'arrivo congiunto di influenza stagionale e Covid-19 in inverno. E' una situazione che non va sottovalutata, ma Israele è molto più preparato oggi ad affrontare l'emergenza: nell'eventualità in cui a novembre ci si dovesse ripresentare una situazione come quella di marzo, credo che il paese saprà adottare misure diverse che sapranno venire incontro all'economia. Ci sono molti modelli che stiamo elaborando in merito, come il lockdown alternato per scuole e posti di lavoro, con apertura per 4 giorni e chiusura per 10. I test sierologici finora ci hanno dimostrato che siamo lontani da un'immunità di gregge, con solo il 2% della popolazione che è stata esposta al virus, per la maggior parte asintomatici. La prevenzione e il tracciamento sono gli strumenti su cui è necessario investire in questa fase. Con il mio team ora ci stiamo concentrando sull'analisi delle acque reflue nel sistema fognario, con cui è possibile individuare la presenza di focolai prima che esplodano".

(I Love Campi Flegrei, 13 giugno 2020)


Vicepremier del governo libico non riconosciuto chiede sostegno a Israele

 
Abdul Salam al Badri
GERUSALEMME - Il vicepremier del governo non riconosciuto con sede nella Cirenaica che appoggia l'Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar, Abdul Salam al Badri, ha chiesto a Israele il sostegno nella guerra contro il Governo di accordo nazionale (Gna). In un'intervista rilasciata al quotidiano israeliano "Makor Rishon", Al Badri ha dichiarato: "Non siamo mai stati e non saremo mai nemici, e speriamo che ci sosterrete". Parlando della situazione in Libia, Al Badri ha invitato Israele a unirsi all'iniziativa di Egitto, Emirati, Grecia, Francia e Cipro sul bacino del Mediterraneo per contrastare l'accordo sottoscritto nel novembre dello scorso anno a Istanbul dal premier del Governo di accordo nazionale libico (Gna), Fayez al Sarraj, e dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, per la delimitazione dei confini marittimi. "Erdogan non è solo pazzo. È al servizio del Qatar e ha reclutato migliaia di jihadisti siriani con lo scopo di prendere il controllo dei ricchi giacimenti petroliferi della Libia", ha dichiarato Al Badri al quotidiano israeliano. Nelle scorse settimane le forze del Gna, sostenute dalla Turchia, sono riuscite a respingere l'Esercito nazionale libico (Lna) del generale Haftar dalla capitale Tripoli, riconquistando città strategiche come Tarhouna e avviando le operazioni per prendere il controllo di Sirte.

(Agenzia Nova, 13 giugno 2020)


L'Ats Bergamo offre test sierologici per le popolazioni più colpite da Covid-19

Confronto tra rappresentanti della sanità lombarda e equipe israeliane del Sheba Medical Center (SMC) di Tel Aviv e del Maccabee Healthcare Service (HMO) e il Central National Technology Hub israeliano.

La zona forse più colpita da Covid-19 sottoposta a screening da parte della Regione Lombardia. L'Ats di Bergamo metterà a disposizione il test sierologico per la popolazione dei Comuni di Albino, Nembro, Alzano e tutta la bassa Val Seriana. Lo ha annunciato il presidente Attilio Fontana, spiegando che lo screening è partito già dalla fine di aprile. "Ora abbiamo deciso - ha sottolineato il presidente - di approfondire l'indagine in queste aree a maggiore impatto epidemico per ottenere una fotografia ancora più dettagliata di come si è diffusa l'epidemia e quali soggetti ha colpito". Un percorso utile per aggiornare le raccomandazioni per la sorveglianza e ipotizzare modelli operativi per intercettare eventuali nuovi focolai.
   Ma l'impegno della Regione non si ferma qui. Nei giorni scorsi c'è stato un momento di confronto tra alcuni rappresentanti della sanità lombarda e le equipe di Israele del Sheba Medical Center (SMC) di Tel Aviv e del Maccabee Healthcare Service (HMO) e il Central National Technology Hub israeliano, in collaborazione con l'Ambasciata d'Israele. E' stata l'occasione per mettere a confronto le rispettive esperienze di cura sul virus e per avviare una collaborazione stabile con l'istituto israeliano. I medici di Israele sono stati fra i primi a monitorare pazienti Covid-19 attraverso sperimentali sistemi di telemedicina avanzata.
   L'obiettivo è quello di instaurare una collaborazione proficua, che si svilupperà anche su temi quali gli strumenti di assistenza a distanza, la rimodulazione di modelli di intervento e le nuove tecnologie per diagnosi rapide.

(Sanità Domani, 13 giugno 2020)


Kibbutz, una mistica socialista e il sogno della terra promessa

di Lorenzo Fazzini

L'esperienza del kibbutz ha segnato in maniera decisiva i prodromi della vicenda sionista in Eretz Israel (terra di Israele) e dello stato israeliano dal 1948 in poi. Il sogno di una società socialista reale, basata sulla libera appartenenza (e non forzata, come nel blocco sovietico) e sulla compartecipazione economica dei propri membri, ha reso il kibbutz un esperimento sociale peculiare e oggetto di molto interesse, sia culturale che mediatico. Ma come e perché si è formata, in che modo si è sviluppata e (anche) come è decaduta quell'esperienza? A tutti queste domande risponde un romanzo che possiede il passo del reportage storico e l'andamento del racconto corale, Verso casa (Giuntina, pagine 342, euro 18).Autore è Assaf lnbari, che fino ai vent'anni ha abitato a Beth Afikim, il kibbutz protagonista del libro. Perché questa è la caratteristica di Verso casa:. non sono i personaggi fisici a essere raccontati, ma è proprio la storia di questo insediamento umano, con le sue alterne vicende (la nascita difficoltosa, lo sviluppo impetuoso, la fine decadente sotto il peso del liberalismo economico) a rappresentare il focus narrativo del testo. E come di un personaggio di cui narra (e trasfigura) la biografia, Inbari - in un romanzo che Amos Oz ha definito «il miglior libro sul kibbutz» -va alla ricerca della nascita e dei primi passi. Che sono quelli sotto il comunismo sovietico: i fondatori di Beth Afikim sono giovani ucraini che percorrono l'intera Urss e non solo alla ricerca delle possibilità di realizzare un sogno, trasferirsi in terra d'Israele per realizzare - là sì, non in Urss, dove comunismo spesso fa rima con Siberia - il socialismo.
  E così questo manipolo di pionieri sbarca in Palestina: «Ogni giorno lavorativo era un giorno di addestramento all'aratura, alla semina, alla concimazione, all'irrigazione, alla cernita e al raccolto. I compagni apprendevano il ciclo stagionale di ogni tipo di verdura, di frutta, di cereali e di legumi. Impararono che ci sono diversi tipi di terreno, più o meno permeabile, e anche a distinguere tra insetti utili e dannosi. Col tempo impararono anche a parlare meno mentre lavoravano». L'industriosità tipicamente ebraica si applica al terreno paludoso nei dintorni del lago di Tiberiade. E la vita del kibbutz (tutto in comune, no alla proprietà privata, forte importanza alla cultura e alle arti, priorità del lavoro manuale, i figli in comune quasi lontano dai genitori) diventa una mistica che un abitante sintetizza così: «Io sono legato cuore e anima a questo scenario meraviglioso che si distende sui nostri campi. Non posso abbandonarlo. Lo amo come amo la vita. Tutto il giorno ho falciato le erbacce con una falce nel nostro frutteto piantato su uno dei declivi del Giordano. Che visione sublime, spettacolare. È fantastico lavorare duramente, meraviglioso lasciare che rivoli di sudore t'inondino il volto, meraviglioso essere avvolti dalla polvere densa».
  Ma anche la grande storia entra nelle pieghe di Beth Afikim - del resto ci aveva fatto il suo ingresso dall'inizio, quando i suoi rappresentanti andavano qui e là, Londra o Washington, a perorare la causa della "comune" di Galilea. E così da un'iniziale convivenza pacifica con gli arabi, gli abitanti locali (la narrazione unilaterale di stampo ebraico è parecchio deficitaria nel descrivere l'altra parte), si passa alle scaramucce e quindi al conflitto armato. Sopraggiunge la Shoah e con essa un'immissione di nuovi abitanti, sopravvissuti alla tragedia, i tatuaggi dei campi ben visibili sulle braccia dei lavoratori in campagna. E quindi la guerra con i Paesi arabi per la costituzione dello Stato d'Israele, poi la guerra dei Sei giorni e quella del Kippur. Anche dal kibbutz partono e non ritornano uomini per la guerra. Fino all'epilogo, che Inbari descrive con un senso di smarrimento: il possedere fa il suo ingresso nel recinto del kibbutz, il "mio" fa traslocare il "nostro" (singolare che l'oggetto che segni questo trascolorare dal socialismo al capitalismo sia il televisore ... ). la globalizzazione fa il resto: «Decine di migliaia di israeliani divennero datori di lavoro o si servirono dei servizi degli agricoltori thailandesi e nigeriani, dei lavoratori edili romeni, delle colf filippine». Aleggia, nelle pagine di Inbar, il sentimento epico di un esperimento che ha fatto storia e ha fatto la Storia. Il kibbutz come un'esperienza sociale singolare e universale insieme (le assonanze con il monachesimo cristiano non sono poche ... ), in cui a guidare tutto c'era un sogno di giustizia («anche per sognare ci vuole talento») e la disponibilità a sacrificare molto di sé per quel sogno: «Siamo emigrati da soli. Senza niente. E non c'era niente qui Non c'era nessuno qui a cui chiedere, nessuno con cui lamentarsi Non ci hanno dato niente. Abbiamo fatto da soli. Non sapevamo niente di agricoltura, o di una fabbrica, o di giardini, niente di niente». Quel niente ha fatto epoca.

(Avvenire, 13 giugno 2020)


L'uomo che rivelò Israele alla Chiesa

Nel giugno 1960 Jules Isaac, uno storico ebreo, consegna un dossier a Giovanni XXIII che dimostra come l'antisemitismo cristiano stia nella tradizione e non nei Vangeli. Un punto di non ritorno.

di Massimo Giuliani

 
Jules Isaac
E' piuttosto difficile oggi immaginare quel che avvenne nel giugno del 1960, sessant'anni fa, in via della Conciliazione a Roma. Un ottantatrenne ebreo francese, lo storico Jules Isaac, sta aspettando di avere un'udienza fissata da tempo con il papa, Giovanni XXIII, a sua volta ottuagenario, per dirgli .. Per dirgli cosa? Quanta sofferenza ha causato agli ebrei nella storia l'accusa di deicidio? Che nei vangeli l'odio antiebraico non c'è e che Gesù sembra piuttosto un ebreo fedele alla Torà? Per raccontargli della moglie e della figlia, che pochi anni prima i nazisti avevano deportato e assassinato ad Auschwitz solo perché ebrei? Ma poi arriva una telefonata e l'udienza salta. Un incontro atteso da una vita sfumato all'ultimo momento, l'impossibilità di dire, di farsi ascoltare, di chiedere al capo della Chiesa Cattolica di fermare "l'insegnamento del disprezzo" verso il popolo ebraico. Subito, l'amica Maria Vingiani corre in via della Conciliazione, lo prega di non ripartire per Parigi e di aspettare, andrà lei stessa in Vaticano per capire cosa è successo. Qualche giorno dopo, il 13 giugno, le porte di bronzo si aprono e quell'incontro avviene. Il papa ascolta e il dossier che Jules Isaac aveva portato con sé finisce nelle mani giuste (quelle di Agostino Bea, biblista e cardinale di fiducia del papa). L'evento costituisce uno dei semi dai quale nascerà la dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che al punto IV cancella l'accusa di deicidio contro il popolo ebraico aprendo la strada a una profonda revisione del catechismo cattolico in materia di ebraismo. Già dal 1942 Isaac, che di professione era un docente di storia (radiato dalle scuole pubbliche con le leggi antisemite del governo di Vichy nel 1940), aveva iniziato a leggere le Scritture cristiane scoprendo che esiste una discrepanza tra la verità storica e il lascito della tradizione, tra fatti narrati nei testi e miti popolari. Nel Carnet du lépreux scriveva: «Ho letto i vangeli, li ho scrutati onestamente e meticolosamente, per quel che riguarda Israele e la posizione di Gesù in rapporto a Israele, e sono arrivato alla conclusione che la tradizione ricevuta non quadra con il testo evangelico, che essa deborda da ogni parte. È questa tradizione, non i testi, l'origine primaria e permanente dell'antigiudaismo, la matrice potente e secolare sulla quale tutte le altre varietà di antisemitismo, anche le più divergenti, sono venute innestandosi». Come arrivò a questo studio lo racconta Teresa Salzano: «Jules Isaac, da laico qual era, si era fatto esegeta, teologo, studioso appassionato della Bibbia, degli apocrifi e dell'apocalittica. Germaine Bouquet, insegnante di matematica, a quel tempo partigiana, negli anni della persecuzione lo nascose a casa sua e cercò di procurargli, tra le mille difficoltà della vita clandestina, i libri che il suo studio richiedeva. Egli viveva confinato in una casa di campagna nella regione del Clermont-Ferrand, da cui spesso doveva scappare per trovare nascondigli più sicuri. I volumi di cui aveva bisogno erano reperiti nei conventi delle vicinanze. E da quel momento lo scopo della sua vita divenne questo: far conoscere Gesù agli ebrei e Israele ai cristiani».
  Questo studio diventerà nel dopoguerra uno dei testi fondamentali, per quanto pionieristico, del nuovo rapporto tra ebrei e cristiani, con il titolo Gesù e Israele (tradotto in italiano nel 1976). In chiusura del libro Isaac scrive: «A questo sforzo di rinnovamento e di purificazione [dell'interpretazione antiebraica delle Scritture cristiane], a questo severo esame di coscienza io invito i veri cristiani e anche i veri israeliti. È questa la lezione più importante che si sprigiona dalla meditazione di Auschwitz, dalla quale io non so distaccarmi, dalla quale nessun uomo di cuore dovrebbe astenersi». Nell'agosto del '47, nella cittadina svizzera di Seelisberg, un gruppo di pastori evangelici, di teologi cattolici e di ebrei impegnati raccoglieranno il messaggio del testo di Isaac, e sotto la sua regia trasformeranno i ventidue capitoli di Gesù e Israele nei dieci Punti di Seelisberg, che forniranno la road map del dialogo ebraico-cristiano per tutta la seconda parte del XX secolo.
  Invero già nell'ottobre del 1949 Isaac venne a Roma e si recò a Castel Gandolfo, dove un amico lo spinge a incontrare Pio XII durante un'udienza pubblica. Ma fu un incontro in piedi, brevissimo, che non lasciò traccia. Le speranze si riaccesero con l'elezione del nuovo papa, al quale Isaac voleva consegnare personalmente il documento di Seelisberg. Si era all'alba dei lavori di un concilio che avrebbe dovuto rivoluzionare il tradizionale insegnamento e la secolare politica della Chiesa cattolica verso ebrei ed ebraismo. Papa Roncalli nel 1959 aveva fatto togliere dalla preghiera liturgica del Venerdì Santo l'aggettivo perfidis al sostantivo Iudaeis, ormai totalmente spregiativo nell'italiano corrente. Grazie dunque a Maria Vingiani, Isaac riuscì a ottenere in fretta la nuova udienza e consegnare al papa il frutto dei suoi studi. Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII, ha scritto: Un papa non si era mai immaginato che il Concilio dovesse occuparsi anche della questione ebraica e dell'antisemitismo. Tuttavia, a partire da quell'incontro, sostenne fermamente quest'idea». Si racconta, di quell'incontro così sofferto e importante, che si sia chiuso con questo scambio. Alla domanda di Isaac: "Posso dunque nutrire un po' di speranza?", il papa avrebbe risposto: "Voi avete diritto a molto più di una speranza!". Il fatto che tale aneddoto sia entrato nella storia dei nuovi rapporti tra ebrei e cristiani è indice del valore simbolico di quell'incontro, che segna una svolta o meglio l'inizio di una fase nuova, che diede frutti impensati e impensabili solo fino a qualche anno prima.
  Nel 1962, all'età di ottantacinque anni, Jules Isaac diede alle stampe un ulteriore saggio sull'insegnamento del disprezzo, dove afferma: «La storia ha diritto di chiedere ragione alla teologia dell'uso che essa fa dei dati storici che le vengono forniti. Essa ha diritto di chiederle di non falsificarli o snaturarli, e di restare onestamente fedele alla verità storica, nella misura in cui questa può essere onestamente colta e fissata. Che la teologia vada oltre la storia, sia; ma a condizione di rispettarla fin dall'inizio cioè di partire dalla verità storica. Questo non è soltanto il suo dovere, ma, se mi è consentito, una sua sacra obbligazione, perché, come ricorda il teologo protestante Karl Barth, la verità è da Dio».
  Sta qui il senso più profondo dell'impegno di Jules Isaac dal giorno in cui, nel 1940, la legge francese lo aveva reso un fuorilegge fino alla sua morte avvenuta nel 1963, lo stesso anno della scomparsa di Roncalli. Egli non fu né mai pretese di essere un teologo o un biblista. Restò sempre uno storico, che però volle applicare con onestà il suo metodo di indagine a un ambito (quello degli scritti neotestamentari) la cui cattiva interpretazione tanto male e tanta sofferenza avevano causato a lui, alla sua famiglia morta ad Auschwitz e al popolo di Israele. Cercò la verità storica, riconobbe la distinzione tra fatti e loro lettura teologica, accettò l'esistenza di un'ermeneutica lontana dalla sua fede ma contribuì a smascherare l'ideologia e il mito che vi si erano incrostati diventando antigiudaismo religioso. In tal modo contribuì a mettere in moto quel processo, necessario e irreversibile, che avrebbe capovolto, quale atto di teshuuà, l'insegnamento del disprezzo trasformandolo nel suo opposto: un insegnamento di rispetto, anzi di stima verso gli ebrei e il popolo di Israele, verso la tradizione rabbinica e verso la fedeltà di quel popolo alla sua elezione, non in chiave propedeutica all'avvento del cristianesimo (come vorrebbe ancor oggi una cripto-teologia sostituzionista) ma in quanto risposta autonoma, e teologicamente valida di per sé, ai doni divini.

CHI ERA
La donna che rese possibile l'incontro, Maria Vingiani (1921-2020), è la studiosa che, già collaboratrice a Venezia del Patriarca Roncalli e amica di lsaac, intervenne perché il papa incontrasse lo storico ebreo francese. Negli anni Cinquanta animò un gruppo biblico. Trasferitasi a Roma per seguire i lavori del Concllio, nel 1966 fondò Il SAE, Segretariato Attività Ecumeniche, che presiedette fino al 1996. In molteplici convegni presso La Mendola e Camaldoli fece incontrare e dialogare esponenti delle diverse confessioni cristiane, tra cui Paolo Ricca e Enzo Bianchi, Giovanni Cerati e mons. Luigi Sartorl (di cui fu grande amica), e non pochi ebrei tra cui Nathan Ben Horin, Miriam Viterbi, Amos Luzzatto e Bruno Segre. Nel 1997 promosse in Israele la piantagione di una foresta In onore di Papa Roncall e di Jules lsaac. Nello stesso anno Giovannl Paolo II la nominò Signora dell'Ordine di San Gregrorio Magno, prima donna in assoluto a ricevere quest'alta onorificenza vaticana per il suo impegno in ambito ecumenico e interreligioso


(Avvenire, 13 giugno 2020)


Coronavirus: Israele, 1700 contagi in due settimane

di Giacomo Kahn

Preoccupa in Israele la ripresa dei contagi da coronavirus dopo che il paese ha avviato la riapertura. Nelle ultime 24 ore sono stati individuati 106 casi positivi, che portano a circa 1700 i contagi delle ultime due settimane. Un dato allarmante dato che nell'intero mese di maggio i nuovi positivi erano stati meno di 1200, scrive il sito Times of Israel. Il numero di casi attivi, in questo paese di meno di nove milioni di abitanti, si attesta ora a 2947, dopo essere sceso sotto 2mila in maggio. Fra questi vi sono 31 casi gravi, 24 dei quali attaccati ai respiratori. Intanto un nuovo decesso ha portato a 300 il numero di morti. Le autorità sanitarie attribuiscono l'impennata di contagi alla riapertura delle scuole, avvenuta gradualmente in maggio dopo due mesi di chiusura. Ben 142 scuole e asili dell'infanzia sono stati nuovamente chiusi dopo che 442 fra studenti, insegnanti e personale sono stati trovati positivi e quasi 24mila persone sono state poste in quarantena.
   C'è anche preoccupazione per una persona positiva al covid-19 che, a fine maggio, ha partecipato ad un grande evento disco a Rishon Lezion, vicino Tel Aviv, dove centinaia di persone hanno ballato senza rispettare le distanze. Le autorità sono poi intervenute contro il proprietario del locale che si è difeso dicendo che c'erano solo 600 persone, rispetto ad una capacità di 1930. Per ora il governo non ha voluto chiudere nuovamente tutte le scuole, scegliendo d'intervenire caso per caso. Intanto il primo ministro Benyamin Netanyahu ha deciso martedì di rinviare a data da destinarsi l'apertura di cinema e teatri, oltre alla piena ripresa dei servizi ferroviari. E' stato anche deciso il rafforzamento della sorveglianza della polizia sul rispetto delle distanze sociali e il porto di mascherina nei luoghi pubblici. Il ginnasio Rehavia di Gerusalemme, uno dei primi dove è ripartito il contagio, con 150 infetti, è stato parzialmente riaperto oggi, ma solo per gli studenti delle classi dove sono previsti esami, suddivisi in piccoli gruppi.

(Shalom, 12 giugno 2020)


Abu Mazen vuole l'annessione

L'editoriale paradossale (ma non poi tanto) firmato dal direttore del più filo-palestinese dei quotidiani israeliani

C'è una persona che potrebbe impedire a Israele di procedere, dopo il primo luglio, con l'annessione di insediamenti e di ampie porzioni della Cisgiordania, e questa persona è Abu Mazen. La cosa non richiederebbe un grande sforzo da parte del presidente dell'Autorità Palestinese. Tutto quello che dovrebbe fare è telefonare o mandare un e-mail o un messaggino alla Casa Bianca per chiedere un incontro con il presidente Donald Trump durante il quale annuncerà la sua disponibilità a riprendere i colloqui di pace con Israele sulla base del cosiddetto "accordo del secolo" dell'amministrazione americana. Dopo un messaggio del genere, Trump chiederebbe quasi sicuramente al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di congelare la progettata annessione e avviare negoziati per un accordo dettagliato sullo status finale, grazie al quale verrà creato uno stato palestinese....

(israele.net, 12 giugno 2020)


La scommessa del colosso tech: "Apriamo la casa delle start-up"

StMicroelectronics ha scelto Torino come luogo dove sviluppare St-Up accelerator, un programma nato in Israele per accelerare start up hardware.

di Leonardo Di Paco

TORINO - StMicroelectronics, uno dei più grandi produttori al mondo di semiconduttori, ha stretto una partnership con Torino City Lab, la piattaforma di regia dell'innovazione del Comune. Sono bastati pochi mesi di trattative per convincerli a sbarcare nella nostra città, a dimostrazione di un territorio che, nonostante la crisi, vanta un appeal sempre maggiore nei confronti dei principali player del mondo dell'innovazione. Il colosso tech con sede in Svizzera - 9,56 miliardi di dollari di ricavi nel 2019 - ha scelto Torino come luogo dove stabilire il suo nuovo hub italiano dove sviluppare St-Up accelerator, un programma nato in Israele per accelerare start up hardware nei principali ambiti in cui opera l'azienda quali mobilità smart, Industria 4.0 e Salute.
Torino City Lab (Tcl) grazie alla collaborazione con Stm potrà dunque contare sul supporto di un colosso internazionale nell'ambito di tecnologie hardware e software che consentono a tutte le start-up e le aziende presenti dentro Torino City Lab di usufruire di queste tecnologie in ambito della sensoristica, della connettività, del calcolo computazionale, dell'intelligenza artificiale e dell'ottimizzazione dell'efficienze energetiche. Dall'altra parte Stm, entrando a far parte di Torino City Lab, metterà le proprie tecnologie a disposizione degli ambiti di ricerca su cui Tcl lavora come cyber security, smart city e smart road.
   Stm opera attraverso due canali. Da una parte ci sono i cosiddetti "proof of concept", ovvero studi di fattibilità per verificare la capacità di andare sul mercato. In sostanza chi ha un'idea, senza per forza essere esperto di elettronica, con questa modalità può sperimentarla per poi accedere ad un ecosistema, quello di Stm, in grado di traghettare verso l'industrializzazione. Dall'altra c'è St-Up, programma nato per accelerare lo sviluppo di start up di tipo hardware. «L'acceleratore fornirà accesso prioritario alle start up selezionate perché compatibili con la nostra "vision" in modo da identificare future aziende di successo concentrate sull'hardware e alimentare così collaborazioni a lungo termine» spiega Alessandro Messi, vice president Sales and Marketing di Stm per le aree Emea e Sein.
   Secondo l'assessore comunale all'Innovazione, Marco Pironti, «Torino sta cercando dei campioni internazionali di innovazione proprio perché oltre a puntare sulle start up esistenti, e quelle attive sono 350, ha l'obiettivo di incrementarle». Il luogo fisico dove ospitare l'acceleratore ancora non è stato identificato. L'idea è realizzare più hub diffusi, che dovrebbero trovare il nucleo centrale ai Poveri Vecchi di corso Unione Sovietica. Qui, infatti, sotto l'egida del Csi Next, potrebbe trovare la sua sede principale la "Casa delle tecnologie emergenti" nel caso il Comune si vedesse approvato il bando ministeriale pubblicato da poche settimane.

(La Stampa, 12 giugno 2020)


Il 35° governo di Israele e la storia di alcuni ministri

di Giancarlo Valori

Come molti sanno, il governo di Gerusalemme doveva formarsi già dopo le elezioni del 9 aprile 2019, ma è stato proprio Netanyahu a non riuscire a comporlo, e la Knesset si è nuovamente sciolta per preparare le ulteriori elezioni, che si sono svolte il 17 settembre 2019.
Anche dopo questa seconda elezione non ci sono state le condizioni politiche e numeriche per creare una stabile e omogenea maggioranza di governo, e sono state organizzate altre nuove elezioni, per il 2 marzo 2020.
Il 20 aprile, sempre del 2020, è stato poi siglato l'accordo tra Benny Gantz e Bibi Netanyahu che ha portato all'attuale governo di unità nazionale, che ha iniziato ufficialmente i suoi lavori il 17 maggio 2020.
Il primo ministro, lo abbiamo già detto è, per gli accordi intercorsi con Benny Gantz, lo stesso Netanyahu, che poi passerà, a metà della durata costituzionale del Governo, il testimone a Gantz, che però è già ministro della Difesa.

Gantz è stato Capo di Stato Maggiore della IDF, le Forze Armate israeliane, dal 2011 al 2015, poi è divenuto presidente della Knesset dal 26 marzo al 17 maggio del 2020.
Il suo partito, "Resilienza di Israele", lo ha fondato nel dicembre 2018, alleandosi poi con i gruppi di Telem, fondato dall'ex-ministro della Difesa Moshe Yaalon, che è un gruppo di centro-destra, e anche con lo Yesh Atid, ("c'è un futuro") un partito fondato nel 2012 da Yair Lapid, fondando quindi una coalizione "Bianco e blu".

Il ministro per l'Agricoltura e lo Sviluppo Rurale è Alon Schuster, sempre dei "Bianchi e Blu".
Figlio di un tedesco e di una argentina, è nato a Sderot, uno dei Kibbutz più noti e antichi di Israele, poi ha fatto parte della Brigata Nahal ed è stato ferito in guerra.
La Brigata Nahal, divenuta autonoma nel 1982, nelle more della guerra in Libano, è una struttura particolare nell'IDF: nasce da un regolare battaglione di paracadutisti, ma è formata anche da volontari del movimento politico sionista Nahal, che rappresenta una tradizione che mescola volontarismo sociale, la vita nel kibbutz e la tradizione militare israeliana, di cui il kibbutz (si pensi alla storia del Palmach, per esempio) è parte identitaria e integrante.
Schuster è stato un membro storico del Labour Party (HaAvoda) che è socialista democratico ma soprattutto sionista, il quale è un gruppo politico che nasce nel 1968 dalla fusione di Mapai ("Partito dei Lavoratori della Terra di Israele") HadutHaAvoda, ("Unità del Lavoro") che è il vecchio partito di Ben Gurion, e il Rafi ("Lista dei Lavoratori Israeliani") fondato, sempre da Ben Gurion, nel 1965.
Con il Fondatore dello Stato di Israele, nel 1965, andarono nel Rafi personaggi come Moshe Dayan, Shimon Peres, Chaim Herzog e Teddy Kollek.
Kollek, che è stato per vari anni sindaco di Gerusalemme, è stato un personaggio importantissimo per la costituzione dello Stato israeliano, sia pubblicamente che con le sue operazioni coperte, in Europa e in Italia soprattutto.
Ma, tornando a Schuster, egli si è unito ai "Bianchi e Blu" nell'aprile 2019 ed è stato quindi eletto alla Knesset.

Il Ministro per l'Aliyah, ("salita") ovvero il diritto al ritorno di tutti gli ebrei in Israele, che più esattamente si definisce come "Ministro della Aliyah e dell'Integrazione" è Prima Tamano-Shata.
Avvocato, giornalista, militante politica, è una ebrea di origine etiope ed è appunto nata in Etiopia.
Solo alla fine di marzo 2020 ha lasciato il gruppo Yesh Atid, per unirsi anche lei ai "Bianchi e Blu".
Prima Tamano-Shata è nata vicino a Gondar, nella regione degli Amhara, la tribù che seguì eroicamente le gesta di Amedeo Guillet, che loro chiamavano Kummandant Shaitan, "comandante diavolo".
La famiglia del futuro ministro arrivò in Israele con la "Operazione Mosè", quando i Falascià e i Beta Israel etiopi e sudanesi vennero segretamente trasportati dall'IDF durante la carestia africana del 1984.

La ministra “del rafforzamento e dell'avanzamento della comunità" ovvero il ministero che si occupa delle amministrazioni comunali e locali, è Orly Levy-Abekasis, che fa parte del movimento Gesher, ("ponte") un'area liberale di centro.
Il partito, peraltro, è stato fondato proprio dal padre di Orly Levy-Abekasis.
La neo-ministra è entrata alla Knesset nel 2009 con il movimento Israel Beitenu, per poi fondare, nel 2019, insieme al padre, il suddetto partito Gesher, che ha all'inizio corso insieme al Partito Laburista.
Il padre, è bene ricordarlo, era il ministro degli Esteri marocchino, nonché amico personale del Re, David Levy.
E' stata, Orly, membro delle Forze Aeree di Israele, poi ha studiato legge a Herzliya, e oggi vive nel Kibbutz "Mesilot".

Ministro delle Telecomunicazioni, essenziali in un Paese come Israele, è oggi Yoaz Hendel.
Appartiene al piccolo movimento Derekh Eretz. Un movimento di centro-destra, secondo le coordinate politiche europee, che è stato fondato nel marzo 2020 da Zvi Hauser e dallo stesso Yoaz Hendel, dopo che avevano lasciato Telem, uno dei componenti, lo ricordiamo, dei "Bianchi e Blu".
Storico militare, è anche giornalista e presidente dell'Istituto per la Strategia Sionista, fondato nel 2005, ma il suo vero obiettivo è la scrittura di una vera e propria Costituzione per Israele.
Si occupa molto di demografia, come dovrebbero fare anche gli altri governi moderni.
Di origine rumena e polacca, è cresciuto nell'insediamento di Elkana.
E' stato anche un elemento importante dello Shayetet 13, una delle più importanti forze di élite.
Dopo sei anni di servizio, è stato dimesso ed è stato, successivamente, membro dell'ufficio del Primo Ministro.
Tenente colonnello della Riserva.

Yaachov Litzman è l’attuale ministro della Edilizia e delle Costruzioni, ma è stato anche ministro della Sanità.
E' nato da sopravvissuti alla Shoah in un campo profughi tedesco. Poi, lui e la sua famiglia sono emigrati a Brooklyn, e successivamente, a 17 anni, è emigrato in Israele con i genitori.
E' un Haredim e appartiene al "giudaismo unito nella Torah", che è una alleanza di Agudat Israel, che si lega storicamente e sapienzialmente all'omonimo movimento in Alta Slesia, che è ormai più chassidico che non haredi, anche se ha una lunga storia come movimento non-sionista degli Ebrei osservanti.

Per il ministero della Cultura e dello Sport, c'è Hili Tropper, un "Blu e Bianco".
Figlio di un Rabbi, ha iniziato la sua carriera politica nel Labour, ma ha anche una lunga esperienza nelle questioni educative e scolastiche e un rapporto personale efficace con Benny Gantz.

Per il Ministero del Cyber e delle questioni digitali nazionali è stato nominato Dudi Amsalem, del Likud.
David "Dudi" Amsalem è stato già ministro delle telecomunicazioni, discende da una famiglia di ebrei marocchini, è stato comandante di un tank nell'IDF e poi si è dedicato alla Economia e alla Business Administration, per la quale si è laureato alla Bar-Ilan.
Presidente della sezione di Gerusalemme del Likud.

Per il Ministero della Difesa, un posto chiave, è stato nominato ora Michael Biton, ancora un "Blu e Bianco".
Anche lui un ebreo marocchino, si è laureato in Studi Ebraici e in scienze del comportamento alla Università Ben Gurion del Negev, ed ha inoltre un MA in "leadership organizzativa" alla Università Ebraica di Gerusalemme.
Già eletto nelle liste di Kadima, il vecchio partito centrista e liberale nato nel 2005 dai membri del Likud e anche del Labour che sostenevano il piano unilaterale di disimpegno, per la questione con gli arabi, elaborato da Ariel Sharon, ha poi fondato, lo stesso Michael Biton, un nuovo partito politico, denominato Ahi Israel, ma poi si è ricollocato rapidamente con i "Bianchi e Blu".

Il Ministro per gli Affari della Diaspora è oggi Omer Yankelevitch, nata Galitsky.
Avvocatessa e militante per i diritti civili, è membro del partito fondato da Benny Gantz e ha creato da tempo la Fondazione Just Begun, che si occupa di integrare le popolazioni marginali e periferiche di Israele.
E' di formazione Haredi e di origini lituane. Ha insegnato ebraico e tradizioni ebraiche, da giovanissima, a Mosca e in Ucraina.

Il ministero dell'Economia, che si è fuso con il ministero del Welfare nel 1970, è oggi Amir Peretz.
Un laburista "storico" e attuale leader del Labour Party, che è stato anche già ministro della Difesa e ministro della Protezione Ambientale, oltre che capo dell'Histadrut, dal 1995 al 2006, il sindacato nazionale dei lavoratori israeliani.
Un sindacato che nasce ai tempi del Mandato britannico in Palestina, è bene ricordarlo, mentre Peretz è stato anche sindaco di Sderot, lasciando poi i laburisti per fondare il suo partito, One Nation, nel 1999, ovvero Am Ehad, più esattamente "un solo popolo".
Ma, dopo il 2006, Peretz e il suo parzialmente nuovo Labour entrano nella coalizione dominata da Kadima, fondato nel 2005 per sostenere il piano di disimpegno unilaterale di Ariel Sharon dalla Striscia di Gaza. Dove Peretz, in quel governo, fu ministro della Difesa.
E' stato il grande sostenitore della Guerra in Libano, sempre del 2006 e, soprattutto, del progetto di protezione elettronica e missilistica Iron Dome, ma fu poi battuto all'interno del Labour da Ehud Barak e rassegnò le dimissioni.
Nel 2012 si ritira dalla Knesset e anche dal Labour, per entrare nella nuova formazione politica detta Hatnua, "il Movimento", di area centrista e liberaldemocratica.
Nel 2013 corre con i Verdi, che si sono precedentemente federati a Hatnua, mentre nel 2015 si fa eleggere alla Knesset in una lista, unita al Labour, chiamata "l'Unione Sionista", che diviene il secondo gruppo parlamentare più grande in quel momento.
Hatnua era un gruppo le cui richieste si incentravano, soprattutto nel 2013, sulla pace tra Israele e gli Arabi, sulla giustizia sociale, sulla piena occupazione e anche sulla piena fusione tra esercito e cittadinanza, inoltre anche sul pluralismo religioso e sul laicismo.

