I palestinesi si preparano per la marcia della "Naksa" ai confini israeliani
Sull' esempio della marcia svoltasi nel giorno della Nakba questo mese, i Palesitinesi ed i propri sostenitori, sono intenzionati a marciare nuovamente ai confini israeliani , per ricordare la "Naksa", ovvero la sconfitta ed i territori persi durante la Guerra dei Sei giorni nel 1967.
Il sito web denominato la "terza intifada" , riporta le date stabilite per la marcia ai confini con la Siria, Libano, Giordanaia e Gaza, così come quella della processione diretta alla Moschea di Al-Aksa a Gerusalemme.Tredici persone sono state uccise a maggio mentre cercavano di oltrepassare i confini israeliani con la Siria ed il Libano durante il giorno della Nakba. Fonti ufficiali hanno riferito che ci si aspetta una dimostrazione relativamente pacifica.
Stasera e domani, 28 di Iyar, si festeggia la liberazione di Yerushalaim avvenuta durante la guerra dei sei giorni. Tra i Salmi più indicati per questa occasione si evidenzia il 122, nel quale si canta, tra l'altro, la gioia di trovarsi sulle porte di Yerushalaim, luogo di pace e di giustizia. Il verso 3 di questo Salmo, forse uno dei più enigmatici della Bibbia "...Yerushalaim che è costruita come una città di un'armoniosa unità..." è commentato dal Talmùd, Taanìt 5 a, come un riferimento all'accoppiamento tra la Yerushalaim celeste e quella terrestre. Ma anche una chiara indicazione di come non c'è una Yerushalaim celeste senza il ritorno del popolo ebraico nella Yerushalaim terrestre. Si conferma pertanto un'imposssibilità di una salvezza religiosa senza una giustizia sociale nella città terrestre. Yerushalaim, dove la luce e l'azzurro del cielo è senza eguali, non costituisce per noi un mero simbolo teologico, come neppure un sito dell'immaginazione, del folklore e della retorica popolare, ma piuttosto un luogo reale dove si frappongono questioni concrete relative ai rapporti con il prossimo e con altri uomini. E dove interagiscono fratellanze talvolta difficili e articolate. Tutto ciò nella Yerushalaim terrestre e odierna, e non in pii pensieri come neppure nei mondi della comunicazione virtuale.
Festival della Luce a Gerusalemme: programma della 2a edizione
Dal 15 al 22 giugno p.v. la Città di Gerusalemme sarà il magnifico palcoscenico per la II edizione del "Festival della Luce". Lo splendore e la bellezza della Città Vecchia brillerà grazie ad impianti luminosi, installazioni di luci, mostre dedicate alla luce. Si aspetterà la luce del tramonto ed ogni sera, dalle 20.00 alle 24.00, dal 15 al 22 giugno, Gerusalemme, ricordata già nell'Antico Testamento come la "Città della Luce", risplenderà!
Il Festival è realizzato dalla Municipalità di Gerusalemme in collaborazione con l'Ufficio del Primo Ministro, il Ministero del Turismo d'Israele, il Comune di Gerusalemme, la società Ariel: 250.000 visitatori sono attesi in questa settimana di eventi. Durante tutto il Festival sarà possibile visitare nel centro storico della città mostre di artisti "della luce" locali ed internazionali, assistere ad eventi di strada, spettacoli di acrobati e visitare una fiera dell'illuminazione allestita presso l' Archeological Garden del Davidson Center di Gerusalemme.
Quest'anno il Festival della Luce esplorerà la relazione tra luce e suono e il senso della vista e dell'udito, nonché la relazione speciale che si crea quando un'esperienza visiva migliora l'esperienza uditiva e viceversa. Molti gli artisti provenienti da Paesi stranieri: Francia, Portogallo, USA, Danimarca, Belgio e Italia. Alla Porta di Giaffa, il gruppo francese TILT, che partecipa al festival per la seconda volta, creerà la magia di un giardino futurista di luce in una mostra dove lo spettatore viene circondato da un ambiente innovativo utilizzando la più avanzata tecnologia legata alle tecniche della illuminazione Alla Grotta di Zedekia in mostra anche l'opera dell'italiano Richi Fererro che presenterà un originalissimo allestimento visivo completato da musica mongola e sonorità bulgare.
Il Comune di Gerusalemme ha poi deciso di ricostruire l'illuminazione che nel 1937 celebrò l'incoronazione di Re Giorgio VI, mentre un video inserito nella Rothschild House condurà i visitatori in un virtuale viaggio in treno dalla città alla scoperta della natura ed un altro impianto creerà un "dialogo" con la pietra di Gerusalemme, utilizzando appunto oggetti illuminati per creare illusioni.
El Wad Street sarà resa ancor più vivace dagli spettacoli di luce e così tutta l'area dalla Porta di Damasco fino all'ingresso al Muro del Pianto.
Straordinario infine lo spettacolo "Butterfly Effect" che avrà luogo presso il Giardino Ha'bonim: i biglietti possono essere acquistati on line (www.bimot.co.il) o telefonicamente (00972-(0)2-6.237.000)
Esplosione in un campo di addestramento a Gaza, 3 morti
GAZA - Tre palestinesi sono morti e altri quattro sono rimasti feriti da un esplosione avvenuta in un centro di addestramento dei Comitati Popolari di Resistenza a Rafah, nella Striscia di Gaza al confine con l'Egitto. La notizia e' stata confermata dal portavoce dei servizi medici di Hamas, Adham Abu Selmiya, senza dare spiegazioni sull'origine della deflagrazione nella zona di Tel Sultan .
Uscirà nelle sale francesi il 1. giugno ed è... magico
Non è abitudine della Fattoria invadere i campi di competenza altrui, ma... quando si parla di gatti la Fattoria è super attenta. Così, dopo avervi segnalato due libri che avevano per protagonisti i gatti (Casper e Zorro, vd suggeriti) oggi vi segnaliamo la versione cinematografica di un fumetto straordinario. Titolo: "Il gatto del rabbino".
Il film uscirà nelle sale francesi mercoledì 1 giugno, ma è destinato a raggiungere tutta Europa. Motivo? Il gatto del rabbino - che non ha altro nome se non quello di "gatto del rabbino" - è un personaggio straordinario, ricco di humor e conoscenza, in grado di mettere ordine felino all'interno di disquisizioni che di felino hanno ben poco: dalle diverse interpretazioni dell'ebraismo fatte da sefarditi (gli ebrei spagnoli) e ashkenaziti (gli ebrei centroeuropei) fino alle inconciliabili - conciliabili - tesi e precetti dei grandi di Islam e Cristianesimo. Il tutto condito da qualche riflessione politica. L'autore - Joann Sfar, disegnatore e illustratore francese laureato in filosofia e con sangue sefradita e ashkenazita nelle vene - è a dir poco irresistibile (vd link).
Personaggi e interpreti del film? Il gatto del rabbino, ovviamente, un gatto molto simile all'abissino; il rabbino Sfar; la figlia del rabbino, Zlabya e un pappagallo molto rumoroso. La storia prende il via ad Algeri, nel 1920. È qui che il gatto, in una giornata un po' così, si mangia il pappagallo e comincia a parlare... Una storia da vedere (ma anche da leggere. Il fumetto "Il gatto del rabbino 2" è edito anche in italiano).
Ucraina, ragazza lapidata dopo un concorso di bellezza: "è contro la sharia"
di Valentino Salvatore
Una diciannovenne islamica, Katya Koren, è stata lapidata a morte in Ucraina perché ritenuta troppo emancipata e per aver partecipato ad un concorso di bellezza. Come scrive il Daily Sun, alla ragazza piaceva vestirsi con abiti alla moda ed era arrivata settima a questo concorso. Il corpo era stato sepolto in un bosco vicino la sua abitazione, in un piccolo villaggio della Crimea, e ritrovato solo una settimana dopo la sparizione con segni di percosse. Le forze dell'ordine indagano in particolare su alcuni giovani musulmani della zona. Un sedicenne, Bihal Gaziev, è stato arrestato e ha ammesso il suo convolgimento nell'omicidio della giovane. Ha sostenuto che è stata massacrata perché "ha violato le leggi della sharia" e dice di non avere rimorsi, ritenendone giusta l'uccisione.
Israele accusa: Gruppi di terroristi si installano nel Sinai
L'accusa del premier Benjamin Netanyahu
GERUSALEMME, 30 mag. - Le autorità egiziane hanno difficoltà a garantire il controllo della penisola del Sinai e "gruppi terroristi" ne approfittano per radicarsi. Lo ha accusato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, citato da un alto responsabile del parlamento.
"L'Egitto ha difficoltà a esercitare la sua sovranità sul Sinai. Gruppi terroristici internazionali si mobilitano per accentuare la loro presenza, nei dintorni della striscia di Gaza", ha dichiarato Netanyahu, alludendo apparentemente agli estremisti islamici legati ad al Qaida.
Quest'ultimo ha espresso queste opinioni durante un dibattito a porte chiuse della commissione parlamentare degli affari esteri e della difesa, secondo un portavoce di questa commissione. Negli ultimi mesi, sconosciuti hanno attaccato alla bomba due volte il gasdotto nel Sinai che alimenta Israele e la Giordania, causando la sospensione delle forniture egiziane di gas naturale ai suoi due principali clienti regionali.
Israele ha da parte sua sconsigliato ai connazionali di recarsi nel Sinai, mettendoli in guardia contro le minacce di sequestro. Netanyahu ha d'altra parte affermato che il movimento islamista Hamas palestinese, che controlla la striscia di Gaza, "ha ridotto le sue attività in Siria, a seguito della contestazione in questo Paese, per trasferirle in Egitto", secondo la stessa fonte parlamentare.
G8: Il Canada di Stephen Harper vicino a Gerusalemme
Stephen Harper
"Il Canada è un vero amico di Israele e comprende che le frontiere del '67 sono incompatibili con le nostre esigenze di sicurezza". Questo le parole di elogio usate nelle scorse ore dal ministro degli Esteri di Israele Avigdor Lieberman nei confronti del premier canadese Stephen Harper. Alla base dell'apprezzamento di Lieberman il fondamentale intervento di Harper al vertice G8 da poco conclusosi a Deauville. Grazie al leader anglosassone è stato infatti evitato qualsiasi riferimento esplicito ai confini del 1967 quale soluzione del conflitto israelo-palestinese nell'appello di pacificazione redatto dai grandi della politica internazionale durante il recente vertice in terra francese. Harper stesso, prima della sua partenza da Ottawa per i lavori del G8, aveva dichiarato che il Canada non avrebbe aderito a richieste che palesassero questo riferimento anche se si fosse trovato nella condizione di essere l'unico ad opporsi a tale formulazione. Lieberman e Harper si sono incontrati e hanno condiviso una visione politica di grande affinità sul Medio Oriente. In particolare sulle insidie che si presentano oggi all'orizzonte di Israele con l'avvenuta riconciliazione tra Hamas e Fatah. Il ministro israeliano ha poi invitato Harper a Gerusalemme per un incontro diplomatico ufficiale tra le rappresentanze dei due paesi.
Vietata in Iran l'importazione di mele e arance provenienti da Israele
Il presidente della camera di commercio dell'industria e delle miniere dell'Iran, Mohammad Nahavandian ha respinto con forza il rapporto relativo alle attività delle ditte Israeliane in Iran. La dichiarazione di Nahavandian è avvenuta a seguito di quanto riferito dal Segretario di Stato americano Hillary Clinton che ha annunciato sanzioni a sette società internazionali compresa una società israeliana, il gruppo dei fratelli Ofer, per le loro attività nel settore dell'energia in Iran. Il direttore generale del porto e dell'organizzazione marittima dell'Iran, Mohsen Sadeqifar, ha ribadito che le navi israeliane non possono entrare nel bacino dei porti iraniani , stesso discorso vale per le navi delle linee marittime degli Stati Uniti . Hamid Safdel ha dichiarato che "dai tempi della vittoria della rivoluzione islamica, la Repubblica dell'Iran non ha più importato merci da Israele . " Tutto il rapporto che riguarda questa questione è falso e lo neghiamo, tutti gli scambi di documenti, merci e commercio con Israele sono vietati. Stesso discorso relativo alla denuncia di importazione di mele e arance israeliane da un paese limitrofo. Questa precisazione nonostante le dichiarazioni una settimana fa di Mustafa Zulqadar, membro del comitato parlamentare iraniano dell'economia, che aveva accusato la Giordania l'Egitto e l'Arabia Saudita di esportare le arance israeliane in Iran.
ROMA - Il recente accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas, la dichiarazione unilaterale dello Stato palestinese, la minaccia di una terza intifada all'orizzonte. Quali scenari e quali sfide per il Medio Oriente alla luce degli ultimi sviluppi nel complesso processo di pace israelo-palestinese? A parlarne questa mattina nella Sala delle Colonne della Camera dei Deputati autorevoli ospiti in rappresentanza del mondo delle istituzioni, dell'attivismo politico e della cultura con il coordinamento del vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera Fiamma Nirenstein. Alla tavola rotonda, emblematicamente intitolata Medio Oriente nuovi scenari, sono intervenuti i senatori Luigi Compagna e Umberto Ranieri, il segretario generale del World Jewish Congress Dan Diker e il direttore del Palestinian Human Rights Monitor Group Bassam Eid. Tra i tanti applausi speciali proprio per quest'ultimo, attivista da sempre impegnato nella tutela dei diritti umani e nella promozione di una Palestina pluralistica e democratica.
Asse con Tel Aviv per portare a Roma le Olimpiadi 2020
Il sindaco di Roma chiude la visita in israele e studia le Maccabiadi
Avviare una collaborazione con Tel Aviv per lo sviluppo di sistemi di sicurezza contro la criminalità, prendere spunto dalle politiche israeliane per l'implementazione della raccolta differenziata e avviare una collaborazione col governo di Israele in vista della candidatura olimpica per i Giochi 2020. Questi gli obiettivi della visita a Tel Aviv del sindaco di Roma Gianni Alemanno. Sul fronte Olimpiadi il sindaco ha spiegato che la candidatura di Roma sarà ufficializzata «verso la metà di giugno» dopo l'approvazione del bilancio. A seguire sarà reso operativo «un comitato promotore» che dovrà avviare «la presentazione internazionale» del progetto.
La campagna «diplomatica» e di raccolta d'esperienze, comunque, è già partita. I colloqui tra Alemanno e i responsabili dei Maccabi mondiali ne sono testimonianza. «Le Maccabiadi sono il terzo evento sportivo mondiale e questo confronto è stato un'occasione per qualificare Roma come città internazionale dello sport, premessa essenziale per la candidatura olimpica», ha spiegato il sindaco, sottolineando di aver trovato «grande attenzione e persino affetto» nei confronti di Roma. A sostegno del progetto olimpico capitolino concorrono «motivi di carattere sia interno sia internazionale». Le Olimpiadi - ha notato Alemanno - «possono essere un segnale importante contro il declinismo, l'ideologia del declino» e dare dell'Italia l'immagine di un Paese «che non subisce la globalizzazione, ma si rilancia da protagonista». Roma sente di «aver bisogno dei giochi» per poter «affrontare la modernizzazione», superare gli errori di programmazione del passato, riqualificare il patrimonio storico, artistico e culturale e trovare «la spinta economica necessaria per valorizzarsi in prospettiva futura». Rispetto al 2004, quando Roma «arrivò a un passo dal traguardo» e lo mancò «anche per l'assenza di una perfetta unità del Paese sulla candidatura», ci sono adesso «elementi più favorevoli», a giudizio di Alemanno. «Anche se poi, naturalmente, andranno visti i concorrenti». Tokyo è l'antagonista che fa più paura dopo la rinuncia del Sudafrica.
Alemanno ha poi parlato dei temi caldi della politica comunale. La prossima settimana l'Aula Giulio Cesare dovrà discutere il riassetto della holding capitolina: «È uno strumento che nasce per esigenze di compensazione fiscale. L'assessore al Bilancio dirà quanti soldi ha perso Roma in questi anni, in termini di mancata compensazione fiscale, per la mancanza di una holding. Ci auguriamo che l'opposizione abbia un atteggiamento responsabile».
Sulla privatizzazione di Acea, Alemanno ha detto di aspettare l'esito del rederendum, mentre su Ama ha spiegato che la dismissione delle quote, in attuazione del decreto Ronchi, sarà avviata «per un massimo del 40%, il restante 60% resterà pubblico». Sempre sui rifiuti, il Comune potrebbe realizzare un «impianto di separazione a valle» che effettua la raccolta differenziata in discarica. «La prossima settimana è in programma un incontro tra Regione e ministero dell'Ambiente. Se l'accordo va in porto siamo in condizioni di far partire questo impianto, che ha un costo inferiore a quello della raccolta porta a porta e crea meno disagi». Il Comune potrebbe dotarsi anche di un sistema pubblico di «vuoti a rendere»: bottiglie di vetro e di plastica che possono essere restituite ai supermercati dietro compenso. A Tel Aviv il modello da ottimi risultati: le bottiglie vuote di plastica e di vetro hanno un costo e chiunque può raccoglierle e restituirle ai supermarket o in centr di raccolta e ricevere in cambio un prezzo simbolico. A Roma, il sistema avrebbe benefici visibili, specie nelle zone della movida.
Israele: il Gruppo Ofer non poteva avere rapporti con lIran
Almeno 13 navi del gruppo israeliano hanno attraccato in Iran
ROMA, 30 mag. - L'ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahun ha negato che il Gruppo Ofer Brothers, che opera nel settore delle spedizioni internazionali, sia mai stato autorizzato a intrattenere rapporti commerciali con l'Iran. Come riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz, il gruppo Ofer aveva dichiarato che le sue navi erano state autorizzate ad attraccare in porti iraniani dalle autorità israeliane, ma l'ufficio di Netanyahu ha detto che questa informazione "non è corretta".
Stando ai registri di Equasis, un database che contiene informazioni sulle spedizioni, la petroliera Raffles Park (ribattezzata ora con il nome Emma) ha attraccato diverse volte in Iran quando era ancora di proprietà della Tanker Pacific Management, una compagnia controllata dal gruppo Ofer. La nave è stata poi venduta a una compagnia di spedizioni iraniana (IRISL), secondo il Dipartimento di Stato americano, che la scorsa settimana ha sollevato il caso applicando sanzioni al gruppo Ofer e alla Tanker Pacific per aver intrattenuto rapporti commerciali con l'Iran.
Dai registri di Equasis è emerso però che almeno 13 navi appartenenti a Tanker Pacific hanno attraccato in porti iraniani negli ultimi dieci anni, nonostante l'Iran sia classificato da Israele come uno Stato nemico e ogni rapporto commerciale sia proibito.
Il gruppo Ofer, riferisce Haaretz, si è difeso affermando di "non aver mai venduto navi all'Iran" e che ciò "può essere confermato dalle autorità israeliane". Finora nessuna fonte ufficiale israeliana ha confermato la versione del gruppo spedizioniere.
In una seduta straordinaria tenuta in una storica fortezza, il governo israeliano ha oggi approvato lo stanziamento di 400 milioni di shekel (100 milioni di franchi) per il rafforzamento delle attività economiche a Gerusalemme negli anni 2011-2016.
"Gerusalemme è il cuore della Nazione" ha detto ai ministri il premier Benyamin Netanyahu, tornando così su uno dei punti centrali del suo recente intervento al Congresso di Washinton.
Per questa seduta di governo Netanyahu ha scelto la cornice di una imponente e strategica fortezza erodiana (denominata in un'era successiva "Torre di Davide" che domina l'intero perimetro delle mura della Città Vecchia. Il premier ha ricordato che proprio in questi giorni si celebra, in Israele, il 44esimo anniversario della riunificazione dei due settori della città, avvenuta nelle prime fasi della guerra dei Sei giorni.
"Siamo tornati nelle terre dei nostri padri - ha esordito Netanyahu - Da allora Gerusalemme è rifiorita, sia nel centro sia nelle città satellite. Siamo determinati a rafforzarla e a sostenere i suoi abitanti". Il premier ha poi delineato un dettagliato programma concepito per rafforzare fra l'altro le infrastrutture turistiche e "trasformare Gerusalemme in un centro mondiale di biotecnolgia".
Il sindaco Nir Barkat, che partecipava alla seduta, ha rilevato che negli ultimi anni in città si avverte un clima più dinamico, "una vera rivoluzione", dovuto anche alla moltiplicazione degli eventi culturali, ad una crescita impetuosa del turismo e anche alla inaugurazione, imminente, della prima linea tranviaria. "Bisogna che il mondo sappia - ha concluso Netanyahu - che il popolo di Israele è fedele a Gerusalemme e alla nostra tradizione. Siamo determinati a difendere la nostra sicurezza, mentre tendiamo ai nostri vicini una mano di pace".
Pagine Ebraiche: "Un giornale che rompe stereotipi spesso dannosi, sempre banali"
di Matilde Passa, giornalista
Non ho mai apprezzato l'idea che l'informazione debba essere gratuita, come se chi scrive, chi passa le sue ore a darti le notizie, a fornirti materiali per aggirarti in modo meno ottuso nel mondo, debba vivere d'aria o peggio di finanziamenti poco chiari. Per questo l'abbonamento a "Pagine Ebraiche" lo considero un dovere, oltre che un piacere. Perché è un giornale che colma un grande vuoto nel panorama della stampa italiana, perché permette a noi non ebrei di entrare in un mondo che conosciamo pochissimo, che interpretiamo e giudichiamo attraverso stereotipi, spesso dannosi, sempre banali. Per me è un appuntamento quotidiano e mensile al quale non potrei rinunciare. Grazie a tutti voi e auguri alle new entry del giornalismo italiano!
ABBONARSI A PAGINE EBRAICHE È FACILE ED ECONOMICO:
Gli abbonamenti (ordinario o sostenitore) possono essere avviati versando 20 euro (abbonamento ordinario) o 100 euro (abbonamento sostenitore) con queste modalità:
Versamento sul conto corrente postale numero 99138919 intestato a:
UCEI - Pagine Ebraiche - Lungotevere Sanzio 9 - Roma 00153
Bonifico sul conto bancario IBAN: IT-39-B-07601-03200-000099138919
intestato a UCEI - Pagine Ebraiche - Lungotevere Sanzio 9 - Roma 00153
Addebito di carta di credito Visa, Mastercard, American Express o PostePay su server ad alta sicurezza PayPal sul sito www.paginebraiche.it
Ministro di Israele: su Rafah l'Egitto ha violato gli accordi
GERUSALEMME, 29 mag. - Un ministro israeliano ha accusato oggi l'Egitto di avere violato gli accordi presi tra i due paesi decidendo di riaprire a titolo definitivo il terminal di Rafah, alla frontiera con la Striscia di Gaza. "E' uno sviluppo spiacevole, poiché gli accordi firmati devono essere rispettati, e io spera che la Comunità internazionale possa dire all'unanimità e molto chiaramente che la violazione dell'accordo da parte dell'Egitto è inaccettabile", ha affermato il ministro israeliano delle Infrastrutture, Uzi Landau. "Il libero passaggio di persone e merci che si produrrà (attraverso il terminal di Rafah) permetterà semplicemente di fare passare ulteriori munizioni, materiale militare e terroristi", ha aggiunto il ministro. Secondo un accordo concluso a fine 2005 sotto la garanzia degli Stati Uniti, e non firmato dall'Egitto, il passaggio di Rafah non può funzionare senza l'avallo di Israele. L'intesa prevedeva in particolare la presenza sul posto di osservatori europei e di rappresentanti dell'Autorità palestinese. Ma essa è stata superata dagli eventi, ovvero dalla conquista del controllo della Striscia di Gaza da parte del movimento radicale palestinese Hamas nel giugno 2007.
Israele, la raccolta di sangue si fa anche su Facebook
Urgenza sangue. il Natal Trauma Center, gruppo di ospedali israeliani, sfrutta le potenzialità di Facebook e della Rete per trovare donatori. Spesso, in caso di incidenti, catastrofi e attentati il sangue è la risorsa più importante, ma anche la più scarsa, capace di salvare vite umane. Una delle maggiori difficoltà è quella di trovare donatori e, sopratutto, avere a disposizione sangue compatibile per permettere le trasfusioni. Il Natal Trauma Center ha creato, proprio con questo obiettivo, 8 gruppi su Facebook, Facebook Blood Groups, corrispondenti ai rispettivi gruppi sanguigni. Ogni utente può iscriversi al gruppo del proprio RH, magari segnalando la propria disponibilità a donare sangue recandosi nell'ospedale e, inoltre, con lo stesso metodo, le strutture sanitarie possono inoltrare le richieste sfruttando il "passaparola" generato dagli utenti e la velocità del social network, un sistema che si rivela utile sopratutto nel ricercare gruppi sanguigni poco diffusi.
I palestinesi e il diritto alla reazione del più debole
di Gianni Pardo
Un lettore sosteneva che i palestinesi, dal momento che reputano di avere subito una grave ingiustizia da parte di Israele, hanno diritto agli atti di violenza. Mentre Israele, essendo in torto, non ha il diritto di difendersi.
Diceva in particolare: se su Trieste piovessero missili lanciati dalla Slovenia o dalla Croazia, l'Italia avrebbe tutto il diritto di andare ad impartire una severa lezione a quegli Stati, "perché l'Italia non ha fatto nessun torto né alla Slovenia né alla Croazia". Mentre il caso dei palestinesi è diverso.
Il ragionamento è per parecchi versi sorprendente.
Il concetto di comportamento negativo, comunque tale da legittimare una reazione, è del tutto opinabile. Nel 1939 la Germania aveva l'intenzione di attaccare la Polonia e sostenne di essere stata attaccata dalla Polonia: sicché la risposta di Hitler, con l'invasione dell'intero Paese, fu un atto di legittima difesa. Sappiamo benissimo che il Führer mentiva, ma come dimostrarlo sul momento? Chi vince decide qual è la verità. Per decenni l'Unione Sovietica ha stabilito che il massacro di Katyn era stato opera dei nazisti (e questo hanno creduto i comunisti locali e stranieri) e il riconoscimento della verità è cosa di un paio d'anni fa. Da un lato si può calunniare la controparte solo per poterla attaccare, dall'altro si può negare un proprio comportamento delittuoso. Il criterio è peggio che opinabile.
Ma ammettiamo che uno Stato Forte tenga un comportamento riprovevole nei confronti di uno Stato Debole: i cittadini di quest'ultimo devono ricorrere alla violenza, al terrorismo, all'aggressione bellica? La risposta è no. Semplicemente perché non è nel loro interesse. Se lo Stato Forte è tanto immorale da infliggere senza motivo sofferenze allo Stato Debole, tanto maggiori ne infliggerà quando sarà giustificato dalla legittima difesa. Fra l'altro, finché non avranno reagito, le vittime potranno sempre invocare il diritto e la morale violati, invece dal momento in cui avranno cominciato a scatenare attentati o comunque a compiere atti di guerra, non avranno diritto a nessuna considerazione. Chiunque dia inizio ad una rissa poi non si può lamentare se le prende.
Un caso esemplare è quello dei missili che per anni sono stati lanciati da Gaza sul territorio di Israele. I palestinesi reputano l'occupazione dei Territori un atto illegittimo, contrario alle risoluzioni dell'Onu ecc. Dimenticano che sono loro che, nel 1948, hanno violato la risoluzione dell'Onu concernente la spartizione della Palestina; dimenticano che allora, come nel 1967, essi hanno dato inizio ad una guerra con l'intenzione di cancellare Israele dalla carta geografica e possibilmente uccidere tutti i suoi abitanti; dimenticano che ci hanno ancora riprovato, con i loro alleati, nel 1973: ma ammettiamo che, soggettivamente, considerino l'occupazione Israeliana un'ingiustizia contro cui sarebbe giusto reagire. L'invio di missili con la speranza di far strage di israeliani innocenti è il mezzo giusto?
Da un lato è giuridicamente e umanamente inammissibile tentare coscientemente di uccidere dei civili colpevoli solo di avere un'altra nazionalità. Dall'altro, lo sparo di razzi sul territorio dello Stato vicino costituisce atto di guerra cui si ha il diritto di reagire con i metodi della guerra. Israele, dopo che per anni si era inutilmente lamentata, ha deciso l'operazione Piombo Fuso, dimostrando all'aggressore che era in grado di farlo pentire. Ed è quello che è successo: ciò che non avevano ottenuto le rimostranze giuridiche ed umane l'hanno ottenuto i carri armati. Gli abitanti di Gaza hanno avuto qualche migliaio di morti e la pioggia di razzi su Israele è cessata. Si è visto che l'unico modo di far cessare la violenza era la controviolenza.
I palestinesi si sono attirati tutti i guai in cui si trovano: un tempo sarebbe bastato che accettassero la partizione dell'Onu del 1947; oggi basterebbe che accettassero la convivenza pacifica con Israele e avrebbero il loro Stato. Gerusalemme infatti non chiede di meglio che dimenticarli. Con le loro aggressioni hanno solo ottenuto di non potere andare a lavorare in Israele e, all'occasione, rappresaglie grandiose come quella di Gaza.
Chi giustifica i palestinesi non li favorisce. Anche accettando il parere del lettore, pure se i palestinesi avessero il "diritto" di reagire contro Israele, è certo che non vi hanno interesse. Nei confronti di uno Stato più forte, né il terrorismo né gli attentati sono una risposta valida. Nessuna guerra è stata mai vinta così ed è possibile che la rappresaglia aggravi le condizioni del vinto invece di migliorarle.
GERUSALEMME - Un razzo e' stato lanciato la notte scorsa dalla Striscia di Gaza contro la parte meridionale d'Israele, dove si e' abbattuto al suolo senza provocare feriti ne' danni materiali degni di nota: lo hanno reso noto fonti militari israeliane, secondo cui il razzo si e' schiantato nella zona di Eshkol, che si estende nel settore nord-occidentale del deserto del Nergev. Si tratta del primo attacco del genere sferrato dall'enclave palestinese nell'arco di quasi un mese e mezzo. A meta' aprile una salva di lancia-granate colpi' in pieno uno scuolabus nello Stato ebraico, uccidendo uno studente: ne scaturirono gli scontri armati piu' violenti dall'epoca dell'Operazione 'Piombo Fuso'.
E' palestinese la prima donna ad aver scalato lEverest
DUBAI, 28 mag - La palestinese Suzanne al-Houby e' la prima donna al mondo ad aver scalato l'Everest. Dopo 51 giorni di salita, la 40enne degli Emirati Arabi Uniti ha raggiunto la vetta della montagna piu' alta al mondo la mattina del 21 maggio scorso. ''Diventare la prima donna araba a raggiungere la cima del mondo e' stato un brivido enorme e un grande privilegio. Vorrei condividere questo trionfo con il popolo palestinese e tutti gli arabi, in particolare tutte le donne che continuano a contribuire alla pace e alla stabilita' della regione'', ha dichiarato la Houby.
La decisione presa dal Consiglio supremo Forze armate. Per il parttio di opposizione al premier israeliano si tratta di "un fallimento nazionale".
ROMA, 28 mag - Come annunciato, l'Egitto ha riaperto questa mattina il valico di Rafah alla frontiera con la Striscia di Gaza, chiuso dal 2007. La decisione, definita "coraggiosa" da Hamas e oggetto di preoccupazione e critiche in Israele, è stata presa dal Consiglio supremo delle Forze armate, l'organo che ha assunto il potere al Cairo in seguito alla caduta dell'ex presidente Hosni Mubarak. La riapertura è stata salutata come una "decisione coraggiosa e responsabile" da un portavoce di Hamas, ma ha riacceso le preoccupazioni israeliane sulla sicurezza nella regione con la possibilità che aumenti il traffico di armi. Un timore sottolineato dal partito di opposizione Kadima: la riapertura si è celebrata "in contrasto diretto con gli interessi israeliani", spiega una nota del partito, ripresa dal quotidiano Haaretz. Un "fallimento nazionale" per Netanyahu, si legge ancora, causato "dall'incapacità" dell'esecutivo di "creare cooperazione internazionale". Israele è "isolata, meno sicura e Hamas guadagna potere", recita ancora il comunicato di Kadima.
Il valico rimarrà aperto otto ore al giorno (dalle 9 della mattina, ora locale) eccetto il venerdì, ma non potrà per il momento servire al transito di merci, che per accedere alla Striscia dovranno passare per gli altri confini con Israele. Le persone di età compresa tra 18 e 40 anni che vogliono passare la frontiera dovranno continuare a sottoporsi a rigidi controlli di sicurezza, per gli altri, sarà sufficiente un visto. Le prime a ripercorrere il tratto chiuso da quattro anni sono state due ambulanze della Mezzaluna Rossa che hanno trasferito alcuni pazienti in strutture mediche sul territorio egiziano. Nella Striscia è invece arrivato un pullman con a bordo una cinquantina di persone, per lo più palestinesi in visita ai propri familiari.
Ban Kimoon esorta i paesi interessarti a fermare le flotte dirette sulla Striscia di Gaza
Il 27 maggio, attraverso il suo portavoce, il segretario generale dell'Onu Ban Kimoon ha affermato di aver inviato una lettera ai paesi del Mediterraneo, esprimendo le sue preoccupazioni per le flotte dirette sulla Striscia di Gaza.
Ban Kimoon ha ribadito che il personale ed ogni tipo di materiale d'assistenza deve arrivare a Gaza attraverso i check-point legali e i canali già prefissati, perciò ha ricordato le dichiarazioni delle 4 parti interessate del Medio Oriente di giugno scorso, e del Comitato speciale per i contatti sul problema mediorientale di aprile scorso.
Ban Kimoon ha richiamato i governi interessati ad adottare le dovute misure per bloccare le flotte che potrebbero provocare un'escalation dei conflitti, inoltre Israele e le parti interessate devono essere prudenti e responsabili per evitare ulteriori violenze.
Minacce: Centri sociali contro lo stand di Israele
MILANO - Per il momento la mobilitazione si limita a un appello affinché venga revocata la piazza, ma se dovesse venire confermata la presenza in Duomo di un stand del governo israeliano, i Centri sociali sono pronti a scatenare l'inferno. L'evento del resto era stato annunciato ancora l'anno scorso da Roberto Formigoni e dall'ambasciatore israeliano Gideon Meirro. Un progetto da 2,5 milioni di euro per allestire un padiglione di circa 900 metri quadrati, in Duomo, con l'obiettivo «di dare un'immagine di Israele diversa da quella di uno Stato interessato da una situazione di conflitto». Al primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, il compito di aprire la manifestazione. E ora l'annuncio è diventato realtà: il padiglione ci sarà e rimarrà aperto dal 12 al 23 giugno, mettendo sul piede di guerra l'intera sinistra antagonista. Da Torino è partito l'invito a sottoscrivere un appello da inviare ai Presidenti della Repubblica, della Regione, della Provincia e al sindaco affinché vengano revocati i permessi. Da Milano l'esplicita minaccia dei Centro sociali: «Impediremo la manifestazione con la forza».
L'allarme lanciato dall'architetto Mario Da Re che promuove un'operazione di "azionario diffuso" per acquisire lo stabile
di Claudia Borsoi
VITTORIO VENETO - Uno degli stabili in cui fiorì la comunità ebraica vittoriese nei primi anni del 1700, comunità che mantenne in città la sua sinagoga fino al 1910, versa oggi in uno stato di abbandono.
A denunciare la situazione precaria dell'edificio che dà su via Manin e sede, nel 2007 di un mostra di Carlo Ciussi che riportò a onor di cronaca l'edificio, è l'architetto Mario Da Re. «Gli spazi dell'ex ghetto ebraico sono quasi al collasso - evidenzia -, sono già crollate diverse travi del solaio e stanno cedendo alcune capriate della copertura».
«Nel 2007 - ricorda Da Re - alcune centinaia di cittadini sottoscrissero un appello indirizzato agli enti pubblici e a Fondazione Cassamarca affinchè si trovasse una soluzione per questo importante pezzo di città, un appello che fu sottoscritto anche da artisti, personaggi della cultura e della politica, in primis dal presidente della Provincia Muraro. L'allora sindaco Scottà nell'ultimo consiglio comunale cercò di salvarsi l'anima facendo approvare dalla sua giunta un atto di indirizzo che impegnava moralmente la futura amministrazione ad acquisire l'edificio. Da allora - chiude l'architetto - più nulla».
Mario Da Re non si ferma alla denuncia, ma propone l'avvio di una colletta tra tutti i vittoriesi, cittadini, banche, istituzioni e imprenditori: «Appropriamoci di questi spazi con un'operazione di "azionariato diffuso", ossia una sottoscrizione di volenterosi con tanto di versamento quote sufficienti all'acquisto dell'immobile e, poi per il restauro, una strada la si trova sempre».
La colletta è già avviata: Da Re ha messo a disposizione i primi 20 mila euro.
Libano, missione inutile e pericolosa. Ecco perché ora bisogna andarsene
di Gian Micalessin
Una bomba esplode al passaggio di un veicolo dei nostri militari. Nessuno è in pericolo di di vita. L'agguato non è stato rivendicato ma si teme che sia opera di gruppi di jihadisti. Con l'aiuto dell'Iran Hezbollah si è riarmato. Ora prepara la guerra civile e ha le mani sul governo
Prima era solo inutile e dispendiosa. Adesso è anche dannatamente pericolosa. L'attentato di ieri in Libano è l'estrema e letale involuzione di una missione Onu nata male e proseguita peggio.
Per comprendere i motivi della presenza di 1800 caschi blu italiani nel sud del Libano bisogna riandare al cessate il fuoco che il 15 agosto 2006 mette fine alla sanguinosa guerra tra Israele ed Hezbollah. La risoluzione 1701 che chiude le ostilità è come sempre un miscuglio d'ipocrisia e buoni sentimenti. Già allora tutti sanno che la nuova operazione Unifil garantirà una pace temporanea, ma non impedirà a Israele ed Hezbollah di preparare una nuova guerra. Gli unici a fingere di ignorarlo sono i ministri di un governo Prodi che non esita, all'epoca, a parlare di «missione storica». La gentile ipocrisia è garantita, al tempo, dalla presenza a Beirut di un governo antisiriano. L'esecutivo guidato da Saad Hariri, ha - all'epoca - tutto l'interesse a collaborare con i caschi blu per fermare il riarmo di Hezbollah. Oggi non è più così. Il Partito di Dio, grazie all'appoggio di Teheran e Damasco non solo si è riarmato, ma ha anche usato la ritrovata potenza militare per mettere le mani sull'esecutivo. Lo scorso gennaio Saad Hariri, vincitore delle ultime elezioni, ha dovuto dimettersi e lasciar il posto a Nagib Mikati, un miliardario al soldo del Partito di Dio e dei suoi alleati siriani e iraniani. In questa situazione illudersi che l'esercito libanese collabori con i caschi blu per eseguire il mandato Onu e bloccare le armi di Hezbollah è pura, ridicola utopia.
Ma a render pericolosa oltre che inutile la missione contribuisce il progressivo degrado della sicurezza determinato dall'instabilità in cui è sprofondato il Paese. A tutt'oggi il premier incaricato Mikati non è riuscito a mettere insieme una coalizione in grado di garantirgli il controllo del parlamento e della nazione. E così mentre i sunniti di Hariri ed Hezbollah preparano la guerra civile il Libano scivola nel caos. La situazione della vicina Siria, alle prese con una devastante insurrezione interna, contribuisce al degrado. Dal Libano passano, con la benedizione dei servizi segreti sauditi, le armi dirette verso il confine siriano e destinate ai fondamentalisti sunniti in lotta contro Bashar Assad. Gli estremisti sunniti che in Libano fanno da ponte a questi traffici ne approfittano per riempire i propri arsenali. In questo convulso scenario le formazioni sunnite più vicine all'ideologia salafita e al qaidista si muovono come pesci nell'acqua. L'attentato avvenuto durante un trasferimento dei nostri militari da Beirut ai territori a sud del fiume Litani è stato, non a caso, messo a segno in quella zona di Sidone dove la presenza di due grandi campi profughi palestinesi garantisce un'elevata infiltrazione alqaidista. In questa complessa e ingestibile situazione i nostri 1800 caschi blu si ritrovano ridotti al ruolo di bersagli mobili. Combattere o contrastare l'infiltrazione integralista in Libano non rientra nel mandato Onu e dunque, nonostante l'attenzione della nostra intelligence, i nostri uomini sono nell'impossibilità di difendersi dagli attacchi. Pensare di delegare prevenzione e sicurezza alle forze di sicurezza libanesi è ormai pura utopia. Bisogna dunque chiedersi fino a quando continueremo ad assumerci rischi e responsabilità che vanno ben oltre il mandato affidatoci dall'Onu. Senza contare l'evidente disparità tra l'entità del nostro contingente, forte di 1800 uomini, e quelli degli altri Paesi. La Spagna, oggi al comando delle operazioni, mantiene in Libano poco più di un migliaio di soldati. L'ex potenza coloniale francese contribuisce con poco più di 1300 militari. Per non parlare dei 190 tedeschi, dei 136 danesi e dei 104 belgi. E della totale assenza inglese. A noi intanto quei 1800 uomini, ritrovatisi da ieri in una prima linea pericolosa e insidiosa quanto quella afghana, costano la bellezza di 213 e passa milioni di euro all'anno. A quel costo e a quel rischio meglio trasferirne una parte in Afghanistan dove resta aperta una missione cruciale per la sicurezza internazionale e il futuro di quel paese.
NEW YORK - L'organizzazione B'lev Echad, sponsorizzata dal Centro Israeliano Chabad di New York, in collaborazione con il Chabad Terror Victim Program (CTVP) ha portato per la seconda volta un gruppo di soldati Israeliani per una vacanza negli Stati Uniti.
Il Console generale di Israele, Ido Aharoni, in viaggio a New York, durante una colazione organizzata in onore di un gruppo di soldati feriti, ha fatto alcune considerazioni sulla Nakba, esprimendo che non si tratta di una protesta contro gli insediamenti bensì dell'agonia per l'esistenza di Israele.
Aharoni ha ricordato i soldati che, facendosi scudo del proprio corpo, proteggono Israele e i suoi cittadini, riferendosi ai recenti tentativi arabi di violare i confini di Israele con il Libano, la Siria e Gaza.
Un esempio per tutti è quello di Dudi Saidoff, ufficiale di polizia di frontiera, che nel 2004 pagò con il proprio corpo, quando alcune schegge lo colpirono alla testa, dopo aver intercettato un terrorista arabo che spingeva un passeggino carico di esplosivo. Dudi ha subito tre interventi chirurgici e trascorso diversi anni in terapia intensiva, riacquistando lentamente la capacità di camminare e parlare. In ogni caso, dovrà trascorrere il resto della sua vita sottoponendosi a terapie....
Orna Barbivai nominata comandante Direttorato risorse umane
TEL AVIV, 27 mag - Cade una delle ultime barriere nelle forze armate israeliane (Tsahal): per la prima volta una donna generale, Orna Barbivai, e' stata nominata al vertice di un dipartimento dello stato maggiore. Barbivai non e' la prima israeliana generale, ma e' la prima a entrare in un alto comando. Guiderà il Direttorato delle risorse umane, uno dei ruoli piu' delicati dello stato maggiore, da cui dipende la gestione di tutto il personale militare e la programmazione dei contingenti futuri delle armi.
Il governo israeliano sta per approvare un piano per sostenere l'economia di Gerusalemme. L'ok dovrebbe arrivare domenica prossima, nel corso della tradizionale riunione del gabinetto dei ministri di inizio settimana. Il finanziamento - 290 milioni di NIS in cinque anni, pari a circa 5.8 milioni euro - servirà soprattutto per rafforzare il settore turistico (145.5 milioni), ma anche la ricerca e lo sviluppo (71.4 milioni) nel campo della biotecnologia.
Altri 70.5 milioni serviranno per pagare misure di vario tipo: per esempio, la costruzione di abitazioni per gli studenti e di edifici pubblici, o anche il finanziamento di progetti accademici. Il ministero del Turismo ha annunciato anche un ulteriore finanziamento di 75 milioni di NIS (circa 15 milioni di euro) per incoraggiare la costruzione di hotel a Gerusalemme. La situazione economica della Città santa è tutt'altro che florida. Una parte significativa dei suoi cittadini vive al limite della soglia di povertà; il fenomeno riguarda in particolare gli arabo-israeliani e gli ebrei ultra-ortodossi. Gli haredim - ebrei super religiosi - in larghissima parte non lavorano, trascorrono le giornate studiando i testi sacri presso le scuole rabbiniche e riescono a sopravvivere e a mandare avanti le loro numerose famiglie fondamentalmente grazie agli aiuti dello Stato. Negli scorsi mesi, il governo aveva approvato un aumento del budget previsto per gli assegni agli studenti di yeshivah: manovra che aveva sollevato critiche e polemiche da parte di settori laici della società israeliana.
Sinistra israeliana a Ue: Riconoscere Stato palestinese
ROMA, 27 mag. - Una ventina di esponenti di primo piano della sinistra israeliana hanno sottoscritto un appello rivolto all'Unione Europea affinchè i leader europei riconoscano ufficialmente lo Stato palestinese. Come riportano i media israeliani, l'iniziativa è stata promossa dal gruppo di sinistra Solidarity, e tra i firmatari della lettera aperta all'Ue ci sono personalità come l'ex speaker della Knesset, Avraham Burg, l'ex direttore generale del ministero degli Esteri israeliano, Alon Liel, l'ex ambasciatore in Sudafrica, Ilan Baruch, il premio Nobel per l'economia Daniel Kahneman e il filosofo Avishai Margalit. "La pace è caduta in ostaggio del processo di pace", afferma la lettera, che sarà inviata oggi all'Ue. "Come cittadini israeliani, annunciamo che se e quando il popolo palestinese proclamerà l'indipendenza di uno Stato sovrano che coesista in pace e in sicurezza accanto a Israele, noi sosterremo tale proclamazione e riconosceremo uno Stato palestinese fondato sui confini del 1967, con scambi di territori concordati" a parità di superficie. "Esortiamo i paesi di tutto il mondo a dichiarare la loro volontà di riconoscere uno Stato palestinese sulla base di questi principi", aggiunge la lettera. In un comunicato sul sito web di Solidarity, il gruppo afferma anche che "l'appello dei palestinesi per il riconoscimento di uno Stato palestinese non danneggia gli interessi di Israele e non minaccia il processo di pace". L'Autorità Palestinese ha avviato una campagna diplomatica per ottenere il riconoscimento di uno Stato palestinese indipendente, in occasione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il prossimo settembre.
(TMNews, 27 maggio 2011)
«... l'indipendenza di uno Stato sovrano che coesista in pace e in sicurezza accanto a Israele». Pace e sicurezza: belle parole, senza dubbio. I firmatari hanno indicato da qualche parte quali sono le concrete condizioni di sicurezza che questo Stato sovrano dovrebbe garantire per vivere in pace con Israele?
"Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno" (1 Tessalonicesi 5:3).
Israele, indigente il 30% dei sopravvissuti all'Olocausto
Sopravvissuti all'Olocausto prendono cibo gratis
dalle associazioni di soccorso
L'agonia, per molti di loro, non è finita. Non ancora. Superati i campi di concentramento e tutto quel che ne consegue, da anni devono fare i conti pure con la povertà. Anche se, proprio nello stesso periodo, i fondi a loro dedicati sono cresciuti del 160%.
Succede che in Israele, su 208mila sopravvissuti all'Olocausto, almeno sessantamila - cioè quasi tre su dieci - sono considerati indigenti. Qualcuno di loro, spesso, non ha nemmeno da mangiare. I calcoli li ha fatti la Fondazione per il benessere delle vittime dell'Olocausto. Dove si è scoperto anche che nel 2010 sono morti 13mila sopravvissuti. Tra quattro anni di loro ne rimarranno solo 145mila.
E ancora: il 40% si sente spesso solo e una percentuale simile dice di avere difficoltà ad uscire di casa per andare a fare shopping o, più semplicemente, una passeggiata. Per non parlare di quel 20% che, d'inverno, dichiara di vivere in un appartamento freddo perché non può permettersi di pagare il riscaldamento. O di quel 5% che denuncia di non avere sempre i soldi necessari a comprare il cibo. Le associazioni invocano un maggiore intervento del governo. Ma poi si chiedono anche dove vadano a finire tutti i soldi che ogni anno lo Stato destina proprio ai sopravvissuti.
"La Norvegia deve dire no alla nuova Freedom Flottilla"
Intervista a Hans Olav Syversen di Antonio Scafati
Si chiama "Amici di Israele" (Israels Venner) ed è un gruppo "trasversale" di 28 parlamentari norvegesi che supporta la causa israeliana nel conflitto mediorientale. Abbiamo parlato con il loro leader, Hans Olav Syversen, deputato del Partito Democratico Cristiano, della nuova Freedom Flottilla pronta a salpare e dell'atteggiamento del Paese scandinavo in merito alla questione israelo-palestinese.
- Israels Venner è un gruppo formato da parlamentari del centrodestra che sostiene la causa israeliana nel conflitto mediorientale. Il gruppo è nato nel 1960. Di cosa si occupa concretamente? Attualmente siamo 28 membri provenienti del Partito Conservatore, dal Partito del Progresso, dal Partito dei Cristiano Democratici e dai Socialdemocratici. Siamo un gruppo di sostegno e abbiamo due obiettivi fondamentali: promuovere una informazione equilibrata sulla situazione in Israele e in Medio Oriente e combattere l'antisemitismo. Il gruppo organizza incontri con persone in visita da Israele, ad esempio accademici o politici, per accrescere la nostra conoscenza sulla situazione. Il gruppo in sé non fa dichiarazioni politiche, cosa che fanno singolarmente i partiti a cui apparteniamo....
Il leader di Hezbollah aveva tenuto un discorso in favore di Assad
AMMAN, 27 mag - Si moltiplicano le manifestazioni di protesta in Siria nel venerdì della collera. Intanto nella città di Albu Kamal, alla frontiera irachena, i manifestanti hanno bruciato le foto del leader Hezbollah Hassan Nasrallah, che questa settimana aveva fatto infuriare i manifestanti col suo discorso, tenuto a Beirut, a sostegno di Assad. E' quanto riportano alcuni testimoni.
I deu leader avrebbero mantenuto contatti per mesi
Il quotidiano israeliano Maariv ha reso noto che il presidente israeliano Shimon Peres e il suo omologo palestinese Abu Mazen si sentiti molte volte nei mesi scorsi. Gli incontri sarebbero rimasti segreti fino a oggi.
Secondo il giornale però, Peres sarebbe rimasto sorpreso dall'annuncio fatto da Abu Mazen sull'accordo di riconciliazione fra Hamas e Fatah e da quel momento sarebbe stato in apprensione per il futuro dei colloqui di pace.