Ministro dell'Educazione è oggi Yoav Galant.
Già comandante delle Forze del Sud dell'IDF, già ministro delle Costruzioni nel 2015, è poi passato al Likud.
La madre, polacca, è sopravvissuta alla Shoah, il padre è stato partigiano delle brigate ebraiche che combatté i nazisti nelle foreste ucraine e bielorusse.
È stato membro della Brigata Givati, l'84°; e ha combattuto nella guerra del 1948 e nelle altre successive.
La Givati era di stanza nella Striscia di Gaza e compiva soprattutto, fino al Piano di Sharon, operazioni di controguerriglia. Ha studiato economia e finanza all'Università di Haifa.
Galant è stato anche comandante di una nave della 13° Flottiglia, nel 1977, poi è andato a fare il boscaiolo in Alaska.
Al ritorno, va a comandare una nave lanciamissili, per poi andare a comandare tutta la 13° Flottiglia, nel 1994.
Poi diviene comandante della Divisione di Gaza, e nel 2001 va a fare il Capo di Stato Maggiore, poi diviene il Segretario militare del Primo Ministro, nel 2002.
Nel 2005, diviene comandante delle Forze del Sud dell'IDF, e in questo ruolo dirige l'Operazione Piombo Fuso.
Politicamente, Galant ha accettato inizialmente la candidatura nel Movimento Kulanu, nato nel 2014; e nel 2018 entra nel Lukud per poi essere nominato Ministro della Aliyah e dell'Integrazione, ma nel 2019 si è dimesso dalla Knesset.

Al dicastero per la Protezione Ambientale va Gila Gamilel, una signora nata nel 1974, sempre Likud, di famiglia ebraica-yemenita.
Sua madre proveniva dalla Libia. Ha studiato Storia del Medio Oriente e Filosofia all'Università del Negev, e in seguito si è diplomata anche in Legge.

Alle Finanze va Israel Katz, sempre del Likud. Katz è già stato ministro dell'Agricoltura, dei Trasporti, dell'Intelligence e poi degli Esteri, oltre ad essere membro del Gabinetto per la Sicurezza di Israele.
I genitori, sopravvissuti alla Shoah, erano tedeschi della regione germanofona della Romania, al confine con la Germania e l'Ungheria.
Nel 1973 entra nella Brigata Paracadutisti, nel 1977 si iscrive all'Università Ebraica di Gerusalemme. Entra alla Knesset per sostituire Ehud Olmert.
Nel 2003 diviene ministro dell'Agricoltura nel governo di Ariel Sharon, e nel gennaio 2004 annuncia un piano per aumentare gli insediamenti nelle Alture del Golan, Katz fu inoltre contrario al piano di disimpegno nella Striscia di Gaza, insieme a Netanyahu, poi fa addirittura lobbying con l'Associazione Sionista Mondiale, per favorire il sostegno agli investimenti ebraici nella West Bank.
Nel 2009 è ministro dei Trasporti nel governo Netanyahu. Ministro, poi, degli Esteri in questo gabinetto tra Likud, "Blu e Bianchi" e altri, è Gabi Ashkenazi.
E' stato Capo di Stato Maggiore Interforze, per utilizzare la terminologia italiana, dal 2007 al 2011, è comunque un ebreo Mizrahi, ovvero un ebreo orientale e di origine, spesso, maghrebina, e nasce nell'area di Sharon, nell'Israele centrale, e il padre, sopravvissuto alla Shoah, emigra dalla Bulgaria in Israele mentre la madre era una ebrea siriana.
Studia in una grande scuola, il Ginnasio Herzliya, poi va alla US University of Marine Corps.
Membro della Brigata Golani, dal 1972 al 1988, il suo battesimo del fuoco è nella Guerra dello Yom Kippur, poi partecipa anche all'operazione Thunderbolt, ovvero alla Operazione Entebbe, poi ancora fa parte della Operazione Litani, del 1978.
Nella Guerra del Libano del 1982, Ashkenazi è il vice-comandante del Battaglione Golani, che poi comanderà dal 1987.
L'anno successivo, viene nominato Capo dell'Intelligence nel Comando Nord dell'IDF.
Capo, successivamente, dell'amministrazione civile nel Libano occupato, per poi divenire, nel 1994, Comandante delle Operazioni nel Comando Nord dell'IDF, e non fu peraltro d'accordo con l'abbandono, da parte di Israele, delle posizioni in Libano che, secondo lui, dovevano essere contrattate con la Siria.
Diviene vice-comandante di Stato Maggiore dell'IDF nel 2002, ma è stato anche a capo della costruzione e del mantenimento della fence che separa arabi e ebrei nella West Bank.
La sua idea era quella di costruire la fence in parallelo ma vicinissima alla green line, la "linea dell'Armistizio" del 1949.
Poi, Ashkenazi diviene Direttore Generale del Ministero della Difesa, nel 2006, per poi accedere al ruolo di Capo di Stato Maggiore, nel 2007 fino al 2011.
E' entrato nel gabinetto attuale come "Blu e Bianco".

Alla Salute va Yudi Edelstein. Likud.
Di origini ucraine, è figlio di padre ebreo e di madre cristiana, entrambi poi divenuti cristiani. Oggi il Ministro si dichiara Cristiano Ortodosso ed è anche un "pope".
Arriva in Israele nel 1977, ma ritorna e viene successivamente "spedito", poi, dal KGB, in Siberia, dopo che il Servizio russo gli ha "trovato", ma guarda caso, della droga in casa.
Emigra definitivamente in Israele nel maggio 1987, va a abitare nell'insediamento della West Bank di Alon Shvut, fa subito dopo il servizio militare nell'IDF come caporale.
Nel 1996 fonda il Partito IsraelBaAliyah, insieme al famoso dissidente sovietico Nathaniel Sharansky.
Nel 1996 viene eletto alla Knesset e diviene Ministro per l'Assorbimento dei Migranti in un governo in gran parte Likud, già allora diretto da Netanyahu.
Nel 2009 è poi Ministro della Informazione e della Diaspora.
Dopo le elezioni del 2013, diviene Presidente della Knesset.

Per l'Alta Educazione, e come Ministro dell'Acqua, due dicasteri stranamente uniti insieme, ministro oggi è Ze'ev Elkin. Sempre Likud.
Anche lui ebreo ucraino, si iscrive da giovane alla Bnei Atikva, il più grande movimento sionista religioso del mondo.
Studia matematica e fisica all'Università di Karkhov, dal 1987 al 1990, poi diviene segretario, per l'URSS, della suddetta associazione Bnei Atikva, che è stata fondata, si ricordi bene, nella Palestina del Mandato Britannico.
Studia poi, dopo la Aliyah, all'Università Ebraica di Gerusalemme, ma viene anche eletto alla Knesset nel 2006, tra le file di Kadima.
E' stato vice-ministro degli Esteri dal 2013 al 2014, per poi divenire presidente del Comitato Parlamentare sugli Affari Esteri e la Difesa.
Elkin è stato poi ministro per l'Assorbimento dei Migranti e per gli Affari Strategici, che perde quasi subito, per poi chiedere a Netanyahu il Ministero per gli Affari di Gerusalemme.

Al Ministero per l'Intelligence, va ora Eli Cohen, sempre del Likud. Già ministro per l'Industria e l'Economia, è membro del Gabinetto per la Sicurezza di Israele.
Ha un MBA in contabilità e finanza, oltre a titoli nell'ambito del management.
Il ministro della Sviluppo della Periferia, del Negev e della Galilea è oggi Aryeh Deri, dello Shas, il partito religioso degli Haredim.
Già ministro dell'Economia nel 1999, ha sulle spalle una condanna a tre anni.
Ebreo marocchino, è fratello del Rabbi di Beer Sheva, e ha abolito, da ministro dell'interno, nel 1988, la censura nei teatri.

Al ministero per gli Affari di Gerusalemme, che non è un ministero fisso nella politica israeliana, va Rafi Peretz, che è stato nell'ufficio del Capo Rabbinico Militare ed è attualmente leader del Partito della "Patria Israeliana".
Nel 2019 ministro dell'Educazione, discendente di ebrei marocchini.

Avi Nissenkorn è oggi Ministro della Giustizia. Avvocato, già segretario generale dell'Histadrut, il sindacato unitario israeliano.
Membro della alleanza "Bianca e Blu".
I genitori erano immigrati dalla Polonia, nel febbraio 2016 è un membro del labour, poi si lega al partito di Benny Gantz.

Per il ministero del Lavoro, Affari Sociali e Servizi Sociali è responsabile Itzik Shmuli, laburista e già capo dell'Unione Israeliana degli Studenti.
Genitori di origine iraqena, comandante di tank dal 1998, poi apre un ristorante a Tel Aviv, da cui parte, nel 2003, per andare in Argentina, ma poi torna a Tel Aviv e si iscrive alla Oranim School per insegnanti, appartiene ufficialmente alla comunità LGBT, e lo ha dichiarato in vari articoli.
Viene dalla Unione Sionista.

Per le Infrastrutture Energia e Acqua, il ministro attuale è Yuval Steinitz. Likud.
Già ministro delle Finanze (2009-2013) poi dell'Intelligence e degli Affari Strategici, 2013-2015, è laureato in filosofia e insegna all'Università di Haifa.
E' stato membro di Peace Now da studente.

Per la Sicurezza Interna, che si occupa di Polizia, Sistema carcerario, vigili del fuoco, l'attuale ministro è Amir Ohana, altro membro della comunità LGBT nei ranghi di ministro.
Già ministro della Giustizia, sefardita originario del Marocco, è stato membro, dopo un lungo servizio nell'IDF e nella Polizia Stradale, dello Shin Bet.
E' anche presidente del Likud Pride.

Poi, Gilad Erdan, altro Likud, è oggi ministro per la Cooperazione Regionale di Israele.
E' stato anche ministro della Pubblica Sicurezza, degli Affari Strategici, e anche ministro della Informazione, della Protezione Ambientale, della Difesa del Fronte Interno e degli Affari Interni.
Figlio di ebrei rumeni di origine ungherese, ha studiato legge alla Bar-Ilan University e fa l'avvocato. Consulente legale, anche, di Benyamin Netanyahu.
E' molto legato alla rete degli Evangelici USA sionisti, è stato anche ambasciatore di Israele, in Usa, dal gennaio 2020 fino a oggi.

Yaakov Avitan è oggi ministro per gli Affari Religiosi. E' il figlio del Rabbi di Be'er Tuvla. Rabbi già dai suoi 19 anni, è membro del partito Shas.

Per il Ministero della Scienza e la Tecnologia, il nuovo capo è Yizar Shai. Bianco e Blu.
Genitori ebrei argentini, paracadutista dell'IDF, ha fatto servizio nella guerra in Libano del 1982.
Ha studiato al Technion, la migliore università scientifica in Israele e in tutto il Medio Oriente, nata nel 1912 e oggi 85° nel ranking universitario scientifico mondiale.
Ha fondato la società business layers.

Poi, per il dicastero degli Stanziamenti Territoriali, il nuovo ministro è Tzipi Hotovely. Likud.
Ha già svolto il ruolo di ministro della Diaspora e ha una solida formazione giuridica.
E' molto ortodossa per quel che riguarda i riferimenti alla tradizione ebraica, ha una famiglia di origini georgiane. Giornalista televisiva famosa, è nota per le sue posizioni radicalmente anti-assimilazioniste riguardo agli arabi israeliani.

Meirav Cohen è ministro per l'Eguaglianza Sociale e nasce in una famiglia di ebrei marocchini.
Ha lavorato alla Radio dell'IDF e ha studiato economia all'Università Ebraica di Gerusalemme ed è "Bianca e Blu".

Per il ministero degli Affari Strategici e Informazione è stata nominata Orit Farkash-Hacohen. Bianca e Blu. Prima di questo incarico, è stata la direttrice dell'Autorità Elettrica.
Carriera da avvocato, passa all'autorità Anti-Trust poi, dal 2006 al 2007, va a studiare ad Harvard.
Asaf Zamir è invece il nuovo ministro del Turismo, Bianco e Blu. Già vice-sindaco di Tel Aviv, viene dagli USA, dove è cresciuto nei suoi primi anni. Ha fatto il militare nell'Unità Centrale di Controllo dell'Aviazione Israeliana. Ha fatto carriera di avvocato.

Ed ora arriviamo ad una vecchia amica dell'Italia, Miri Regev, ministra dei Trasporti, il terzo budget del governo israeliano. Likud, che è stata anche ministro per la cultura e lo Sport. Ebrea marocchina per parte di padre, ma la madre proveniva dalla Spagna.
E' stata la referente per la comunicazione del Comando IDF Sud, poi, l'anno dopo, il 2003, è stata la responsabile delle Relazioni Pubbliche del gabinetto del Primo Ministro nelle more della Guerra in Iraq.
Ha continuato con il lavoro della comunicazione militare con la questione di Gaza (2005) e la guerra in Libano dell'anno successivo.

Infine, ministro senza portafoglio è Tzachi Hanegbi, esperto di questioni di Sicurezza nazionale.
E' stato anche ministro dell'Agricoltura e della Cooperazione Regionale. Poi è stato anche a capo del dicastero della Giustizia, della Sicurezza Interna, dell'Intelligence e responsabile, per il Primo Ministro, della supervisione delle Agenzie di Sicurezza. Nasce da una famiglia di fondatori delle organizzazioni coperte che poi faranno capo, in seguito, al Likud.

(il denaro.it, 12 giugno 2020)


Berlino e Amman ribadiscono l'opposizione al piano di Israele

La Germania e la Giordania hanno nuovamente ribadito il proprio rifiuto al piano di annessione dei territori palestinesi della Cisgiordania, delineato dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
   In particolare, tale posizione è stata rivelata durante una visita del ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, sia in Israele sia in Giordania, la prima dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19. In particolare, Maas, nel corso dell'incontro con il suo omologo israeliano, Gabi Ashkenazi, ha, da un lato, espresso l'amicizia che lega la Germania e Israele e, dall'altro lato, ha evidenziato come il piano di annessione non sia in linea con il Diritto internazionale. Pertanto, Berlino si è detta a favore di una soluzione a due Stati, nonché aperta al dialogo, al pari dell'Unione Europea, per comprendere meglio le dinamiche del progetto. "È giunto il momento della diplomazia e del dialogo" è stato affermato.
   Da parte sua, Ashkenazi ha affermato che Israele è determinato a proseguire con il proprio piano "responsabilmente" e che la sua attuazione avverrà in collaborazione con gli Stati Uniti e nel rispetto degli accordi di pace esistenti e futuri, raggiunti con i Paesi vicini, in modo da preservare gli "interessi strategici" israeliani. Pertanto, anche Israele si è detto disponibile al dialogo.
   La Giordania, attraverso il ministro degli Esteri, Ayman Safadi, ha espresso il proprio sostegno alla soluzione a due Stati per porre fine al conflitto israelo-palestinese. Il ministro giordano ha, al contempo, evidenziato il legame che lega Berlino e Amman, nonché il ruolo chiave tedesco nel Regno hashemita, in quanto secondo maggiore donatore. Circa il piano di annessione israeliano, Safaadi ha dichiarato che questo rappresenta una chiara violazione del Diritto internazionale e che non può passare inosservato, in quanto rischia altresì di creare un regime di apartheid in Palestina. Inoltre, nel corso del vertice trilaterale con il premier dell'Autorità Palestinese, Mohammad Shtayyeh, ed il ministro degli Esteri Riyad Maliki, sono state prese in esame le strade da perseguire per frenare l'annessione e ritornare al tavolo dei negoziati.
   Il ministro giordano ha nuovamente ribadito che, in caso di effettiva annessione, Amman non resterà a guardare e che sarà costretto a rivalutare le proprie relazioni con Israele. Una tale posizione era stata precisata anche dal premier del Regno hashemita, Omar Razzaz, il 21 maggio, secondo cui è probabile che si vada a formare un fronte comune tra gli Stati arabi che si oppongono al piano di annessione, con la speranza che l'intera comunità internazionale si impegni a preservare la pace nella regione mediorientale e nel mondo intero. Come riferito anche dal re Abdullah II, la Giordania teme che il crollo dell'Autorità palestinese possa causare una maggiore ondata di caos ed estremismo in Medio Oriente.
   Israele prevede di annettere territori della Cisgiordania e, in particolare, la Valle del Giordano e del Mar Morto settentrionale entro il primo luglio prossimo. Si tratta di un progetto presentato dal premier Netanyahu ed appoggiato, seppur con riserve, dal suo ex-rivale, Benny Gantz, suo vice in un governo di unità nazionale. La Giordania, dal canto suo è connessa alla questione palestinese, sebbene sia l'unico Paese arabo in Medio Oriente ad avere firmato un trattato di pace con Israele, quello del 1994, che ha normalizzato le relazioni tra i due Paesi dopo due conflitti.
   Il primo risale al 1948 e portò allo stanziamento di Israele nelle aree occidentali della Palestina, mentre la Giordania prese il controllo delle zone orientali palestinesi. Il secondo conflitto è del 1967 e risultò nella sconfitta della Giordania, con il conseguente ritiro da Gerusalemme Est e dalla Cisgiordania, pur continuando a mantenere la sovranità in questi territori. Nonostante il trattato di pace di Wadi Araba del 1994, che aveva posto le basi per la pace dopo decenni di guerra tra Giordania e Israele, il popolo giordano continua a considerare Israele un nemico e, a tal proposito, si è altresì opposto al cosiddetto piano di pace presentato dal capo della Casa Bianca, Donald Trump, il 28 gennaio 2020.

(Sicurezza Internazionale, 11 giugno 2020)


Gantz a Maas, il piano Usa per il Medio Oriente è un’opportunità storica

GERUSALEMME - Il piano di pace dell'amministrazione statunitense per il Medio Oriente "Peace to prosperity" rappresenta un'opportunità storica che è importante portare avanti insieme alla Casa bianca. E' quanto dichiarato dal ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, durante l'incontro con il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, secondo una dichiarazione del dicastero. Il piano di annessione di parti della Cisgiordania sarà avanzato "con una visione responsabile e il massimo dialogo con vari attori nella regione e nell'ambito di un ampio dialogo internazionale", ha aggiunto Gantz.
   I due ministri hanno discusso anche di altri temi, tra cui l'Iran. Durante il colloquio con l'omologo Gabi Ashkenazi, Maas ha messo in guardia Israele dall'annessione, ma ha smesso di minacciare eventuali sanzioni europee, evidenzia il quotidiano "The Times of Israel". Al pari di Ashkenazi, Gantz ha ringraziato Maas per aver messo al bando il movimento sciita libanese Hezbollah, per la lotta di Berlino contro l'antisemitismo e l'antisionismo e per la difesa di Israele "con particolare attenzione nei consessi internazionali".

(Agenzia Nova, 11 giugno 2020)


Coronavirus: confronto Lombardia-Israele per progetti e cooperazione

MILANO - Regione Lombardia ha avviato un confronto con Israele per progetti di cooperazione in ambito medico-scientifico legati al covid19. Secondo quanto riporta la Regione, si è svolto "un momento di confronto proficuo e importante tra alcuni rappresentanti della sanità lombarda e le equipe del Sheba Medical Center di Tel Aviv, del Maccabee Healthcare Service e il Central National Technology Hub israeliano, in collaborazione con l'Ambasciata d'Israele, per mettere a fattor comune le rispettive esperienze di cura sul virus e avviare una collaborazione stabile con l'istituto israeliano che per primo ha iniziato a monitorare pazienti Covid-19 attraverso sperimentali sistemi di telemedicina avanzata".
   All'incontro ha partecipato il sottosegretario alla presidenza per i Rapporti con le Delegazioni internazionali, Alan Rizzi. Si e' parlato anche di sistemi di sorveglianza basati sull'intelligenza artificiale, di strumenti di assistenza innovativi sui pazienti a distanza, di rimodulazione di modelli di intervento e di organizzazione attraverso l'integrazione di nuove tecnologie per diagnosi rapide. "Uno scambio importante reso possibile grazie all'impegno dell'Ambasciata d'Israele.
   I rapporti istituzionali, diplomatici e economici tra Israele e Lombardia sono sempre stati di grande collaborazione particolarmente circa il tema dell'innovazione tecnologica. Al percorso avviato seguiranno presto altri momenti di approfondimento", dice Rizzi. Il popolo israeliano "si è fortemente identificato con l'Italia e la Lombardia ed e' stato solidale con le loro sofferenze", spiega l'ambasciatore israeliano Dror Eydar. "Allo stesso tempo abbiamo lavorato per creare cooperazioni scientifiche proficue. Ho pensato a cosa avrei potuto fare per i lombardi e ho ritenuto che mettere a disposizione il know how dell'ospedale Sheba, un'eccellenza a livello internazionale, potesse essere utile. Il nostro pensiero in questi mesi e' andato costantemente alla sanita' lombarda cosi' colpita dal virus a testimonianza del rapporto profondo e stabile tra Lombardia e Israele - ha aggiunto Arnon Afek, direttore generale di Sheba Medical Center - Siamo solo all'inizio di una fattiva collaborazione".

(Adnkronos, 11 giugno 2020)


Da Israele un "tunnel disinfettante" per eventi pubblici più sicuri

di Michael Soncin

 
 
"La tecnologia sviluppata dai ricercatori dell'Università Bar-Ilan è stata utilizzata dalla startup RD Pack per vaporizzare l'igienizzante agli spettatori all'ingresso delle attrazioni sportive", riporta il Times of Israel.
"L'idea è di installare il tunnel all'ingresso di spazi pubblici e privati: stadi, aeroporti, scuole, uffici, centri commerciali, cinema, treni e autobus".
Si tratterebbe di un tunnel di risanamento e disinfezione, composto di un telaio in alluminio e policarbonato che spruzza i liquidi in occasione di eventi che ospitano un gran numero di persone. Uno di questi, in via di sperimentazione è stato installato presso il Bloomfield Stadium di Tel Aviv, dove le squadre di calcio stanno per riprendere a giocare, anche se senza tifosi sugli spalti.
"Quando le persone camminano attraverso il tunnel, tutto il loro corpo viene vaporizzato con il disinfettante, che funziona in modo rapido ed efficiente fornendo la completa sterilizzazione di una persona", ha affermato Eran Druker, responsabile dello sviluppo aziendale di RD Pack.
A causa del covid-19 i concerti sono stati cancellati e molti artisti hanno portato i loro spettacoli online, come il concerto di Andrea Bocelli dal Duomo di Milano, completamente vuoto.
"Tutto ciò solleva un interrogativo. Torneremo mai agli affollati concerti ed eventi sportivi? La risposta potrebbe essere affermativa se il progetto dei ricercatori dell'Università Bar Ilan darà l'esito sperato". A causa della pandemia le Olimpiadi estive di Tokio e le partite di calcio Euro 2020 sono state posticipiate di un anno.

 Un efficace disinfettante ecosostenibile e innocuo
  Ad aprile, i ricercatori hanno affermato di aver sviluppato un modo per produrre disinfettanti forti e rispettosi dell'ambiente per uccidere batteri e virus usando l'acqua del rubinetto, che è elettrificata per produrre acido ipocloroso a determinati livelli di acidità.
"Il vantaggio del disinfettante rispetto ad altre tipologie, ha affermato Eran Avraham, è che l'acido ipocloroso, a differenza degli altri disinfettanti in commercio come la candeggina, non è dannoso per la pelle o per gli alimenti".
"Il metodo è stato sviluppato e brevettato dai dottori Eran Avraham e Izaak Cohen e dal professor Doron Aurbach, capo del gruppo di elettrochimica del Dipartimento di Chimica e Istituto di Nanotecnologia e Materiali avanzati dell'Università di Bar-Ilan".

 Una difesa in più contro gli asintomatici
  Dalle parole di Avraham si apprende che attraversando il tunnel, i germi presenti sul corpo vengono eliminati. Ciò riduce la diffusione del virus e molti altri agenti patogeni, poiché va ricordato che il nuovo coronavirus è altamente infettivo e si diffonde principalmente attraverso le goccioline espulse da naso e bocca. Il patogeno ha anche la capacità di sopravvivere su mani, vestiti e altre superfici per un determinato periodo di tempo. Inoltre lo studioso sottolinea che se qualcuno fosse in contatto con un'altra persona che era malata, e ha ancora delle goccioline della persona malata sui propri vestiti, il tunnel distruggerebbe quelle goccioline, fermandone la diffusione.
"Se una persona malata ma asintomatica attraversa il tunnel, ha spiegato Druker di RD Pack, il disinfettante distruggerebbe le goccioline virali sul loro corpo e sui loro vestiti prima di entrare nel locale. Quindi, se una volta dentro la persona aderisce alle regole igieniche di base, tra cui indossare una maschera e lavarsi le mani, le possibilità di infettare gli altri diminuiscono significativamente".
Druker ha affermato che l'azienda sta anche cercando di sviluppare depuratori d'aria, utilizzando la stessa tecnologia, che può essere collocata in grandi spazi pubblici. "Lo sviluppo di questa idea è in una fase molto avanzata."
"Il tunnel aiuterà a ridurre le possibilità d'infezione", ha dichiarato Avraham.

(Bet Magazine Mosaico, 11 giugno 2020)


La Corte Europea di Strasburgo dà ragione ai filo-palestinesi

Sostengono il boicottaggio di prodotti israeliani

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato la Francia per aver violato la liberta' di espressione degli attivisti filo-palestinesi, che erano stati condannati per il loro invito al boicottaggio dei prodotti importati da Israele. "La Corte ritiene che le azioni e le osservazioni asserite contro i ricorrenti sia state espresse in termini politici e di militanza e riguardavano un argomento di interesse generale" e ritiene che la loro condanna nel 2013 da parte della Corte d'Appello di Colmar "non sia basata su motivi pertinenti e sufficienti", sostiene il braccio giuridico del Consiglio d'Europa.
   La Corte Europea di Strasburgo era stata interpellata nel 2016 da undici membri del "Collectif Palestine 68". Diffondendo nell'Alto Reno la campagna internazionale delle Ong palestinesi "Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni", i ricorrenti avevano partecipato nel 2009 e nel 2010 a iniziative in un ipermercato a Illzach, vicino a Mulhouse, per invitare i clienti al boicottaggio Prodotti israeliani. "Per natura, il discorso politico e' spesso virulento e fonte di controversie. Tuttavia rimane nell'interesse pubblico, a meno che non degeneri in una esortazione alla violenza, all'odio o all'intolleranza", ha sottolineato la Corte in una nota sulla sua decisione. "L'appello al boicottaggio e' riconosciuta come un diritto cittadino!", ha esultato l'associazione Francia-Palestina. La Corte ha condannato la Francia a pagare ciascuno dei ricorrenti "380 euro per danni materiali, 7 mila euro per danni morali e collettivamente 20 mila euro per costi e spese".

(AGI, 11 giugno 2020)


L'azione della International Criminal Court (ICC) e la bancarotta dell'Autorità Palestinese

di Ugo Volli

 
Apparentemente, è solo un episodio minore della lunga guerra giudiziaria ("lawfare") e diplomatica che l'Autorità Palestinese conduce in tutte le sedi internazionali per cercare di danneggiare Israele e di erodere il suo status legale, in genere benissimo accolta dagli organismi sovranazionali come Unesco, Commissione Onu per i diritti umani, Unione Europea che sono dominati da una maggioranza terzomondista e dal "pensiero unico" che si definisce antimperialista. Ma come vedremo, c'è qualcosa di più.
  Il fatto è questo. La procuratrice generale della Corte Criminale Internazionale (ICC - International Criminal Court) Fatou Bensouda da qualche mese sta cercando di portare a processo Israele per violazione della legge internazionale, principalmente su due punti: pretesi crimini di guerra commessi nelle operazioni difensive condotte a Gaza contro il terrorismo di Hamas e altrettanto pretesi crimini commessi nell' "occupazione" di Giudea e Samaria. Bisogna sapere che la ICC ha dei limiti d'azione molto stringenti. Fra essi da un lato la corte non ha giurisdizione se non sugli stati che hanno aderito al trattato di Roma che l'ha istituita, e Israele come gli Usa non l'ha fatto; dall'altro può essere messa in gioco solo dalla denuncia di uno stato e non da privati, organizzazioni, istituzioni non statali. Infine la corte non può agire se lo stato interessato ha già messo sotto inchiesta i fatti denunciati, con un procedimento legale sufficientemente articolato e condotto secondo i principi della legalità. Dato che il sistema giudiziario in Israele è molto attivo e chiaramente indipendente, quest'ultima clausola impedisce preventivamente l'intervento della ICC su casi come quelli della presa della nave Mavi Marmara della flottiglia di qualche anno fa, o quelli degli scontri a Gaza, che sono stati indagati dai tribunali israeliani.
  L'Autorità Palestinese ha sollecitato l'intervento della corte, ottenendo il pieno appoggio di Fatou Bensouda sul problema dell' "occupazione" di Giudea e Samaria. Ma la corte non è competente sul territorio israeliano, dato che Israele non vi aderisce. Allora Bensouda ha cercato di dimostrare che l'Autorità Palestinese è uno stato e dunque ha diritto a chiederne l'intervento per quanto riguarda il suo territorio; per confermare questa tesi molto discutibile, la procuratrice ha investito una pre-trial Chamber (una specie di giudice delle indagini preliminari), con la fondata convinzione che nonostante gli interventi di molti stati che hanno espresso parere contrario a questa estensione della competenza della International Criminal Court (fra essi USA, Australia, Ungheria, Gran Bretagna) la corte le avrebbe accordato il permesso di iniziare le sue indagini.
  A questo punto però è venuta fuori la dichiarazione del dittatore dell'Autorità Palestinese Mohamed Abbas, che in seguito all'intenzione israeliana di aderire al progetto Trump e di estendere la propria sovranità alle zone di Giudea e Samaria interessate al progetto, ha dichiarato di rifiutare gli accordi di Oslo. Ma a parte i problemi politici e di sicurezza che questa mossa pone, vi è una delicata questione legale: Se Ramallah insiste sul fatto che gli accordi del 1993 sono ormai in disuso, potrebbe minare le sue pretese di sovranità come lo "stato della Palestina", poiché fu Oslo a concedergli una prima misura di autonomia nella regione. Rinunciare a Oslo potrebbe essere visto come una resa di quella sovranità, e con essa qualsiasi diritto di presentare un caso nella ICC. Se, d'altra parte, i palestinesi rispondono che la loro dichiarazione che taglia i legami con Israele in qualche modo non ha influenzato la struttura di Oslo, avranno difficoltà a spiegare la loro posizione, perché nel trattato vi è una proibizione esplicita a ricorrere a giurisdizione esterne. La pre-trial chamber ha dunque ordinato a Bensouda di chiedere all'AP se considera l'accordo ancora valido o meno.
  La risposta è uscita pochi giorni fa. Sia pure con qualche contorsione e con la distinzione fra piano politico e piano giuridico, l'AP ha risposta di considerarsi "esente" dagli accordi di Oslo. Esente sì, ma senza tornare a Tunisi, da dove Oslo disgraziatamente li trasse fuori e li trasferì in Giudea, Samaria e Gaza. Che cosa farà Israele a questo punto non è ben chiaro, a parte non rispondere alla International Criminal Court, che non considera competente. Perché se l'accordo di Oslo non c'è più, con esso decadono tutti gli obblighi dello stato ebraico nei confronti dell'AP (salvo quelli di assistenza alla popolazione, che derivano da principi internazionali). Dunque nessuna impunità, nessun finanziamento, nessuna garanzia diplomatica, nessun riconoscimento dell'autonomia.
  Naturalmente a Israele non conviene subentrare nell'amministrazione della popolazione araba, e per questa ragione non spianterà il sistema di potere di Abbas e compari. Ma è chiaro che sul piano giuridico e diplomatico, l'Autorità Palestinese senza Oslo è un'organizzazione illegale, che controlla in parte un territorio, un po' come certe mafie o gruppi terroristi in vari stati sudamericani e arabi. Probabilmente questi sviluppi verranno alla luce pianio piano, ma essi sono importanti e potrebbero permettere a Israele, se ne avesse la determinazione, di rimediare all'errore principale di Oslo, quello di trattare con l'organizzazione terrorista OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) invece che con i capotribù locali (perché la popolazione araba anche in Giudea e Samaria è divisa in tribù semiautonome, con cui è possibile fare accordi).
  Infine, un'ultima conseguenza che mostrerà anch'essa la sua importanza in futuro. Nel diritto commerciale, quando una persona o un'organizzazione dichiara di non riconoscere più i suoi obblighi, si dice che ha fatto bancarotta, il che a certe condizioni è un reato penale, ma soprattutto annulla il suo credito: chi presterebbe denaro o accorderebbe una vendita a rate a qualcuno che ha mostrato di non onorare i suoi debiti? Quel che ha fatto Abbas è una bancarotta politica: ha dichiarato di non voler più far fronte ai suoi obblighi solennemente assunti nel contesto internazionale. E' vero che i palestinisti non hanno mai rispettato davvero Oslo, che imponeva loro fra l'altro di accettare l'esistenza di Israele e di abolire il terrorismo. Ma un conto è non pagare i debiti, un altro è dichiarare ufficialmente che se ne è esenti, cioè si disconoscono gli accordi. In futuro dunque tutti quelli che parlano di "accordi di pace", "trattative", "riconoscimenti" eccetera, dovranno spiegare che senso ha firmare con i palestinisti dei trattati che essi si ritengono liberi di annullare quando farà loro comodo. Anche questa non è una novità, perché subito dopo Oslo, Arafat dichiarò in un discorso in arabo a Johannesburg che si sentiva tanto legato al trattato quanto Maometto lo era stato con l'accordo di al-Ḥudaybiyya (628) con i suoi nemici della Mecca, che aveva stracciato alla prima buona occasione. Ma qui abbiamo non solo una spiegazione ai suoi sostenitori, bensì una dichiarazione ufficiale a una corte internazionale. E dunque ai sostenitori della "pace" resterà sempre da rispondere alla classica domanda dei gialli americani: comprereste una macchina usata da un tipo come lui?

(Progetto Dreyfus, 10 giugno 2020)


Israele, applicheremo il piano Trump in modo responsabile

In una prima fase mini annessione, non Valle Giordano

Il piano Trump sarà "applicato in maniera responsabile, in pieno coordinamento con gli Usa, mantenendo al tempo stesso gli accordi di pace e gli interessi strategici di Israele". Lo ha detto il ministro degli esteri israeliano, Gabi Ashkenazi, incontrando oggi a Gerusalemme il suo omologo tedesco Heiko Maas. "Intendiamo farlo - ha spiegato - in dialogo con i nostri vicini. Israele vuole pace e sicurezza". Ashkenazi ha anche ringraziato il governo tedesco per aver messo fuorilegge di recente gli Hezbollah libanesi.
   Secondo fonti ufficiali citate in forma anonima da Times of Israel, il premier israeliano Benyamin Netanyahu starebbe pensando a una mini annessione e senza la Valle del Giordano, almeno in una prima fase nell'estensione - sulla scia del piano di pace di Trump - della sovranità di Israele a parti della Cisgiordania prevista per i primi di luglio. In pratica - secondo le fonti - la mini annessione riguarderebbe i tre grandi 'blocchi' degli insediamenti ebraici più grandi, più antichi nel tempo e stabili: Maalè Adumim, Gush Etzion e Ariel. Aree ben definite anche dal punto di vista geografico e di mappatura dei confini, che si trovano le prime due a sud e a est di Gerusalemme, mentre la terza è nel nord est della Cisgiordania ma collegata ai sobborghi di Tel Aviv. Se così fosse - ha fatto notare le fonti - l'esclusione della Valle del Giordano, almeno nella fase iniziale, permetterebbe di non approfondire le tensioni con la confinante Giordania, che ha già manifestato netta opposizione alle intenzioni israeliane.

(ANSAmed, 10 giugno 2020)


L'ex spia del Mossad: così fu rapito Eichmann il burocrate di Hitler

Per lui venne lasciato libero Mengele

di Gianluca Perino

Sessanta anni fa, in Argentina, un gruppo di spie israeliane del Mossad mise a segno quella che ancora oggi è considerata una delle operazioni segrete più incredibili della storia: la cattura di Adolf Eichmann, il burocrate dell'olocausto. Il gerarca nazista, ritenuto uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei, dopo la fine della guerra era riuscito ad evitare l'arresto riparando prima in Italia (dove ottenne un passaporto falso intestato all'altoatesino Riccardo Klement) e poi in Sud America.
  Una volta in Argentina, dove trovò lavoro come operaio in uno stabilimento della Mercedes, Eichmann non fece granché per nascondersi. E questo alla lunga gli risultò fatale. Suo figlio si presentava con il suo vero nome, Klaus Eichmann, e spesso si vantava apertamente del passato nazista di suo padre. Così, quando si fidanzò con la figlia di un ebreo tedesco sopravvissuto a Dachau, Lothar Hermann, la debole copertura saltò definitivamente. Hermann fece arrivare l'informazione a un giudice tedesco, che a sua volta avvertì gli israeliani. Nel marzo del 1960 una spia del Mossad riuscì quindi a scattare una fotografia ad Eichmann a Buenos Aires. E dopo un vertice a Tel Aviv i servizi segreti sentenziarono: è lui. La certezza arrivò da un particolare fisico del nazista: le orecchie appuntite.

 L'operazione
  A quel punto, visti i continui rifiuti dell'Argentina all'estradizione dei criminali nazisti, Israele decise di andare a catturare Eichmann. Undici agenti del Mossad entrarono nel Paese nella seconda settimana di maggio del 1960 e dopo aver riconosciuto Eichmann definitivamente lo aspettarono alla fermata del bus vicino casa sua, a una ventina di chilometri da Buenos Aires, e lo rapirono caricandolo su un'auto. Per dieci giorni l'ex nazista venne interrogato e spostato in diversi nascondigli, fino alla fuga del gruppo su un volo della El Al (il gerarca venne caricato a bordo sedato e fatto passare per gravemente malato). Dopo un processo durato quasi due anni, Eichmann venne condannato a morte e impiccato in Israele il 2 giugno del 1962.

 I misteri del blitz argentino
  A distanza di sessant'anni sono ancora molti gli aspetti misteriosi dell'operazione. Il governo argentino era completamente all'oscuro di quello che stava accadendo? Perché gli agenti del Mossad non uccisero Eichmann in Argentina? E ancora: è vero che il gerarca nazista rischiò di morire a causa del potente sonnifero che gli iniettò il medico che partecipò all'operazione? Questa sera su Facebook l'ex ufficiale del Mossad Avner Avraham, esperto di tutte le più grandi operazioni dei servizi segreti israeliani, interverrà ad un evento live per raccontare i retroscena di quel blitz di sessant'anni fa. Aggiungendo dettagli importanti come quello legato a Josef Mengele, l'angelo della morte di Hitler. «Lo avevamo individuato - spiega Avraham - ma in quel momento la priorità era Eichmann».

- Colonnello Avraham, perché ancora oggi è importante parlare della cattura di Adolf Eichmann? Ormai sono passati 60 anni...
  «Dobbiamo ricordare l'Olocausto e parlarne alle generazioni future. I sopravvissuti dell'Olocausto rimasti non possono farlo. La cattura di Eichmann è un evento importante legato al famoso processo a Gerusalemme. È un modo diverso e interessante di raccontare la storia dell'Olocausto, attraverso il mondo dello spionaggio».

- Ha mai parlato con qualcuno che partecipò alla cattura?
  «Ho studiato questo argomento negli ultimi dieci anni e sono diventato un esperto di livello mondiale. Durante la mia ricerca, ho incontrato più di 100 persone coinvolte nell'operazione. E tra questi ci sono il comandante delle operazioni Rafi Eitan, il suo vice Avraham Shalom, l'uomo delle infrastrutture Jacob Meidad e altri. Ma purtroppo sono morti».

- Cosa le hanno raccontato di quei giorni in Argentina? Qual è stato il momento più difficile?
  «Che hanno vissuto dieci giorni in un ambiente ostile, con la paura costante di essere catturati. Ogni momento è difficile quando stai con un criminale nazista».

- Da quante persone era composto il gruppo di agenti del Mossad in Argentina? E chi era la pedina fondamentale?
  «Ogni operazione ha un piccolo cerchio circondato da cerchi più grandi di agenti. Al centro dell'operazione erano in undici. La figura importante, il grande cervello dietro a tutto, era il capo del Mossad, Isser Harel».

- Ci fu qualcuno del governo argentino che li aiutò?
  «No!».

- Deve essere stato difficile per quegli agenti sfuggire alla tentazione di ucciderlo. Del resto, conoscevano bene il ruolo che aveva ricoperto Eichmann nell'Olocausto. Qualcuno dei protagonisti le ha mai detto, anni dopo, «sì, avremmo voluto ucciderlo»?
  «Gli agenti lavorano per lo Stato e per gli obiettivi che vuole perseguire. L'obiettivo del primo ministro di allora, David Ben-Gurion, era di processare uno dei nazisti più importanti. Naturalmente alcuni di loro hanno pensato di ucciderlo. C'era una donna, di nome Judith Nessihu, che cucinava per lui e che spesso pensava di avvelenarlo».

- Come descrissero gli agenti l'uomo Eichmann?
  «Un uomo piccolo, grigio, miserabile».

- E' vero che lo stesso team entrato in azione in Argentina avrebbe potuto catturare anche Josef Mengele? Come riuscì l'angelo della morte di Hitler a salvarsi?
  «Si è vero. Il Mossad trovò l'indirizzo di Mengele in Argentina, ma la decisione fu di portare prima Eichmann in Israele: del resto, quello era l'obiettivo. Rimasero tre agenti per cercare di prendere Mengele e portarlo di nascosto in Israele via nave. Ma l'annuncio, forse prematuro, al parlamento israeliano del 23 maggio 1960 (quello sulla riuscita del rapimento di Eichmann) provocò la sua fuga. E il Mossad a quel punto annullò l'operazione Mengele».

- C'è oggi un Adolf Eichmann che Israele dovrebbe catturare?
  «Israele non ha a che fare con i nazisti oggi. Ma se c'è qualcuno che lavora per danneggiare Israele e i suoi cittadini, non dovrebbe comunque essere portato clandestinamente nel nostro Paese per risolvere il problema».

- Un'ultima domanda: quando conosceremo la verità sulle operazioni alle quali ha partecipato lei? Dovremo aspettare 60 anni?
  «Mi ha fatto sorridere. Ho terminato il mio lavoro al Mossad con il rango di tenente colonnello. Non ero James Bond, forse qualcuno come "Q" che ha affrontato il mondo con le sue invenzioni. Nel film "Operation Finale" (la pellicola pluripremiata che ha raccontato appunto l'operazione israeliana, ndr), ho fatto da consulente senior e compaio in alcune scene. Fra 60 anni io non ci sarò, ma probabilmente lascerò dei libri...».

(Il Messaggero, 10 giugno 2020)


Israele, la Corte suprema annulla la legge sugli insediamenti ebraici

Per i giudici il provvedimento è incostituzionale

La Corte Suprema israeliana ha annullato perché incostituzionale la legge che aveva legalizzato retroattivamente circa 4mila case di coloni costruite su terreni palestinesi in Cisgiordania. I nove giudici hanno votato per abrogare la norma del 2017, in base alla quale i coloni potevano rimanere nella terra se avessero costruito lì senza una conoscenza preliminare della proprietà palestinese. Otto giudici hanno votato a favore e uno contro.
   I gruppi per i diritti umani affermano che la legge, congelata subito dopo la sua approvazione mentre la corte ha ammesso gli appelli contro di essa, aveva legalizzato più di 50 avamposti di coloni costruiti senza l'approvazione del governo. La decisione - che arriva mentre il governo Netanyahu intende annettere parti della Cisgiordania - si basa sul fatto, scrive la Corte, che la legge "viola i diritti di proprietà e di eguaglianza dei palestinesi mentre privilegia gli interessi dei coloni israeliani sui residenti palestinesi". La norma riguarda circa 4.000 case costruite dai coloni.
   La discussa legge era stata congelata nei suoi effetti dai molti ricorsi presentati da ong palestinesi e israeliane alla Corte e anche l'avvocato generale dello Stato Avichai Mandelblit si era rifiutato di difenderla, in quanto rappresentante dello Stato, davanti alla Corte. Il provvedimento di legge era destinato a rendere legali le case costruite in insediamenti ebraici su terra privata palestinese erette "in buona fede" o che avevano il sostegno del governo israeliano o i cui proprietari avevano ricevuto il 125% di compensazione finanziaria per la terra.
   In questi anni la Corte ha più volte ordinato la demolizione di case costruite in avamposti ebraici su terra privata palestinese. La decisione della Corte ha scatenato le reazioni della destra israeliana mentre è stata accolta con favore dalla sinistra. Il partito centrista Blu Bianco di Benny Gantz - che è al governo con Benyamin Netanyhu - ha detto che "la decisione della Corte sarà rispettata" e che il partito "si assicurerà che sia rispettata".

(la Repubblica, 10 giugno 2020)


Covid-19, Israele investito da una seconda ondata epidemica

Israele è alle prese con una seconda ondata dell'epidemia del nuovo coronavirus. Il Paese sta facendo i conti con un inatteso aumento di contagi dopo la riapertura di scuole, negozi, bar, ristoranti e siti turistici. Al punto che quasi 200 scuole sono state nuovamente chiuse dopo che i casi fra studenti e insegnanti continuavano ad aumentare. Secondo l'ultimo bilancio ufficiale, riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, dall'inizio dell'epidemia 18.032 persone in totale in Israele sono risultate positive al nuovo coronavirus e 298 sono decedute. Una situazione che ha messo in allarme le autorità. Oggi il ministro della Sanità, Yuli Eldestein, ha detto che l'aumento di nuovi casi, quasi 200 al giorno, è "grave". Le linee guida del governo, relative al distanziamento sociale e all'uso delle mascherine, "non devono essere prese come consigli ma devono essere messe in pratica altrimenti il virus non ci lascerà", ha sottolineato il ministro. A correre ai ripari ci ha pensato il Comitato ministeriale israeliano per gli affari legislativi che si appresta a votare un disegno di legge per conferire al governo poteri più estesi in modo da imporre restrizioni per combattere il coronavirus. Questo pacchetto di leggi che dovrebbe rimanere in vigore 10 mesi autorizzerebbe l'esecutivo a dichiarare lo stato di emergenza, a imporre il coprifuoco o un lockdown su singole abitazioni o interi quartieri e di infliggere multe a chi violi le misure di contenimento.

(Shalom, 10 giugno 2020)


Quando Fausto Coen per Israele disse no al Pci

Nel giugno l967 lasciò "Paese Sera "per la Guerra dei 6 giorni. La sconfitta araba, la rabbia comunista e una prima pagina di piombo distrutta.

di Emanuele Fiano

Fausto Coen è stato un uomo e un giornalista libero; lo ricordiamo in questi giorni, perché esattamente 53 anni fa, egli dimostrò che quella sua libertà valeva più di ogni cosa. Anche se il quotidiano Paese Sera, che lui condusse a lungo, rimase sempre legato al Pci, anche se l'appartenenza culturale di Coen fu sempre di sinistra e antifascista, il suo costante rifiuto di prendere la tessera del Pci, la sua scelta di rompere con quel Partito e di abbandonare la direzione di quel giornale, in occasione della Guerra dei 6 giorni e del posizionamento dei comunisti contro Israele, ne hanno fatto per sempre l'emblema di una coerenza rara e preziosa. «Non ero comunista, e sapevo che il giornale nasceva con l'appoggio preminente del Partito Comunista, ma mi sentivo in pace con me stesso. Avevo conosciuto l'indigenza e quindi forte era la mia sensibilità verso i diseredati, i poveri, gli sfruttati, gli emarginati. Avevo vissuto gli anni bui della sopraffazione fascista, e avevo subito sulla mia pelle l'ignominia delle leggi razziali. Detestavo a ragion veduta il fascismo». Così si descriveva Fausto Coen.
   Per molti ebrei italiani, militanti nel Pd o in quell'area, la vicenda di Fausto Coen e l'esplosione di quel conflitto tra appartenenza ad un popolo e alla sua causa nazionale, e la militanza in un campo che, storicamente vicino a Israele dalla sua nascita, se ne distaccò proprio durante il rischio del suo annientamento nella Guerra dei 6 giorni, segnò i confini di una ferita che ancora, a volte, sanguina.
   Nato nel 1914 da una famiglia ebraica della media borghesia di Mantova, costretto dalla crisi del 1929, quindicenne, a lavorare per aiutare la famiglia andata in rovina, conseguì comunque la laurea appena prima delle Leggi razziali fasciste. Di quegli anni Coen racconta che fu la Guerra civile di Spagna, ad aprirgli definitivamente gli occhi sulla natura terribile dei fascismi di tutta Europa. Dopo molte peripezie nel corso della guerra, e dopo le prime esperienze da cronista, Coen entra a Paese Sera alla sua fondazione, nel 1948, prima come facente funzione e molto dopo come direttore; contribuisce a farne un giornale davvero nuovo: investe come nessun quotidiano allora, sulla cultura che viene messa in prima pagina, impone Paese Sera, con alcuni celebri scoop, con grandi racconti di cronaca, e di grandi processi, come primario quotidiano del pomeriggio; al suo progetto aderiscono firme importanti, come Natalino Sapegno, Norberto Bobbio, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Tullio De Mauro. Il giornale cresce, arriva a 100 mila copie vendute solo a Roma.
   La prima crisi di rapporti con il Pci scoppia nel 1956, quando Coen decide di pubblicare per intero il famoso "rapporto segreto" di Krusciov al XX Congresso del Pcus che denunciava il culto della personalità di Stalin. E al Partito non gradiscono. Esattamente 11 anni dopo, il 5 Giugno del 1967, Israele decide di reagire alla minaccia esercitata dagli eserciti di quattro stati arabi confinanti, attaccandoli. Inizia la Guerra dei 6 Giorni. L'Urss è già da tempo schierata a fianco dell'Egitto di Nasser e del mondo arabo, dopo essere stata nel novembre del 1947 il primo paese dell'Onu a votare a favore della spartizione della Palestina e della creazione dello Stato di Israele. Il Pci segue quella linea. Il quotidiano mantiene invece un tentativo di resoconto razionale e oggettivo della situazione in campo. Divergente dalla linea del Partito.
   Una notte, Alberto Jacoviello, redattore dell'Unità, infuriato per la sconfitta dei paesi arabi, e della linea politica sovietica, scende in tipografia e scaraventa a terra la prima pagina già composta in piombo di Paese Sera. «Un gesto teppistico di chiara marca fascista» commenterà Coen, che presenterà il giorno dopo le dimissioni dalla direzione del giornale, accettando poi, temporaneamente, l'incarico di direzione editoriale. La vicenda di Fausto Coen direttore di un giornale della sinistra comunista finisce qui. Continuerà il suo contributo di saggista e analista della storia di Israele e dell'antisemitismo.
   Quella prima pagina di piombo distrutta per rabbia, resterà simbolicamente a terra per molti anni: serviranno poi gli sforzi di Giorgio Napolitano, di Piero Fassino e di molti altri per ricostruire parole di verità nel rapporto tra la sinistra e Israele. Uno sforzo ancora necessario.

(la Repubblica, 10 giugno 2020)


Quando Mussolini volle la guerra. Un Paese gettato allo sbaraglio

Ottant'anni fa l'azzardo irresponsabile di combattere al fianco di Hitler

di Dino Meulna

Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria ... ». Alcuni nostri genitori conoscevano a memoria il discorso con cui il Duce del fascismo nel pomeriggio del 10 giugno 1940, ottant'anni fa, annunciò l'entrata in guerra dell'Italia dal balcone su piazza Venezia davanti a una folla plaudente. Un discorso che trasudava retorica, ma era privo di vera sostanza politica, con il datato riferimento alle sanzioni per la guerra d'Africa conclusa da quattro anni. Più che la guerra degli italiani era La guerra di Mussolini, come si intitola il libro firmato da Antonio Carioti e Paolo Rastelli, due giornalisti del «Corriere della Sera» che già hanno dato valide prove nella divulgazione storica.
   Con questo ricco volume i due autori, come osserva Marcello Flores nella prefazione, fanno fare un passo in avanti alla narrazione di vicende che, se non finite nel dimenticatoio o affidate alla memorialistica, vengono ormai relegate all'ambito specialistico, separando il racconto politico dall'analisi militare. Il discorso pubblico sulla Seconda guerra mondiale è concentrato in Italia soprattutto sul biennio della guerra civile, sulle vicende che vanno dall'armistizio (e dal cambiamento di fronte) dell'8 settembre 1943 alla Liberazione del 25 aprile 1945. C'è invece meno interesse complessivo, se non nella rievocazione di episodi singoli, per il triennio precedente, quello che va dal 10 giugno 1940 al 25 luglio 1943, giorno della destituzione di Mussolini. Eppure la notte drammatica del Gran Consiglio, così come le drammatiche e sanguinose vicende successive, non si capiscono senza conoscere le vicende che portarono alla «disfatta dell'Italia fascista», come recita il sottotitolo del volume.
   Il libro di Carioti e Rastelli, arricchendo lo schema seguito nel fortunato Alba nera, dedicato al 1919 e all'avvento del fascismo, offre quattro livelli di lettura. Carioti si è dedicato alla narrazione degli eventi e agli intrecci politici che quasi sempre prevalevano sulla soluzione dei problemi militari, mentre Rastelli ha fotografato in pagine di grande interesse la situazione delle tre armi, l'Aeronautica, la Marina e l'Esercito, al momento dell'entrata in guerra, rispondendo a una serie di domande cruciali. Quattro interviste a grandi specialisti come Emilio Gentile, Nicola Labanca, Andrea Santangelo e Maria Teresa Giusti offrono un articolato quadro interpretativo sui vari aspetti del conflitto. Infine una sezione dedicata ai documenti fa sì che questo sia un volume non solo da leggere, ma da custodire e consultare.
   Perché, si chiede Rastelli, l'Italia, che era il Paese di Giulio Douhet, il teorico del Dominio dell'aria (libro del 1921), e di Italo Balbo, il trasvolatore dell'Atlantico, alla prova dei fatti si era trovata impreparata e con gravi carenze tecnologiche e di addestramento? Perché la nostra Marina, che pure vantava un naviglio agli inizi nel Mediterraneo più potente della rivale britannica, non è stata vincente nel confronto bellico? Quanto ha pesato inoltre nella fallimentare conduzione della guerra una catena di comando in cui sembra che la maggiore aspirazione dei vertici fosse quella di nascondere le proprie responsabilità (e incapacità)?
   Tuttavia le ragioni della disfatta, al di là dei singoli eroismi italiani (sul fronte russo la carica a cavallo di Izbusenskij contro i sovietici, sul fronte nordafricano il valore dimostrato dai nostri soldati nelle tre battaglie di El Alamein), vanno trovate in pochi scarni numeri così riassunti da Rastelli: «Allo scoppio della guerra avevamo il 2, 7 per cento della capacità produttiva mondiale, il Giappone il 3,5, la Germania il 10, 7, per un totale del 16,4 per cento. La coalizione avversaria, dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti, ne deteneva circa il 70 per cento».
   Mussolini non poteva ignorare questi dati di fatto quando dichiarò guerra alla Francia e all'Inghilterra, quando poi volle contribuire alla lotta contro l'Unione Sovietica senza che l'alleato nazista agli inizi lo avesse sollecitato, o quando in maniera sciagurata dichiarò guerra agli Stati Uniti. La causa di tanta temerarietà è che l'ambizione politica del dittatore italiano, come emerge dal racconto di Carioti, prevalse sempre sulla considerazione realistica delle forze in campo.
   Quando il 1° settembre 1939 Hitler invase la Polonia sfidando Gran Bretagna e Francia senza avvertire l'alleato italiano, Mussolini non era sicuro di voler entrare in guerra. Il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano aveva chiesto al suo omologo tedesco Joachim von Ribbentrop tre anni di non belligeranza, ma poi, anche sollecitato dal Duce, aveva firmato una cambiale in bianco, cioè il «Patto d'Acciaio». Con le rapide affermazioni tedesche sul teatro europeo, Mussolini si convinse che doveva sacrificare alcune migliaia di morti per sedersi al tavolo della pace.
   Sperava in una guerra breve e in una rapida vittoria. Non fu così. Per bilanciare lo strapotere nazista ancora una volta ragionò da politico, quando il 28 ottobre 1940, con la (fallita) invasione della Grecia, tentò la strada di una guerra parallela e si trovò invece sempre più dipendente dal forte alleato. Il dittatore credette di giocare di astuzia quando dichiarò guerra al colosso statunitense, pur sapendo che la sconfitta era sicura. Si illudeva di poter mediare tra Berlino e gli angloamericani. Una delle tanti illusioni che portarono alla disfatta e alla rovina del Paese.

(Corriere della Sera, 10 giugno 2020)


I sionismi tra perfezione e realtà

Cosa succede a un sogno quando deve confrontarsi con il reale?

di Giorgio Berruto

Sionismo o sionismi? Già ai tempi del primo congresso sionista, che si svolse a Basilea nel 1897, era a tutti evidente l'inesistenza di un unico, monolitico sionismo. Negli anni successivi molto è cambiato, non però la pluralità dei sionismi, che anzi è semmai aumentata mentre cresceva la presenza ebraica nella Palestina prima ottomana e poi mandataria: dal sionismo tolstojano di Gordon, che invitava al ritorno alla terra delineando una figura di intellettuale agricoltore sulla scorta del Levin di Anna Karenina a quello culturale e antinazionalista di Buber, a quello antiassimilazionista fondato sullo studio delle fonti di Gershom Scholem eccetera. C'è chi dice che il sionismo, o meglio i sionismi, si siano esauriti con la fondazione dello stato nel 1948 e chi pensa che oggi, in condizioni diverse, descrivano lo stato stesso oppure l'anelito alla convivenza o alla pace o ancora la spinta all'annessione delle regioni bibliche di Giudea e Samària. Vorrei prendere in considerazione solo quelli che hanno avuto più successo e riflettere sulla relazione tra questi e una realtà che spesso li ha contraddetti, a volte anche in modo clamoroso, fino a cambiarli dall'interno.

 Herzl: uno stato tra gli stati
  La visione che Theodor Herzl sviluppa nello Stato ebraico affonda le radici da una parte nell'idea ottimista del progresso con cui gli uomini sanno migliorare la propria condizione, dall'altra in quello che ai suoi giorni veniva chiamato "concerto delle nazioni", cioè l'insieme complesso delle relazioni diplomatiche tra stati che nell'Ottocento svolgeva un ruolo nuovo e centrale. Secondo Herzl, come per quasi tutti i suoi contemporanei, esiste un problema ebraico, ma - ed è qui l'originalità della riflessione del giornalista ungherese - questo problema è di asimmetria. Mentre il popolo italiano ha uno stato, l'Italia, quello francese la Francia eccetera, il popolo ebraico non ne ha alcuno, ed è questa mancanza a generare l'odio verso il popolo senza terra, cioè l'antisemitismo. In un mondo di stati nazione, il giorno in cui gli ebrei avranno uno stato l'antisemitismo si esaurirà naturalmente perché è questa mancanza a generarlo. Per questo non fa differenza se lo stato ebraico nasce in Medio Oriente, in Uganda o altrove.

 Rav Kook: riunire l'anima al corpo
  Rav Avraham Yitzchak HaCohen Kook deve parte della popolarità di cui ancora oggi gode in Israele e altrove al fatto di essere stato tra i pochi rabbini sionisti della prima ora. Kook condivide con Herzl l'idea che esista un "problema ebraico", ma la descrizione che di questo traccia non ha a che fare con l'umanesimo ma con la mistica. C'è secondo Kook un rapporto essenziale ed esistenziale tra il popolo ebraico e la Terra di Israele, cioè le regioni bibliche. La terra, in altre parole, non è un oggetto esterno che si può desiderare o respingere, ma una parte del popolo, cioè della sua identità. Qui è interessante l'intreccio tra temi della cultura romantica europea e il misticismo. La diaspora è scissione dell'anima (il popolo) dal corpo (la terra d'Israele), e questa separazione violenta comporta la mortificazione dello spirito, l'oscurità dell'esilio. Obiettivo degli ebrei per riguadagnare la propria identità divisa, cioè se stessi, è allora riunirsi alla terra di Israele come l'anima si unisce al corpo.

 l kibbutz: la vita totale
  Quelli di Herzl e rav Kook non sono gli unici sionismi che si pongono l'obiettivo della soluzione di un affermato "problema ebraico", e non sono gli unici a pensare questa soluzione nei termini di una redenzione in grado di terminare l'esilio (esilio dall'umanità, secondo Herzl; da se stessi, secondo Kook). Un terzo sionismo di grande successo che ha posto la questione in termini analoghi è quello del kibbutz, per decenni modello guida per gli ebrei sotto il mandato britannico e poi sotto lo stato di Israele. Secondo la cultura del kibbutz, largamente influenzata dal socialismo europeo, è indispensabile per gli ebrei muoversi dal non luogo della diaspora verso la terra e qui cominciare una vita nuova attraverso il lavoro manuale. Molti kibbutzim prevedono un modello di vita totale, cioè autosufficiente. Un modello, anche in questo caso come in quelli di Herzl e Kook, che aspira alla perfezione.

 Tre storie di fallimenti
  La nascita dello stato nel 1948 ha segnato il fallimento dei sionismi di Herzl e di rav Kook. L'idea umanistica di Herzl, secondo cui la fondazione dello stato avrebbe decretato la fine dell'antisemitismo, è stata contraddetta non appena, a poche ore dalla dichiarazione di indipendenza, gli eserciti dei paesi arabi circostanti hanno mosso guerra a Israele; e continua a essere contraddetta oggi, in un rovesciamento paradossale della dottrina del "padre del sionismo politico moderno", quando uno dei volti dell'antisemitismo è proprio la delegittimazione dello stato ebraico (è sufficiente una scorsa alle risoluzioni Onu contro Israele per rendersene conto). Ma nel 1948 anche l'idea mistica di rav Kook ha subito uno scacco, quando lo stato è nato non sulle terre di cui narra la Torà, ma in gran parte su quelle che la Torà e i profeti descrivono come abitate da popoli idolatri: non sulle alture di Giudea e Samària, ma sulla striscia litoranea. Dopo il 1967, quando in seguito a una fulminea guerra difensiva Israele ha occupato le regioni bibliche, i seguaci di rav Kook hanno sì visto la possibilità di realizzare quel sionismo, ma nei decenni successivi non hanno potuto fare a meno di constatare una realtà che non poteva essere ignorata: quelle terre non erano e non sono vuote bensì abitate da altri. E il sionismo del kibbutz? Oggi sono poche le tracce che lo ricordano, la maggior parte dei kibbutzim si è trasformata o si sta trasformando insieme alle trasformazioni economiche e sociali dello Stato.

 Ben Gurion: il rifugio
  Complice l'impatto devastante della Shoah sugli orizzonti di pensiero degli ebrei sopravvissuti, ma anche il protrarsi del rifiuto da parte araba, con la fondazione dello stato nel 1948 il sionismo cambia. La pluralità di idee, cioè di sionismi, che aveva segnato i decenni precedenti viene rarefatta dall'imperativo di cui si fa portavoce David Ben Gurion: tempo di edificare. Negli anni cinquanta e sessanta non c'è tempo per discutere, occorre costruire un paese quasi dal nulla. In questo contesto il sionismo assume il significato di assicurazione sulla vita per gli ebrei, e il nuovo stato di Israele viene pensato e si propone attivamente come rifugio dalle persecuzioni e dall'antisemitismo diffusi in Europa orientale, nei paesi arabi e altrove. Un po' per volta i sogni di rigenerazione e redenzione sbiadiscono e vengono sostituiti dall'idea che lo stato stesso, in quanto esiste, sia il sionismo e che nel sionismo, così pensato, risieda la realizzazione dell'ebraismo.

 Il principio di Amos Oz ovvero di sogno e realtà
  Amos Oz diceva che i sogni sono indispensabili perché è da questi che la realtà origina. Con i sogni è possibile dare una forma alla materia informe, organizzare le indistinte possibilità attraverso un'idea, plasmare il caos originario del tohu vavohu con un'azione creatrice, demiurgica. Oz però continuava dicendo che il sogno da solo non basta perché nel momento stesso in cui da questo nasce la realtà, il primo è già tradito. Il paradosso del sogno è che proprio quando si realizza svanisce e il suo posto viene preso dalla realtà, che a differenza del sogno è sempre imperfetta. Forse anche i sionismi, che a lungo sono stati sogni per molti ebrei, andrebbero considerati come tutti i sogni: modelli di perfezione solo fino a quando sono sogni, inevitabilmente imperfetti quando scelgono di confrontarsi con la realtà.

(JoiMag, 8 giugno 2020)


«L'identità ebraica non è un mistero. E' un mistero soltanto per chi rifiuta di prendere in considerazione le chiare spiegazioni della Scrittura. Il "segreto" del popolo ebraico non va cercato né dentro l'anima dell'ebreo, né dentro lo spirito del popolo ebraico, né dentro la politica della comunità internazionale. Chi cerca lì la spiegazione s'imbatte inevitabilmente in un mistero per il semplice fatto che la spiegazione non sta lì. Il motivo d'essere del popolo d'Israele non sta dentro l'ambito di ciò che è stato creato ed esiste, ma fuori, nella decisione e nella volontà del Creatore. E non è un fatto misterioso, perché è chiaramente rivelato nella Sacra Scrittura. E' un fatto pubblico, non un segreto per iniziati. E' la famosa elezione, che significa scelta, il che presuppone un atto di volontà di qualcuno. E' vano allora sperare di capire gli aspetti insoliti dell'oggetto di una scelta senza interrogarsi sul Soggetto che ha fatto la scelta.» "L'identità del popolo ebraico: mistero della fede laica". M.C.


'Lili Marlene', un documentario a 80 anni dall’entrata dell’Italia in guerra

Due serate su Focus con documentario di Pietro Suber

ROMA - Per ricordare cosa è stata davvero la guerra, alla quale negli ultimi mesi la pandemia è stata accostata, un'occasione sarà data dal film documentario 'Lili Marlene - La guerra degli italiani', firmato e diretto da Pietro Suber. Il secondo conflitto mondiale raccontato dagli italiani: il 10 giugno 1940 saranno 80 anni dall'entrata dell'Italia fascista in guerra, un evento fatale nella storia del Paese.
   Dalla viva voce dei bambini di 80 anni fa, vittime e carnefici, fascisti, ebrei e partigiani, il racconto della più terribile carneficina dell'era moderna, nelle parole dei sempre meno testimoni ancora vivi.
   Il documentario, prodotto da Videonews, scritto da Suber con la collaborazione di Amedeo Osti Guerrazzi, storico del fascismo, collaboratore della Fondazione Museo della Shoah di Roma e Donatella Scuderi, autrice di soggetti e sceneggiature prende il titolo da Lili Marlene, la canzone più popolare durante la Seconda guerra mondiale, resa celebre dalla versione di Marlene Dietrich. Andrà in onda in due serate, il 10 e 11 giugno, alle ore 21.15 su Focus (canale 35 del digitale terrestre - 414 della piattaforma Sky) e successivamente in replica sulle reti Mediaset.
   Si tratta di storie inedite o meno come quella di Silvana Ajò, giovane ebrea romana che, all'arrivo di Adolf Hitler a Roma, scese in strada a salutare il Fuhrer con la bandierina con la svastica (solo tre mesi prima dell'introduzione delle leggi razziali). Oppure della tragedia del transatlantico britannico Arandora Star, dove Winston Churchill imbarcò gran parte degli italiani residenti in Inghilterra, accusati di essere spie fasciste, per internarli in Canada. La nave fu silurata da un sommergibile tedesco e i passeggeri - molti di questi ebrei o antifascisti - morirono al largo delle coste irlandesi.
   Le storie di soldati e cittadini comuni vengono collegate tra loro da alcuni camei, brevi interviste a personaggi celebri come Giorgio Napolitano ed Eugenio Scalfari, che raccontano del loro periodo fascista. E ancora aneddoti di protagonisti della vita culturale e artistica come Dacia Maraini, Pupi Avati, Pippo Baudo, Renzo Arbore e le gemelle Alice ed Ellen Kessler (che vivevano vicino ad un campo di concentramento in Germania).

(ANSA, 9 giugno 2020)


Repubblica Ceca-Israele: colloquio telefonico tra Babis e Netanyahu

Focus su effetti pandemia

PRAGA - Il primo ministro ceco, Andrej Babis, ha avuto un colloquio telefonico con l'omologo israeliano Benjamin Netanyahu. Ne dà notizia lo stesso Babis via Twitter, precisando che i due hanno discusso di coronavirus, degli effetti della pandemia sulle rispettive economie e sulla possibilità di una seconda ondata di contagi. I due capi del governo hanno anche ribadito che le relazioni ceco-israeliane sono buone come da tradizione. A fine maggio tali relazioni rischiavano di subire un colpo a causa di un articolo del ministro degli Esteri, Tomas Petricek, e di due suoi predecessori alla guida del dicastero in cui si condannava la scelta israeliana di un'annessione parziale della Cisgiordania. Babis e il presidente della Repubblica Ceca, Milos Zeman, avevano criticato l'uscita del ministro degli Esteri. Lo scorso fine settimana Petricek ha telefonato all'omologo israeliano, Gabi Ashkenazi, che ha accettato un suo invito a Praga.

(Agenzia Nova, 9 giugno 2020)


I comunisti usarono lapidi ebraiche per pavimentare piazza San Venceslao a Praga

di Maria Savigni

 
Pietre tombali con scritte ebraiche trovate nei lavori di ripavimentazione di Piazza San Venceslao a Praga
Qualche settimana fa ha fatto scalpore la notizia del ritrovamento a Praga, nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione nella piazza San Venceslao, di pietre tombali con scritte in ebraico.

 La scoperta
  Il 5 maggio scorso ha avuto inizio un complesso lavoro di ristrutturazione della piazza principale del centro storico di Praga, per il quale l'amministrazione della capitale ha stanziato un budget di 10 milioni di euro.
  Il rabbino Chaim Koči si trovava ad assistere allo svolgimento dei lavori quando ha notato che alcune delle pietre rimosse presentavano scritte in ebraico e incisioni con la stella di Davide. Altre pietre avevano superfici bianche ma levigate, caratteristica tipica delle pietre tombali. Il direttore del Museo ebraico di Praga, Leo Pavlat, aveva già ipotizzato che sul sito si trovassero pietre provenienti da vari cimiteri ebraici e per questo aveva chiesto al Consiglio comunale che alcuni rappresentanti della comunità ebraica potessero assistere ai lavori sulla piazza.
  La scoperta non è che una conferma di un sospetto che aleggiava da tempo: negli anni Ottanta il regime comunista avrebbe utilizzato pietre tombali, provenienti da cimiteri e sinagoghe depredati, per ricostruire la pavimentazione di piazza San Venceslao. La datazione delle pietre finora analizzate, che varia dal XIX secolo per le più antiche fino agli anni Settanta per le più recenti, pare confermare questa ipotesi. "Per noi è una vittoria perché finora è stato solo un sospetto. Forse vi erano pietre di provenienza ebraica qui, ma nessuno sapeva. È importante per accertare la verità storica", ha affermato il rabbino Koči.

 Le origini storiche
  In est Europa, parte consistente del patrimonio culturale ebraico è stato distrutto durante l'occupazione nazista. Il termine del conflitto mondiale, tuttavia, non ha posto fine all'antisemitismo e alla devastazione dei beni culturali ebraici.
  Durante il regime comunista la comunità ebraica, al pari delle altre confessioni religiose, era sorvegliata dalla polizia di stato. In questo periodo nell'attuale Repubblica Ceca sono state distrutte 150 sinagoghe, il doppio delle 70 devastate dai nazisti. Nel 1968 echi della campagna antisemita polacca hanno raggiunto la Cecoslovacchia, spingendo un numero consistente di ebrei all'emigrazione.
  Il vecchio cimitero ebraico di Praga, situato nel quartiere Žižkov, è stato in larga parte distrutto dal regime comunista nel 1985 per costruire un parco pubblico e una torre della televisione, la quale avrebbe dovuto impedire l'accesso ai canali televisivi dell'Europa occidentale. Mentre alcune tombe sono state spostate in altri cimiteri, una parte dei resti è stata gettata in una discarica fuori Praga. Difficile non pensare a un vero e proprio genocidio culturale, dato che il luogo è diventato una meta turistica che ospita hotel, mini-golf e ristoranti, senza conservare traccia di ciò che fu. Del cimitero resta solo la parte più antica, in un angolo della piazza antistante la torre.