Attivo il Roma-Tel Aviv operato dal vettore israeliano Arkia
Tzvi Lotan, direttore dell'ente del turismo di Israele in Italia, analizza il trend verso il Paese e non nasconde che ad aprile c'è stato "un calo del pellegrinaggio italiano, non dei turisti italiani", sottolinea. Il direttore dell'ente ricorda i risultati che sono stati ottenuti nel 2010 dal nostro mercato, 157mila italiani pari ad un +30%. Per quanto riguarda l'anno in corso i mesi di gennaio e febbraio "hanno continuato la linea ascendente, ma a marzo la linea ascendente si è fermata. Il calo che si è avuto ad aprile - spiega Lotan - è stato solo per i fatti che hanno interessato la Libia". I motivi sono legati ad alcuni aspetti che ci caratterizzano. "Gli italiani sono 60 milioni di abitanti e nel 2010 in 157mila sono andati in Israele. Gli israeliani sono 7,2 milioni e in 250mila sono andati in Italia nel 2010, segno che gi israeliani sono viaggiatori". Vero è che non mancano i segnali positivi, che riguardano il periodo da maggio a luglio, mentre da agosto il trend sembra quello del 2010, anno che è stato molto buono. "Per il 2011 era attesa una crescita, mi auguro di arrivare agli stessi numeri del 2010 se la seconda metà dell'anno sarà buona", dichiara il direttore. Il manager si è soffermato su alcune delle ultime novità che sono state messe in atto a partire dalla nascita del Team Israele, in collaborazione con El Al. Novità ci sono anche sul fronte dei collegamenti visto che dal 13 maggio è attivo il collegamento Roma-Tel Aviv operato dal vettore israeliano Arkia due volte a settimana, il venerdì ed il lunedì. L'intento dell'ente è adesso quello di promuovere e far conoscere il vettore nell'ambito del tour operating italiano per poter studiare delle proposte vantaggiose per il nostro mercato. Un'altra novità è la settimana di Israele che si terrà dal 13 al 23 giugno, come anticipato da Lotan, il cui epicentro sarà Piazza del Duomo a Milano.
26 maggio 1433. Da due giorni gli ebrei della città di Fermo sono costretti a portare "un segno di colore giallo" per distinguersi dai cristiani.
Il ghetto di Monterubbiano
La popolazione ebraica, sparsa in tutta Europa sin dai tempi dell'Impero romano, fu oggetto già a partire dal medioevo di ogni sorta di discriminazioni e persecuzioni. La Cristianità, termine nel quale si identificava tutta l'Europea medievale, li accusava dell'assassinio di Gesù, di essere i Cristocidi, per questo mal sopportava la loro presenza all'interno delle proprie strutture.
Ovviamente, i motivi erano anche e soprattutto di carattere sociale ed economico: le comunità ebraiche, infatti, costituivano un gruppo coeso, che viveva in zone specifiche delle città, e, soprattutto, un gruppo molto forte economicamente, impegnato in svariate attività, come la manifattura tessile o la concia della pelle.
Le persecuzioni si inasprirono in tutta Europa a partire dal quindicesimo secolo, in concomitanza con una sempre più spiccata propensione degli ebrei verso le attività bancarie e finanziarie, che li vedeva spesso nel ruolo di usurai. Nel 1492 vennero cacciati dalla Spagna dal re Ferdinando d'Aragona, mentre nel 1555, con la Bolla "Cum nimis absurdum", Papa Paolo IV istituì ufficialmente i ghetti.
La comunità ebraica era molto forte anche nel fermano, in particolar modo nel capoluogo e a Monterubbiano. Qui gli ebrei si stanziarono, sin dal tredicesimo secolo, nella zona attualmente chiamata "Spiaggie", dove ancora oggi è ben visibile il ghetto (inteso come zona abitata prevalentemente dagli israeliti e non come vero e proprio strumento di discriminazione, come saranno invece quelli fatti costruire nel 1555 da Paolo IV).
A Fermo, abbiamo testimonianze della presenza ebraica già alla fine del Trecento. Antonio di Nicolò riporta infatti che nel 1396 "il quartiere degli Ebrei" subì un saccheggio. Il cronista usa la locuzione "totam Judeam", evidenziando la presenza di una comunità ben organizzata e consistente, stanziata per lo più in contrada San Bartolomeo, lungo il corso, in particolar modo nella zona dell'attuale via Fiorentina. Al numero 17 di questa via, infatti, è ancora oggi visibile, sopra il portone d'ingresso, un'insegna lapidea con scritta in ebraico. Inoltre, come si evince da un'ordinanza dei Priori e da un rogito notarile, sappiamo che fino al 1556 nel Palazzo Costantini si trovavano la Sinagoga e l'Ospitale degli ebrei, luogo di accoglienza per gli israeliti in transito.
Fu dunque a partire dal Quattrocento che, come visto, le autorità statali europee iniziarono a discriminare pesantemente le comunità ebraiche, allo scopo di provocarne l'abiura dall'ebraismo e la conversione al cattolicesimo, con tutte le ripercussioni sociali ed economiche che questa conversione comportava. In particolar modo, si adottarono misure per rendere gli ebrei ben distinguibili dal resto della popolazione, costringendoli a portare dei segni distintivi. Ciò avveniva in tutta Europa, e avveniva ovviamente anche a Fermo.
Nel maggio del 1433 infatti, come ci racconta Antonio di Nicolò, giunse in città "un frate eremitano chiamato Simone da Camerino. Predicò più volte nella chiesa di Sant'Agostino e in piazza. Tra le altre cose affermava che i Giudei non si distinguevano dai cristiani. Tanto disse che una grande Cernita ordinò che i Giudei, maschi e femmine, adulti e minori, portassero sulla veste il segno Q. Il 24 maggio cominciarono a portare questo segno di colore giallo". La disposizione venne confermata il 9 giugno successivo dal Pontefice Eugenio IV con una breve.
Alcuni ebrei, tuttavia, riuscirono ad integrarsi nel tessuto sociale dell'epoca, raggiungendo anche incarichi importanti. Ad esempio, era antica abitudine dei Pontefici avere il medico personale e lo stesso archiatra ebreo, essendo questo popolo molto abile nel campo della medicina. Uno dei più famosi tra i medici ebrei fu proprio un fermano, Elia di Sabbato, che chiamato a Roma nel 1405 come medico di curia da Innocenzo VII, divenne poi archiatra di Martino V. Dopo essere stato nel 1410 in Inghilterra presso Enrico IV, fece ritorno a Fermo, dove la città gli conferì addirittura il raro titolo nobiliare di "miles". Venne in seguito riconfermato nella carica di archiatra presso il papa Eugenio IV, per venir successivamente chiamato a Milano dai Visconti e infine dagli Este a Ferrara.
La storia della comunità ebraica a Fermo subì una brusca svolta nel 1569, quando Papa Pio V, con la bolla "Hebraeorum gens", decretò l'espulsione degli ebrei da tutte le città dello Stato Pontificio ad eccezione di Ancona, Roma ed Avignone, le uniche in cui Papa Paolo IV aveva fatto erigere ghetti discriminatori nel 1555. Molti componenti della comunità fermana furono così costretti a trasferirsi nella città dorica, oppure trovarono rifugio nel vicino Ducato dei Montefeltro, dove, finché visse l'ultimo dei Della Rovere, gli ebrei ebbero condizioni di vita senza dubbio migliori. Nel 1580, infine, i pochi ebrei rimasti a Fermo vennero cacciati dall'Arcivescovo Dini. Nonostante ciò, una piccola comunità continuò ad abitare in città per altri trecento anni circa, non più nell'ex ghetto, ma in una zona più vicina a piazza del Popolo.
Sondaggio: cresce il consenso di Netanyahu, è a quota 51%
GERUSALEMME, 26 mag. - La popolarità del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha conosciuto una forte crescita dopo il suo viaggio negli Stati Uniti dove ha rifiutato le proposte del presidente Barack Obama sui negoziati con i palestinesi. Secondo un sondaggio pubblicato questa mattina, il 51% degli israeliani interpellati si è detto soddisfatto dell'operato del premier contro il 36% che ha espresso opinione contraria. Due mesi fa il consenso di Netanyahu era appena al 38%. Il 46% degli israeliani, inoltre, ha confermato la propria "fierezza" dopo avere ascoltato la posizione di Netanyahu in televisione. Questo sondaggio, pubblicato dal quotidiano Haaretz, è stato realizzato dall'istituto Dialog contattando 477 persone rappresentative della popolazione israeliana. Ha un margine di errore del 4,6%.
L'Egitto annuncia la riapertura del valico della Striscia di Gaza
Dal fine-settimana l'Egitto riaprirà il valico di Rafah che collega il suo territorio alla Striscia di Gaza, riducendo in questo modo l'embargo economico e umanitario al quale da quattro anni sono sottoposti un milione e mezzo di palestinesi: lo ha annunciato oggi, con una nota, l'agenzia di stampa statale "Mena".
Agenzia Misna - Secondo il dispaccio, il provvedimento ha carattere "permanente" ed è parte degli sforzi del Consiglio supremo delle Forze armate al potere al Cairo da febbraio di "porre fine alle divisioni palestinesi e ottenere una riconciliazione nazionale".
Rafah resterà aperto tutti i giorni dalle nove di mattina alle nove di sera, con l'eccezione dei venerdì e degli altri giorni festivi. La chiusura del valico, disposta dal governo del presidente egiziano Hosni Mubarak, era da subito apparsa organica all'embargo israeliano tutt'ora in vigore nei confronti di Gaza.
Una revisione della politica del Cairo era stata suggerita giorni fa dal ministro degli Esteri Nabil Elaraby, che aveva definito "disgustosa" la scelta di chiudere Rafah. L'annuncio di "Mena" ha d'altra parte seguito un accordo di "riconciliazione" siglato dai due principali partiti palestinesi, Fatah e Hamas, pronti in teoria a dar vita a Gaza e in Cisgiordania a un governo di unità nazionale.
Secondo il dispaccio dell'agenzia di stampa egiziana, a Rafah potrebbe essere reintrodotto il regime di controlli in vigore prima del 2007: osservatori europei e soldati israeliani, dunque, per impedire l'ingresso nella Striscia di "militanti" e armi illegali.
Il presidente degli Stati Uniti Barack "Obama e (il premier israeliano Benjamin, ndr) Netanyahu hanno dato il colpo letale all'iniziativa araba di pace" del 2002
BEIRUT - Il presidente degli Stati Uniti Barack "Obama e (il premier israeliano Benjamin, ndr) Netanyahu hanno dato il colpo letale all'iniziativa araba di pace" del 2002. Ne è convinto Hasan Nasrallah, il leader di Hezbollah, intervenuto ieri in occasione dell'11esimo anniversario della ''liberazione del sud del Libano dall'occupazione israeliana".
Anche il presidente dell'Autorità palestinese (Anp), Abu Mazen, ha denunciato il discorso di Netanyahu dinanzi al Congresso Usa come un passo indietro dal processo di pace e ha confermato che, se non ci sarà modo di riprendere il negoziato, l'Anp chiederà a settembre all'Onu il riconoscimento dello Stato palestinese entro i confini antecedenti la guerra del 1967.
Obama intanto, parlando a Westminister Hall, il parlamento inglese, si è detto convinto che Israele è giustamente preoccupato per il ruolo di Hamas, dopo il suo accordo di riconciliazione con Fatah. "E' difficile per Israele sedere per negoziare allo stesso tavolo con una parte che nega il suo diritto all'esistenza" e manda missili contro il suo territorio, ha aggiunto Obama, sottolineando che Hamas non ha rinunciato alla violenza. Si è detto certo che si possa arrivare ad una pace con due stati per gli israeliani e palestinesi. "Il mio obiettivo" - ha proseguito il presidente Usa - "è uno stato ebraico di Israele, sicuro e riconosciuto dai vicini, uno stato sovrano di Palestina nel quale i palestinesi possano determinare il loro destino e il loro futuro". Ma ha sottolineato che la pace potrà essere raggiunta solo tramite il negoziato fra le parti.
"E' sbagliato concludere che la crescita di paesi come Cina, India e Brasile significhi la fine della leadership Usa ed europea - ha affermato Obama - anche se altre nazioni assumeranno le responsabilità della leadership globale, la nostra alleanza rimarrà indispensabile". Parlando della primavera araba, ha sottolineato che "Usa e Gran Bretagna sono a fianco di chi cerca la libertà", perché chi scende a manifestare nelle strade di Teheran e Tunisi, chiede quella stessa libertà e quegli stessi diritti universali che vengono sostenuti e difesi dall'Occidente.
Mancano le premesse per la democrazia. In Medio Oriente l'alleanza fra le moschee e l'esercito soffoca l'anelito di libertà.
di Moreno Bernasconi
Magdi Cristiano Allam
- Le rivolte in Medioriente sono davvero un passo verso la democrazia in Paesi abituati a regimi autoritari o rischiano di aprire le porte a nuove forme di tirannia, magari di tipo teocratico?
«Ciò che è accaduto recentemente in Egitto e in Tunisia, per limitarsi a questi due Paesi, è stato definito frettolosamente da parecchi osservatori infervorati come una rivolta democratica o per la democrazia. Purtroppo, se andiamo ad esaminare nel concreto ciò che è accaduto e sta accadendo in Medio Oriente, dobbiamo prendere atto che si è trattato in realtà di un movimento che ha coinvolto solo una parte della popolazione e che a trarne beneficio sono stati soprattutto gli integralisti islamici che oggi in Tunisia e in Egitto - da una situazione in cui erano ai margini del potere o addirittura fuori legge - si trovano ad essere i garanti della stabilità del potere. L'attuale contesto gli ha infatti permesso di raggiungere un accordo che sostanzialmente lascia loro il campo libero sul fronte interno, in cambio di un sostegno a regimi militari o di sicurezza di tipo poliziesco che possono operare come vogliono nel campo della politica estera e della difesa. Quindi non si è trattato di una rivolta per la libertà e la democrazia - anche se questo anelito era ed è presente in taluni -. Con un eccesso di ottimismo, abbiamo equivocato quella che è invece un'istanza profonda per il lavoro, per l'occupazione e tutto sommato per avere almeno la garanzia del pane in una realtà di povertà estrema. In questi Paesi non ci potrà essere democrazia sostanziale fintanto che non nascerà ed avrà spazio di consolidarsi un vero ceto medio».
- Porte aperte quindi a movimenti islamici radicali come i Fratelli musulmani?
«Esattamente. Oggi il radicalismo islamico è molto più presente in Egitto e Tunisia di quanto non fosse prima di quelle che noi abbiamo definito rivolte popolari per la democrazia. Lo dimostra bene la recrudescenza della repressione verso i cristiani in Paesi come l'Egitto, dove prima copti e musulmani convivevano senza violenza. I militari hanno tacitamente acconsentito agli estremisti islamici di avere mano libera nei confronti delle altre religioni e in particolare al piano di sottomissione all'Islam di tutti coloro che risiedono su terre che loro considerano musulmane. Bisogna aprire gli occhi su questa realtà, che sta passando da una discriminazione ufficiale - già presente anche ai tempi di Mubarak e di Ben Alì - ad una crescita preoccupante di atti di violenza o di massacri veri e propri, l'ultimo dei quali si è consumato al Cairo lo scorso sette maggio con attacchi e incendi di chiese che hanno fatto quindici morti e oltre duecentocinquanta feriti. Questi fatti dimostrano che ci siamo sbagliati assimilando in modo automatico un assembramento di un milione di persone in piazza ad un moto per la democrazia e la libertà o quando riteniamo riduttivamente che la democrazia e la libertà si esauriscano nel rito delle elezioni. La storia di molti regimi autoritari ci insegna che purtroppo non è così».
- Esiste il rischio che in Medioriente si allarghi oggi l'influenza del khomeinismo o dell'Iran fondamentalista?
«Che il radicalismo islamico che si fa strada in questi Paesi possa allearsi con quello iraniano di stampo sciita è una prospettiva seria, già presente ad esempio nei territori palestinesi con l'intesa forte esistente fra Hamas e il regime iraniano e che si salda con quella tradizionale con Hezbollah in Libano. Il fatto che il regime iraniano rappresenti oggi la principale minaccia alla sicurezza dello Stato israeliano (che l'Iran pubblicamente e in modo reiterato ha dichiarato di voler annientare fisicamente) e che nel contempo esso persegua l'obiettivo di dotarsi dell'arma atomica, ebbene tutto ciò non può non preoccuparci e comprensibilmente preoccupa in primis lo Stato di Israele».
- La situazione per Israele è quindi peggiorata rispetto ai tempi di una pace fredda con alcuni dei suoi vicini?
Piazza Tahrir, al Cairo, simbolo delle rivolte
arabe.
Sono state un trionfo della democrazia?
«Guardiamo cosa sta succedendo. Non è un caso che i militari al potere in Egitto abbiano manifestato l'intenzione di rivedere gli accordi di pace con Israele. E anche in Siria, sull'altro fronte, la situazione è
caratterizzata da una crescente instabilità. Alcuni giorni fa nella ricorrenza di quella che i Palestinesi
chiamano la Nakba, il giorno di lutto in cui essi commemorano la nascita dello Stato di Israele, ci sono stati violenti scontri fra Israele e i suoi vicini culminati in quattordici morti e decine di feriti. Certo, se i movimenti in corso fossero in grado di sfociare in una democrazia sostanziale, Israele non potrebbe che rallegrarsi. Ma purtroppo non sta capitando questo. Il potere si annida ancora o nelle caserme o nelle moschee, e chi non ha nulla e si batte nelle piazze per un futuro migliore per ora non ha una vera capacità di incidere. Israele resta quindi, purtroppo, il nemico numero uno da eliminare per l'Islam radicale e chi lo asseconda in Medioriente».
- Altrove, penso ad esempio alla Polonia ai tempi di Solidarnosc, movimenti di resistenza alla dittatura sono riusciti a rovesciarla grazie alla presenza di una forte società civile. Oggi in Medioriente, malgrado twitter e facebook, questo tipo di società civile manca?
«Comunicare non basta. Le cose cambieranno veramente solo al momento in cui si creerà un tessuto, una rete vera di piccole imprese che aggreghino anche economicamente un ceto medio e gli diano la possibilità di diventare una dinamica società civile. Manca dal punto di vista economico-sociale un anello di raccordo fra i pochi che hanno tantissimo e i più che hanno poco o nulla. È di questo bilanciamento che c'è bisogno per creare le premesse di un cambiamento vero. In assenza di queste condizioni non può esserci ciò che noi chiamiamo la società civile, una democrazia e una pace duratura».
- Alla creazione di queste condizioni socio-economiche migliori potrebbe contribuire la comunità internazionale.
«Sono d'accordo che la comunità internazionale potrebbe farlo. È proprio questo che l'Europa e gli Stati Uniti dovrebbero fare».
- Ma lo stanno facendo? «Non lo stanno facendo, purtroppo. La guerra in Libia, propiziata dalla Francia per interessi evidenti, evidenzia la realtà di un'Europa che è essenzialmente interessata alla salvaguardia dei propri interessi materiali. Diamo pessimo esempio di democrazia e di libertà. Ciò che occorre fare è invece favorire la promozione di un processo di sviluppo dove soprattutto i giovani (che in quelle popolazioni rappresentano fino al 70%) possano trasformarsi da disoccupati in protagonisti dello sviluppo del proprio popolo».
- Quindi bisogna investire nello sviluppo e non nelle armi.
«Bisogna investire nella formazione anzitutto, affinché quei giovani che oggi vanno in piazza o quelli che pagano mille euro a testa nella speranza di una vita migliore altrove (e che talvolta finiscono tragicamente annegati nei fondali del Mediterraneo), possano costruire il loro Paese. Bisogna aiutare quei giovani ad essere pienamente se stessi a casa loro, a realizzare un futuro più dignitoso anche economicamente a casa propria. Se si creano queste condizioni, questi giovani si attiveranno nella salvaguardia dei propri legittimi interessi. E a questo punto non saranno più facilmente allettati dalle sirene del radicalismo islamico che predica l'odio verso Israele e l'Occidente».
- La decapitazione di Al Qaeda, in assenza di condizioni migliori nei Paesi arabi, non basterà quindi a neutralizzare il terrorismo.
«La morte di Bin Laden non pone fine alla minaccia del terrorismo islamico jihadista, ovvero coloro che perseguono attraverso la guerra santa islamica l'obiettivo di islamizzare le società arabe e ovunque nel mondo. Bin Laden non era il comandante in capo di un esercito. Era il riferimento ideologico e spirituale per una miriade di cellule disperse nel mondo, frutto della sua capacità di globalizzare il terrorismo. Ma queste cellule sono sostanzialmente autonome sul piano del reperimento dei fondi e del reclutamento di militanti e dei messaggi. Non dobbiamo cullarci nell'illusione che morto Bin Laden quel tipo di terrorismo finirà. Dobbiamo essere consapevoli di quanto sia pericoloso il terrorismo islamico di chi dopo aver subito il lavaggio del cervello finisce per sottomettersi all'ideologia islamica ritenendo che questa posizione possa essere preferibile alla morte fisica».
- Il presidente USA, che proprio in questi giorni è in Europa, ha lanciato una proposta volta a creare le condizioni per rilanciare il processo di pace in Medioriente, segnatamente quello fra Palestinesi e Israeliani. Cosa pensa della proposta di ricominciare le discussioni fra le due parti ponendo come punto di avvio le frontiere del 1967?
«Io considero Obama un rischio per la pace in Medioriente. Perché è intriso di relativismo ed ha una concezione dell'Islam di tipo ideologico. Non si rapporta con la realtà. Parla dell'Islam senza entrare nel merito dei contenuti. In questo contesto, chiedere oggi una pace sulla base del ritiro di Israele alle frontiere del 1967 significa non avere i piedi per terra. Significa non comprendere la realtà di Israele, che è l'unico Stato al mondo di cui la quasi totalità dei Paesi islamici disconosce il diritto di esistere, molti dei quali pubblicamente ne invocano addirittura l'eliminazione fisica. Se non si comprende questo e non si parte da tale realtà, significa che si opera in un contesto ideologico.
Probabilmente Obama ha lanciato questa bomba mediatica per far passare in secondo piano le numerose reazioni negative che nel mondo islamico si sono scatenate dopo l'uccisione di Bin Laden. Sicuramente non è una proposta che aiuterà la pace in Medio Oriente.
A trarre beneficio dai sommovimenti sono i gruppi degli integralisti islamici L'alleanza tra il radicalismo sunnita e quello sciita iraniano è una prospettiva seria. Io considero il presidente Barack Obama un rischio per la pace in Medio Oriente».
Le critiche pioveranno,di nuovo i confini del '67 non sono in vendita, di nuovo Gerusalemme è indivisibile e i profughi del '48 compresi i pronipoti dovranno trovare rifugio a casa loro, e non in Israele... ma Benjamin Netanyahu ha scelto così, un discorso agrodolce con aperture sottili e molti sguardi diretti: se ci volete vivi è così. Se ci volete morti, ci difenderemo. Ci sarà tempesta, molti amano odiare Netanyahu, ma nessuno può togliere a Bibi la formidabile accoglienza che il Congresso americano a Camere riunite, destra e sinistra, ha dedicato ieri al Primo Ministro israeliano. È andato in scena il coraggio della fede nella democrazia, dei valori comuni. Ventisette volte Netanyahu ha ricevuto ovazioni entusiastiche, piacesse o meno a Obama. Due Paesi si sono mostrati per mano sicuri che il rifiuto del cinismo non sarebbe stato scambiato per retorica.
Israele, ha riconosciuto Bibi, non ha un amico migliore degli Usa, né gli Usa di Israele. Il gigante e il bambino (grande poco più di Rhode Island, ha scherzato Netanyahu) hanno bisogno l'uno dell'altro: «Noi siamo insieme nel difendere la democrazia, nel combattere il terrorismo, nel promuovere la libertà noi siamo il pilastro della stabilità nel Medio Oriente perché da noi non c'è da avviare un "nation building", noi l'abbiamo già costruita; né da esportare la democrazia, noi l'abbiamo già; né da spedire le truppe americane, noi ci difendiamo da soli!». Bibi ha lodato Obama per l'eliminazione di Bin Laden, ha ricordato che Hamas ha condannato la sua uccisione e ha invitato Abu Mazen ad abbandonare la compagnia dei terroristi e a sedersi con lui per parlare di pace: «Allora - gli ha promesso - saremo i primi ad aprirvi il riconoscimento all'Onu». Netanyahu si è rivolto parecchie volte ad Abu Mazen come a un amico che deve finalmente abbandonare l'illusione che ha distrutto tutti i tentativi di pace, quella che Israele sarà cancellato. «Sono andato davanti al mio popolo è ho detto che sono d'accordo per uno Stato Palestinese; Abu Mazen fronteggi il suo popolo e dire che accetta uno Stato degli Ebrei. Abu Mazen fai la pace con lo Stato degli Ebrei!».
Bibi ha detto che Israele sarà generosa quanto a dimensioni della Palestina, ha annunciato che alcuni insediamenti resteranno fuori dai confini israeliani. Ma se lo spazio sarà vasto, ha detto, tuttavia saremo cauti a non mettere in pericolo il nostro minuscolo spazio. La Valle del Giordano dovrà avere un presidio militare, lo Stato palestinese sarà disarmato, Hamas non può essere un partner per i colloqui, Gerusalemme non deve essere divisa (anche se Bibi l'ha detto in modo da lasciare prevedere eccezioni e invenzioni territoriali) perché l'unica libertà di fede in tutta la città che abbia mai conosciuta le è stata donata dallo Stato d'Israele. Infine, la questione dei profughi ha di nuovo incontrato un parere molto chiaro, tornino pure i pronipoti dei profughi del 1948, ma in Palestina, non in Israele per essere l'arma demografica finale. In più Netanyahu ha usato sulla questione Iraniana dei toni definitivi: sei stato bravo nelle sanzioni, gli ha detto, adesso, se non decidi di sistemare una volta per sempre la questione atomica, sappi che ci penseremo noi.
Scritte al Ghetto di Roma contro Moni Ovaia e Giorgio Gomel
Moni Ovaia e Giorgio Gomel sono stati attaccati da altri ebrei per le loro posizioni su Israele. Gad Lerner esprime rammarico per il silenzio delle Comunità ebraiche. Ma poi interviene Renzo Gattegna, presidente dell'Ucei.
ROMA - Un grosso striscione contro l'artista Moni Ovadia e l'economista Giorgio Gomel è comparso nei giorni scorsi al Portico d'Ottavia al Ghetto. "Ogni ebreo è nostro fratello.... Moni Ovadia e Giorgio Gomel no" recita il manifesto scritto in blu e bianco. Nessun intervento da parte dei vertici della Comunità. Unico a protestare, sul suo blog, è stato ieri Gad Lermer:
Solidarietà a Moni Ovadia e Giorgio Gomel Sul muro esterno della scuola ebraica di Roma ignoti (ma non troppo) energumeni hanno incollato un attacco volgare e intimidatorio contro due autorevoli esponenti dell'ebraismo italiano: "Ogni ebreo è nostro fratello, Moni Ovadia e Giorgio Gomel no". Se l'avessero fatto persone estranee alla Comunità, si griderebbe compatti all'antisemitismo. Invece l'attacco minatorio è stato perpetrato per mano di altri ebrei, in dissenso con le posizioni di sinistra espresse da Moni Ovadia e Giorgio Gomel. Tanto basta perchè l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane taccia ipocritamente, manifestando viltà d'animo e falsa equidistanza. Me ne rammarico, e spero ci sia ancora tempo per rimediare. L'ebraismo italiano è sempre stato plurale, questa è la sua vera ricchezza. Chiunque non sia obnubilato dal fanatismo riconosce l'apporto culturale d'eccellenza recato dall'opera di Moni Ovadia a tutti noi. Dovrebbero essergliene grati anche coloro che non condividono le sue idee sulla politica israeliana o italiana. Una Comunità che tollera un simile trattamento delle sue minoranze interne, senza denunciarlo, non solo contravviene ai precetti fondamentali dell'ebraismo, ma manifesta un degrado di costumi preoccupante. Da parte mia, tutta la solidarietà e la condivisione a Moni Ovadia e Giorgio Gomel.
Poco dopo Lerner pubblica sul suo blog la condanna dell'avvocato Renzo Gattegna, presidente dell'Ucei:
L'Ucei: "Scritte inaccettabili e diseducative" Sono lieto di riportare questa dichiarazione di Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sulle ingiurie di cui sono stati oggetto Moni Ovadia e Giorgio Gomel. Sebbene tardiva, condanna l'attacco subito da due autorevoli esponenti dell'ebraismo italiano (che avrebbe pure potuto fare lo sforzo di nominare).
L'emotività è forte, comprensibilmente forte, perché viviamo in un'epoca nella quale avvengono ancora fatti che, come la strage di Itamar, generano orrore per la loro natura e per l'efferatezza di cui rimangono vittime adulti e bambini. Ma è necessario uscire dall'equivoco. Non è sulla condanna di quel tragico evento che è emerso il dissenso e commetterebbe un grave errore e si assumerebbe una pesante responsabilità chi volesse creare confusione tra la tragedia che ha colpito la famiglia Fogel e il dibattito, anche aspro, che è attualmente in corso in Israele, nelle comunità ebraiche e in vari consessi internazionali sulla sicurezza e sui confini futuri dello Stato di Israele. Su questo argomento il confronto è aperto e non saranno singoli episodi, per quanto gravi, che potranno impedirne lo svolgimento nella maniera più aperta e democratica.
Sarebbe inaccettabile se non si potesse discutere in piena libertà di uno dei problemi più importanti per la sicurezza di Israele. Questo infatti è l'argomento principale. Non se ci si deve impegnare per la sicurezza di Israele, ma quale sia il modo migliore per garantirla.
Sfido chiunque a dire di poter esprimere certezze e verità assolute mentre tra gli stessi israeliani esiste una grande varietà di opinioni.
Ma prima di parlare dei contenuti richiamo l'attenzione su quanto importante sia imporre a noi stessi il rispetto di alcune basilari regole di metodo, la cui inosservanza ci espone al rischio di far regredire qualsiasi dibattito a rissa verbale, turpiloquio, o peggio.
L'uso di frasi provocatorie, di termini ingiuriosi o diffamatori, di minacce non è segno di maturità e di forza, al contrario è il sintomo che esistono ancora gravi problemi di corretta comunicazione e che, anche su temi di vitale importanza, a volte non siamo in grado di contribuire alla ricerca delle soluzioni migliori, che possono scaturire solo da civili e vivaci confronti di idee.
Sento il bisogno di esprimere la mia solidarietà al preside della scuola ebraica di Roma, rav Benedetto Carucci Viterbi, responsabile di una istituto che deve restare il punto di aggregazione, di cultura e di confronto nella Roma ebraica e di una scuola i cui muri sono stati offesi e imbrattati da scritte inaccettabili e diseducative.
Sul rispetto delle regole democratiche e sulla difesa del diritto di tutti a esprimere civilmente le proprie idee l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si è sempre impegnata a fondo e continuerà a farlo non in maniera teorica o astratta, ma con interventi forti e puntuali nella millenaria tradizione di libertà d'opinione che ci è stata tramandata come valore irrinunciabile.
Renzo Gattegna
(Notizie su Israele, 25 maggio 2011)
*
Una lettura distorta delle proteste romane
di Riccardo Pacifici, presidente Comunità ebraica di Roma
L'intervento del nostro presidente Gattegna rischia, per chi non conosce da vicino la cronologia dei fatti, di avere una distorta lettura delle proteste romane. Nella quale ci sono due "vittime", Giorgio Gomel e Moni Ovadia da una parte e dall'altra quelli della cosiddetta "Piazza" quali "incivili e prevaricatori". Gattegna lancia su questo Portale una dichiarazione che lascia intendere agli ebrei italiani e a coloro che leggono il nostro Portale dell'ebraismo italiano che nella Comunità che ho l'orgoglio di guidare non ci sia spazio al dissenso e alla pluralità delle opinioni. Cosa non vera. Anche perché Gattegna, pur non condividendo l'espressioni forti e lo strappo di Gomel, si dimentica di chiarirlo nel suo comunicato. Così facendo coloro che non conoscono i fatti avranno la sensazione e forse la certezza che Gattegna si sia schierato con Gomel e Ovadia contro la Comunità Ebraica di Roma. Ma i fatti fortunatamente sono altri.
Gomel, come spesso avviene, trova spazio senza alcuna "censura" nel mensile "Shalom" e nella foga di dissentire con il sottoscritto per avere guidato una delegazione di solidarietà e vicinanza agli abitanti degli insediamenti di Itamar, vittime di una strage aberrante (vennero sgozzati nel sonno una famiglia di cinque persone di cui tre bambini a cominciare da quello di tre mesi), non si limita ad esprimere un legittimo dissenso sull'opportunità di vivere nella Giudea e Samaria, ma si avventura nello scrivere che gli abitanti di Itamar "non sono nostri fratelli". Ma non si ferma qua, condanna il diritto/dovere della polizia israeliana di ricercare a Nablus gli assassini violando sostanzialmente la loro autonomia e dignità (peccato per Gomel che grazie a quella indagine due giorni dopo gli assassini sono stati catturati con il confronto del dna, due fratelli di 17 e 19 anni rei confessi).
Il direttore Khan si ritrova a pubblicazione avvenuta con una valanga di email di protesta ed il sottoscritto a Yom Hazmaut viene insultato dalla "Piazza" per avere "permesso" la pubblicazione di quello strappo (il presidente della Cer non controlla Shalom). Scatta l'indignazione che difficilmente riesco a placare. Il 18 maggio, mentre io e il Segretario della Cer ci troviamo in Israele, compare una scritta volgare con vernice nera sui muri della scuola ebraica. Il 19 maggio notte dei ragazzi della nostra Comunità con gesto di civiltà la vanno prima a coprire con dei cartoni bianchi e il sottoscritto la fa poi definitivamente cancellare il giorno dopo. Tutto sembrava risolto, finché la domenica mattina del 22 maggio in un altro striscione, a questo punto organizzato e sempre sui muri della scuola scrivono "tutti gli ebrei sono nostri fratelli: Gomel e Ovadia No". Una "pasquinata" romana che non mostra alcun insulto né volgarità se non l'ironizzare sulle maldestre parole di Gomel su Shalom ma che ancora una volta usa i muri della scuola (cosa sbagliata) per sfogare la propria rabbia e dissenso. Striscione che lunedì mattina del 23 maggio alle ore 8,10 personalmente rimuovo e alle 9 faccio cancellare tutte le nuove scritte.
La protesta insomma non è sul legittimo, anche se non condivisibile politicamente da parte mia, diritto di dissentire sugli Insediamenti (anche se Gomel e non solo lui continua in forma malvagia a chiamarle Colonie) ma sul fatto che abbia scritto che "Non sono nostri fratelli". Gomel, persona intelligente e non sprovveduta, sapeva di colpire nel segno e sapeva, ad arte, di creare una profonda lacerazione, difficilmente risanabile. E' riuscito con abilità e godendo delle simpatie degli pseudo intellettuali ebrei italiani, a trasformare il suo strappo e patto di fratellanza ebraica in una "aggressione" alla sua libertà di opinione. Mi dispiace, ma pur condannando l'uso dei muri della scuola, cosi come di ogni spazio della nostra città per esprimere dissenso, rivendico il diritto di dissentire da Gomel come da Moni Ovadia, reo spesso di illustrare all'opinione pubblica italiana una realtà distorta di cosa sia Israele, sconfinando in alcuni casi al suo diritto di esistere.
Mentre noi litighiamo, perdiamo di vista con gravi rischi per la nostra stessa esistenza, di comprendere quale sia il momento storico che attraversiamo in Europa, da ebrei e da europei e del fatto che Israele è accerchiata da regimi fanatici, che nonostante le "primavere arabe", dal Libano di Hezbollah, alla Siria non più di Assad ma di Ahmadinejad e all'Egitto del "nuovo corso, dove la nuova dirigenza ed i loro Imam proclamano di voler "marciare su Gerusalemme e Tel Aviv". La domenica della Naqbà lo hanno fatto da tre confini provocando la morte di 17 persone. Siamo in una guerra nella quale non ci saranno vincitori e perdenti ma dove potremmo rischiare di essere estinti come popolo. Nonostante questo dobbiamo difenderci dalle posizione buoniste, sempre dentro le nostre Comunità, che con l'entusiasmo di difendere il diritto agli islamici di aprire propri luoghi di culto, ci si dimentica molto spesso di ricordare che abbiamo la necessità di far chiudere quelle Moschee che sono ad oggi, non solo e nella stragrande maggioranza, controllate da organizzazioni affiliate ai "Fratelli Musulmani" e ad Hamas, ma che sono spesso covo del terrorismo Fondamentalista in cui Imam predicano l'odio contro i "crociati, gli ebrei ed i sionisti". Ieri, mentre il nostro Rabbino capo era a parlare alla grande Moschea di Roma, una genuina protesta di musulmani democratici chiedevano a gran voce ai dirigenti di rendere trasparente la gestione di quel luogo, oggi nelle mani di amministratori nominati dalle ambasciate di Paesi Arabi e Musulmani, le cui nazioni in alcuni casi fra loro negano il diritto della libertà religiosa e l'apertura di Chiese.
Gomel, Ovadia, Lerner, con le loro espressioni mettono in serio imbarazzo non solo gli ebrei "cattivi" come il sottoscritto ma anche quelli "buoni" che da sempre hanno assunto posizione a sinistra molto moderate. Aggiungo infine che l'aberrante comparazione di una radice comune nei sentimenti di antisemitismo ed islamofobia, sostenuta a gran voce da nostri giovani emergenti rischia di confondere l'opinione pubblica. Costruendo difatti una pericolosissima associazione di idee.
Ma torniamo a noi. Non sono i "coloni" di Itamar ad esser un ostacolo per la pace in Medio Oriente ma coloro che sia dentro il partito di Abu Mazen che dentro Hamas negano ad Israele il diritto di esistere. Sono personalmente orgoglioso della standing ovation che ha raccolto il primo ministro Biby Nethanyhau al Congresso americano. Un discorso, il suo, molto coraggioso dove ha sottolineato che la real politik non potrà consentire di ritornare ai confini del 67 (cosa detta anche da Obama), ma che certamente si dovranno fare scelte dolorose e molti insediamenti potrebbero rimanere sotto il controllo del futuro Stato di Palestina. Abu Mazen non ha fatto attendere la sua risposta: nessun israeliano potrà vivere nel nostro futuro Stato!
A questo punto rivolgo a voi tutti una domanda: perché un arabo può vivere con pieni diritti a Yafo, a Haifa, a Yerushalaim, Nazareth, ecc,ecc e un israeliano non può vivere in Palestina? Le risposte ce le daremo serenamente in un convegno al quale sarà invitato Gomel, e dove Gattegna, l'ambasciatore d'Israele e un abitante di Itamar hanno dato loro disponibilità a confrontarsi. L'appuntamento è a giugno nel cortile delle Scuole ebraiche. Questo è l'unico metodo di confronto civile e speriamo che Gomel troverà l'umiltà di chieder scusa se, involontariamente come voglio pensare, ha offeso la nostra sensibilità.
(Notiziario Ucei, 25 maggio 2011)
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Spostiamo l'ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme
Una proposta per Frattini
di Costantino Pistilli
Una proposta alla Farnesina: l'ambasciata italiana in Israele si può spostare da Tel Aviv a Gerusalemme? Se a settembre alcune nazioni riconosceranno unilateralmente la Palestina, ridisegnata sui confini del sessantasette, con questa mossa si affermerebbe il carattere ebraico della capitale d'Israele almeno da parte dello stato italiano. Insomma, l'Italia in questi anni e con questo governo si è sempre mostrata alleato fedele dello stato ebraico. Tutto il governo. Infatti, dalla rottura tra il Cav. e i Finicotteri- pennuti migratori da rutilanti cravatte rosa- le uniche volte che abbiamo rivisto insieme i duellanti è stato presso l'ambasciata israeliana a Roma e in tutti e due i casi per festeggiare l'anniversario della nascita dello stato d'Israele, nel 2010 e nel 2011.
Il sostegno a Israele beneficia quindi dell'intesa di tutta la maggioranza e non solo per condividere la classica pizza pasta e mandulino. Riconoscere Gerusalemme come capitale dello stato ebraico con un'ambasciata sarebbe un atto decoroso per chi si definisce friend of Israel. La "generazione di Ebrei che si proclamava come l'ultima a subire l'oppressione e la prima a conoscere la redenzione", ricordava Menachem Begin, leggeva sul Muro del pianto, il Kotel, la testimonianza viva del loro glorioso passato, la carta dei loro diritti scolpita nella pietra, la storia della Tradizione e della Memoria dello stato di David. Gerusalemme è quindi cuore e madre d'Israele. Come si può frazionare?
Nel 1995 anche gli Stati Uniti provarono a cristallizzare e storicizzare questo concetto. Durante la presidenza Clinton si stilò una proposta di legge, nominata The Jerusalem Embassy Relocation Act (JERA), per riconoscere Gerusalemme come capitale dello stato ebraico e per allocare nella parte ovest della città l'ambasciata americana. Il Relocation Act, però, non è mai stato implementato, né da Clinton né dai sui successori. Il motivo è stato sempre lo stesso: rinuncia a causa d'interessi di sicurezza nazionale; infatti, il giorno dell'ufficializzazione dello JERA il boss di Hezbollah, Hassan Nasrallah, minacciò di "trasformare la futura ambasciata americana in macerie" e "di restituire nelle bare i corpi dei diplomatici presenti". Eppure, lo scorso marzo un nuovo progetto di legge, chiamato The Jerusalem Embassy and Recognition Act of 2011, è stato di nuovo presentato al Congresso degli Stati Uniti.
Se Roma, dunque, decidesse d'intraprendere la battaglia diplomatica per spostare la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme troverebbe sicuri alleati sia dentro che fuori dall'Italia. Sarebbe "un altro regalo dello stato italiano" e un'azione, ispirata dal principio di burden sharing, talmente coraggiosa da dimostrare che ancora una volta, per Israele, l'Italia s'è dest(r)a.
Tel Aviv, il carrello è guasto: atterraggio d'emergenza per il Boeing
TEL AVIV - I 270 passeggeri che erano a bordo di un Boeing 777 della El Al hanno avuto tanta paura ma non hanno subito nessun danno. L'aereo su cui erano diretti a New York ha dovuto effettuare un atterraggio d'emergenza pochi minuti dopo il decollo a causa di un guasto al carrello.
Dopo aver svuotato il serbatoio in mare, l'aereo è atterrato nell'aeroporto di Tel Aviv da cui era partito, senza alcuna conseguenza per i passeggeri.
Dopo Cannes L'Iran difende le parole naziste di von Trier
L'Iran ha preso le difese di Lars von Trier, espulso dal Festival di Cannes per le sue dichiarazioni su Israele e Hitler, affermando che questa decisione lascerà, secondo il viceministro della cultura iraniana, «una macchia nella storia del Festival». L'Iran non riconosce il diritto all'esistenza di Israele e il presidente Ahmadinejad ha più volte definito l'Olocausto «un mito».
Netanyahu: "Gerusalemme non più divisa ma capitale unita d'Israele"
"Gerusalemme non deve essere piu' divisa e deve rimanere la capitale unita d'israele". E' quanto ha detto oggi fra gli applausi il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, parlando davanti al Congresso Usa, ricordando come Israele abbia protetto la liberta' di tutte le fedi nella citta' santa.
"Abbas stracci il patto con Hamas, sieda con noi e negozi la pace". E' questo il messaggio che il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha rivolto oggi al leader palestinese Mahmoud Abbas, durante il suo discorso al Congresso americano. "La pace non puo' essere imposta, deve essere negoziata e deve essere negoziata con un partner impegnato per la pace", non Hamas che vuole "la distruzione di Israele", ha detto ancora Netanyahu, parlando di Hamas come "la versione palestinese di al Qaeda". Se faremo la pace, ha poi promesso, "Israele sara' il primo paese ad accogliere lo Stato palestinese all'Onu".
GAZA - Hamas, la fazione islamico-radicale palestinese al potere nella Striscia di Gaza, ''sta valutando'' il trasferimento del suo quartier generale dalla Siria a un altro Paese del Medio Oriente. Lo ha confermato oggi, per la prima volta in termini cosi' espliciti, uno dei suoi leader piu' rappresentativi, Mahmud a-Zahar, in dichiarazioni rilasciate da Gaza a media locali. Zahar ha negato che il possibile trasloco sia legato alla situazione d'instabilita' del regime siriano, messo sotto pressione dalla protesta popolare. Ma non ha fornito altre giustificazioni plausibili. Un portavoce del governo di fatto di Gaza, interpellato direttamente dall'ANSA, se e' intanto rifiutato di fare commenti, evitando di confermare, ma anche di smentire quanto attribuito a Zahar. L'ipotesi di uno spostamento del quartier generale di Hamas da Damasco verso l'Egitto o il Qatar - inizialmente minimizzata a Gaza - era stata avanzata gia' nei giorni scorsi da alcune tv arabe, secondo le quali le stesse autorita' siriane - principale fonte di sostegno della fazione integralista palestinese negli ultimi anni, al fianco dell'Iran - sarebbero sempre meno entusiaste di ospitarlo. Tanto piu' che alle manifestazioni di piazza di queste ultime settimane, represse in piu' occasioni nel sangue dal regime, non e' mancato il contributo di settori della folta comunita' palestinese residente in Siria. A Damasco ha trovato asilo da anni l'intero vertice del politburo di Hamas: a cominciare dall'attuale numero uno del movimento, Khaled Meshaal.
TEL AVIV - Levata di scudi da parte degli scrittori israeliani in seguito alla decisione di un consiglio provinciale in Scozia, il West Dunbartonshire (100 mila abitanti), di precludere testi stampati in Israele dalle biblioteche pubbliche, nel contesto di una serie di iniziative a sostegno della causa palestinese. La notizia, apparsa nei giorni scorsi sulla stampa britannica, e' riferita oggi con grande evidenza dal diffuso quotidiano Yediot Ahronot in articolo titolato 'Una Storia di tenebre' (allusione ad un romanzo di Amos Oz). Un portavoce del West Dunbartonshire ha detto al giornale che le autorita' locali ''non boicotteranno libri israeliani stampati in Gran Bretagna, ma solo quelli stampati in Israele'' nel contesto di un piu' vasto boicottaggio di tutti i prodotti israeliani approvato in diverse zone della Scozia.
Si chiama "X-Hawk", è stata progettata e costruita in Israele: avrà la manovrabilità di un elicottero senza l'ingombro delle eliche. In commercio, assicurano i costruttori, dal 2012.
Il premier Netanyahu esclude categoricamente la possibilità suggerita da Obama
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito ieri che Israele non accetterà mai di tornare ai confini del 1967, come era stato suggerito la settimana scorsa da Obama durante il suo discorso al mondo arabo.
«Questo conflitto dura da secoli perché i palestinesi non vogliono che finisca», ha detto Netanyahu durante un incontro a Washington con la American Israel Public Afffairs Committee, la più importante lobby ebraica negli Stati Uniti. «I palestinesi si rifiutano di riconoscere lo stato di Israele. Tutto ha sempre avuto a che fare solo con questo. La pace con la Palestina deve lasciare Israele in una posizione di sicurezza, per questo Israele non può ritornare agli indifendibili confini del 1967».
I territori del '67 sono sempre stati al centro di tutte le trattative e gli scontri tra Israele e Palestina. Per questo Obama la settimana scorsa era tornato a insistere su quel punto: «Se i punti chiave di questo conflitto dovranno essere discussi, la base di questo negoziato è chiara: una Palestina indipendente, un Israele sicuro. Gli Stati Uniti pensano che questi negoziati debbano fornire due stati, con l'istituzione di confini permanenti e ufficiali tra la Palestina e Israele, Giordania ed Egitto, e di Israele con la Palestina. I confini di Israele e Palestina dovrebbero essere basati su quelli del 1967, con delle correzioni stabilite di comune accordo, così che possano essere individuati e stabiliti confini sicuri. Il popolo palestinese ha il diritto di governarsi e realizzare le proprie potenzialità in uno stato sovrano».
Medioriente, Netanyahu al Congresso. Grande attesa in Israele
TEL AVIV - La stampa israeliana crea un clima di grande attesa in vista dell'intervento di Benyamin Netanyahu oggi al Congresso di Washington e il quotidiano Maariv arriva a prevedere che per il premier ''sara' il discorso della sua vita''. In particolare alla luce delle profonde divergenze di opinione emerse nel suo recente colloquio con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Anche Haaretz ha avuto sentore che di fronte al Congresso il primo ministro prevede di svelare posizioni ''che desteranno attenzione in tutto il mondo''. Come ha ricordato lo stesso premier il raro privilegio di rivolgersi direttamente ai rappresentanti del popolo americano e' stato concesso in passato a celebri statisti come Winston Churchill, Nelson Mandela e Yitzhak Rabin, e Haaretz si chiede se davvero oggi a Washington si rivivra' ''un momento churchilliano''. In passato anche Ariel Sharon ed Ehud Olmert avevano comunque parlato al Congresso. Il filo-governativo Israel ha-Yom anticipa che Netanyahu ribadira' le linee politiche gia note del suo governo, ma potrebbe lanciare da Washington un appello pubblico al presidente dell'Anp Abu Mazen.
ROMA - ll sognatore che fu artefice del miracolo ebraico, l'uomo la cui fondamentale intuizione avrebbe portato di lì a breve alla nascita dello Stato di Israele. Roma torna a celebrare la vicenda straordinaria di Theodor Herzl, padre del moderno sionismo, attraverso la presentazione di un libro, Theodor Herzl - Il Mazzini di Israele, che già nel titolo accosta un suggestivo parallelismo tra due grandi "politici dell'irrealtà" protagonisti delle rispettive epopee nazionali. In una biblioteca Giovanni Spadolini gremitissima dibattito a più voci: oltre all'autore, il senatore Luigi Compagna, erano chiamati a portare un contributo il senatore Marcello Pera, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, Annamaria Cossiga, Aldo Rizzo e Giuliana Limiti. Presenti tra il pubblico il presidente UCEI Renzo Gattegna e vari esponenti della classe politica nazionale tra cui i senatori Maurizio Gasparri e Fiamma Nirenstein.
Edito da Rubbettino, il volume ha la prefazione autorevole dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e apre varie finestre su radici e sviluppi del movimento sionista oltre che sull'avvincente biografia di Herzl. Numerosi gli spunti di riflessione emersi ieri nel corso del dibattito. Tra i vari interventi molto atteso quello del rav Di Segni, che è stato dedicato alla decodificazione della visione utopistica di Herzl e al suo differente approccio nei confronti della sfera religiosa rispetto a Mazzini. Nell'approfondire la geniale personalità del giornalista ungherese, rav Di Segni ha parlato di irrealtà come di "condizione esistenziale dell'ebraismo" e citando il pensiero di un noto politico israeliano secondo cui chi in Israele non crede ai miracoli non è realista, ha sintetizzato questo singolare approccio ebraico con una battuta: "Noi ebrei siamo diversamente reali". Applausi anche per Annamaria Cossiga, figlia del presidente Francesco Cossiga, che ha ricordato un significativo episodio familiare legato alla Guerra dei Sei Giorni e alla vicinanza di suo padre verso Israele. "Era il 1967, avevo appena 5 anni ma ricordo benissimo come mio padre auspicasse la vittoria degli israeliani. Il mio affetto per Israele e per il sionismo è nato allora".
Come è possibile che, domenica scorsa, il presidente degli Usa, Barack Obama, parlando di fronte alla platea dell'Aipac (l'associazione pro-Israele americana) abbia raccolto un'accoglienza tiepida e qualche fischio... proprio all'indomani della vittoria sul terrorismo islamico? E' una questione di cultura politica.