 I conti con il passato
  Piazza San Venceslao non è solo una delle maggiori attrazioni turistiche della città, ma è stata il teatro degli eventi storici più importanti del Novecento per la Repubblica Ceca. Qui, nel 1969, lo studente Jan Palach si diede fuoco per protesta contro la fine della Primavera di Praga; e sempre qui nel 1989 vi si tennero le manifestazioni contro il regime comunista che portarono alla rivoluzione di velluto e alla transizione democratica cecoslovacca.
  Il lavoro di ristrutturazione attualmente in corso ha lo scopo di rendere la struttura della piazza più agevole per i turisti. Ma, mentre la città sembra guardare sempre di più verso il futuro, dalla sua piazza-simbolo riemergono tombe, resti di un passato scomodo con cui ancora si fatica a fare i conti. Come conservare la memoria?
  La comunità ebraica vorrebbe raccogliere tutte le pietre tombali riesumate con i lavori di ristrutturazione per costruire un memoriale presso l'antico cimitero ebraico di Žižkov. Le condizioni delle pietre rendono impossibile risalire all'esatta collocazione originaria, ma forse le lapidi potranno trovare uno spazio in cui riposare e ricordare al pubblico gli orrori di un passato che troppo spesso si cerca di rimuovere.

(Eást Journal, 9 giugno 2020)


Grande Muraglia cinese: non è stata costruita tutta per tenere fuori gli invasori

La conclusione di Gideon Shelach-Lavi, dell'Università ebraica di Gerusalemme.

di Silvia De Stefano

Vista aerea di una parte della linea settentrionale della Grande Muraglia cinese (Università Ebraica)
Non tutta la Grande Muraglia cinese è stata costruita per tenere lontani gli invasori: il segmento settentrionale serviva per monitorare i movimenti civili.
Quando i ricercatori hanno mappato completamente per la prima volta la Northern Line di 740 chilometri della Grande Muraglia cinese, i loro risultati hanno messo in discussione le precedenti ipotesi dal momento che questa parte non sembrava fosse stata costruita per tenere lontani gli invasori, ma piuttosto per monitorare i movimenti civili.
Prima della nostra ricerca, la maggior parte delle persone pensava che lo scopo della Grande Muraglia fosse quello di fermare l'esercito di Genghis Khan, ha detto Gideon Shelach-Lavi dell'Università ebraica di Gerusalemme, che ha guidato lo studio durato due anni.
Ma la Northern Line, che si trova principalmente in Mongolia, si snoda attraverso valli, è relativamente bassa in altezza e vicina ai sentieri, indicando funzioni non militari.
La nostra conclusione è che si trattava più di monitorare o bloccare i movimenti di persone e bestiame, forse di tassarli ha detto Shelach-Lavi.
Le persone forse si spostavano verso pascoli meridionali più caldi durante un periodo di freddo medievale.
La costruzione della Grande Muraglia, che è divisa in sezioni che si estendono per migliaia di chilometri, iniziò nel III secolo a.C. e proseguì per secoli.
La Northern Line, conosciuta anche come "Genghis Khan's Wall" in riferimento al leggendario conquistatore mongolo, fu costruita tra l'XI e il XIII secolo con terra battuta e punteggiata da 72 strutture in piccoli ammassi.
Shelach-Lavi e il suo team di ricercatori israeliani, mongoli e americani hanno usato droni, immagini satellitari ad alta risoluzione e strumenti archeologici tradizionali per mappare il muro e trovare artefatti che hanno contribuito a fissare le date.
Secondo Shelach-Lavi, i cui risultati dello studio in corso sono stati pubblicati sulla rivista Antiquity, la Northern Line è stata ampiamente trascurata dagli scienziati contemporanei.

(Lega Nerd, 9 giugno 2020)


Israele annuncia l'atterraggio del primo aereo della Emirates a Tel Aviv

ROMA - Israele ha annunciato oggi che "un aereo della Emirates", compagna di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, "atterrerà tra poco sulla pista dell'aeroporto di Ben Gurion" di Tel Aviv. A dare la notizia del primo velivolo ufficiale da un Paese che non intrattiene rapporti diplomatici con lo Stato ebraico, è stata la tv pubblica israeliana secondo la quale "l'aereo trasporta attrezzature mediche per i palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza" nell'ambito degli aiuti per combattere la pandemia di coronavirus.
Il quotidiano panarabo al Quds al Arabi che mette in risalto la notizie sul suo sito online, afferma che "anche tre settimana fa un altro aereo, questa volta senza insegne, era atterrato a Ben Gurion sempre con il pretesto di aiuti ai palestinesi". Il giornale però rimarca che le due operazioni "sono state decise e effettuate senza alcun coordinamento con le autorità Nazionali palestinesi".

(askanews, 9 giugno 2020)


Cooperazione scientifica e industriale Italia-Israele

Intervista all'Ambasciatore Gianluigi Benedetti

 
Gianluigi Benedetti, ambasciatore italiano in Israele
l trend dell'interscambio italiano con Israele, caratterizzato da una crescita costante negli ultimi 10 anni (+3,9% medio annuo), si è mantenuto pressoché costante attestandosi nel 2019 a3,3 miliardi di euro. Nel 2019"le nostre esportazioni hanno raggiunto i 2,55 miliardi di Euro, mentre l'Italia ha acquistato merci israeliane per 799 milioni di euro. Siamo il 6to fornitore di Israele e il suo 14mo cliente". Le esportazioni italiane sono sospinte dai macchinari di impiego generale e speciale, dal settore arredamento e mobili, dai prodotti chimici e dalla gioielleria e metalli preziosi. Inoltre "il settore agroalimentare è tradizionalmente uno dei settori trainanti del nostro export in Israele con una quota di mercato pari al 6,7%, che beneficia anche della crescita dei flussi turistici verso il nostro Paese e la popolarità,tra l'attento pubblico israeliano,del turismo enogastronomico".

- Ambasciatore Benedetti, quali sono i punti di forza dell'ecosistema israeliano e qual è stato l'impatto del coronavirus?
  Gli indicatori economici pre-coronavirus descrivevano un Paese in crescita. Tasso di crescita al 3,5%, più di 6000 start-up,4,3% del Pil investito in ricerca e sviluppo (il tasso più alto nell'area Ocse), primo Paese al mondo per investimenti venture capital pro-capite (674$), 8,3 miliardi di dollari investiti in start-up innovative nel 2018, disoccupazione al 3,4%. Questi erano (e sono) i punti di forza dell'ecosistema dell'innovazione israeliano, affiancati da un basso debito pubblico (sotto il 60%) che ha consentito di allargare i cordoni della borsa una volta sopraggiunta la crisi. La pandemia da Covid-19, è stata contenuta dal punto di vista sanitario, ma ha scatenato una profonda recessione, la prima nell'ultimo ventennio, che ha spinto il Governo a intervenire con un pacchetto di aiuti di 100miliardi di Nis (circa 25 miliardi di euro). Banco di prova del nuovo Esecutivo insediatosi il 17maggio sarà proprio la ripresa economica, il recupero dell'occupazione e la tenuta dei conti pubblici con il varo entro l'estate della legge di bilancio.

- Quali le opportunità per l'Italia?
  L'etichetta "Start-up Nation"comincia ad andare stretta al Paese. In un momento storico in cui gli indirizzi governativi spingono a industrializzare i brevetti e le idee per coinvolgere un maggior numero di persone nel benessere generato dall'economia hi-tech, che al momento occupa solo l'8,3% della forza lavoro,Israele sta rapidamente trasformandosi in una "Scale-up Nation". In questo quadro, la collaborazione con l'industria internazionale è cruciale e l'Italia può diventare un partner privilegiato,rafforzando l'esistente collaborazione in una logica win-win. La complementarietà tra il nostro eccellente ecosistema manifatturiero e il dinamico ecosistema di innovazione israeliano offre oggi opportunità straordinarie. Da un lato, le nostre grandi aziende (e a cascata le medie e piccole) possono trovare qui un ambiente favorevole e dinamico per sviluppare in una logica di open innovation collaborazioni tecnologiche anche con incentivi del governo israeliano. Dall'altro lato il nostro sistema, soprattutto nei settori in cui siamo tradizionalmente più forti, può diventare il naturale punto di attracco delle start-up israeliane mature che hanno bisogno di industrializzare i loro prodotti, crescere ed entrare nel mercato globale.

- Ci sono esempi di aziende italiane che hanno seguito questa strada?
  Fra le 350 multinazionali straniere che hanno deciso di aprire centri di ricerca e sviluppo, ci sono anche aziende italiane, ma la nostra presenza continua a essere al di sotto di quella dei nostri grandi partner e non all'altezza delle nostre potenzialità. Grazie agli accordi con l'Autorità per l'Innovazione israeliana, Snam e Adler stanno selezionando startup con cui sviluppare collaborazioni mentre STMicroelectronics ha un proprio centro di ricerca e sviluppo a Tel Aviv. Ma l'esperienza di maggior successo è indubbiamente quella di Enel che nel giro di tre anni ha aperto un hub tecnologico a Tel Aviv, un "Innovation Lab" a Haifa e a maggio si è aggiudicata, tramite Enel X, la gara per un nuovo "Innovation Lab" su fintech a Beer Sheva, il polo mondiale della cybersecurity. Ciò costituisce un modello di successo che può certamente ispirare le strategie di innovazione di altre nostre aziende di punta e dimostra che una presenza strutturata in Israele rappresenta un fattore determinante, oserei dire quasi essenziale, per intercettare le opportunità di sviluppo e collaborazione tecnologica più promettenti.

- Due anni fa ci aveva preannunciato l'idea di lanciare un programma per la mobilità delle start-up italiane in Israele. Come è andata?
  La prima edizione del programma "Accelerate in Israel" si è appena conclusa con pieno successo. Sette giovani start-up italiane, selezionate attraverso un bando dell'Ambasciata e un comitato scientifico internazionale hanno svolto un periodo di accelerazione da gennaio ad aprile(superando anche le difficoltà e limitazioni imposte dal Covid-19) presso l'Eilat Tech Center, con un intenso programma formativo, approfondimenti tecnici specifici per i loro settori e momenti di confronto con investitori e imprenditori. Per i partecipanti si sono aperte significative opportunità di business e precise offerte di partnership e due startup hanno anche chiuso un round di finanziamento. La seconda edizione del programma parte con un nuovo bando fra pochissimi giorni con la collaborazione di Agenzia Ice,Ministero dell'Innovazione, Intesa Sanpaolo Innovation Center e Camera di Commercio Israele-Italia. Con una compagine rafforzata e un budget raddoppiato ci attendiamo un successo ancora maggiore.

- La scoperta di giacimenti off-shore di gas nel Mediterraneo orientale ha rivoluzionato il mercato energetico nell'area. Quale ruolo per l'Italia?
  La scoperta a partire dal 2009 di importanti giacimenti di gas naturale ha ridisegnato l'economia di Israele e, oltre all'impatto politico regionale in termini di una rinnovata cooperazione tra i paesi dell'area, ha reso il Paese autosufficiente e ha attratto nuovi investimenti in progetti infrastrutturali. L'Italia, collegamento naturale tra il gas del Levante ed Europa, gioca un ruolo di primo piano sia dal punto di vista politico per favorire il dialogo e lo sviluppo di tutti Paesi della regione, sia dal punto di vista economico, offrendo l'expertise di primissimo livello delle proprie aziende del settore. Per quanto riguarda le infrastrutture, permettetemi di aggiungere che il Governo israeliano ha definito una serie di progetti, nel settore delle costruzioni, dei trasporti e delle comunicazioni, per un valore di quasi 50 miliardi di euro nel prossimo quadriennio. In collaborazione con l'Ice, promuoviamo e sosteniamo la partecipazione di aziende italiane alle prossime gare, facendo leva anche sulle collaborazioni nate in occasione dell'ultima missione Ance-Oice svoltasi a Tel Aviv nel 2019. Un'attenzione particolare è inoltre dedicata ai progetti di sviluppo della nostra grande azienda di comunicazioni Telecom-Sparkle.

- Come è cambiata l'attività dell'Ambasciata e la collaborazione bilaterale a seguito della diffusione della pandemia?
  La nostra politica di cooperazione scientifica e tecnologica ultra decennale ha consentito di creare un tessuto di rapporti accademici e tra centri di ricerca di grandissimo livello che è stato utilissimo sin dai primi giorni della crisi per promuovere collaborazioni sui alcuni temi legati alla battaglia contro la pandemia come lo sviluppo di anticorpi o di piattaforme digitali per la pre diagnostica da remoto. Sfruttando anche le misure straordinarie previste dai decreti"Liquidità" e "Cura Italia" l'Ambasciata ha inoltre definito un articolato programma di appuntamenti in stretto coordinamento con tutti gli attori del Sistema Italia presenti in Israele, Ice, Enit, Camera di Commercio per rilanciare l'immagine del nostro Paese e sostenere i programmi di export e sviluppo in Israele delle aziende italiane. Abbiamo rimodulato alcune attività, organizzando webinar e iniziative virtuali nel settore economico e scientifico, oltre che in quello culturale. Tra queste la presentazione di start-up italiane a investitori internazionali presenti in Israele, la partecipazione a fiere virtuali in Italia e in Israele e seminari scientifici. Per la seconda parte dell'anno, sono in programma iniziative reali di grande impatto: un evento sul design, la tradizionale settimana della cucina, un "Innovation day" e un'iniziativa in via di definizione tra il Tel Aviv Museum of Art e la Galleria Nazionale di Arte moderna e contemporanea di Roma. Forte attenzione intendiamo dedicare al turismo, fiore all'occhiello delle relazioni tra Italia e Israele con numeri costantemente in crescita negli ultimi anni: insieme a Enit stiamo definendo una campagna per rilanciare l'offerta di Italia che fra il pubblico israeliano è sempre molto apprezzata.

(Tribuna Economica, 9 giugno 2020)


Il ministro degli Esteri tedesco in Israele il 10 giugno

Previsto un incontro con Netanyahu

 
Heiko Maas, ministro degli Esteri tedesco
BERLINO - Il ministro degli Esteri Heiko Maas si recherà in Israele il prossimo 10 giugno dove incontrerà il premier Benjamin Netanyahu, il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi e quello della Difesa Benny Gantz. Lo riferisce un comunicato stampa del ministero degli Esteri tedesco. Secondo quanto riferisce la nota, Maas parlerà con gli esponenti del governo israeliano anche del piano di pace per il Medio Oriente proposto dagli Stati Uniti e dei piani di annessione di parti della Cisgiordania da parte dello Stato di Israele. Durante la visita Maas non si recherà in Cisgiordania, ma avrà un colloquio in videoconferenza con il premier palestinese Mohammed Shtaje dalla Giordania, seconda tappa del viaggio del ministro tedesco. Il nuovo governo israeliano ha prestato giuramento il 17 maggio dopo una situazione di stallo politico senza precedenti con tre elezioni in meno di un anno. Maas è il primo funzionario di un governo straniero a recarsi in Israele dopo l'insediamento del nuovo esecutivo.

(Agenzia Nova, 9 giugno 2020)


Italia-Israele, l'innovazione per guardare al futuro

Mentre in Israele si discute su quando far ripartire alcuni settori - dai treni alla cultura - c'è un'iniziativa che si è già rimessa in moto: "accelerate in Israel", il programma promosso dall'ambasciata d'Italia in Israele per facilitare alle start-up italiane un periodo di accelerazione in Israele. Il nuovo bando è infatti stato pubblicato nelle scorse ore (disponibile sul sito dell'ambasciata d'Italia in Israele) e le domande di partecipazione dovranno essere presentate entro il 31 luglio 2020, secondo quanto riferisce il sito internet della rappresentanza diplomatica. "Accelerate in Israel" è uno strumento di sostegno finanziato nel quadro dell'Accordo di cooperazione scientifica tecnologica industriale Italia-Israele e l'edizione di quest'anno può contare su un budget raddoppiato grazie al sostegno di Agenzia Ice, che ha deciso di allargare a Israele la sua iniziativa "Global Start up Program". Il Programma è organizzato in collaborazione con il ministro per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, con la Camera di commercio e industria Israele-Italia e con Intesa Sanpaolo Innovation Center.
   Un'iniziativa che rappresenta un'occasione per il mondo dell'innovazione italiana, ha sottolineato il ministro per l'Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, Paola Pisano. "Le conseguenze economiche dell'emergenza Covid-19 hanno evidenziato l'importanza di continuare a rendere l'Italia sempre più attraente in campo internazionale. Questo vale anche per l'innovazione e per la trasformazione digitale. - ha dichiarato il ministro - Con il bando Accelerate in Israel alcune nostre start-up hanno la possibilità di confrontarsi con un Paese ad alta densità tecnologica e innovativa e accrescere la propria formazione. Non a caso Israele viene definito anche Start-up Nation. Il Governo italiano assegna alle giovani aziende un ruolo di rilievo per l'economia nazionale. È bene che le start-up italiane allarghino i propri orizzonti e che trovino nel nostro Paese un ecosistema in grado di accoglierle e valorizzarne le qualità".
   L'ambasciatore italiano in Israele, Gianluigi Benedetti, ha sottolineato le novità di questa seconda edizione del programma che "con una compagine rafforzata, un budget raddoppiato e nuovi verticali tecnologici, offre alle più dinamiche e intraprendenti start-up italiane un'opportunità unica per sviluppare e affinare la propria idea d'impresa attraverso un'esperienza diretta nell'ecosistema dell'innovazione israeliano e un serrato e costante confronto con investitori e imprenditori internazionali. Il programma si riconferma come uno strumento fondamentale per sfruttare la complementarietà dei sistemi economici italiano e israeliano e per rafforzare i rapporti tra aziende nel settore dell'alta tecnologia e innovazione."

(moked, 8 giugno 2020)


Amira Oron nominata ambasciatrice israeliana in Egitto

Amira Oron
Il governo israeliano ha approvato la nomina di Amira Oron come nuova ambasciatrice di Israele in Egitto. Lo ha reso noto il ministero degli affari esteri. Oron era stata scelta già nell'ottobre del 2018 ma l'approvazione definitiva era stata rimandata in quanto il premier Benyamin Netanyahu - hanno ricordato i media - intendeva nominare un componente del Likud ed ex ministro, Ayoub Kara, che nel frattempo ha ritirato la propria candidatura. Alla fine, su indicazione del nuovo ministro Gabi Ashkenazi (Blu-Bianco) ha prevalso la scelta di Oron che ha già servito al Cairo e che è stata a lungo capo del dipartimento Egitto del ministero. Oron - che prenderà il posto di David Govrin che nel 2017 rientrò in patria per otto mesi a causa di minacce di sicurezza - è la prima donna ambasciatrice di Israele in Egitto.

(Shalom, 8 giugno 2020)


Netanyahu: sono minacciato di morte

Il premier presenta la terza denuncia alla polizia

Benyamin Netanyahu ha di nuovo denunciato alla polizia minacce di omicidio contro di lui e la sua famiglia ricevute sui social. Questa è la terza denuncia in poche settimane. "Ultimamente l'istigazione contro il primo ministro e la sua famiglia ha varcato una linea rossa", ha spiegato l'ufficio del premier denunciando "i molti espliciti appelli all'omicidio", alcune dei quali "chiaramente legati ai gruppi di estrema sinistra". "Il premier - ha aggiunto - si aspetta un deciso intervento della polizia e della giustizia contro i responsabili".La settimana scorsa la polizia annunciò, dopo una simile denuncia da parte del premier, l'arresto di un uomo di 21 anni residente nel nord del paese.

(ANSAmed, 8 giugno 2020)


Basta antisemitismo. Starmer cambia volto al partito laburista

Chiesta un'indagine. Sospesi quattro dirigenti. Il leader è sposato con un'ebrea e ha cresciuto i due figli secondo la religione della moglie.

di Enrico Franceschini

LONDRA - Nella storia della Gran Bretagna c'è stato un solo primo ministro di origine ebraica, Benjamin Disraeli, tuttavia già convertito alla religione anglicana quando entrò a Downing Street; fino a metà dell'Ottocento in questo Paese era vietato agli ebrei di fare politica. Ma in un futuro non lontano potrebbe esserci un premier britannico "quasi" ebreo, se l'attuale leader laburista, Keir Starmer, vincesse le prossime elezioni. Non tutti sanno.che, pur non essendo lui stesso di famiglia ebraica, Starmer è sposato con un'ebrea inglese, ha cresciuto i due figli secondo la religione ebraica della moglie e celebra con la famiglia ogni venerdì sera lo Shabbat nella tradizionale cena del giorno di festa ebraico. Con un capo così, contro il Labour non si sentono più accuse di antisemitismo.
   Di professione avvocato specializzato in diritti umani (è co-fondatore del più importante studio legale di questo tipo di Londra, in cui lavora pure Amal Clooney, moglie del celebre attore) ed ex procuratore capo della capitale (incarico pubblico per il quale ricevette il titolo di "sir"), il nuovo leader lo mise in chiaro dal giorno d'aprile in cui è stato eletto alla guida laburista: «è molto importante per me affrontare la vergogna dell'antisemitismo nel nostro partito il più presto possibile. Riaffermo le mie scuse per quanto avvenuto». I responsabili della comunità ebraica londinese non hanno perso tempo a lodarlo: «Ha fatto più lui in quattro giorni per combattere l'antisemitismo nel Labour del suo predecessore Jeremy Corbyn in quattro anni». Starmer ha quindi ordinato un'indagine su come è stata redatta l'inchiesta interna sull'antisemitismo, sulla quale sono circolate soffiate e supposizioni di ogni genere. Ora arrivano i primi provvedimenti.
   Questa settimana il partito ha sospeso quattro dirigenti della sezione di Liverpool, dopo che il Jewish Chronide, il maggiore giornale della comunità ebraica nel Regno Unito, ha rivelato le loro critiche al parlamentare della città, Pauia Barker, per avere espresso rammarico per le dimissioni dal partito di Luciana Berger, la deputata di origine ebraica la cui denuncia dell'antisemitismo nel Labour aveva dato il via alle polemiche. Commenta un portavoce di Starmer: «Prendiamo con estrema serietà qualsiasi denuncia di antisemitismo». L'ufficio del leader ha inoltre aperto un'indagine su casi analoghi nelle sezioni di Hampstead, Readlng e Hastings.
   Coincidenza vuole che, in questi stessi giorni, anche Corbyn sia tornato a esprimersi sull'argomento, ma con tono opposto. L'ex leader avanza dubbi sull'imparzialità della Equallty and Human Rights Commission, la commissione indipendente che a sua volta indaga sull'antisemitismo nel Labour durante la leadership corbyniana, definendola in un'intervista con il sito Middle East Eye come «al servizio dell'apparato governativo», ovvero un complotto contro di lui, e ribadendo che le accuse di antisemitismo nei suoi confronti sono «sbagliate e ingiuste». Una cosa è certa: da questo come altri punti di vista, vecchio e nuovo leader laburista non potrebbero essere più diversi. I sondaggi sembrano premiare Starmer, che ha rimontato fino a due punti dal partito conservatore, dopo la peggiore sconfitta degli ultimi 85 anni subita da Corbyn alle elezioni del dicembre scorso.

(la Repubblica, 8 giugno 2020)


Lezioni di convivenza: i bimbi musulmani nella scuola ebraica

di Paolo Salom

La scuola elementare King David a Birmingham
Qualche volta, abbattere il muro del pregiudizio appare così semplice che è quasi normale chiedersi se sia mai esistito o se non sia piuttosto la proiezione di un costrutto artificiale. A Birmingham, seconda città della Gran Bretagna, la scuola elementare King David - gestita dalla locale comunità ebraica - è in tutto e per tutto simile agli istituti presenti in altre realtà e Paesi: rispetto delle festività della tradizione biblica, mensa strettamente kosher (ovvero il cibo risponde alle nonne talmudiche quanto a origine e preparazione), programma improntato al curriculum nazionale ma ispirato dalla tradizione di Israele.
   Piccolo esempio: nel giorno dell'Indipendenza dello Stato ebraico, gli alunni cantano l'haTiqwa (la Speranza), l'inno nazionale israeliano. Che cosa c'è di straordinario? Vale la pena a questo punto raccontare che i tre quarti degli iscritti - bambini e bambine dai 3 agli 11 anni - sono di religione musulmana, solo un quarto sono ebrei. Binningham, sin dal 18esimo secolo, ha avuto un'importante presenza di ebrei. Ma la comunità, negli anni, si è assottigliata fino a sole duemila anime.
   L'istituto King David ha una storia antica e soprattutto è da sempre considerato di ottima qualità. Così, quando per ragioni di bilancio ha aperto le iscrizioni ai figli delle tante comunità presenti in città (oggi un residente su cinque è di fede islamica e di provenienza soprattutto dal Pakistan ma anche da Yemen e altri Paesi del Medio Oriente, Iran compreso) non ha avuto difficoltà a riempire i banchi vuoti. Ora, è vero che rispetto al numero, non tutti i bambini musulmani di Birmingham trovano posto in una scuola di carattere islamico. Tuttavia è anche vero che la scelta è vasta e molti avrebbero più facilità a iscriversi in un istituto più vicino a casa piuttosto che scegliere la scuola ebraica. Invece molti papà e mamme vanno di proposito a parlare con il preside della King David. Convivere si può.

(Corriere della Sera, 8 giugno 2020)


Israele classificato terzo miglior ecosistema per le start-up al mondo

L'area di Tel Aviv à la settima città leader al mondo per le start-up, ma si affermano anche Haifa, Gerusalemme, Yokneam, Eilat e Ashdod

Israele è stato nominato il terzo miglior ecosistema per le start-up a livello mondiale, nell'ultima edizione del rapporto annuale del centro di ricerca StartupBlink. Valutando gli ecosistemi dell'innovazione in 100 paesi e 1.000 città in tutto il mondo, StartupBlink classifica la loro posizione in base alla quantità e qualità di start-up e relative organizzazioni di supporto, e in basse a una serie di fattori relativi all'ambiente per business come la predisposizione a condurre affare e ad operare investimenti.
Nella classifica 2020 Israele è salito dal quarto al terzo posto, superando il Canada e posizionandosi dietro solo a Stati Uniti e Regno Unito. L'area di Tel Aviv, nota per essere il fulcro dell'innovazione israeliana, viene classificata come la settima città leader per le start-up in tutto il mondo, perdendo un posto rispetto alla classifica 2019 a causa della recente ascesa di Pechino....

(israele.net, 8 giugno 2020)


Israele - Malinconia lungo i binari, l'attesa dei treni si prolunga

 
Niente di più malinconico, di questi tempi, che non la vista delle stazioni ferroviarie vuote e dei binari deserti. A quasi un mese dalla progressiva riattivazione delle attività economiche - bloccatesi a marzo per il coronavirus - mancano ancora all'appello i treni. Di conseguenza le vie di accesso alle grandi città in Israele sono sempre più ingorgate con le automobili di chi non può raggiungere altrimenti il proprio posto di lavoro.
    La settimana scorsa era balenato il miraggio della ripresa del traffico ferroviario, sia pure a ritmo ridotto. La data menzionata era lunedì 8 giugno. Ma oggi [7 giu] la ministra dei trasporti Miri Regev ha invece raggelato gli entusiasmi. I dati giunti dal ministero della sanità - ha osservato - fanno temere la ripresa dei contagi. In queste condizioni sarebbe dunque irresponsabile, a suo parere, creare situazioni di affollamento nelle carrozze.
    Come spesso avviene in Israele, la soluzione è stata affidata ad una 'app', una sorta di 'bacchetta magica' nazionale. Nel caso particolare, ha spiegato Regev, questa 'app' saprà distribuire appositi tagliandi a chi abbia prenotato un posto.
    All'ingresso della stazione il viaggiatore sarà identificato e la sua salute sarà verificata. Dopo di che potrà salire su treni che non avranno comunque oltre 650 passeggeri. Tutto questo, forse, da mercoledì.
    Ma nell'era della globalizzazione, non è stato difficile per gli israeliani controllare cosa avvenga altrove al mondo. A quanto risulta in Giappone i treni funzionano egregiamente, malgrado il timore di contagi. Come mai a Tokyo è possibile quello che a Tel Aviv pare irraggiungibile ? La risposta suggerita su twitter da passeggeri frustrati è che la soluzione non risiede tanto nelle 'app', bensì nel carattere degli abitanti del Paese. I giapponesi, a quanto pare, osservano scrupolosamente la igiene personale e tengono le mascherine sul volto mentre l'israeliano medio, in merito, ha standard di comportamento molto più elastici.

(ANSA, 7 giugno 2020)


Solidarietà all'On. Emanuele Fiano dalla Comunità ebraica di Milano

Dopo l'ennesimo attacco antisemita

La Comunità Ebraica di Milano, il suo presidente, il consiglio, il rabbino capo, sono vicini con affetto a Emanuele Fiano, fatto oggetto dell'ennesimo attacco antisemita. Lele, in risposta a uno squallido post che gli intima la strada dei forni crematori, scrive che è stanco di sentirsi da solo di fronte a questi episodi. Ma non sei solo Lele, alla solidarietà della tua Comunità si stanno aggiungendo a migliaia le reazioni delle istituzioni e dei cittadini. C'è chi si nasconde nell'anonimato dei social, in puro stile fascista, senza neanche il coraggio di firmarsi con nome e cognome. E c'è la parte migliore del nostro Paese che non sta a guardare. Nel monumento ad Auschwitz è scritto 'mai più'. Per noi 'mai più' significa reagire, sempre e comunque, perché quel passato non ritorni, finanche testimoniato da uno squallido anonimo da tastiera.
La Comunità Ebraica di Milano

(Bet Magazine Mosaico, 7 giugno 2020)


Così Berlino ha bandito gli Hezbollah: terroristi

Svolta nella politica estera. Finite le ambiguità, ora molti si attendono che altri Paesi europei seguano l'esempio tedesco.

di Daniel Mosseri

BERLINO - A Moabit, quartiere nordoccidentale di Berlino, ci sono pasticcerie libanesi da leccarsi i baffi. In una di queste, forse la più grande del quartiere, l'occhio si perde fra dolci al miele di mille fogge: con i datteri, le noci, le nocciole, le mandorle o il formaggio. Arrivato alla cassa, il cliente alza lo sguardo e vede appesa al muro la foto di un signore: il turbante nero in testa, il volto tondo con gli occhiali incorniciato da una barba corta ma ben curata. La bandiera libanese affissa ovunque è ben visibile e il cliente, ingenuo, chiede: «Chi è quel signore, il presidente della Repubblica?». Risposta: «No, quel signore è un benefattore, si chiama Nasrallah», Grazie, auf wiedershen. Hassan Nasrallah è il capo di Hezbollah, movimento politico sciita libanese e milizia armata fino ai denti, protagonista indiscusso della scena politica libanese e, allo stesso tempo, fuoriclasse del terrorismo islamico internazionale.
   Dall'inizio di maggio, Hezbollah è fuorilegge in Germania. Lo ha annunciato il ministro degli Interni, Horst Seehofer, dopo alcune perquisizioni della polizia condotte fra appartamenti, sedi di associazioni private e moschee di Berlino, Dortrnund, Münster e Brema. La decisione mette fine a molti anni di ambiguità politica nella Repubblica federale. Perché sulle responsabilità terroristiche del «partito di Dio» nessuno ha dubbi. Tant'è che l'ala militare di Hezbollah è stata inserita dall'Ue nelle lista delle organizzazioni del terrore già dal 2013 a seguito dell'attacco terroristico compiuto l'anno prima dalla milizia libanese all'aeroporto di Burgas, città bulgara sul Mar Nero frequentata da molti israeliani. Nell'esplosione suicida su un autobus persero la vita sei persone (cinque cittadini dello Stato ebraico). Quello di Burgas è solo uno degli atti di terrore attribuiti a Hezhollah, che non a caso è sulla lista nera anche di Usa, Canada, Lega araba, Consiglio di Cooperazione del Golfo, Israele e Argentina - nel paese sudamericano il 18 luglio 1994 un furgone carico di tritolo esplose nel parcheggio di un palazzo di associazioni ebraiche (Arnia). Bilancio: 85 morti e 200 feriti. Numeri che non interessano all'Ue, che si è anzi inventata la distinzione fra braccio politico e ala militare di Hezbollah per non indispettire né il governo del Libano, di cui Hezbollah fa parte, né gli ayatollah iraniani, i sostenitori di Hezbollah da sempre riveriti a Bruxelles, Roma, Parigi e dintorni. Negli anni, Hezbollah si è trasformata nel più prezioso alleato di Teheran, che l'ha armata facendola combattere per interposta persona contro Israele nel 2006 e in anni più recenti contro l'Isis in Siria.
   Per Remko Leemhuis, direttore dell'America Jewish Cornmittee di Berlino, la decisione tedesca era attesa da tempo non solo perché Hezbollah «è un'organizzazione apertamente antisemita» ma anche perché il migliaio di sostenitori del gruppo presenti in Germania «è in larga parte dedito a attività illegali come il riciclaggio di denaro e traffico di droga». Traffici in grado di finanziare abbondantemente l'organizzazione: basti ricordare i quattro cittadini libanesi arrestati in Germania nel 2008 con addosso 8,5 milioni di euro pronti per passare nelle casse di Nasrallah o il fermo nel 2016 di altri due libanesi con mezzo milione di euro ciascuno raccolti per Hezbollah.
   Al Giornale è Hans-Jakob Schindler a spiegare i possibili effetti del nuovo divieto imposto da Berlino. Già consulente dell'Onu e dell'Interpol e responsabile di progetti di monitoraggio dello Stato islamico e dei talebani, Schindler ricorda che, formalmente, Hezbollah non è un'organizzazione costituita in Germania e che il divieto di finanziarla e di esporre i suoi simboli riguarda dunque solo individui. Se fino a ieri gli esponenti della milizia erano ricercati solo per le attività criminali quali l'estorsione o il riciclaggio, «da oggi sono anche considerati dei terroristi». Il che significa «che le autorità hanno un maggiore margine di indagine e monitoraggio per reprimere i loro crimini». Hezbollah era nel mirino degli investigatori ormai da anni. Sia per i suoi legami con la strage del ristorante Mykonos di Berlino nel 1992, quando quattro curdi oppositori del regime degli ayatollah vennero uccisi in un agguato per il quale furono poi condannati degli emissari di Teheran e alcuni cittadini libanesi. «Secondo il governo tedesco, Hezbollah ha sempre mantenuto una rete di cellule attive in Germania» capaci di compiere attacchi sia dentro sia fuori dalla Repubblica federale», continua Schindler.
   La mossa del governo tedesco, che pure vanta ottimi rapporti sia con Libano sia con Israele e che spesso ha agito da mediatore fra i due governi, viene da lontano: nel 2008 era stato spento il canale satellitare Al Manar TV del gruppo sciita, nel 2014 era stato il turno di Waisenkinderprojekt Libanon, che con la scusa di aiutare i bambini orfani nel paese dei Cedri «contribuisce alla violenza tra Libano e Israele», si legge in un rapporto dei servizi tedeschi. L'anno dopo la Corte costituzionale tedesca definisce Hezbollah un'organizzazione che nuoce alla convivenza pacifica dei popoli. Nel 2019 il Bundestag ha chiesto al governo di procedere contro Hezhollah: favorevoli i partiti della grande coalizione e i Liberali, e gran parte, «ma non tutti», dei deputati Verdi e socialcomunisti, mentre AfD procede per principio contro tutto le proposte del governo. Alla domanda su quali possano essere le conseguenze in Europa della decisione tedesca risponde Leemhuis. «Sulla messa al bando di Hezbollah Parigi si è sempre nascosta dietro Berlino: oggi l'alibi francese è caduto. Spero che altri paesi europei seguano presto l'esempio tedesco».

(il Giornale, 7 giugno 2020)


Requiem per lacerazioni

di Ran Baratz*

Ran Baratz
La società in Israele non sarebbe solo lacerata, ma soffrirebbe anche di una crisi sociale e di fallimento morale. Come lo sappiamo? Perché ce lo raccontano i giudici israeliani nelle motivazioni della sentenza che respinge il ricorso presentato contro l'incarico dato a Netanyahu per la formazione del governo, dove questi si sono impegnati a darci la loro descrizione della società israeliana. Già nei primi paragrafi il giudice-sociologo Yitzchak Amit scrive che il risultato delle elezioni "riflette le fratture in lungo e in largo della società israeliana".
  E in effetti la teoria delle lacerazioni va molto di moda nel nostro paese. Già studiando educazione civica gli studenti possono ben comprendere che "la società israeliana sarebbe piena di lacerazioni": nazionali, religiose, classiste, ideologico-politiche ed etniche. "Lacerazioni", continuano a studiare i ragazzi, sono "linee sociali di demarcazione che attraversano la società e la dividono in fazioni". Tra le lacerazioni "persiste una tensione", che a volte sfocia nella violenza. Queste pericolose lacerazioni "mettono in pericolo la società israeliana".
  Questo argomento delle "lacerazioni sociali" ha promosso negli ultimi anni una teoria simile: quella delle "tribù". Nel suo discorso del 2015, nel quale il presidente Rivlin presentava l'idea delle "tribù", parlava di "ignoranza reciproca e assenza di un linguaggio comune" tra le "tribù" in Israele, che "non fanno che aumentare la tensione, la paura, l'ostilità e la competizione tra loro". "Io riconosco una minaccia reale", concludeva.
  Se le cose stanno così, l'idea delle "lacerazioni sociali" non è ingenua. Verrebbe per metterci in guardia dalla malvagità che è in agguato contro la radice stessa del nostro essere israeliani, che è "lacerata" e "tribale". Israele sarebbe un barile di esplosivo. Non riusciamo a metterci d'accordo, siamo in conflitto e "lacerati", a un passo dalla violenza. Attenzione, pericolo!
  Chi sente l'odore strano di "individuazione di processi storici", non è lontano dalla verità. Quando Yair Golan , verso la fine del suo incarico come vice capo di stato maggiore, tenne una conferenza negli Usa sulle "quattro tribù" che esistono in Israele. "Vedere Israele come un crogiolo" - annunciò al pubblico americano - "non è più attuale. Il presidente Rivlin ha riconosciuto che esistono tra noi quattro tribù principali… si tratta di una sfida enorme". L'anno prima, come ricorderete, Golan tenne una conferenza nel Giorno della Shoah sul "individuazione di terribili processi che ci hanno colpito in Europa in generale e in Germania in particolare, 70-80-90 anni fa".
  Esiste quindi un comune denominatore tra chi riconosce delle cupe lacerazioni e chi individua processi minacciosi. Anche i nostri giudici fanno riferimento al decadimento morale della società israeliana. Dopo il paragrafo iniziale delle "lacerazioni", il giudice Amit sostiene che "una volta, l'argomento che noi siamo costretti a giudicare oggi, non sarebbe nemmeno arrivataoalla nostra porta… ma le norme pubbliche e la cultura politica di una volta non assomigliano a quelle dei nostri giorni. Ne deduciamo la misura del peggioramento che la società israeliana sopporta".
  Dello stesso cambiamento profondo parla anche il giudice Mazuz, che si distingue per i colpi che assesta alla società israeliana: "La situazione nella quale un indagato per gravi reati penali nel campo dell'integrità morale forma un governo e ne è a capo… riflette una crisi sociale e un fallimento morale". I giudici Barak-Erez e Baron aggiungono che "la formazione del governo da parte di chi ha in sospeso una grave incriminazione, non può trovare posto nei principi fondamentali della democrazia israeliana". Stiamo vivendo pericolosi processi anti-democratici.
  C'è solo un problema: tutti questi argomenti sono pura propaganda.
  "Lacerazione sociale" è un termine assolutamente ambiguo con finalità politiche. In ogni società, compresa quella israeliana, esistono dissensi. Questo banale dato di fatto non è indice di "lacerazioni sociali". La domanda cruciale in questo caso è come noi sappiamo gestire le divergenze al nostro interno: la società israeliana è violenta oppure riusciamo a gestire le divergenze in maniera concordata?
  E in effetti sotto questo profilo la società israeliana ha un successo trionfante. In Israele esiste poca violenza politica: possiamo confrontare la situazione in Israele ai disordini scoppiati negli ultimi anni in tutto il mondo occidentale, compresi gli Usa odierni. In Israele non esistono fenomeni corrispondenti e nemmeno simili. Noi riusciamo a incanalare le divergenze verso le urne elettorali, ci rispettiamo e proteggiamo con successo la sicurezza della sfera pubblica più di altri paesi occidentali.
  Anche l'idea delle "tribù" fa acqua da tutte le parti. Non esistono in Israele delle "tribù", che in ogni caso è un concetto inadeguato alla realtà odierna. Tra gli ebrei esistono solo due "settori", cioè gruppi di minoranza, che vogliono distinguersi da quelle di maggioranza: sono i charedìm e i sionisti-religiosi. Ma anche in questo caso, i fatti contraddicono la teoria delle lacerazioni. I charedìm, che crescono in maniera significativa, accettano oggi lo stato d'Israele e i sionisti come mai prima. E il settore sionista-religioso è in ogni caso diviso al suo interno in proporzione alla sua distinzione, dal momento che è sia sionista che religioso. Forse è per questo che ha difficoltà in pratica a distinguersi in grandi numeri.
  Nella realtà israeliana non esiste in effetti "paura" o "minaccia reale" tra persone con idee e comportamenti diversi tra loro. Chi "individua dei processi" non fa che riecheggiare con ignoranza della vuota propaganda. E ancora, anche le altre "lacerazioni" che vengono presentate come solida verità: quelle "etniche", quelle "di classe", quelle "politiche" stanno scomparendo. Gli studi demografici mostrano che la etnicità si sta dissolvendo nelle generazioni più giovani. Israele è diventata una società opulenta con un'alta mobilità economica. E così la "lacerazione" di classe scompare. Anche la nostra politica si sta indirizzando sempre più verso il centro, è diversificata e con una maggiore rappresentatività di quella di periodi storici dei quali parte dei giudici hanno forte nostalgia, periodi nei quali venivano emarginati e oppressi tutti quelli che non si riconoscevano con il partito al governo.
  Lo stesso è vero anche riguardo il "degrado" morale. Israele è oggi più aperta e libera. I cittadini hanno molti più diritti e libertà civili che in passato. In generale identificare la discussione e la diversità di opinioni come un problema riflette un atteggiamento molto fastidioso. Una società dove tutti sono simili è il prodotto di dittatura, di un regime opprimente che nega la libertà di scelta e di pensiero.
  Ma allora perché le élite ci rimproverano dall'alto delle loro torri d'avorio? Difficile fuggire dalla sensazione che, dal loro punto di vista, il degrado morale sia legato al successo della destra. "Le persone votano chi non la pensa come noi, che tragedia!" Per salvarsi da questo baratro morale, tribale e pericoloso, bisognerebbe votare in maniera "illuminata".
  In pratica, queste tesi negative su Israele sono avulse dalla realtà. La società israeliana, anche di fronte a sfide difficili, ha dato prova invece di solidità e unità. È vero, queste teorie, nate a sinistra, servono anche alla politica di destra, ma contrariamente alla propaganda, in Israele abbiamo una società variegata ma unita, sionista e morale e, non è meno importante, anche felice.
  Per questo l'indice che più caratterizza Israele in ambito internazionale è che gli israeliani sono tra i più felici al mondo. È forse questa una caratteristica di una realtà in "degrado", di "crisi sociale", di "lacerazioni", di "tribù"che si minacciano l'un l'altra? Certo che no. Ma non provate a disturbare le teorie con la realtà.
  Israele ha di fronte molte sfide, ma queste sono principalmente a livello politico-istituzionale, dove affrontiamo problemi difficili. A livello sociale, se osserviamo Israele dall'alto, da un punto di vista comparativo e attento, si tratta di una storia di unità e corresponsabilità, che supera e vince ogni tentativo politico di seminare tra noi la divisione.
Makòr Rishòn 5.6.2020 - Titolo originale: "Requiem lashesa'ìm"


* Ran Baràtz (1973) è un giornalista pubblicista e docente di filosofia. In passato si è occupato attivamente di hasbarà nel team di Binyamin Netanyahu. Ha fondato il sito conservatore liberale Mida https://mida.org.il.

(Kolòt, 7 giugno 2020 - trad. D. Piazza)


Hatikwa. "Ebrei che hanno fatto la storia”

Gli eroi di ieri e di oggi, gli esempi di domani

Nei secoli si è spesso alluso al fatto che gli ebrei comandino il mondo. I più maliziosi contano ancora oggi i premi Nobel uno ad uno, scoprendo una sproporzione tra i vincitori ebrei e tutti gli altri. Anche la consegna dei premi Oscar, che da sempre vengono identificati con la lobby ebraica hollywoodiana, più di una volta ha fatto storcere il naso a chi crede nella razza e non nel talento. L'influenza ebraica ed israeliana nel campo dell'Hi-Tech e della medicina è ormai nota a tutti, a tal punto da rappresentare per molti una minaccia. E non un'opportunità.
   Sfatiamo dunque un mito: gli ebrei non comandano il mondo. Mai l'hanno fatto. Non rientra proprio nella loro to do list quotidiana. Gli ebrei tuttavia hanno saputo nel tempo aggiungere colore e sapore al mondo e all'umanità, regalando ad essa alcuni personaggi che hanno segnato irreversibilmente il corso della storia. Personaggi brillanti e coraggiosi che con la loro creatività hanno saputo rendere questo mondo un posto migliore in cui vivere.
   Di loro parleremo nel nostro nuovo podcast edito HaTikwa, inaugurato il primo di giugno e pubblicato settimanalmente. Ogni puntata illustrerà un personaggio diverso sotto una luce singolare, intima e personale rispetto a chi racconta. Tra le figure da noi scelte vi saranno Liliana Segre, Albert Einstein, Sigmund Freud, Theodor Herzl, Steven Spielberg, Rita Levi Montalcini, Barbra Streisand, Woody Allen, Mark Zuckerberg, Elie Wiesel e molti altri ancora.
   L'obiettivo è quello di dare alla nuova generazione ebraica italiana dei modelli positivi a cui ispirarsi. Raccontar loro di quegli eroi che senza mantello e senza armi, hanno saputo vincere tutte le loro battaglie. Eroi semplici, privi di poteri sovrumani, ma dotati di un'umanità straordinaria.

(Shalom, 7 giugno 2020)


La sinistra e gli ebrei, un rapporto difficile

Alessandra Tarquini esplora, attraverso una ricerca condotta anche negli archivi del Psi e del Pci, le incomprensioni e la diffidenza della parte politica nei confronti di questa realtà.

di Raffaele Liucci

Essere il convitato di pietra della sinistra italiana. Questa, secondo Alessandra Tarquini, la sorte toccata agli ebrei nel corso del Novecento. Di volta in volta reputati una minoranza oppressa, un popolo di piccoli commercianti, una élite finanziaria, una nazione dispersa, costoro erano difficilmente inquadrabili nel più vasto progetto socialista di liberazione del genere umano. Onde le incomprensioni, gli attriti, le ostilità, ben documentati in questo libro: il primo ad affrontare il tema con uno sguardo di lungo periodo. Quella raccontata dall'autrice - docente alla Sapienza di Roma - è una storia di uomini e donne, ma anche di intellettuali ( da Cesare Lombroso a Pier Paolo Pasolini), di dottrine e movimenti politici (il sionismo), di fenomeni dalle radici antiche (l'antisemitismo), di nuovi Stati (Israele) e di partiti oggi estinti (fruttuosi gli scavi presso gli archivi di Psi e Pci).
  Il volume si apre nell'Italia del 1892, anno di fondazione del partito socialista. Da trent'anni gli ebrei ( circa 4omila) erano ormai liberi cittadini, integrati nel nuovo Stato unitario. L'antisemitismo - scriveva nel 1894 il noto scienziato Cesare Lombroso, aderente al nuovo partito - sembrava il retaggio di un'epoca premoderna, destinato a scomparire con l'avvento del socialismo. Quando però a fine agosto 1897 si svolse a Basilea il primo congresso sionista, organizzato da Theodor Herzl, buona parte dei socialisti si trovò spiazzata di fronte a quello strano movimento che predicava il ritorno a Gerusalemme e il risorgimento nazionale degli ebrei, indebolendo l'unità della classe operaia. Nascendo assimilazionista e antisionista, sostiene Tarquinl, la sinistra italiana non colse la specificità della condizione ebraica e la vera natura dell'antisemitismo, un fenomeno tutt'altro che residuale nel Novecento.
  Questo spiega la difficoltà di socialisti e comunisti a comprendere i motivi della persecuzione razziale e della Shoah. Incapaci di afferrare la dimensione moderna e totalitaria di fascismo e nazismo, la sinistra di matrice marxista «trattò il genocidio degli ebrei con indifferenza, come si guarda qualcuno senza vederlo». Se, come sosteneva Emilio Sereni, le ragioni dell'ebraismo coincidevano con quelle dell'intera umanità offesa da Hitler, gli ebrei non erano da considerarsi vittime speciali. Forse anche per questo nel 1946 la casa editrice Einaudi bocciò il memoir di Primo Levi, Se questo è un uomo.
  La nascita, il 14 maggio 1948, dello Stato di Israele sembrò rimescolare le carte. Subito riconosciuto dall'Unione Sovietica, governato dai laburisti e imperniato sui kibbutzim, il nuovo Paese fu ben accolto dalla sinistra nostrana. Ma l'entusiasmo durò poco, spento dalla guerra fredda. «I rapporti fra sinistra italiana e Israele», scrive Tarquini introducendo una delle maggiori novità della sua ricerca, «incontrarono una serie di difficoltà già alla fine degli anni Quaranta e non, come spesso si afferma, dopo la guerra dei Sei giorni del 1967 che certamente determinò un cambiamento, ma aveva alle sue spalle una guerra lunga vent'anni».
  Dai primi anni Cinquanta, infatti, soltanto i socialdemocratici di Saragat rimarranno apertamente filoisraeliani, mentre socialisti e comunisti riscopriranno l'antisionismo. «Gli aiuti militari ed economici, ottenuti. In questi anni di "indipendenza" dal governo americano, hanno ridotto Israele ad una colonia dell'imperialismo», scrisse nel 1953 un giovane storico di simpatie trotskiste iscritto al Pci, Renzo De Felice (maestro dell'autrice).' Tre anni più tardi, dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria, De Felice lascerà il Pci avvicinandosi all'area socialista. Fu proprio il partito di Nenni, nel frattempo cooptato nella stanza dei bottoni, a rivalutare gradualmente Israele negli anni Sessanta, mentre i comunisti mantenevano la propria diffidenza (fra le poche eccezioni, Umberto Terracini e, fra gli intellettuali, Pier Paolo Pasolini). Paradossalmente, sarà Bettino Craxi a superare a sinistra il Pci nei dorati Ottanta, diventando «uno dei principali protettori dell'Olp» di Arafat. Il 6 novembre 1985, nell'infuocato clima post-Sigonella, il leader del Psi paragonò la lotta armata dei palestinesi alle imprese di Mazzini, provocando una pubblica protesta dei giovani ebrei romani, nonché le aspre critiche di alcuni compagni di partito, da Giorgio Gangi a Giorgio Sacerdoti.
  La diligente ricostruzione di Alessandra Tarquini si conclude nel 1992, con la dissoluzione della prima Repubblica e l'uscita di scena di Psi e Pci, mentre in Israele una destra agguerrita scalzava l'egemonia laburista.
  Resta lo spazio per due glosse. Innanzitutto, all'origine del rapporto complicato fra «la sinistra e gli ebrei» non vi è solo Israele e, ancor prima, il sionismo, ma forse anche l'innata propensione della cultura progressista hegelianeggiante a ragionar per grandi schemi e narrazioni, confondendo le categorie assolute (un fantomatico ebreo universale) con quelle storicamente determinate (gli ebrei in carne e ossa), come denunciò nel volumetto Sinistra e questione ebraica il militante comunista Luciano Ascoli. Lo stesso Marx, nel suo celebre scritto del 1844 (Sulla questione ebraica), aveva preso a modello un ebreo astratto, epitome di un capitalismo da superare.
  Vi è poi il problema più spinoso. Che l'antisemitismo sia un fenomeno trasversale che ha lambito anche la sinistra è ormai un fatto riconosciuto (si veda il saggio einaudiano di Gadi Luzzatto Voghera, Antisemitismo a sinistra, 2007). Del resto, come premette l'autrice, l'antisemitismo moderno nacque proprio nell'alveo dei socialisti utopisti francesi (Charles Fourier, Alphonse Toussenel, Pierre-Joseph Proudhon). Per giungere a tempi più recenti, pregiudizi antiebraici sono rintracciabili in film pur realizzati con le migliori intenzioni, come L'ebreo errante di Goffredo Alessandrini (1948) eKapò (1960) di Giulio Pontecorvo, applauditi dalla stampa progressista; oppure in una silloge di racconti per bambini di Antoni o Baldini, La strada delle meraviglie, riproposta da Einaudi nel 1974. Anche la nuova sinistra extraparlamentare (e antimperialista) ci mise del suo nei turbolenti anni Settanta, intensificando la sovrapposizione fra «ebreo», «israeliano» e «sionista».
  Resta tuttavia difficile stabilire dove finisca l'inconscio stereotipo antiebraico (in cui incorsero pure giornalisti filoisraeliani come Augusto Guerriero e Indro Montanelli) e inizi il vero e proprio odio antisemita. In ogni caso, come riconosce la stessa autrice, «le espressioni di radicale antisionismo e di antisemitismo incontrate in questo libro non sono paragonabili a quelle espresse dalla destra, da una parte del mondo cattolico, o dai regimi totalitari».

(Il Sole 24 Ore, 7 giugno 2020)


Israele in poltrona, pillole di storia da guardare e ascoltare

Il progetto Facebook di dodici guide italiane (e tre sorprese in forma di video)

Viaggiare in poltrona è un'attività interessante, un'abitudine che consente di immergersi in realtà diverse da quella che viviamo abitualmente. E se poi una pandemia costringe il mondo intero a starsene effettivamente a casa, il gioco si fa serio. Così un gruppo di dodici guide italiane in Israele ha dato vita alla pagina Facebook Israele in poltrona, nata in pieno lockdown per raccontare pillole di storia, inclusi consigli di lettura per prepararsi a un futuro viaggio o per andarci standosene a casa propria. Sono piccolissime storie, quelle che spesso vengono tralasciate nelle visite guidate per mancanza di tempo, oppure solo accennate. Sono avventure da seguire, appunto, in poltrona, pensate per suscitare curiosità: "Il nostro obiettivo", spiega la guida Angela Polacco, " è dare quelle informazioni che stimolano la ricerca, che spingono a non accontentarsi di quello che si sa già"....

(JoiMag, 7 giugno 2020)



Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.
I testi biblici sotto riportati compaiono nell’ordine in cui sono stati usati nella predicazione. M.C.


novembre 2018

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stendere la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.2 E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta dei piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima dei feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
     6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
     36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
     37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
   33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figlio di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
   14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione.
 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui,
 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie dei campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini sono talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa loro conoscere la loro condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più dei primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.


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Cinquantamila sortite per gli M346 Lavi israeliani

di Aurelio Giansiracusa

 
L'Aeronautica Israeliana (IAF) ha raggiunto l'importante traguardo delle 50.000 sortite di volo con l'M346 Lavi. Il velivolo bimotore d'addestramento avanzato fabbricato da Leonardo è in servizio in 30 esemplari, rendendo l'Aeronautica Israeliana la principale operatrice del M346. Gli aerei sono stati tutti consegnati tra il 2012 ed il 2016.
   Nel programma israeliano sono coinvolte, oltre Leonardo, CAE, Honeywell Aerospace, Elbit Systems ed Israel Aerospace Industries (IAI).
   Nel programma addestrativo dell'Aeronautica Israeliana ha importanza cruciale il Centro di Addestramento al volo per il Lavi presso la base aerea di Hatzerim. Qui, dal 2014 è installato il Ground Based Traininig Systems, un sistema di simulazione molto avanzato sviluppato da Elbit Systems in collaborazione con Leonardo e CAE. Il sistema è oggetto di costante aggiornamento e sviluppo per mantenerlo sempre allo stato dell'arte.
   Con l'introduzione del trainer M346, è stata data maggiore enfasi all'addestramento a terra nella scuola di volo IAF, sia per i piloti di caccia che per gli operatori di sistemi di armi (WSO). Il GBTS è composto da due simulatori di missione completi (FMS) e due simulatori di volo operativi (OFS), collegati tra loro in rete, offrendo agli utenti un'esperienza molto vicina al volo reale. Tale avanzata soluzione di addestramento virtuale-costruttivo introduce una tecnologia all'avanguardia che consente ai piloti IAF di condurre un addestramento di volo efficace e sicuro, garantendo allo stesso tempo la loro prontezza operativa nelle piattaforme di prossima generazione. Offre condizioni altamente realistiche e coinvolgenti in un ambiente a terra, migliorando ulteriormente la capacità di addestramento della IAF, consentendo al personale di bordo di pianificare al meglio ed eseguire missioni addestrative complete in minor tempo e al minor costo.
   Il GBTS consente ai cadetti dell'accademia di volo, nonché a piloti laureati e WSO, di praticare procedure di emergenza insolite e in volo e, a un livello più avanzato, di simulare scenari di combattimento complessi, sia come pilota solista sia in formazione. Il sistema di addestramento tattico incorporato (ETTS), il sistema di addestramento dal vivo con tecnologia all'avanguardia di Elbit, fornisce addestramento dal vivo all'interno del GBTS e sul velivolo reale. I simulatori del Centro impiegano un sistema di visualizzazione a 360° di immagini reali, dotato di modelli di simulazione di sistemi di armi reali ed un Computer Generated Forces (CGF) ad alta fedeltà, che, lavorando insieme, generano una vasta gamma di ambienti di combattimento virtuali molto simili alla realtà
   Tale soluzione di addestramento completa è stata scelta dall'IAF per permettere ai piloti e gli operatori dei sistemi d'arma di essere già pronti e qualificati per operare direttamente sulle linee F-16, F-15 e F-35.
   Sul M-346 Lavi i giovani piloti ed i WSO trovano l'avanzatissimo sistema Embedded Virtual Avionics (EVA), integrato da Leonardo che trasforma l'aereo d'addestramento in un cacciabombardiere avanzato virtuale e consente ai tirocinanti di acquisire un'esperienza essenziale nel funzionamento di sistemi avanzati, come radar virtuali, sensori ottici e sistemi di guerra elettronica, nonché armi virtuali aria-aria e aria-terra.

(Ares Osservatorio Difesa, 6 giugno 2020)


Scuole in Israele, 14mila in isolamento

Il coronavirus continua a diffondersi nelle scuole di Israele - dove le lezioni erano riprese a pieno ritmo tre settimane fa - e per questa ragione negli ultimi giorni sono stati chiusi 92 istituti scolastici ed asili nido. Il numero dei casi positivi fra gli allievi ed il personale educativo è oggi di 304. Intanto quasi 14 mila fra allievi ed insegnanti si trovano oggi in isolamento a casa. Lo ha reso noto il ministero dell'istruzione.
In Israele - ha riferito ieri il ministero della sanità - i casi positivi sono stati finora 17.495, 121 in più rispetto al giorno precedente. Le guarigioni sono state 15.013 ed i decessi 291. I malati risultano essere 2.191, 104 dei quali ricoverati in ospedali mentre gli altri sono in isolamento nelle loro case o in alberghi messi a disposizione dalle autorità. In rianimazione si trovano oggi 23 malati.

(ANSAmed, 5 giugno 2020)


Gattinara, visite a distanza con i nuovi apparecchi arrivati da Israele

È il primo caso in Italia di struttura sanitaria pubblica ad avere in dotazione uno strumento del genere. Si tratta del Tytocare, già in funzione all'interno del centro Covid di Gattinara. «Si tratta di una piccola strumentazione - spiegano dall'Asl Vercelli - che consente di monitorare a distanza i parametri dei pazienti. Un dispositivo a cui possono essere agganciati di volta in volta accessori specifici come lo stetoscopio o l'otoscopio».

 Arrivati da Israele
  I dati clinici vengono acquisiti su una piattaforma tramite un'app molto semplice e intuitiva in cui sono registrati dati anagrafici del paziente, sintomi, esami clinici e altre informazioni. Si tratta in tutto di 30 dispositivi acquistati dall'Asl di Vercelli in service e arrivati direttamente da Israele, patria della telemedicina.

 Tytocare
  «L'utilizzo di Tytocare - commenta il direttore generale dell'Asl, Chiara Serpieri - era stato programmato prima dell'emergenza per la gestione dei nostri piccoli pazienti pediatrici con l'intento di assistere, insieme ai bambini, l'intera famiglia al domicilio. Adesso li utilizzeremo anche nelle strutture sanitarie e residenziali dell'azienda».

 La telemedicina è il futuro
  «In questo modo abbiamo l'opportunità di seguire molti pazienti a distanza con il supporto di personale infermieristico dedicato. Stiamo anche avviando sinergie con alcuni medici di medicina generale che hanno già dato la loro disponibilità a collaborare al progetto».

(Notizia Oggi, 6 giugno 2020)


Tv: Cohn-Bendit, tracce della sua identità ebraica

Nuovo documentario in Israele dopo quello sul calcio del 2014

PARIGI, 5 GIU - "Sono ebreo ma non so cosa voglia dire": dopo il documentario road movie realizzato durante il Mondiale di Calcio di Brasile 2014, Daniel Cohn-Bendit torna ad afferrare la cinepresa per interrogarsi questa volta sulla ''identità ebraica'', una ricerca molto personale che, a 75 anni, lo ha indotto a partire in Israele. "Quando ho cominciato ad occuparmi seriamente" di questa questione? "Tardi, molto tardi, a 60 anni", ha spiegato l'icona del Maggio '68 nonché ex-europarlamentare di Europe-Ecologie Les Verts dalla doppia anima franco-tedesca, presentando il documentario che verrà diffuso domenica, alle 23:00, su France 5. Nel Maggio '68, 'Dany' - come viene affettuosamente ribattezzato tra Parigi, Strasburgo e Bruxelles - veniva chiamato l'''ebreo tedesco''.
   Di qui, il titolo del documentario: "La case du siècle - Nous sommes tous Juifs allemands". "Prima di allora - ha spiegato - la mia identità ebraica era 'una evidenza a cui non avevo riflettuto, un po' nell'idea di ciò che diceva Sartre: è l'antisemitismo a plasmare gli ebrei". Quindi l'idea di partire in Israele per rispondere a quesiti del tipo 'Quanto la mia identità ebraica è superficiale? Israele mi rappresenta?". Nel documentario, Cohn-Bendit è sia narratore (voce off) sia intervistatore di diverse componenti della società israeliana e palestinese. Lui che dice di non andare mai in Sinagoga torna in un kibbutz, dialoga con i coloni israeliani, incontra giovani ortodossi di una Yeshiva o una donna rabbino del movimento liberale. Ma si concentra anche sulla difficile integrazione dei figli di rifugiati non ebrei in una scuola per loro. Come tela di fondo il conflitto israelo-palestinese e la questione dei territori occupati, anche attraverso un dialogo con una cantante militante del movimento della Pace, o le commoventi testimonianze di due donne membri di una stessa associazione, una israeliana, l'altra palestinese, che hanno perso entrambe i figli.

(ANSA, 5 giugno 2020)


Nuovo microscopio sviluppato in Israele

Un nuovo microscopio quantistico sviluppato presso l'Istituto Technion di Haifa potrebbe contribuire a migliorare la nitidezza dei colori su telefoni cellulari e altri tipi di schermi. E' quanto emerge da una ricerca pubblicata su Nature. Il professor Ido Kaminer e il suo team hanno creato il microscopio quantistico che registra il flusso di luce, consentendo l'osservazione diretta della luce intrappolata all'interno dei cristalli fotonici. "Usando il nostro microscopio - spiga Kaminer - possiamo cambiare il colore e l'angolo della luce che illumina qualsiasi campione di nano materiali e mappare le loro interazioni con gli elettroni". E' la prima volta che si riesce a vedere la dinamica della luce intrappolata in nano materiali anziché affidarsi a simulazioni su computer. Il risultato sarà la possibilità di progettare nuovi materiali quantistici atti a memorizzare bit quantici con maggiore stabilità e miglioramento degli schermi.

(israele.net, 5 giugno 2020)


Dalli all'untore, ovviamente ebreo… Il virus e le fake news

Non si fermano le campagne di odio, le "bufale" e il complottismo che, sin dalla comparsa del coronavirus Sars-coV2 sulla faccia della Terra, mirano ad accusare gli ebrei della sua diffusione. Come con la peste del Medioevo…

di Nathan Greppi

La "via per dominare il mondo passa dal coronavirus, lo sanno bene Soros e soci". "Infettare tutti per vendere a caro prezzo il vaccino", oppure per "prestare a usura il denaro alle popolazioni impoverite dalla crisi economica, epocale e globale", che ne deriva. Insomma, gli ebrei, sempre gli ebrei sono gli "abili sfruttatori di tutte le situazioni di emergenza".Ma no, non solo: "le innescano deliberatamente, con la produzione in segretissimi laboratori di virus per la guerra batteriologica…".
  Le fake news, le menzogne e le accuse più strampalate, dopo due mesi di pandemia, corrono veloci sul web e non si contano più.
  La crisi che stiamo tutti vivendo ha un impatto notevole, da ogni punto di vista: sociale, economico, affettivo, psicologico. Ciò sta alimentando la rabbia e la frustrazione delle persone, provate da mesi di isolamento forzato e da una recessione economica di vaste proporzioni, portandole, nei casi estremi, a cercare un capro espiatorio da incolpare. In questo contesto si stanno diffondendo su internet numerose "teorie del complotto", spesso veicolate da "meme" e vignette, molte delle quali hanno come bersaglio gli ebrei e, ovviamente, Israele.

 Il rapporto dell'ADL
  Il sito dell'Anti-Defamation League (ADL) ha pubblicato, a metà marzo, un approfondimento che elenca i vari sottogeneri in cui sono suddivise le teorie cospirazioniste legate al coronavirus che girano in particolare negli Stati Uniti, sia quelle antisemite e/o antisioniste sia quelle che più in generale prendono di mira interi popoli o singoli personaggi pubblici. Il primo genere è quello secondo cui le "lobby ebraiche" usano il coronavirus per espandere il loro dominio globale, nel quale vengono spesso citati personaggi come George Soros e la famiglia Rothschild. Spesso si tratta di rielaborazioni moderne dei pregiudizi in voga nell'Europa del 1300, quando gli ebrei venivano accusati di diffondere la peste.
  Negli USA queste teorie vengono fatte proprie dagli estremisti di entrambi gli schieramenti politici: a metà aprile, ad esempio, la CNN ha scoperto numerosi tweet del nuovo portavoce del Dipartimento della Sanità americano, Michael Caputo, che accusava Soros e i Rothschild di sfruttare la pandemia per controllare la società. Mentre, a metà marzo, David Clarke, uno sceriffo del Wisconsin legato agli attivisti afroamericani di Black Lives Matter, ha accusato Soros di essere coinvolto "in questo panico da influenza."
  Un altro genere di complottismo accusa gli ebrei di voler lucrare sulla pandemia, tramite l'usura o la vendita di un ipotetico vaccino, mentre circolano vignette in cui gli ebrei vengono persino ritratti come incarnazione del virus stesso.
  La maggior parte delle immagini antisemite individuate dall'ADL si trovano su Twitter, Telegram e 4chan. Inoltre, ne circolano altre che esultano per gli ebrei che muoiono da coronavirus.
  Un'altra categoria di fake news è costituita da accuse rivolte allo Stato d'Israele: il vignettista brasiliano Carlos Latuff, molto conosciuto negli ambienti antisionisti sin dai tempi della Seconda Intifada, ha pubblicato a marzo un disegno che raffigura una donna palestinese usata come scudo da un soldato israeliano contro il virus; il 12 dello stesso mese, l'ex-capo del Ku Klux Klan, David Duke, ha twittato l'ipotesi che Donald Trump fosse rimasto contagiato, incolpando di ciò Israele e "l'elite sionista globale". Mentre il 16 marzo un profilo Twitter legato alla Nation Of Islam, il gruppo islamico afroamericano di cui fece parte Malcolm X, ha insinuato che il virus sia stato creato da Israele come arma biologica.

 Paesi diversi, stessi deliri
  Non è solo in America che circolano queste idee: il Community Security Trust di Londra ha condotto uno studio sull'antisemitismo nel Regno Unito, nel quale emergono casi e situazioni molto simili a quelle descritte dall'ADL. Viene inoltre menzionato il fenomeno dello "zoombombing", in cui persone razziste, violente e antisemite si insinuano sulla piattaforma Zoom, disturbando le preghiere e gli incontri virtuali attaccando e insultando gli ebrei.
  In Francia, ci sono stati casi di personaggi pubblici, già noti per le loro posizioni estremiste, che hanno fatto dichiarazioni antiebraiche in relazione alla pandemia: come ha raccontato il giornalista Paolo Berizzi su La Repubblica, il politico francese Henry de Lesquen ha dichiarato che "il giudeovirus è peggio del coronavirus", durante un incontro organizzato a marzo in Svizzera dal partito neonazista Resistenza Elvetica. De Lesquen è noto per le sue esternazioni antisemite e razziste, tanto da aver interrotto i rapporti con la figlia dopo che questa ha sposato un ebreo.
  Alain Mondino, capogruppo del partito RN (successore del Front National) nel comune di Villepinte, vicino alla periferia nord di Parigi, ha postato sul social network russo VK un video secondo cui il virus è stato creato dagli ebrei "per imporre la loro supremazia".
  In Spagna ha fatto scandalo un articolo, pubblicato il 14 marzo, sul sito di estrema sinistra Kaosenlared, vicino agli indipendentisti baschi, secondo il quale "il coronavirus è uno strumento per la Terza Guerra Mondiale rilasciato dall'imperialismo yankee sionista. L'elite anglosassone capitalista e sionista, nemica di tutta l'umanità, ha compiuto un ulteriore passo nella sua offensiva criminale e genocida".
  Un caso analogo si è verificato anche in Venezuela, dove il sito socialista Aporrea ha scritto che gli USA e Israele usano il coronavirus come arma biologica per distogliere l'attenzione dai loro problemi interni.
  Se in Occidente i promotori del complottismo restano per la maggior parte legati ad ambienti di nicchia, oltre ad essere osteggiati dai vari governi, lo stesso non si può dire per il Medioriente: su ATV, il più importante canale televisivo turco, un presunto esperto ha insinuato che Israele avrebbe diffuso il virus, oltre ad avere già un vaccino. In Iran invece vi è una diffusione sistematica di queste teorie attuata dai media governativi: Press TV, canale di Stato iraniano in lingua inglese, ha dichiarato che dietro il coronavirus vi siano i "sionisti", mentre sulla loro emittente in lingua spagnola Hispan TV è uscito un rapporto che dice: "Questo virus aiuta i sionisti a raggiungere i loro obiettivi, ossia diminuire il numero di persone nel mondo e impedire che aumentino".

 La situazione italiana
  Anche in Italia la propaganda iraniana ha cercato di attecchire: sull'edizione italiana di Pars Today, sito di notizie di proprietà dello Stato iraniano, un articolo del 12 marzo accusa Israele di usare il virus per uccidere i prigionieri palestinesi. Mentre altri articoli di siti stranieri che accusano Israele di sfruttare la pandemia contro i palestinesi vengono regolarmente tradotti in italiano da testate di estrema sinistra quali Infopal, un'agenzia di stampa talmente estrema che in passato ne ha preso le distanze persino Mariano Mingarelli, presidente di una onlus filopalestinese di Firenze, che in un'intervista al Corriere Fiorentino del 2010 ammetteva che ci fossero dei veri antisemiti nella redazione di Infopal.
  Alcuni giornalisti hanno potuto constatare da vicino la diffusione di determinate teorie: in un editoriale apparso sul quotidiano Libero il 14 marzo, il caporedattore Francesco Specchia ha raccontato di aver ricevuto da un lettore un messaggio in cui questi sostiene che il virus è stato diffuso dal Mossad in modo che gli israeliani possano poi vendere "un vaccino che, essendo ebrei, venderanno al miglior offerente".
  «Il tema dell'antisemitismo legato al Covid 19 è sorto su internet soprattutto intorno alla metà di marzo, quando abbiamo avuto 6 o 7 segnalazioni di post antisemiti, - spiega a Bet Magazine Stefano Gatti, ricercatore dell'Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC - Da noi i complottisti del web fanno più un cospirativismo puro, contro le elite e l'alta finanza, senza però citare gli ebrei. Rispetto ad altri paesi, soprattutto quelli islamici e dell'America Latina, da noi l'antisemitismo non emerge in modo significativo. E non è un caso che uno dei principali canali d'odio contro ebrei e Israele in Italia sia Pars Today, di proprietà del governo iraniano».