Obama parla a nome di un pezzo di America progressista, laica e di sinistra, che vede nella politica di Israele un brutto ostacolo alla pace nel Medio Oriente. Ma lo dice a un pubblico che difende la sopravvivenza dello Stato ebraico e non suscita grandi entusiasmi. Spesso, troppo spesso, si pensa che l'America sia inscindibile da Israele per la sua "lobby ebraica".
E' un errore. E deve averlo commesso anche Barack Obama: votato dal 78% degli ebrei d'America, ha sentito di aver carta bianca sul Medio Oriente, ha creduto di poter ridiscutere questo rapporto sessantennale, chiedendo sacrifici territoriali, unilaterali, al solo Stato ebraico. Al contrario, il rapporto tra Usa e Israele non è affatto inscindibile e gli ebrei d'oltre Oceano lo sanno: fino a Franklin Delano Roosevelt, poi ancora con "Ike" Eisenhower, la superpotenza americana era più incline verso il mondo arabo che non verso la nuova nazione sionista.
La comunità ebraica teme che, un nuovo presidente in cerca di svolte storiche, possa decidere di abbandonare ancora Israele nelle fauci dei suoi nemici. Secondo: la comunità ebraica, appena 5 milioni di individui, non è il vero bastione dell'alleanza israeliano-americana.
Chi, in America, fa pendere l'opinione pubblica dalla parte della piccola democrazia è la maggioranza cristiana evangelica, per motivi soprattutto religiosi: è Israele la terra del ritorno del Messia, dunque quella landa lontana va difesa, con le unghie e coi denti, dalle potenze musulmane che la vorrebbero distrutta.
Più pragmaticamente, con argomenti laici, sono soprattutto i neoconservatori che vedono nella lotta per la sopravvivenza della piccola democrazia occidentale incastonata in un mare di dittature arabe l'unico modo per affermare i valori (e gli interessi) occidentali nel Medio Oriente. Dunque, Barack Obama ha parlato di fronte a una platea filo-Israeliana, considerando di avere alle spalle un appoggio ebraico che potrebbe non avere più, e ignorando il fatto che non è solo e non è tanto l'appoggio della comunità ebraica a determinare il consenso sulla politica americana mediorientale.
Obama dice: per salvare la pace, Israele deve abbandonare territori e tornare ai confini del '67. Poi è costretto a rettificare: "ferme restando le nuove realtà demografiche". Quindi senza costringere quel mezzo milione di ebrei che vivono in Cisgiordania a lasciar le loro case? Forse.
Alla fine ne esce una gran confusione, dalla quale si capisce solo che Israele, Stato aggredito, deve fare sempre nuovi sacrifici. Ed è questo il messaggio che, comprensibilmente, non piace. Obama coglierà il messaggio? Forse no, perché non sono pochi i media che hanno riportato la sua accoglienza all'Aipac in toni trionfalistici, amplificando gli applausi e ignorando i fischi.
Secondo: perché Russia, Onu e Unione Europea sostengono il piano di pace di Obama. Ed è questo allineamento di governi che interessa il presidente democratico. Non tanto quel che pensa l'opinione pubblica americana. Tanto meno quel che subiscono e subiranno i diretti interessati in Israele.
Padiglione Israele: "One man's floor is another man's feelings"
di Mariangela Ciavarella
Il pavimento non è mai solo un pavimento. Quasi sempre è il soffitto di un altro uomo. E qualche volta apre addirittura un universo di sentimenti per chi sta sotto. Un'idea semplice, eppure estremamente carica di significato: è quella di Sigalit Landau, l'artista israeliana che con "One man's floor is another man's feelings" rappresenterà il suo paese alla 54esima Biennale di Venezia. Un omaggio all'incontro tra tematiche esistenzialiste e problemi legati alla sopravvivenza che affonda le sue radici nella forte attenzione che l'artista riserva da sempre al Mar Morto. Proprio da lì, da quello che è il luogo più basso delle terra, Sigalit Landau parte per un viaggio attraverso la ritualità del corpo e della memoria. Acqua, terra e sale parleranno del legame tra Israeliani e Palestinesi, del futuro che li accomuna.
Tutta l'opera della Landau è pervasa da una forte carica simbolica che proietta sul piano universale idee più specifiche di natura politica o filosofica. Chi l'ha apprezzata per le installazioni del Tel Aviv Museum o del Kunst-Werke Institute for Contemporary Art di Berlino, riconoscerà nella personale con cui rappresenterà Israele a Venezia, la complessità concettuale della dialettica tra spazi collettivi e spazi individuali. In questo senso "One man's floor" si colloca perfettamente lungo un percorso che la vede protagonista di opere come "Barbed Hula", un video in cui è intenta a ballare l'Hula-hoop su una spiaggia: il movimento incessante e ripetuto del filo di ferro attorno ai fianchi dell'artista richiama la propagazione dei cerchi nell'acqua, un moto perpetuo che annulla la distanza e suggerisce che, in fondo, quella che è una legge fisica rimane valida anche per i rapporti umani, così strettamente connessi anche in situazioni apparentemente lontane. Un evidente richiamo alla storia di Israele, un paese ferito dalla convivenza problematica di due popoli. L'idea del soffitto comune si carica di valore e si appunta sulla struttura del padiglione che ospiterà la personale della Landau: la palazzina modernista di tre piani diventerà un piccolo avamposto di condivisione e interdipendenza tra gli uomini. Fulcro dell'apparato simbolico saranno l'acqua, metafora della conoscenza e dei sentimenti e il sale, simbolo delle incertezze che si cristallizzano sull'esistenza dell'uomo contemporaneo. Curata da Jean de Loisy e Ilan Wizgan, la mostra promette di riscrivere la storia dei confini tra uomo e uomo a partire da un inedito approccio intimistico che non mette al centro l'individuo, ma l'intera collettività umana. Dopo tutto, il tetto dei sentimenti non è mai univocamente definito.
Grande soddisfazione per la vittoria del premio Gaj Tache', assegnato a Mondo Tv per il cartoon Kim nell'ambito della categoria Audiovisivi, prodotto in collaborazione con Rai Fiction. Il premio, istituito dal Comune di Roma insieme alla Comunita' ebraica e alla associazione culturale "Ebraismo e dintorni" in ricordo del piccolo Gaj Tache', rimasto vittima dell'attentato alla Sinagoga del 9 ottobre 1982, e' stato consegnato in Campidoglio lo scorso 20 maggio dal sindaco Alemanno. La giuria era composta esclusivamente da bambini delle scuole elementari di Roma.Trasmessa da Rai2 e Rai Gulp, la serie animata diretta da Giuseppe Lagana', e' ispirata al capolavoro di Rudyard Kipling. Il racconto narra delle fantastiche storie di Kim, rimasto orfano nell'India di fine Ottocento, che cerca di ritrovare la propria origine. Viene aiutato nella sua impresa da un guru alla ricerca di un fiume sacro. Fra paesaggi fiabeschi, insidie, spie, avventurieri, Kim riesce a conquistare la fiducia di tutti coloro che incontra, tanto da essere soprannominato il "piccolo amico di tutto il mondo".
Fatah: I palestinesi non proclameranno lo Stato unilateralmente
Mosca ha comunque confermato sostegno a questa iniziativa
MOSCA, 24 mag. - I palestinesi non proclameranno unilateralmente la costituzione di uno Stato indipendente: lo ha detto oggi un alto responsabile di al Fatah, Azzam al-Ahmad, nel corso di una visita a Mosca. "Noi non prevediamo di proclamare l'indipendenza unilateralmente", ha dichiarato questo responsabile del partito del presidente palestinese Abu Mazen, parlando in conferenza stampa.
Di fronte allo stop dei negoziati diretti con Israele, i palestinesi si stanno preparando a chiedere alle Nazioni Unite di riconoscere uno Stato palestinese sulle frontiere del 1967. Secondo Azzam al-Ahmad, la Russia - membro del Quartetto, insieme a Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite - vede comunque di buon occhio questa iniziativa. "Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha confermato il sostegno della Russia a questo processo nel corso del nostro incontro", ha detto il dirigente palestinese.
In mostra i 52 progetti per il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah
di Miriam de Candia
Il Palazzo dei Diamanti di Ferrara ospita in questi giorni la mostra "MEIS. Architetture per un museo", una mostra interamente dedicata ai cinquantadue progetti che hanno partecipato al Concorso di Progettazione per il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara.
La competizione, promossa dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia Romagna, si è conclusa nel gennaio passato con la vittoria del gruppo composto dagli studi Arco (Bologna), Scape (Roma), Michael Gruber e Kulapat Yantrasast. Il team, meritevole di un premio pari a 60mila euro, oltre che dell'incarico di progettazione esecutiva dell'opera, ha immaginato un parco urbano con cinque "edifici-libro" sulla cui pelle esterna sono inscritti i passi chiave della Torah e degli altri volumi sacri dell'Ebraismo. I titoli di secondo e terzo classificato sono andati a Ove Arup & Partners International Limited, ed alla Politecnica Società Cooperativa....
Apre a Gaza il più grande centro commerciale palestinese
Prevista per metà l'inaugurazione di un 'mall' a tre piani
ROMA, 24 mag. - Il più grande centro commerciale palestinese, un moderno 'mall' a tre piani, aprirà a metà giugno nella Striscia di Gaza. Lo riporta il sito web del Jerusalem Post. Il centro, di 3.000 metri quadrati, si trova nei pressi della pazza Haidar Abdel Shafi, a ovest di Gaza City, ha detto Ehab al-Issawi, direttore esecutivo della Al-Hayat Tureed Company, la compagnia proprietaria del 'mall'.
Issawi ha detto che i lavori sono quasi ultimati. Al progetto hanno lavorato ingegneri e architetti palestinesi. La scorsa estate un altro centro commerciale a due piani era stato aperto sempre nella Striscia di Gaza. Il nuovo centro ospiterà al primo piano un grande supermercato. Al secondo piano ci saranno negozi di vestiti e di articoli da regalo, mentre al terzo piano i clienti troveranno ristoranti e bar.
Un processo di pace con la condanna a morte di uno stato
Contro i negazionisti ed i trasformisti della storia
di Alan D. Baumann
Non basta gettare uno sguardo al di là del Mediterraneo per trarne delle conclusioni. La pace si costruisce mattone dopo mattone. Non è sufficiente imporre ad Israele di tornare ai confini del 1967 per stabilire la vita eterna di due stati. Con quelle frontiere Israele sarebbe un facile boccone per l'estremismo arabo.
L'ANP di Abu Mazen ha instaurato un primo accordo con i terroristi di Hamas (come chiamare altrimenti chi lancia centinaia di missili contro dei civili e tiene prigioniero dal 25 giugno 2006 il soldato franco israeliano, Shalit)? La stessa Hamas dichiara di non voler mai riconoscere Israele, auspicandone la distruzione (questo è il primo articolo della sua "costituzione")....
"Il sostegno degli Usa al benessere ed alla sicurezza di Israele è incrollabile". Barack Obama sceglie il palco del convegno della lobby ebraica negli Stati Uniti, l'Aipac, a Washington per rispondere alle polemiche di due giorni fa, quando il presidente Usa al termine dell'incontro bilaterale che si è tenuto a Washington con Israele dichiarò che "vi era la necessità di definire i confini tra Israele e territori".
L'incontro alla Casa Bianca del 20 maggio tra Obama e il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha segnato uno dei momenti più critici nei rapporti tra Israele e Usa. Oggi il il presidente americano ribadisce che i negoziati "sui confini tra Israele e palestinesi dovrebbero essere basati sui confini del 1967 con mutamenti reciprocamente concordati". Ma precisa che "l'idea espressa nel suo discorso di giovedì scorso, è stata fraintesa - poi aggiunge - il legame fra Stati Uniti e Israele è infrangibile". Ha comunque voluto sottolineare che "gli scambi di territori fra palestinesi e israeliani potrebbero portare a confini diversi da quelli nati dal conflitto arabo-israeliano del 1967, tenendo conto delle nuove realtà demografiche sul terreno e i bisogni delle due parti". Ma ritiene che l'accordo tra al-Fatah e Hamas rappresenti "un grave pericolo per la pace nella regione" ed esorta Hamas a ripudiare la violenza e a riconoscere Israele.
Gli Usa assicurano, poi, a Israele il sostegno contro il voto all'Onu di una risoluzione in cui si riconosce lo stato palestinese. "Credo fermamente che la pace non possa essere imposta, neanche - ha affermato il presidente Usa - dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con il suo sostegno alla creazione di uno stato palestinese indipendente".
Le parole del numero uno della Casa Bianca sono state accolte con soddisfazione dal primo ministro Netanyahu, che si è detto "determinato ad operare con gli Stati Uniti per ricercare le strade adatte a rilanciare trattative di pace. Apprezzo - ha concluso - gli sforzi passati e presenti del presidente Obama per conseguire questo obiettivo. La pace è un bene essenziale per tutti noi".
Applausi scroscianti, inoltre, quando Obama tocca il tema 'Iran'. "Gli Stati Uniti - ha detto - manterranno l'impegno a prevenire che il paese iraniano si doti di armi nucleari. Proprio perché capiamo - ha aggiunto - le sfide che Israele deve affrontare nel settore della sicurezza, è questa una delle nostre priorità".
PADOVA - Un gruppo di Edipi (l'associazione evangelici d'Italia per Israele) tra un mese partirà per il viaggio culturale "Nel cuore di Israele con Israele nel cuore" (21-28 giugno), intanto è stato definito il programma del decimo Raduno degli associati che, in concomitanza con il viaggio, quest'anno si terrà a Gerusalemme nello shabbat del 24 e 25 giugno.
Il titolo dato al raduno «è - afferma Ivan Basana, presidente dell'associazione - quanto mai suggestivo: "57 A.D. l'apostolo Paolo scrive una lettera ai Romani... giugno 2011, l'Italia risponde"».
Nei due giorni di riunione al kibbutz messianico di Yad Hashmonà si alterneranno quali relatori: Avi Mizrachi, David Lazarus, Michael Yaron, Tony Sperandeo, Angel Gerber, Tom Hess, Corrado Maggia e Ivan Basana. Sono previste diverse testimonianze di vita cristiana tra cui quelle di Emma Benjamin e Rachel Netanel. La parte musicale è stata affidata alla compositrice e cantante Ellah Gorelik. Lei stessa si esibirà oltre ai complessi Adonai Roi di Tel Aviv e Beit Emanuel di Jaffa.
Ci si attende una «partecipazione da parte italiana di quasi cento persone e una calorosa ospitalità messianica» spiega Ivan Basana, aggiungendo che «il raduno vedrà un prologo il venerdì mattina nell'incontro con l'ex-vice sindaco di Gerusalemme David Cassutto che ci parlerà sul tema "Gerusalemme unica e unita capitale d'Israele". Questo incontro si svolgerà nel tempio italiano di Gerusalemme a Rehov Hillel, l'antica sinagoga di Conegliano Veneto portata in Israele e ricostruita come tempio attivo per la comunità italiana di Gerusalemme».
Ferrovie Federali Svizzere: no ai manifesti contro Israele
BERNA - Le FFS ritengono di non aver violato il diritto alla libertà d'espressione vietando l'affissione nella stazione centrale di Zurigo di un manifesto filopalestinese, critico verso Israele. Per questo motivo hanno deciso di appellarsi al Tribunale federale (TF) contro la decisione dell'istanza precedente.
A fine marzo, il Tribunale amministrativo federale (TAF) aveva infatti annullato il veto delle FFS e aveva ingiunto all'ex regia federale di autorizzare l'affissione del manifesto, opera dell'Aktion Palästina Solidarität, un gruppo svizzerotedesco di militanti filopalestinesi. Secondo il tribunale, le ferrovie non hanno rispettato la libertà di espressione garantita dalla Costituzione federale.
L'ex regia considera però che questa decisione comporta «una forte limitazione della responsabilità come azienda che deve avere la facoltà di vietare la pubblicità di cattivo gusto, moralmente riprovevole o con messaggi scabrosi su temi di politica estera». Per questo motivo, e anche per avere la «necessaria certezza del diritto in vista di eventuali casi futuri», le ferrovie hanno deciso di rivolgersi al TF, scrivono le stesse FFS in una nota.
Il manifesto era stato affisso a fine marzo 2009 all'interno della stazione dall'impresa specializzata SGA. Tre giorni più tardi le FFS ne avevano deciso la rimozione, dopo essere state rese attente al suo contenuto politico: il manifesto, critico verso la politica di colonizzazione perseguita da Israele, rimproverava allo Stato ebraico di essersi «costruito con la violenza sul suolo palestinese» e si appellava alla «resistenza» per rispondere a questa «ingiustizia».
Turchia - Attori israeliani annullano una recita per timore di attacchi
In 200 contro la loro esibizione ad Antalya
La compagnia teatrale israeliana Cameri ha cancellato due spettacoli che avrebbe dovuto mettere in scena durante un festival internazionale organizzato dalla città di Antalya, sulla costa mediterranea della Turchia. Lo riportano i quotidiani turchi, specificando che le performances sono state annullate dopo aver saputo che alcuni gruppi islamici avevano intenzione di organizzare attività di disturbo durante gli spettacoli. Ieri, circa 200 manifestanti si sono riuniti fuori dal teatro di Antalya per manifestare contro la compagnia israeliana, che aveva già lasciato il Paese. "Israele codardo, lascia il nostro Paese" hanno urlato i manifestanti, che hanno esibito anche bandiere palestinesi e intonato "Allah Akbar", Allah è grande. Stando a quanto racconta il quotidiano Haberturk è stato l'ambasciatore israeliano ad Ankara, Gaby Levy, a consigliare alla compagnia di annullare la rappresentazione della piece "Thrill my heart" (Emoziona il mio cuore) per motivi di sicurezza. Turchia e Israele, ex alleati storici, hanno visto i loro rapporti deteriorarsi fra il 2008 e il 2009, durante l'operazione israeliana "piombo fuso" nella Striscia di Gaza. Le relazioni si sono ulteriormente deteriorate il 31 maggio dell'anno scorso, quando la marina di Tel Aviv assaltò la Mavi Marmara, una nave sponsorizzata dall'Ong turca IHH che faceva parte della Freedom Flotilla, un convoglio di sei navi che portava aiuti umanitari alle popolazioni di Gaza. Nell'attacco furono uccisi nove cittadini turchi. Da quel momento la Turchia preme perché Israele si scusi ufficialmente, compensi economicamente le famiglie delle vittime e tolga una volta per tutte l'embargo dai territori palestinesi. A fine giugno partirà la seconda edizione della Freedom Flotilla, che preoccupa Tel Aviv e Washington. Due settimane fa 36 deputati della camera dei Rappresentanti americana hanno scritto al premier turco Recep Tayyip Erdogan, chiendogli di bloccare il convoglio o di garantire che non verranno create tensioni come lo scorso anno. Ieri il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, ha detto che Ankara non può fare nulla per fermare la missione umanitaria.
Lunedì 23 maggio 2011, ore, 17.30, presso la biblioteca del Senato "Giovanni Spadolini", verrà presentato il libro del senatore Luigi Compagna "Theodor Herzl - Il Mazzini di Israele".
* * *
Storia ebraica
di Giorgio Israel
Vi sono molte ragioni per leggere questa bella biografia di Theodor Herzl, il fondatore del sionismo, di cui è autore Luigi Compagna (Theodor Herzl, Il Mazzini d'Israele, con una prefazione di Francesco Cossiga, Rubettino, 2010). La prima ragione è beninteso quella suggerita dal sottotitolo: l'indovinato parallelismo tra la figura di Herzl e quella di Giuseppe Mazzini, sotto la comune definizione di «politici dell'irrealtà». Trattasi di una definizione ripresa da un articolo di Guido Dorso del 1945, in cui questi, correggendo la sua visione della storia come un cimitero di utopie, vedeva nell'irrealismo mazziniano una «carta vincente e in qualche misura invincibile, quasi una ragione inattaccabile di superiorità politica», per la capacità di «conseguire una sua realtà che supera la contingenza e anticipa l'avvenire». E quale altro esempio può darsi del successo che può conseguire la «politica dell'irrealtà» dell'incredibile sogno di Theodor Herzl di costruire uno stato ebraico? Oltretutto, si è trattato di un sogno che, come quello mazziniano, si è trasformato in una realizzazione profondamente positiva e coerente con l'ideale, a differenza di altri sogni basati su visioni deterministico-scientifiche come quella marxiana.
Un'altra ragione dell'interesse del libro di Compagna consiste nel fatto che non si tratta di una biografia in senso stretto bensì di un'opera che segue il percorso umano, intellettuale e politico di Herzl. Tra i tanti temi che il libro affronta vi è quello della condizione ebraica prima, durante e dopo l'emancipazione avvenuta nel '700. Uno dei temi più interessanti è quello del difficile passaggio degli ebrei dal ghetto alla condizione di cittadini, con il conseguente dilemma se ridurre l'identità alla semplice dimensione religiosa o caratterizzarla come «qualcosa di più», che però era difficilmente conciliabile con l'idea astratta di cittadino su cui si fondavano le democrazie europee. Di fronte a tale dilemma il sionismo di Herzl entra in scena con la nettezza di un taglio gordiano, proponendo una soluzione nazionale basata su un'idea larghissima di cosa sia un ebreo, che non conosce le limitazioni imposte dalla giurisdizione religiosa. È una visione che abbatte quella condizione che efficacemente Compagna chiama dei «due muri», il muro di separazione imposto dall'esterno, che delimita il ghetto come «territorio di steccato», e il muro interno voluto dagli stessi ebrei per proteggere la propria identità e la propria cultura.
Questa caratteristica fondante del sionismo, questo suo ruolo rivoluzionario nella ridefinizione dell'identità ebraica dopo l'emancipazione, è un punto di partenza fondamentale per riflettere su alcuni nodi critici del presente che investono sia lo stato d'Israele che la diaspora. La prima considerazione è che la forza del sionismo è stata proprio quella di essersi fondato su una nozione di ebreo molto più larga di quella ricavata dalle prescrizioni giuridiche religiose (halachiche). È oggi evidente che la spinta a una riduzione del sionismo a sionismo religioso e l'indebolimento della separazione tra sfera statuale e sfera religiosa non può che avere effetti negativi sul futuro del paese. Per converso, le comunità della diaspora, non avendo scelto l'opzione sionista, non possono che ridurre la loro dimensione identitaria a quella religiosa, pur conservando il pieno diritto a manifestare il loro attaccamento allo stato ebraico, particolarmente legittimo in un momento in cui è in discussione il suo diritto all'esistenza. Qui dice qualcosa di importante quella che il libro chiama la «sinfonia americana», forse l'unica esperienza in cui l'ebraismo diasporico ha continuato a manifestare una grande vitalità, la quale è certamente dovuta al pluralismo con cui viene vissuta l'esperienza religiosa. Ma in Europa, dove le comunità sono numericamente esigue e il contesto sociopolitico è diverso, la tentazione di ricostruire il muro "interno" è grande, ed ha come sbocco inevitabile la progressiva estinzione. L'irrealismo politico del sionismo di Herzl ha lasciato all'ebraismo la lezione che nessuno dei "due muri" può più restare in piedi.
Oggi, domenica 22 maggio, abbiamo ascoltato il discorso del presidente Obama all'associazione ebraica degli Stati Uniti.
Se ho ben capito, il presidente - che evidentemente era stato frainteso - ha chiarito che sui confini del 1967 la sua posizione è praticamente quella del suo predecessore George W. Bush.
Provo a documentarmi...
I confini del 1967 erano quelli dello Stato di Israele con i Paesi arabi fino alla vigilia della Guerra dei Sei giorni (5-10 giugno 1967).
Per comprendere l'intricata questione è necessario ritornare indietro, almeno al 29 novembre 1947, quando l'Assemblea generale dell'ONU approvò un piano che prevedeva la costituzione di uno Stato ebraico e di uno Stato palestinese, con Gerusalemme affidata per dieci anni ad una amministrazione internazionale.
I Paesi arabi respinsero il piano dell'ONU e il 14 maggio 1948 Egitto, Libano, Giordania e Siria invasero il nuovo Stato di Israele, che vinse il conflitto.
Nel 1956 scoppiò la crisi del Canale di Suez, l'Egitto chiuse lo Stretto di Tiran, vitale per Israele che occupò provvisoriamente il Sinai e la Striscia di Gaza.
La crisi si spostò soprattutto al confine settentrionale della Siria e si giunse così fino al 1967.
I confini del 1967 erano, nella parte centrale di Israele, estremamente precari: la distanza dal mare si riduceva - a nord di Tel Aviv - a soli quindici chilometri.
Intanto la crisi si acuì pericolosamente: l'Egitto occupò il Sinai, chiuse lo Stretto di Tiran, bloccò il porto israeliano di Eliath.
I Paesi arabi concentrarono truppe ai confini di Israele, complessivamente 547.000 truppe, 2.504 carri armati; 967 aerei da combattimento.
Le forze di Israele: 264.000 truppe, 800 carri, 300 aerei.
Il 5 giugno l'aviazione israeliana distrusse al suolo gli aerei egiziani, in sei giorni l'esercito conquistò il Sinai, la Striscia di Gaza, la Cisgiordania con Gerusalemme, le alture del Golan.
La risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU enunciò - 22 novembre 1967 - i principi per la pace, ma gli Arabi negarono ogni riconoscimento di Israele.
Sei anni dopo, sabato 6 ottobre 1973, festività del Yom Kippur, gli Arabi scatenarono una nuova offensiva. Israele fu colto di sorpresa, ma reagì e il 15 ottobre Ariel Sharon varcò il Canale di Suez, si attestò sul territorio egiziano minacciando direttamente Il Cairo. Al Nord l'esercito israeliano giunse a soli 40 chilometri da Damasco.
Da questa breve e incompleta storia dell'epopea di Israele risulta che proporre di ritornare ai confini del 1967 sarebbe follia: così pareva avesse progettato il Presidente Obama: avevamo frainteso!
Valgono invece gli impegni del Presidente Bush, e l'amicizia con Israele e la sua sicurezza restano cardini della politica americana: forse che gli Stati Uniti d'America non sono il katechon del nostro tempo?
(Sul concetto di katechon rimando alla Seconda lettera ai Tessalonicesi di Paolo di Tarso e a Carl Schmitt)
(Varese News, 22 maggio 2011)
«Infatti il mistero dell'empietà è già in atto, soltanto c'è chi ora lo trattiene (katechon), finché sia tolto di mezzo.» (2 Tessalonicesi 2:7)
Riguardo al problema palestinese Barack Obama, come tutti, vorrebbe essere il "Salvatore". Colui che risolve il problema che nessuno prima ha risolto. Solo che a volte gli altri non ce l'hanno fatta semplicemente perché nessuno poteva farcela.
Per secoli gli studiosi si sono impegnati a risolvere la quadratura del cerchio e il più geniale di loro è stato colui che ad un certo momento dimostrò che il problema era irresolubile.
In Palestina tutti vorremmo "due popoli e due Stati". E la cosa è facilissima. Basti pensare che S.Marino è indipendente e tuttavia esso convive sulla penisola italiana con uno Stato che potrebbe farne un solo boccone. Ma da un lato la Repubblica Italiana non ha mire aggressive o annessionistiche, dall'altro S.Marino non si propone affatto come una base per attacchi militari o terroristici contro la Repubblica Italiana. In queste condizioni, la coabitazione può durare indefinitamente, perfino quando si tratta di nazioni grandissime come gli Stati Uniti e il Canada, la cui frontiera è largamente inesistente per gran parte del territorio.
La premessa della convivenza di due Stati indipendenti dipende esclusivamente dalle loro intenzioni. Se sono pacifiche, può essere indipendente anche uno Stato perfettamente disarmato (Lo Stato della Città del Vaticano); se non lo sono, lo Stato più forte limita la sovranità dell'altro nella misura che ritiene necessaria.
Israele ha avuto la prova e la riprova (1948, 1967, 1973) che dalla ex Cisgiordania e dalla Siria possono partire attacchi intesi ad annientarla. Perfino col pericolo di un genocidio. Ma gli aggressori hanno perso tutte le guerre e il risultato per gli sconfitti è un'autonomia economico-amministrativa che non somiglia affatto alla piena sovranità. Perché, se ne disponessero, se ne servirebbero per chiamare a raccolta tutti gli alleati arabi e sferrare ancora un attacco. Non si vede proprio perché Gerusalemme dovrebbe permettere che questa aggressione parta da posizioni di grande vantaggio territoriale.
Sui giornali abbiamo letto che, secondo il Presidente degli Stati Uniti, gli israeliani si dovrebbero ritirare da tutti i Territori Occupati, tornando alle frontiere del 1967. E ci siamo subito chiesti: quelli di prima o di dopo la Guerra dei Sei Giorni?
Ma anche se Obama si riferisse al territorio israeliano quale è risultato dopo la guerra del 1967 la proposta rimarrebbe inaccettabile. Israele non può rinunciare alla sua storica capitale in cui gli arabi, quando era sotto il loro potere, non permettevano agli ebrei di andare a pregare. E non possono rinunciare alle alture del Golan. Economicamente quel piccolo territorio non vale niente ma da esso si domina la valle sottostante e la Siria a suo tempo se ne serviva per attaccare Israele con l'artiglieria. In conseguenza della guerra Israele si è annessa Gerusalemme e poco altro, esclusivamente per fini difensivi. E dal momento che questi fini vanno salvaguardati ancora oggi (basterà rileggere i proclami di Hamas) Gerusalemme non porgerà volontariamente il proprio collo al boia.
La soluzione non è quella di un trattato. Anche se il futuro Stato palestinese facesse le migliori promesse e anche se firmasse e controfirmasse i massimi impegni di pace, uno Stato non è tenuto a mantenere la parola. È questa la vera sovranità. L'unica garanzia, per l'aggredito, è che l'aggressione sia impossibile o tecnicamente perdente: cosa che si realizza innanzi tutto impedendo al futuro aggressore di disporre di armi pesanti.
Due popoli due Stati, dunque: ma uno con l'aviazione e uno senza, uno con i carri armati e uno senza, uno con i missili e l'altro senza. Uno con la bomba atomica e uno senza. Uno sovrano e l'altro no.
La pace in Palestina è tuttavia facile, ma partendo dall'altro estremo: non un trattato che realizzi la pace, ma una pace che renda superfluo il trattato. Se i palestinesi smettessero di volere eliminare Israele dalla realtà come l'hanno eliminato dalle loro carte geografiche, la pace sarebbe per domani e la Palestina non sarebbe meno indipendente del Libano o della Giordania. Se invece i palestinesi rimarranno attaccati ai loro bellicosi sogni di rivincita e di sterminio degli israeliani, non hanno avuto l'indipendenza dal 1948 e forse non l'avranno neppure fra cinquant'anni. Quand'anche Obama facesse discorsi tanto belli da indurci tutti al pianto.
Buon compleanno a Israele con la partecipazione della Brigata ebraica
di Rossella Tercatin
MILANO - Anche a Milano è stato celebrato Yom Haatzmaut, il Giorno dell'Indipendenza dello Stato d'Israele, con una festa in piena regola in onore dei suoi 63 anni, organizzata dall'assessore al Culto della Comunità ebraica Milo Hasbani. Ai discorsi delle numerose personalità che hanno preso parte all'evento nell'Aula Magna della Scuola ebraica, infatti, si è aggiunto il contagioso ritmo delle musiche suonate dalla Banda militare di Tzahal, l'esercito di difesa israeliano, che ha fatto ballare l'intera sala.
Tanti gli ospiti d'onore israeliani che hanno portato il proprio saluto: oltre all'ambasciatore in Italia Gideon Meir, sono intervenuti il colonnello Yehu Ofer, addetto per la Difesa presso l'Ambasciata d'Israele e il Generale Yossi Ben Hana, alla presenza di Aryeh Mualem, vice direttore generale della Difesa e capo reparto per la Commemorazione dei Caduti.
Commovente è stata la partecipazione dei rappresentanti della Brigata ebraica, la formazione militare dell'esercito britannico composta da soldati provenienti dai territori che di lì a pochi anni sarebbero diventati lo Stato d'Israele, che fu protagonista nella liberazione dell'Italia dai nazi-fascisti. Accanto a loro, un gruppo di giovani di Tzahal, guidati dal hazan (cantore) militare Shai Avramson, con i loro canti, accompagnati dalle voci del coro Kol HaKolot, hanno coinvolto tutti i presenti.
Nei discorsi, scanditi dagli intermezzi musicali, anche il clima elettorale si è fatto sentire, con la partecipazione del sindaco di Milano Letizia Moratti, del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, del candidato al Comune per il Terzo Polo e presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri, mentre il deputato del Partito Democratico già presidente della Comunità ebraica Emanuele Fiano ha letto un messaggio del candidato sindaco del centro-sinistra Giuliano Pisapia.
"Penso sia stata una serata davvero riuscita, perché oltre ai discorsi ufficiali, vedere una sala piena che si mette a ballare al ritmo della banda di Tzahal è stato qualcosa di unico" ha commentato Daniele Nahun, assessore alle cittadinanze della Comunità, che ha condotto la manifestazione. Così come davvero unico è stato il suo momento conclusivo: l'Hatikvah, inno dello Stato ebraico è stata intonata da tutti i partecipanti sotto la guida di Avramson, che prima di ripartire per Israele con i suoi ragazzi, ha partecipato alla preghiera di Shachrit nel Tempio centrale Hechal David uMordekhai, rivolgendo una benedizione speciale alla Comunità ebraica di Milano.
Contro gli attacchi informatici Israele schiera ottanta persone
La sicurezza informatica di un intero Paese nelle mani di ottanta persone. Un vero e proprio "cyber commando" che ha il compito di vigilare sulle reti di passaggio dati d'Israele ventiquattrore su ventiquattro. Sempre pronti ad affrontare gli hacker e a difendere l'economia e la logistica. «Chissà perché questa nazione senta il bisogno di formare un team difensivo», s'è chiesto sarcastico più di un esperto. «Forse perché negli ultimi mesi Gerusalemme ha dato il via alla maggior parte degli attacchi informatici nel Medio Oriente?». Il caso più eclatante, senza andare troppo indietro con la memoria, è quello del virus "Stuxnet" che ha paralizzato l'Iran e che pare sia stato inviato dallo Stato ebraico.
E allora. A raccontare al mondo l'esistenza del "National cybernetic taskforce" tutto interno al governo è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Che ha evidenziato come l'iniziativa abbia come unico scopo quello di difendere e non attaccare. Forse a rassicurare alcuni paesi - Iran in testa - sulle reali intenzioni dell'unità. Soprattutto: nei prossimi anni avrà a disposizione decine di milioni di dollari per difendere ad ogni costo l'infrastruttura informatica della nazione.
Il nuovo team, per ammissione dello stesso Netanyahu, non si occuperà solo di difesa. «Sarà il tramite tra le necessità di sicurezza del Paese, il bisogno di sviluppare ulteriormente l'industria cibernetica e le esigenze accademiche», ha continuato il leader del partito di destra "Likud". Parole che, a Teheran come a Gaza City, a Beirut come Il Cairo, sono sembrate solo l'inizio di un'offensiva in grado di bloccare le economie di interi paesi.
CHE COSA deve fare Israele? Nessun presidente americano aveva finora pronunciato la frase "confini del 1967". Per lo Stato ebraico, rinunciare ai Territori significa arretrare le proprie frontiere su una linea giudicata indifendibile: Israele è stretta, addossata al mare, priva di profondità. A causa dell'eseguità del territorio, ha sempre basato le sue guerre su tre principi. I primi due sono militari: condurre conflitti brevi e portare i combattimenti sul territorio nemico, vibrando colpi durissimi. Il terzo principio è quello di procurarsi di volta in volta alleanze (non dette) nel mondo musulmano, capaci di premere l'avversario alle spalle. Ebbene, l'uscita di Obama coincide con il momento forse meno favorevole per tutto ciò: le rivolte nel mondo arabo cancellano o scuotono regimi decennali, ma ancora non rivelano da che cosa saranno sostituiti.
PER UN Paese aggrappato allo status quo come Israele, timoroso di novità che possano fare sfuggire di mano una situazione basata su fragilissimi equilibri di deterrenza, ciò significa l'incubo di governi islamici radicali. Come accettare, allora, di portarsi in casa il confine con un futuro Stato palestinese nato dal coinvolgimento di Hamas? La natura di questo Stato, agli occhi degli israeliani, è incerta perché incerta appare la posizione americana. "Nella misura in cui Obama fonda tutta la sua analisi della 'primavera araba' sulla necessità di appoggiare l'autodeterminazione dei popoli ha scritto su 'le Figaro' un esperto di Medio Oriente, Pierre Rousselin non si vede come potrebbe opporsi allo svolgimento di elezioni nei territori come prevede l'accordo tra Hamas e Fatah".
EPPURE Israele non può prescindere dagli Usa: un Paese traumatizzato dalla Shoah vede negli Stati Uniti, non nell'Europa, il suo ancoraggio all'esistenza, e avverte la leader dell'opposizione israeliana, Tzipi Livni la deterrenza e la legittimità di Israele nel mondo dipendono dalle relazioni con l'unica superpotenza mondiale. Israele, così brava a mantenere con la forza l'equilibrio dell'immutabilità, non sa elaborare una visione di come sarà il Paese fra una generazione. La guerra permanente, accompagnata dalla perenne negazione dei diritti dei palestinesi, non è possibile. L'America lo sa e sta cercando una soluzione. Ma ciò che chiede a Israele è un coraggio sovrumano e una visione strategica che il governo Netanyahu non può avere.
(Quotidiano.net, 21 maggio 2011)
«Israele, così brava a mantenere con la forza l'equilibrio dell'immutabilità, non sa elaborare una visione di come sarà il Paese fra una generazione», dice lautore. Non è vero: Israele ha già elaborato, e da molto tempo, una visione di come potrebbe essere il Paese tra una generazione o due: judenrein. Ma non è questo che preoccupa Obama: anche lui, come moltissimi altri, soffre per i diritti palestinesi calpestati. E qual è il fondamentale diritto palestinese rivendicato apertamente da Hamas e approvato silenziosamente da Fatah: il diritto di avere una Palestina araba dal fiume al mare, con lovvia sparizione dellentità sionista e con i sopravvissuti ebrei tollerati come dhimmi. Ma Netanyahu, il solito testardo, non ci sta. Con lui proprio non si può trattare, dice Hamas. E molti, pensierosi, e forse tristi perché non hanno niente contro gli ebrei, silenziosamente annuiscono. M.C.
Netanyahu non ci sta. E costringe Obama a cedere sui confini
Ancora divergenze alla Casa Bianca tra due leader che non si piacciono. Intesa solo su Hamas e sull'Iran
di Fiamma Nirenstein
Benyamin Netanyahu ha avuto un notevole coraggio fronteggiando ieri, nel nome degli interessi israeliani, il presidente Obama che poche ore prima aveva cercato il favore dell'Islam per molte strade, fra cui quella di disegnare la divisione fra Israele e i Palestinesi sull'indifendibile linea del '67. Ed è stato ricompensato: Obama durante la loro conversazione si è impegnato molto di più sull'Iran, ha ascoltato bene la determinazione del primo ministro israeliano a rifiutare i confini del '67 come confini destinati a portare alla guerra e alla rovina. I due dopo 24 ore di polemica sotterranea sul discorso di Obama, hanno dato un'impressione di sostanziale concordia nel condannare la politica aggressiva e atomica dell'Iran e sulla condanna di Hamas. Obama non è tornato sulla questione dei confini del '67, e ha ascoltato Bibi che insisteva con determinazione sul tema della sicurezza.
Obama, prima di parlare di Israele, nel suo discorso aveva gestito il suo intervento sul Medio Oriente con la solennità e la foga del cavaliere senza macchia: Tunisia, Egitto, Iran, Israele e Palestinesi sono passati sotto il suo scrutinio come sotto quello della giustizia e della forza americane stesse. Ma ha stonato nel momento in cui, nonostante le forti intenzioni, i programmi sono risultati retorici e poco fattivi. Obama ha voluto affermare di nuovo, ancora, i suoi principi: gli Usa sono amici dei buoni islamici. Per lui la rivolta islamica è fatta di bravi ragazzi che vogliono la democrazia contro i cattivi tiranni; Obama ama i primi e li aiuterà. Ma alla fine, i cattivi, cioè l'Iran, la Siria, il Bahrein, lo Yemen, hanno ricevuto una sgridatina senza la determinazione americana a favore movimento dei Verdi a Teheran, o dei siriani schiacciati dai carri armati. Assad resta per lui, anche dopo aver fatto mille morti, un leader forse da recuperare; Ahmadinejad, un orco mitologico contro cui gli Usa restano impotenti. È mancata inoltre quel minimo di cautela che occorre di fronte alla possibilità che masse avvelenate dal messaggio islamista e la Fratellanza Musulmana possano prendere il potere.
Obama è apparso contradditorio nel rivendicare come ispirazione basilare la visita al Cairo compiuta all'inizio del mandato, quando il dittatore Mubarak era l'amico privilegiato e l'Università di Al Azhar, dove Obama parlò, uno dei centri della Fratellanza Musulmana. Il sostegno promesso alle rivoluzioni si è impossessato impunemente, nel discorso, degli scenari opposti: diritti umani, libertà di espressione, parità fra uomo e donna. Obama è apparso come un credente appena convertito, per lui tutti i ribelli sono copie del tunisino Mohammed Bouazisi, condotto dall'umiliazione a darsi fuoco, e di Wael Ghonim, l'executive di Google di Piazza Tahrir. Su queste complesse rivoluzioni ci si poteva aspettare qualcosa di più di un compitino. L'interesse americano è rimasto silenzioso e rannicchiato, senza le cautele necessarie anche in una situazione di entusiasmo umanitario.
Su Israele Obama ha fatto un autentico guaio, anche stavolta contraddetto da buone intenzioni. Bibi Netanyahu, che ha visitato proprio ieri pomeriggio Obama alla Casa Bianca, ha di fatto indotto il presidente americano a scendere dal suo cavallo bianco, dal suo inusitato disegno del processo di pace con i Palestinesi, quando ha proposto i confini del '67. Sull'unificazione fra Fatah e Hamas gli israeliani si aspettavano una condanna piena dell'organizzazione terrorista che diventa uno stupefacente interlocutore in un colloquio che ha sempre rifiutato avendo nel suo programma la distruzione di Israele. Ma solo ieri Obama ha detto chiaramente che con un'organizzazione terrorista non si tratta. Aveva già compiuto, nel discorso, il passo di affermare che a settembre quando Abu Mazen porterà all'Onu la richiesta di riconoscere uno Stato palestinese proclamato unilateralmente, gli Usa non ci staranno, e che Israele deve essere riconosciuta come Stato del popolo ebraico. Arduo e giusto. Ma poi, si era avventurato nell'affermazione che cambia tutte le carte in tavola: Israele nei confini del '67 infatti sarebbe oltremodo vulnerabile, specie se esposta dalla parte della Valle del Giordano, esposta oltre la Giordania, verso i Sauditi, l'Iraq, l'Iran .
Obama nel discorso aveva anche detto che Gerusalemme e i profughi devono essere lasciati per una fase successiva. Ma ieri Netanyahu gli ha ripetuto in conferenza stampa che un'invasione dei pronipoti dei profughi del '48 distruggerebbe Israele demograficamente. E Obama ha taciuto. Quanto ai confini del '67: gli americani da decenni, basandosi sulla risoluzione 242 del novembre 1967, chiedono un «ritiro di Israele a confini sicuri e riconosciuti». Ma sono confini che chiudevano Israele in 16 chilometri. Parlare di swaps territoriali, riconosce implicitamente ai palestinesi il diritto a rivendicare quei confini e da adesso si può essere certi che lo brandiranno come una bandiera. Obama ha riflettuto nel suo atteggiamento la schizofrenia americana su Israele: da una parte, Israele è il suo migliore alleato, dall'altra vuole compiacere il mondo islamico. Ma ieri Netanyahu, dicendo semplicemente «non ci sto», lo ha costretto a capire più di quanto non avrebbe fatto cercando di compiacerlo.
Sono musulmano e sionista perché amo la democrazia e la libertà
di Astrit Sukni
Quando venne proclamata l'indipendenza dello Stato di Israele i Paesi arabi e vicini consigliarono ai palestinesi di abbandonare le loro case perchè presto sarebbero, gloriosamente, rientrati in possesso della loro terra, scacciando gli ebrei e buttandoli a mare.
Per fortuna ciò non è mai accaduto e, per colpa dei loro fratelli arabi, i palestinesi sono rimasti fuori dallo Stato di Israele con la speranza che un giorno avrebbero fatto ritorno.
Il Nakba dovrebbero rivendicarlo proprio in Siria, Libano e Giordania e non in Israele perchè Israele non ha nessuna colpa.
Oggi sono 63 anni che loro sono profughi senza status e senza diritti in Siria, Libano e Giordania. Sono una categoria di cittadini di serie B. Questo loro status è dovuto ai loro fratelli.
L' atteggiamento dei vicini di Israele denota chiaramente che i profughi palestinesi sono un peso e non portano nessun beneficio, perchè sono perfettamente coscienti che nè un popolo palestinese nè una Palestina non sono mai esistiti prima; nè ai tempi del mandato Britannico, nè ai tempi dell'occupazione ottomana, nè mai.
Dal mio punto di vista di musulmano, noto che la primavera araba non esiste e forse mai ci sarà . La democrazia tanto decantata e acclamata dai benpensanti e progressisti con in capo il presidente degli Stati Uniti d'America, Obama, sembra solo una pia illusione e dubito che tale democrazia possa avere terreno fertile nei Paesi arabi del Medio Oriente, cosi come anche nel Magreb. La democrazia non è compatibile con la Sharia.
Abbiamo notato come i dittatori arabi incolpano Israele quando il loro establishment è in serio pericolo e per distogliere l' attenzione chiamano in causa Israele.
Puntualmente le anime buone ci cascano e così comincia un tam-tam di notizie noiosissimo di (dis)informazione nei confronti di Israele: Israele colpevole perchè i profughi palestinesi sono stati abbandonati dai loro stessi fratelli; Israele colpevole per le varie cadute dei dittatori o per i disordini che tutt'ora hanno luogo in Siria.
In questi giorni il presidente iraniano Ahmadinejad è ai ferri corti con l'ayatollah Khamenei e, per distogliere l'attenzione della stampa, ha ben pensato di invocare Israele definendolo "un cancro da estirpare".
Storicamente i musulmani hanno sempre dato la colpa agli ebrei per colpa della loro incapacità di gestire il proprio popolo.
Ai vicini di Israele non conviene dichiarare guerra a Israele perchè i loro problemi irrisolti non si risolvono dichiarando guerra allo Stato di Israele. Abbiamo visto come è andata a finire nelle quattro guerre che hanno dichiarato in passato: sono usciti sconfitti e con maggiori problemi nel loro interno. I
sraele è l'unico Paese democratico e liberale in Medio Oriente e la sua democrazia potrebbe fare invidia a qualche democrazia occidentale.
I giovani arabi, se vogliono e desiderano la democrazia, devono imparare da Israele.
Imparare a costruirsi un futuro e vivere con dignità come fa Israele.
Le teocrazie non hanno mai portato nulla di buono in duemila anni di storia e le utopie hanno creato solo dei mostri come Assad, Ahmadinejad, i vari ayatollah, Gheddafi e Mubarak. Ed io sono musulmano e filosionista perchè amo la democrazia e la libertà di pensiero e queste due rare virtù risiedono in Israele.
La rassegna che ha permesso la scoperta dei valori e delle tradizioni della comunita' ebraica cremonese
CREMONA - "Il violinista sul tetto" è una rassegna che, attraverso conferenze, concerti, letture, ha accompagnato il pubblico alla scoperta della comunità ebraica cremonese, del rapporto tra il violino e la cultura ebraica, dei grandi violinisti legati alla tradizione ebraica del Novecento, del mondo e della cultura yiddish. Da Il violinista sul tetto, il suonatore onnipresente nelle opere del pittore Marc Chagall, è nata l'idea per realizzare questo progetto.
Nella cultura tradizionale ebraica il violinista ha un ruolo importante in occasione di nascite, matrimoni e funerali; inoltre un violinista sul tetto suggeriva le condizioni degli Ebrei di tutto il mondo: una vita instabile come quella di un musicista che cerca di suonare il suo strumento restando in equilibrio in cima ad una casa. Da qui l'idea della rassegna "Il violinista sul tetto", dove si sono toccati svariati aspetti della cultura ebraica, non solo sul piano musicale."
Sabato 21 alle ore 16,30 presso la Sala Puerari (Museo Civico - Via Ugolani Dati, 4 Cremona) "La nascita del violino e l'ambiente ebraico" sarà il tema della conferenza a cura di Elena Ferrari Barassi. (Ingresso gratuito)
Domenica 22 alle ore 11,00 presso la Sala S. Domenico (Museo Civico - Via Ugolani Dati, 4 Cremona) si terrà Klezmer Sefardì and Songs concerto suonato da: Lydia Cevidalli, Caterina Trogu Roehrich, Simone Bellucci, Gabriele Coen. L'introduzione all'ascolto sarà a cura di Gabriele Coen.
(Ingresso: € 7.00 biglietto intero; € 5.00 biglietto ridotto)
L'appuntamento conclusivo di tutta la rassegna sarà la conferenza "Il violino nella letteratura ebraica" a cura di Paola Sacerdoti e si svolgerà giovedì 26 alle ore 16,30 presso Sala Puerari (Museo Civico - via Ugolani Dati, 4 Cremona). (Ingresso gratuito)
Per informazioni: Libreria Cremonabooks
tel. 0372-31743
info@cremonabooks.com
L'infiltrazione della Fratellanza Musulmana nelle istituzioni americane
Gli autori di un innovativo rapporto intitolato Sharia: la minaccia per l'America hanno fatto appello al Congresso affinché faccia qualcosa di cui la Casa Bianca non sembra intenzionata a incaricarsi: un'indagine scrupolosa riguardo al livello di accesso e d'influenza sul governo degli Stati Uniti raggiunto dalla subdola "civilization jihad" della Fratellanza Musulmana.
Abbiamo pubblicato di recente un'analisi competitiva della dottrina politico-militare-legale che anima chi porta avanti la jihad: Sharia: la minaccia per l'America. Una delle conclusioni più importanti del rapporto del nostro "Team B II" è stato il fatto che i seguaci della sharia, nel perseguire la propria dottrina, utilizzano tecniche subdole - oltre che mezzi violenti - per raggiungere il proprio obiettivo, che è quello d'imporre la sharia su scala mondiale e restaurare un Califfato teocratico....
ROMA, 20 mag. - Open House Roma partecipera' il 22 maggio a Tel Aviv al Global Forum Open House Worldwide. Un evento internazionale che consiste nell'apertura al pubblico durante il fine settimana degli edifici che rappresentano la migliore architettura di una citta'. Questa sara' quindi la volta della capitale israeliana.
L'evento gratuito, organizzato dal Comune di Tel Aviv e presieduto dal sindaco Ron Huldai, avra' come protagonisti i rappresentanti di Open House di tutto il mondo. A presentare il progetto romano sara' l'architetto Leonardo Mayol, Presidente dall'associazione no-profit Open City Roma, organizzatrice dell'evento.
Open House Roma in fase di pianificazione, e' promosso anche da FGTecnopolo, realta' imprenditoriale affermata a livello internazionale nel settore dell'ingegneria e dell'architettura.
L'Egitto incontra i dirigenti dell'Israeli Initiative
I dirigenti israeliani del popolare "Israeli Initiative", gruppo di pace, ha incontrato questo givoedì al Cairo il capo della Lega Araba, Nabil Elaraby.
All'incontro erano presenti Yaacof Perry, l'ex ambasciatore israeliano all'ONU Danny Gillerman, l'ex capo del Mossad Danny Yatom e l'ex capo dell'IDF di stato maggiore Amnon Lipkin-Shahak. Nel corso della riunione, la delegazione ha presentato al capo della Lega Araba le proposte del gruppo per una soluzione del conflitto arabo-israeliano sulla base di una iniziativa dell'Arabia saudita nel 2002. Secondo alcune fonti, l'incontro con la delegazione israeliana è stato voluto dal Ministero degli Affari Esteri egiziano che ha contattato il gruppo dopo alcune rivelazioni di questi ultimi circa un piano per l'attuazione della pace durante una conferenza stampa a Tel Aviv nel mese di aprile. Durante l'incontro, il capo della Lega Araba ha dichiarato che "dal punto di vista dell'Egitto non c'è alternativa alla pace. L'Egitto deve acconsentire alla pace con Israele e deve essere favorevole al processo che l'accompagnerà per arrivarci". "La soluzione - ha concluso - alla crisi Israele Palestina è la chiave per raggiungere la pace nella Regione".
Da Tel Aviv la rivoluzione dei rifiuti sbarca a Civitavecchia, si ricicla senza differenziare
La città portuale laziale sarà il primo Comune in Italia a sperimentare il progetto pilota della società israeliana 'Arrow Bio International' che risparmierà ai cittadini 'l'incombenza' di separare vetro, plastica, organico e metalli.
ROMA, 20 mag. - Da Tel Aviv a Civitavecchia, la rivoluzione dei rifiuti sbarca nel Lazio. La città portuale sarà il primo Comune in Italia a sperimentare il progetto pilota che consentirà di riciclare rifiuti risparmiando ai cittadini 'l'incombenza' di differenziare vetro, plastica, organico e metalli, e archiviando definitivamente il dibattito sui termovalorizzatori. Il sistema, brevettato dalla società israeliana 'Arrow Bio International' e attivo a Tel Aviv ma anche in città americane come Los Angeles e New York, prevede la costruzione di un impianto in grado di separare il 'tal quale', l'immondizia così come viene buttata senza che sia stata differenziata, saltando il processo di combustione.
"La realizzazione dell'impianto, con un costo stimato di circa 20 milioni di euro, sarà affidata alla società israeliana e successivamente gestita da 'Città Pulita', che si occupa dei rifiuti sul territorio - annuncia all'ADNKRONOS il sindaco di Civitavecchia Giovanni Moscherini - Con questo sistema si arriva a differenziare l'80% dei rifiuti: vuol dire superare anche le città piu' virtuose, come Verona, dove le percentuali di differenziata si aggirano sul 45-48%".
"E' un sistema molto semplice in cui la raccolta differenziata anzichè a monte viene fatta a valle - spiega Moscherini - I rifiuti vengono sversati in un percorso d'acqua di circa 150 metri, lungo il quale avviene la separazione tecnica: tutto ciò che galleggia viene separato e indirizzato alle fabbriche di riciclaggio; a metà di questo fiumiciattolo un nastro trasportatore, che è una sorta di calamita, attrae metalli, vetro e quant'altro; infine, tutto ciò che è umido va in un nastro situato in fondo al percorso e viene portato in depositi che producono biogas. Quello che resta, il 15-20%, è un rifiuto pulito, e quindi facilmente riciclabile nell'agricoltura o in altre attività".
Voluto dal sindaco di Civitavecchia, che non ha mai nascosto la sua posizione fortemente critica rispetto all'ipotesi di bruciare compost nel territorio da lui amministrato, il progetto ha ottenuto l'ok della Regione.
"Nel piano rifiuti della Regione Lazio siamo riusciti a conquistare la possibilità di essere i primi a sperimentare questo progetto, e di questo ringraziamo la presidente Polverini - prosegue Moscherini - Il vantaggio vero è che non è prevista combustione: tratteremo i rifiuti senza il pericolo della presenza di diossina o altre sostanze tossiche derivanti dai sistemi tradizionali dei termovalorizzatori".
Quanto alla realizzazione e alla gestione dell'impianto, il primo cittadino spiega che "l'investimento lo farà in prima battuta la società israeliana che ha brevettato il progetto, probabilmente con soci italiani: la nostra società dei rifiuti, 'Città Pulita', lo gestirà".
Un robot in miniatura per operare il cervello: ecco uno degli ultimi frutti della collaborazione italo-israeliana. Il progetto - che sarà presentato alla stampa domenica 22 maggio - combina robotica, medicina e biotecnologia. Il mini-robot è stato elaborato dal Technion Institute, l'Istituto israeliano della Tecnologia, noto per essere un polo di eccellenza di livello internazionale, con l'aiuto della Commissione commercio italiana. «Siamo fieri di questo progetto», dichiara soddisfatta Marina Scognamiglio, a capo della Commissione.
La presentazione del ritrovato avverrà nel quadro del decimo appuntamento annuale Ilsi-Biomed, importante conferenza-convegno di tre giorni (quest'anno dal 23 al 25 maggio) di Tel Aviv. La conferenza - spiegano gli organizzatori - vuole essere un «punto d'incontro per l'industria e la scienza, da Israele e dall'estero». Almeno dieci imprese italiane attive nei settori biomedico e biotecnologico prenderanno parte all'evento. Oggi in Italia esistono circa 320 aziende specializzate in biotecnologia e nella produzione di farmaci e strumenti medico-sanitari altamente tecnologici. Il 53 per cento di esse è nato da un progetto start-up; il 24% ha invece preso le mosse dai laboratori di ricerca degli atenei.
Israele eleva l'allerta, marce lungo le frontiere con Libano e Siria
Israele ha elevato lo stato di allerta lungo le proprie frontiere settentrionali. La decisione è stata adottata in seguito al moltiplicarsi di appelli in Libano e in Siria a organizzare oggi marce di protesta palestinesi nell'intento di superare le barriere di confine, così come è avvenuto nel Golan occupato il 15 maggio scorso in occasione della Giornata della «Naqba». Con questo termine i palestinesi si riferiscono al 'disastro' della costituzione dello stato di Israele, 63 anni fa.
Secondo la radio militare, misure rafforzate di sicurezza sono state adottate dalle forze dislocate nel nord di Israele e anche dalla polizia, che è stata incaricata di seguire possibili mobilitazioni di protesta anche fra gli arabi della Galilea.
Da Gaza si ha inoltre notizia che al termine delle preghiere nelle moschee gruppi di dimostranti potrebbero cercare di lanciarsi verso il valico di Erez (che conduce a Israele) - così come è avvenuto il 15 maggio scorso - oppure contro altri reticolati.
Nella Giornata della Naqba i molteplici tentativi di abbattere i reticolati di frontiera lungo il confine con il Libano, sul Golan e ai margini di Gaza sono costati la vita a 14 dimostranti. Circa 150 dimostranti provenienti dalla Siria (per lo più di origine palestinese) sono riusciti a raggiungere la cittadina drusa di Majdal Shams e sono stati costretti a rientrare in Siria poche ore dopo dall'esercito israeliano.
Donatori ebraici Usa scontenti dell'operato di Obama
NEW YORK, 20 mag. - I donatori e finanziatori ebraici della campagna per la rielezione del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, avvertono che, a causa della sua gestione del conflitto israelo-palestinese, l'attuale inquilino della Casa Bianca rischia di perdere il loro sostegno. Secondo alcune persone intervistate dal Wall Street Journal, la comunità ebraica statunitense accusa Obama di aver avuto un atteggiamento eccessivamente rigido con Israele. Le lamentele della comunità ebraica statunitense sono giustificate dal fatto che Obama non ha ancora visitato Israele e che, l'anno scorso, ha abbandonato in anticipo un incontro con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Ciononostante, non è facile stabilire quanto sia diffuso il malcontento ebraico sull'operato di Obama. Oggi, nel discorso enunciato al dipartimento di Stato, il presidente ha tentato di gettare le basi per un suo riavvicinamento a Israele. Dopo aver affermato la necessità di "una soluzione (al conflitto israelo-palestinese) che preveda due Stati" e che le frontiere delle nuove entità politiche siano basate su quelle del 1967, Obama ha ribadito "il nostro (degli Stati Uniti) impegno per la sicurezza di Israele". I prossimi giorni saranno decisivi per il futuro delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Israele, il presidente venerdì incontrerà Netanyahu mentre domenica parlerà all'American Israeli Public Affairs Committee, la maggiore lobby ebraica negli Stati Uniti. Malcolm Hoenlein, vice presidente della Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations, gruppo che riunisce i dirigenti delle più importanti organizzazioni ebraico-americane, ha riconosciuto che il malcontento della sua comunità può avere un suo peso in un'eventuale rielezione del presidente. Nel 2008, gli ebrei ammontavano a circa il due per cento dell'elettorato americano. In quell'occasione, oltre il 78 per cento di loro hanno votato per Obama.
Terrorismo: gli Usa mettono un gruppo islamico di Gaza sulla lista nera
WASHINGTON, 20 mag - Gli Stati Uniti hanno annunciato ieri di aver posto l'Esercito dell'Islam (Jeish el Islam), un gruppo fondamentalista islamico della striscia di Gaza sulla loro lista nera delle organizzazioni terroristiche internazionali. Questo gruppo - afferma il Dipartimento di Stato in un comunicato - ''cerca di allacciare legami con Al Qaida'' e ha diramato il 7 maggio scorso un messaggio di condoglianze per la morte di Osama bin Laden. L'inserimento sulla lista nera significa che tutti gli eventuali beni del gruppo negli Stati UNiti saranno congelati. Ai cittadini americani e' inoltre vietato sostenere il gruppo. L'Esercito dell'Islam e' stato accusato di aver tirato razzi contro Israele e di aver sequestrato diversi giornalisti occidentali. Washington accusa inoltre il gruppo di aver commesso attentati contro civili in Egitto all'inizio del 2009. Lo scorso gennaio l'Esercito dell'Islam ha negato di essere coinvolto nell'attentato contro una chiesa copta ad Alessandria d'Egitto che ha causato piu' di 20 morti la notte di Capodanno.
ISRAELE: Si festeggia l'inaugurazione del Beth Chabad più grande in Israele
Lo scorso mese, nella cittadina di Be'èr Shèva è stato inaugurato il nuovo Beth Chabad. Questa meravigliosa costruzione, di notevoli dimensioni, è stata realizzata grazie alla generosità di Michael Mirilashvili in memoria del padre Moses Mirilashvili. La cerimonia inaugurale, per volontà della famiglia, è avvenuta il 16 Nisan, primo giorno di Chol Hamohèd di Pésach, data che coincide con quella della scomparsa di Moses.
Il nuovo centro è il più grande Beth Chabad esistente oggi in Israele. La struttura, di estrema importanza per la vita di ogni ebreo, comprende una sinagoga, una sala, una biblioteca per i giovani e i bambini e strutture dedicate all'apprendimento. Il Beth Chabad si può considerare la risorsa fondamentale di ogni comunità ebraica, poiché permette a ciascun ebreo di trovare la propria strada seguendo un cammino illuminato, di trovare risposte alle proprie domande e aiuti alle proprie necessità.
Gli ospiti, tra cui Chacham Moshe Michlashvili, rabbino capo della comunità ebraica della Georgia, rav Yitzchok Dovid Grossman, rabbino capo di Migdal Haemek, e rav Yaakov Gagolashvili, rabbino della comunità di Ashdod, si sono riuniti per assistere all'affissione della mezuzah da parte di Michael Mirilashvili, e hanno poi proseguito accompagnando gioiosamente il nuovo Sefer Torah nella sinagoga dell'edificio.
La festa di inaugurazione è stata caratterizzata da cibo e musica, con una speciale performance di sei nipoti di Moses Mirilashvili, i quali hanno affiancato il cantante chassidico Mendy Gerufi, e da un pranzo festoso a cui hanno partecipato anche il rabbino capo askenazita di Israele Yona Metzger, rav Yitzchok Yehuda Yuroslavsky del Beth Din Rabbanei Chabad (Tribunale Rabbinico Chabad), rav Yosef Yitzchok Aronov di Tzeirei Agudat Chabad.
Il centro aprirà ufficialmente intorno al 3 di Tammuz.
CASALE MONFERRATO - All'enoteca del castello di Casale Antonio Monaco, presidente di Monferrato Cult, ha presentato il sesto Festival internazionale di cultura ebraica OyOyOy!
Si incomincia giovedì 2 giugno alle ore 11 con un evento che anima cappella, cortile e spalti del Castello di Casale: OyOyOy!Rewind. Facce da Festival una grande e originale mostra multimediale che "vestirà" il maniero con opere, installazioni e video per riproporre le immagini e le parole più significative del Festival.
Subito dopo l'inaugurazione, la musica si muove per le vie del centro storico casalese e alle ore 11,45 l'Orchestra Bailam comincia il suo spettacolo itinerante "Fratelli d'Italia il klezmer si è desto", una marcia dal Castello alla Sinagoga che è un omaggio ai suoni d'Italia, del Mediterraneo e della musica klezmer.
Giunti alla Sinagoga alle ore 12 il fotografo Pino Ninfa presenta il suo "In viaggio con Antonio Brioschi da Casale Monferrato a Stoccolma". L'idea è quella di rivisitare luoghi dove Brioschi ha soggiornato o che sono stati testimoni della esecuzione della sua musica, come nel caso di Lisbona.
Il 2 giugno è anche la Festa della Repubblica. Il Festival lo celebra con due appuntamenti: il primo - alle ore 16,30 - è una "Staffetta multilingue" (italiano, inglese, arabo, ebraico albanese...) di letture della Costituzione, aperta dall'attrice italo - etiope Caterina Deregibus, un modo per ricordarci che sta nascendo una nuova Italia dove la Costituzione può diventare - o meglio: deve rimanere - l'elemento unificatore.
Il secondo appuntamento propone in anteprima nazionale un concerto che abbiamo già antiipato: "Cantiamo la Costituzione Italiana" eseguito da L'Opera dei Ragazzi e il Coro Gesher diretto Erika Patrucco con l'accompagnamento al pianoforte di Giulio Castagnoli
La sera, siamo sempre al 2 giugno, il Teatro Municipale di Casale ospita alle ore 20,30 il primo dei due grandi concerti di ospiti internazionali previsti dal Festival. Canta (e balla) insieme al suo gruppo l'egiziana di origine ebraica sefardita Natacha Atlas e ci porta le voci e i suoni mediterranei, dove la storia ha ricominciato a correre.
Per tutte la giornata così come nei giorni seguenti nella manica del Castello si svolge la Fiera libraria interculturale Un ponte di libri: una rassegna completa del meglio della letteratura e della saggistica multiculturali, con i maggiori scrittori e gli illustratori più emozionanti. Un'attenzione speciale sarà rivolta ai bambini e alle famiglie, con una proposta di animazioni, piccoli spettacoli e giochi (con merenda) nel pomeriggio.
Venerdì 3 giugno si comincia alle 16 alla Biblioteca ragazzi del Castello con "La merenda giusta per me": Letture e disegni, a partire dal volume della scrittrice americana Ruby Roth "Indovina chi c'è nel piatto?". Ci sarà anche un laboratorio gastronomico, sotto la guida di Barbara Corino, in collaborazione con l'Associazione Amici della Biblioteca. Il pomeriggio dedicato ai più piccoli prosegue con letture e animazioni con il Magico Teatro di Claudio Castelli. Appuntamento clou del festival il 3 giugno al Teatro Municipale alle ore 20,30: Arrivano a Casale le note sorprendenti e originali del pianoforte di Uri Caine. Un grande interprete per un jazz particolare, una miscela di musica ebraica, classica ed elettronica.
Sabato 4 giugno alla Galleria Il Labirinto meeting albanese e mediorientale. Alle ore 16,30 arriva infatti la scrittrice albanese Anilda Ibrahimi alla presenza del Console Generale d'Albania e della grande comunità albanese monferrina che da anni vive intensamente il Festival. Ci saranno anche l'artista italo-libanese Ali Hassoun e lo storico Claudio Vercelli.
Ali Hassoun sarà anche protagonista di una sua mostra personale - Opere su carta - sempre alla Galleria Il Labirinto (inaugurazione ore 18,30): un incontro tra due mondi culturali fondamentali come l'Italia e il Medio Oriente.
Domenica 5 giugno appuntamento a Moncalvo alle 11 per una visita straordinaria al cantiere aperto del cimitero ebraico in fase di restauro. Introduzione storica di Annie Sacerdoti e presentazione del cantiere dell'architetto Andrea Milanese.
Contemporaneamente a Casale alle 11,30 si svolge un eccezionale aperitivo con l'artista Silvio Vigliaturo, dove incontrerà David Terracini e Giuliana Bussola, dialogando con il pubblico sul tema della cultura, delle sculture e delle mescolanze. verso gli animali.
Evento conclusivo del Festival è il concerto in Sinagoga alle ore 21,30 dedicato al compositore Antonio Brioschi, "La Sinfonia che nasce dal ghetto" con il gruppo Atalanta Fugiens.
Cannes: ebrei francesi "inorriditi" dalle frasi di Lars Von Trier
PARIGI - Il Consiglio delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif) si e' detto ''inorridito'' per le dichiarazioni del regista Lars von Trier, il regista di 'Melancholia', che ha scatenato un putiferio al Festival di Cannes per alcune affermazioni su Hitler, Israele e le sue simpatie nazista, poi in qualche modo smentite. Le dichiarazioni del regista, scrive il Crif in un comunicato, ''traducono nella loro ignominia le tendenze piu' inquietanti della banalizzazione attuale del nazismo. Conducono all'idea che, nonostante qualche errore, Hitler non era cosi' cattivo e che il suo bilancio deve essere giudicato con ponderazione''. Il Crif ritiene che ''Lars von Trier non ha niente da fare al Festival di Cannes dove una parte dei partecipanti sarebbe stata inviata nei campi di concentramento da Hitler, quest'uomo per il quale prova tanta simpatia''. Il regista e' stato dichiarato oggi ''persona non gradita'' dal Festival di Cannes ma non e' stato escluso dalla competizione.
Piantati 10mila alberi dedicati all'uomo che spacciandosi per console spagnolo salvò migliaia di ebrei
di Marco Nese
Giorgio Perlasca
MILANO - Gli alberi come simbolo delle vite salvate. Con questo spirito in Israele è stata inaugurata una foresta dedicata a Giorgio Perlasca, lo Schindler italiano che strappò ai carnefici tedeschi più di 5 mila ebrei ungheresi. Una foresta di 10 mila alberi con pini, cipressi eucalipti, fichi, querce e pistacchi.
LA STORIA - Li ha fatti piantare Walter Arbib, un uomo con una sua straordinaria storia personale. Ebreo nato in Libia, negli anni Sessanta vide la sua casa a Tripoli incendiata dai libici. Fuggito in Italia, e' divenuto imprenditore e filantropo. E' titolare della compagnia aerea «SkyLink», con base in Canada. Fu lui a curare il trasporto del famoso obelisco di Axum, quando l'Italia decise di restituirlo all'Etiopia. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nei giorni scorsi ha visitato Israele, ha molto apprezzato l'iniziativa di Arbib e gli ha fatto consegnare una targa su cui sono messi in evidenza il coraggio e la profonda umanità di Perlasca. «Un uomo normale - lo ha definito il figlio Franco durante la cerimonia - non un eroe, perché lui riteneva di aver fatto solo il proprio dovere». In effetti, a chi gli chiedeva perché si fosse esposto a tanti pericoli rispondeva sempre: «Lei cosa avrebbe fatto al posto mio?». Durante la Seconda guerra mondiale, Perlasca lavorava in Ungheria per una ditta che importava bestiame. Alcuni Paesi, fra cui la Spagna, avevano facoltà di concedere asilo agli ebrei. Perlasca cambiò il suo nome Giorgio in Jorge e, spacciandosi per diplomatico spagnolo, ingannò i tedeschi e prese sotto la sua protezione migliaia di ebrei. «Molte persone hanno potuto avere una vita, hanno visto nascere figli e nipoti, grazie a Perlasca», ha detto il vicepremier d'Israele Silvan Shalom, mentre su uno spiazzo, in mezzo alla foresta, scopriva la lapide sulla quale lo Schindler italiano è celebrato come «un Giusto delle Nazioni». Convinto di aver compiuto solo un dovere umanitario, Perlasca non parlò con nessuno della sua straordinaria vicenda. Fino al 1988 - racconta il figlio Franco - io non sapevo nulla di cio' che aveva fatto. Finche' un giorno si presentarono a casa a Padova due anziani signori. Erano due degli oltre 5 mila salvati da mio padre. Avevano cercato per anni il loro salvatore e ora lo avevano trovato». I 10 mila alberi che adesso ricordano il coraggio di un «uomo normale» sono stati piantati a cominciare dal 2004 su una collina della Galilea. E si è atteso che crescessero prima di celebrare l'iniziativa. Fanno parte della Ahihud forest, una grande distesa di alberi piantati all'inizio degli anni Cinquanta dagli ebrei emigrati verso il nuovo stato israeliano.
Il top dell'industria biomedica italiana a Tel Aviv
TEL AVIV, 19 mag. - Sono 10 le aziende italiane delle biotecnologie e attrezzature biomedicali in partenza per Tel Aviv dove, dal 23 al 25 maggio, si svolgera' la decima edizione di "Ilsi biomed", manifestazione mondiale del settore, che ogni anno raccoglie in Israele imprese, istituti e centri di ricerca provenienti da molti Paesi e in particolare dagli USA.
Quest'anno prenderanno parte all'evento 7 aziende e 3 centri accademici e di ricerca italiani, alcuni dei quali gia' coinvolti in operazioni di collaborazione scientifica e industriale con controparti israeliane. "Israele - dicono fonti dell'Istituto per il commercio con l'estero (Ice) che guideranno la delegazione italiana - e' leader nel settore delle biotecnologie e in quel Paese sono attivi i principali istituti mondiali di ricerca nel settore, noti per la loro eccellenza in ambiti come le malattie autoimmuni, il cancro e la neurologia". "L'Italia - proseguono dall'Ice - rappresenta il secondo partner di Israele, dopo gli USA, per esportazioni di prodotti e la manifestazione sara' utile per consolidare i rapporti". In particolare il 23 maggio l'Ice, in collaborazione con il Technion Institute di Haifa, organizzera' un convegno sull'innovazione italiana nei settori delle protesi.
La biblioteca giardino per rifugiati e lavoratori immigrati, di via Neve Sha'anan nel cuore di Levinski Park a Tel Aviv, ideata dall'architetto israeliano Yoav Meiri insieme ad ARTEAM, nasce come progetto di riqualificazione urbana ed integrazione sociale.
Collocata sulla strada pedonale che porta dalla principale stazione cittadina degli autobus alla periferia sud, la biblioteca si installa in un quartiere residenziale internazionale, un ghetto popolato da rifugiati e immigrati illegali relegati ad una condizione di invisibilità e precarietà abitativa. Il parco Levinski è un luogo di aggregazione, un area di sosta e di attesa per centinaia di persone senza un occupazione, ma anche piazza di spaccio di droghe e altre azioni criminali.
La struttura, progettata e realizzata tra il 2009 e il 2010 con il contributo del Comune di Tel Aviv ed il sostegno di numerosi volontari, è stata concepita senza confini architettonici: estesa per un area di 50 mq, senza porte, tetto e custodi all'ingresso, è stata inglobata nello spazio pubblico del parco, divenendone parte integrante come una sorta di elemento d'arredo urbano. Il progetto risponde all'esigenza di non esercitare nessuna forma di sorveglianza claustrofobica sul lettore, quotidianamente relegato in una condizione di clandestinità sociale, affermandone il diritto alla lettura, come momento di fuga, di rifugio e di ricerca di identità.
La biblioteca è costituita da due scaffali d'acciaio protetti da serrande a palpebra in vetro e acciaio, di un estetica essenziale e razionale, disposti uno di fronte all'altro e collocati tra due rifugi antiaerei preesistenti. Lo scaffale più alto è destinato agli adulti, quello più basso contiene i libri per l'infanzia. Negli orari di apertura, la palpebra dello scaffale per adulti si solleva creando un pergolato che ripara libri e lettori da sole e pioggia. La palpebra dello scaffale per i bambini si apre invece verso il terreno ed è imbottita di cuscini, per fornire loro un comodo riparo dove leggere e rilassarsi. Durante la notte, grazie ad un sistema interno di illuminazione, i libri brillano nell'oscurità del parco.
La biblioteca possiede circa 3.500 volumi, tutti donati volontariamente da autorità e benefattori, tradotti in aramaico, arabo, turco, bengalese, inglese, francese, ebraico, hindi, cinese mandarino, nepalese, rumeno, spagnolo, tagalog e thailandese, tutte le lingue ufficialmente censite all'interno del ghetto. I testi per bambini sono per lo più in ebraico. La collezione comprende libri per ogni gusto, dai classici ai contemporanei, dai best-sellers ai gialli, dai romanzi rosa alla letteratura disegnata.
I volontari che gestiscono la biblioteca hanno scelto un sistema non convenzionale di catalogazione, che riflette lo spirito ideologico della progetto: invece del tradizionale ordine per autore e genere i libri vengono associati in base ai sentimenti che risvegliano nell'ultimo lettore che li ha avuti tra le mani. E' stato così creato il settore libri divertenti, stravaganti, noiosi, deprimenti, emozionanti, suggestivi, sentimentali, scelte arbitrarie e mai definitive che aprono discussioni tra i lettori, in una commistione e
confusione di lingue e generi. Come il popolo migrante ed esule del quartiere, i libri vagano da un luogo all'altro, da uno scaffale all'altro, portando con sé storie ed emozioni e trovando di volta in volta una nuova e personale collocazione.
La biblioteca è una struttura temporanea e mobile, trasportata nel cuore del parco da un camion e pronta per l'uso. Nel quartiere c'è chi prospetta la sua scomparsa definitiva, chi un suo trasloco, chi più ottimisticamente un importante ampliamento. L'architetto Yoav Meiri, parlando del futuro della sua biblioteca, conserva saldo il principio effimero del proprio progetto, lasciando aperta la porta ad ogni possibilità di cambiamento ed inversione di rotta, per rispondere filosoficamente ed in concreto alle dinamiche di un area abitativa in continua evoluzione e trasformazione.
Collateralmente alla gestione ordinaria della biblioteca, l'organizzazione ha affiancato un progetto indipendente di fruizione online della raccolta libraria, per offrire a coloro che per questioni geografiche non potessero visitare lo spazio di Levinski park la possibilità di ordinare e catalogare i libri della biblioteca all'interno di scaffali virtuali secondo il sistema di catalogazione "per emozioni", di creare nuove categorie, di scrivere recensioni ed aprire dibattiti con il resto della comunità di lettori.
L'obiettivo principale del progetto di Yoav Meiri e ARTEAM, è quello dei educare le future generazioni. Ai giovani lettori la biblioteca offre la possibilità di trovare un luogo di aggregazione socialmente tutelato, in grado di offrire una educazione alla lettura, un sostegno all'apprendimento della lingua ebraica come idioma d'istruzione primaria, nonché proporre numerose attività laboratoriali e ludiche totalmente gratuite.
«Tutti sono preoccupati per il futuro del pianeta. Vivrà benissimo con o senza di noi» (Brian Berkowitz)
di Luca Salvioli
«Il termine "cleantech" è nato soltanto nel 2002. I venture capitalist di tutto il mondo hanno subito detto: «È la nuova internet». Investimenti dei privati e dei governi, ricerca e tecnologie per la produzione di energia con il minor impatto possibile sull'ambiente hanno reso il concetto molto popolare. Nel 2011 c'è anche una nuova priorità: il "water management". La scarsità di acqua non è un problema futuro, c'è già. In California, in parte dell'Australia, in Africa, in Medioriente, persino in Europa non c'è Paese che non abbia problemi in alcuni periodi dell'anno». Depurazione, messa in sicurezza, software per la gestione e il monitoraggio della rete idrica, desalinizzazione, irrigazione intelligente: diamo l'acqua per scontata ma la sue gestione è un lavoro complesso e ad alta tecnologia.
«Non è la nuova internet: ha tempi di ritorno degli investimenti molto più lunghi - continua Assaf Barnea, ceo di Kinrot ventures, il più grande incubatore al mondo dedicato a start-up attive nella gestione delle acque e cleantech - ma dal 2004, quando colossi come Ge e Siemens hanno deciso di entrare nelle tecnologie per la gestione delle acque, si è attivato il venture capital e altri colossi, come Ibm». Nella palazzina di Herzlya, a nord di Tel Aviv, dove ha sede Kinrot, ci sono gli uffici di 12 aziende che si stanno per affacciare sul mercato.
Non è un caso che il primo incubatore specializzato sia nato in Israele. L'emergenza idrica qui è una realtà da decenni e la gestione delle acque ha una lunga tradizione che ha seguito l'ambizione di «far fiorire il deserto» (made the desert bloom). Qui è nato uno dei sistemi di irrigazione più efficienti al mondo, noto come "drip irrigation", che arriva alla singola pianta senza sprechi. È adottato in tutto il mondo grazie a Netafim, che commercializza i suoi prodotti dal 1965 e oggi è una multinazionale con sede nel verdissimo kibbutz Hatzerim. Israele ricicla il 75% delle acque, riutilizzandole per l'agricoltura. La grande centrale Shafdan, a Rishon LeZion, tratta le acque municipali e industriali con un lungo procedimento e un percorso di tubi e vasconi, dove microbi e batteri separano gli elementi contaminati dall'acqua, che poi viene utilizzata per irrigare.
Il programma nazionale Israel NewTech punta a raddoppiare l'export delle aziende del settore, promuovere la ricerca e le partnership. «Dell'acqua sappiamo che arriva e che va, ma nulla di più - dice Benjamin Levy, responsabile marketing e business development di Miltel - il nostro sistema ti informa fino a sei volte al giorno su quanto stai consumando, portando a un risparmio del 15 per cento». Ci sono poi i sistemi digitali per la sicurezza: «Monitoriamo in tempo reale la tossicità della acque: vengono contaminate non solo per fini terroristici, anzi, più spesso succede per errori o vandalismo» aggiunge un tecnico di Whitewater.
La desalinizzazione delle acque marine entro il 2013 darà acqua potabile al 35% del Paese. Il maxi impianto di Ashkelon, della Ide technologies, è il secondo più grande al mondo e si basa sull'osmosi inversa. Ashkelon ha una capacità di 118 milioni di metri cubi di acqua all'anno «con il risultato più economico mai raggiunto: 52-3 centesimi di dollaro per metro cubo - spiega Ezra A. Barkai, desk manager Europa e Africa di Ide -. Il sale che estraiamo torna in mare». L'osmosi inversa separa l'acqua dal sale sparandola a fortissima pressione dentro membrane semipermeabili. Il risultato è un bicchiere d'acqua potabile.
Conclusi i restauri delle lapidi e della recinzione del cimitero ebraico di Lugo
Il cimitero ebraico di Lugo
LUGO (RA) - Un'apertura straordinaria e un libro: così Lugo festeggia la conclusione dei lavori di recupero del cimitero ebraico di via di Giù.
Mercoledì 25 maggio, dalle 10 alle 17, si potrà visitare la storica struttura dopo i restauri delle lapidi e del muro di recinzione. L'inaugurazione ufficiale è prevista alle 15: interverranno il sindaco Raffele Cortesi e il rabbino capo della comunità di Ferrara, Luciano Caro, in cui ricade anche quella lughese.
Alle 17 poi, nella sala convegni della Fondazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte di Lugo (via Manfredi 10) verrà presentato il libro, realizzato con il contributo della Fondazione, "Il cimitero ebraico di Lugo" (edizioni Giuntina) curato da Mauro Perani, Antonio Pirazzini e Giacomo Corazzol. Alla presentazione del volume interverranno, oltre agli autori, al sindaco e al rabbino capo, Ines Marach e il presidente della Fondazione Maurizio Roi.
Caro, nato a Torino nel 1935, è rav (rabbino) della comunità ebraica di Ferrara dal 1989: dopo la laurea in scienze politiche e gli studi teologici è stato vice rabbino a Torino, poi rabbino a Trieste e Firenze. E' a lui che abbiamo chiesto l'importanza che riveste la riscoperta del cimitero ebraico lughese.
- Caro, in quale territorio esercita il suo ministero? La mia competenza territoriale è vasta, comprendendo le province di Ferrara, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. Alla nostra comunità sono iscritte un centinaio di persone, cui devono aggiungersi un numero imprecisato di ebrei, per lo più stranieri, che non sono iscritti a comunità italiane. Mi occupo inoltre delle comunità di Pisa e Parma.
Il rabbino Luciano Caro
- Il 25 maggio verranno presentati a Lugo gli esiti del restauro delle lapidi del cimitero ebraico locale. Che importanza ha per l'ebraismo la salvaguardia della memoria? Un'importanza fondamentale. Per gli ebrei il passato, il presente ed il futuro sono ugualmente rilevanti, con una valenza teologica elevata quanto quella storica. Aggiungo inoltre che gli ebrei italiani hanno particolarmente vivo il legame con la loro comunità di origine, anche quando si trovano all'estero. Per questo la nostra comunità ha da tempo promosso un progetto di recupero e salvaguardia dei cimiteri ebraici del territorio, che si trovano a Ferrara, Cento e Lugo. La limitatezza delle risorse rallenta l'esecuzione del progetto, che oggi trova a Lugo una realizzazione grazie anche al determinante contributo della Fondazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte e il Comune di Lugo. La comunità ebraica lughese ha avuto un passato glorioso, raggiungendo in età moderna il numero di 600 unità.
- Come sono attualmente i rapporti con le istituzioni ecclesiali cattoliche del territorio? Molto cordiali, sia sul piano istituzionale che personale. Per ovvi motivi vi sono contatti più stretti con l'arcivescovo di Ferrara, monsignor Paolo Rabitti. Sono rimasto in ottimi rapporti anche con il suo predecessore monsignor Carlo Caffarra, l'attuale cardinale arcivescovo di Bologna.
Un falafel gigante, la polpetta di ceci con prezzemolo, cipolla e spezie, piatto tipico della cucina mediorientale, ha conquistato il nuovo record del Guinnes dei primati battendo quello precedente ottenuto da un cuoco israeliano a New York, che aveva cucinato un falafel del peso di circa 11 chili.
L'enorme falafel (circa 24 chili) è stato cucinato per il Santa Clarita Valley Jewish Food and Cultural Festival, grande evento dedicato alla cucina ebraica, che si svolge annualmente in California attestandosi come il più grande al mondo nel suo genere. Le norme vigenti in materia sanitaria hanno impedito però la degustazione della polpetta. Dawn Walker, questo il nome dell'audace cuoco che ha realizzato l'impresa, aveva già fatto un tentativo allenandosi due settimane prima e realizzando un falafel del peso di 22 chili.
Gli organizzatori del Festival, ospitato quest'anno dal tempio Beth Ami, dalla Congregazione Beth Shalom e dalla Comunità Chabad, avevano pensato a quali nuovi record battere prima di concentrarsi sulla palla di falafel: "Abbiamo persino pensato a un pallone di matzah," ha rivelato Sandi Hershenson, presidente della manifestazione .
L'evento è stato organizzato in concomitanza con la tredicesima edizione della Big Sunday, giornata dedicata all'impegno per la Comunità. Lo scorso anno la manifestazione ha visto la presenza di circa 1500 partecipanti ma si ritiene che quest'anno vi sia stata una partecipazione ancora più massiccia. Tutti i partecipanti al festival sono stati invitati ad aiutare a mescolare il composto con le mani, "Se duemila persone metteranno le mani dentro, non so chi avrà voglia di assaggiarlo una volta cotto", aveva osservato Hershenson qualche giorno prima della manifestazione. La palla è stata fritta e poi messa al forno per assicurarsi che fosse completamente cotta, un requisito indispensabile per partecipare al Guinness.
Le vicende degli ebrei in Italia, durante il fascismo e la guerra, vengono spesso troppo semplicisticamente associate alla tragica sorte degli israeliti vittime di spietata persecuzione di massa nella Germania hitleriana. In realtà, occorre precisare e spiegare (a chi non lo sapesse) che i cittadini italiani di religione ebraica furono certamente oggetto di discriminazione, a cominciare dal 1938; tuttavia, essi furono avviati alla prigionia e ai campi di sterminio soltanto dopo l'occupazione tedesca dell'Italia e l'instaurazione della Rsi, nel settembre 1943. Dunque, si può parlare di una Shoah anche italiana soltanto a partire da quell'epoca. È vero che le leggi razziali del '38, che rendevano obbligatori i censimenti e la registrazione degli spostamenti degli ebrei, facilitarono enormemente il lavoro ai "boia" nazisti che diedero la caccia agli odiati nemici razziali dall'autunno del '43. Ma è altrettanto incontestabile che, in Italia, per molto tempo, furono dati accoglienza e rifugio ai perseguitati razziali in fuga dalla Germania e dalle nazioni sottomesse al Reich (in primis, Austria, Cecoslovacchia e Polonia). Uno studioso lariano, Giuseppe Turconi, ha trovato importanti prove documentarie del transito di profughi nel territorio comasco, realtà particolarmente significativa per la sua prossimità al confine svizzero. L'appassionato ricercatore, 89 anni, si è trasformato così in un cacciatore d'archivi. Nella sua ricerca è stato estremamente favorito dal fatto di conservare memorie personali molto nitide su aspetti sconosciuti e nascosti della vicenda degli ebrei. Anzitutto, la sua casa, nel piccolo centro di Villaguardia, alle porte di Como, ospitò con discrezione un nucleo di israeliti sfollati da Milano: «Si trattava - racconta - della famiglia dell'avvocato Omodei Zorini. Restarono con noi per l'intera durata del conflitto. All'anagrafe del Comune, per tenere celata la sua appartenenza alla "razza" ebraica, Omodei Zorini fu registrato con il nome di Amedeo Zorini». Ma Turconi serba altri ricordi: da ragazzo, visitò alcune tenute agricole del territorio, che ospitavano colonie di giovani ebrei europei, in fuga dalle persecuzioni.
Con il pretesto di svolgere un'attività di formazione professionale nel campo dell'agricoltura e dell'allevamento, gli israeliti potevano così ottenere dalle autorità fasciste un permesso di soggiorno temporaneo (di regola, della durata di un anno) e giungere quindi in Italia. Aziende del genere esistevano, nel Comasco, a Villaguardia e a Lurate Caccivio. Rievoca Turconi: «Il gruppo più consistente di rifugiati si trovava alla "Benedetta", fattoria di proprietà di un certo von Wittenbach, non so se svizzero o tedesco. L'altra tenuta che visitai era quella di Piero Faverio. Mi accompagnava in quelle occasioni un amico nativo di Parigi, France Galli, che parlava correntemente quattro o cinque lingue, e quindi ci consentiva di imbastire un minimo di conversazione con quei giovani. Ricordo ancora oggi la loro grande cortesia nei nostri confronti». Prosegue il testimone-ricercatore: «So per certo che tutti costoro restavano temporaneamente, in attesa di partire per la Palestina o l'America. Molti, forse, riuscirono a salvarsi e a intraprendere una nuova vita, nella loro "terra promessa". Ricordo che mio fratello, credo verso la fine del 1939, ricevette una cartolina da Mosca spedita da uno di questi profughi transitati in una delle due colonie». Prove consistenti, in tal senso, Turconi le ha scovate negli archivi storici comunali, dove sono emerse, tra le altre cose, le corrispondenze tra le autorità, sulle misure di vigilanza da attuarsi nei confronti degli ebrei e gli elenchi nominativi dei profughi ospitati nelle tenute agricole. Si tratta di persone, uomini e donne, quasi tutte di età inferiori ai trent'anni, e di disparate nazionalità.
Una lista redatta il 22 agosto 1938, alla vigilia del varo delle leggi razziali, documenta che gli ospiti stranieri presenti a Villaguardia sono dodici. Ecco i loro nomi: Iosef Berger, polacco, Rudolf Foerder, tedesco, Berhard Ofsisowitz, tedesco, Hirsch Buchslaum, polacco, Iulius Hartheiner, tedesco, Norbert Immergluck, polacco, Semi Goldwein, di Danzica, Menachem Melzer, polacco, Maurice Solomon, apolide tedesco nato in Romania, Selma Gorski, tedesca, Marga Hivshhorn, polacca, Gertrude Kahn, tedesca. Un altro elenco precedente, del 28 aprile 1937, indica le generalità di altri quattro rifugiati transitati per motivi razziali: Fritz Schlesinger, Felisc Benda, Lise Lotte Goldschmidt, Albert Pollacsek. Altri perseguitati hanno sicuramente raggiunto i lidi ospitali della terra lariana, almeno per un breve periodo. Tra essi, la cecoslovacca Guglielmina Bohm e i tedeschi Liddj Ratzengberg, Felisc Maas, Karl Schiess, Werner Moritz Fuchs, Norbert Hauptmann, Ruth Loew. All'avvicinarsi dell'approvazione, a tamburo battente, delle leggi razziali, le colonie di ebrei cominciano ad assottigliarsi e i perseguitati si eclissano. Il primo ha partire è il diciannovenne Maurice Solomon, di cui i registri attestano la partenza per Milano il 20 settembre 1938. Il caso comasco non è peraltro isolato. Nel 1938, in Italia vi sarebbe stata una quarantina di colonie agricole nelle quali gli ebrei perseguitati venivano nascosti in attesa di essere fatti espatriare. L'Aliath Hanoar, fino al gennaio 1940, si occupò in particolare del trasferimento in Palestina di ebrei italiani e stranieri. Ma l'iniziativa più robusta fu quella condotta dapprima dal Comasebit (Comitato assistenza ebrei in Italia) e successivamente dalla Delasem (Delegazione assistenza emigranti ebrei), organizzazioni riconosciute dal governo italiano. Il Lloyd triestino, ad esempio, si fece carico, fino al 10 giugno '40, data dell'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale, del trasporto di questi emigranti, in genere a Shanghai. Ma le destinazioni degli ebrei profughi erano molteplici: oltre alla Palestina, America del Nord, Spagna, Portogallo, Argentina, Tangeri, Paraguay, Cuba, Francia e Inghilterra. Per l'emigrazione degli ebrei stranieri, tra il novembre del 1939 e il giugno '40, furono spesi circa 8 milioni di lire: uno sforzo imponente sostenuto grazie al sostegno di importanti sigle internazionali ebraiche, come l'American Joint Distribution Committee e l'Hicem (Hias-Ica Emigration Association).
Dietro le opere di assistenza umanitaria, spesso animate da ambienti giovanili sionisti, si stagliavano dunque grandi ed efficienti reti organizzative, con vaste ramificazioni italiane i cui snodi coincidevano con le comunità ebraiche di maggiore tradizione, radicamento e consistenza numerica. Alla data del 20 settembre '39 gli ebrei stranieri fatti partire dall'Italia furono circa 6.500; fino al 1943 la Delasem riuscì a farne emigrare altri cinquemila.
Il portavoce di Hamas Mahmoud al-Zahar ha ribadito mercoledì che la sua organizzazione non ha alcuna intenzione di negoziare con Israele, nonostante una dichiarazione che sembrava andare in senso contrario fatta dal capo del politburo di Hamas, Khaled Mashaal. Lo ha riferito mercoledì il giornale palestinese Al-Quds.
"La dichiarazione di Mashaal - ha detto al-Zahar - non rappresenta la posizione ufficiale del movimento, che si basa su un plan piano di lotta armata e non di negoziati".
Al-Zahar ha aggiunto che il "governo" della striscia di Gaza (controllato da Hamas) non ha dato alcun permesso al presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di negoziare con Israele dopo che sarà formato il governo di unità nazionale Hamas-Fatah nel quadro dell'accordo di riconciliazione recentemente siglato dalle due fazioni. "Noi non siamo d'accordo con questi negoziati e non li incoraggiamo, anzi al contrario", ha spiegato l'esponente di Hamas aggiungendo che, infatti, la dichiarazione fatta da Mashaal sull'argomento ha suscitato viva sorpresa all'interno dell'organizzazione. "Non c'è stato alcun cambiamento nella posizione del movimento su tutto ciò riguarda la lotta armata, che è la nostra unica opzione", ha specificato.
Al-Zahar ha detto inoltre di prevedere che Hamas prenderà più voti di Fatah sia in Cisgiordania che nella striscia di Gaza, quando si terranno le elezioni, ma che un governo di unità nazionale è in ogni caso lo sbocco più probabile.
Infine al-Zahar ha voluto spiegare la condanna dell'uccisione di Osama bin Laden da parte del "primo ministro" di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh. "Noi consideriamo combattenti della resistenza che tutti coloro che si oppongono all'occupazione - ha detto - soprattutto se si tratta di qualcuno di matrice background origine islamica. In parte non siamo d'accordo con il modo di bin Laden, ma siamo totalmente in at odds disaccordo con la posizione americana".
Antisemitismo: Nirenstein (Pdl), bene le indicazioni del ministro Meloni
ROMA, 18 mag - Si è riunito oggi nuovamente il Comitato di Indagine Conoscitiva sull'Antisemitismo Presieduto dall'On. Fiamma Nirenstien, vicepresidente della Commissione Esteri, che in occasione della sua tredicesima audizione ha ospitato il Ministro della Gioventù, On. Giorgia Meloni. L'intervento del Ministro si è aperto con la comunicazione di un dato preoccupante, emerso da una ricerca dell'istituto IARD, precedentemente audito dal Comitato: il 22% dei giovani Italiani ha atteggiamenti antisemiti, di questi l'80% non ha mai conosciuto un ebreo e il 60% è diplomato o laureato. Il Ministro Meloni ha poi indicato una doppia strategia per arginare questo fenomeno: la memoria del passato e la promozione dell'incontro. Sul fronte della memoria, il Ministero della Gioventù ha intrapreso una campagna nelle scuole per commemorare la Giornata della Memoria come un'occasione di racconto delle storie personali delle vittime della Shoah: il solo dato numerico non basta a comprendere la brutalità di quanto successo, decisamente più educativo è ricordarne il volto, ha affermato il Ministro. Su proposta della Presidente Nirenstein, il Ministro ha inoltre accettato di promuovere oltre alla memoria della Shoah anche lo studio della storia del Medio Oriente e dello Stato di Israele in particolare, l'ignoranza della quale è oggi fonte di numerosi episodi di antisemitismo. Particolare preoccupazione è stata espressa per la divulgazione tramite internet dell'odio contro gli ebrei e Israele, sottolineando come sia necessario sfruttare in maniera positiva questo strumento, promuovendo "un esercito di giovani operatori di pace online". Al termine dell'audizione, in colloquio con la Presidente Nirenstein , il Ministro si è personalmente impegnata per dare seguito a una risoluzione già approvata nel dicembre scorso dalla Commissione Esteri, che impegna il Governo a siglare il Protocollo Addizionale alla Convenzione di Budapest sulla cybercriminalità, sui reati di tipo razzista e xenofobo commessi attraverso sistemi informatici. La sigla di questo protocollo favorirà il coordinamento internazionale degli investigatori nelle indagini sui crimini d'odio, facilitando l'applicazione della Legge Mancino sul contrasto della discriminazione razziale, etnica e religiosa
Le esili, ingenue speranze ("spes contra spem", avrebbe detto Sant'Agostino) che la cosiddetta "primavera araba" avrebbe finalmente aperto uno spiraglio di luce anche sull'impervio terreno delle prospettive di pace in Medio Oriente, dunque, sono durate il breve spazio di un mattino. Le dotte argomentazioni costruite, per esempio, sul piccolo dato di fatto che nelle piazze non si sarebbero viste bruciare le bandiere israeliane (che evento eccezionale!) si sgonfiano come palloncini; le tristi, facili profezie delle varie Cassandre, che temevano che si sarebbero presto rimpiante le plumbee dittature vitalizie dei vari Mubarak e Ben Alì, sembrano avere colto nel segno. Lo spettacolo delle marce "spontanee" dei cosidetti "profughi palestinesi", mosse nei giorni scorsi contro i confini dell'odiatissimo Israele, sembrano infatti seppellire anche la più azzardata, la più estrema e irrealistica delle illusioni, frantumando qualsiasi miraggio di pace, la più pallida ipotesi di una pur minima possibilità di ragionamento, di dialogo.
Coloro che sono andati a premere contro i confini di Israele, cercando di entrarvi con la forza (non importa su suggerimento di chi, seguendo quali impulsi o strategie), non chiedevano allo stato ebraico di smantellare qualche colonia, di modificare qualche comportamento o di spostare qualche linea di demarcazione. Chiedevano a Israele, semplicemente, di non esistere, ribadendo il semplice, elementare messaggio espresso dalle annuali celebrazioni della "Nakba", la "catastrofe". Su quanto sia piacevole vivere fianco a fianco con qualcuno che considera la tua esistenza la più grande sciagura della storia, tanto da eleggere il tuo compleanno a giorno di lutto disperato, c'è poco da dire. Così come siamo tristemente abituati all'interpretazione di tali gesti (tristi e sgradevoli quanto si vuole, ma tutt'altro che ermetici) da parte dei mass media e dei commentatori politici, che sembrano ridurli a meri umori o stati d'animo, spesso dimostrando aperta simpatia di fondo per i manifestanti, che agirebbero in risposta a sopraffazioni subite, o sarebbero mossi da ideali di libertà, giustizia, pace, autodeterminazione ecc. Ci sarebbe, forse, bisogno di ripetere che il 14 maggio del 1948, il giorno della Nakba, era il giorno in cui avrebbe dovuto nascere anche lo Stato palestinese, soffocato sul nascere dagli eserciti di cinque nazioni arabe? Chi celebra la Nakba, in realtà, non maledice soltanto la nascita di Israele, ma anche la stessa idea dell'eventuale nascita di una Palestina libera, indipendente e sovrana.
Eppure, i palestinesi dicono di desiderare ardentemente di "nascere", come stato sovrano. Sono talmente impazienti che hanno detto alla loro 'madre' designata, l'Assemblea Generale dell'ONU - che, per ora, custodisce amorevolmente in grembo l'embrione - che, a settembre, comunque vada, senza stare a sentire nessun medico e nessuna ostetrica, "nasceranno". Ma già si sa, purtroppo, che sarà una nascita mancata, impedita: una "non nascita", proprio come quella del 1948. A tutti gli effetti, una "Nakba bis".
L'Autorità palestinese ha annunciato che le elezioni locali, previste per luglio, saranno ritardate almeno fino al mese di ottobre al fine di organizzare il voto a Gaza, controllata da Hamas. Le ultime elezioni, durante le quali il popolo palestinese è andato alle urne si sono svolte cinque anni fa nel 2006 quando a vincerle fu Hamas.Tali elezioni portarono ad una profonda spaccatura al movimento nazionale palestinese e tra gli altri gruppi. Il sondaggio di ottobre darà un'indicazione della popolarità di Fatah e Hamas in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari, che secondo l'accordo dovranno svolgersi entro un anno.