(Bet Magazine Mosaico, 5 giugno 2020)


L'asso di Israele. O del mistero semisegreto di Ness Ziona

di Sharon Nizza

L'Istituto israeliano per la Ricerca Biologica di Ness Ziona è avvolto da quell'aura di segretezza che accompagna le spy stories, quelle in cui ci si esprime sempre con un no comment. Fondato nel 1952, l'Istituto si occupa di ricerca multidisciplinare nei settori della biologia, chimica, malattie infettive, scienze ambientali, come recita il suo sito internet. Ma l'affiliazione all'Ufficio del primo ministro e al ministero della Difesa, insieme a pubblicazioni straniere nel corso della sua lunga attività, indicano che la sua missione riguardi anche altri obiettivi. Da febbraio, questo centro, generalmente poco votato all'esposizione mediatica, è balzato agli onori della cronaca. Il 30 gennaio il ministero della Salute bloccava i voli dalla Cina; il 2 febbraio Netanyahu twittava di aver incaricato l'Istituto di investire tutti i suoi sforzi nella ricerca di un vaccino. Erano giorni in cui il mondo ancora non realizzava a cosa sarebbe andato incontro e c'era chi definiva queste mosse allarmismo ingiustificato.
  Nel frattempo, l'8 marzo, Migal, un istituto di ricerca nel nord d'Israele, si guadagnava i titoli dei giornali mondiali dopo aver annunciato di aver raggiunto "importanti risultati scientifici che potrebbero portare alla rapida creazione di un vaccino". I ricercatori raccontarono di avere avuto un "colpo di fortuna", in quanto stavano sviluppando già da quattro anni un vaccino contro il virus della bronchite infettiva dei polli, appartenente alla stessa famiglia del Covid-19. Si parlò di un "vaccino entro pochi mesi". Tanto clamore fece quella notizia che poco fa si è scoperta una truffa in Ecuador, dove per settimane è stato commercializzato un finto vaccino che riproduce sulla confezione il logo di Migal.
  Oggi i ricercatori sono più cauti: a giugno entreranno nella prima fase di sperimentazione sugli animali, ci conferma la portavoce dell'istituto. Nel frattempo hanno costituito un nuovo brand, dedicato unicamente alla ricerca del vaccino, MigVax Corp, che si è aggiudicato un investimento di 12 milioni di dollari da parte di OurCrowd, una delle maggiori piattaforme di investimento crowdfunding. La sera del 4 maggio, lo stesso giorno in cui Israele donava 60 milioni di dollari alla raccolta fondi della Commissione Europea per la ricerca sul vaccino, l'allora ministro della Difesa Naftali Bennet - oggi all'opposizione - rilasciava una dichiarazione drammatica: "l'Istituto di ricerca biologica ha fatto un decisivo passo avanti nella ricerca di un anticorpo per il Corona". Il giorno successivo, il telefono dell'Istituto di Ness Ziona non smetteva di squillare, con i reporter speranzosi di ottenere qualche informazione in più che venivano puntualmente rimandati al portavoce del ministero della Difesa. Che rispondeva, appunto, no comment. I commenti sono arrivati due settimane dopo, quando è stato confermato che l'IIBR ha brevettato 8 anticorpi monoclonali efficaci nello sviluppo di una cura per il Covid-19 e, al contempo, ha annunciato di aver concluso con successo la fase di sperimentazione su roditori di un possibile vaccino. Nel primo caso si parla di "vaccino passivo" e l'unicità della scoperta israeliana sta nel fatto che gli 8 anticorpi possono essere somministrati insieme, come in un cocktail, potenziando la capacità di neutralizzazione del virus in un paziente già infettato.
  I ricercatori hanno anche già realizzato la clonazione in laboratorio dell'anticorpo. In Israele ci sono molti cervelli, ma non esiste ancora nessun ente in grado di procedere con la produzione di massa né di anticorpi né di vaccini. E' questione di giorni e si procederà alla firma di un protocollo di cooperazione sulla ricerca sull'anticorpo tra l'Istituto di Ness Ziona e alcuni centri medici e di ricerca scientifica italiani, con l'intermediazione dell'Ambasciata d'Israele in Italia. Tornando ai primi di febbraio, dopo il mandato conferito da Netanyahu al Prof. Shmuel Shapira, il direttore dell'IIBR, al centro arrivavano, in un'operazione segreta gestita dal ministero della Difesa, svariati campioni del virus, da diversi paesi, tra cui Giappone e Italia. I campioni fornivano ai ricercatori tre versioni del virus, prelevate da un animale, da un corpo malato e da un corpo guarito. Nir Dvory, il corrispondente per gli affari militari del Channel N12, è uno di quelli che sa come arrivare a fonti informate dall'interno.
  "I ricercatori di Ness Ziona non amano stare sotto i riflettori" dice a "Repubblica", alludendo al fatto che il ministro Bennett, esponendoli con l'annuncio del 4 maggio, li aveva messi in difficoltà, in una mossa orientata a ottenere un ultimo guizzo di gloria prima di liberare la sedia a Benny Gantz e passare all'opposizione. "Dalle informazioni che ho io, posso dire che al ritmo con cui stanno lavorando competono solo con altre 4 o 5 compagnie al mondo nella ricerca del vaccino". E ci rivela anche un dettaglio che, sempre per la politica del no comment, è più probabile che esca su un giornale straniero che israeliano: "Hanno già firmato un contratto con due aziende farmaceutiche per la produzione di massa". Non ci rivela di quali paesi, ma ci conferma che nessuna delle due è cinese.

(la Repubblica, 5 giugno 2020)


Guerra dei sei giorni, 5-10 giugno 1967

di David Spagnoletto

Giugno 1967. Israele è nato da 19 anni, tempo che non ha scalfito le granitiche pozioni dei paesi arabi circostanti che non vogliono avere alcun rapporto con lo Stato ebraico. Anzi. Annunciano la sua distruzione grazie a un'imminente guerra che dovrebbe mettere fine all'esistenza del popolo ebraico nell'area.
Un ammonimento pieno di odio nonostante le parole del primo ministro israeliano Eshkol che si rivolge agli stati arabi, dicendo di non voler far la guerra né "colpire la sicurezza, né il territorio, né i diritti dei vostri paesi".
Parole pronunciate il 24 maggio. Parole che rimangono inascoltate. Solo tre giorni dopo il presidente dell'Egitto Nasser non usa mezzi termini per esprimere il suo rancore verso Israele:
"Il nostro obiettivo di fondo sarà la distruzione di Israele. Il popolo arabo vuole combattere. Il significato del blocco di Sharm el-Sheikh è quello di uno scontro con Israele: avendo adottato quella misura siamo obbligati a prepararci ad una guerra generale con Israele".
Passano quattro giorni e arriviamo al 31 maggio, quando il presidente iracheno Abdel Rahman Aref afferma:
"L'esistenza di Israele è un errore che deve essere rettificato. Questa è l'occasione che abbiamo per cancellare questa ignominia che ci accompagna sin dal 1948. Il nostro obiettivo è chiaro: cancellare Israele dalla carta geografica".
Poche ore dopo e il presidente dell'Olp Ahmed Shukairy dichiara:
"O noi o gli israeliani, non ci sono vie di mezzo. Gli ebrei di Palestina dovranno andarsene. Agevoleremo la loro partenza dalle loro case. Chi sopravvivrà dell'antica popolazione ebraica di Palestina potrà restare, ma ho l'impressione che nessuno di essi sopravvivrà".
Il mondo arabo vuole distruggere Israele.
Il 22 maggio 1967 l'Egitto aveva chiuso gli stretti di Tiran (Sharm el-Sheikh) alla navigazione israeliana. Sul piano del diritto internazionale, il blocco degli stretti è l'atto di aggressione che segna l'inizio della guerra.
Con il passare dei giorni la tensione aumenta. I leader arabi minacciano la distruzione di Israele. Israele che non può rimanere inerme. Non può consentire che i paesi vicini minaccino la sua cancellazione.
E allora, il 5 giugno lancia un attacco a sorpresa distruggendo a terra l'85% della forza aerea egiziana. Alle 7:45 compie uno degli attacchi preventivi più famosi e meglio riuscito della secolo.
È tutto studiato nei dettagli: l'orario scelto coincide con il momento in cui avveniva il primo cambio della guardia della giornata e solo pochi giorni prima il governo israeliano aveva deciso di concedere un weekend di riposo a diversi suoi riservisti, per lasciare credere agli avversari di non pensare a un possibile attacco avversario.
È una guerra lampo. Israele riunifica Gerusalemme, conquista le alture del Golan e parte della West Bank, il Sinai e la Striscia di Gaza.
Pochi giorni in cui i paesi arabi accettano il cessate il fuoco. Pochi giorni in cui i paesi arabi passano dalla volontà di distruggere Israele all'accettazione di una sconfitta che hanno ricevuto perché hanno minacciato l'esistenza di uno Stato che voleva la pace e voleva far vivere serenamente i suoi cittadini.

(Progetto Dreyfus, 5 giugno 2020)


Amedeo Spagnoletto nuovo direttore del Meis

Cambio della guardia alla guida del Meis di Ferrara. Il comitato scientifico del Museo dell'ebraismo italiano e della Shoah ha scelto Amedeo Spagnoletto come nuovo direttore al posto di Simonetta Della Seta che lascia Ferrara per Gerusalemme, chiamata nel nuovo ruolo di direttore del Dipartimento Europa dello Yad Vashem (il memoriale delle vittime della Sboah).
Spagnoletto, romano di 52 anni, ha un curriculum multiforme: laureato in Scienze politiche alla Sapienza di Roma, ha conseguito la laurea rabbinica sempre nella capitale, e un diploma di sofèr - scriba e restauratore di testi sacri - all'Istituto zemach zedeq di Gerusalemme. Infine, ha un diploma di biblioteconomia presso la Scuola Vaticana. Dal 2017 al 2019 è stato rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze.
   Spagnoletto è stato scelto da un lotto di 17 candidati. «Il nuovo direttore - sottolinea il presidente del Meis Dario Disegni - è uno studioso di riconosciuta autorevolezza a livello internazionale nel campo della storia, della cultura e dei beni culturali ebraici, che ha già dato un importante contributo alla programmazione culturale e scientifica del Meis nello scorso mandato».
   Dal canto suo, Spagnoletto sottolinea che la prima sfida che lo vedrà impegnato - oltre che quella più generale di portare a termine del realizzazione del museo - è quella di riprogettare l'offerta didattica per le scuole in modo che, fin dall'inizio del prossimo anno scolastico, i percorsi formativi per studenti e insegnanti siano calibrati rispetto alla delicata situazione socio sanitaria.

(la Repubblica, 5 giugno 2020)


I Satmar sono antisionisti. Ma a noi importa veramente?

«La vera natura del sionismo da un punto di vista teologico è, ovviamente, sconosciuta» conclude l'autore di questo impegnativo ma interessantissimo articolo che riprendiamo da Kolòt. E' in gioco la natura teologica del sionismo in confronto con la visione ultraortodossa di Rav Yoel Teitelbaum (1887-1979), fondatore della setta chassidica Satmar. La discussione sul valore teologico del sionismo avviene anche in campo cristiano e non è affatto conclusa. E non mancano anche da questa parte quelli che considerano il sionismo un'eresia. L'impostazione di Teitelbaum si presterebbe comunque molto bene ad un confronto con quella evangelico-millenarista, perché in entrambi i casi entrano in gioco e sono presi in seria considerazione elementi biblici comuni. Cosa che non avviene invece nel confronto col sionismo laico. NsI

di Shaul Magid*

 
Yoel Teitelbaum
Recentemente, ho tenuto un seminario al Kraft Center for Jewish Life alla Columbia University, ed ho incluso una serie di passaggi del manifesto antisionista Vayoel Moshe, di Yoel Teitelbaum, noto come Satmar Rebbe o il Rav Satmar. Teitelbaum (1887-1979) fu il fondatore della setta chassidica Satmar a Satu Mare (anche conosciuta come Szatmernemeti), in Ungheria, ed è conosciuta come il modello dell'antisionismo ultraortodosso. Successivamente, un amico e collega che ha partecipato al seminario mi ha detto che mentre stava studiando in una yeshiva religiosa sionista in Israele, alcuni studenti leggevano il trattato antisionista di Teitelbaum, Vayoel Moshe, e ne ridevano, un'interessante forma di intrattenimento da parte dei vincitori del dibattito sul sionismo. Perché mai studiare le opere del perdente, anche se solo per divertimento? Ancor più curioso è il fatto che nel 2011 Shlomo Aviner, uno dei principali rabbini tra i coloni, abbia pubblicato un libro intitolato Alei Na'aleh, una risposta sionista capitolo per capitolo a Vayoel Moshe. E nel 2012 i Chabad-Lubavitch hanno pubblicato Iggeret Ma'aneh Hakham, di Yoel Kahn, rispondendo ai divieti di Teitelbaum a non essere coinvolti con lo stato secolare israeliano. Dato che il sionismo ha vinto, perché tali rabbini dovrebbero spendere tempo ed energia a scrivere tali libri? Perché dovrebbero preoccuparsene?
  Mentre molte persone conoscono la posizione generale di Teitelbaum e della sua comunità Satmar nei confronti del sionismo, pochi hanno effettivamente letto le sue opere e compreso gli argomenti dall'interno del denso e complesso contesto nel quale sono stati scritti. E questo è un peccato, perché le sue due opere anti-sioniste, Vayoel Moshe, pubblicata nel 1959, e 'Al Ha-Geulah ve' al ha-Temura (Sul riscatto e la permuta, tratto da Ruth 4:7), una risposta alla guerra dei sei giorni, pubblicata nel 1967, offre argomenti dettagliati e intricati circa il fatto che, contrariamente a quanto molti credono, il sionismo rappresenta un pericolo imminente per il popolo ebraico ed una deviazione, invece che una acquisizione, per l'imminente era messianica. Nel seguito, offro una rappresentazione schematica e contestualizzata della sua argomentazione, per poi domandarmi perché dovremmo confrontarci con essa seriamente, anche se ovviamente la maggior parte di noi è in disaccordo.
  Vayoel Moshe e 'Al ha-Geulah sono due libri molto diversi. Il primo è principalmente un trattato halachico, che offre intricate discussioni legali su tre argomenti separati ma correlati. In primo luogo, lo stato giuridico della discussione talmudica dei "tre giuramenti" tra Dio e Israele. Il Talmud verso la fine del trattato Ketubot delinea tre giuramenti tra Dio, Israele, ed il mondo come la condizione dell'esilio degli ebrei. Primo, che gli ebrei non dovrebbero andare in massa nella terra di Israele. Secondo, che Israele non dovrebbe ribellarsi alle nazioni del mondo. E terzo, che Dio comanderà alle nazioni di non opprimere troppo Israele. Il primo saggio di Vayoel Moshe offre un resoconto dettagliato di questi giuramenti nella letteratura midrashica ed in quella relativa al codice giuridico medievale, sostenendo che poiché il sionismo
Data la natura secolare del sionismo, se non c'è più l'obbligo di vivere nella terra, come possono gli ebrei religiosi giustificare la loro combutta con i sionisti secolari al fine di stabilirsi lì?
trasgredisce il primo giuramento, Dio non è più vincolato al terzo. Il secondo saggio è una lunga discussione halachica sulla questione se vi sia, ai nostri giorni, un comandamento positivo di stabilirsi nella terra di Israele. La domanda è rilevante per i suoi lettori perché, data la natura secolare del sionismo, se non c'è più l'obbligo di vivere nella terra, come possono gli ebrei religiosi giustificare la loro combutta con i sionisti secolari al fine di stabilirsi lì? Il terzo saggio riguarda lo stato secolare della lingua ebraica e la sua relazione con il lashon ha-kodesh (la lingua santa), un affascinante studio sulla natura halachica dell'ebraico come lingua franca. Invece, 'Al Ha-Geulah è un'opera teologica. Teitelbaum scrisse l'introduzione, ma poi si ammalò ed il resto comprende trascrizioni di discorsi orali che tenne nel corso degli anni. 'Al Ha-Geulah sviluppa una serie di argomenti teologici incentrati sulla natura del miracolo, dell'idolatria, e della falsa profezia, idee che Teitelbaum riteneva particolarmente rilevanti all'indomani della guerra del 1967.
  Significativamente, nelle centinaia di pagine fitte delle opere di Teitelbaum, egli menziona raramente in modo aperto il sionismo od i sionisti, anche se allude spesso a loro, di solito con termini come "minim" o "apikorsim" (eretici) o "horsei dat" (distruttori di religione). Questi termini non sono suoi specifici ma erano comunemente usati dai pensatori ultra-ortodossi in riferimento ai sionisti. Teitelbaum non discute quasi mai dei pensatori sionisti, anche se nel suo saggio sulla lingua ebraica, "Saggio sul Lashon ha-Kodesh", si riferisce spesso a iniziative educative sioniste e dibattiti sulla secolarizzazione e profanazione della lingua ebraica. Ho trovato solo un riferimento in una risposta halachica nel quale menziona Abraham Isaac Kuk, il primo rabbino capo del mandato della Palestina ed architetto del sionismo religioso contemporaneo, e solo di sfuggita. Teitelbaum non è interessato alle polemiche dirette, ma piuttosto alla creazione di una fonte primaria di Torah che avverte contro l'eresia del sionismo. Le sue due opere principali sono quindi piene di lunghe divagazioni su dichiarazioni talmudiche e sui loro commenti. Chiaramente non sono pensate per ebrei secolari, certamente non per sionisti secolari. In effetti, chi non conosce il linguaggio del beit midrash ("casa dello studio") ha difficoltà a smontare le sue argomentazioni midrashiche ed halakhiche.
  Queste opere sono dirette alla sua comunità ultraortodossa, che credeva fosse, o potesse essere, sedotta dalla narrativa sionista. Ciò è particolarmente vero con 'Al Ha-Geulah, scritto quando Teitelbaum vide la guerra dei sei giorni interpretata come una vittoria miracolosa per il sionismo. Spesso notò, scherzando a metà, che tutti questi ebrei laici che non credevano ai miracoli improvvisamente iniziarono a parlare di miracoli quando si trattava della guerra dei sei giorni. Ma più significativamente, queste opere rappresentano anche una teologia politica ebraica, attingendo a migliaia di fonti tradizionali, impiegate per mettere in guardia contro i pericoli del soccombere all'eresia sionista contemporanea.
  Yoel Teitelbaum fu salvato dalla morte quasi certa a Bergen-Belsen dal treno (sionista) di Kastner1. Trascorse circa un anno nel mandato della Palestina prima di emigrare a New York, dove trascorse il resto della sua vita, spostandosi tra una casa a Williamsburg, Brooklyn, e l'enclave Satmar Kiryas Yoel nella Contea di Rockland, New York. Nel 1952, visitando Gerusalemme e donando cospicui fondi alla comunità ultraortodossa locale, fu nominato capo titolare (av beit din) dell'Edah Haredit, la più grande corte rabbinica ultraortodossa di Gerusalemme. Rimase il presidente onorario di Edah fino alla sua morte. La sua prodigiosa istruzione e la sua vasta conoscenza lo resero uno dei grandi saggi della Torah del 20° secolo, riconosciuto come tale anche da coloro che erano fortemente in disaccordo con lui.
  Teitelbaum fu in gran parte responsabile della ricostruzione delle comunità di ebrei ultraortodossi dall'Ungheria e dalla Romania decimate nell'Olocausto. Mentre la sua corte chassidica a Satu Mare (comunemente conosciuta oggi come Satmar), vicino al confine ungherese/rumeno era relativamente piccola
Il sionismo era per lui come un mix precario di secolarismo abbigliato in un linguaggio ebraico redentore particolarmente pericoloso perché conteneva la seduzione della capacità di risolvere il problema ebraico diasporico dell'antisemitismo.
, dopo la guerra divenne un magnete per i sopravvissuti di quelle regioni. La sua ideologia estrema fu trapiantata dalla regione ungherese di Marmaros, dove l'ultraortodossia sposò, come atto di pietà redentrice, la rigida separazione da tutte le forme di secolarismo. Il sionismo servì per lui e per la maggior parte degli altri leader religiosi di quella regione, come un mix precario di secolarismo abbigliato in un linguaggio ebraico redentore che era particolarmente pericoloso perché conteneva la seduzione della capacità di risolvere il problema ebraico diasporico dell'antisemitismo.
  In molti modi, l'Olocausto era al centro del pensiero di Teitelbaum sul sionismo. Infatti, egli inizia Vayoel Moshe facendo cenno alla catastrofe che era appena capitata agli ebrei:
    «A causa dei nostri molti peccati, negli ultimi anni abbiamo sofferto amaramente in modi nei quali Israele non ha sofferto da quando è diventata una nazione [goy]. "Se il Signore non ci avesse conservato un piccolo avanzo [saremmo come Sodoma, uguali a Gomorra]." (Isaia 1:9). Ma con la misericordia di Dio, benedetto sia il Suo nome, alcuni di noi sono sopravvissuti, sebbene in piccolo numero. Non pochi da una moltitudine ma pochi da pochi, tutto ciò a causa di un giuramento che il Santo benedetto Egli sia fece con i nostri antenati per non annientarci completamente, Dio non voglia. Siamo sopravvissuti anche con i nostri numerosi peccati, incarnando il versetto, "Il Signore renderà eccezionali le tue piaghe [e quelle della tua progenie]". [Deuteronomio 28:59] "[perciò io continuo a far meraviglie per questo popolo, in modo miracoloso,] e si perderà la saggezza dei suoi sapienti, e l'intelligenza dei suoi esperti sarà offuscata". [Isaia 29:14] aspettavamo "l'ora della guarigione, ed ecco il terrore! " [Geremia 8:15] Ed ancora oggi riposo e conforto non sono arrivati. I nostri cuori sono totalmente spezzati e non c'è nulla che ci possa confortare e rafforzare. Piuttosto, i nostri occhi deboli e le nostre anime languenti si volgono verso il cielo fino a che Dio vedrà tutto ciò dal cielo. Dio vedrà la nostra sofferenza e guarirà i nostri cuori feriti con la grande misericordia di Dio.»
Teitelbaum credeva, come molti sionisti religiosi, specialmente dopo l'Olocausto, che stiamo sulla cuspide della redenzione messianica. Spesso fraintendiamo l'antisionismo di Teitelbaum come diametralmente opposto al sionismo di Abraham Isaac Kuk. In verità, Kuk e Teitelbaum sono in disaccordo meno di quanto pensiamo. Dal profondo della tradizione canonica, entrambi avevano un compito simile: dare un senso alla natura secolare del sionismo e come essa potesse quadrare con la comprensione tradizionale sia della catastrofe che della redenzione. Kuk argomentò dialetticamente, usando una mentalità romantica e mistica, che la natura secolare ed in gran parte antireligiosa del primo sionismo fosse una deviazione necessaria, sebbene temporanea, dalla tradizione che sarebbe stata valutata diversamente nel futuro redentore immanente. Teitelbaum, che visse più profondamente nella cornice binaria della letteratura talmudica, credeva anch'egli che il sionismo avesse avuto un ruolo centrale nella prossima redenzione, tranne che per lui il suo ruolo non era un'inversione kukiana della tradizione per amore della redenzione, ma l'eresia pre-messianica alla quale agli ebrei è richiesto di resistere affinché possa venire la redenzione.
  Il sionismo era quindi il falso messia che doveva essere respinto perché arrivasse il vero messia. Se gli ebrei soccombono alla tentazione della "prova finale", e Teitelbaum sapeva che la tentazione era forte dato il suo contesto post-Olocausto, la redenzione arriverà, ma arriverà attraverso la catastrofe. Come ha affermato lo storico ebreo Amos Funkenstein, secondo Teitelbaum "[una] catastrofe è imminente, dopo di che solo pochi, 'i resti di Israele', sopravviveranno per assistere alla vera redenzione. In effetti, l'intero argomento di
Kuk credeva che il sionismo secolare dovesse essere abbracciato per essere superato; Teitelbaum credeva che il sionismo dovesse essere respinto per evitare una catastrofica redenzione.
Teitelbaum è incorporato nella premessa apocalittica secondo la quale la vera redenzione, attraverso un miracolo divino, è molto vicina, a portata di mano". Kuk credeva che il sionismo secolare dovesse essere abbracciato per essere superato; Teitelbaum credeva che il sionismo dovesse essere respinto per evitare una catastrofica redenzione. Un'altra somiglianza tra Kuk e Teitelbaum è che entrambi hanno visto il messia, falso e vero, nei termini della più astratta idea del sionismo. Per Kuk, il sionismo era l'incarnazione del messianismo, per Teitelbaum era il suo preludio satanico.
  Se pensiamo che la posizione di Teitelbaum sia unica nel suo estremo rifiuto del sionismo ci sbagliamo. In termini generali, gli impegni ideologici di Teitelbaum contro il sionismo non sono nuovi, ma parte di una traiettoria molto più lunga dell'antisionismo tradizionale che risale all'inizio del XX secolo nell'opera di Hayyim Elazar Shapira di Munkacz (1868-1937), l'ebreo di "antico insediamento" in Palestina e, successivamente, ai Neturei Karta in Israele. Questo antisionismo era anche condiviso da gran parte del mondo ultraortodosso prebellico, dal gigante rav lituano Elhanan Wasserman (1874-1941) a Yitzhok Zev Soloveitchik (1886-1959); e gran parte della dinastia Soloveitchik; e il Lubavitcher Rebbes Shalom Dov Schneershon (1860-1920) e Yosef Yizhak Schneershon (1880-1950), tra molti altri.
  La differenza tra Teitelbaum e molti dei suoi colleghi è che solo Teitelbaum ha speso un significativo capitale intellettuale sviluppando una teologia politica che non solo ha reagito all'istanza circonstanziale del sionismo come ad una eresia, ma lo ha collocato in un contesto teologico che ha le sue radici nella narrazione biblica, per esempio, la ribellione del vitello d'oro, la risposta blasfema di Giobbe alla sua sofferenza, la ribellione del popolo contro Mosè nel deserto, e la storia del miracolo nella antica tradizione biblica e nell'ebraismo. Inoltre, Teitelbaum ha respinto l'acquiescenza in larga parte pragmatica verso il sionismo in gruppi come Agudat Yisrael, vedendoli come i giusti che furono ingannati nel servire il vitello d'oro nel deserto del Sinai.
  Nella sua tesi su Teitelbaum, Menachem Keren-Krantz dell'Università di Tel Aviv scrive:
    "La maggior parte degli ebrei e dei rabbini ortodossi [dopo l'Olocausto] erano solidali con lo stato ebraico, anche se erano sospettosi del suo secolarismo e del successo della religione [in Israele] negli anni a venire. Per i primi cinque anni, R. Yoel [Teitelbaum] fu l'unico che continuò a mantenere la ferma posizione anti-sionista che era emersa [precedentemente] dalle scuole dell'ortodossia radicale in Transilvania e nei suoi dintorni."
Fino alla fine degli anni '50, tuttavia, Teitelbaum non pubblicò nulla di sostanziale sull'argomento, ma rese note le sue opinioni nei sermoni orali e in vari media come il quotidiano yiddish Der Yid, che fondò a New York e fu ampiamente letto nella comunità di lingua Yiddish ultra-ortodossa. Verso la fine degli anni '50, vedendo la comunità ultraortodossa addolcirsi verso ciò che considerava l'eresia sionista, decise di pubblicare le sue opinioni in forma di libro, su Vayoel Moshe.
  Suggerisco che un modo di concepire l'antisionismo di Teitelbaum è che esso costituisce una vera e propria teologia ebraica dell'Anticristo. Qui penso che antecedenti all'opera di Teitelbaum si possano trovare nel monaco cristiano medievale Gioacchino da Fiore (1135-1202) ed in particolare in Martin Lutero nel XVI secolo. A partire da Fiore e poi ancora di più negli scritti riformisti di Lutero, l'Anticristo si sposta da riferimenti biblici apocalittici, mitici ed obliqui per applicarsi agli eventi storici ed all'immanente fine dei tempi. Una volta che approfondiamo la teologia riformata, le istituzioni, in particolare il papato, diventano il bersaglio delle accuse anticristiche. L'opera di Lutero del 1545 Contro il Papato Romano: un'istituzione del Diavolo sposta la discussione dell'Anticristo su di un modello presentista, dove rimane per i successivi due secoli. Su ciò, lo studioso del cristianesimo Bernard McGinn osserva:
    "Qual è stata la vera originalità di Lutero nella storia delle tradizioni dell'Anticristo? Il rifiuto dei riformati dei leggendari accrescimenti al quadro scritturale dell'Anticristo e la sua adesione a un'interpretazione totalmente collettiva del Nemico Finale lo distinguono da qualsiasi visione medievale, anche quelle che identificano le istituzioni del papato con l'Ultimo Nemico."
Teitelbaum utilizza immagini sataniche simili che attingono a fonti ebraiche classiche e collega questi episodi alla realtà contemporanea del sionismo e dello stato israeliano. Per lui, il sionismo funziona in modo simile al papato per Lutero.
  L'idea dell'Anticristo è radicata nella figura di Satana nel Libro di Giobbe e nel Libro di Daniele 9-11, dove leggiamo:
    "Ed il re agirà a suo piacimento, s'inorgoglirà, si considererà superiore a qualunque dio e pronunzierà cose inaudite contro Iddio degli dèi e avrà successo finché non sarà terminata l'ira, poiché quello che è decretato si compirà" (Daniele 11:36).
Questo è uno dei motivi per cui Teitelbaum include un lungo excursus su Giobbe in 'Al ha-Geulah ve 'al ha-Temurah. Comprendere il rapporto tra Satana e Giobbe ed esaminare il dispiegamento midrashico di Satana nell'episodio del vitello d'oro (un altro motivo centrale di 'Al Ha-Geulah) è cruciale per la valutazione di Teitelbaum sul mondo che lo circonda, specialmente data la sua convinzione nell'opportunità prossima di redenzione dopo l'Olocausto.
  L'idea di un Anticristo, o falso messia che precede quello vero, è ripresa nella letteratura ebraica e apocrifa e medievale come in Pirkei D'Rebbe Eliezer e nei libri dei pietisti della Renania del 13° secolo,
L'idea di un Anticristo, o falso messia che precede quello vero, è ripresa nella letteratura ebraica e apocrifa e medievale, assumendo una potenza speciale quando si fonde con il messianismo.
assumendo una potenza speciale quando si fonde con il messianismo , sostenendo che la redenzione finale è progettualmente preceduta dall'emergere di una figura satanica o di figure (individui, comunità o persino ideologie) che mettono alla prova la fedeltà della comunità dei credenti alla parola ed alla volontà di Dio. Un esempio ebraico di spicco è la figura di Armilos, un figlio di Satana che uccide il Messia figlio di Giuseppe nel Sefer Zerubbavel, una breve opera messianica scritta in ebraico nel VII secolo EC. Questa figura satanica appare nella letteratura successiva come un arbitro della volontà divina, spesso intenta a compiere prodigi miracolosi, avendo un grande successo quasi senza precedenti tale che, sotto ogni aspetto, egli è un emissario di Dio. Mentre Teitelbaum, per quanto ne sappia, non menziona mai Armilos, era certamente a conoscenza delle tradizioni di tali figure pre-messianiche nella letteratura medievale.
  Questo successo del sionismo è indice di una differenza significativa tra Teitelbaum e il suo predecessore antisionista, nonché un tempo mentore, R. Hayyim Elazar Shapiro di Munkacz. Il filosofo ebreo Aviezer Ravitzky descrive questa differenza in modo succinto.
    "Il Munkaczer Rebbe deve solo chiedere, 'Dov'è la fonte di questa malvagità?' Il Satmerer Rebbe, tuttavia, doveva andare avanti e chiedere, 'Qual è la fonte del loro successo mondano?"
In poche parole, questo significa che da quando morì Shapiro nel 1936, non dovette mai affrontare il successo mondano del sionismo, ma solo la sua esistenza. Ma dice anche del modo in cui questo successo mondano funge da pietra angolare della teologia politica dell'Anticristo di Teitelbaum. Il successo del sionismo, ancor più dopo il 1967, è la questione cruciale alla quale Teitelbaum deve rispondere, e quindi, per lui, il successo del sionismo non dimostra la sua provenienza divina (la pretesa di molti sionisti religiosi) ma piuttosto rafforza il suo status di Anticristo. Per far ciò, deve ricorrere a fonti ed idee ebraiche che hanno informato le varie ideologie dell'Anticristo del passato.
  Nella maggior parte delle teologie dell'Anticristo, Satana è un emissario di Dio ma funziona come uno strumento di seduzione, uno che sorge immediatamente prima dell'imminente redenzione come una prova finale per la comunità dei credenti. Anche la teologia dell'Anticristo è quasi sempre connessa a un'affermazione messianica. Ciò che è richiesto alla comunità dei credenti è la resistenza, piuttosto che l'acquiescenza, a tale seduzione satanica. Ciò equivale a una specie di idea ebraica post-tribolazionista secondo cui l'Anticristo viene a testare la fedeltà della comunità dei credenti. Da ogni punto di vista, Teitelbaum sapeva che il sionismo appariva come una forza liberatrice per gli ebrei, salvando molti, incluso lui, specialmente sulla scia della distruzione degli ebrei europei nell'Olocausto. Eppure è proprio il successo del sionismo, soprattutto dopo il 1967, a convincerlo del reale uso da parte di Dio del sionismo come prova finale che richiede resistenza.
  Uno dei cliché ripetuti nelle opere di Teitelbaum è che "il bene non viene dal male", o "il peccato non può provocare il santo", un'idea a mio avviso intesa a minare la nozione kukiana, attingendo da fonti mistiche, di migrazione dialettica del secolare nel santo. Se il bene non viene dal male, che lavoro fa allora il male nell'imminente fine dei tempi? In 'Al ha-Geula ve al ha-Temurah leggiamo:
    "È noto nella nostra letteratura che non appena ci sia un segno della nostra redenzione e della salvezza delle nostre anime, Satana escogita modi per scambiarla con una falsa redenzione che porta dolore, angoscia, ed oscurità per il mondo. Rabbenu Gershom (960-1040 EC) nota nella sua glossa al Talmud Trattato Tamid 32a a proposito della frase, "Satana avrà successo", "Non sorprendetevi che Satana sia riuscito a farli smarrire offrendo loro la redenzione e poi conducendoli a inferno." (AG 31, 32 nella mia traduzione).
In seguito, Teitelbaum cita ulteriormente una fonte rabbinica che non sono stato in grado di individuare: "Satana ha ottenuto il permesso di compiere miracoli e prodigi nella sua istituzione dell'idolatria". (AG 11, la mia traduzione) Questo sentimento appare in vari testi cabalistici medievali ma, per quanto ne sappia, non questa esatta citazione.
  L'ironia di soccombere all'Anticristo è che si tratta di un peccato che è in gran parte involontario. Qui Teitelbaum si appoggia fortemente su Moses Nahmanide (1194-1270), il grande leader degli ebrei spagnoli del XIII secolo e autore di un commento ampiamente letto alla Torah. Nella sua spiegazione della narrativa del vitello d'oro, Nahmanide suggerisce che la maggior parte di coloro che adorano il vitello lo ha fatto con l'intenzione di servire Dio e non l'idolatria. Coloro che erano colpevoli di idolatria furono immediatamente uccisi (Es. 32:27), mentre gli altri furono puniti ma non uccisi (Es. 32:30) proprio perché le loro intenzioni erano nobili. Teitelbaum vede questa intera narrativa come un'illustrazione del vitello come l'Anticristo. Questo si basa su una tarda antica traduzione aramaica della Torah, la resa di Es. 32:19 nel Targum Yonatan. "Non appena Mosè si avvicinò al campo e vide il vitello e le danze, si irò." Spostando abilmente il verbo "danzare" dal popolo a Satana, il Targum recita: "Satana era nel vitello e balzò fuori di fronte al popolo" (vedi AG 6). La natura miracolosa di quell'evento è stata interpretata dal popolo come un intervento divino, e quindi risposero di conseguenza. Il miracolo era proprio la trappola. Ecco come Teitelbaum comprende la guerra dei sei giorni. Fu davvero un miracolo, come Satana che saltava dal fuoco e danzava celebrando la sua apparente vittoria nel sedurre il popolo ad adorare il vitello.
  Che cosa significa tutto questo per la maggior parte di noi che non sono disposti ad aderire nella convinzione di Teitelbaum che il sionismo sia un'ideologia anticristica? In altre parole, perché interessarsi a questo? Quale ruolo può svolgere nella nostra comprensione della storia ebraica e della storia della modernità ebraica? Uno dei prodotti curiosi del nostro tempo è che il successo dell'interpretazione religiosa sionista della storia ebraica ha portato alla visione che il sionismo sia modo di comprendere ovvio ed adeguato della tradizione ebraica. In realtà, la comprensione offerta da Abraham Kuk e da altri che il ritorno degli ebrei nella terra di Israele sia un segno dell'imminente redenzione a supporto della
Le interpretazioni sioniste religiose delle fonti sono spesso forzate e spesso richiedono di estendere l'elasticità delle fonti tradizionali oltre il credibile.
giustificazione teologica del progetto sionista, è altamente problematica dal punto di vista della tradizione stessa. Le interpretazioni sioniste religiose delle fonti sono spesso forzate e spesso richiedono di estendere l'elasticità delle fonti tradizionali oltre il credibile. Questo non significa necessariamente il fatto di scartarla, ma solo il fatto di suggerire che sicuramente non è affatto cosa ovvia o in alcuni casi, persino plausibile. Teitelbaum sostiene che lavorando rigorosamente da fonti canoniche midrashiche e legali, il suo punto di vista è quello più forte. Questo non vuol dire che abbia ragione nella sua valutazione, ma significa solo che giustificare il sionismo attraverso la tradizione è una cosa molto più difficile di quando pensiamo, soprattutto senza aver letto il lavoro di Teitelbaum.
  C'erano buone ragioni per le quali le comunità tradizionali nell'Europa prebellica erano in gran parte contrarie al sionismo. Teitelbaum affermava spesso che i suoi punti di vista erano quelli dominanti nel mondo in cui viveva prima della guerra. In ciò ha certamente ragione. La forza delle argomentazioni di Teitelbaum provenienti da fonti canoniche può anche spiegare perché i rabbi Aviner e Kahn si sarebbero preoccupati di scrivere le risposte a Vayoel Moshe negli anni 2000, molto tempo dopo che sembrava che la battaglia fosse stata vinta. Entrambe sono figure rabbiniche profondamente coinvolte nella tradizione e quindi vedono, senza essere necessariamente d'accordo, che l'opera di Teitelbaum rappresenta una seria sfida per il sionismo, degna di una risposta sotto forma di libro.
  La vera natura del sionismo da un punto di vista teologico è, ovviamente, sconosciuta. Viviamo tutti nel bel mezzo di un dramma che si sta ancora svolgendo. Sia nella teologia dialettica di Kuk che migra il profano nel santo, che nella teoria del sionismo di Teitelbaum come falso messia, è pari la difficoltà a comprendere una svolta radicale nella storia ebraica. Gli studenti religiosi sionisti di yeshiva che ridono mentre leggono Vayoel Moshe oggi hanno certamente motivo di festeggiare. Ma il capitolo su chi avrà diritto all'ultima risata deve ancora essere scritto.
  