Divertente, frizzante, con una incontenibile voglia di vivere. A qualsiasi ora del giorno e della notte. Così accoglie Tel Aviv, la città bianca, a cominciare dalla sua immensa e dorata spiaggia, dove si affacciano grandi hotel, bar alla moda, discoteche e ristoranti. Quello che era il vecchio porto oggi è
una piacevole passeggiata lungo un tortuoso deck in legno che si estende per oltre un chilometro e mezzo dove si trovano ristorantini di pesce (freschissimo quello servito da Benny Hadayag tel. +972 /3/5440518) che propongono gustosi antipasti mediorientali, negozi di tutti i tipi e poi discoteche (ma attenzione: alcune sono riservate ai giovanissimi e se vi avvicinate alla quarantina non vi fanno entrare ).
Musica notturna cool on the beach per 40 e dintorni presso il La La land su Gordon Beach vicino allo Sheraton (www.lala-land.co.il) dove servono espresso anche durante Shabbat (il sabato ebraico quando nessun apparecchio elettrico è in funzione) e ottime insalate durante il giorno. A proposito di cucina: val la pena fare un salto da 90 Ernesto (meglio con prenotazione tel. +972/3/5273394) in Ben Yehuda Street, dove la pizza bianca romana è costata ben tre mesi di prove con il fornaio locale ma il risultato è un vero capolavoro ed è esclusiva del ristorante. Ernesto Marcheria propone cucina romana, con chicche come il gelato e limoncello fatti in casa (pranzo dai 20 ai 25 euro vino escluso). Con un po' di fortuna qui si trova un altro personaggio locale che frequenta il ristorante: Yolanda Yamin, nata in Libia, scuole italiane e un indirizzo giusto per ogni esigenza.
Un locale chic di tendenza? La Messa (www.messa.co.il) in Ha'arba'a St. con ristorante e bar, ambiente dark e dettagli di stile. Per lo shopping c'è da sbizzarirsi tra i nuovi negozi di abbigliamento, di cosmetici realizzati con i sali del Mar Morto e gli atelier di stilisti e le librerie di design ubicati nella vecchia stazione che è stata completamente restaurata e si trova tra Neveh Tzedek, uno dei quartieri più divertenti, e il mare. «HaTachana», questo è il suo nome, cuore nevralgico commerciale della città dal 1892 al 1948, è stata aperta l'anno scorso insieme agli edifici attigui riportati all'antico splendore dopo dieci anni di restauri documentati da una mostra fotografica allestita in un treno d'epoca.
Autentiche chicche di home decor si trovano da Gavriel in Shabazi Street sempre nel quartiere di Neve Tzedek, (tel. 972/3/5103882), negozio di originali accessori selezionati dal proprietario Rubi Israeli. Nei pressi non si può perdere un caffè o le gustose falafel di Suzanna on the roof (www.rest.co.il/suzana): una fresca terrazza all'ombra di un grande fico, ideale per riposarsi e leggere. Le lunghe passeggiate proseguono lungo Sderot Rothschild, il viale architettonicamente più interessante di Tel Aviv dove si affacciano numerose case costruite tra il 1920 e il 1935 in puro stile Bauhaus. Un'anima razionalistica questa che Tel Aviv sa mixare con le atmosfere più mediorientali dei suoi mercati come quello di Jaffa Flea Market, vero mercato delle pulci, o il Shuk Ha'aliyah nel quartiere Florentine, dove si possono osservare gli artigiani all'opera.
Se invece si vuole camminare lungo il mare dopo circa due chilometri si arriva a Jaffa: per la sete ci
Ariel Sharon Park
sono i fantastici succhi freschi di melograno (venduti un po' ovunque a Tel Aviv insieme a quelli di agrumi), per la fame il pesce appena pescato servito al Container, divertente ristorante, bar e art space direttamente sul porto (www.container.org.il).
Una gita fuoriporta all'insegna del cuore verde della città? Nel Parco Ariel Sharon a est di Tel Aviv sulla collina di Hiriya: una ex discarica di rifiuti trasformata in un'oasi verde con vista stupenda sul mare e le colline della Giudea e dove sono visibili sofisticati impianti di riciclaggio, promessa di un futuro più pulito e più verde.
Per l'estate Tel Aviv ha due assi in calendario: la notte bianca in programma il primo di luglio e lo straordinario concerto di Bob Dylan al Ramat Gan Stadiun il 20 giugno (www.visit-tlv.com). E nell'imminente futuro quello di diventare una «global city» all'avanguardia in ogni settore, grazie a numerosi punti di forza descritti dalla rivista Time Out: http://issuu.com/gagnshalom/docs/tlv_globalcit
Inoltre per i mesi di giugno e luglio grazie alle offerte «City Break» di molti operatori in collaborazione con la EL AL, la Tel Aviv Hotel Association e l'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo si può trascorrere uno splendido weekend volo compreso spendendo da 500 a 700 euro. Un consiglio per l'alloggio? Lo Sheraton: comodo, direttamente on the beach ed elegante. Info: www.goisrael.it
Napolitano loda Israele, poi promette il riconoscimento a quelli che lo vogliono distruggere
Due sono i concetti espressi dal presidente italiano Giorgio Napolitano, in visita ufficiale presso Israele e l'Autorità Palestinese.
Agli israeliani ha detto: avete una democrazia come la nostra, imperfetta e sempre pronta ad essere corretta, fondata sugli stessi ideali nazionali e risorgimentali che costituiscono anche il codice genetico dell'Italia: "Democrazia, Solidarietà e Libertà sono stati gli ideali con cui è nato il Risorgimento italiano. La coscienza di un'identità unitaria e la ricerca di radici comuni nella cultura, sono state sicuramente fonti di grande ispirazione anche per l'ideologia con cui è nato lo Stato di Israele".
Contemporaneamente, ai palestinesi ha detto: "A nome del governo, annuncio l'elevazione della delegazione al rango di missione diplomatica, ed al rango di ambasciatore e rappresentante diplomatico dell'Autorità Nazionale Palestinese in Italia". Vuol dire, fuori da ogni metafora, riconoscere la Palestina....
Meloni: lantisemitismo va combattuto anche su internet
ROMA, 18 mag - "Negli anni Duemila la difesa della Storia non può fare a meno di social network e piattaforme di condivisione, come YouTube: se il nemico le trasforma in armi di offesa, occorre trasformarli anche in armi di difesa, nella consapevolezza che siamo di più e abbiamo ragione. Più che armare difficili nuovi mezzi di censura, lavorerei per promuovere un esercito di giovani divulgatori e operatori di pace on line". Lo ha detto il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, in un'audizione davanti al Comitato di indagine sull'antisemitismo (Commissioni riunite I e III) della Camera dei deputati, che ha iniziato citando Primo Levi: "Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario". "Io credo - ha detto Meloni - che la conoscenza sia la chiave per combattere l'odio razziale in generale e di conseguenza anche l'antisemitismo". "Quando parlo di conoscenza intendo due aspetti diversi: quello della memoria e quello dell'incontro con l'altro. Occorre cioé ricordare e conoscere quel che è accaduto in passato perché non ritorni. Occorre confrontarsi e vivere esperienze comuni con altri popoli per scoprire che spesso quel che unisce é molto più importante di quel che divide e che in ogni caso il confronto non deve spaventare. Su questi due aspetti abbiamo lavorato - ha aggiunto Meloni - non solo come ministero della Gioventù, ma come governo. E sapete bene quanto il governo Berlusconi sia sensibile a questo tema". Ricordando le tante iniziative svolte nelle scuole e per il Giorno della Memoria, Meloni ha detto che come ministero della Gioventù, il 27 gennaio "abbiamo scelto di essere presenti in alcune scuole, insieme alle associazioni ebraiche italiane con progetti e manifestazioni capaci di coinvolgere anche i ragazzi più giovani in maniera un po' originale. Sono particolarmente legata ad un esperimento che stiamo ripetendo negli ultimi anni e che segue la filosofia che caratterizza molte delle nostre iniziative: promuovere il bene, raccontare ai ragazzi non solo quanto profondo possa essere il male, ma quanto grande possa essere il Bene promosso da uomini e donne che, trovandosi a vivere tempi terribili, non si sono arresi al male e hanno agito da eroi".
CANNES - E' una notizia certamente destinata a fare il giro del mondo. Lars Von Trier, il controverso regista danese che ha portato a Cannes in concorso Melancholia, ha dichiarato infatti di "capire Hitler". A una domanda sull'estetica nazista e l'architetto Albert Speer, ha infatti risposto così: "Ho pensato a lungo di essere ebreo e ne ero felice. Poi ho scoperto che la mia famiglia era tedesca. Resto sempre molto a favore degli ebrei, ma posso dire che comprendo Hitler, anche se penso che abbia fatto del male. A volte lo immagino nel suo bunker e credo di capirlo come uomo". Poi l'autore, Palma d'oro con Dancer in the Dark, notoriamente restio a parlare con la stampa, si è reso conto di averla sparata grossa e l'ha buttata sullo scherzo. "Come ne esco adesso? Noi nazisti abbiamo la tendenza a fare le cose in grande, potrei pensare a una soluzione finale con i giornalisti". Melancholia, che in Italia uscirà con la Bim, è commentato dalle musiche del Tristano e Isotta di Wagner e mostra alcuni personaggi posti di fronte alla fine del mondo a causa della collisione di un astro con la Terra. Ma è anche un film sulla depressione e i suoi diversi aspetti. Protagonisti Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Charlotte Rampling, Udo Kier e Kiefer Sutherland.
Il sindaco di Ravenna alla cerimonia di commemorazione dei caduti della Brigata ebraica
"Questa mattina, insieme al Prefetto Bruno Corda e all'addetto per la Difesa presso l'Ambasciata di Israele, colonnello Yehu Ofer - dichiara il sindaco Matteucci - ho reso omaggio alla lapide situata nell'atrio della stazione ferroviaria, che ricorda tutti gli ebrei transitati da Ravenna verso i campi di sterminio.
Domani, giovedì 19 maggio, parteciperò all'annuale cerimonia di commemorazione dei soldati della Brigata ebraica caduti nel corso della seconda guerra mondiale che prevede alle 9 l'omaggio al Sacrario Militare di Camerlona e alle 10 la cerimonia presso il cimitero di guerra alleato di Piangipane.
In questo modo, Ravenna, città partigiana del Tricolore e della Costituzione, vuole ricordare il generoso contributo della Brigata ebraica e di tutte le truppe alleate che, insieme al ricostituito esercito italiano e ai gruppi partigiani hanno combattuto per la libertà del nostro Paese".
Ricercatori di Tel Aviv: avere un buon rapporto coi colleghi allunga la vita
WASHINGTON - Avere un buon rapporto con i colleghi sul lavoro potrebbe aiutare a vivere piu' a lungo. Lo afferma uno studio su 820 uomini e donne pubblicato su 'Health Psychology' dell'American Psychology Association. I legami positivi con i colleghi, in particolare, sono risultati piu' importanti per una vita piu' lunga soprattutto tra le persone di eta' compresa tra i 38 e i 43 anni. Tuttavia, i rapporti positivi con i propri superiori non hanno alcun effetto sulla mortalita'. Per arrivare a queste conclusioni la ricerca, condotta da un gruppo di ricercatori dell'Universita' di Tel Aviv, in Israele, e' durata oltre 20 anni (tra il 1988 e il 2008). I casi di studio analizzati hanno coinvolto uffici diversi: da quelli che si occupano di assicurazioni a quelli dei servizi pubblici e della sanita' fino alle imprese di produzione dove si lavora in media 8,8 ore al giorno. Un terzo dei partecipanti era 'donna' e l'80 per cento sposato con figli. I risultati hanno mostrato che la longevita' maschile e' aumentata rispetto al potere decisionale che si ha in ufficio: piu' si ha controllo e piu' e' lunga la vita. Le stesse responsabilita' pero' sono risultate avere un effetto diametralmente opposto nelle donne.
Torture sui palestinesi da parte di Hamas e della polizia dell'Anp
Arresti arbitrari, torture, maltrattamenti vari. Piovono decine di accuse contro i servizi di sicurezza dell'Autorità nazionale palestinese (che governa in Cisgiordania) e la fazione islamico-radicale di Hamas (nella Striscia di Gaza). A elencare tutte le misfatte è la Commissione indipendente per i diritti umani in un rapporto diffuso martedì 17 maggio.
Il documento evidenzia il maltrattamento reciproco dei prigionieri aderenti alle opposte fazioni, protagoniste negli ultimi anni di un duro conflitto intestino che il nuovo accordo di «riconciliazione» del Cairo mira ad archiviare. Decine di esponenti di Fatah e Hamas sono stati condannati a morte con l'accusa di tradimento o di collaborazione con le forze nemiche.
La Commissione chiede alla leadership politica dell'Anp, riconosciuta dalla comunità internazionale come unico interlocutore palestinese, di trarre una lezione dalla recente caduta dei regimi arabi di Egitto e Tunisia. E di non considerare la sicurezza una priorità assoluta «a spese dei diritti individuali, delle libertà fondamentali e della legalità».
Non è la prima volta che si leva una voce in difesa dei palestinesi. Denunce di violazioni dei diritti umani sono state avanzate sempre più spesso nell'ultimo anno, da organizzazioni locali e internazionali, non solo nei confronti degli estremisti di Hamas, ma anche degli apparati di Ramallah.
Principali indiziati dell'Autorità nazionale palestinese sono i cosiddetti reparti d'elite dei servizi di sicurezza, finanziati e addestrati da anni in Cisgiordania dagli Usa e impegnati in attività di coordinamento sotterraneo con gl'israeliani in funzione anti-terrorismo. Secondo molti civili, sono proprio questi gruppi militari a comportarsi sul fronte interno come una forza che agisce al di fuori di qualsiasi contesto normativo.
Napolitano in Israele ha visitato un Paese che ha un'economia dinamica, da fare invidia a Tremonti. Secondo dati forniti dall'Ocse, Israele è stato l'ultimo di ventinove Stati ad essere colpito dalla crisi nel quarto trimestre del 2008 e uno tra i primi a uscirne. Nei primi tre mesi dell'anno il Pil è cresciuto del 4,7%. Le ragioni sono diverse fra cui un grande governatore come Stanley Fischer, il ruolo dell'immigrazione e anche la forte spesa militare. Il risultato è che il Paese conta più società sul Nasdaq di tutte quelle di Europa, Cina, Corea, Giappone, India e Singapore messe assieme.
Stanley Fischer
GERUSALEMME - Nel 2011, a quasi tre anni dal fallimento della Lehman Brothers - evento simbolo della crisi finanziaria mondiale - la maggior parte delle economie mondiali si trovano arenate in difficili e lenti processi di ripresa i cui risultati sembrano ancora lontani. La globalizzazione e il rapido espandersi dei modelli capitalisti hanno creato un effetto a catena che ha colpito ogni stato coinvolto nel mercato globale. Uscire dalla crisi è tuttavia apparentemente possibile, e l'economia israeliana ne è forse il maggiore esempio.
Nato e sviluppatosi su un'economia neo-socialista, lo stato di Israele si è poi stabilizzato su basi prettamente capitaliste, trasformandosi velocemente in un paese ad alto sviluppo economico. Tale sviluppo ha raggiunto i migliori riconoscimenti nel 2010 con l'entrata di Israele nell'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e la nomina del governatore della Banca Centrale di Israele, Stanley Fischer, quale "Miglior governatore di Banca del Mondo" da parte di Euromoney.
Negli anni succesivi alla crisi del 2008, Israele ha infatti attirato l'attenzione degli esperti internazionali per la sua rapida ed efficace reattività alla crisi economica e la sua capacitàdi ridurre al minimo i danni che hanno scosso le maggiori economie mondiali. L'eccezionalità dell'economia israeliana è divenuta argomento riccorente nelle analisi del Fondo Monetario Internazionale e gli esperti prevedono che un crescente numero di investitori istituzionali internazionali sceglieranno il mercato Israeliano per i loro investimenti futuri.
Secondo dati forniti dall'Ocse, Israele è stata l'ultimo di ventinove Stati ad essere colpito dalla crisi nel quarto trimestre del 2008 e uno tra i primi a uscirne nel secondo trimestre del 2009. La Banca Centrale Israeliana riporta che nella seconda metà del 2010, appena due anni dopo l'esplosione della crisi, il Pil è aumentato del 5.8%, mentre il consumo interno, le esportazioni e la produzione manifatturiera continuano a crescere. L'82% dell'economia del paese è composta dai servizi, il 16% dall'industria e il 2% dall'agricoltura.
Ma quali sono esattamente le ragioni che rendono Israele - uno stato fondato appena sessantatre anni fa, con una popolazione di poco più di sette milioni di abitanti, privo di risorse petrolifere e in ricorrente stato di guerra - un paradigma così interessante dal punto di vista di crescita economica e capacità di affrontare la crisi?
I fattori che fanno di Israele un caso eccezionale sono diversi; inoltre variano da motivazioni di tipo prettamente economico ad altre legate all'unicità della società israeliana. Da un punto di vista economico, la crisi è arrivata in Israele in un momento estremamente produttivo: memore di precedenti crisi finanziarie, il modello israeliano si è costituito su basi conservatrici e stabili che hanno decisivamente limitato l'esposizione del suo sistema finanziario e bancario. Di conseguenza durante il quinquennio 2002-2007 si è assistito ad una crescita economica esponenziale e quando nel 2008 il mondo è stato travolto dalla crisi finanziaria, Israele ha potuto contare su solide basi che hanno preservato l'integrità strutturale del proprio sistema finanziario, così che solo alcuni settori economici hanno dovuto far fronte all'emergenza.
Eppure, le relativamente severe regolamentazioni adottate negli anni precedenti la crisi internazionale non sarebbero bastate da sole nel far fronte ad una stagnazione economica così acuta. La figura di Stanley Fischer, governatore della Banca Centrale di israele dal 2005, ha giocato un ruolo centrale per quanto riguarda la gestione della crisi in Israele. Fischer, la cui eccellenza è stata più volte riconosciuta a livello mondiale, ha adottato con grande prontezza misure innovative e singolari che hanno garantito ad Israele non solo una precoce ripresa dalla crisi economica, ma anche in certa misura il ripetersi del boom degli anni precedenti il crac. Non appena il livello di disoccupazione è diminuito e il tasso di crescita ha cominciato a stabilizzarsi, Fischer ha progressivamente alzato il tasso di interesse in modo da mantenere la stabilità dei prezzi e non provocare ulteriori danni alle attività commerciali.
Inoltre la Banca centrale ha aumentato dall'8 al 9% la base di capitale degli istituti di credito in modo da creare un "cuscino di sicurezza" in caso di perdite inaspettate. Altra misura efficace di Stanley Fischer è stata quella di introdurre una politica interventista del tasso di cambio in modo da rafforzare al contempo sia le riserve finanziare che le esportazioni, che costituiscono un fattore di estrema importanza per l'economia del Paese. Infine Fischer ha introdotto l'estensione a due anni della pianificazione del budget economico, in modo tale da concedere un lasso di tempo maggiore per implementare i piani economici, anziché concentrarsi di continuo sulla loro programmazione.
Un altro agente economico che ha supportato Israele durante la crisi è il suo vantaggio comparato in tre principali settori: quello farmaceutico, quello militare e quello delle alte tecnologie. Tali settori, seppur minormente danneggiati dalla crisi, non hanno conseguito nessuna sostanziale perdita durante il periodo del transito tra il 2008 e il 2009, per il semplice fatto di rappresentare ambiti dove la domanda globale è rimasta elevata a prescindere dal crollo dell'economia internazionale.
A queste motivazioni "operative" si aggiunge la recente scoperta di ingenti quantità di gas naturale che potrebbero produrre uno sviluppo di portata storica del mercato energetico Israeliano.
Oltre a questi determinanti fattori economici, Israele vanta diverse caratteristiche sociali che hanno ugualmente contribuito a superare con successo la crisi e ad accrescere il suo rilievo economico a livello mondiale. Anzitutto va sottolineato il fatto che Israele ha il primato assoluto per quanto concerne il numero di aziende start-up. Ne è evidenza il fatto che il Paese conta più società sul mercato azionario Nasdaq di tutte quelle di Europa, Cina, Corea, Giappone, India e Singapore sommate. Due esperti geopolitici, Dan Senor e Saul Singer hanno scritto un libro al proposito (Start-Up Nation: The Story of Israel's Economic Miracle), dove indagano le motivazioni del successo dell'economia Israeliana. Senor e Singer evidenziano differenti caratteristiche sociali che contribuiscono a rendere l'economia israeliana unica per la sua velocità di sviluppo.
Elemento centrale è il perpetuo stato di difesa e all'erta che caratterizza Israele sin dalla sua nascita. Secondo gli esperti, il fatto che Israele si trovi da sempre ripetutamente in stato di emergenza, ha contribuito a formare uno specifico ethos di sopravvivenza che si basa su un'alta dose di intraprendenza e capacità di adattamento. L'instabilità socio-politica, l'impossibilità di intraprendere relazioni commerciali nella regione e le minacce all'esistenza stessa dello Stato, hanno spinto la popolazione israeliana a individuare soluzioni alternative per tenere il passo coi propri partner occidentali. Ed è così che una volta di fronte alla crisi, non è stato difficile per gli israeliani rispondere prontamente alla minaccia economica e aggirarla con misure innovative e d'avanguardia. La sorprendente innovazione che caratterizza Israele deriva inoltre da altri due principali fattori: l'immigrazione e l'esercito.
Poichè l'immigrazione costituisce una delle raison d'être del Paese, Israele ha presto imparato a considerare i nuovi immigrati una risorsa anzichè una zavorra. Gli efficaci processi di integrazione e le politiche di favoreggiamento degli immigrati, fanno si che i nuovi arrivati diventino velocemente parte integrante della società Isrealiana e del suo sviluppo, in modo che è il Paese stesso infine a trarne estremo vantaggio. Infatti gli immigrati sono (per definizione) più propensi a rischiare: un immigrato che si trova in un ambiente del tutto nuovo, che deve ricostruire la sua vita dall'inizio e che ha poco da perdere, è stimolato da un incentivo particolare a rischiare. Si può dire che una nazione di immigrati - quale è Israele - è una nazione di imprenditori. A soli vent'anni dall'immigrazione in Israele, la popolazione russa costituisce una delle maggiori forze motrici del Paese.
Vi è, infine, un'ultimo ma cruciale fattore che distingue la società Israeliana: l'esercito. L'alta spesa militare (1.487 dollari che a livello pro-capite è la più alta al mondo) spiega molte cose: non solo l'elevato livello di start up nel campo delle alte tecnologie ma anche il motivo per cui in Israele il venture capital è riuscito ad attecchire (il fondo Yozma è un caso di studio) a differenza di quanto accaduto in molti altri paesi (i soldi spesi dalla Malesia nel fondo Bio Valley sono l'esempio contrario).
Obbligatorio per entrambi ragazze e ragazzi, l'esercito costituisce parte integrante della vita di ogni israeliano, e seppur spesso constestato, produce anch'esso dei risvolti positivi. Durante i tre anni di servizio militare che comincia ad appena diciott'anni, i ragazzi israeliani sono portati ad assumersi enormi responsabilità, a prendere scelte di vita e di morte per se stessi e per i propri compagni e spesso vengono a contatto con problemi e situazioni più grandi di loro. Ad appena vent'anni ai giovani soldati è conferito un alto livello di autorità che diviene poi di particolare importanza quando i giovani approcciano il mondo del lavoro, già consapevoli delle proprie capacità e dunque senza alcuna inibizione nel criticare le scelte dei veterani e assumersi ruoli di leadership sin dagli inizi. Inoltre la società stessa ha sviluppato la capacità di integrare l'esperienza del campo di battaglia all'interno degli ambiti lavorativi, cosi che le competenze acquisite dai ragazzi durante il servizio militare vengono sfruttate al massimo in campo lavorativo.
Italia-Israele: prossimamente a Milano conferenza per discutere sui legami commerciali
Per la prima volta l'ambasciata israeliana a Roma organizza una conferenza d'affari congiunta italo-israeliana per "rafforzare i legami commerciali tra lo Stato ebraico e l'Italia".
La data ufficiale non è ancora stata annunciata, ma l'evento - due giornate di incontri - dovrebbe avere luogo il prossimo mese a Milano. Una visita in Italia del Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è prevista più o meno per lo stesso periodo: ma ancora non è chiaro se il premier parteciperà alla conferenza. Da Israele arriveranno i rappresentanti di cento imprese, attive nel settore agricolo, idrico, medico, di sicurezza e altro ancora. L'ambasciatore israeliano a Roma, Gideon Meir, ha dichiarato di aspettarsi che in questa occasione vengano siglati "almeno 15 nuovi contratti", di ricerca e commerciali. Uno degli accordi-chiave su cui l'ambasciata sta lavorando riguarda il riconoscimento della validità delle patenti di guida israeliane in Italia e vice versa. Meir ha anche annunciato alla stampa israeliana che a breve l'ambasciata organizzerà una imponente presentazione di piazza, per mostrare ai cittadini italiani quali sono
i talenti internazionalmente riconosciuti a Israele. "Se la nostra immagine è positiva, gli affari ne beneficeranno", ha spiegato l'ambasciatore. "Con iniziative del genere puntiamo a caratterizzare Israele agli occhi degli italiani e a rafforzare i legami commerciali e turistici tra i nostri due Paesi".
Israele, massima allerta dopo gli scontri. Prolungata la chiusura dei Territori
GERUSALEMME - Resta alta la tensione in Israele e nei Territori palestinesi dopo gli scontri di ieri. La chiusura della Cisgiordania è stata prolungata, infatti, di 24 ore dopo gli incidenti di domenica in varie zone di Israele. Scoppiati in occasione della Giornata della "Naqba", il "disastro" agli occhi dei palestinesi dell'esodo di centinaia di migliaia di connazionali in coincidenza con la costituzione dello Stato ebraico 63 anni fa.
Anche la polizia israeliana resta schierata in forze a Gerusalemme est e sulle alture occupate del Golan, dove ieri gruppi di dimostranti provenienti dalla Siria sono riusciti ad abbattere un tratto dei recinti di frontiera e a penetrare nella città drusa di Majdel Shams.
La stampa israeliana odierna precisa, però, che in quegli scontri sono rimasti uccisi quattro dimostranti, e non dieci come affermato la scorsa notte da fonti stampa israeliane. Una fonte diplomatica a conoscenza diretta degli eventi ha riferito inoltre che sul Golan ci sarebbe stato ieri solo un morto accertato.
La maggior parte dei siriani entrati ieri (circa 150) sono stati consegnati alle autorità del loro Paese. Ma la polizia israeliana ritiene che alcuni di essi abbiano trascorso la nottata a Majdel Shams nel tentativo di raggiungere oggi il territorio israeliano. Posti di blocco della polizia ispezionano tutte le automobili in uscita da quella città.
Lo stato di allerta resta elevato anche in Alta Galilea dopo che ieri un migliaio di dimostranti provenienti dal Libano meridionale hanno cercato di superare i reticolati di confine. Secondo la stampa, sono stati respinti sia dal fuoco dell' Esercito libanese sia da quello dell'esercito israeliano. In quegli incidenti, affermano i giornali israeliani, si sono avute "circa dieci vittime", libanesi e palestinesi.
Israele, il cellulare per ebrei ultra-ortodossi parla yiddish
"Kosher Phone" è il primo di questo tipo nel mondo
Il cellulare israeliano parla yiddish. La compagnia telefonica Alcatel-Lucent, infatti, ha prodotto un nuovo modello di telefono con una interfaccia yiddish, la lingua parlata dalle comunità ebraiche dell'Europa orientale, che aiuta gli ebrei ultra-ortodossi a conservare la tradizione pur utilizzando una moderna tecnologia.Il 'koscher phone' - questo il nome del nuovissimo telefono - è il primo cellulare yiddish nel mondo e consente di rispettare le leggi religiose rigorose della comunità ebraica ultra-ortodossa che, ad esempio, proibisce l'accesso ai siti impudenti o l'invio di messaggi di testo. Secondo alcune stime, ci saranno oltre 400mila utenti in Israele e altri 500mila negli Stati Uniti ad utilizzare questo nuovo tipo di portatile.
GERUSALEMME, 17 mag - Il Maccabi Haifa ha vinto il campionato israeliano battendo per 2-0, con una doppietta di Lior Refaelov, l'Hapoel Kiryat Shmona nei playoff. La squadra della citta' portuale del nord di Israele ha ora sei punti di vantaggio sull'Hapoel Tel Aviv, dal quale, con una partita ancora da giocare, non puo' piu' essere raggiunta. Refaelov ha aperto le marcature al 18' del secondo tempo su rigore, raddoppiando dieci minuti piu' tardi. Al fischio finale, il 12/o titolo del Maccabi Haifa e' stato salutato con uno spettacolo di fuochi d'artificio per i 15 mila spettatori che gremivano lo stadio Kiryat Eliezer. La squadra di Haifa puo' realizzare la doppietta la prossima settimana quando affrontera' l'Hapoel Tel Aviv nella finale di Coppa d'Israele, la prima tra le due squadre. Campionato israeliano, risultati dei playoff. Giocate sabato: Hapoel Tel Aviv-Maccabi Tel Aviv 2-2 Maccabi Netanya-Bnei Yehuda 0-4 Ieri: Maccabi Haifa-Hapoel Ironi Kiryat Shmona 2-0 Classifica: Maccabi Haifa punti 44; Hapoel Tel Aviv 38; Maccabi Tel Aviv 32; Bnei Yehuda 30; Maccabi Netanya 27; Hapoel Ironi Kiryat Shmona 25.
Non è il momento di dire 'sì' a un ambasciatore palestinese in Italia
L'incontro tra Giorgio Napolitano e Abu Mazen
Ieri il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al termine dei colloqui con il presidente Abu Mazen, ha annunciato che l'Italia ha deciso di elevare al rango di ambasciata la delegazione diplomatica permanente dell'Autorità nazionale palestinese a Roma. Passo che, il capo dello Stato, ha ribadito avvenire "in piena amicizia con Israele". L'On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati esprime delle perplessità sulla scelta presa dal nostro Paese.
- Onorevole, come giudica la decisione presa dal nostro Paese, annunciata dal presidente Giorgio Napolitano, di levare al rango di ambasciata la delegazione diplomatica permanente dell'Autorità nazionale palestinese a Roma? A me sembra che non siano i giorni migliori per un'iniziativa di questo genere. Fatah ha appena fatto un accordo con Hamas e quindi diciamo che la sua rappresentanza dovrebbe essere anche quella di Hamas, perché i due adesso rappresentano la stessa entità. Hamas è nella lista delle organizzazione terroristiche sia europee che americane da quando Frattini era Commissario europeo. È stata un'iniziativa nostra, seguita poi in tutto il mondo. Hamas è un'organizzazione antisemita, nella sua carta dice di voler uccidere tutti gli ebrei, non ha nessuna intenzione né di trattare con Israele né di riconoscerne lo stato. Ogni soluzione di pace è estranea al suo modo di vedere. Quindi è molto problematico che Fatah stia formando insieme ad Hamas un governo e non vedo come una rappresentanza diplomatica nel nostro Paese possa ammettere che siano presenti anche dei personaggi che sono di fatto dei terroristi.
- Che gioco sta giocando la Palestina? I palestinesi con grande foga e contro tutte le risoluzioni e la legalità internazionale, che stabiliscono che un accordo tra palestinesi e israeliani debba essere raggiunto tramite trattativa, preparano una mossa di riconoscimento unilaterale dello stato palestinese votato dall'Assemblea dell'Onu a settembre che ha delle maggioranze automatiche (quelle degli stati islamici e dei cosiddetti paesi non allineati). Puntano su questo e sperano di riuscire a far votare una cosa che getterebbe l'intero Medio Oriente nella più grande instabilità perché arrivare a uno stato palestinese senza che sia stata implementata la risoluzione dell'Onu - che dice che si può arrivare a questo stato solo tramite trattativa che garantisca la sicurezza di Israele - sarebbe un disastro, che minerebbe la stabilità dell'area e l'esistenza stessa dello stato d'Israele. Dunque non ha senso dare adesso una rappresentanza diplomatica a un Paese che potrà tranquillamente proclamare il suo stato senza trattare.
- Insomma, quella presa dall'Italia è una decisione insensata? È una decisione che avrebbe più senso nel momento in cui i palestinesi accettassero un accordo con Israele. Collaborare all'idea che lo stato palestinese possa autodefinirsi non rappresenta niente di buono per la stabilità del Medio Oriente né per la sopravvivenza dello stato d'Israele. Ora come ora, con quest'accordo tra Fatah e Hamas e con questa promessa di dichiarare il loro stato unilateralmente, è il momento più sbagliato perché un'ambasciata, che è il simbolo di uno stato, venga costituito sul nostro territorio nazionale.
- Soprattutto alla luce delle cronache di queste ore... Due giorni fa c'è stata la celebrazione da parte dei palestinesi del giorno della Nakba, cioè di quello che loro definiscono "la distruzione" di tutte le loro speranze e dei loro sogni e lo fanno coincidere ai giorni in cui Israele celebra l'anniversario della creazione del suo stato. Questa è una cosa terribile.
- Che significato ha per i palestinesi la Nakba? Il ruolo della Nakba, cioè quello dell'odio e della distruzione si è visto molto bene 48 ore fa perché i palestinesi hanno espresso in maniera molto aggressiva questa loro disperazione. Nel novembre del 1947 la "partizione" tra lo stato d'Israele e i palestinesi non fu accettata da questi ultimi. Gli eserciti arabi entrarono nel futuro territorio israeliano cercando di spazzare via tutti gli ebrei e dissero ai palestinesi di andarsene perché così gli sarebbe stata restituita la loro terra dopo la distruzione dello stato d'Israele, appena proclamato da loro. Per un miracolo Israele riuscì a vincere grazie alla forza della disperazione e alla fede, e i palestinesi che se ne andarono divennero i nonni dei profughi di oggi portando su se stessi quella Nakba che non ci sarebbe mai stata se avessero accettato la partizione.
- E in questo caso? Qui siamo allo stesso punto della storia: i palestinesi con gli israeliani si devono mettere a sedere e discutere, condividere. Invece, di nuovo, si muovono in una direzione con questa alleanza con Hamas che persegue la distruzione dello stato di Israele. Anche la nostra diplomazia può ottenere migliori risultati condizionando il riconoscimento dell'ambasciata palestinese all'accettazione da parte dei palestinesi stessi di una trattativa.
- In occasione della sua visita a Betlemme, Napolitano ha ribadito che "non è accettabile considerare la fondazione dello Stato di Israele un disastro". Non è stato un disastro certamente, ma i palestinesi lo hanno proclamato tale. Hanno mobilitato tutto il mondo arabo, Israele è stata invasa da migliaia di persone provenienti dalla Siria che hanno sfondato i confini di Israele. Libano e Siria hanno mandato pullman di gente sul confine per spostare l'attenzione dalle loro rivoluzioni. Solo la grande moderazione dell'esercito israeliano ha evitato un disastro spaventoso perché il gesto compiuto dal Libano, Siria e Gaza e le manifestazioni particolarmente violente ai checkpoint dell'Autonomia palestinese nel West Bank hanno ribadito una politica di violenza che mira alla sola distruzione di Israele e non alla trattativa.
Barak: Dalle rivolte arabe, per ora, solo caos per Israele
Ministro israeliano: "Ma a lungo termine forse qualcosa di buono"
ROMA, 17 mag. - Le rivolte arabe "nel futuro immediato" rappresentano "il caos" per Israele, "ma a lungo termine" sono "forse qualcosa di buono". E' quanto ha sostenuto il ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak, in un'intervista al Corriere della Sera. "E' emozionante che la gente alzi la testa, fra una generazione si arriverà a un miglioramento. Ma intanto? Arrivano i Fratelli musulmani, o stati caotici come il Libano", ha spiegato il ministro.
Barak ha ancora sul tavolo il rapporto sui morti di domenica, al confine con la Siria e il Libano. "E' stato un attacco provocatorio. Abbiamo reagito come ogni stato sovrano", ha commentato. "Lo rifaremmo. L'esercito ha l'ordine di tenere chiusi quei confini. Non ci interessa avere morti, i palestinesi hanno già i loro leader che li uccidono: 800 in Siria, e non c'era neanche una pallottola israeliana", ha insistito Barak.
Frattini: Il diritto allesistenza di Israele non è negoziabile
Pace con palestinesi. non con chi vuole la distruzione dello Stato ebraico
ROMA, 16 mag. - La situazione israelo-palestinese "è tesa" e le violenze delle ultime ore sono state l'effetto "dell'azione di estremisti che celebrano il giorno dell'indipendenza di Israele chiamandolo il giorno della catastrofe". E' quanto ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini in collegamento telefonico con "Mattino 5" su Canale 5.
"Bisogna mantenere il principio che il diritto all'esistenza e all'indipendenza di Israele non è negoziabile. Vogliamo la pace con i palestinesi ma non con coloro che predicano la distruzione di Israele, in particolare con Hamas", ha precisato Frattini.
ROMA - Sala gremita all'Auditorium di Roma dove nella sala Petrassi il Coro Ha Kol si è esibito con un concerto di beneficenza i cui fondi saranno destinati al rimboschimento del Monte Carmelo in Galilea. L'evento organizzato in collaborazione con il Keren Kayemet le Israel ha visto l'esibizione del Coro, diretto dal maestro Andrea Orlando, con un repertorio non liturgico nelle sue tre sezioni, il coro da camera, composto da dieci elementi, che ha eseguito musica del '600, il coro femminile che ha cantato brani di musica israeliana e la sezione completa composta da trenta elementi che fra gli altri brani ha eseguito l'inno israeliano e quello italiano, il salmo 98 musicato dal maestro Elio Piattelli, Al Kol Ele, Yerushalaim shel zahav, La vita è bella di Nicola Piovani e, per la prima volta, Yahalè Kolenu di Vittore Veneziani. Al concerto hanno partecipato eccezionalmente anche la cantante Evelina Meghnagi accompagnata dal chitarrista Domenico Ascione e il tenore Claudio Di Segni, già direttore musicale del Coro Ha-Kol con il quale ha condiviso diverse esibizioni in ambito nazionale spesso di grande importanza e dal 2008 direttore del Coro del Tempio Maggiore di Roma, che ha eseguito un brano tratto dall'Ebrea di Fromental Ha Levy.
Scontri davanti allambasciata di Israele al Cairo
La polizia disperde la folla che chiedeva lespulsione dellambasciatore
IL CAIRO, 16 mag. - Almeno 24 persone sono state ferite ieri vicino all'ambasciata d'Israele al Cairo in violenti scontri tra agenti di polizia e manifestanti che protestavano per il terzo giorno consecutivo contro la creazione dello Stato ebraico, nel 1948. Secondo quanto riferito dall'agenzia ufficiale Mena, dopo molte ore di scontri, "i responsabili della sicurezza sono riusciti a ristabilire la calma nella zona e i dimostranti hanno lasciato il luogo" della manifestazione.
I militari hanno fatto ricorso a gas lacrimogeni ed hanno sparato in aria per disperdere la folla che si era radunata davanti alla sede diplomatica israeliana. I manifestanti chiedevano l'espulsione dell'ambasciatore e la rottura delle relazioni con lo Stato ebraico.
ROMA, 16 mag - Nahum Barnea esprime oggi al Corriere della Sera la sua sorpresa: "Non capisco perché l'intelligence israeliana si sia fatta sorprendere da questi disordini ai confini. Tutti sapevano che la giornata della Nakba si presentava a rischio. Se ne parlava da giorni. E sono quattro mesi che, il leopardo, aspettavamo che arrivasse anche qui. I campi palestinesi in Siria e in Giordania, in Libano e a Gaza, sono posti terribili. C'è gente che da 63 anni non ha diritti. Manifestazioni come queste per loro sono ossigeno". E niente che si possa considerare una manifestazione spontanea, almeno stando alle dichiarazioni del commentatore israeliano: "L'interesse di Damasco è evidente. E' lo stesso di chi controlla i campi in Libano. In Siria è impossibile che bus organizzati arrivino al confine d'Israele senza il consenso di Assad. Non erano manifestazioni spontanee, quella gente era chiaramente pagata. Una cosa sincronizzata con Gaza". "La Nakba - continua Barnea - da parte di un progetto per delegittimare Israele e siccome i palestinesi sono molto intelligenti e Netanyahu non è capace di proporre alcunché, ecco che ora alcuni saltano sul leopardo. Chi come me crede nella soluzione dei due Stati, però, e vuole che Israele si ritiri totalmente dalla Cisgiordania, non può appoggiare il loro diritto al ritorno: ormai non c'è più spazio per tutti".
Con questa aggressione la primavera araba diventa anti-israeliana
di Fiamma Nirenstein
È un attacco selvaggio, concentrico, bellicoso e ignaro di ogni regola internazionale. Il nostro presidente Giorgio Napolitano d'un tratto, durante una visita che avrebbe dovuto avere il puro tratto della simpatia che lega l'Italia a Israele, si trova invece di fronte il baratro mediorientale, la voglia di distruzione dello Stato degli Ebrei, uno scenario che si spalanca come un primo grido di verità proveniente dal ventre delle nuove rivoluzioni. In queste ore, quelle della celebrazione della "nakba", Israele è circondato da manifestazioni di rifiuto profondo provenienti da tutte le latitudini. "Nakba" è una parola araba che significa disastro, rovina, distruzione, e la si piange nei giorni in cui si celebra la proclamazione dello Stato di Israele, che ha compiuto tre giorni fa 63 anni. Quest'anno, dopo l'unificazione con Hamas, la celebrazione ha preso un tono definitivo, di nuovo mostra i denti della distruzione. Non importa che si accusi Israele di crimini che non ha mai commesso: i palestinesi portarono a se stessi la rovina rifiutando la partizione fra Stato ebraico e Stato Palestinese stabilita dall'Onu nel 1947 e andandosene su ordine dei sei Paesi arabi che mandarono i loro eserciti con la promessa che gli ebrei sarebbero stati obliterati.
Ieri le manifestazioni per la Nakba hanno preso una dimensione globale che disegna una foga di rivincita legata alle rivoluzioni arabe di questi giorni, e anche mostra in trasparenza il disegno di distruzione che l'Iran vuole costruire attraverso i suoi alleati: la Siria, Hezbollah, Hamas. L'energia e l'eccitazione che si sprigiona in questo periodo nei Paesi arabi sull'onda della rivoluzione si è trasformata in rifiuto di qualsiasi moderazione, di qualsiasi progetto di trattativa con Israele. Un nuovo impeto che intende strappare e schiacciare ha spinto masse di cittadini arabi, fra cui molti profughi palestinesi, a scavalcare i loro confini con Israele: è un sogno più volte vagheggiato dall'estremismo islamico,masse demograficamente dilaganti che marciano compatte e distruggono lo Stato degli Ebrei.
L'assedio è stato completo: a Tel Aviv, in città, un camion guidato da un arabo israeliano si è gettato su un autobus e sui passanti uccidendo una persona e ferendone quindici. Sul fronte sia di Gaza che della piazza di Ramallah, nel West Bank tutto, compreso Hebron che è da sempre regno di Hamas, migliaia di persone hanno marciato sui check point promettendo di «riscattare la terra col sangue». A Gaza l'esercito ha sparato per impedire l'ingresso dei militanti, e ci sono stati morti e feriti. La Siria è il caso maggiore: per la prima volta dal 1967 frotte di dimostranti hanno attraversato il confine gridando «morte a Israele». C'è stato un morto siriano e tre feriti israeliani. Torna in mente la bizzarra minaccia di Bashar Assad di attaccare Israele di fronte a rischi per il suo regime. Ma la minaccia non era bizzarra. Non si tratta di un attacco dell'esercito, ma i siriani (cui non era mai stato permesso di avvicinarsi al confine) entrati a Majdal Shams, un villaggio druso dalla parte israeliana, hanno fatto irruzione chiedendo la restituzione del Golan e il ritorno dei palestinesi. Come dire: questo accadrà con armi ben peggiori se Assad non viene restaurato.
Una promessa di ispirazione iraniana, come quella degli hezbollah, i pupilli di Ahmadinejad, che sulla frontiera di Marun a Ras, tante volte teatro di guerra fra Israele e Libano, hanno spinto a sfondare il confine un misto di profughi palestinesi e attivisti libanesi, tutti a chiedere la testa di Israele. Ci sono stati quattro morti probabilmente fatti dall'esercito libanese; la loro elevazione a shahid fa coro con la felicità dei palestinesi nel vedere che la loro Nakba è diventata una guerra di tutto il mondo arabo. Facebook ha fatto una sua fondamentale parte chiamando tutto il mondo arabo a una primavera antisraeliana finalmente, ed esso scende ora in campo, compreso l'Egitto i cui cittadini a decine sono andati a solidarizzare con Hamas a Gaza sfondando il check point egiziano, mentre ad Alessandria il giorno avanti il consolato israeliano era stato assediato da migliaia di persone. Anche la Giordania è percorsa da manifestazioni contro Israele. L'immagine di Israele assediata da ogni parte è agghiacciante, e contraddice pienamente l'idea irenica che i manifestanti non bruciavano le bandiere israeliane. Già molti episodi hanno contraddetto quella immagine, e oggi vediamo che talora l'idea di libertà per l'estremismo islamico e panarabo è libertà di distruggere Israele.
L'ufficio nazionale israeliano del Turismo annuncia, in occasione della campagna "Tel Aviv City Break", la nascita di un Team Israele. In collaborazione con la El Al, e grazie alla copertura di una campagna promozionale realizzata dall'ente del Turismo, i 7 operatori protagonisti Agriscambi, Best Tour, Easy Israel, Turbanitalia, Turisanda, Valtur, Viaggidea-Alpitour hanno deciso una formula di promozione verso Israele del tutto innovativa per il mercato italiano rispondendo alle richieste del cliente che si prende un anticipo d'estate a Tel Aviv.
L'offerta City break prevede volo + 4 giorni/3 notti in trattamento BB, transfer, e qualche sorpresa che gli operatori hanno voluto riservare ai loro clienti.
GERUSALEMME, 16 mag. - Israele ha autorizzato la ripresa del trasferimento dei fondi ai palestinesi che erano stati congelati dopo l'accordo di riconciliazione tra Hamas e Fatah: lo ha annunciato il ministro israeliano degli Affari strategici Moshe Yaalon. "Abbiamo sbloccato questi fondi poiché abbiamo potuto verificare che l'accordo Fatah-Hamas non ha avuto effetto, la cooperazione sulla sicurezza (tra Israele e l'Anp, ndr) sta continuando sul terreno", ha affermato Yaalon alla radio pubblica. Israele aveva sospeso all'inizio del mese il trasferimento della quota mensile dei 60 milioni di euro prelevati su merci destinate ai palestinesi, in transito per porti e aeroporti israeliani. Questa misura di ritorsione era stata adottata a seguito dell'accordo di riconciliazione palestinese tra Hamas e il partito al Fatah del presidente Abu Mazen.
Nakba, Haniyeh: "Palestinesi sperano nella fine del progetto sionista"
GAZA - Quest'anno i palestinesi ricordano questa occasione "con la grande speranza di mettere fine al progetto sionista in Palestina". Con queste parole il primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese Ismail Haniyeh ha parlato alle migliaia di fedeli musulmani che stanno commemorando la Nakba, la cacciata dei palestinesi dalla Palestina a partire dal 1948, per la creazione dello Stato di Israele. Haniyeh ha anche affermato il diritto del popolo palestinese a resistere all'occupazione israeliana. Le parole utilizzate potrebbero in qualche modo provocare imbarazzo al presidente palestinese Mahmoud Abbas, recentemente riconciliatosi con Hamas. Marce di commemorazione degli eventi del 1948 sono in programma anche nella Cisgiordania governata, appunto, da Abbas. Qui Israele ha dispiegato i militari per un giorno e i soldati sono in allerta.
La "Nakba", ovvero il fallimento di un massacro annunciato
«Dalla Striscia di Gaza alla Cisgiordania al popolo palestinese che vive nella diaspora: tutti si stanno preparando per celebrare il 63o anniversario della Nakba, la "Catastrofe" palestinese», così annuncia un sito che fa propaganda al movimento terroristico Hamas. Certo, è un giorno di lutto per persone di quel tipo. Il 15 maggio 1948, il giorno seguente la dichiarazione di fondazione dello Stato d'Israele da parte di Ben Gurion, il nuovo stato fu attaccato dagli eserciti di cinque stati arabi: Egitto, Siria, Giordania, Libano e un contingente dall' Iraq. L'allora segretario della Lega Araba, Azzam Pascia', avvertì solennemente dicendo che sarebbe stata
«una guerra di sterminio e di massacro della quale si parlerà come dei massacri dei mongoli e delle crociate».
Per questo si fa cordoglio: perché è fallito il tentativo di prolungare l'olocausto nazista massacrando anche gli ebrei che dopo secoli di persecuzioni e peregrinazioni avevano fondato il loro Stato sulla loro terra. M.C.
Napolitano: Italia sostiene Israele: "Ha diritto di esistere in sicurezza"
"L'Italia sostiene fermamente il diritto di Israele di esistere e di esistere in sicurezza". Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita a Gerusalemme. Rivolgendosi all'omologo israeliano, Shimon Peres, Napolitano ha poi aggiunto: "Noi siamo entrambi presidenti senza poteri esecutivi, ma facciamo quello che possiamo per cercare di risolvere i problemi al meglio".
Napolitano e Peres hanno fatto il punto sulla situazione in Medioriente alla luce dei movimenti in corso in Nordafrica e del nuovo corso della politica interna palestinese. "La nostra posizione sul tema dei negoziati israelo-palestinesi è che debbano essere diretti con entrambi le parti rappresentate", ha spiegato Napolitano, "con il sostegno delle Nazioni Unite". Questo anche allo scopo di "prevenire quei fatti che possano insorgere a creare complicazioni". Quanto al Nordafrica, ha continuato il Capo dello Stato italiano, "è bene andare oltre "lo stare a guardare" per assecondare l'ansia di libertà e democrazia che ha portato alle rivolte, e metterla al riparo "dalle eventuali incognite che potrebbero insorgere".
Da parte sua Peres ha definito "la scelta sbagliata quella di rivolgersi alle Nazioni Unite" perchè "la pace non può essere imposta". Secondo il presidente israeliano: "Hamas deve accettare tre condizioni: denunciare il terrorismo, accettare gli accordi già esistenti, fare la pace con Israele". Quanto alla ricorrenza del "giorno del disastro" (come da parte araba si chiama l'anniversario della costituzione dello Stato d'Israele), Peres ha ribadito: "nessuno ci può criticare se abbiamo accettato quelle condizioni, nessuno ci può criticare se ci siamo difesi".
Napolitano (86 anni a giugno) e il presidente israeliano (87 compiuti)si conoscono da lungo tempo e condividono la fama di "grandi vecchi" sulla scena politica internazionale. Peres in particolare ha definito Napolitano "uno statista fuori dal comune", nonché "un uomo profondo, onesto e di buona volontà". Napolitano ha riconosciuto al presidente israeliano l'impegno ultradecennale per la promozione della pace israelo-palestinese, dicendosi colpito di avergli visto ancora oggi "una forte determinazione a raggiungere la pace e la convinzione che un accordo sia possibile".
Netanyahu attacca; "Decisi a difendere i nostri confini"
"Nessuno si sbagli: siamo decisi a difendere i nostri confini e la nostra sovranità". Così il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha commentato i violenti scontri sul Golan, al confine tra Israele e Siria, in Libano e nel nord della Striscia di Gaza in occasione della giornata della "Naqba". "L'obiettivo è di mettere in discussione l'esistenza di Israele, che definiscono una catastrofe che deve finire", ha aggiunto.
Naqba, a Gaza torna la calma: attivisti italiani incolumi
GAZA - Al termine di una giornata di dimostrazioni palestinesi - in cui decine di persone sono rimaste ferite - una calma precaria e' tornata nella Striscia di Gaza. Nel pomeriggio un aereo israeliano da combattimento ha superato il muro del suono, creando negli abitanti della Striscia l'impressione di un attacco. Incidenti, finora di dimensioni circoscritte, sono stati segnalati al valico di Kissufim, fra Gaza ed Israele. Di conseguenza gli abitanti dei villaggi israeliani vicini alla Striscia hanno avuto ordine di restare nei rifugi. Gli incidenti piu' gravi sono avvenuti presso il valico di Erez (il principale punto di transito fra Gaza ed Israele) verso il quale si sono lanciati centinaia di dimostranti palestinesi dopo aver superato i cordoni di sicurezza preparati da Hamas. Fonti mediche locali precisano che 42 persone, per lo piu' adolescenti, sono rimaste ferite. Il ferito piu' grave e un giornalista locale, colpito alla testa. A breve distanza dalla zona degli incidenti si sono trovati i componenti del 'Convoglio Restiamo Umani': una ottantina di attivisti per lo piu' italiani giunti a Gaza per commemorare il volontario Vittorio Arrigoni, ad un mese dalla sua uccisione da parte di una cellula di islamici salafiti (integralisti). Il loro convoglio e' stato bloccato dai miliziani di Hamas quando ormai si trovava in prossimita' dell'estremita' nord di Gaza. Dopo alcune ore gli attivisti hanno fatto ritorno sani e salvi a Gaza City.
Belgio: la metà degli studenti musulmani è antisemita
di Franco Virzo
La Dernière heure riporta i risultati e le analisi di uno studio della VUB (Università fiamminga di Bruxelles) sui giovani nella capitale e pubblicato di recente da De Morgen. "Lo studio mette in evidenza il fatto che i giovani belgi, marocchini, turchi ed europei del sud cercano legami con la propria cultura" e che "difficilmente si fanno amici in una comunità etnica diversa dalla propria, anche e soprattutto per quanto riguarda le relazioni amorose".
In particolare, la metà degli alunni di Bruxelles di confessione musulmana risulta essere antisemita e il sociologo Mark Elchardus della VUB spiega che la gravità di questo dato sta nel fatto che i sentimenti antisemiti non hanno alcun rapporto con un basso livello sociale o culturale ma sono essenzialmente "d'ispirazione teologica" vale a dire che "c'è un legame diretto tra il fatto d'essere musulmano e quello di provare sentimenti antisemiti". Il sociologo spiega pure che "tra i cattolici che hanno sentimenti antisemiti, questi non sono altrettanto forti" e conclude raccomandando maggiore attenzione per "una reciproca intesa nelle scuole con numerosi musulmani".
Premiato Paolo Pillitteri: «È un amico di Israele»
L'associazione «Amici Di Israele» festeggia quest'anno il 63o anno anniversario dell'indipendenza di Israele. «Lo faremo con gioia - dicono dall'associazione - perché ogni anno di vita in più di Israele è un miracolo che si rinnova. Ma lo faremo anche tributando un pensiero a Gilad Shalit: un ragazzo israeliano di 25 anni, sequestrato 5 anni fa e tuttora a Gaza nelle mani di Hamas, che non permette neppure le visite della Croce Rossa». Insieme agli Amici di Israele ci saranno anche il presidente della Comunità ebraica milanese Roberto Jarach e il rabbino capo Alfonso Arbib, e tanti, laici, cristiani, ebrei e musulmani - che arriveranno da tutta la Lombardia. «Insieme - dice il segretario dell'associazione Davide Romano - avremo anche l'onore di premiare l'ex sindaco di Milano Paolo Pillitteri come "Amico del popolo di Israele": per essere stato vicino sia alla Comunità ebraica che allo Stato di Israele in momenti difficili. Anche e soprattutto in tempi dove a difendere la democrazia israeliana erano esigue minoranze».
Il Festival delle Luci che si terrà dal 15 al 22 giugno è un'ottima occasione per godere di rilassanti vacanze a Gerusalemme, città dalle tradizioni antichissime che ammalia per l'aura mistica che la circonda.
Se avete intenzione di concedervi una vacanza assolutamente indimenticabile, allora Gerusalemme è la meta ideale. Potreste approfittare del Festival delle Luci, che si terrà nella città dal 15 al 22 giugno. Durante questo evento, giunto alla terza edizione, Gerusalemme si illumina a festa. Scenari studiati ad arte renderanno la città ancora più bella. Le strade, i siti archeologici dell'area antica verranno magistralmente illuminati per esaltarne l'innata bellezza.
Ogni sera, poi, spettacoli di ogni genere, musicali, artistici, teatrali, animeranno il centro della città coinvolgendo popolazione locale e i molti turisti che abitualmente affollano Gerusalemme. Questa città è un simbolo importante per i credenti di tutto il mondo, dato che racchiude in sé i luoghi sacri delle tre religioni monoteiste più importanti. La città antica è un vero e proprio museo a cielo aperto. Divisa in quattro zone (ebraica, cristiana, armena, musulmana) questa parte della città merita di essere visitata tutta e con molta attenzione. Partendo dalla Porta di Damasco, sono imperdibili anche Haram esh-Shariff, la Cupola della Roccia, Qubbet es-Sakhra, la moschea El Aqsa, la Porta dei Leoni, la Via Dolorosa, il Santo Sepolcro, la chiesa di San Giovanni, la Cittadella, la torre di Fasaele, la Cattedrale di San Giacomo, la Porta di Giaffa, il Muro del Pianto, le Sinagoghe Sefardite e non ultima la Spianata del tempio. Tutti monumenti storici che riportano alla mente tempi passati.
Oggi si può facilmente raggiungere lo Stato d'Israele, e Gerusalemme in particolare, anche dall'Italia. Se si cerca online si troveranno molte offerte anche a prezzi abbordabili.
Naqba Day: allerta sicurezza a Gerusalemme e in Cisgiordania
E' il giorno in cui i palestinesi ricordano il 'disastro' della costituzione dello Stato di Israele
A Gerusalemme est e in Cisgiordania oggi è stato di allerta per l'imminenza del 'Naqba Day', il giorno in cui i palestinesi ricordano il "disastro" della costituzione dello stato di Israele, 63 anni fa. L'anniversario sarà celebrato domenica, ma i servizi di sicurezza israeliani temono che disordini possano verificarsi già oggi, al termine delle preghiere nelle moschee. Già oggi dunque migliaia di agenti sono stati dislocati a Gerusalemme est, e in particolare in prossimità della Spianata delle Moschee, dove potranno accedere solo fedeli musulmani di età superiore ai 45 anni e in possesso di carte di identità israeliane. Per le donne non sono previste limitazioni. Israele ha rafforzato in maniera significativa la dislocazione di forze anche nei posti di blocco agli accessi di Gerusalemme, e in tutta la Cisgiordania. Fonti militari israeliane rilevano che negli ultimi giorni su internet si moltiplicano gli appelli alla popolazione palestinese affinchè scenda in massa nelle strade e dia vita a una serie di manifestazioni di protesta, da oggi fino a domenica. Al tempo stesso le fonti ritengono che i servizi di sicurezza dell'Anp dovrebbero circoscrivere le proteste e impedire che i dimostranti escano dalle zone autonome e raggiungano postazioni militari o colonie israeliane.
(PeaceReporter, 13 maggio 2011)
Gli israeliani, secondo la comunità internazionale, dovrebbero convincersi che si può vivere in pace con una futura nazione che continua a considerare un disastro la costituzione dello Stato d'Israele. E se non si lasciano convincere, la colpa naturalmente è loro.
Il governo egiziano chiede lannullamento della marcia verso la Striscia di Gaza
IL CAIRO - L'Egitto ha invitato gli attivisti a cancellare una manifestazione il cui fine è entrare nella Striscia di Gaza, in segno di supporto ai palestinesi. In un comunicato di oggi, le autorità hanno chiesto agli attivisti di dare priorità alle questioni interne e "impedire ogni ripercussione che potrebbe giungere da questa manifestazione". Il trattato di pace del 1979 tra Egitto e Israele e la vendita di gas egiziano allo Stato ebraico sono stati molto criticati dalla caduta del presidente Hosni Mubarak, ma i governanti militari egiziani si stanno concentrando sulla politica interna. Una campagna su Facebook ha invocato manifestazioni per domani e la marcia verso il confine per domenica, definita "domenica della liberazione". Il potente gruppo egiziano dei Fratelli musulmani è a favore della giornata di domani ma non della marcia di domenica.
Finito Yom HaShoa' con la sua disperazione.
Finito Yom HaZikaron con il suo dolore.
Finito proprio ieri sera Yom HaAzmaut con la sua gioia irrefrenabile.
Mentre camminavo per la mia citta', cercando di evitare la schiuma spray e gli spaghettini spray che ragazzini urlanti Chag Sameach, spruzzavano in giro ridendo e cantando, pensavo a cosa avrei potuto scrivere sul compleanno di Israele, il sessantatreesimo.
Ogni anno scrivo, ogni anno cerco di trasmettere la gioia immensa che proviamo noi israeliani ad ogni Yom Azmaut. Da cosa viene questa felicita' che non vedo altrove?
Sara' forse perche' ogni anno pensiamo "bene , siamo ancora vivi"?
Puo' essere, anzi sara' sicuramente questa bella notizia che diamo a noi stessi "Siamo vivi!" mentre tutti ci augurano il contrario, dobbiamo morire, siamo un cancro, Israele e' uno stato artificiale, uno stato paria, siamo tutti assassini e via di questo passo.
E' logico quindi sentirsi felici e soddisfatti ad ogni Yom Azmaut.... ecco siamo qui... al prossimo anno e poi ancora al prossimo e ancora, ancora.
Pero' i motivi per essere felici sono tanti, e' vedere il sionismo piu' vivo che mai.
E' assistere come ogni anno alla Festa per l'Indipendenza sul Monte Herzl, intorno alla tomba di marmo nero del Padre del sionismo, quello che diceva "se lo vorrete non sara' solo un sogno".
Un piazzale enorme dove, oltre ai balli, le canzoni, lo sventolio di bandiere e le acclamazioni del pubblico, si assiste al momento piu' emozionante e tenero per noi ebrei, il momento in cui dodici persone vanno ad accendere le dodici torce, una per ogni tribu' di Israele.
Quest'anno ha acceso una delle torce il Rav Shimon Rosemberg padre e suocero della giovane coppia massacrata a coltellate nell'attacco alla casa degli ebrei a Mumbai nel 2008. Ricorderete la storia terribile, i terroristi pakistani che dichiararono "cercavamo gli ebrei" e il coraggio della nanny indiana, Sandra Samuel che, preoccupata dai rumori, corse al piano di sopra dove trovo' il piccolo Moshe che piangeva vicino al cadavere della madre, lo prese in braccio e corse fuori salvandogli la vita perche' i terroristi erano ancora in casa a cercare altri ebrei da ammazzare.
Sandra Samuel e' in Israele col bambino, ha ricevuto subito la cittadinanza israeliana e gli fa da mamma a casa dei nonni Rosemberg.
Il piccolo Moshe, in braccio alla nonna, vicino al figlio indiano di Sandra, era tra il pubblico e applaudiva, ridendo, il nonno accanto al braciere.
Era presente alla cerimonia anche il fratello di Gilad Shalit, Yoel.
I media dicono che abbia disturbato la cerimonia ma chi la guardava in TV non si e' accorto di niente e, dopo il primo momento di confusione, Yoel e' rimasto tra il pubblico.
Gilad e' vivo! Era scritto sul cartello di Yoel.
Certo che Gilad e' vivo! Cinque anni vivo e sepolto in qualche buco tra le belve senza poter vedere nessuno, senza avere contatti con nessuno a parte i suoi aguzzini.
Israele ha fatto e fa tutto il possibile, ha liberato un migliaio di terroristi e non e' servito, colle belve di hamas e' impossibile raggiungere qualche risultato positivo e credo che Yoel dovrebbe andare a manifestare davanti alla sede della Croce Rossa Internazionale che da 5 anni ha il veto di vedere il nostro prigioniero e non protesta.
Siamo vivi anche quest'anno ma questo non e' il solo motivo di orgoglio per noi israeliani. Noi abbiamo creato un paese dal nulla, un paese che era fatto di sabbia e paludi. Nel 1948 il PIL era da paese del terzo mondo, oggi e' superiore a quello di molti paesi europei.
Oggi questo paese e' un giardino, le citta' sempre piu' grandi e belle, Israele costruisce nel Neghev un nuovo e supermoderno impianto idrico per il riciclaggio dell'acqua. L'impianto, nella sua prima fase, fornira' trecentomila metri cubi di acqua purificata al giorno che servira' per le coltivazioni e le irrigazioni dei campi.
Si , acqua per le coltivazioni, suona strano vero se si pensa al deserto? Eppure Israele nel Neghev coltiva pomodori, ulivi, uva, tutti i tipi di verdure biologiche, l'Universita' Ben Gurion di Beer Sheva ha un college universitario e centro di ricerca vicino al kibbuz Sde Boker , il Jacob Blaunstein Institute for Desert Research dove i migliori scienziati di Israele lavorano in un ambiente pastorale e meraviglioso, circondati da un paesaggio biblico che non ha uguali.
Si creano centri di energia solare, citta', villaggi modernissimi, parchi enormi, fabbriche, centri di svago, impianti industriali ed e' soprattutto in via di sviluppo la situazione dei beduini della zona che troveranno enorme impulso a fare una vita migliore con nuove occupazioni che non siano solo le pecore e che usufruiranno di servizi di trasporto dai loro villaggi ai posti di lavoro.
Il Neghev sara' completamente sviluppato in pochi anni e si accorceranno le distanze fra il deserto e il centro di Israele perche' vengono gia' create autostrade, servizi automobilistici che in Israele sono il mezzo di trasporto piu' comune perche' praticamente perfetto.
Ma la cosa piu' comica che ci ricorda di essere in Medio Oriente, e' che viaggiando in autostrada si incontrano cartelli che avvisano "Attenzione, cammelli"
Tel Aviv, la citta' che non dorme mai, diventera' "global city" , citta' internazionale cioe' città all'avanguardia nel campo dell'economia, della cultura e del sociale.
La Global City Administration ha ospitato recentemente 15 editori e scrittori della rivista Time Out, nota in tutto il mondo. Agli editori provenienti da importanti città come New York, Londra, Madrid, Barcellona, San Paolo, Amsterdam, Mosca, Città del Capo, Lisbona, Budapest, Bombay e Hong Kong, sono stati illustrati i molteplici aspetti della città di Tel Aviv. I loro articoli sono stati pubblicati su un'edizione speciale intitolata "Time Out Tel Aviv Global City", con ampia diffusione a livello internazionale.Tale rivista è un valido strumento per il settore che riesce ad evidenziare al meglio i punti di forza della città e del paese. Insomma il sogno di Theodor Herzl ha superato ogni aspettativa e la meraviglia diventa ancor piu' strabiliante se si pensa che tutto questo e moltissimo altro e' stato ed e' fatto mentre il Paese e' ancora in guerra con i palestinesi, e' stato colpito dal terrorismo piu' feroce e barbaro e sottoposto continuamente a pressioni disumane dal resto del mondo.
Dati pubblicati dall'Ufficio centrale delle Statistiche mostrano che la percentuale dei cittadini israeliani senza un impiego si è ulteriormente abbassata nei primi mesi del 2011, arrivando a meno del 6% e la crisi economica mondiale non ci ha colpiti neanche di striscio.
Tutto questo e moltissimo altro in tutti i campi, da quello scientifico, culturale, agricolo, turistico, viene fatto col lavoro e la felicita' di essere qui , a casa, liberi e padroni di noi stessi.
L'altro giorno sono andata alla scuola di mio nipote per la cerimonia di Yom Hazikaron e Yom Azmaut ed e' stato da un punto di vista devastante perche' i bambini della scuola hanno letto i nomi dei caduti che erano alunni di quell'istituto e sono morti in guerra o per terrorismo. In quale scuola del mondo occidentale puo' avvenire questo? In che paese del mondo esistono ex allievi morti ammazzati? Un lungo elenco di nomi. In tutte le scuole di israele la stessa cerimonia di dolore.
Poi pero' e' scoppiato l'entusiasmo e, passando dal serieta' del momento del lutto alla gioia sfrenata, i bambini, sventolando le bandiere e a testa alta, quasi gridando, hanno cantato, insieme a noi del pubblico l'Inno Nazionale, orgogliosi, fieri e felici.
Questo e' Israele un paese fiero che lavora e vive con soddisfazione posizionandosi al settimo posto tra i paesi piu' felici del mondo e tutto ma proprio tutto ci e' stato dato in eredita' da quell'antico "se lo volete non sara' solo un sogno",
Naftali Herz Imber che scrisse la Hatikva nel lontano 1877 non avrebbe mai immaginato che la sua poesia (dal titolo originale Tikvatenu, Nostra Speranza) sarebbe stata cantata da generazioni di ebrei liberi arrivati a casa poveri profughi reduci dai campi della morte o fuggiaschi dalle persecuzioni arabe e diventati un popolo all'avanguardia.
Generazioni di ebrei liberi che ancora oggi cantano quelle parole col groppo in gola e gli occhi lucidi.
Kol od balevav p'nimah
Nefesh Yehudi homiyah
Ulfa'atey mizrach kadimah
Ayin l'tzion tzofiyah
Od lo avdah tikvatenu
Hatikvah bat shnot alpayim
L'hiyot am chofshi b'artzenu
Eretz Tzion v'Yerushalayim
Finché dentro il cuore, in profondità, l'Anima Ebrea ci sussurrerà e alle porte d'Est, là dove sorge il sol un occhio guarda al monte di Sion, non è persa la Speranza, speranza già bimillenne, d'esser un popol libero in terra di Sion, Gerusalemme.
E nemmeno David Ben Gurion che riposa con la moglie Paula sotto due alberi in mezzo al deserto avrebbe mai immaginato quello che le sue parole potevano significare mentre leggeva La Dichiarazione d'Indipendenza di israele il 14 Maggio 1948:
"In Eretz Israel è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l'eterno Libro dei Libri. Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino in essa della libertà politica. Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria .."
Viva Israele!
Usa, arrestati aspiranti terroristI. Puntavano all'Empire State Building
L'Empire State Building
NEW YORK - L'obiettivo dei due giovani aspiranti terroristi era ambizioso, decisamente troppo ambizioso: far saltare per aria alcune tra le principali sinagoghe di New York ed attaccare addirittura l'Empire State Building, il grattacielo più alto di Manhattan. Dopo averli seguiti per mesi, la polizia di New York ha arrestato nella notte tra mercoledì e giovedì due giovani del Queens, ambedue di origine nordafricana, dopo averli incastrati mentre tentavano di acquistare una granata e due o tre fucili. Secondo il commissario di polizia di New York Ray Kelly che insieme con il sindaco Mike Bloomberg ha tenuto oggi una conferenza stampa annunciandone l'arresto, i due, Ahmed Ferhani e Mohamed Mamdouh, erano «cani sciolti» non affiliati a nessun gruppo internazionale, ma che sostengono di odiare gli ebrei e di voler riscattare le sofferenze degli arabi nel mondo.
La loro idea era di travestirsi da ebrei ortodossi, di recarsi nella più grande sinagoga della città e di lasciare all'interno un ordigno esplosivo. L'obiettivo dell'Empire State Building, che avrebbero voluto far saltare per aria, è stato citato da Kelly nella sua conferenza stampa, ma senza dare maggiori dettagli. Come ha spiegato al Ny Times una fonte di polizia anonima agli agenti falsi trafficanti di armi che li hanno incastrati, i due giovani hanno chiesto: «Potete procurarci alcuni fucili? Vogliamo uccidere alcuni fottuti ebrei». Fehrani e Mamdouh non hanno citato nessun obiettivo precisi limitandosi a parlare della più grande sinagoga della città. Non tutto è chiaro sulla vicenda, anche perchè l'Fbi, competente per le questioni di terrorismo, non ha voluto occuparsi del caso, lasciandolo alla polizia di New York, giudicando che i due non rappresentassero una minaccia per la sicurezza nazionale. Viene il sospetto che Bloomberg, in deciso calo nei sondaggi in questi ultimi mesi, abbia voluto un pò 'gonfiarè la vicenda. Figlio di un tassista algerino, Fehrani, 26 anni, è un pregiudicato ex commesso di cosmetici di Saks Fifth Avenue, uno dei più famosi e lussuosi grandi magazzini di New York, ed aspirava addirittura a diventare modello. Mamdouh, 20 anni, è di origini marocchine.
Pediatri, rischi da integratori per bebè e teenager
TEL AVIV, 12 mag - Integratori alimentari senza controlli, anche quelli per bambini e adolescenti: l'allarme arriva dal primo congresso sulle cure pediatriche primarie in corso a Tel Aviv da dove i medici hanno segnalato la necessita' di sottoporre queste sostanza a test e verifiche. In Israele, dove si sono riuniti i rappresentanti della pediatria di molti paesi occidentali, e' stato avviato un monitoraggio nazionale dopo alcuni casi gravi legati, in particolare all'uso di dimagranti di gran moda fra gli adolescenti, e non solo. ''Abbiamo scoperto che all'interno di uno di questi prodotti era contenuto un anoressizzante, la sibutramina, ritirata dal commercio da tempo, che aveva provocato il blocco renale in un ragazzo di 15 anni. Il giovane, giunto in ospedale anche con alcuni problemi cardiaci, si e' ora ripreso ma con quel prodotto aveva assunto, senza saperlo, una quantita' di farmaco pari al doppio della dose massima che veniva prescritta con il medicinale ora vietato''. Ha spiegato Mati Berkovitch, presidente della Societa' israeliana di pediatria. L'analisi di altri prodotti ha permesso di scoprire grandi presenze di alcol, fino al 20% del totale in alcuni integratori a base di erbe per le coliche dei lattanti. In alcuni sciroppi, ha anche aggiunto il medico, sono stati scoperti dei sedativi per la tosse farmacologici vietati fino ai 4 anni di eta'. Ma gli esperti si dicono anche preoccupati per le interazioni che alcune di queste erbe potrebbero avere sulla salute, in particolare su quella dei piu' piccoli. ''Non sappiamo quasi nulla - ha concluso Berkovitch - su come alcune sostanze naturali possano amplificare o ridurre l'effetto dei farmaci che alcuni bambini debbono prendere''. Per questa ragione e' stato avviato un monitoraggio nazionale per raccogliere dati su tutte le reazioni avverse registrate da medici e anche dai genitori. Per l'Italia il professor Achille Caputi, past president della Societa' italiana di farmacologia (Sif) ha confermato la preoccupazione israeliana portata all'attenzione dell'incontro medico internazionale. ''Non c'e' un sistema di segnalazione per gli integratori - ha detto Caputi - non esiste una banca dati. Si tratta di sostanze attive che non vengono sottoposte ai controlli obbligatori per tutti i farmaci. E preoccupa anche il fatto che si tratta di prodotti che possono interagire con i farmaci ma che vengono anche utilizzati da persone sane che nella maggior parte dei casi non ne hanno bisogno''.
La lunga estate israeliana è ormai iniziata, e anche quest'anno la fine delle (poche) piogge invernali coincide con l'apertura di quella che ormai viene indicata come la "Stagione dei Festival". Per sei mesi, da maggio a settembre, decine di eventi culturali, spettacoli, tour e iniziative eno-gastronomiche animeranno tante località, a nord come a sud del Paese. In particolare, le proposte per questo mese di maggio sono moltissime, e vanno incontro praticamente a tutti i gusti.
Il parco Hayarkon a Tel Aviv
L'aperitivo, per così dire, è il "Ta'am Ha'ir", conosciuto anche come la fiera del gusto di Tel Aviv. Per tre giorni i migliori ristoranti del Paese - e le enoteche più rinomate - venderanno le loro prelibatezze a prezzi scontati nel parco Hayarkon. L'evento, giunto alla sua 16esima edizione, attira in media 400.000 visitatori all'anno, e si classifica a buon diritto tra i maggiori appuntamenti culinari del mondo.
Dopo aver mangiato e bevuto, i turisti possono continuare la loro passeggiata fino alla Cinematheque di Tel Aviv per godersi uno dei tanti film proiettati nel quadro di Docaviv, il Festival internazionale del cinema documentario (12-21 maggio).
Se il clima della città che non dorme mai è troppo afoso, dal 18 maggio al 22 luglio a Gerusalemme si tiene la Stagione della Cultura. In cartellone ci sono concerti della Filarmonica diretti dal celebre maestro Zubin Metha, balletti e performance artistiche di vario genere, che verranno realizzate in contesti insoliti: dal Museo Israele al mercato di Machaneh Yehuda, uno dei più antichi e pittoreschi della città.
Sempre a Gerusalemme il 23 maggio si apre lo storico Israel Festival, che durerà fino al 18 giugno. Le performance saranno cinquanta: proprio quanti sono gli anni di questo appuntamento amatissimo dagli israeliani. Musica classica, teatro e danza, ma anche street art, sessioni jazz e intrattenimento per i bambini; in altre parole, un programma formato famiglia.
Ma anche i centri minori non sono da meno. Dal 14 al 21 maggio, nell'ambito dell'International Spring Festival, sono previsti show di artisti di diverso genere e nazionalità - israeliani, francesi, polacchi, brasiliani - a Rishon-LeZion, Ashdod, Herzliya, Petach Tikva, Modi'in e Kiryat Haim.
I fanatici di architettura e design devono invece segnare sul calendario le giornate del 20 e del 21 maggio. In questi due giorni saranno aperte le porte di alcuni degli edifici privati più belli e particolari del Paese. Chi parteciperà a "Houses from Within", Case dall'interno, potrà visitare, tra le altre cose, un attico costruito con materiali di riciclo, l'abitazione di David e Paula Ben Gurion e lo Haggai Yuden's Music Studio, che custodisce un pianoforte vecchio di 150 anni.
Che la Stagione dei Festival inizi!
Erdogan: Hamas non è un'organizzazione terroristica
Hamas e Fatah si sono dovute accordare di corsa per due motivi: 1. La crisi in Siria mette a rischio le basi di Hamas in quella nazione; 2. Abu Mazen punta alla riunificazione per cercare di ottenere dall'Onu la proclamazione di uno Stato indipendente palestinese, presentandolo come unito, senza continuare le trattative con Israele.
Ma Hamas nello statuto scrive di volere alzare la sua bandiera su tutto il territorio "palestinese", inclusa Israele, "che continuerà ad esistere finchè l'Islam lo oblitererà". Hamas ha dichiarato che Bin Laden è un martire e un grande guerriero dell'Islam, il che conferma la sua vicinanza con i salafiti e al Qaida.
Il terrorismo di Hamas non è fatto di parole soltanto: negli ultimi mesi in Israele sono morti i Fogel, coi loro tre bambini, un ragazzo su uno scuola bus e un giovane in visita alla tomba di Giuseppe. Hamas in effetti pensa che "Il giorno del giudizio non verrà finchè i musulmani non avranno combattuto e ucciso tutti gli ebrei"). E mentre gli americani vorrebbero smettere di finanziare questa organizzazione, gli europei insistono a gonfiare le sue tasche: Hamas oggi ha 540 milioni di dollari in cassa, mentre ne aveva 40 milioni cinque anni fa. Hamas oggi dà lavoro a 40.000 persone. Peccato che 21.000 di questi sono milizie armate.
Sul Jerusalem Post di oggi trovo la notizia che Berlusconi non intende riconoscere una eventuale autoproclamazione di uno stato palestinese.
Condannata l'ex guardia nazista John Demjanjuk, 91 anni. Che ora rischia un nuovo processo in Spagna
John Demjanjuk
MILANO - John Demjanjuk, 91 anni, l'ex guardia nazista accusata di concorso nell'eccidio di quasi 28mila ebrei nel 1943, è stato condannato giovedì a cinque anni di prigione dal tribunale di Monaco di Baviera. L'accusa aveva chiesto una pena di sei anni e Demjanjuk, ribattezzato il boia di Sobibor (Polonia), rischiava fino a un massimo di 15 anni di carcere. Dopo la condanna Demjanjuk è stato rilasciato in quanto in attesa di appello.
CRIMINALE NAZISTA - Quello di Monaco è stato uno degli ultimi grandi processi per i crimini nazisti in Germania e si è sviluppato in 90 sedute nell'arco di 18 mesi. L'avvocato di Demjanjuk, Ulrich Busch, aveva chiesto l'assoluzione, affermando che il suo cliente è una «vittima della giustizia tedesca». La sua linea difensiva non è cambiata: non c'è alcuna prova che Demjanjuk fosse a Sobibor e, se mai ci fosse stato, in quanto soldato dell'Armata rossa fatto prigioniero dai nazisti, ha agito perché costretto con la forza. L'imputato, seduto in sedia a rotelle e affiancato da dottori e da un interprete ucraino, in aula ha osservato il silenzio. Tramite il suo legale, ha accusato la Germania di «torturarlo». La sua famiglia ha sempre ribadito che le sue condizioni di salute erano precarie e che non avrebbe sopravvissuto al processo. E invece ce l'ha fatta. Alla sbarra hanno testimoniato 15 tra storici, giuristi, esperti di medicina e grafologia. Tra i testimoni anche tre sopravvissuti al lager e un ex guardiano. L'accusa però non ha prodotto alcun testimone diretto o documento che provi la sua tesi, a parte una carta d'identità delle SS che stabilisce il ruolo di guardiano a Sobibor. Un falso dell'epoca sovietica, ha risposto la difesa.
COLPEVOLE - Demjanjuk ha già scontato otto anni di carcere in Israele, dove è stato ritenuto colpevole di avere lavorato come guardiano al campo di concentramento di Treblinka con il soprannome di «Ivan il terribile». Condannato a morte nel 1988, è stato assolto dalla Corte suprema israeliana per via dei dubbi sulla sua identità. Al termine di una lunga battaglia giudiziaria, Demjanjuk è stato espulso nel maggio 2009 in Germania dagli Stati Uniti, dove viveva dagli anni Cinquanta. Il suo resterà nella storia come uno degli ultimi processi di crimini nazisti, assieme a quello dell'ungherese Sandor Kepiro, 97 anni, da poco cominciato a Budapest. Demjanjuk però non può ancora avere pace, perché adesso anche la Spagna reclama la sua estradizione: è accusato di avere lavorato come guardiano in un altro campo di concentramento dove sono morti prigionieri spagnoli.
IL CASO FABER - Il giorno prima della condanna di Demjanjuk, il Land della Baviera aveva rifiutato l'estradizione in Olanda dell'ex SS Klaas Faber, 89 anni, di origine olandese e terzo nella lista dei criminali nazisti più ricercati dal Centro Wiesenthal. Faber, condannato a morte nel 1947 per l'assassinio di 22 ebrei, nel 1952 fuggì dal carcere olandese di Breda dopo la commutazione della pena capitale in ergastolo. Divenne cittadino tedesco grazie a una legge approvata durante il nazismo che dava la cittadinanza a chi combatteva sotto le insegne del Terzo Reich, sfuggendo così alla richiesta di estradizione. Nel 1957 la magistratura tedesca sentenziò nei suoi confronti un non luogo a procedere per mancanza di prove.
TEL AVIV, 12 mag - Il 51,7% dei farmaci generici si e' allineato, e in alcuni casi ha fissato un prezzo anche al di sotto rispetto al nuovo prezzo di rimborso fissato dall'agenzia italiana del farmaco, senza alcun onere a carico del cittadino. Nel rimanente 48,3% i prezzi si sono avvicinati ai nuovi listini al pubblico fissati con i prezzi di riferimento ''laddove le aziende hanno potuto sostenere l'abbassamento compatibile con i costi di produzione e gestione. I dati elaborati da Assogenerici sono stati diffusi a margine del primo congresso di pediatria di base in corso a Tel Aviv, dal presidente dell'associazione Giorgio Foresti. In tutti i casi dove resta un differenziale a carico del cittadino che voglia prendere un generico, questo in media non supera i 50 centesimi di euro. Assogenerici sottolinea anche che i cittadini fino ad oggi ''hanno pagato di tasca loro, scegliendo il farmaco di marca al posto del generico, una cifra che solo nel 2010 e' arrivata a 560 milioni di euro''. Foresti ha ribadito la necessita' di garantire alle aziende che producono generici volumi di vendite attraverso un accordo con l'Aifa.
Soldati israeliani intossicati dal carburante degli aerei
TEL AVIV - Diversi militari israeliani di stanza in una base aerea del nord del Paese sono rimasti oggi leggermente intossicati dopo aver inalato sostanze prodotte da carburante aereo durante le normali operazioni di rifornimento di alcuni F16. Lo ha riferito all'ANSA un portavoce militare. L'episodio sarebbe avvenuto a causa di un guasto tecnico di natura imprecisata, secondo le prime informazioni, ma e' comunque oggetto adesso di un'indagine. Secondo alcuni media online, i militari coinvolti sarebbero in totale una sessantina, ma il portavoce ha puntualizzato che i sintomi d'intossicazione hanno riguardato in totale non piu' di 33 soldati: tutti gia' visitati dai medici e trovati ''in condizioni non gravi''. Nessuno finora ha ipotizzato collegamenti tra questa vicenda e il problema di contaminazione del carburante all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, che dura da giorni e non e' ancora risolto.
"Boicotta Israele, boicotta Nichi Vendola". Sabato prossimo a Roma si leggeranno questi striscioni, portati dai Forum per la Palestina, dai Campi antiimperialisti e dalla seconda Flottilla di Gaza. Nichi Vendola paga questa improvvisa botta di impopolarità in una frangia della sinistra radicale per aver ricevuto ufficialmente l'ambasciatore di Israele, un gesto che gli è costato pure l'accusa più terribile per questi settori, l'essere un sionista.
Vendola però non ha fatto altro che il suo dovere istituzionale, perchè se si fosse rifiutato di ricevere l'ambasciatore israeliano avrebbe compiuto un atto grave, così come ha fatto bene ad ospitare in Puglia un festival sulla cultura ebraica. Le sue parole di elogio ad Israele erano per lo più formali, condivisibili e per nulla denigratorie nei confronti delle sofferenze del popolo palestinese. La lettera minacciosa di Luisa Morgandini, ex europarlamentare di Rifondazione, che gli intima una smentita perdita la stima sua e di molti compagni, appare invece la consueta visione a senso unica di un problema complesso e drammatico. Il riconoscimento di Israele e del suo diritto all'esistenza è una precondizione per una politica estera di uno Stato democratico, membro dell'Onu, della Nato e dell'Unione Europea. Criticare il governo di Gerusalemme è più che legittimo, così come sarebbe benvenuta una presa di coscienza degli aspetti più controversi della causa palestinese. I tifosi, in questo caso, non aiutano nessuno delle due parti in causa.
Cure primare in pediatria, verso nuove raccomandazioni globali
ROMA, 11 mag - Prende il via in queste ore ''A new Pediatrics.now'', il progetto di monitoraggio internazionale per la definizione di nuove raccomandazioni delle cure pediatriche primarie a livello globale. L'iniziativa e' stata presentata durante il First International Congress On Pediatric Primary Care, il primo congresso internazionale sulle Cure Pediatriche Primarie in corso a Tel Aviv. Voluto dalla Federazione Italiana Medici Pediatri-FIMP, alla luce dell'accordo bilaterale stabilito con IAPA - Israel Ambulatory Pediatric Association, l'evento e' organizzato in collaborazione con l'Ambasciata Italiana di Israele ed e' supportato da Teva, azienda leader mondiale nel settore dei farmaci generici.
L'idea e' quella di innescare un confronto tra diversi sistemi di cure primarie in pediatria, stabilendo un nuovo modello che si adatti alla societa' in cambiamento e al nuovo concetto di famiglia che si e' ormai profilato. Il progetto prevede un'analisi dei sistemi di cure pediatriche primarie attualmente in vigore nei diversi Paesi (tra i quali Israele, Italia, Spagna, Stati Uniti e Inghilterra) che si concludera' a maggio 2012. In base alle informazioni raccolte, gli specialisti saranno poi impegnati nella stesura delle nuove Raccomandazioni, che saranno presentate a Bruxelles nell'autunno 2012, al Commissario Europeo della Salute e dei Diritti del Consumatore, John Dalli e al Direttore dell'Organizzazione Mondiale della Sanita' (WHO), Margaret Chan.
63 anni di Israele, Berlusconi: "Il suo destino è la pace con la Palestina"
ROMA - Il destino di Israele ''unica vera democrazia del Medio Oriente'' e' la pace con la Palestina. E' un'affermazione pronunciata con convinzione quella del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ospite d'onore, oggi a Villa Miani, dell'ambasciatore israeliano a Roma Gideon Meir alla festa per il 63/mo 'compleanno' dello Stato ebraico. Tampinato dai cronisti tra i saloni della sontuosa villa da cui si gode una delle piu' belle viste della capitale, Berlusconi guarda al futuro di Israele, da decenni alla ricerca di un negoziato che regga, e si dice convinto che il premier israeliano Benyamin Netanyahu ''fara' la cosa giusta''.
Non si e' ancora asciugato l'inchiostro con cui Hamas e Fatah, le fazioni rivali palestinesi, hanno firmato la loro riconciliazione e, sia pur in attesa di sviluppi dal terreno, Berlusconi e' certo che ''non ci potra' essere una possibilita' di negoziato tra lo Stato di Israele e la Palestina se non si arrivera' a delle affermazioni precise circa il riconoscimento e la sicurezza dello Stato ebraico''. Allo stesso tempo, il Cavaliere rigetta con fermezza ogni ipotesi di ''riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese''. Dal palco - dove si trovano a fianco dell'ambasciatore, Berlusconi, l'inseparabile Gianni Letta, i presidenti di Camera e Senato Gianfranco Fini e Renato Schifani ed il primo cittadino di Roma Gianni Alemanno - risuonano solo parole di grande amicizia e sintonia. E di un affetto particolare che lega Italia ed Israele, come ha voluto sottolineare il diplomatico israeliano (a fine anno scade il suo mandato a Roma) indirizzando un ringraziamento speciale all' ''amico'' Berlusconi e al sottosegretario Letta per la sua ''disponibilita''' a ''risolvere i piccoli e grandi problemi per il bene delle relazioni tra i due Paesi''.
Ma l'ambasciatore non dimentica il ''grande presidente Giorgio Napolitano'' che - a ragione - ha ravvisato l'ispirazione del movimento sionista nel pensiero di un altro grande italiano come Giuseppe Mazzini''. Sara' stato il clima idilliaco che aleggiava sulla festa, o forse solo un caso, ma dopo essersi inizialmente quasi ignorati ad un certo punto c'e' scappata pure una stretta di mano tra il premier e il presidente della Camera accompagnato dalla consorte, Elisabetta Tulliani. E' stato Berlusconi, dopo qualche attimo di esitazione e imbarazzo tra i due, ad avvicinarsi a Fini con la mano tesa. In un tripudio di bandierine, spillette e coccarde di fiori avvolte in nastri blu e bianchi, i colori di Israele, i festeggiamenti - oltre a politici ed esponenti del mondo della cultura c'era l'intera comunita' ebraica romana e nazionale - si sono protratti nei giardini della villa anche dopo l'uscita di scena del premier. L'imponente servizio di sicurezza predisposto dall'ambasciata ha potuto trarre un respiro di sollievo vista la baraonda mediatica suscitata dall'illustre ospite, con tanto di bicchieri rotti e tavoli capovolti frutto dell'inseguimento dei cronisti.
Al Centro Ucei anteprima del documentario israeliano 'misafa' lesafa''
ROMA, 11 mag. - L'espressione ebraica "Misafa' lesafa'" significa "da una lingua all'altra" ed e' il titolo del documentario della regista israeliana Nurith Aviv, che sara' proiettato in anteprima italiana domani, alle 19.30, al Centro bibliografico dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane, a Lungotevere Sanzio 9, a Roma.
Il documentario, che dura cinquantacinque minuti, e' costruito su interviste a intellettuali israeliani provenienti da tutto il mondo, i quali, 'originari' di diverse madrelingue, 'approdano' in un'altra lingua, quasi fosse un'altra patria. Artisti immigrati da Germania, Russia, Francia, Ungheria, dall'Iraq e dal Marocco, ma anche dalla vicina Cisgiordania, si ritrovano cosi' a cambiare lingua e, nello specifico, a dover parlare, usare e condividere l'ebraico come loro lingua madre.
Esplorare la ricchezza e i significati molteplici di questo territorio linguistico, non privo di conflitti e metafora del rapporto con la vita stessa, e' quello che Nurith Aviv, regista israeliana che vive e lavora a Parigi, cerca di offrire attraverso una sequenza poetica di confessioni, monologhi che scorrono assieme ad immagini di un paesaggio d'Israele che cambia di volta in volta.
Cosa ha permesso a Israele, nonostante tutto, di vivere, crescere, prosperare, fino al traguardo di questo 63o anniversario di Indipendenza? Chi bisogna ringraziare per la prodigiosa rinascita del popolo ebraico, che, nonostante i tanti Amalek della storia, è riuscito a riaccendere, nella propria terra, una "luce per tutte le nazioni"? Occorre dire grazie, in primo luogo, ai rabbini, ai poeti, ai sognatori, ai sarti, agli straccivendoli, ai folli che hanno permesso all'ebraismo di tramandare la propria anima, attraverso secoli di esilio, in mille città, villaggi e shtetl, fino a consegnarla, nei tempi moderni, ai realizzatori del sogno sionista? O il primo ringraziamento va tributato a tutti i combattenti che, su mille fronti - tra le mura del dal ghetto di Varsavia come tra le fila dell'esercito britannico o di Tsahal - hanno affermato con la forza la volontà di vita e di resistenza - contro tutti, nonostante tutto - del popolo del libro? Il mondo, si sa, ama i primi, non i secondi. Ama la parola ebraica, non il braccio che le permette di esistere, di essere pronunciata. Eppure, spesso sono stati gli stessi poeti, cantori, musicisti a impugnare le armi, affinché il messaggio affidato alla loro arte non fosse spento, soffocato per sempre. Fra i tanti, in questo 63o Yom ha Azmaùt, ricordiamo la luminosa figura del grande poeta guerrigliero lituano Avrom Sutzkever: catturato dai nazisti, costretto a scavare la fossa ove, una volta fucilato, sarebbe stato seppellito il suo cadavere, Sutzkever vi si gettò nello stesso istante in cui l'ufficiale diede ordine di sparare, precedendo di un attimo la raffica e riuscendo, così, a essere colpito in modo non letale. Sepolto vivo, riuscì a respirare sotto terra, economizzando l'aria, e a sopravvivere. Uscito dalla fossa, diventò comandante di una brigata di partigiani ebrei, affrontò e sconfisse i nazisti in mille scontri, in una spericolata tattica di guerriglia, trovando rifugio nei boschi, dopo avere colpito, per poi tornare a colpire. Divenne un incubo per il nemico e, per i suoi, una leggenda vivente, tanto da essere prelevato dai russi, a conflitto in corso, e condotto a Mosca, per essere insignito del premio Stalin, che, però, rifiutò, preferendo tornare a combattere. Vinse la sua guerra, morì in pace, libero, giusto, sazio di giorni, il 20 gennaio del 2010, a 96 anni. E, tanto in pace quanto in guerra, restò sempre un poeta. In sua memoria, così come in memoria di tutti coloro che hanno difeso, con la parola e con le braccia, il diritto a esistere del popolo ebraico, come di tutti i popoli, ricordiamo una delle sue più toccanti poesie, scritta in yiddish, durante i suoi giorni di partigiano, intitolata Unter dayne Vaise Shtern, "Sotto le tue stelle bianche":
Sotto le tue stelle bianche, tendimi la tua mano bianca.
Le mie parole sono lacrime, vogliono riposare nella tua mano.
Guarda, si offusca il loro scintillio, nel mio sguardo pieno di tenebra,
e non ho nessun posto dove poterle restituire.
Ma, Dio di fede, io voglio affidarti il mio bene,
perché c'è un fuoco dentro di me e, nel fuoco, i miei giorni.
Nelle cantine e nelle fosse, piange la quiete assassina.
Corro in alto, sopra i tetti, e cerco: dove sei, dove?
Mi seguono stranamente scale, corti, lamenti.
Pendo come una corda strappata e canto così per te:
sotto le tue stelle bianche, tendimi la tua mano bianca.
Le mie parole sono lacrime, vogliono riposare nella tua mano.
Secondo l'intelligence il Raìs avrebbe saputo dei bombardamenti Nato in anticipo grazie a un sistema di difesa elettronico
ROMA, 11 mag. - Mente si intensificano i raid mirati della Nato e i ribelli sembrano riprendere l'avanzata, la sorte di Gheddafi continua a suscitare interrogativi. Secondo il sito israeliano Debka, il rais avrebbe lasciato Tripoli.
Il leader libico Muammar Gheddafi, la sua famiglia e i suoi più stretti collaboratori - ha detto Debka - hanno abbandonato Tripoli il 1 maggio scorso, dopo il raid Nato in cui sono rimasti uccisi il figlio Saif al Arab e tre nipoti del colonnello. A Washington e nel quartier generale della Nato si sospetta che Gheddafi abbia saputo in anticipo dell'attacco dell'Alleanza atlantica, riuscendo così a scappare. Fonti di intelligence hanno rivelato a Debka che sarebbe stato un nuovo sistema di difesa elettronico, fatto arrivare di recente in un'ambasciata straniera di Tripoli, ad avvisare Gheddafi dell'imminente raid. Le stesse fonti hanno sottolineato come nelle ultime due settimane, da quando è stato attivato questo sistema, la Nato ha colpito soprattutto edifici governativi vuoti e installazioni militari abbandonate.
Dal canto suo, l'alleanza atlantica non si sbilancia sulla sorte del leader libico. Ieri il generale di Brigata Claudio Gabellini, Chief Operations Officer della missione "Unified Protector" ha detto che i bombardamenti della Nato della notte scorsa a Tripoli hanno preso di mira solo obiettivi militari e ha aggiunto che l'alleanza non sa dove si trovi il colonnello.
Sul terreno le forze degli insorti sono avanzate ieri di una quindicina di chilometri a ovest di Misurata, avvicinandosi così a Zlitan, circa 40 km dalla città portuale. Zlitan, che conta circa 200.000 abitanti, si trova a 150 km da Tripoli."Se l'avanzata delle ultime 24 ore si ripeterà, domani saremo alle porte di Zlitan", ha assicurato l'ex colonnello Haj Mohammad, capo delle operazioni sul fronte a ovest di Misurata.
Abruzzo: funzionari israeliani studiano metodi gestionali del Parco Nazionale
L'AQUILA, 11 mag 2011 - Sono in visita al Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise da alcuni giorni due funzionari del governo israeliano, Peretz Gilady, ranger della Golan Hights National Reserve e Alon Reichmann, biologo. I due funzionari sono molto interessati a conoscere le modalità con cui il Parco affronta e gestisce il problema della convivenza tra i carnivori e le attività legate alla zootecnia. Dopo aver incontrato il gruppo di ricerca del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie della Università La Sapienza di Roma con cui sono stati affrontati tutti i temi legati alla ricerca scientifica sul lupo e sull'orso, i due funzionari hanno avuto una serie di incontri con allevatori del parco per verificare sul campo le problematiche dell'allevamento in un territorio ricco di predatori, quali sono le forme di prevenzione a difesa del bestiame utilizzate dagli allevatori e quali sono i ritorni economici delle attività di allevamento in un area protetta. Successivamente, hanno incontrato i tecnici del Servizio Scientifico e Veterinario del Parco con cui hanno a lungo discusso di prevenzione ma anche di danni alla fauna domestica, criteri di indennizzo, metodologie di accertamento. In un incontro finale con il Presidente e il Direttore del Parco, si è discusso delle problematiche generali della gestione di un area protetta. Soddisfatti di quanto hanno potuto vedere e ascoltare, i due ospiti hanno sottolineato come il Parco rappresenti un importante punto di riferimento per quanti vogliono conoscere gli strumenti amministrativi e gestionali utilizzati per conciliare le esigenze di conservazione delle specie con le attività compatibili.
Anp: governo in 10 giorni. Polemica Francia-Israele su Hamas
Il movimento islamico pronto ad accettare i confini del 1967 ma non a riconoscere Israele
ROMA, 11 mag - Il nuovo governo "di riconciliazione" palestinese al varo entro dieci giorni. Questa la promessa dell'esponente di Fatah, Nabil Shaath, che da Ramallah ha discusso con l'agenzia palestinese Ma'an della formazione del nuovo esecutivo. Shaath non ha escluso che lo stesso premier uscente espresso da Fatah, Salam Fayyad, possa ottenere un reincarico. La nuova amministrazione, che sarà sostenuta anche dagli islamici di Hamas, dovrà portare a nuove elezioni l'Autorità nazionale palestinese. Mentre Shaat ha ricordato le pressioni di Ue e Usa su Israele affinché sblocchi i trasferimenti all'Anp, congelati dopo l'annuncio della riconciliazione fra le due fazioni, è scoppiata la polemica fra lo Stato ebraico e la Francia.
Rivolto all'Assemblea nazionale a Parigi, ieri il ministro degli Esteri francese Alain Juppé ha invitato Israele "a non chiudersi dentro a un bunker" davanti all'accordo Hamas-Fatah definito "una fortuna". Al Figaro oggi un "alto responsabile israeliano" rimasto anonimo ha spiegato che "è facile parlare così quando si è confortevolmente sigillati nei propri uffici parigini mentre Israele deve proteggersi dalle migliaia di razzi di Hamas, contro i quali servono proprio i bunker". La fonte ha definito il movimento islamico "razzista, violento e incapace di cambiare linea". Sempre oggi Hamas, riferisce ancora Ma'an, ha fatto sapere tramite il suo portavoce Mahmoud Az-Zahhar di essere pronta ad accettare uno stato palestinese sui confini del 1967 ma non a riconoscere Israele per non ledere i diritti dei profughi della diaspora palestinese.