(1) NdT: Il treno di Kastner è il nome dato ad un trasporto speciale di 1684 ebrei ungheresi, ai quali nel 1944, durante l'Olocausto, le autorità naziste consentirono di lasciare Budapest e di rifugiarsi in Svizzera, passando per il campo di concentramento di Bergen-Belsen. L'operazione fu il risultato di un accordo tra Adolf Eichmann e Rudolf Kastner, rappresentante del Comitato per l'Aiuto ed il Soccorso degli ebrei ungheresi, in cambio del pagamento di una cospicua somma di denaro.


* Shaul Magid, redattore collaboratore di Tablet, è Distinguished Fellow of Jewish Studies presso il Dartmouth College e Kogod Senior Research Fellow presso lo Shalom Hartman Institute of North America. I suoi ultimi libri sono Pietà e ribellione: Saggi in chassidismo e La Bibbia, il Talmud e il Nuovo Testamento: il commento ai Vangeli di Elijah Zvi Soloveitchik.

(Kolòt, 5 giugno 2020 - trad. Roberto Maggioncalda Sacerdote)


Libano: prevista il 6 giugno una manifestazione per il disarmo di Hezbollah

BEIRUT - Una manifestazione popolare organizzata per il 6 giugno a Beirut, la capitale del Libano, avanzerà anche la richiesta del disarmo del partito sciita e gruppo armato Hezbollah. Lo riferisce l'emittente televisiva libanese "Mtv". Interpellata da quest'ultima, una figura di spicco di Hezbollah mantenutasi anonima ha dichiarato che la manifestazione sarebbe frutto dell'orchestrazione tra forze interne e attori stranieri, specialmente statunitensi. A partecipare alla manifestazione sarebbero anche sostenitori dei partiti cristiani della Forze libanesi e delle Kataeb, mentre il partito sunnita Al Mustaqbal dell'ex premier Saad Hariri ha preso le distanze dall'iniziativa.

(Agenzia Nova, 4 giugno 2020)


Il Dna aiuta a ricomporre la storia dei rotoli del Mar Morto

Non tutti proverrebbero dal luogo in cui sono stati trovati

ROMA - Il Dna estratto dalle pergamene ha permesso di ricomporre la storia dei rotoli del Mar Morto. Non tutti proverrebbero infatti dal deserto in cui sono stati trovati tra il 1947 e il 1956, nelle caverne di Qumran in Cisgiordania, come spiegano sulla rivista Cell alcuni ricercatori dell'università di Tel Aviv e dell'Autorità israeliana delle antichità.
Abbiamo verificato, attraverso l'analisi di frammenti della pergamena, che alcuni testi sono stati scritti su pelle di mucca e pecora, mentre prima pensavamo fossero stati tutti scritti su pelle di capra. Ciò dimostra che i manoscritti non provengono dal deserto in cui li abbiamo trovati», precisa Pnina Shor, coordinatrice dello studio. Durante i 7 anni dello studio, focalizzato su 13 testi, i ricercatori non sono riusciti a localizzare il luogo esatto di provenienza dei frammenti. I rotoli risalgono, secondo le datazioni fatte, ad un periodo compreso tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C.. Molti studiosi ritengono che li abbiano scritti gli Esseni, una setta ebraica dissidente che si era ritirata nel deserto della Giudea vicino a Qumran e le sue caverne, mentre altri sostengono che alcuni di questi testi furono nascosti dagli Ebrei che fuggivano dai Romani. «Questi risultati iniziali avranno ripercussioni sullo studio della vita degli Ebrei nel periodo del Secondo Tempio», distrutto dai Romani nel 70 d.C..
   A indicare la provenienza diversa, secondo Beatriz Riestra, una dei ricercatori, sarebbero le «differenze nel contenuto e nello stile della calligrafia in rotoli della stessa epoca, ma anche nella pelle animale usata per la pergamena. Ciò dimostra che hanno un'origine diversa». È come mettere insieme «le tessere di un puzzle - aggiunge Oded Rechavi, uno dei ricercatori - Ci sono molti frammenti che non sappiamo come collegare e se mettiamo insieme i pezzi sbagliati, si cambia completamente l'interpretazione di ogni rotolo».

(La Provincia, 4 giugno 2020)


La seconda ondata di Covid-19 arriva in Iran e Israele (con il caldo)

di Beatrice Guarrera

GERUSALEMME - Era una paura diffusa che con la fine del lockdown sarebbero tornati ad aumentare i casi di Covid-19. A poco tempo dall'allentamento delle restrizioni, i dati di due paesi sembrano confermare questi timori: Iran e Israele. Il 3 giugno è stato infatti il terzo giorno consecutivo in cui l'Iran ha registrato un'impennata di tremila nuovi contagi da Covid-19 (3.134 nuovi pazienti con un aumento di diciassette unità rispetto al giorno precedente e settanta nuovi morti), portando a 160.696 il numero totale di contagiati in tutto il paese. Lo ha comunicato ieri in conferenza stampa il portavoce del ministero della Sanità ìraniano Kianouche Jahanpour. Una nuova accelerazione nei casi accertati era iniziata già dal 2 maggio e la tendenza al rialzo non sembra arrestarsi. Secondo i dati ufficiali, che gli esperti sostengono possano essere sottostimati, sono 8.012 i decessi per Covid-19 in Iran dall'inizio della pandemia, i cui primi casi sono stati registrati a febbraio. Ad oggi 2.557 pazienti sono ancora in gravi condizioni, mentre coloro che risultano completamente ripresi dalla malattia sono 125.206.
  L'impennata di contagi di Covid-19 registrati negli ultimi giorni in Iran sarebbe da attribuire al mancato rispetto della norme di distanziamento sociale, come ha affermato in un'intervista televisiva il ministro della Salute iraniano Saeed Namaki. "La gente sembra pensare che il Coronavirus sia finito e anche alcuni funzionari credono che tutto sia tornato alla normalità - ha dichiarato Saeed Namaki - il Coronavirus non soltanto è ben lontano dall'essere finito, ma potremmo vedere un nuovo picco pericoloso". Il ministro della Salute iraniano ha spiegato anche di aver supplicato le persone di non partecipare a matrimoni o funerali, ma di non essere stato ascoltato, soprattutto nella provincia del Khuzestan. Proprio quella provincia, dove sono state allentate da poco le restrizioni, è oggi "zona rossa", mentre risultano "in stato di allerta" le province di Hormozgan, Azerbaijan orientale e occidentale, Kurdistan, Kermanshah, Bushehr, Sistan e Baluchistan, Qazvin e Razavi Khorasan.
  In Israele l'impennata di contagi è arrivata invece con la riaperture delle scuole. Martedì sono state rilevate nuove infezioni da Covid-19 nelle scuole di Beersheba, Rahat, Ashdod, Ma'aleh Adumim e Holon. La maggior parte dei casi proviene però da una scuola: la Gymnasia Rehavia a Gerusalemme. L'istituto scolastico, a due passi dalla casa del primo ministro Benjamin Netanyau, è il centro del focolaio che ha fatto registrare oltre 100 nuovi casi di Covid-19, l'accelerata più intensa delle ultime settimane nel paese. Tutti gli studenti e gli insegnanti della Gymnasia di Gerusalemme sono entrati in quarantena, assieme a quelli di altri istituti scolastici. Secondo quanto annunciato dal ministero dell'Educazione israeliano, soltanto ieri sono entrate in quarantena altre duemila persone, portando a 6.831 il numero totale. Sono quarantatré le scuole già chiuse in tutta Israele, a causa dei 255 contagi accertati, e da oggi qualsiasi istituto nel quale saranno trovati nuovi infetti sarà immediatamente chiuso. Lo annunciato ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu, a seguito di un incontro con i funzionari dei ministeri dell'Educazione e della Sanità e con il capo del Consiglio di sicurezza nazionale.
  Nelle prossime ore ci si aspetta la chiusura di altre 18 scuole nella città beduina di Hura (nel sud, vicino a Beer Sheva), dove sono stati trovati nuovi contagi di Covid-19. I casi registrati in Israele, soprattutto in zone come quella di Hura, situata nel deserto del Negev, sembrano scoraggiare le speranze di coloro che credevano in una minore resistenza del virus alle alte temperature. Al 3 giugno Israele ha raggiunto 17. 342 contagi, con un aumento di cinquantasette casi dal giorno precedente.
  Il presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas ha emesso ieri un decreto che proroga lo stato di emergenza per altri trenta giorni a partire dal 4 giugno. Soltanto la scorsa settimana i Territori palestinesi avevano riaperto, ma il crescente pericolo di trovarsi di fronte a un'altra ondata di infezioni sembra frenare il ritorno alla normalità. Sebbene Mai al Kaila, ministra della Salute palestinese, abbia annunciato che non sono stati rilevati nuovi casi di coronavirus in Cisgiordania nelle ultime 24 ore, la situazione continua a preoccupare. In Cisgiordania e Gerusalemme Est sono 554 coloro che sono risultati positivi, mentre due sarebbero i deceduti, secondo i dati ufficiali. Nella Striscia di Gaza i casi registrati sono stati sessantuno e c'è stato un solo decesso.

(Il Foglio, 4 giugno 2020)


Israele - Fase 2 troppo rilassata. Risalgono i contagi nelle scuole

Focolai e Gerusalemme e Beersheva. Più di 7.500 studenti e insegnanti in quarantena. Ma il governo non chiude gli istituti. Cinque nuovi positivi al tampone
si registrano anche a Gaza.


di Michele Giorgio

GERUSALEMME - Risale la curva dei contagi in Israele che appena una decina di giorni fa era scesa al punto più basso dall'inizio della pandemia che nello Stato ebraico ha fatto ammalare 17mila persone (in buona parte in modo lieve) e provocato 290 decessi.
   Focolai dell'infezione sono divampati in particolare in alcune scuole di Gerusalemme, Beersheva e di vari centri abitati del sud del paese. Più di 7.500 studenti e insegnanti sono stati messi in quarantena, di cui 2.500 solo tra martedì e mercoledì quando sono stati accertati 255 contagi e altre sette scuole sono state chiuse portando il totale a 43.
   La situazione più preoccupante è quella dell'istituto Gymnasia Rehavia di Gerusalemme con 173 persone, tra ragazzi, insegnanti e personale amministrativo, risultate positive al tampone. A circa 700 studenti della Ulpana Tzvia è stato ordinato di andare in isolamento per almeno una settimana. A Tel Aviv l'istituto Galil è tornato all'insegnamento da remoto dopo che uno studente è risultato positivo. Colpite dal contagio anche diverse scuole nelle comunità beduine, sempre nel sud di Israele. Non pochi sostengono che la riapertura del paese dopo il lockdown parziale o totale osservato a marzo e aprile (con alcuni giorni di vero e proprio coprifuoco) sarebbe stata troppo rapida sotto la pressione del tonfo dell'economia che nei primi quattro mesi del 2020 ha fatto segnare una contrazione del 7,1% e livelli di disoccupazione superiori al 20% mai registrati negli ultimi decenni.
   Così le fasi 2 e 3 nel mese di maggio di fatto si sono accavallate, con una porzione della popolazione che ha percepito la fine della fase più acuta della crisi sanitaria come un via libera al ritorno alla piena normalità.
   Tanti hanno cominciato a non indossare più la mascherina in strada o a portarla inutilmente sotto il mento. Il distanziamento sociale si è fatto più blando e ristoranti, pub e locali pubblici sono tornati ad affollarsi con scarso rispetto da parte dei clienti delle misure di precauzione ribadite dal governo e dal ministero della sanità. Un clima che lo stesso premier Netanyahu, lo scorso fine settimana, ha condannato avvertendo che il paese rischia un secondo lockdown.
   Resta di difficile comprensione la decisione del nuovo governo, in carica dalla metà di maggio, di riaprire completamente le scuole e di continuare a tenerle aperte di fronte ai contagi in rapido aumento che si registrano in questi ultimi giorni tra studenti e insegnanti.
   Gruppi di genitori contestano il nuovo ministro dell'istruzione, Yoav Galant, che esclude - con l'appoggio di Netanyahu - di poter richiudere le scuole sebbene manchino pochi giorni alla fine dell'anno scolastico. La paura del contagio ha spinto non pochi genitori a non mandare i figli a scuola nella speranza che il governo faccia marcia indietro e adotti misure vicine a quelle decise nei mesi scorsi nelle cittadine e nei quartieri popolati da ebrei ultraortodossi, risultati i più colpiti dall'ondata di coronavirus. Intanto cinque nuovi positivi al tampone si registrano anche a Gaza, ancora tra palestinesi rientrati dall'estero attraverso il valico di Rafah con l'Egitto. Ma nel piccolo territorio palestinese la situazione resta sotto controllo contro tutte le previsioni della vigilia. In totale i contagi accertati sono stati sino ad oggi 66 (1 decesso) e le autorità sanitarie locali ieri hanno autorizzato la riapertura di tutte le moschee che erano state chiuse oltre due mesi fa. Le scuole invece restano chiuse, come in Cisgiordania dove si sono registrati in totale 554 positivi (il dato include anche quelli a Gerusalemme Est) e quattro morti.

(il manifesto, 4 giugno 2020)


Israele, accordo con Riyadh per la Spianata delle moschee

Israele tenta di scavalcare gli impegni e le influenze della Turchia con le autorità palestinesi sulla gestione della Spianata delle moschee a Gerusalemme concludendo un patto con l'Arabia Saudita.
A rivelarlo è Israel HaYom, quotidiano di destra molto popolare. Secondo quanto riportato dal Manifesto, il quotidiano israeliano annuncia che "negoziatori dello Stato ebraico e dell'Arabia saudita dallo scorso dicembre sono impegnati in colloqui segreti, con la mediazione americana, allo scopo di includere «osservatori» sauditi nel Consiglio del Waqf, la fondazione che cura e amministra i beni e le proprietà islamiche a Gerusalemme, a cominciare dalla Spianata delle moschee".
L'obiettivo, come detto, è quello di paralizzare le attività e i progetti avviati a Gerusalemme Est dal presidente turco Erdogan, avversario di Riyadh e degli altri paesi che compongono la "Nato araba" (Emirati, Egitto e Bahrain). E la Giordania, custode della Spianata delle moschee, avrebbe accettato il coinvolgimento dei sauditi pur di tenere la Turchia lontano da Gerusalemme.

(DailyMuslim, 4 giugno 2020)


Persino l'uccisione di George Floyd a Minneapolis viene sfruttata contro ebrei e Israele

Il riflesso pavloviano degli antisemiti è talmente prevedibile che sarebbe persino noioso, se non fosse tragico

Qualunque e qualsiasi disastro o crisi affligga la Terra, è solo una questione di tempo prima che gli ebrei o Israele ne vengano ritenuti responsabili.
Il coronavirus si è guadagnato qua e là il soprannome di "peste ebraica" giacché nel 2020, proprio come nella pandemia di peste del XIV secolo, ne sono stati accusati gli ebrei. Il Ministero israeliano degli affari strategici ha già pubblicato un rapporto sull'argomento intitolato "Il virus dell'odio". Anche l'Anti-Defamation League e il Kantor Center for the Study of Contemporary European Jewry hanno pubblicato rapporti sull'argomento.
Avevamo appena iniziato a occuparci dell'odio innescato dall'epidemia di coronavirus ed ecco che gli antisemiti in servizio permanente effettivo sono strisciati fuori dall'oscurità per mettere in circolazione un'altra storia. Sostengono che l'ignobile uccisione di George Floyd a Minneapolis è frutto dell'addestramento impartito dalla polizia israeliana agli agenti di polizia americani. Naturalmente sono molti i dipartimenti di polizia di tutto il mondo che collaborano fra loro nella formazione e nella raccolta di informazioni. Fra i tanti, anche la polizia israeliana che mette a disposizione la sua vasta esperienza in tattiche e operazioni antiterrorismo....

(israele.net, 4 giugno 2020)


"Accelerate in Israel": bando per il finanziamento della mobilità in Israele di start-up italiane

Sulla base dell'accordo italo-israeliano di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica.

Nell'ambito delle attività previste dall'Accordo italo-israeliano di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica, l'Ambasciata d'Italia in Israele, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, intende pubblicizzare con il presente bando un programma di agevolazione della mobilità in Israele delle start-up italiane dal titolo "Accelerate in Israel".
Il programma sarà realizzato insieme all'Agenzia ICE, in collaborazione con il Ministro per l'Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, con Intesa Sanpaolo Innovation Center, con la Camera di Commercio e Industria Israel-Italia e con acceleratori israeliani.
Scadenza: 31 luglio 2020

Il bando

(Assocameresto, 4 giugno 2020)


Siamo vulnerabili e non lo sappiamo

di Alessandro Curioni

 
"L'inverno cyber sta arrivando e molto più velocemente di quanto mi aspettassi. Questo è soltanto l'inizio". Il commento è stato di Yigal Unna, direttore generale del National Cyber Directorate di Israele, ed è giunto in un momento decisamente convulso per Tel Aviv. Purtroppo si tratta di avvenimenti che raramente trovano spazio su grandi media (curiosamente anche su quelli on line).
  In effetti a ben pochi è giunta la notizia che tra il 24 e il 25 aprile scorsi il sistema di distribuzione idrica di Israele è stato vittima di un attacco cibernetico teso ad alterare il funzionamento dei sistemi di depurazione e disinfezione dell'acqua. L'aggressione avrebbe potuto compromettere la potabilità dell'acqua nell'intero paese con conseguenza drammatiche. Praticamente nessuno ha riferito la notizia che le indagini effettuate avevano portato a individuare nell'Iran il responsabile e pochi specialisti hanno rilevato che due settimane dopo i sistemi di supporto del porto iraniano di Shahid Rajaee sono andati in tilt gettando nel caos l'intero scalo. Questo per un cyber attacco portato a compimento dallo stesso Israele.
  In questo quadro l'affermazione del direttore generale del National Cyber Directorate assume contorni decisamente inquietanti perché lascia intendere che questo "scambio di favori" tra i due paesi sia appunto "soltanto l'inizio", perché evidentemente Israele non intende lasciare "impunita" alcuna aggressione al punto che lo stesso Yigal Unna ha aggiunto di essere convinto che "ci ricorderemo di questo ultimo mese e del maggio 2020 come il momento in cui la storia della moderna cyberwar è cambiata".
  Se le affermazioni sembrano piuttosto melodrammatiche vale la pena ricordare che se l'attacco agli impianti idrici avesse avuto successo avrebbe probabilmente fatto più vittime nel solo Israele di quelle causate dal Coronavirus nel mondo, ma questo dovrebbe suscitare spontaneamente alcune domande. Per quale ragione questa notizie non sono state trattate come gli atti di guerra "cinetici", per esempio un bombardamento? Sono ragionevolmente certo che un lancio missilistico di Teheran contro Israele avrebbe riempito le pagine (web e non) di qualsiasi media, anche in assenza di vittime. Così come un successivo raid aereo di Tel Aviv su a una infrastruttura iraniana, anche senza danni, avrebbe fatto parlare il mondo intero di "gravissima escalation" e avremmo assistito a prese di posizioni e commenti ufficiali di tutti gli Stati del mondo.
  Questa, personalmente, la ritengo l'ennesima dimostrazione che siamo ancora incapaci di comprendere le implicazioni di quella società dell'informazione in cui viviamo completamente immersi. Da anni sostengo che in quanto esseri umani soffriamo di una fondamentale "inadeguatezza biologica" rispetto a un modo intangibile e fatto di bit del quale riusciamo a percepire i rischi in modo solo superficiale. Non riusciamo a comprendere quanto grande è la pervasività delle tecnologie, tanto che sempre più raramente quanto accade al di là di un schermo non produce conseguenze nel mondo reale. L'impossibilità dei nostri cinque sensi di cogliere il pericolo e la mancanza di una memoria storica del disastro a cui potremmo andare incontro ci rende completamente ciechi. Il Covid 19 era a noi invisibile, ma quando si è palesato il ricordo che la nostra specie ha delle epidemie ha fatto il suo dovere. Purtroppo se mai ci dovremo confrontare con un virus informatico abbastanza potente e sconosciuto quello che il Coronavirus ha fatto al mondo in sei mesi, un malware lo realizzerebbe in sei minuti e il lock down successivo potrebbe essere ben peggiore e più lungo di quello che abbiamo affrontato.

(Panorama, 3 giugno 2020)


"Cara amica Cina". La mossa di Abu Mazen in cerca di nuovi alleati

Dallo scoppio della pandemia i rapporti tra Ramallah e Pechino si sono intensificati Per colmare l'assenza degli Stati arabi e sfidare gli Usa.

di Sharon Nizza

Sharon Nizza
GERUSALEMME - «La presidenza riafferma il supporto dello Stato di Palestina al . diritto dell'amica Repubblica Popolare Cinese di preservare la propria 'sovranità, rifiutando i tentativi di destabilizzare la propria integrità territoriale, compresa Hong Kong». Così una dichiarazione dell'ufficio del presidente Mahmoud Abbas, rilanciata sabato dall'agenzia Wafa, in cui plaude alla Cina anche per «la ferma posizione a sostegno del popolo palestinese per ottenere la libertà e l'indipendenza nel suo Stato sovrano». A fare eco ad Abu Mazen, il ministro degli Esteri Riyad Al-Maliki che, illustrando ieri gli sforzi diplomatici per far desistere Israele dall'estendere la sovranità su parte dei Territori, ha menzionato quella cinese come «una delle prese di posizione più forti da parte della comunità internazionale nel rigettare il piano». Il riferimento è a una lettera inviatagli dall'omologo cinese che esprime «la profonda preoccupazione per un piano di annessione unilaterale contrario al diritto internazionale».
Dallo scoppio della pandemia, i rapporti sino-palestinesi si sono intensificati, con assistenza sanitaria cinese giunta in piena emergenza e auspici sulla necessità di rafforzare le cooperazione bilaterale, evidenziati anche dal presidente Xi Jinping in un messaggio ad Abbas in aprile. E' un tentativo di riempire il vacuum che si è creato con il progressivo allontanamento degli Stati arabi dalla causa palestinese e soprattutto con la rottura dei rapporti con gli Usa. Quanto lontano quel maggio 2017, quando Trump in visita ufficiale veniva accolto a Betlemme sotto un enorme striscione "La città della pace dà il benvenuto all'uomo della pace". Pochi mesi dopo Abu Mazen annunciava l'interruzione dei rapporti a seguito dello spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. La Cina ha anche aumentato le donazioni all'Unrwa, l'agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, dopo che gli Usa hanno annunciato nel 2018 lo stop ai finanziamenti.
E se con i palestinesi ci sono prove di avvicinamento, sul fronte israeliano le relazioni con la Cina rischiano di farsi più tese. La visita lampo del segretario di Stato Mike Pompeo il 13 maggio - nel corso della quale il disappunto americano per i crescenti investimenti economici cinesi in Israele era all'ordine del giorno - ha dato i suoi primi frutti: la settimana scorsa Israele ha annunciato che sarà una compagnia israeliana. e non la concorrente cinese, a costruire l'impianto di desalinizzazione Sorek 2, nei pressi di una base militare che vede non di rado la presenza di soldati americani. Il ministero della Difesa ha espresso parere negativo sulla possibilità che aziende cinesi - anche se di stanza a Hong Kong - siano coinvolte nella rete 5G. In vista ci sono altri appalti e progetti: è opinione diffusa che Israele dovrà fare delle rinunce per non irritare il suo indiscusso partner strategico, gli Stati Uniti.

(la Repubblica, 3 giugno 2020)


Le paure di ieri e la cultura della vendetta

di Fiamma Nirenstein

Se George Floyd fosse stato bianco mi avrebbe fatto lo stesso identico effetto: orrore, pena per una morte violenta e causata dalla polizia Non solo: penso, con presunzione, che Martin Luther Kìng avrebbe avuto i miei medesimi sentimenti e vorrebbe fermare quella folla infuriata che afferma che «black lives matter». Penserebbe che con i saccheggi e la violenza decade il suo ruolo nella democrazia, esattamente come accadrebbe a un bianco. Mlk il 28 agosto 1963 al Llncoln Memorial è chiaro: dopo aver descritto come gli americani neri sono stati prima schiavi e poi cittadini di seconda classe e aver denunciato come le leggi di segregazione fossero ancora parte della vita americana, spiegò che il suo sogno era che i suoi figli «potessero vivere in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il loro carattere».
  Questo è in parte accaduto, le leggi oggi sono paritarie e realizzano l'idea della dichiarazione di Indipendenza ( «Tutti gli uomini sono creati uguali). Ma la società americana è, come tutte, ingiusta. Ma non di questo è accusata, bensì del suo passato, ritenuto geneticamente spregevole, da cancellare per sempre. Anche con la violenza. Quello che come un'ondata di schiuma disegna uno tsunami di saccheggi e violenze non c'entra nulla con la parità degli esseri umani. Centra con lo sbarramento ideologico che negli Stati Uniti, e per riflesso anche da noi, riflette la cultura della colpevolizzazione e della vendetta, che nasce nel fascismo e nel comunismo, che proietta sull'oggi la paura di ieri. Vede nella storia dell'arte l'esaltazione della cultura bianca per cui istituisce black studies che cancellano pittura, letteratura, musica, come gli women studies o i gay studies fanno a loro volta ritenendoli espressione della persecuzione che li accompagna. E' la pretesa che al di fuori di te, tutto il resto ti odi e ti dia il diritto alla reazione violenta
  Un presidente che di fronte a un Paese in fiamme dice che ci vorrà l'esercito non dice niente di strano: ma se è bianco, è un suprematista. Una lunga scia letteraria e filosofica ha cambiato in America le università, ha costruito una cultura a parte, di gender, di colore: Stokely Carmìdiael, Eldridge Cleaver, George Jackson. .. la nuova cultura deve creare l'ispirazione in cui risulta basilare l'esperienza di gioventù violente, emarginate. I giovani che distruggono i negozi e portano via le merci, sparano e picchiano convinti di incarnare il supremo diritto della sofferenza, nell'aspirazione suprema di una società a loro immagine e somiglianza. Nel 2014 dagli Usa scrissi la storia di grandi proteste sotto lo slogan «black lives matter» dopo violenze della polizia su ragazzi neri. Il presidente era Barack Obama, che come tanti altri con la sua vita dimostrava che anche se negli Usa era esistita la schiavitù e il disagio sociale, era un problema Così è oggi.

(il Giornale, 3 giugno 2020)


Il virus mutato quattro volte

E' l'antisemitismo, al centro di un bel documentario della Pbs

Un virus mutato ben quattro volte, le cui manifestazioni più violente sono spesso definite "focolai", come una malattia. E c'è anche la frase "antisemitismo virulento" che è spesso usata per descrivere le molteplici espressioni di questa 'ideologia maligna. Questo è il cuore di ''Virai: Antisemitism in Four Mutations", un nuovo documentario della Pbs.
   Si parte dall'assalto alla sinagoga di Pittsburgh da parte di un suprematista bianco. C'è l'ascesa dell'antisemitismo in Inghilterra all'interno del Partito laburista sotto il precedente leader Jeremy Corbyn; ci sono gli attacchi agli ebrei da parte di islamisti in Francia. Vittime, testimoni, antisemiti ed esperti, tutto si intreccia. Numerosi commentatori sono chiamati a parlare, come Bill Clinton, Tony Blair, la storica dell'Olocausto Deborah Lipstadt e i giornalisti Fareed Zakaria, George Will e Yair Rosenberg. Il regista, Andrew Goldberg, visita Paul Marmot, un cugino inglese che non aveva mai incontrato prima. Marmot gli racconta come, dopo una vita da ebreo inglese di sinistra, abbia strappato la tessera del Partito laburista quando Corbyn è stato eletto leader nel 2015.
   Le critiche alla politica israeliana sono accettabili per la maggior parte degli ebrei britannici, dice Marmot, ma Corbyn ha varcato una linea rossa di aperta delegittimazione e denigrazione del popolo ebraico. Goldberg intervista un fratello del terrorista che ha ucciso i bambini ebrei di Tolosa. Abdel Ghani Merah, che descrive l'ambiente nordafricano dei genitori, che ha portato in Francia l'idea che le nazioni occidentali, Israele e gli ebrei nel mondo si siano alleati contro il mondo islamico. "L'odio per gli ebrei era legittimo agli occhi dei miei genitori", dice, prendendo le distanze da quella visione (in effetti, Merah si è impegnato a contrastare l'antisemitismo).
   Un'ultima parola è data alla vedova di Philippe Braham, uno dei quattro ebrei francesi uccisi nell'attacco a Hyper Cacher, un supermercato ebraico a Parigi. "Non camminiamo per le strade facilmente come una volta, non lascio che i miei figli indossino la kippah, non dico ad alta voce i loro nomi". Un virus spaventoso, di cui non si conoscono vaccini.

(Il Foglio, 3 giugno 2020)


Lo scandalo del Consolato italiano a Gerusalemme

di Jonathan Pacifici

Giuseppe Fedele, Console Generale d'Italia a Gerusalemme
L'Italia, cosí come il resto dei paesi dell'Unione Europea, non riconosce Gerusalemme come capitale d'Israele e notoriamente mantiene la sua Ambasciata in Israele a Tel Aviv. Ciò genera ovviamente delle situazioni paradossali. In primis, dal momento che il Presidente riceve gli accrediti dei diplomatici stranieri e risiede a Gerusalemme, per presentare le proprie credenziali, all'atto dell'assunzione del loro incarico, gli ambasciatori devono recarsi da Tel Aviv a Gerusalemme. Non solo. Le massime cariche della Repubblica sono sistematicamente venute a Gerusalemme, qui hanno avuto incontri con Presidenti e Premier ed hanno parlato alla Knesset. Tutto a Gerusalemme. Tutto ufficiale. Peccato che a pochi metri in linea d'aria dalla Residenza del Presidente d'Israele dove Inno di Mameli ed Hatikvà hanno più volte risuonato, il Consolato Generale d'Italia continui ad essere uno schiaffo in faccia ad ogni israeliano ed ogni ebreo.
  Il Consolato - simbolo del non riconoscimento della sovranità israeliana - non dipende dall'Ambasciata e non è accreditato in Israele. Dipende direttamente dalla Farnesina. In effetti il Consolato Generale d'Italia a Gerusalemme funziona come una vera e propria Ambasciata presso l'Autorità Palestinese. Spieghiamoci meglio: l'Italia non riconosce Israele a Gerusalemme (salvo doverci venire per incontrarne le cariche), tiene la sua Ambasciata in Israele a Tel Aviv, ma vi mantiene la sua Ambasciata presso i palestinesi. Non è una supposizione, è scritto nero su bianco sul sito ufficiale del Consolato.
"Il Consolato Generale cura le relazioni che il Governo italiano intrattiene con le autorità palestinesi e che si sostanziano in rapporti politici, economici, culturali, di cooperazione allo sviluppo e di dialogo tra realtà locali e tra società civili.
È questo il primo scopo del Consolato. Solo dopo:
Il Consolato Generale assicura inoltre assistenza agli italiani a Gerusalemme, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza: dalla comunita' israelitica italiana di Gerusalemme, ai connazionali impegnati in attivita' di cooperazione internazionale; dai numerosi religiosi di nazionalità italiana qui presenti, al personale italiano che opera presso missioni internazionali, oltre che a tutti i connazionali che si trovino a risiedere o anche solo di passaggio.
Da notare la dicitura comunita' israelitica. Non israeliani.
Gli uffici sono dislocati in due sedi, situate rispettivamente a Gerusalemme ovest e a Gerusalemme est, dove si trova anche l'Ufficio dell'AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo)."
Da qui le continue vessazioni contro la popolazione ebraica che ha bisogno di servizi consolari. Dal celeberrimo codice Gerusalemme (ZZZ) che sui Passaporti Italiani cancella Israele, alle cartoline elettorali con dicitura Gerusalemme (Palestina), salvo poi nascondersi dietro "sviste dei Comuni di origine".
  Da pochi giorni è arrivato a Gerusalemme un nuovo Console Generale, Giuseppe Fedele che ieri ha diramato un messaggio in occasione della Festa della Repubblica. La rinascita del 2 Giugno - che ricordiamolo mette fine alla persecuzione degli ebrei italiani da parte del Governo Italiano - viene trasformata nel preambolo per il sostegno ai palestinesi.
Questa rinascita non sarebbe potuta avvenire senza una collaborazione tra le diverse anime politiche e sociali del Paese, che scelsero di sedersi allo stesso tavolo per dar vita alla Costituzione. Questa e` da allora faro del nostro lavoro ed e` basata su principi più che mai attuali oggi, mentre ci risolleviamo insieme ai nostri partner del mondo dall'emergenza sanitaria: libertà, uguaglianza, giustizia e democrazia.
  Si tratta degli stessi principi che guidano la presenza dell'Italia e dell'Unione Europea in quest'area. Continuiamo a sostenere le istituzioni dell'Autorità palestinese in vista della creazione di uno Stato palestinese indipendente e democratico, che viva in pace e sicurezza al fianco dello Stato di Israele, nell'ambito di una soluzione negoziata del conflitto che preservi lo status di Gerusalemme quale capitale condivisa dei due Stati. L'intera collaborazione dell'Italia con la Palestina - a tutti i livelli: politico, economico, culturale - resta ispirata a questo obiettivo di fondo."
Cioè l'Italia sta a Gerusalemme, per aiutare i palestinesi a minare la sovranità israeliana sulla città. Il tono del resto del messaggio va di conseguenza:
Tengo inoltre a ricordare il nostro impegno per diffondere la lingua e la cultura italiana nella circoscrizione, anche grazie alla preziosa azione della Societa' Dante Alighieri con i suoi Comitati di Gerusalemme e di Ramallah-Betlemme, e per fornire quanto più efficacemente possibile i consueti servizi alla Comunità italiana di Gerusalemme, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, rappresentata dal Comites che ringrazio per la sempre fruttuosa collaborazione. Mi piace ricordare quanto questa Comunita` sia ricca, articolata e radicata: da quella israelitica a quella palestinese, dai connazionali attivi nella cooperazione allo sviluppo al personale impegnato nelle Organizzazioni e missioni internazionali, fino ai religiosi, che da secoli svolgono un ruolo cruciale in Terra Santa."
Il Consolato Generale ha una lunga storia di connivenza con le corrotte autorità palestinesi ed il loro sostegno al terrorismo contro gli ebrei ed Israele. Ad onor del vero non gli è (ancora) successo di essere
 
Il Console Giuseppe Fedele incontra la Ministra per gli Affari Femminili palestinese, Amal Hamad.
colti in flagrante dalle forze di sicurezza israeliane, come è avvenuto per i dipendenti del Consolato Francese beccati a trafugare armi (nel 2018), ma come mi disse il precedente Console Fabio Sokolowicz "Se non incontrassi chi ha avuto a che fare con terroristi non lavorerei".
  Nei pochi giorni di attività il nuovo Console ha già iniziato i suoi rapporti da Ambasciatore con le controparti palestinesi. Gli è bastato poco per mettersi a regime. Qui nella foto incontra la Ministra per gli Affari Femminili, Amal Hamad.
  Hamad, nominata nell'Aprile 2019 nel nuovo esecutivo (non eletto) di Mohammad Shtayyeh era stata fino ad allora direttrice del distretto di Gaza della General Union of Palestinian Women. In questa veste, ha denunciato il Jerusalem Post in un articolo del 8 Marzo 2019, ha usato la Festa della Donna per celebrare il terrorismo femminile.
  "Abbiamo avuto donne martiri, ferite e prigioniere" ha detto spiegando che le donne sono state le prime a prendere parte "alla battaglia". Per poi nominare ed elogiare alcune note terroriste tra le quali Shadia Abu Ghazaleh, condannata per aver preparato esplosivi per attacchi terroristici, Dalal Mughrabi, (terrorista responsabile della morte di 38 persone nel 1978, 12 dei quali bambini), Wafa Idris la prima terrorista suicida, Ayyat Al-Akhras la più giovane terrorista suicida (facendo due morti) e Darin Abu Aisheh, altra terrorista suicida.
  Questi i modelli di virtù femminile di cui il Console Fedele ha parlato con la Hammad?
  La realtà è che il Consolato Generale resta un entità ostile ad Israele e al popolo ebraico ed è il simbolo di una politica discriminatoria verso Israele e gli ebrei a Gerusalemme.
  Poggiare poi questa politica sull'eredità della Resistenza e del 2 Giugno è ignobile.
  Ed è uno scandalo che deve finire.