L'Italia non rinuncia all'alta velocità Israeliana
Sono partiti i lavori per la costruzione di un treno veloce che collegherà Gerusalemme e Tel Aviv, e l'Italia è in prima linea. La Pizzarrotti di Parma infatti, è tra le aziende straniere delegate dal governo israeliano a costruire la ferrovia. La Germania, che aveva inizialmente accettato l'appalto, se n'è invece tirata fuori. Il governo Merkel ha deciso di fare un'inversione di marcia in seguito alle numerose proteste e alle accuse rivolte al progetto, che violerebbe la convezione di Ginevra. Il treno potrà essere utilizzato solo dai cittadini israeliani, e il tracciato attraverserà i Territori Palestinesi Occupati con le prevedibili conseguenze per gli abitanti dell'area e per i rapporti con l'Unione Europea che chiede la restituzione di quelle terre.
La ritirata tedesca giunge dunque dopo le pressioni esercitate da numerose Ong europee ed Israeliane sin dal '95, quando l'opera è stata concepita. Il progetto dovrebbe essere completo nel 2016. La linea ferroviaria A1 permetterà a circa 7 milioni di persone l'anno, di spostarsi tra le due più grandi città dell'area in soli 28 minuti, contro i 90 necessari con la ferrovia attualmente in servizio. Innegabile l'utilità in un Paese che vive il trasporto pubblico in modo problematico,soffocato dal traffico automobilistico, discutibile la legittimità. Ma la differenza sostanziale tra la linea attuale, ubicata interamente in territorio israeliano, e quella in costruzione, è nel percorso che stavolta attraverserà in due punti i Territori Palestinesi. Sei chilometri di ferrovia che toccheranno l' enclave di Latrun, la Valle dei Cedri e i villaggi arabi di Beit Surik e di Beit Iksa, a ridosso degli insediamenti israeliani. Agli italiani,che a differenza di francesi, tedeschi ed austriaci, hanno dato minor peso al problema, sono toccati 4 km . L'Impresa Pizzarrotti, famosa per aver perforato il San Gottardo è già stata criticata sia dalla diplomazia interna, sia dall'ONU, ma non sembra intenzionata a rinunciare alla partnership in un progetto così prestigioso.
L'emittente radiofonica cattolica indagata per dichiarazioni discriminatorie ed antisemite in Polonia
Il Consiglio nazionale delle comunicazioni, una sorta di Agcom della Polonia, ha aperto un'inchiesta su Radio Maryia, l'emittente radiofonica cattolica. Sotto esame sono finite due trasmissioni della radio ultraconservatrice nel quale sono stati attaccate alcune persone in modo razzista e discriminatorio.
RADIO MARIA NEL MIRINO - Ancora una volta Radio Marya, edizione polacca, finisce nel mirino per la sua linea editoriale di estrema destra. Il Krajowa Rada Radiofonii i Telewizj, abbreviato in KRRiT, un'istituzione pubblica che supervisiona le trasmissioni televisive e radiofoniche della Polonia, ha inviato una lettera di richiamo al direttore di Radio Maria, padre Tadeusz Rydzyk. Sotto accusa sono due dichiarazioni esplicitamente razziste e antisemite. Il primo si è verificato con un'intervista ad un uomo d'affari Jan Kobylanski, emigrato in Sudamerica, dove presiede l'organizzazione dei polacchi in America latina (USOPAL), e da tempo sponsor chiave dell'emittente cattolica. Secondo Jan Kobylanski, al governo e al Parlamento polacchi non ci sarebbe neppure il 30% di polacchi veri. L'imprenditore, notoriamente schierato all'estrema destra, ha rimarcato che polacchi con origini di altre nazionalità non sarebbero dei veri cittadini, come quelli che hanno radici ebraiche....
Emesse per la prima volta obbligazioni palestinesi
Il fondo d'investimento PADICO (Palestinian Development and Investment Co.), la principale azienda dei territori palestinesi, ha annunciato ieri l'emissione di settemila bond a cinque anni per un valore totale di 70 milioni di dollari. Il tasso d'interesse è del 5 per cento per i primi trenta mesi, mentre per gli altri trenta verranno pagati interessi variabili tra il 5 e il 6.5%.
Il costo di ogni obbligazione è di10mila dollari, e bisogna sottoscriverne almeno dieci. Munib al-Masri, presidente di PADICO, oltre che uno dei possibili candidati per il ruolo di Primo ministro nel prossimo governo a interim palestinese, ha definito questa emissione un segno «dell'impegno (della sua azienda, ndr) nell'investire in Palestina e della fiducia nelle potenzialità dell'economia locale». «Stiamo guardando al futuro - ha aggiunto al-Masri - e speriamo di raccogliere abbastanza soldi tramite i nostri titoli per finanziare ulteriori investimenti a lungo termine. E' la nostra strategia per la Palestina». Lo scorso febbraio la PADICO ha dichiarato un profitto di 38.1 milioni di dollari per il 2010, e un aumento del 22 per cento delle entrate generali.
Millequattrocento persone partecipano al sèder di Pésach con Chabad
Anche quest'anno il movimento Chabad d'Italia ha organizzato in varie città del paese il sèder di Pésach. Molte sale di alberghi e molte scuole di città come Milano, Roma, Firenze, Venezia e perfino Palermo, si sono riempite per permettere ai tantissimi ospiti di poter celebrare, come di consuetudine nella Diaspora, il sèder nelle prime due sere della festa di Pésach.
A Milano, come ogni anno, rav Levi Hazan (Ogl) e rav Igal Hazan hanno predisposto delle sale nell'elegante Hotel Marriot: duecentoquaranta persone hanno partecipato al sèder della prima sera, mentre la seconda sera ha visto la presenza di ottanta ospiti. Nell'ambiente elegante e raffinato dell'Hotel milanese sono stati organizzati uno spazio per permettere alle signore presenti l'accensione delle candele, una sala adibita a Tempio e una cena raffinata con un menù accuratamente selezionato, grazie anche all'impegno di Mashi Hazan, che ha curato tutto anche nei minimi dettagli....
Frattini contro la flottiglia per Gaza: "Provocazioni da evitare"
ROMA - In relazione alle voci secondo cui nuove flottiglie si accingerebbero a salpare in direzione della Striscia di Gaza da alcuni Paesi del Mediterraneo, compresa l'Italia, fonti della Farnesina rilevano che il modo migliore per portare assistenza agli abitanti di Gaza sia quello di inviare gli aiuti umanitari attraverso i valichi terrestri, evitando ogni tipo di provocazione che puo' avere come unico effetto un aumento della tensione. E' questa la convinzione del Ministro degli Esteri Franco Frattini, in linea con la raccomandazione espressa dalla comunità' internazionale attraverso le conclusioni della Presidenza dell'AHLC, l'organo di coordinamento dei Paesi donatori verso l'Autorità Nazionale Palestinese, riunitosi a Bruxelles lo scorso 13 aprile. Le stesse fonti sottolineano che le misure adottate da Israele per l'ingresso dei materiali per la ricostruzione e l'aumento delle importazioni nell'ultimo anno vanno nella giusta direzione, così come quelle recenti per incrementare l'export della Striscia di Gaza. Anche se, certamente, occorre fare di più per uscire dalla fase dell'emergenza ed entrare in quella dello sviluppo socio- economico, che dovra' basarsi su un forte ruolo del settore privato.
Tra paure e gioie artificiali il duro destino degli ebrei
di Vittorio Dan Segre
Israele celebra oggi il 63o anniversario della sua nascita. Uno Stato in guerra da sempre che potrà vivere in pace solo quando si ammetterà che non è il conflitto palestinese l'origine di tutti i mali
Israele celebra oggi il 63esimo anniversario della sua nascita. Dopo una giornata di silenzio, di cerimonie dedicate, ieri, ai 23 mila caduti nelle guerre e negli attentati terroristici, il passaggio all'atmosfera di festività, rumorosa e spesso artificiale, rappresenta un fedele specchio dello stato d'animo contraddittorio di questa nazione, vibrante d'energia ma schizofrenica nelle sue previsioni del futuro. Il che non dovrebbe sorprendere dal momento che si tratta di una società che non ha mai goduto un giorno di pace con tutti i suoi vicini; che è ancora priva di confini e di una capitale internazionalmente riconosciuti; che ha visto la sua popolazione passare da 670.000 abitanti a quasi 8 milioni e il suo Pil che nel 1948 era inferiore a quello egiziano, superarlo oggi di quasi 30 volte. Ha ragione il presidente dello stato Shimon Peres , a dire : «Abbiamo oltrepassato i nostri sogni». Chi avrebbe infatti mai immaginato nel 1948 che un governo che disponeva meno di 5 milioni di dollari per la sua difesa potesse oggi dedicargliene due miliardi senza diminuire lo standard di vita e grazie ai 60 miliardi di dollari accumulati nelle sue riserve valutarie e a una delle più avanzate industrie tecnologiche del mondo?
Eppure questo è il solo Paese membro dell'ONU che viene impunemente minacciato quasi settimanalmente di distruzione dall'Iran. Uno Stato accusato di razzismo, di nazismo, e di colonialismo mentre è il solo nel Medio Oriente ad essere democratico, e garante della uguaglianza politica delle sue minoranze etniche e religiose. La sola Nazione affluente e moderna in una regione in preda alle rivolta contro la fame, le dittature, l'oppressione delle donne, dei gruppi etnici e religiose.
Perché ci odiano tanto? È la domanda più frequentemente posta e dibattuta in questo momento. Due sono le risposte più diffuse: invidia e l'occupazione di una parte della Cisgiordania. Corretta la prima ma falsa la seconda dal momento che l'evacuazione unilaterale di Gaza invece di far progredire la pace ha trasformato quella striscia di territorio in militare islamica di Hamas con 4000 missili lanciati contro la popolazione civile del sud di Israele.
L'accordo firmato la settimana scorsa al Cairo fra le due autorità palestinesi nemiche - Hamas e Al Fatah - ci si chiede a Gerusalemme è una probabilità di pace o un nuovo cavallo di Troia che con il sostegno dell'ONU cerca di imporre a Israele una pace priva di garanzie? Nessuno può dirlo. Ma una cosa è certa: il dilemma è molto più profondo avendo la sua radice in una menzogna storica. Cioè che il conflitto palestinese fosse simbolo di tutti i mali del mondo e la sua rimozione garanzia di pace e stabilità per la regione.
Questo non è mai stato vero. La prova l'ha data la rivolte araba ancora sanguinosamente in corso, senza che rivoluzionari e contro rivoluzionari si preoccupino della sorte dei palestinesi. Se mai sono i governanti palestinesi a preoccuparsi di soffocare ogni segno di rivolta a Gaza e in Cisgiordania.
La verità è che il conflitto palestinese è stato per 63 anni un conflitto costruttivo per tutti. Lo è stato e continua ad esserlo per Israele che da esso ha tratto la sua forza di resistenza, la sua passione di sopravvivenza, buona parte della coesione di una società di immigranti e una straordinaria inventività per difendersi da un nemico molto superiore. Lo è stato per i Palestinesi che attraverso il conflitto si sono fatti una reputazione internazionale di vittimismo permanente e unico nel suo genere. Lo è stato per i regimi arabi che con la scusa di difendere la causa palestinese hanno spogliato i loro popoli - vedi il rapporto del 2002 dell'ONU sullo sviluppo umano arabo - di tre beni vitali indispensabili allo sviluppo: la libertà, l'educazione e il diritto delle donne. Chi fra le parti interessate avrà ora il coraggio morale e politico di dire a se stesso e agli altri la verità? Da questo, non dai missili o dal voto all'ONU dipende l'avvenire politico d'Israele, dei Palestinesi e dei futuri regimi nei Paesi arabi.
Il suono dello Shofar nel Tempio Maggiore e il taglio di una torta bianca e blu con sopra disegnato un grande maghen David da parte dell'ambasciatore israeliano in Italia Gideon Meir, hanno carattetizzato la serata organizzata nel cuore del ghetto di Roma mentre l'Hatikwa ha segnato il momento di inizio dei festeggiamenti dedicati al sessantatreesimo compleanno dello Stato ebraico. Centinaia di persone si sono radunate nella piazza dietro la sinagoga ed a Portico d'Ottavia. Bambini con bandierine in mano, ragazzi con piccole bandiere di Israele adesive attaccate in fronte, ma anche adulti che si spostavano da uno stand enogastronomico all'altro e fra quelli delle associazioni giovanili, delle scuole e degli enti ebraici, ballando sulle note della musica tradizionale suonata dal vivo in piazza. Sul palco allestito in largo 16 ottobre 1943 assieme al rabbino capo Riccardo Di Segni e al presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, anche il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, cui è stata conferita la presidenza onoraria del comitato per 'Ghilat Shalit libero' per l'impegno preso del soldato israeliano rapito e avergli conferito, lo scorso anno, la cittadinanza di Roma., ha definito lo stato di Israele "un fondamentale presidio di democrazia e libertà nel Medio Oriente".
Tre giorni di studi per raccontare una storia lunga 150 anni. Gli istituti italiani di cultura di Tel Aviv e di Haifa, insieme all'Universita' ebraica di Gerusalemme, organizzano, dal 15 al 17 maggio, un convegno per approfondire le relazioni politiche, sociali ed economiche tra Italia e Israele. Il convegno, che rientra nel quadro delle celebrazioni per l''Unita' d'Italia, ricostruira' i rapporti tra i due Paesi, caratterizzati da fasi storiche alterne e spesso complesse. La struttura dell'evento seguira' un percorso cronologico molto rigoroso. Si parte dal risorgimento per approfondire il ruolo degli ebrei italiani nel processo di unificazione nazionale e si ripercorre la fase delle guerre coloniali, analizzando lo sviluppo, a livello europeo, della questione sionista.
Seguiranno studi sul rapporto tra fascismo e sionismo e sulla spedizione militare italiana in Palestina nel biennio 1917-1919. Occhi puntati anche sui rapporti religiosi, sul legame culturale tra i due Paesi - cinema, musica, fotografia e letteratura - senza dimenticare la ricostruzione storica della nascita dello Stato d'Israele, con lo sviluppo delle relazioni diplomatiche negli ultimi 60 anni.
Anp, Fayyad: governo in serie difficoltà economiche
In seguito alla decisione israeliana di bloccare il trasferimento dei fondi all' Autorità Nazionale Palestinese, quest'ultima per la prima volta dal 2007, non è stata in grado di pagare gli impiegati del settore pubblico. Il Primo ministro della Cisgiordania, Salam Fayyad, ha riferito che la scelta israeliana di fermare il versamento del denaro ha messo il governo di Ramallah in serie difficoltà. Prima di oggi gli impiegati venivano pagati entro il 5 del mese.
Il provvedimento israeliano è stato annunciato il primo Maggio dal premier Netanyahu ed ministro delle Finanze Youval Steinitz, in occasione dell'accordo di riconciliazione tra Fatah ed Hamas. " I responsabili palestinesi devono dimostrare che i fondi non alimenteranno una cassa comune nel governo che vogliono formare con Hamas", ha informato Steinitz.
Per una volta, le sonorità dell'est europa diventano eleganti. Per una volta, ascoltare un violino klezmer non è il sinonimo di un matrimonio con balli gitani e tradizioni slave. E' piuttosto sedersi in poltrona, con il proprio long island e godersi le sfumature del tramonto, in una calda sera d'estate. Tutto questo grazie a quattro sbarbatelli inglesi, che, un giorno, scoprono di avere due cose in comune: la musica e le origini. Ebraiche, ovviamente. Nei loro dischi, queste due caratteristiche emergono sempre. Da un lato, si trova la calma ed il flusso dell'indie rock britannico, o meglio, del pop, mentre ogni tanto si è deliziati da qualche brano più accesso, con violini e trombe del caso. Inoltre, in questa tranquilla innovazione senza troppi patemi, è immancabile quel tocco di elettronica per le più snob delle serate mondane. In ebraico moderno, "Oi va voi" è la tipica esclamazione corrispondente al nostro "Oh mio dio", e dev'essere la stessa cosa che ha pensato il loro rabbino di quartiere, quando ha sentito che la band avrebbe registrato parte di "Travelling the Face of the Globe", del 2009, all'interno di una sinagoga.
Già, all'interno di una sinagoga, un po' per rievocare le antiche tradizioni ed un po' perchè, essendo senza casa discografica e con pochi soldi, sarebbe in qualche modo convenuto. L'album del 2009 ha avuto un discreto successo, non paragonabile però al loro vero successo "Laughter Through Tears", uscito nel 2003, in collaborazione con diversi artisti, tra cui KT Tunsall. Un disco intrigante, capace di mischiare saggiamente danze orientali a basi elettroniche, senza dimenticare la suadente voce di Steve Levi e le sonorità folk ungheresi di "A Csitàri Hegyek Alatt". In mezzo a questi due album, nel 2007, l'immancabile album omonimo. Dedicato interamente alla figura di Yuri Gagarin, famoso astronauta sovietico.
La Marina israeliana si allena per proteggere i giacimenti offshore dalle minacce di Hezbollah. I contrasti tra Israele e Libano nel campo energetico sono cresciuti negli ultimi tempi, dopo la scoperta di ingenti risorse nei fondali del Mediterraneo, come il giacimento-gigante Leviathan. Il comando della Marina dello Stato ebraico ha dichiarato che il contesto attuale presenta «numerose sfide», ma ha assicurato che sia Tamar (giacimento a largo di Haifa) che Leviathan rientrano nella zona economica israeliana.
«I giacimenti - hanno dichiarato i vertici militari - si trovano a ovest di Rosh Hanikra (il punto di confine tra Israele e Libano nel Mediterraneo, ndr). Le pretese del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, secondo cui le risorse si estenderebbero anche in acque territoriali libanesi non sono fondate e non trovano ragion d'essere nel quadro del diritto internazionale». Il "partito di Dio" accampa diritti sulle risorse riscontrate nelle profondità del Mare nostrum basandosi sul fatto che i giacimenti di gas possono essere costituiti da varie falde collegate tra loro, come vasi comunicanti. Se Israele iniziasse a estrarre carburante fossile da una falda, potrebbe sottrarre gas da eventuali falde contigue antistanti il Libano. Finora - bisogna notare - tali falde non sono state rintracciate: le proteste di Hezbollah appaiono dunque preventive, fondate su una possibilità ancora tutta da dimostrare. Ma in Medio Oriente la tensione sale facilmente. I due Paesi, tra cui vige uno stato di guerra, da mesi rivolgono l'uno contro l'altro accuse e minacce fuori dai denti. Diversi opinionisti, sui giornali israeliani e internazionali, hanno già profetizzato una prossima "guerra del gas". In realtà, ad oggi questa ipotesi sembra uno spauracchio più che un pericolo concreto; non di meno, l'equilibrio regionale è notoriamente precario. L'esercito israeliano non vuole farsi cogliere impreparato. «Le minacce che agitano le nostre acque economiche si sono moltiplicate - ammette l'ammiraglio Rani Ben-Yehuda -, strutture strategiche come gli impianti delle compagnie petrolifere rientrano senz'altro nel novero degli obiettivi sensibili». «Ecco perché - aggiunge Ben-Yehuda - l'Alto comando della Marina sta mettendo a punto risposte concrete contro un ampio ventaglio di pericoli»
Israele: un Paese certamente complesso ma di fatto il porto più sicuro in medio oriente per le imprese italiane che vogliono approdare all'estero. Rimasto quasi immune dalla crisi finanziaria, lo Stato Ebraico ha chiuso il 2010 segnando una crescita del 3,6% grazie soprattutto ai consumi interni e alle misure fiscali espansive adottate dal governo per il biennio 2009/2010.
E se per quest'anno è prevista un'ulteriore crescita dell'economia, nel 2010 è terminato il processo di riduzione della tassazione sulle società, che dal 36% del 2003 è scesa al 25%. Nel corso degli anni Israele è divenuto un Paese particolarmente attraente per gli investitori stranieri, nonostante le tensioni provocate dalla questione palestinese. Sace, per esempio, spiega che il quadro operativo complessivo "è favorevole agli investimenti esteri e presenta poche restrizioni'': l'unico settore precluso agli operatori stranieri è infatti quello della difesa, mentre per segmenti particolari come banche e assicurazioni è richiesta una autorizzazione governativa. Per tutti gli altri comparti, invece, gli investitori esteri sono assistiti da un centro per la promozione degli investimenti gestito dal Ministero dell'Industria e del Commercio. Giudizio positivo di Sace anche del sistema bancario, composto principalmente da 16 istituti di credito commerciali locali e quattro filiali di banche estere. Sotto questo profilo, il governo sta portando avanti una progressiva privatizzazione del settore del credito sta rendendo il mercato più dinamico e competitivo: Bank Hapoalim è stata completamente privatizzata nel 2000, mentre lo Stato detiene ancora il 10% di Bank Leumi e il 12% di Israel Discount Bank. Per queste ultime due è comunque prevista una completa privatizzazione nel prossimo futuro. Ed è proprio grazie allo sviluppo dei processi di privatizzazione che negli ultimi anni Israele ha attirato un consistente afflusso di investimenti esteri, con l'Italia che non è di certo rimasta a guardare: il nostro Paese, infatti, attualmente è il quinto partner commerciale di Israele e il secondo in ambito europeo. Nel 2010 le esportazioni italiane hanno registrato segnali positivi (+25% rispetto allo stesso periodo del 2009) grazie soprattutto alla chimica, ai prodotti raffinati, all'elettronica e alle macchine e gli apparecchi meccanici. Sul territorio, l'Italia è presente in vari settori, tra cui le telecomunicazioni, il tessile e le assicurazioni. Tra i "big" italiani figurano Telecom Italia e il Gruppo Generali, che opera attraverso l'importante compagnia locale di assicurazioni "Migdal". In Israele anche il gruppo tessile Pompea, oltre che Luxottica e Benetton, che hanno dei propri punti vendita. Tuttavia, osserva la Farnesina in un rapporto condotto insieme all'Ice, "la presenza diretta d'imprese italiane in Israele non rispecchia a pieno le potenzialità che il paese offre, specialmente per quanto riguarda il settore della ricerca e sviluppo ad alto contenuto tecnologico ed il settore delle grandi opere civili". Infrastrutture, agroindustria, aerospaziale e automobilistico rappresentano dunque i campi su cui investire in questo Paese che strizza l'occhio al futuro e apre le porte a capitali stranieri.
La compagnia di comunicazioni wireless americana Broadcom Corporation ha annunciato che è in corso l'acquisizione di SC Square Ltd., società israeliana di sviluppo di software di difesa, per 41.9 milioni di dollari. SC Square ha il proprio quartier generale a Tel Aviv ed è una sussidiaria di Nisko Projects and Communication Ltd.
Riferendo della manovra, Broadcom ha commentato: «Con SC Square, Broadcom acquisisce una squadra esperta di ingegneri specializzati in sicurezza, ingrediente essenziale in tutte le nostre piattaforme». L'azienda statunitense ha dichiarato anche che entrambi i consigli di amministrazione hanno già approvato la transazione; restano da definire le condizioni di chiusura dell'accordo, che - sempre secondo Broadcom - dovrebbe essere siglato per la fine di giugno. SC Square rappresenta il nono acquisto di Broadcom in Israele, che negli ultimi tempi ha deciso di scommettere con decisione sulle imprese israeliane, comprando, dall'ottobre 2010 a oggi, ben quattro aziende. Prima di SC Square, ci sono state la Provigent (340 milioni di dollari nel marzo 2011), la Sightic Vista (10-20 milioni, novembre 2010) e la Percello Ltd. (98 milioni, ottobre 2010). Attualmente, Broadcom ha centinaia di dipendenti israeliani, impiegati in otto diversi centri di ricerca e produzione.
Ricordare la Shoah vuol dire restituire agli ebrei ciò che gli è stato tolto
di Stefano Fiori
La memoria della shoah non si celebra solamente con le giornate appositamente dedicate al ricordo di quello che accadde, né con i libri, i film o le mostre nei musei. Certo, raccontare significa non dimenticare. Ma arriva il momento in cui la comunità che ricorda non avverte più queste "narrazioni" come sufficienti. Perché la memoria, quella con la M maiuscola, esige atti concreti, tangibili.
Sono trascorsi quasi settant'anni da quando il mondo venne a conoscenza dei campi di concentramento nazisti. Era il 27 gennaio 1945, quando l'esercito russo fece il suo ingresso nel lager di Auschwitz, liberandone gli ultimi superstiti. Da allora, il popolo ebraico ha sicuramente ricevuti dei risarcimenti a livello storico, morale e di "immaginario" collettivo mondiale. Ora, finalmente, è giunto anche il momento del risarcimento materiale. Per la prima volta nella sua storia, lo Stato d'Israele ha deciso di rimborsare le vittime dell'Olocausto e i loro eredi, restituendo quanto il regime nazista sottrasse loro....
Miracco, consigliere del ministro Galan: "Va realizzato al più presto"
Giungono buone notizie da Roma. E precisamente dal Ministero per i Beni e le Attività culturali. Da dove Franco Miracco, consigliere del ministro Galan, dopo esser stato presente all'inaugurazione della mostra 'Architetture per un Museo', allestita a Palazzo Diamanti a Ferrara, spende parole di elogio per il Museo nazionale dell'Ebraismo italiano e della Shoah.
A partire dalla mostra dei progetti dei Diamanti, che "rappresenta lo spartiacque tra l'affermarsi di un'idea culturale e politica, la nascita di un progetto, l'avvio di un percorso istituzionale e il suo aprirsi alla realtà di un'effettiva realizzazione".
Miracco va oltre e afferma che "se c'è un museo in Italia che va realizzato al più presto è il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis), perché Italia vuol dire Roma, vuol dire Venezia, solo per citare alcune fra le capitali storiche della presenza ebraica nel nostro Paese".
Perché Ferrara allora? "Perché a Ferrara convivono, come meglio non si potrebbe, la memoria antica e recente degli ebrei e quindi dell'ebraismo e una sempre riconfermata vocazione a fare cultura di una città non a caso dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità. E poi perché Ferrara è la città del silenzio, che è questione essenziale nel riflettere sull'ebraismo, sulla Shoah o nel pensare tutto ciò che ha a che vedere con la vera cultura".
Il rappresentante del Mibac accenna anche al catalogo della mostra, che "illustra l'impressionante e qualificata partecipazione internazionale ad un concorso che come suo obiettivo concreto e per davvero prossimo ha la costruzione del MEIS, compito questo affidato al ministero. Il Comune di Ferrara ha messo a disposizione sito ed edificio, che, essendo il vecchio complesso carcerario della città emiliana, ha, anche per questo, attivato in modo speciale immaginazioni e professionalità architettoniche che si sono esercitate in termini esemplari".
"Carla Di Francesco - prosegue Miracco -, direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell'Emilia Romagna, ha giustamente scritto in catalogo che tutto ciò è il frutto 'di un lungo cammino di collaborazione tra istituzioni, iniziato diversi anni fa, ed oggi giunto ad un primo, fondamentale, traguardo intermedio: concluso nel gennaio 2011 il concorso di progettazione, si dispone infatti di un vincitore e quindi di una concreta idea architettonica per poter dare la prospettiva di uno spazio fisico, di un luogo, alle molteplici attività che costituiscono i compiti del Museo'".
"Alla grande impresa - conclude il consigliere di Galan - in molti stanno offrendo il loro preziosissimo contributo, ma soprattutto Gaetano Sateriale, coordinatore del Meis e Riccardo Calimani, presidente della Fondazione Meis".
In questi giorni il popolo ebraico festeggia la proclamazione dello Stato d'Israele. Le celebrazioni giungono proprio in concomitanza dell'accordo di riconciliazione firmato tra le due fazioni palestinesi Hamas e Fatah, e del blocco energetico egiziano, decisioni che tanto stanno preoccupando parte dell'opinione pubblica internazionale.
Si stima che oggi la popolazione israeliana si attesti intorno ai 7,746 milioni, un numero leggermente inferiore rispetto a quello calcolato ai tempi dell'acquisita indipendenza. Il 75,3% della popolazione è ebrea, mentre gli arabi corrispondono approssimativamente al 20,5%, secondo l'ultimo censimento divulgato dall'Ufficio centrale di statistica israeliano. Sin dai giorni dell'Indipendenza, la percentuale dei cittadini immigrati è molto alta e sono stati proprio i flussi migratori a determinare lo sviluppo urbano, incidendo fortemente sulla crescita demografica del Paese. Nel 1948 in Israele era possibile individuare soltanto una città con più di 100mila residenti, attualmente se ne possono invece distinguere 14, di cui sei ospitanti più di 200mila persone: Gerusaleme, Tel Aviv, Haifa, Rishon LeZiyyon, Ashdod e Petah.Alla vigilia del 63mo anniversario dello Stato fondato nel Maggio del 1948 alla scadenza del Mandato Britannico della Palestina, il governo israeliano commemora anche i propri caduti. Le vittime delle numerose guerre ed operazioni militari susseguitesi nell'arco di questo periodo di tempo, ammontano infatti a 22.867, di cui 2.443 civili.
Trovate a Heathrow le carte della fuga di Albert Einstein
Il documento di "sbarco" a Dover, era il 26 maggio 1933
ROMA, 9 mag. - Sono stati ritrovati dopo circa ottant'anni i documenti che testimoniano la fuga dalla Germania nazista del grande filosofo e fisico tedesco Albert Einstein in Gran Bretagna.
I responsabili dell'aeroporto londinese di Heathrow sono rimasti "sbalorditi" - scrive il Mail on Sunday che riporta la notizia - di fronte alla scoperta della carta di sbarco che segna l'arrivo del Premio Nobel per la Fisica (1921) a Dover, nel Regno Unito: era il 26 maggio 1933. Einstein, che era ebreo, arrivava da Ostenda, Belgio, si dichiarava "professore" e aveva già acquisito la nazionalità svizzera. Sul retro del foglio il padre della fisica moderna - che dal 1914 aveva una cattedra all'Accademia prussiana di Scienze a Berlino - scrive di essere diretto a Oxford.
Il documento sarà in mostra da domani al museo nazionale dell'Agenzia di frontiera britannica (Uk Border Agency's national Museum). "Non sapevamo neanche che questa carta di sbarco esistesse - ha confidato la sovrintendente Lucy Gardner - fino a quando non abbiamo visitato gli uffici della 'Uk Border Agency' a Heathrow". Sul documento c'è anche la firma del leggendario scienziato, il quale aveva rinunciato qualche settimana prima alla nazionalità tedesca in segno di protesta di fronte alle leggi antisemite naziste. La Gran Bretagna fu un posto sicuro per Einstein per diversi mesi, prima che il genio si trasferisse negli Stati Uniti.
A Gerusalemme un centro di ricerca tra arte e neuroscienze
«La creatività nasce quando entrano in relazione aree del cervello diverse e distanti tra loro. Queste connessioni neuronali inedite e impreviste sono importanti per realizzare qualcosa di nuovo. Per questo suggerisco di creare spazi, musei oppure riviste, in cui siano presenti contemporaneamente scienza e arte. Mettere insieme questi ambiti ad alto tasso di innovazione, che di norma sono tenuti separati, a mio avviso, contribuirebbe a rompere il meccanismo della dualità che domina nella cultura occidentale e favorirebbe nuove connessioni nel cervello delle persone, stimolando la creatività», spiega Idan Segev, professore di neuroscienze computazionali alla Hebrew University of Jerusalem....
Fino al tramonto di domani verranno ricordate le vittime di guerre e atti terroristici
Israele ricorda da stasera fino al tramonto di domani i suoi 22.867 caduti nelle guerre e operazioni militari che hanno marcato i suoi primi 63 anni di vita e anche i 2.443 civili vittime del terrorismo.
La Giornata dei caduti si è aperta con una cerimonia sulla Collina delle Munizioni, un sito a Gerusalemme est che nel giugno del 1967 fu teatro di una sanguinosa battaglia tra soldati israeliani e giordani.
La principale cerimonia di Stato si tiene poi sulla spianata antistante il Muro del Pianto, in presenza del presidente Shimon Peres, dove verrà accesa la Fiamma del Ricordo. Per un minuto le sirene suoneranno in tutto il paese e la mattina dopo per altri due minuti durante i quali la popolazione si irrigidirà sull'attenti e tutte le attività si interromperanno, incluso il traffico automobilistico.
La giornata è considerata di lutto nazionale, perciò le bandiere nazionali scenderanno a mezz'asta; la radio e la Tv dedicheranno interamente i loro programmi al ricordo dei caduti. Le famiglie potranno ricongiungersi idealmente con i loro cari visitando i 44 cimiteri militari del paese.
Al tramonto di domani cesserà il lutto e con una cerimonia di Stato sul monte Herzl a Gerusalemme cominceranno i festeggiamenti per il 63/mo anniversario dell'indipendenza. Dalla mezzanotte di ieri, intanto, Israele ha chiuso tutti i valichi con la Cisgiordania nel timore di attentati palestinesi.
Bin Laden torna sul web: "Attacchi agli Usa finché sosterranno Israele"
NEW YORK - Il fantasma di Osama Bin Laden torna a minacciare l'America con un messaggio audio registrato prima della sua morte e rimbalzato oggi nel web, simbolicamente nello stesso giorno in cui Washington avverte che al Qaida non è «strategicamente sconfitta». «Non ci sarà sicurezza negli Stati Uniti senza che sarà garantita sicurezza in Palestina», è la minaccia dello sceicco del terrore, e «i nostri attacchi contro di voi proseguiranno finchè proseguirà il vostro sostegno a Israele». «È ingiusto - tuona bin Laden nell'audiomessaggio rivolgendosi agli americani - che voi viviate in pace mentre i nostri fratelli a Gaza vivono nell'angoscia. Per questo, se dio vuole, i nostri attacchi contro di voi proseguiranno finchè proseguirà il vostro sostegno ad Israele».
I DUBBI - Non si sa quando il messaggio sia stato effettivamente registrato, ma comunque la sua breve durata porterebbe ad escludere che sia questo il 'testamentò dello sceicco preannunciato da Al Qaida quando ne ha ammesso la morte. Testamento che doveva essere dedicato alle rivolte che stanno scuotendo il mondo arabo e alle quali oggi invece ha fatto riferimento un altro messaggio diffuso da Al Qaida per il Maghreb islamico (Aqmi), secondo il quale proprio le sollevazioni sarebbero «una vittoria di Al Qaida». Ad Abbottabad intanto, vicino il compound dove Osama è stato scovato e ucciso, oggi si sono udite due forti esplosioni. Che però, ha fatto sapere in serata un poliziotto pachistano, non riguardavano il covo usato per anni dal capo di Al Qaida. Sulla rete di sostegno a Osama, il presidente Barack Obama ha chiesto al Pakistan di indagare. «Non ci sono prove che il Pakistan sapesse» ma bisogna fare luce, ha smorzato i toni il consigliere alla sicurezza nazionale Tom Donilon. L'uccisione di Osama è stato un duro colpo ma, ha ammesso Donilon, l'organizzazione terroristica, «non è strategicamente sconfitta» e resta «una minaccia per gli Stati Uniti».
AL ZAWAHRI NON E' IL SUCCESSORE - Ora la caccia punta a Ayman al Zawahri, considerato da molti il successore naturale di bin Laden, che comunque, secondo gli americani, è «lungi dall'essere un capo» come lo è stato lui anche se è diventato ora il «terrorista più ricercato al mondo». «Riteniamo che ci sia stata una rete di sostegno per bin Laden all'interno del Pakistan. Ma non sappiamo chi - ha affermato Obama - nè cosa facesse questa rete. Non sappiamo se comprendesse persone all'interno del governo, persone al di fuori del governo e questo è qualcosa su cui dobbiamo indagare e, più importante, su cui il governo del Pakistan deve indagare». «Dobbiamo lavorare a stretto contatto con il Pakistan nella lotta al terrorismo. Più terroristi ed estremisti sono stati catturati in Pakistan che in qualsiasi altro posto», ha osservato Donilon, precisando che gli Stati Uniti vogliono interrogare le tre mogli di bin Laden attualmente sotto la custodia delle autorità del Pakistan, che ne hanno identificato solo una. Si tratta di Amal Ahmed Abdulfattah, la sposa più giovane e colpita durante il raid di una settimana fa.
DOCUMENTI AL SETACCIO - Gli analisti Usa continuano comunque a setacciare il materiale sequestrato: il numero di documenti è così elevato da essere paragonato ad «una piccola biblioteca universitaria». Si tratta della maggiore quantità di materiale sequestrato ad un singolo terrorista. Una miniera d'oro per la Cia.
Rai News 24: l'infamia è in onda (e la risposta non arriva)
Un gruppo di esponenti della comunità degli Italkim (fra cui Sergio Della Pergola, Angela Polacco e Vito Anav) scrive alla redazione di Rai News 24 riguardo alle infamie deliranti finite in onda recentemente sul caso Arrigoni. Ma invano. Ecco la lettera cui nessuno, dal servizio pubblico, si degna di dare risposta.
Siamo un gruppo di ascoltatori di Rai News 24, residenti in varie città in Israele. Con profonda indignazione abbiamo seguito i servizi del canale sull'uccisione, nella zona di Gaza, dell'operatore italiano Vittorio Arrigoni da parte di terroristi palestinesi.
Il lavoro di Rai News in questa penosa vicenda è stato di una incompetenza e di una parzialità vergognose, tali da stravolgere qualsiasi concetto di professionalità, di corretta informazione, di cronaca equilibrata in una situazione di conflitto.
Abbiamo aspettato inutilmente questa settimana un contraddittorio alle trasmissioni di Rai News 24, andate in onda venerdi 15 aprile e dedicate alla memoria di Vittorio Arrigoni, che hanno visto la televisione pubblica responsabile di aver sostenuto tesi calunniatrici nei riguardi dello Stato di Israele e del popolo ebraico.
Un'analisi accurata dei materiali andati in onda e facilmente accessibili su internet potrebbero essere alla base di una denuncia per calunnia aggravata nei confronti di Rai News 24 e in generale della Rai - azione che ci riserviamo di compiere qualora non ci venissero fornite pronte e adeguate spiegazioni e scuse ufficiali per l'avvenuto.
Ci saremmo aspettati che dopo le prime 24 ore di reportage "a caldo", concitati, emotivi e inaccurati, ci fosse almeno una smentita rispetto a tutte le tesi calunniose proposte dai vari intervistati che, senza prove e senza dubbi, hanno subito avuto la certezza dei "veri mandanti" dell'assassinio di Vittorio Arrigoni - ossia che nella loro pazzesca fantasia fossero lo Stato di Israele e vari movimenti ebraici estremisti.
Gran parte della stampa nazionale ed internazionale, con molta più professionalità, equilibrio e onestà intellettuale ha riportato le dichiarazioni di Hamas (che le rammentiamo, è riconosciuto dall'Italia e in sede europea e internazionale come organizzazione terroristica) che si assumeva la piena responsabilita' dell'accaduto. Sarebbe bastato tradurre il testo del video che ritraeva l'Arrigoni picchiato e bendato, e il motivetto musicale di sottofondo, per capire chi si è reso responsabile di questo assassinio - ossia gruppi terroristici legati direttamente o indirettamemte al governo di Hamas a Gaza.
Vogliamo rilevare in particolare la faziosità della trasmissione condotta da Annamaria Esposito, nel pomeriggio di venerdi 15 aprile, nella quale intervistava Maurizio Fantoni Minella. Ci sarebbe da fare un'analisi approfondita sulla tipologia mediatica usata da Rai News 24 e dal personale in studio e sul campo, ma ci limiteremo solo a alcuni aspetti.
In genere in un'intervista un conduttore pone delle domande ed aspetta che l'intervistato risponda più diffusamente: in questo caso la Esposito non si è limitata a porre le domande ma ha addirittura guidato l'interlocutore su argomenti da lei stessa suggeriti. Da notare che la Esposito ha parlato per 4.10 minuti circa, a fronte dei 5.22 minuti del suo interlocutore. Si è trattato dunque di una finzione di intervista, un pretesto perché la Esposito potesse liberamente esternare il suo pensiero, usando un interlocutore acquiescente.
Quando l'intervistato Fantoni Minella, sicuro che il mandante fosse Israele, attraverso l'esercito o i servizi segreti, oppure non meglio identificati "ebrei ortodossi" radicali, o estremisti della destra ebraica, ha esposto questa tesi assolutamemte infondata, mai l'intervistatrice ha obiettato che ci potessero essere altre spiegazioni, richiamando per esempio altre responsabilità. Tutto questo avveniva, mentre in quello stesso momento un gruppo palestinese aveva già rivendicato l'azione.
Entrambi i personaggi hanno continuato a parlare di "integralisti ebrei", "ebrei ortodossi", "estremisti della destra israeliana", mettendo nel calderone tutti, in un crescendo dialettico tipico della peggiore espressione antisemita. L'apice è stato raggiunto nell'affermazione che gli unici israeliani buoni sono "coloro che si vergognano della politica del loro paese, mentre tutti gli altri non conoscono né cosa sia la civiltà né la democrazia". Eppure Vittorio Arrigoni sapeva benissimo che fidarsi di Hamas, che democratico e filo-occidentale non è, avrebbe potuto essere pericoloso per lui.
La conclusione del loro "dialogo" non poteva che essere conseguente: secondo il duo Esposito-Fantoni Minella il rapimento era "un falso", ormai "smascherato", pertanto si trattava di una "esecuzione " palesemente eseguita da chi aveva tutto l'interesse a far fuori Arrigoni, e cioé tutti quelli sopra citati.
Ci sembra che questa bieca demonizzazione di Israele e del mondo ebraico faccia parte di un disegno politico ben noto e molto pericoloso. Purtroppo il triste episodio di Vittorio Arrigoni ne è la prova. E, tragicamente, Arrigoni è stato ucciso proprio da coloro i quali nella loro carta costitutiva includono un preciso riferimento al documento antisemita dei "Protocolli dei Savi Anziani di Sion".
Alla fine, i presunti esecutori del delitto sono stati uccisi dalle forze di polizia di Hamas. Bell'esempio anche questo di giustiza sommaria fuori da qualsiasi concetto di legalità giuridica.
Parteggiare per Hamas ha un significato riprovevole, in modo particolare per noi israeliani, perché significa sostenere un movimento che nel suo statuto inneggia all'eliminazione non solo di Israele come Stato, ma di ogni ebreo come individuo (vedi art. 7 dello statuto di Hamas).
Sarebbe stato più opportuno che Rai News 24, come organo di informazione pubblico, avesse preso le distanze dalle affermazioni deliranti e menzognere mandate in onda, ma ciò non è avvenuto.
Sarebbe stato opportuno almeno riparare a tutte le interviste offensive e tendenziose trasmesse venerdi 15 aprile, ma questo non è avvenuto.
In una testata giornalistica seria, i responsabili sarebbero stati richiamati alle loro responsabiità, ma questo non è avvenuto.
TEL AVIV - L'ex capo del Mossad Meir Dagan ritiene che Israele compirebbe una mossa ''stupida'' se cercasse di distruggere il potenziale atomico dell'Iran mediante un attacco militare. Le parole di Dagan, pronunciate venerdi' nella sua prima apparizione in pubblico da quando a gennaio ha lasciato l'incarico, sono oggi riportate con grande evidenza sulla stampa israeliana. ''Non dobbiamo accettare un Iran nucleare, ma d'altra parte un attacco aereo (israeliano, ndr) sui reattori sarebbe un'idea stupida, che non darebbe alcun vantaggio'' ha detto Dagan in un discorso alla Universita' ebraica di Gerusalemme. ''Chi attaccasse l'Iran deve comprendere che rischia di innescare una guerra regionale, nel corso della quale sia l'Iran sia gli Hezbollah lancerebbero missili(su Israele, ndr)''. Il consiglio di Dagan e' dunque che Israele si adoperi ancora per coinvolgere la comunita' internazionale negli sforzi profusi per fermare i progetti nucleari iraniani. Con questo intervento Dagan si e' discostato dalla politica ufficiale del governo di Benyamin Netanyahu secondo cui ''nessuna opzione viene esclusa'' - ivi compresa quella militare - per bloccare i progetti atomici di Teheran. Secondo Yediot Ahronot Dagan aveva espresso i medesimi concetti quattro mesi fa in un incontro a porte chiuse con alcuni giornalisti locali, i quali pero' non avevano potuto riferire le sue parole perche' impediti dalla censura militare. Con il suo intervento in pubblico, secondo il giornale, Dagan ha forse voluto adesso in qualche modo legare le mani al governo israeliano.
Per rispettare una festa in Israele il Maccabi rischia di lasciare il campo
Alle 20, in concomitanza con la celebrazione della Giornata del ricordo, c'è lo stop per tutti gli svaghi
di Francesco Battistini
GERUSALEMME - Quattro ore possono bastare. Forse. Domenica pomeriggio, a Barcellona, la finale di basket Eurolega non è solo una partita per la storia dello sport: orologio alla mano, si gioca pure per rispettare la storia d'un popolo. Il Maccabi di Tel Aviv, una delle due squadre, un mese fa ha chiesto (e ottenuto) di scendere in campo quattro ore prima del solito, le 16.30, le 17.30 in Israele, a un orario inusuale per la Final Four che in genere ama le partite serali. Il motivo è una festività laica: Yom Hazikaron, la Giornata del ricordo, che dal 1948 è una delle date sacre al calendario civile israeliano e commemora i caduti delle guerre e del terrorismo.
ALLE 8 LO STOP - Alle 8 di domenica sera, quasi tutto ciò che è divertimento si ferma nello Stato ebraico: cinema, ristoranti, caffè, chiusura fino a domani sera, con la possibilità di prendere un lunedì di permesso dal lavoro per far visita ai cimiteri. Anche lo sport è obbligato allo stop. «Se la finale non viene anticipata almeno nell'orario - avevano avvertito dal Maccabi -, saremo costretti a dare forfait»: veloce consultazione, l'okay degli avversari, i greci del Panathinaikos, e il 6 aprile l'Eurolega ha risposto che si poteva fare.
CONTO ALLA ROVESCIA - Non è detto che vada tutto liscio, però. Al Palau Sant Jordi Arena, il Panathinaikos è di gran lunga il favorito. Ma il Maccabi, alla sua settima finale, cinque vinte, non ha voglia di fare la comparsa: e se la finale, com'è già accaduto, fra time-out e interruzioni, andasse ben oltre i 100 minuti medi d'una partita di basket? Per la prima volta, si potrebbe vedere una squadra abbandonare la competizione. «Io spero finisca in tempo - dice David Blatt, l'allenatore israeliano -. Non ci sono molte probabilità che si giochi oltre il tempo previsto. Chiaro, se finiamo al triplo prolungamento, può darsi che io mi trovi a prendere la decisione più difficile della mia vita ». Che è poi quella già anticipata da David Friedman, il proprietario della squadra gialloblù, che avrebbe preferito spostare la data della partita: «Nel momento in cui in Israele cominceranno le cerimonie commemorative, i giocatori lasceranno il campo». Non si sgarra: il ministro dello Sport ha fatto capire che non sono ammesse deroghe, visto che anche il calcio e il tennis, le due altre grandi passioni israeliane, rispetteranno la sosta; le tv israeliane avvertono già che alle 19.45, anche se si sta ancora sottocanestro, le dirette saranno interrotte; i tifosi, pure quelli in trasferta a Barcellona, hanno già detto che comunque saranno evitati eventuali festeggiamenti.
LA DECISIONE MIGLIORE - Su alcuni siti spagnoli e greci, di quelli legati alla «resistenza» antisraeliana, i commenti sono prevedibili: «Perché ci si è piegati ancora una volta a Israele? Il Maccabi sapeva che la finale era in quella data, poteva anche non partecipare al torneo». In realtà, spiegano da Eurolega, non s'è spostata la data della finale per ragioni rispetto dei diritti televisivi, degli spazi pubblicitari già venduti da un anno, degli sponsor. «E poi la cosa più importante è rispettare i risultati sportivi - dice Jordi Bertomeu, il patron della coppa -. Immaginate che cosa sarebbe successo se avessimo rimpiazzato gl'israeliani con una squadra eliminata in semifinale e se quella squadra, poi, avesse vinto il titolo. Ci avrebbero sparato tutti addosso! Credo che abbiamo preso la decisione migliore ». Anche perché, in segno distensivo, all'ultimo è il presidente del Maccabi a lanciare un salvagente all'Eurolega: «Siamo a Barcellona per giocarci la finale - chiarisce Shimon Mizrahi - e a Barcellona, quelle che contano, sono le regole messe da Eurolega. Le rispetteremo ».
La Ferrara di Giorgio Bassani e del Giardino dei Finzi-Contini è in procinto di diventare il centro della cultura ebraica in Italia. Per ora si tratta solo di celebrare la seconda edizione della Festa del libro ebraico, che si svolgerà nella città emiliana da oggi a lunedì con decine di iniziative di ogni genere tra dibattiti, concerti, proiezioni e visite guidate. Ma presto vedrà la luce un presidio permanente, un luogo di memoria e discussione aperto e attivo tutto l'anno. È il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah (Meis), che avrà sede nell'ex complesso delle carceri di via Piangipane.
Ferrara è stata scelta per la sua collocazione geografica privilegiata, spiega il presidente del Meis Riccardo Calimani, ma anche e soprattutto per la storia della sua comunità ebraica. Il perimetro del ghetto istituito nel 1627 dal governo pontificio e dissigillato solo con l'avvento dell'Unità d'Italia, tra via Mazzini (l'antica via dei Sabbioni) e via Vignatagliata, è ancora evidente.
E poi ci sono le sinagoghe: la "scola tedesca" e la "scola fanese", ancora in funzione, e poi quella "italiana" e quella "spagnola", devastate dai fascisti sotto il Ventennio e mai più ripristinate per gli usi di culto. Infine il cimitero secentesco di via delle Vigne, dove il protagonista del romanzo di Bassani immagina la tomba monumentale dei Finzi-Contini ed è tutt'ora sepolto lo stesso scrittore. Di parlare di ebrei e di cultura ebraica in Italia, dice Calimani, c'è ancora molto bisogno.
«Riguarda tutti gli italiani», spiega. «Nel nostro paese la realtà ebraica spesso non viene capita fino in fondo. Eppure è una realtà varia, che ha radici profonde. Gli ebrei sono arrivati qui prima dei cristiani, prima dei papi».
Il progetto per la realizzazione del museo, che prenderà forma nel giro di pochi anni, è stato scelto tra cinquantadue: saranno tutti esposti in una mostra allestita al Palazzo dei Diamanti che verrà inaugurata domani e resterà aperta fino al 12 giugno. Ma la Festa del libro, dicevamo, inizia già oggi, con la prima notte ebraica d'Italia, durante la quale, tra spettacoli e visite lungo gli itinerari della Ferrara ebraica, spicca la proiezione del Giardino dei Finzi-Contini di Vittorio De Sica, alla presenza del figlio Manuel. Da segnalare, nei prossimi giorni, i percorsi guidati nei luoghi di Bassani, i concerti di musica klezmer e la tavola rotonda su ebrei e Sant'Uffizio di lunedì mattina.
Pace tra Hamas e al-Fatah. Torna il nazi-islamismo?
di Marco Respinti
L'accordo storico che riconcilia Hamas e al-Fatah è nato da una furibonda guerra diplomatica, ma è nato; il 4 maggio, al Cairo, nella sala riunioni dei servizi segreti egiziani che han fatto da mediatori. Finisce qui la sfida che per quattro anni ha contrapposto le due anime del mondo palestinese, quella "estrema", islamista, di Hamas, che dal 2005 governa sulla Striscia di Gaza, e quella "presentabile", laica, dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) in Cisgordania, ruotante attorno all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina egemonizzata dal partito al-Fatah. Nascerà - loro dicono entro l'anno - lo Stato palestinese unitario, che Khaled Meshaal, capo dell'ufficio politico di Hamas, benedice dicendo: «La nostra divisione serviva solo al nemico sionista». Cosa ciò significhi, lo si comprende ricordando chi sono i soggetti contraenti il nuovo patto di unità nazionale....