(Il Corriere Israelitico, 2 giugno 2020)


COVID-19: Israele chiude nuovamente le scuole

Diecimila studenti in quarantena

Il Ministero della Salute israeliano con un aggiornamento emesso circa due ore fa ha reso noto che circa 10.000 tra studenti e professori sono stati messi in quarantena dopo che COVID-19 ha colpito diverse scuole medie e superiori.
Almeno 31 scuole e scuole materne sono state chiuse finora e oltre 9.900 studenti e personale sono entrati in quarantena, secondo i dati ufficiali pubblicati oggi.
Tra quelli maggiormente colpiti ci sono i quasi 2.000 alunni in una scuola superiore di Beersheba dove a una ragazza è stato diagnosticato il coronavirus e tutti i 1.930 studenti della scuola Makif Vav.

(Rights Reporters, 2 giugno 2020)


Israele: accelera preparativi per l'annessione di parti della Cisgiordania

Il Governo israeliano sta preparando a iniziare l'annessione di parti della Cisgiordania già dal mese prossimo e ha ordinato ai suoi militari di rafforzare la sicurezza nell'area, nonostante la mossa possa generare ripercussioni sui rapporti con l'Europa e gli Stati arabi.
Il nuovo Governo di unità del primo ministro Benjamin Netanyahu e dell'ex rivale, diventato poi partner, Benny Gantz, ha concordato durante i negoziati per la formazione della coalizione di iniziare il processo di annessione il primo luglio.
  Il piano di pace del presidente Usa, Donald Trump, che è stato respinto dai palestinesi, consente a Israele di annettere fino al 30% della Cisgiordania, soltanto però se gli Usa e Israele definiranno prima una mappa per l'intervento.
Ieri Gantz, che è a capo del ministero della Difesa nel nuovo Governo, ha chiesto alle forze armate del Paese di prendere provvedimenti per aumentare la sicurezza nei territori occupati prima dell'intervento israeliano. "Ho incaricato il Capo di Stato Maggiore Kochavi di accelerare i preparativi dell'Idf per le misure politiche all'ordine del giorno nell'arena palestinese e l'ho aggiornato sui progressi nell'area", ha scritto Gantz su Twitter.
Sempre ieri Netanyahu ha parlato al telefono con i membri del team per la pace in Medio Oriente dell'amministrazione Trump, tra cui Jared Kushner, l'ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, David Friedman, e l'inviato Avi Berkowitz. Friedman aveva incontrato Gantz all'inizio della giornata.
  Un alto funzionario della Casa Bianca ha dichiarato che la chiamata è stata cordiale e produttiva ma ha rifiutato di fornire ulteriori dettagli.
L'ordine di accelerare i preparativi militari è arrivato anche dopo che i funzionari europei e arabi hanno esortato Israele a non procedere con l'annessione, che secondo loro porrà fine definitivamente a ogni possibilità di dar vita a uno Stato palestinese indipendente.
Anwar Gargash, ministro per gli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti, ha dichiarato su Twitter che il Paese si oppone a qualsiasi annessione unilaterale da parte di Israele, che "minerebbe l'autodeterminazione palestinese e costituirebbe un rifiuto del consenso internazionale e arabo verso la stabilità e la pace".
Funzionari europei e arabi hanno affermato di essere alla ricerca di modi per incoraggiare Israele a non portare avanti il piano, al fine di preservare la soluzione a due Stati che ritengono l'unica soluzione al conflitto israelo-palestinese. I funzionari europei hanno affermato che stanno valutando sanzioni contro Israele se il Paese porterà avanti il piano.
  L'annessione della Cisgiordania è sostenuta dalla destra di Netanyahu, ma deve affrontare l'opposizione di alcuni esponenti della sinistra. Gantz, a capo del partito Blu e Bianco, ha concordato nei negoziati di coalizione con Netanyahu che non avrebbe usato alcun potere di veto e il suo ordine ai militari israeliani indica la sua approvazione al piano di annessione o almeno la sua incapacità di bloccarlo.
Gantz aveva affermato in precedenza che avrebbe accettato l'annessione di parti della Cisgiordania solo con l'accordo della comunità internazionale.
La mossa rischia di alimentare disordini nei territori palestinesi. Il presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, il mese scorso ha annunciato che i palestinesi avrebbero cessato ogni cooperazione con Israele. Le ultime settimane hanno già visto un aumento degli attacchi dei palestinesi contro gli israeliani e le forze di sicurezza israeliane in Cisgiordania.
Il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, ha detto ieri che alle guardie di frontiera israeliane è stato detto dagli ufficiali di sicurezza palestinesi di non entrare nelle aree controllate dai palestinesi che avevano pattugliato in passato. La polizia israeliana continua a coordinarsi con le controparti palestinesi quando si tratta di regolare attività criminale, ha aggiunto Rosenfeld.

(Finanza24H, 2 giugno 2020)



2 giugno. A proposito di inno nazionale

E’ accaduto ieri. In un grande magazzino di una città del nord, mentre gli acquirenti si aggiravano tra gli scaffali del supermercato nella rispettosa osservanza delle norme anticovid, si è udita improvvisamente una voce che dall’altoparlante annunciava: “Adesso ascoltiamo l’inno di Mameli”. E’ così è stato. Tutti hanno sentito echeggiare la musica e le ben note parole di “Fratelli d’Italia”. Non fermi sull’attenti, no, questo no, mica siamo in Israele. Probabilmente sorpresi, ma rispettosamente silenziosi.
Questo ci ha fatto venire in mente che qualche tempo fa, nei cruciali giorni di “il morbo infuria, il governo manca”, quando con italica fierezza si cantava dai balconi l’inno di Mameli, come a lasciar detto ai posteri: “così muoiono gli italiani”, avevamo in sede un video di provenienza anonima che proponeva una versione aggiornata del patriottico inno, in modo da renderlo più conforme alla situazione che si stava vivendo. Abbiamo esitato nella decisione, e alla fine non l’abbiamo pubblicato, perché l’ironia non ci sembrava adatta alla drammaticità del momento. Ma adesso, adesso che il peggio è passato, adesso che siamo passati “di peggio in male”, ascoltare in questo giorno di festa nazionale le sacre note mentre il pensiero si rivolge a dissacranti parole può servire a farci sopportare sia la sovrabbondante retorica di questo giorno, sia l’eventualità di sentirci obbligati un giorno ad ascoltare il sacro inno tra gli scaffali del supermercato, mentre siamo impegnati alla ricerca dei fagioli cannellini.
Fratelli d’Italia. Versione riveduta

(Notizie su Israele, 2 giugno 2020)


 


Bologna - Il Museo Ebraico riparte da Freud

Oggi la riapertura. Prorogata la mostra sulla Brigata Ebraica mentre ìn video si racconta il padre della psicoanalisi.

Oggi il Museo Ebraico riapre le sue porte per accogliere il pubblico alla visita dei percorsi storici nella sezione permanente e alla mostra Sotto il segno di una nuova stella. La Brigata Ebraica e l'Aliyah Bet 1944-1948, che è stata prorogata fino al 30 settembre prossimo.
   Le visite del pubblico saranno gestite attraverso nuove misure organizzative di sicurezza. Una novità è la biglietteria online, che consente di scegliere la fascia oraria di visita per evitare assembramenti. Da domani sarà possibile prenotare la visita dal sito di Bologna Welcome e all'info point in Piazza Maggiore, nei giorni successivi anche dal sito del MEB.
   Ed ecco che, proprio in occasione della riapertura di oggi (con appuntamenti ogni martedì di giugno) sui canali YouTube, Facebook e lnstagram del museo avrà inizio con la prima puntata su Freud il progetto video Freud e i suoi scrittori: Zweig, Schnitzler, Svevo, Kafka. Il profondo delle emozioni, la razionalità della scrittura, il sentire ebraico un progetto in cinque video-appuntamenti. Un percorso che parte dalla figura e dagli scritti di Sigmund Freud per indagare, anche attraverso l'influenza più o meno diretta che ebbe sugli scrittori contemporanei dell'impero asburgico, sulle inquietudini di un'epoca prossima al declino e alla doppia catastrofe delle due guerre mondiali.

 La mostra
  Sotto il segno di una nuova stella era stata inaugurata il 19 gennaio scorso ed è dedicata all'azione della Brigata Ebraica Combattente (Jewish Brigate). formata da volontari ebrei arruolatisi nell'esercito britannico e formalmente costituita nel 1944. Ventiseimila furono gli ebrei che si arruolarono nell'esercito britannico; di questi cinquemila formarono la Brigata Ebraica. Uno del capitoli più singolari della Seconda guerra mondiale, che ebbe come sfondo l'Italia tra il 1944 e il 1946, raccontato attraverso una rigorosa ricostruzione storica, rare immagini fotografiche, militaria e filmati storici.

(il Resto del Carlino, 2 giugno 2020)


Arabe e israeliane in marcia "Unite contro il femminicidio"

A Tel Aviv migliaia di donne hanno sfilato Insieme contro la violenza domestica che le accomuna. "Siamo le vittime ignote del Covid, è una guerra nella guerra, il governo non difende nessuna".

di Francesca Paci

ROMA - Hanno raccontato la loro storia una dopo l'altra sul palco allestito a ridosso di Charles Clore Garden, tra la spiaggia e lo skyline di Tel Aviv. ShiraVishnyak, la sorella della ventunenne ammazzata dal marito due settimane fa a Ramat Gan. Yara abu Abla, sopravvissuta al suo congiunto assassino e allo stigma sociale nel villaggio arabo di Yakka. Eli Fink, lo pseudonimo di una giovane ortodossa protetta dietro mascherina e occhiali scuri dal conformismo religioso. L'esule etiope Askadel Simansh, marchiata a lutto dal cognato. Donne. Tutte quelle che durante il lockdown hanno respirato il fetore della violenza domestica crescente nel Paese: e sono sature. Nei due mesi sigillati dal coronavirus Israele ha contato 7 femminicidi, 11 dall'inizio dell'anno, poco meno dei 13 totali del 2019.
   «È un'epidemia silenziosa, siamo le vittime ignote del coronavirus pur rappresentando il 51 % della popolazione", ci spiega Dror Sadot, una delle organizzatrici della marcia organizzata ieri a TelAviv, oltre diecimila persone distanziate ma compatte nel dire no all'indifferenza. Gila, 25 anni, ha partecipato con tre amiche dì Gerusalemme. - Vogliamo sapere dove sono i 250 milioni di shekel, quasi 7 milioni di dollari, stanziati due anni fa dal governo per contrastare i crimini di genere e bloccati chissà dove, come se le nostre vite non fossero una priorità». Mentre Israele naviga nel mare ignoto del Medioriente 2.0, tra le polemiche per il piano di annessione dei Territori e lo spettro del palestinese autistico ucciso sabato dalla polizia, l'altra metà del cielo lancia la sfida della «nuova emergenza sociale» alla sola vera ancorché complicata democrazia della regione.
   «È una guerra nella guerra e si consuma in silenzio, il fernminicidio è percepito come un problema di genere sebbene sia una questione di civiltà», sottolinea Anat Lev Adler, attivista e giornalista del quotidiano Yedioth Ahronot. Il problema è politico, insiste la Lev Adler, una delle organizzatrici dello sciopero delle donne del 2018, quando piazza Habima si riempì di scarpe rosse come il sangue versato all'ombra della famiglia, la trincea più oscura di una terra avvilita dalle armi.
   «Il premier Netanyahu tace, non si è mai esposto su questo: conosciamo la minaccia dell'Iran, quella del terrorismo, ma nulla sulla violenza dei nostri mariti. il risultato è che, per quanto se ne parli, gli uomini non partecipano abbastanza. A due anni dallo sciopero del 2018 non è cambiato pressoché nulla». Da almeno un mese a Tel Aviv come ad Haifa, a Gerusalemme e fin giù nelle città del Negev si accendono proteste spontanee dove donne israeliane alzano la voce accanto alle cosiddette «Sister in mìsery», l'altra faccia della medaglia, le sorelle come Soheir Asaad, leader del movimento Tal'at, a cui si deve l'agit prop di pentole percosse alla finestra con cui ad aprile centinaia di arabe-israeliane hanno messo il megafono alla violenza consumata in casa rifiutando la definizione di «delitto d'onore» perché non c'è onore nell'ammazzare tua figlia. la stessa violenza che a Gaza colpisce il 51 % delle donne, che secondo la polizia israeliana è aumentata in pochi mesi del 16% e che in Italia ha fatto 11 vittime nei mesi in cui, secondo «Forbes», la reazione più efficace alla pandemia è arrivata da Paesi guidati da donne.

(La Stampa, 2 giugno 2020)


Con le rose di Shavuot la Comunità Ebraica di Casale apre una porta verso il futuro

di Marco Bertoncini

CASALE - È stato un messaggio rivolto al futuro e al domani il tema principale dell'odierna riapertura al pubblico del Complesso Ebraico di Casale. L'occasione, all'indomani della fase più acuta dell'emergenza Covid, è stata per Shavuot, festività ebraica che celebra il dono delle Tavole della Legge sul Monte Sinai. Durante la festa le sinagoghe vengono tradizionalmente allestite con fiori e così è stato per quella di Casale. L'idea originaria era di un gemellaggio durante Coniolo Fiori e Riso e Rose 2020 e perciò, nonostante il rinvio al 2021 della kermesse florovivaistica, si è presentata "Shaar Leatid" dell'artista Angelo Castucci. L'opera riprende l'iscrizione sul soffitto della sinagoga "Porta per il cielo" e la declina, con una rosa e chicchi di riso, in "Porta per il futuro". L'opera è stata replicata in 50 poster in edizione limitata firmati dall'artista (la vendita contribuisce al sostegno delle attività della Comunità Ebraica.
A fare gli onori di casa Elio Carmi e Daria Carmi, curatrice del percorso artistico. Interventi di Roberto Gabei, presidente della Fondazione Arte Storia e Cultura Ebraica a Casale, di Claudia De Benedetti, direttore dei musei della comunità, di Arles Garelli, sindaco di Coniolo, di Federico Riboldi, sindaco di Casale, di Agostino Giusto, direttore artistico di Coniolo Fiori.

(CasaleNotizie, 2 giugno 2020)


Patto tra Israele e «Nato araba» per allontanare Erdogan da al Aqsa

Il giornale da cui riprendiamo quest’articolo è manifestamente anti-israeliano, ma anche se dal suo punto, qualche volta mette in evidenza l’esistenza di problemi e situazioni in Israele di cui nei giornali italiani non si parla. NsI

di Michele Giorgio

GERUSALEMME - Lo scontro tra la Turchia e la "Nato araba" guidata dall'Arabia saudita, in corso in Libia e nel Corno d'Africa, coinvolge ora anche Gerusalemme e la sua Spianata delle moschee.
Vede in primo piano il governo israeliano interessato a contrastare Ankara, a oscurare qualsiasi ruolo istituzionale palestinese nella città santa e a stringere i rapporti strategici con Riyadh. Ieri, poche ore dopo la riapertura delle moschee di Al Aqsa e della Roccia, chiuse da settimane per il Covid-19, il quotidiano di destra Israel HaYom, il più diffuso in Israele, vicino al premier Netanyahu, ha rivelato che negoziatori sauditi e dello Stato ebraico dallo scorso dicembre sono impegnati in colloqui segreti, con la mediazione americana, per includere osservatori sauditi nel Consiglio del Waqf, la fondazione che cura e amministra i beni e le proprietà islamiche a Gerusalemme, a cominciare dalla Spianata.
   L'obiettivo, spiega il giornale, è paralizzare attività e progetti avviati a Gerusalemme Est dal presidente turco Erdogan, avversario di Riyadh e degli altri paesi della "Nato araba" (Emirati, Egitto e Bahrain). E la Giordania, custode della Spianata delle moschee, avrebbe accettato il coinvolgimento dei sauditi pur di tenere la Turchia lontano da Gerusalemme.
   Sono colloqui delicati e clandestini, condotti da piccoli team di diplomatici e funzionari di Israele, Stati uniti e Arabia saudita», ha spiegato a Israel HaYom un anonimo funzionario saudita, sottolineando la nuova posizione adottata dalla Giordania. A persuadere il regno hashemita a rimuovere il suo veto alla presenza saudita sarebbe stato il «comportamento» dei rappresentanti palestinesi entrati, con l'approvazione di Amman, nel Consiglio del Waqf in risposta alla decisione di Israele di installare, tre anni fa, metal detector sulla Spianata e agli incidenti tra polizia israeliana e fedeli musulmani lo scorso anno alla Porta della Misericordia.
   Secondo il giornale israeliano, sarebbero stati i palestinesi ad aprire la strada di Erdogan al sito religioso - terzo luogo santo dell'Islam (il Monte del Tempio per gli ebrei) - con progetti per decine di milioni di dollari affidati a ong turche. Amman per fermare i turchi ha rinunciato alla gestione esclusiva in cambio di generose donazioni saudite per il Waqf di Gerusalemme.
   Dal Waqf non abbiamo ottenuto un commento ufficiale ma fonti palestinesi ci fanno sapere che lo sceicco Azzam al Khatib, direttore generale della fondazione, definisce l'articolo privo di fondamento e nega il via libera giordano ai sauditi. Occorre considerare che Israel HaYom è una sorta di megafono di Benyamin Netanyahu e potrebbe aver amplificato la notizia a sostegno delle affermazioni del primo ministro riguardo i rapporti che Israele starebbe stringendo con una parte del mondo arabo islamico. Il giornale ha aggiunto che Israele e Usa cercano il sostegno saudita al piano Trump e al progetto di annessione allo Stato ebraico di larghe porzioni di Cisgiordania palestinese, perché Riyadh «porta con sé il sostegno degli Emirati e del Bahrein. Proprio ieri il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ha dato ordine al capo di stato maggiore Aviv Kochavi di prepararsi alla attuazione del piano di annessione.
   L'Arabia saudita a febbraio aveva ribadito che «il miglioramento delle relazioni con Israele avverrà solo quando verrà firmato un accordo di pace conforme alle condizioni palestinesi. In realtà Riyadh e i paesi alleati dietro le quinte hanno stabilito con Tel Aviv un'alleanza strategica, contro l'Iran e la Turchia di Erdogan. Non è un mistero che in Nordafrica il generale e uomo forte di Bengasi, Haftar, riceva dagli Emirati sostegno finanziario e militare contro il governo del premier Sarraj a Tripoli sostenuto e armato da Erdogan.
   Nelle scorse settimane sono circolate voci sull'impiego da parte di Haftar di armi di fabbricazione israeliana per abbattere i droni turchi usati dai miliziani agli ordini di Sarraj per riconquistare il territorio perduto. Il portale d'informazione al Monitor, riferisce che l'Egitto ha messo in piedi nel Mediterraneo una sorta di «Santa Alleanza, con Grecia, Cipro, Emirati e Francia per contrastare le mosse turche nel Mediterraneo, in particolare le ricerche di giacimenti di gas.

(il manifesto, 2 giugno 2020)


Canada: scoperta alla vigilia di Shavuot sinagoga vandalizzata

Dei vandali hanno saccheggiato una piccola sinagoga di Montreal, in Canada, qualche tempo dopo la sua chiusura settimane fa a causa della pandemia di COVID-19 in quella che è stata descritta come una delle peggiori profanazioni della sinagoga locale, ospitata in una residenza privata nel sobborgo in gran parte ebraico di Côte St. Luc.
Il danno alla congregazione sefardita di Kol Yehouda includeva tallitot e tefillin gettati per terra nei bagni, Rotoli di Torah tagliati e lanciati sul pavimento, altri oggetti religiosi gravemente danneggiati e graffiti antisemiti.
La polizia sta indagando sull'attacco e, soprattutto, scoprire quando l'incidente è realmente accaduto.
"Chiaramente, non si può rimanere insensibili a quello che è successo", ha detto il congregante Ralph Amar, che mercoledì ha scoperto il vandalismo quando è passato a prendere alcuni oggetti per la festa di Shavuot. Ha definito l'incidente "atroce" e un "massacro".
Allo stesso modo, David Birnbaum, parlamentare provinciale del distretto elettorale in cui si trova la sinagoga, ha definito l'incidente un atto "disgustoso, codardo".
Michael Mostyn, CEO di B'nai Brith Canada, ha affermato di essere stato "sconvolto" da "questo disgustoso atto di antisemitismo alla vigilia di … Shavuot", la festa che segna la donazione della Torah al popolo ebraico.

(Bet Magazine Mosaico, 1 giugno 2020)


Focolai di Coronavirus nelle scuole di Gerusalemme: migliaia di studenti in quarantena

di Susanna Picone

 
Ingresso del liceo Gymnasia Rehavia a Gerusalemme, 29 maggio 2020. La scuola è stata chiusa dopo che a numerosi studenti e membri del personale è stato diagnosticato il Covid-19
Molte scuole superiori di Gerusalemme sono state chiuse oggi dopo che è arrivata la conferma, negli ultimi giorni, di decine di casi di positività al nuovo coronavirus tra personale e studenti. Secondo quanto riporta il quotidiano Haaretz, la maggior parte di questi nuovi contagi al Covid-19 è stata registrata in un solo istituto, la Gymnasia Rehavia. Solo in questo liceo sono stati confermai oltre 130 casi di coronavirus. Almeno un caso di positività al Covid-19 è stato accertato invece in altre quattro scuole superiori della città: la Scuola d'Arte, la Zalman Aranne, la Masorti e la Paula Ben-Gurion. E attualmente circa 1.500 persone, tra dipendenti delle scuole e studenti che le frequentano, sono state messe in quarantena. Sono stati messi in quarantena anche 278 studenti e 35 membri del personale della scuola Ofek di Givat Ze'ev, a nord di Gerusalemme, che è stata chiusa dopo che un insegnante è risultato positivo. Il Covid-19 è stato poi diagnosticato a uno studente della città settentrionale di Hadera: la scuola che frequenta, un istituto interdisciplinare, ha annunciato che i suoi 2.200 studenti torneranno alla didattica a distanza per evitare pericoli. Molti studenti di diverse scuole di Be'er Sheva, nel Sud di Israele, sono finiti in quarantena fino al 9 giugno e appena a Nord di questa località, nella città beduina di Rahat, 750 studenti e il personale del Liceo Artistico sono stati mandati a casa dopo che un insegnante è risultato positivo al Covid-19.

 A Gerusalemme riapre dopo 2 mesi la Spianata delle moschee
  Dopo una chiusura di 70 giorni dovuta alla pandemia, a Gerusalemme domenica è stata riaperta al pubblico la Spianata delle moschee. Secondo la agenzia di stampa palestinese Wafa, migliaia di persone si sono subito riversate al suo interno. In vista della riapertura la moschea al-Aqsa era stata completamente sterilizzata nei giorni scorsi e ieri i fedeli hanno avuto istruzione di rispettare le distanze di sicurezza fra di loro e di astenersi dal raggiungere i luoghi di preghiera nel caso non fossero in condizioni sanitarie idonee.

 Coronavirus in Israele: riapertura graduale per le scuole
  Israele non è stato particolarmente colpito dalla pandemia: finora ha registrato poco più di 17.000 casi e meno di 300 decessi. Il governo ha introdotto nei mesi scorsi misure severe per limitare il contagio, poi nella prima settimana di maggio ci sono state delle riaperture. La riapertura delle scuole è avvenuta in maniera graduale a partire dal 10 maggio scorso.

(fanpage.it, 1 giugno 2020)


Gerusalemme riapre il Santo Sepolcro

Lo scorso 26 maggio è stata riaperta a Gerusalemme la Basilica del Santo Sepolcro, luogo simbolo della cristianità, da sempre meta di pellegrini provenienti da tutto il mondo.
   "La chiusura del Santo Sepolcro si era resa necessaria per ottemperare alle norme previste dal Ministero della Salute, per evitare gli assembramenti e gli eventuali rischi di contagio, a seguito della crisi apertasi con la diffusione del Covid 19. La riapertura del Santo Sepolcro è un segnale importante della normalizzazione della gestione dei luoghi di interesse storico e, naturalmente, di tutti quei siti di fondamentale importanza per un ritorno, anche se lentamente, ad una situazione di movimento e di aggregazione, in sicurezza, nel rispetto del normative previste" ha dichiarato Avital Kozter Adari, direttore dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo.
   Per motivi di sicurezza e al fine di evitare il rischio di una nuova diffusione dell'infezione COVID-19, il Santo Sepolcro avrà dei limiti agli ingressi: all'inizio il numero sarà limitato a 50 persone e la Basilica sarà accessibile solo a coloro che non hanno febbre o sintomi di infezione e indossano adeguati dispositivi di protezione per il viso.
   Sarà inoltre necessario mantenere una distanza minima di 2 metri tra ogni persona ed evitare qualsiasi atto di devozione che possa includere un contatto fisico come toccare e baciare le pietre, le icone, i paramenti e il personale della Basilica; oltre a rispettare sempre le istruzioni fornite.

(Quality Travel, 1 giugno 2020)


Il cyber-attacco contro Israele per manomettere il sistema idrico

L'Iran ha tentato di aumentare il cloro nell'acqua. L'obiettivo era bloccare i computer che regolano l'afflusso, che sarebbero dovuti andare in tilt "ingannati" dalla troppa quantità di cloro presente. Fermato sul nascere, l'attacco è solo uno degli ultimi episodi della guerra sotterranea tra i due Paesi.

di Alberto Flores D'Arca

All'inizio di aprile l'Iran ha lanciato un cyber-attacco contro il sistema idrico di Israele. L'obiettivo era quello di lasciare decine di migliaia di civili (e centinaia di fattorie) senza una goccia d'acqua nel pieno della crisi coronavirus e durante una eccezionale ondata di caldo che ha colpito un mese fa lo Stato ebraico.
   Un attacco preparato con cura. Con un codice informatico (scritto in lingua farsi) che ha fatto un vero e proprio giro del mondo - con passaggi in server negli Stati Uniti ed in Europa per nascondere le proprie origini - che doveva bloccare i computer che regolano l'afflusso idrico in Israele, "ingannati" dalla troppa quantità di cloro aggiunto nell'acqua.
   Cyber-attacco bloccato sul nascere - grazie ai sospetti di un gruppo di addetti alle pompe in una zona centrale di Israele che hanno notato come queste si accendessero e spegnessero senza alcun motivo - appena in tempo per evitare una situazione drammatica in un Paese da sempre alle prese con il "problema acqua" e dove l'avanzato ma delicato sistema idrico deve funzionare alla perfezione.
   "Il cyber-inverno sta arrivando". In una dichiarazione a metà maggio - dopo che un giornale israeliano (Yedot Ahronoth) aveva dato senza troppa enfasi e particolari la notizia dell'attacco - Yigal Unna, direttore generale dell'Israel National Cyber Directorate aveva parlato di "recenti sviluppi" che hanno inaugurato una nuova era di guerra segreta: "Non c'è cosa che descriva abbastanza quanto velocemente e quanto follemente si stiano muovendo gli attacchi nel cyberspazio. Penso che ricorderemo l'aprile e il maggio 2020 come un punto di svolta nella storia della cyberguerra moderna. Se i cattivi fossero riusciti nel loro complotto, ora ci troveremmo ad affrontare, nel bel mezzo della crisi da coronavirus, danni molto ingenti alla popolazione civile, una grande mancanza d'acqua e anche qualcosa di peggio".
   Dopo una riunione d'emergenza del governo con i responsabili della sicurezza nazionale e gli addetti alla cyber-guerra, Israele decide (9 maggio) di rispondere all'attacco "organizzato e sincronizzato" dell'Iran con un attacco informatico a un porto vicino a Bandar Abbas, nel sud del Paese governato dagli ayatollah. Su ordine di Naftali Bennett, allora ministro della Difesa in carica, Israele ha effettuato un attacco di "piccole proporzioni ma molto sofisticato" contro il porto di Shahid Rajaee che gestisce quasi la metà del commercio estero dell'Iran (stando alle rivelazioni fatte al Financial Times da due funzionari della sicurezza israeliana).
   Quanto accaduto negli ultimi due mesi è l'ultimo (solo per ora) capitolo della guerra sotterranea che vede Israele opporsi all'Iran. Guerra che negli ultimi due anni si è svolta soprattutto a livello informatico, con 'hacking' ad alta tecnologia, cyber-attacchi a siti governativi e militari e uso "digitale" dei servizi segreti e di spionaggio.
   In passato Israele è stato accusato di aver creato (insieme con gli Stati Uniti) il 'worm' informatico Stuxnet nel tentativo di distruggere il programma nucleare di Teheran, l'Iran ha tentato negli ultimi anni più volte (quasi sempre senza successo) di attaccare lo Stato ebraico, ma ha dimostrato - vedi attacco ai computer e alle istallazioni petrolifere del gigante saudita Aramco - di aver migliorato molto le sue qualità di cyber-guerra.
   Oggi la procedura standard in Israele è che i sistemi informatici delle organizzazioni di sicurezza (il Mossad, le forze di difesa israeliane, lo Shin Bet, il reattore nucleare di Dimona, l'Istituto biologico di Nes Tziona, le industrie militari) e delle infrastrutture civili critiche non sono collegati a Internet, al fine di prevenire un potenziale effetto domino che colpirebbe altri siti e infrastrutture in caso di attacco cibernetico. Secondo Unna il tentativo di hacking nei sistemi idrici di Israele ha segnato però "una prima pericolosa volta" perché "mira a causare danni alla vita reale dei civili".

(la Repubblica, 1 giugno 2020)


Israele, niente pubblico allo stadio? L'Hapoel Tel Aviv segna e i calciatori esultano così

di Carmelo Barillà

L'assenza di pubblico allo stadio sarà un problema in quasi tutto il mondo per i prossimi mesi. Anche in Israele si gioca a porte chiuse ma ci si ingegna. L'Hapoel Tel Aviv segna sul campo del Maccabi Haifa con Moti Barshazky. Ma ad applaudire non c'è nessuno. Ecco spuntare l'idea geniale, una vera chicca che potrebbe essere riproposta da altri. Maor Buzaglo, compagno di squadra dell'autore del gol, si trasforma in tifoso e va sugli spalti. Per la cronaca, il Maccabi ha poi vinto 1-2. Una gioia doppia.

(Calcio Web, 1 giugno 2020)


I pregiudizi anti israeliani dei giallorossi

La lettera della vergogna dei 70 giallorossi contro lo Stato di Israele

di Fiamma Nirenstein

E' sconfortante che settanta parlamentari Pd e 5 Stelle abbiano firmato una letterina così misera per il presidente Conte ( che sembra dopo abbia telefonato a Netanyahu per perorarne l'ascolto) dopo aver discusso una mozione identica in commissione esteri. Stesse note, stesso tono, stessi errori, stesso cinismo, stesso pregiudizio che stavolta dallo Stato d'Israele, la vittima preferita, si estendono al presidente Trump, anche lui un pasto prelibato per i benpensanti.
   Cosa dice la letterina? Condanna la prossima eventuale «annessione» di «alcuni territori» della Cisgiordania ispirata dal piano Trump, la chiama «aperta violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite», e assicura che «essa metterebbe una pietra tombale su ogni rilancio del processo di pace in Medio Oriente e sulla prospettiva di due popoli e due Stati».
   Ma il rilancio c'è, ed è qui, e propone proprio due Stati per due popoli. I palestinesi hanno detto di no a ogni proposta di pace, anche a quelle che gli conferivano tutti i territori compresa Gerusalemme. Il punto non è mai stata la terra, ma il rifiuto della legittimazione di Israele.
   E poi, il diritto ai «territori» è inventato: la risoluzione dell'Onu che si occupa della sistemazione post '67 parla di «territori» e non «dei territori», considerando la sicurezza di Israele. Non sono mai esistiti «territori palestinesi», né sono mai stati «illegalmente occupati».
   Quello che i 70 chiamano Transgiordania è la Giudea e la Samaria storica: gli Alleati riuniti a Sanremo 1920, il Mandato Britannico che doveva realizzare la dichiarazione Balfour del 1917, tutti si impegnarono per lo Stato Ebraico nei suoi confini storici. Gli ebrei vengono dalla Giudea, il buon Samaritano viene dalla Samaria, esse erano parte di Israele. Ma parce sepultis. La Giordania li occupò illegalmente nel 1948.
   Nel '67 Israele sotto attacco da parte di Egitto, Iraq, Siria e Giordania si salva e conquista la zona occupata dalla Giordania, il West Bank. Nel '93 gli accordi Oslo, firmati da Arafat, danno ai palestinesi le aree A e B sotto controllo amministrativo, e a Israele l'area C sotto controllo militare, quella di cui si discute adesso. Gli ebrei già vivono là, non vogliono strappare terra, semplicemente intendono trasformare il potere dei centri abitati israeliani nell'Area C da militare a civile, solo per il 50 per cento dell'area. Nell'insieme il 30 per cento di tutta la Giudea e la Samaria compresa la Valle del Giordano.
   Nessun centro palestinese viene toccato. Quindi finalmente si istituirebbe uno Stato Palestinese sul 70 per cento di tutta l'area, con swap territoriali. Il criterio seguito è che i 400mila ebrei che vivono nel West Bank possano riferirsi ai poteri civili e soprattutto che non vengano scardinati così come i palestinesi. I 10mila cittadini ebrei che lo sgombero di Sharon cacciò dalla Striscia di Gaza abbandonarono case e strutture che sarebbero state distrutte per piazzare al loro posto missili di Hamas. Il piano invita a colloqui e a compromessi e intanto istituisce «due Stati per due popoli» finanziando i palestinesi. Anche l'Ue è spaccata sul tema.
   I Paesi Sunniti moderati non sono contro, reagiscono furiosamente la Turchia, l'Iran, gli estremisti. Il piano richiede misure minime di sicurezza, e uno Stato palestinese che rispetti i diritti umani, consideri che i terroristi fecero più di 2.000 morti e hanno segnato per sempre la vita di Israele. La lettera ignora che il disegno del piano è ricalcato sulle idee di Ytzchak Rabin che considerava indispensabile i confini difendibili. E tiene conto finalmente del fatto che gli ebrei sono qui la popolazione aborigena. Lo sanno i 70?

(il Giornale, 1 giugno 2020)


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