Hamas: Sulla lotta a Israele decideremo insieme ad al Fatah
Meshaal ribadisce il diritto di Hamas a resistenza armata
ROMA, 7 mag. - Il leader di Hamas Khaled Meshaal assicura che il suo gruppo d'ora in poi prenderà ogni decisione riguardo a come condurre la sua lotta contro Israele di concerto con le fazioni palestinesi moderate, tra cui al Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen, con il quale Hamas ha appena firmato un accordo di riconciliazione. "Come condurre la resistenza, quale sia il miglior modo per raggiungere i nostri obiettivi, quando intensificare o fermare gli attacchi, d'ora in avanti prenderemo tutte queste decisioni come palestinesi", ha detto Meshaal in una intervista concessa al Cairo al Wall Street Journal.
Nonostante Israele e i paesi occidentali abbiano richiesto ad Hamas di rinunciare alla violenza, Meshaal ha ribadito il diritto del suo gruppo a combattere con le armi contro Israele. Il leader di Hamas ha comunque detto che ogni decisione relativa ai "negoziati con Israele, alla politica interna ed estera, alla sicurezza interna e alla resistenza" contro Israele, sarà presa di concerto da tutte le fazioni palestinesi. Se Meshaal manterrà la sua promessa, scrive il Wall Street Journal, ciò significherà che Hamas non attaccherà più Israele senza il consenso del presidente palestinese Abu Mazen, il leader di Fatah che si oppone all'uso della violenza.
Maccabi Tel Aviv - Real Madrid 82-63. Israeliani troppo forti!
Lo spettacolare tifo degli israeliani
Il Maccabi Tel Aviv batte il Real Madrid raggiungendo per la settima volta nelle ultime dodici stagioni, e domenica contro il Panathinaikos, vincitore della prima semifinale contro la Montepaschi Siena, cercherà di salire per la sesta volta nella sua storia sul tetto d'Europa.
Maccabi Tel Aviv che ha ricucito subito un piccolo vantaggio iniziale da parte del Real Madrid, che comunque è riuscito a stare attaccato agli israeliani sino all'intervallo (32-29 Maccabi Tel Aviv).
Ad inizio ripresa gli israeliani vanno sul +8 grazie ad una spettacolare schiacciata di Pargo, il Real Madrid ha un piccolo sussulto e torna a -2 prima che i gialli, accompagnati da uno splendido pubblico, piazzino un 13-2 che uccide completamente e definitivamente la partita.
Maccabi Tel Aviv che poi domina in lungo ed in largo giocando in maniera spettacolare.
Grande serata per Chuck Edison: 19 punti, 8 rimbalzi e 6 palle rubate (record per una semifinale europea); per il Maccabi Tel Aviv 16 punti per Schortsanidis, 13 con 7 assist per Pargo e 10 per Blutenthal.
Il Real Madrid era obiettivamente troppo inferiore per potere tenere testa agli israeliani per 40 minuti.
Domenica tra Maccabi Tel Aviv e Panathinaikos si giocherà una finale dal fascino particolare.
RAMALLAH, 7 mag - Un palestinese accusato di collaborare con Israele e' stato assassinato ieri nel campo profughi di Jalazoun, in Cisgiordania, da uomini armati e mascherati. Fonti dei servizi di sicurezza hanno reso noto che l'uomo si chiamava Mohammad Khawaldi e che aveva 30 anni. Era ricercato in quanto presunto agente dei servizi segreti israeliani. Le fonti tuttavia hanno detto di non sapere da chi sia stato ucciso. Il portavoce dell'Autorita' nazionale palestinese, Ghassan Khatib, ha detto che sull'omicidio e' stata aperta un'inchiesta.
Stimatissimo e veneratissimo Maestro,
abbiamo appreso con dolore, con mestizia e anche, dobbiamo dirlo, con un po' di vergogna, che un deplorevolissimo attacco mediatico è stato scatenato contro di Lei da parte di vari personaggi israeliani e anche da parte di altri ebrei del mondo libero. Questo è ciò che ci ha spinti a scriverLe questa lettera aperta, che cercheremo di pubblicizzare il più possibile: esprimerLe la nostra totale, incondizionata solidarietà. E la nostra sconfinata ammirazione per tutto ciò che Lei sta facendo, per la Sua coraggiosa opera a favore del meraviglioso popolo di Gaza, non ultimo mettendo a disposizione di questo popolo generoso la Sua sublime musica - tutte qualità, queste del popolo di Gaza, che i Suoi nemici non vogliono riconoscere.....
L'Egitto vuole raddoppiare il prezzo del gas naturale esportato in Israele. Per ora le forniture sono sospese, dopo che il 27 aprile un secondo attacco ha danneggiato il gasdotto che corre sotto il Sinai, ma il quotidiano egiziano "Al-Masri al-Youm" ha rivelato che a breve il Cairo aprirà un tavolo di negoziazione con lo Stato ebraico per rivedere al rialzo le tariffe applicate.
Che, attualmente, sono basate su un contratto siglato nel 2009. Fonti del ministero del Petrolio hanno confermato che la East Mediterranean Gas Company (Emg, joint venture israelo-egiziana che trasporta il gas da un Paese all'altro) ha accettato di iniziare le trattative entro la fine del mese in corso. Le stesse fonti hanno anticipato che il negoziato prenderà in considerazione gli aumenti proposti dal ministero del Petrolio, dalla Egyptian Natural Gas Holding Company (Egas) e dalla Emg, cercando poi di raggiungere un equilibrio tra le diverse istanze. Gli egiziani - ha assicurato il quotidiano - insisteranno per cercare di raddoppiare il prezzo corrente. Il profitto che la Egyptian General Petroleum Corporation ha tratto nel 2009-10 dall'esportazione di gas in Israele corrisponde a circa 225-250 milioni di dollari per quasi 2.1 miliardi di metri cubi di carburante. Dalla caduta dell'ex presidente, Hosni Mubarak, in Egitto si sono levate aspre critiche per quella che è stata definita una «svendita sottocosto» di carburante al vicino Stato ebraico ai danni del popolo egiziano.
I voli dell'Aereoporto Ben Gurion di Tel Aviv sono ripresi all'alba di oggi dopo che ieri si era avuta una giornata di caos dovuta alla scoperta di una contaminazione nel carburante dello scalo internazionale che aveva reso necessario la cancellazione di tutti i voli della giornata.
Durante la nottata sono state prelevate delle dosi di carburante dai depositi di emergenza nazionale nel sud di Israele e trasportate all'aereoporto di Ben gurion per dei rifornimenti minimi a tutti gli aerei in partenza. Ogni aereo ha poi raggiunto un aereoporto vicino per completare il rifornimento di carburante necessario.
Sulle origini della contaminazione non si hanno ancora notizie certe. Il carburante prelevato è stato inviato in Germania per degli esami più specifici con i quali le autorità israeliane sperano di avere notizie più dettagliate sull'accaduto e di stabilirne una possibile causa.
AGIRA (EN) - Un tuffo nel passato per ritrovare le radici storiche della presenza di una comunità ebraica ad Agira: un gruppo di venticinque israeliani provenienti da Gerusalemme ieri pomeriggio ha fatto tappa in paese per ammirare l'Aaron, l'arca santa ebraica dove venivano custoditi i rotoli con le sacre scritture (la Torà). Il prezioso reperto si trovava all'interno della sinagoga di via Santa Croce ma adesso, visto il completo abbandono in cui è caduto l'edificio, è custodito all'interno della chiesa del SS. Salvatore. La comitiva, guidata dal professore ordinario di storia medievale all'università di Gerusalemme Yom Tov Assis è stata accolta in tarda mattinata dall'insegnante agirino Salvatore Rocca e dal parroco del SS. Salvatore padre Roberto Zito. Dopo il pranzo, il gruppo è stato portato in chiesa per vedere quello che alcuni studiosi hanno definito l'Aaron più antico d'Europa, poi, tramite un'irta viuzza, ha raggiunto i ruderi della sinagoga, un edificio di culto che venne eretto intorno al 1450, negli anni in cui il re Alfonso d'Aragona, dopo decenni di umilianti segregazioni e di limitazioni, concesse agli Ebrei una certa libertà di culto.
Ad Agira in quel periodo c'era una giudecca abbastanza numerosa e dinamica dedita prevalentemente
al commercio e all'artigianato. Ma il periodo di tolleranza durò poco più di quarant'anni: il 31 marzo del 1492, infatti, con l'editto di Granada, Ferdinando il Cattolico decretò la loro espulsione da tutti i territori ricadenti sotto la giurisdizione della corona di Spagna
Anche per gli Ebrei di Agira iniziò una nuova diaspora e la Sinagoga venne abbandonata. Nel XVI secolo il Beato Diego da Sinagra dei Frati Minori la trasformò in un eremo. Successivamente venne adibita ad oratorio della Confraternita di Santa Croce ma poi venne abbandonata. Solo grazie all'impegno del compianto prevosto padre Rosario Cottone l'Aaron è stato ricostruito all'interno della chiesa del Salvatore. "Siamo estremamente felici ed emozionati di aver potuto ammirare uno dei più importanti reperti dell'antica comunità ebraica agirina, l'Aaron, che è ben protetto all'interno di una chiesa dai nostri buoni amici agirini - ha detto il professor Assis- coltiviamo la speranza che un giorno la sinagoga possa essere ricostruita e che l'arca santa possa tornare nella sua collocazione originaria». Un auspicio condiviso anche dal maestro Salvatore Rocca che da diversi anni intrattiene un rapporto epistolare con il docente israeliano:«Speriamo - ha affermato - che l'Aaron diventi un punto di riferimento per tutte le comunità ebraiche sparse per l'Italia e che l'edificio di culto possa essere riportato al suo antico splendore". "E' un percorso complicato - ha detto invece l'assessore Maria Vaccaro - ma lavoreremo per raggiungere quest'obbiettivo".
Per la Francia i palestinesi "debbono riconoscere Israele in quanto Stato ebraico"
PARIGI - Al termine dell'incontro all'Eliseo con Nicolas Sarkozy il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha riferito che per la Francia i palestinesi "debbono riconoscere Israele in quanto Stato ebraico". Netanyahu ha ricordato di aver "ascoltato simili cose ieri in Gran Bretagna e penso che a Parigi e Londra abbiano capito che chiunque voglia fare la pace deve impegnarsi per essa e non per il contrario. Chiunque voglia distruggere Israele non e' un partner della pace". Il riferimento e' ad Hamas .
Zeevi-Farkash: cambiamento graduale nelle regole di guerra al terrorismo
TEL AVIV, 6 mag - Sull'esempio dell'uccisione di Osama Bin Laden, e confortato dalle reazioni favorevoli della comunità internazionale, Israele potrebbe colpire il leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah.
Lo dice l'ex capo dell'intelligence militare Aharon Zeevi-Farkash. "Non siamo una superpotenza e non tutto quello è lecito per gli USA viene consentito anche a noi - spiega -. Tuttavia c'é un cambiamento graduale nelle regole della guerra al terrorismo, e si è aperta più libertà di manovra''.
Trento: in vendita la cappella del Simonino, antica sinagoga della città
L'ex sinagoga sul mercato a 1,5 milioni. Niente prelazione della Provincia. E' il luogo di culto dei primi ebrei trentini poi trasformato in cappella adorante il beato che simboleggiava la loro maledizione. Proprio gli ebrei per secoli furono ingiustamente accusati di aver martirizzato il fanciullo.
di Paolo Mantovan
Il bassorilievo che raffigura il presunto martirio
del Simonino
TRENTO - La sinagoga di Trento è in vendita. E, in attesa di un acquirente (privato), sarà destinata a uffici. Tra lavori, allacciamenti, scavi e senza nuovi restauri, ne resterà un pallido ricordo. «La sinagoga? Ma quella non è la cappella del Simonino?» si sorprendono alcuni consiglieri. E qui è l'altro punto doloroso: lì, conficcato dentro palazzo Salvadori in via Manci, c'è il luogo di culto dei primi ebrei trentini poi trasformato in cappella adorante il beato che simboleggiava la loro maledizione. Sì, la Cappella del Simonino. In vendita.
Quel Simonino che rappresentò per secoli una sorta di anticipazione della Shoah e che fece di Trento una delle capitali europee dell'antisemitismo, con la devozione del fanciullo che lo voleva rapito e poi ucciso per motivi rituali dagli ebrei ashkenaziti che vivevano a Trento.
Una storia e un culto del tutto infondati, costruiti su un processo che si basò sulle confessioni dei presunti omicidi ottenute dopo mesi di torture. Nel 1965 il vescovo Alessandro Maria Gottardi, dopo gli studi di monsignor Iginio Rogger sugli atti processuali, soppresse il culto del Simonino. Per la comunità cattolica fu una svolta, ma nelle comunità ebraiche la ferita non è ancora rimarginata.
E proprio in questi giorni la biblioteca di Trento ha acquisito il manoscritto di quel processo, nel quale c'è la prova che scagiona gli ebrei.
Insomma, quel luogo è il concentrato di quasi seicento anni di storia dell'ebraismo e della sua persecuzione a Trento. Ed è in uno stato di semi-abbandono (nonostante il restauro del 1991), nascosto, dimenticato dalle istituzioni e dalla memoria della città. Come se tutto si fosse risolto. Come se ormai, soppresso il culto del Simonino, fosse possibile sbarazzarsi di seicento anni di persecuzione e di solenni processioni in cui si mettevano in mostra le presunte armi dell'omicidio.
«Per la verità abbiamo intavolato delle trattative con gli enti pubblici per la vendita. Se ne è parlato con la Regione, con la Provincia, anche con il Comune di Trento. Ma poi non se ne è fatto nulla: sembra che siano tutti senza denari» ci informano (non senza una punta di ironia) alla Domonet, la società immobiliare che fa capo a Giuseppe Rossi e che è proprietaria della Sinagoga-Cappella del Simonino.
La Domonet ha preparato perfino una brochure per incentivare i privati all'acquisto. «Può essere una straordinaria sede di rappresentanza per qualche società o ente» cercano di lusingare gli agenti immobiliari. Ed è per questo che un lungo profilo sulla storia dell'immobile, ricco di foto che ritraggono alcune opere presenti, fa la sua bella figura sul sito internet della Domonet, alla voce "Proposte immobili di prestigio".
Ma che cosa resta della sinagoga? Di sicuro il matroneo, che dimostra l'impianto del tempio di culto ashkenazita. Ma ci sono numerose altre testimonianze. Nel cortile che si espandeva oltre la ex libreria Paideia, in vicolo dell'Adige (chiamato anche "androna San Simonino", come ricorda in un suo libro Aldo Gorfer), vi era la vasca sacra delle abluzioni, e nel palazzo, proprio dove c'era la sinagoga, viveva il capo di quell'embrione di comunità ebraica (Tobia o Samuele, vi sono al riguardo diverse interpretazioni storiche), che guidava un gruppo sceso da Norimberga: tutti parlavano tedesco, ma la città, all'epoca (XV secolo), era un miscuglio di lingue e di dialetti.
Poi, nel 1475, ecco il caso del Simonino. Su cui non ci soffermiamo a lungo, tranne ricordare che il processo avvenne in un clima fortemente antisemita alimentato dalle predicazioni del francescano Bernardo da Feltre e che vi fu una disputa politica pesante fra il vescovo Giovanni Hinderbach e Papa Sisto IV. Il pontefice sostenne (con un suo legato) che la condanna degli ebrei era infondata e poi tentò di proibire la venerazione del Simonino. Ma il beato aveva già fatto breccia in città e nelle valli e il papa perse il braccio di ferro. Il luogo di culto degli ebrei fu trasformato in una cappella e, successivamente, tutt'attorno vi fu costruito il palazzo (noto ora come Palazzo Salvadori) che servì per dare dimora a cardinali, prelati e altre autorità convenute a Trento per il Concilio. «Guardi - ci fa strada dentro il palazzo l'avvocato Eugenio Pensini, proprietario di una porzione - questa è la facciata della Cappella. Ma è un edificio ricco di storie: non solo tragedie, anche miracoli».
Il matroneo
E così ecco scorrere i drammatici anni della seconda guerra mondiale, con il proprietario del palazzo, il barone Salvadori, che nel 1943, proprio lì dentro, proprio a pochi metri dalla cappella, utilizzò una stanza segreta (che ha una sola feritoia che raccoglie luce e aria dal vicolo laterale), per salvare due famiglie di ebrei. Il maggiordomo del barone ogni giorno apriva una botola sovrastante la stanza, vi calava del cibo e, riavvolgendo il filo della carrucola, si faceva consegnare i vasi da notte.
Se non si presentassero a breve nuove offerte, alla Domonet non escludono che la Sinagoga-Cappella possa essere trasformata direttamente in sede e uffici della società stessa. Il valore, attualmente, si aggira su un milione e mezzo di euro. Forse trattabili.
E attorno al monumento torna a concentrarsi l'attenzione.
Anche perché già era in animo, da parte di alcuni studiosi delle religioni, di preparare una mappa dei luoghi dell'ebraismo a Trento: e quella cappella-sinagoga, potrebbe divenirne il fulcro. La Provincia aveva manifestato interesse tre anni fa. Nell'ottobre del 2008 l'allora assessore alla cultura Margherita Cogo aveva affermato che la Provincia avrebbe acquisito la cappella, facendo valere un diritto di prelazione che, invece, non è stato attivato. La Cogo aveva sottolineato che l'interesse nasceva proprio dal bisogno di mantenere la memoria di un luogo simbolo della frattura con la comunità ebraica.
L'assessore nel frattempo è cambiato. Il simbolo è lì che attende.
Calimani: Ferrara sarà il centro della cultura ebraica in Italia
In questo contesto, la Festa propone numerose iniziative, tra cui convegni, proposte culturali, mostre, momenti musicali. Non mancheranno, inoltre, visite guidate ai principali monumenti della presenza ebraica a Ferrara e ai luoghi che ripercorrono la vita e i romanzi di Bassani.
"Le direttrici della Festa - spiega Calimani - sono piu' d'una: la prima e' una mostra del libro ebraico, unita ad un negozio dove si possono comprare anche libri antichi. Un'altra sono le mostre con al centro diversi argomenti: Ebrei e Risorgimento, 150 anni di stampa ebraica italiana, i 52 progetti che hanno partecipato alla gara per il museo.
"Ci saranno - conclude il presidente del Meis - anche alcuni film ebraici, letture e tre concerti di sera che si svolgeranno sabato, domenica e lunedi'. E poi ci saranno le tavole rotonde su ebrei e fascismo, ebrei e filosofia, ebrei e Sant'Uffizio".
Un premio a Eugenio Riboldi, il Perlasca di Malnate
Salvò gli ebrei dai lager nazisti
Il municipio di Malnate
MALNATE (VA) - Malnatesi degni di lode, malnatesi generosi, riservati che si sono contraddistinti nella loro esistenza per aver salvato vite umane in un periodo terribile della nostra storia. Malnatesi premiati per aver agito in modo esemplare, dimostrando valore morale fuori dal comune. Si tratta di eroi silenziosi, di nuovi Perlasca locali a cui la parrocchia di Malnate domani sera alle 21 consegnerà il premio "Pietre vive 2011". Il Perlasca nostrano è Eugenio Riboldi, 85 anni, malnatese doc di via Nizza a due passi dal Parco Primo Maggio e dalla stazione.
Tra il 1942 e il 1943, nel pieno del regime fascista, Riboldi accompagnò insieme al concittadino Angelo Vaghi una cinquantina di perseguitati del regime, in particolare ebrei, attraverso la frontiera italo-svizzera. L'allora giovanissimo Riboldi, a rischio della propria vita, nascondeva i fuggitivi a Malnate e poi li aiutava a scappare in Svizzera. Una cinquantina di persone devono la vita a questi coraggiosi malnatesi che incuranti del pericolo avevano dimostrato coraggio, generosità e profondo altruismo. «Più che altro - racconta Riboldi - si trattava di persone straniere, soprattutto ebrei. Non parlavano italiano, mi ricordo solo di una persona, l'unica che parlava la nostra lingua, che ci ringraziò e ci disse che si sarebbe ricordato per sempre di noi». Gli eroici malnatesi avevano allestito una vera e propria rete di solidarietà culminante nel viaggio, soprattutto notturno nonostante il coprifuoco, attraverso la boscaglia: «Attraversavamo la Birlinghina - racconta - poi le Cave fino a Ligurno. Vaghi era il perno di tutto. A Ligurno qualcuno andava a chiamare il parroco don Angelo che era perfettamente informato delle guardie che collaboravano e di quelle che invece non erano disponibili a dare una mano. Arrivavamo davanti alla rete e se non era stato aperto un varco ci pensava il parroco che alzava la tunica e tirava fuori il forbicione per tagliarla. Di viaggi ne abbiamo fatti diversi». Si partiva da Malnate: «L'attuale palestrina sotto il salone dell'oratorio - ricorda Eugenio - era una piccola cappella che veniva utilizzata come rifugio. I perseguitati ci restavano per alcuni giorni fino a quando non ricevevamo il segnale di partenza verso il confine. Poi si partiva a piedi tra i boschi. Il momento buono ci veniva segnalato in un'osteria di Ligurno. Ricevevamo dal parroco il via libera e partivamo. Non c'era paura perché eravamo troppo giovani e inconsapevoli del rischio che si correva. A 85 anni resta la soddisfazione per aver salvato tante persone». Domani sera in parrocchia, in occasione della festa della comunità, accompagnato da letture e testimonianze sulla Shoah sarà presente anche il Rabbino di Milano.
Ritrovo in piazza Trento e Trieste sabato 7 maggio alle 23.30
Sarà Francesco Scafuri (responsabile dell'Ufficio Ricerche Storiche del Comune) ad illustrare al pubblico il percorso guidato nel centro storico, che si propone sabato 7 maggio, nell'ambito della Notte Bianca organizzata all'interno della Festa del Libro Ebraico, di mettere in luce i legami tra la storia dell'ebraismo ferrarese e la storia della città.
Il ricercatore, inoltre, con particolari curiosi e in parte inediti, descriverà i diversi siti inseriti nell'itinerario, particolarmente importanti dal punto di vista monumentale, collegandoli ai luoghi descritti magistralmente da Giorgio Bassani nelle sue opere letterarie, come "Cinque storie ferraresi" e "il Giardino dei Finzi-Contini". Sarà una passeggiata tra le strade della città medievale e quella rinascimentale, resa ancora più suggestiva dalle luci notturne e arricchita anche da qualche sorpresa durante il percorso.
L'Agenzia Internazionale di Credit Rating Moody's ha preservato il credit rating A1 per il paese nell'ultimo report annuale recentemente pubblicato. L'Agenzia ha scritto nel report che "Il modello israeliano di esportazione, basato sul settore high tech, funziona bene e sostiene la crescita economica nel medio termine".
Il report è stato pubblicato a seguito degli incontri effettuati fra i rappresentati di Moody's e il Ministro della Tesoro e delle Finanze, il Governatore della Banca d'Israele e altre figure importanti del settore pubblico e privato, durante la loro visita annuale in Israele sei mesi fa. Nell'annuncio pubblicato da Moody's. I rappresentanti hanno detto che il corrente credit rating equilibra la potenza economica e finanziaria di Israele e le sfide geopolitiche che deve affrontare. Inoltre, hanno aggiunto che la politica monetaria e fiscale ha appoggiato l'attività economica durante la crisi e ha aiutato a prevenire la recessione.
(FocusMo, 5 maggio 2011)
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Il video segnalato in questa notizia di ieri, oggi non è più visibile. Si può verificare.
Bin Laden, l'imam della moschea di Al-Aqsa: "Appenderemo le teste di Obama e Bush"
GERUSALEMME - Un imam della Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme ha promesso di vendicarsi contro "il cane occidentale" per l'uccisione di Osama bin Laden.
In un video caricato da Youtube l'imam dice: "I cani occidentali esultano dopo aver ucciso uno dei nostri leoni islamici. Dalla Moschea di Al-Aqsa, dove il futuro califfato ha avuto origine grazie all'aiuto di Dio, noi rispondiamo dicendo a loro, che i cani non si dovrebbero rallegrare troppo per aver ucciso i leoni. I cani restano cani e il leone, anche se morto, rimarrà un leone".
L'imam ha poi attaccato il presidente Usa Barack Obama: "Tu che hai personalmente incaricato i tuoi uomini di uccidere dei musulmani, devi sapere che presto appenderemo la tua testa insieme a quella di Bush Junior".
L'imam ha poi continuato: "Siamo miliardi e siamo buoni. Vi insegneremo la politica e le vie militari molto presto, con l'aiuto di Dio ", ha promesso. A Gerusalemme, circa 25 di palestinesi si sono riuniti per rendere omaggio ad Osama bin Laden. Fuori dalla Gaza City University, alcuni studenti hanno reso omaggio al leader di al Qaeda con la foto dello sceicco in mano.
La folla di studenti si è dichiarata contraria all'ideologia di Bin Laden, ma ha dichiarato di sentirsi arrabbiata con gli Stati Uniti per l'uccisione di colui che considerano un martire.
TEL AVIV - Tutti i voli in partenza dall'aeroporto 'Ben Gurion' di Tel Aviv e dagli altri scali israeliani sono stati sospesi oggi, a causa di un problema di contaminazione del carburante. Lo riferiscono i media locali, precisando che i rifornimenti vengono gestiti nel Paese da un'unica compagnia, i cui depositi risultano soggetti alla contaminazione.
Gli aerei in arrivo sono stati inoltre avvertiti di fare scalo altrove per rifornirsi di carburante prima di atterrare in Israele. Non è ancora chiaro se l'inquinamento dei depositi di carburante sia frutto di cause accidentali o di un qualche ipotetico sabotaggio.
Un comitato di commemorazione delle vittime dell'Olocausto sta chiedendo ai residenti di Amsterdam di mettere un segno di riconoscimento alle proprie case se un ebreo deportato ha vissuto lì. I residenti possono controllare sul sito Internet del comitato, e appendere alle finestre delle case le foto delle vittime. L'iniziativa sta iniziando a prendere piede: sono molte le case che espongono le fotografie.
Scetticismo sull'accordo fra Hamas e Fatah
Forte scetticismo sulla stampa israeliana a proposito dell'accordo tra Hamas e Al Fatah siglato ieri al Cairo. Laconico Yedioth Aharonoth: "Dal vertice del Cairo non uscirà un premio Nobel e nemmeno un lieto fine". La testata dà ampio spazio agli screzi tra i leader delle due fazioni verificatisi lontano dalle telecamere. "Gli screzi che hanno turbato la cerimonia sono un presagio dei problemi che verranno" incalza Haaretz mentre per Maariv quello celebrato ieri nella capitale egiziana "è un matrimonio in cui i coniugi, dopo appena alcuni mesi, già si chiedono per quale motivo sono entrati sotto il baldacchino nuziale". Il Jerusalem Post evidenzia nel titolo la frase del leader di Hamas Khaled Mashal secondo cui "la sola lotta del movimento islamico è contro Israele".
Clinton: Governo con Hamas solo con i principi del Quartetto
ROMA - "Non possiamo permettere un governo con Hamas fino a quando Hamas non si impegnerà a rispettare i principi del Quartetto". Così il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, in merito all'accordo annunciato ieri a Il Cairo tra le fazioni palestinesi di Hamas e Fatah e alla possibilità di un governo di coalizione in Palestina, parlando durante la conferenza stampa alla Farnesina al termine della riunione bilaterale con il ministro degli Esteri, Franco Frattini.
BUDAPEST - Si è presentato oggi in tribunale a Budapest, accompagnato dai suoi avvocati, l'ungherese Sandor Kepiro, 97 anni, uno degli ultimi criminali di guerra nazisti. Ex comandante di gendarmeria, deve rispondere dell'accusa di avere partecipato nel gennaio 1942, come capo di una pattuglia, al massacro di civili nella città serba di Novi Sad (Ujvidek). Il 14 febbraio scorso era stato incriminato.
Durante l'invasione della Serbia da parte dell'Ungheria assieme alla Wehrmacht nazista, l'esercito e la gendarmeria ungheresi trucidarono a Novi Sad, fra il 21 e 23 gennaio 1942, circa 10.000 civili, ebrei e partigiani serbi. I responsabili del massacro furono condannati e giudicati nel 1944 dalla stessa giustizia militare del regime filo-nazista ungherese di Miklos Horthy, che definì l'azione un eccesso.
Kepiro, emigrato dopo la guerra in Argentina e rimpatriato in Ungheria solo nel 1996, sostiene di essere stato assolto dalla magistratura, all'epoca. Il Centro Simon Wiesenthal, che dà la caccia ai criminali di guerra durante il periodo dell'Olocausto, nel 2006 mise Kepiro in cima alla sua lista dei criminali più ricercati, chiedendo alle autorità ungheresi di incriminarlo. La procura di Budapest nel 2009 lo incriminò, ma il tribunale poi respinse ritenendo valida l'assoluzione del 1944. Quella stessa assoluzione è stata poi messa in dubbio dalla Procura, che il 14 febbraio scorso lo ha nuovamente incriminatto.
È giusto festeggiare la morte di Bin Laden? L'etica ebraica
di Anna Momigliano
Tra chi ha espresso soddisfazione per l'uccisione di Osama Bin Laden, naturalmente, c'è anche il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Che ha definito il fatto come "una vittoria per la giustizia, per la libertà e per i Paesi democratici che combattono fianco a fianco contro il terrore".
Da notare, però, che Netanyahu (forse pensando più al pubblico israeliano che a quello internazionale) è stato molto cauto nel scegliere le sue parole. E soprattutto si è ben guardato dal definire l'uccisione del padre di Al Qaeda un evento da "festeggiare". Perché secondo l'Ebraismo "festeggiare" la morte di qualcuno, fosse anche il più temibile e odiato tra i nemici, è una faccenda estremamente controversa. Infatti nella Bibbia sta scritto Quando il tuo nemico cade, non gioire.
Sembra semplice, no? E invece la faccenda è assai complicata, dal punto di vista dell'etica ebraica. Perché i testi religiosi, soprattutto l'Antico Testamento e il Talmud, offrono interpretazioni contrastanti su cosa sia lecito o no provare nei confronti del nemico ucciso in battaglia.
Proprio prendendo spunto dai festeggiamenti cui abbiamo assistito in tutto il mondo in occasione della morte di Bin Laden, ha fatto una riflessione interessante il rabbino Tzvi Freeman, la cui analisi è stata tradotta in italiano e resa pubblica in rete da Chabad-Lubavitch, una delle principali associazioni religiose ebraiche internazionali.
Freeman parte commentando l'Antico Testamento, dove già troviamo i primi paradossi: Re Salomone scrive nel libro dei Proverbi 11,10: "Quando i malvagi periscono, c'è un canto gioioso". Sembra molto esplicito, tuttavia lo stesso autore dice, nello stesso libro, 24,17-18: "Quando il tuo nemico cade, non gioire, e quando inciampa, che il tuo cuore non esulti, nel caso che il Signore veda e ne sia scontento, e tolga la Sua ira da lui".
Per poi proseguire con il Talmud, che offre una visione altrettanto complessa. In Sanhedrìn 113b è scritto: "Quando i malvagi periscono da questo mondo, viene portato del bene nel mondo, com'è scritto, quando i malvagi periscono, c'è un canto gioioso" Nello stesso volume, 39b, dice poi: "Quando gli Egizi stavano annegando nel Mar Rosso, gli angeli volevano cantare. Il Signore disse loro, l'operato delle Mie mani sta annegando nel mare e voi volete cantare?".
In altre parole, le scritture ebraiche tendono, come sempre, a porre delle domande più che a fornire risposte belle che e pronte all'uso. Ma certamente sono uno spunto sull'opportunità di mantenere una certa pacatezza anche davanti alla scomparsa del re del terrore.
Anche il Totocalcio è stato inventato da un ebreo!
Il 5 maggio 1946 la prima schedina del Totocalcio con il primo concorso SISAL
Sono passati sessantacinque anni: era il 5 maggio 1946. Quel giorno, nacque quello che sarebbe diventato il sogno degli italiani di cambiare vita, il sogno da compilare in ricevitoria, quel sogno si chiamava (anche se non ancora, in realtà) fare tredici, quel sogno sarebbe stato il Totocalcio.
Al tempo però era ancora Sisal, e si vinceva col dodici, non col tredici. Per decenni il Totocalcio oltre ad aver arricchito un po' di italiani, ha fatto molto di più: ovvero ha sostenuto con i suoi incassi lo sport italiano. Tutto nacque da un'idea di Massimo Della Pergola, giornalista sportivo della Gazzetta dello Sport.
Terminati gli anni della guerra - dove era stato licenziato in quanto ebreo dal giornale in cui lavorava - Della Pergola finì anche internato in un campo di lavoro in Svizzera. Lì ebbe l'idea, che una volta terminate le ostilità e fatto ritorno a Milano avrebbe applicato insieme a due colleghi, Fabio Jegher e Geo Molo.
Israele: finalizzato l'acquisto del sesto sommergibile tedesco
GERUSALEMME - Israele ha finalizzato con la Germania l' acquisto di un nuovo sommergibile, il sesto, per la sua marina militare, secondo quanto ha riferito oggi una fonte governativa confermando una notizia precedentemente apparsa sul quotidiano Yedioth Aharonoth. Nessuna reazione alla notizia e' finora giunta dal governo tedesco. L'acquisto del sommergibile era stato oggetto di una lunga e controversa trattativa con la Germania, che aveva conosciuto alti e bassi. Israele chiedeva tra l'altro un contributo o almeno un finanziamento tedesco. Non e' noto se questo obiettivo sia stato conseguito e in quale misura.
Si sono alzati all'alba per partecipare alla gara. Erano oltre 1.500 gli iscritti alla prima edizione della Maratona di Gaza, l'enclave palestinese controllata dagli islamici di Hamas e sottoposta al blocco israeliano dal 2007. Il percorso si è snodato fra Beit Hanun, nel nord della Striscia - vicino alla linea di demarcazione con Israele - e Rafah, nell'estremo sud, a ridosso del confine egiziano, lungo la strada costiera. Certo gran parte dei partecipanti - molti ragazzi, studenti dei licei e universitari - ha dato alla corsa, partita per via della temperatura alle sei del mattino, soltanto un contributo amatoriale. Non più d'una cinquantina di atleti ha raggiunto alla fine un traguardo parziale, mentre solo 11 si sono cimentati sulla distanza canonica dei 42 chilometri e 145 metri. Ma l'importante era esserci, dimostrare che Gaza può essere un posto normale dove anche lo sport può avere cittadinanza perché trasmette un messaggio di libertà. La vittoria è andata secondo le previsioni a Nader al-Masri, gloria dello sport locale. Un atleta olimpionico palestinese di 31 anni che nel 2008 partecipò ai giochi di Pechino nei 5.000 metri e adesso punta alla maratona in vista di quelli di Londra l'anno prossimo. Una australiana e un francese, entrambi funzionari dell'Unwra - l'agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi e che nella Striscia assiste quasi un milione di persone - sono stati gli unici stranieri a portare a termine la competizione fino a Rafah.
Obiettivo della Maratona era la raccolta di fondi per finanziare un programma di campi estivi per i bambini di Gaza. Non è andata male. E'stato raccolto più di un milione di dollari e lungo la strada migliaia di persone hanno sostenuto gli atleti applaudendoli e rifornendoli d'acqua. Ci saranno così i denari per le colonie estive dell'Unrwa e i ragazzi non saranno costretti ad andare nei campi della gioventù organizzati da Hamas. I ragazzini e le ragazzine potranno giocare liberamente insieme sulla spiaggia e non separati come invece impone la rigida morale degli integralisti. Quest'estate saranno uguali a tutti gli altri ragazzini del mondo che giocano insieme in riva al mare.
Bin Laden, striscioni contro Usa e Israele firmati Militia
''Avete ucciso 'Osama Bin Mossad', il vostro miglior agente'' e ''Li conosciamo bene i veri terroristi''. Sono le scritte su due striscioni con accanto le bandiere americana e israeliana, firmati dal gruppo estremista di destra Militia, comparsi a Roma sulla tangenziale allo svincolo della stazione Tiburtina, in coincidenza con la visita di oggi nella Capitale del segretario di Stato Usa, Hilary Clinton. Sul posto sono intervenuti la polizia e i vigili.
USA - Per il secondo anno consecutivo Chabad al primo posto della classifica di Newsweek.
Gruppo di Rabbini Lubavitch a New York
Come negli anni precedenti il Newsweek ha classificato le figure più importanti per l'ebraismo americano dei giorni nostri.
I criteri di selezione restano gli stessi degli anni precedenti:
- Hanno ruolo di capi-innovativo e/o spirituale, all'interno della loro comunità?
- Sono leader nell'ebraismo?
- Quanto sono grandi le loro circoscrizioni elettorali?
- Hanno avuto un impatto sul giudaismo nella loro carriera?
- Hanno avuto un impatto al di là della comunità ebraica?
- Sono conosciuti a livello nazionale / internazionale?
- Hanno influenza politico/sociale?
- Hanno una presenza nei media?
Sulla base di questi criteri, Il Newsweek ha nominato al primo posto tra le 50 figure più importanti il movimento Chabad-Lubavitch e scelto Rav Yehuda Krinsky, presidente dei dipartimenti per i servizi educativo e sociale di Chabad-Lubavitch, e segretario di lunga data del Rebbe di Lubavitch, Rav Menachem M. Schneerson, a rappresentare Chabad-Lubavitch.
Secondo Newsweek, il movimento Chabad si posiziona come l'autorità più potente della comunità nazionale ebraica, e può vantare per il secondo anno consecutivo il primo posto nella classifica.
In risposta a questi riconoscimenti, mentre si stava recando al Ohel, luogo di riposo del Rebbe, Rav Krinsky ha detto: "Questo è un tributo a tutti, di ciascun membro del movimento Chabad-Lubavitch Shluchim e dei loro sostenitori."
Berlino, niente riconoscimento unilaterale senza ok di Israele
Battuta d'arresto per le aspirazioni nazionali palestinesi che incassano il rifiuto tedesco a qualsiasi riconoscimento di uno Stato indipendente che non sia frutto di un accordo con la controparte israeliana. All'indomani delle aperture del presidente francese Nicolas Sarkozy, Berlino ribadisce la sua opposizione a qualsiasi fuga in avanti. "La politica del governo tedesco rimane quella espressa dal cancelliere, Angela Merkel, dopo i colloqui con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ad aprile", ha riferito il portavoce, Steffen Seibert, sottolineando che un gesto "unilaterale non contribuira'" al raggiungimento della soluzione dei due Stati. Ieri il capo dell'Eliseo aveva ventilato l'ipotesi di un riconoscimento ufficiale francese in mancanza di risultati concreti nei negoziati, sottolineando che "se il processo di pace sara' ancora morto a settembre, la Francia dovra' affrontare le sue responsabilita'". I negoziati fra israeliani e palestinesi si sono arenati nel dicembre del 2010 sulla questione insoluta delle colonie. Di fronte a questa impasse, i palestinesi stanno tentando di ottenere da parte delle Nazioni Unite il riconoscimento unilaterale di uno Stato indipendente, con l'intenzione di avanzare la proposta nel corso della riunione dell'Assemblea Generale il prossimo settembre. Una prospettiva fieramente avversata da Netanyahu che, in questi giorni, e' impegnato in un tour europeo alla ricerca di sostegno contro qualsiasi iniziativa unilaterale palestinese. Destinazione Europa anche per il presidente dell'Autorita' nazionale palestinese, Abu Mazen, che nel tardo pomeriggio arrivera' a Berlino, dove vedra' il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, prima dell'incontro con la Merkel, fissato per domani.
Quattro giorni di cultura e tradizione con la festa del libro ebraico
Al via la seconda edizione della Fiera del libro ebraico che interesserà l'intera città con una lunga serie di iniziative per quattro giorni
FERRARA, 4 maggio 2011 - Per quattro giorni, Ferrara ospiterà la seconda edizione della 'Festa del libro ebraico in Italia', promossa dal Museo nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah.
"Non sarà solo una festa di libri - ha spiegato il coordinatore della Fondazione Meis Gaetano Sateriale -, ma un'occasione per anticipare i temi del Museo, ossia la bimillenaria presenza della comunità ebraica ed il suo contributo alla vita del paese".
Il via della manifestazione alle 20 di venerdì, con alcuni membri dell'Unione giovani Ebrei d'Italia: funzione religiosa Kabalat Shabat nella sinagoga tedesca e, alle 21.30, incontri e sapori kasher al chiostro San Paolo, aperti a tutti su prenotazione (telefonando a Le Bon Ton Catering al 393 9740140). L'occasione sarà replicata nello stesso luogo domenica alle 13 e alle 19 e lunedì alle 12.30.
La prima inaugurazione avverrà alle 22 di sabato 7, nel Salone d'Onore di Palazzo municipale: aprirà i battenti la mostra 'Una storia di carattere. 150 anni di stampa ebraica in Italia', visitabile fino al 22 maggio. Un'altra inaugurazione è prevista per le 23 di sabato al chiostro San Paolo: si tratta di 'Ebrei e Risorgimento', curata da Silvia Villani e visitabile solo fino al giorno successivo.
"Inizierà poi la notte bianca ebraica, una prima mondiale assoluta" ha annunciato Sateriale. A guidarla sarà il responsabile dell'Ufficio ricerche storiche del Comune Francesco Scafuri. "Dopo l'incontro alle 23.30 davanti a Palazzo san Crispino visiteremo le principali vie del ghetto, quindi, sotto il volto del Cavallo, parleremo del rapporto fra gli Ebrei e gli Estensi". La visita proseguirà passando di fronte al Fossato del Castello, dove saranno rievocate le vittime del 14-15 novembre 1943 (l'episodio ispirò il celebre racconto di Bassani Una notte del '43). Attraverso Ercole d'Este si giungerà infine a Palazzo dei Diamanti, dove il Laboratorio teatrale Fonema leggerà alcuni scritti di Ebrei vissuti in epoca risorgimentale. A chi sarà arrivato fino in fondo, alle 2 di notte verrà offerto un assaggio gastronomico kasher.
Domenica 9 alle 10 sarà invece inaugurata al Museo civico di storia naturale una terza mostra: 'Ebrei erranti nei nuovi mondi'. "Tre nostri concittadini ebrei - ha raccontato l'ex sindaco - hanno compiuto esplorazioni importanti, e regalato alla città alcuni oggetti, tra cui una statuetta egizia un tempo visibile a Schifanoia ed alcuni animali impagliati al Museo di storia naturale".
Alle 11 della stessa giornata altro appuntamento: l'apertura a Palazzo dei Diamanti di 'Meis: architetture per un museo', curata da Carla Di Francesco, Direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici. "Per il Museo dell'Ebraismo sono giunti 56 progetti - ha raccontato -, di cui 4 scartati per ritardo nei tempi; tra gli altri 52 ne sono stati menzionati 5, di cui uno è risultato vincitore". Tutti saranno comunque esposti, il primo classificato con l'ausilio di proiezioni.
Nel corso della domenica si svolgeranno anche due itinerari: uno a piedi tra ghetto e sinagoghe, un altro in bicicletta nei luoghi bassaniani, con la lettura di alcuni brani dell'autore ferrarese. È richiesta la prenotazione al servizio di accoglienza turistica Itinerando (telefono 0532 202003, mail itineran@libero.it).
Venendo a questioni più prosaiche, Roberto Finardi, direttore generale del Comune e della Fondazione, ha ricordato che il budget è ridotto rispetto all'anno scorso, poiché mancano 80mila euro dal Ministero dei Beni e attività culturali. Questa volta la spesa di 150mila euro è coperta per 15mila dalla Regione, per un piccolo contributo dalla Fondazione Carife e in maggioranza dalla Fondazione Meis, "istituita da una legge dello Stato e dotata di un proprio bilancio" ha ricordato Sateriale. Il programma è visibile per intero al sito www.festalibroebraico.it.
Manoscritto di un processo a ebrei acquisito dalla Biblioteca di Trento
Contiene una memoria del giudice che scagiona gli imputati dellomicidio Simonino
TRENTO, 4 mag - La Biblioteca comunale di Trento ha acquisito un manoscritto del XV secolo contenente un ampio frammento degli atti dei processi celebrati contro gli ebrei di Trento, accusati di omicidio rituale nel 1475 a seguito della morte del piccolo Simone, venerato come beato dai cattolici fino al 1965. Costituito da sette fascicoli per un totale di 62 carte in folio, il manoscritto e' in gran parte occupato dal resoconto sommario dei procedimenti a carico dei singoli imputati, anche di quelli maggiori successivamente giustiziati. C'e' inoltre la memoria giuridica a cautela del giudice di Trento che rivela numerosi errori e dei vizi formali nel procedimento, dell'insufficienza degli indizi per procedere contro gli accusati e l'uso di testimonianze estorte con la tortura.
IL CAIRO - Osama bin Laden ha lasciato un testamento che porta la data del 14 dicembre 2001 in cui ordina ai suoi più stretti collaboratori, nel caso in cui venga ucciso, di non proseguire la guerra contro gli infedeli, ma di vendicare la sua morte "purificando le file del movimentò e individuando il traditore". Lo scrive oggi il quotidiano egiziano on line el Doustour, che riprende il giornale del Kuwait al Ambaa. Nel testamento, il mandante delle stragi dell'11 settembre chiede perdono alle mogli e ai suoi 20 figli per averli trascurati come padre.
Nel testamento diffuso dal quotidiano del Kuwait Al-Anbaa, Bin laden afferma che "gli ebrei e i cristiani ci hanno sedotto con i loro piaceri di vita e ci hanno invaso coi loro valori materiali, prima ancora dei loro eserciti" Ai jihadisti del mondo il capo di al Qaida, a due mesi dall'attacco delle torri gemelle, chiede di "dimenticare il combattimento contro ebrei e i crociati per un certo periodo e di preoccuparsi di purificare le fila dagli agenti, i traditori e gli ulema che rifiutano la lotta per Dio".
Alle donne musulmane Bin Laden chiede di "salvaguardare il proprio pudore". Alle proprie mogli, che lo hanno sostenuto in una vita "piena di mine e di spine" chiede di non risposarsi dopo la sua morte e di prendersi cura dei figli. Ai figli l'ex terrorista numero 1 al mondo chiede perdono per essere stato poco tempo con loro. "Ho risposto al richiamo della jihad e ho scelto una strada piena di rischi", scrive Bin Laden che sconsiglia ai figli di lavorare per al Qaida e per i movimenti jihadisti.
Siria, canzoni israeliane a sostegno della protesta
Il cantautore israeliano Amir Benyaun ha inciso diverse canzoni in arabo a sostegno della popolazione che in Siria si confronta con il regime di Bashar Assad.
Queste incisioni - riferisce il quotidiano Yediot Ahronot - saranno inoltrate ad esponenti di una quindicina di organizzazioni di oppositori siriani durante un incontro che essi avranno domani in Turchia con il vice-ministro israeliano per lo sviluppo Ayub Kara, un druso del partito Likud.
Benayun, secondo Kara, gode già di una certa notorietà in Siria.
La ispirazione per le canzoni, ha detto Benayun, è giunta da testi scritti tremila anni fa dal re biblico Salomone. «Sono felice - ha aggiunto l'artista - nel vedere che la musica può aiutare processi rivoluzionari nel mondo, che può diffondere messaggi universali».
Bin Laden, l'imam della moschea di Al-Aqsa: "Appenderemo le teste di Obama e Bush"
GERUSALEMME - Un imam della Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme ha promesso di vendicarsi contro "il cane occidentale" per l'uccisione di Osama bin Laden.
In un video caricato da Youtube l'imam dice: "I cani occidentali esultano dopo aver ucciso uno dei nostri leoni islamici. Dalla Moschea di Al-Aqsa, dove il futuro califfato ha avuto origine grazie all'aiuto di Dio, noi rispondiamo dicendo a loro, che i cani non si dovrebbero rallegrare troppo per aver ucciso i leoni. I cani restano cani e il leone, anche se morto, rimarrà un leone".
L'imam ha poi attaccato il presidente Usa Barack Obama: "Tu che hai personalmente incaricato i tuoi uomini di uccidere dei musulmani, devi sapere che presto appenderemo la tua testa insieme a quella di Bush Junior".
L'imam ha poi continuato: "Siamo miliardi e siamo buoni. Vi insegneremo la politica e le vie militari molto presto, con l'aiuto di Dio ", ha promesso. A Gerusalemme, circa 25 di palestinesi si sono riuniti per rendere omaggio ad Osama bin Laden. Fuori dalla Gaza City University, alcuni studenti hanno reso omaggio al leader di al Qaeda con la foto dello sceicco in mano.
La folla di studenti si è dichiarata contraria all'ideologia di Bin Laden, ma ha dichiarato di sentirsi arrabbiata con gli Stati Uniti per l'uccisione di colui che considerano un martire.
Di fronte all'esultanza dei musulmani americani, gli islamici d'Italia rispondono alla morte di Bin Laden con più cautela. Colpisce soprattutto che la grande moschea di Roma abbia tenuto nel cassetto le dichiarazioni del suo frontman spirituale, l'imam egiziano al Gobashi. «Visto il ruolo, non può entrare nel discorso politico», hanno spiegato i vertici del centro islamico di Monte Antenne, la più grande moschea d'Europa e l'unica riconosciuta dallo Stato italiano come «ente morale». Invece proprio per il ruolo che ricopre, di guida spirituale che nell'islam assume anche contorni politici, sarebbe importante sentire da Gobashi una parola sull'uccisione dello sceicco del terrore, se non una netta presa di distanza....
Netanyahu: "L'accordo tra Hamas e Fatah non venga firmato"
"Mi rivolgo ad Abu Mazen per scegliere la strada della pace con l'Israele" dichiara il Primo Ministro Israeliano dopo un colloquio con gli inviati di Tony Blair. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha chiesto al presidente Mahmud Abbas dell'Autorità Palestinese, di fare un passo indietro dall'accordo con il gruppo islamico Hamas ,un il giorno prima che venga firmato ufficialmente durante una cerimonia a Il Cairo, mercoledì. Tuttavia, Al Jazeera ha annunciato che l'accordo è già stato stilato, stampato e che l'evento sarà preceduto da una cerimonia "Abbiamo firmato l'accordo nonostante vi fossero parecchie riserve, ma abbiamo insistito in materia di occupazione in nome del più alto interesse nazionale " - Questa la dichiarazione di Al-Awad di Walid membro del partito della gente della Palestina. In o gni caso, subito dopo una riunione con gli inviati di Tony Blair , Netanyahu ha fatto una dichiarazione con la quale ha invitato il capo di Fatah a riconsiderare la questione. "Mi rivolgo ad Abu Mazen (Abbas) affinchè annulli immediatamente l'accordo con Hamas e scelga la via della pace con Israele" Israele ha dichiarato che l'accordo a sorpresa della settimana scorsa, finalizzato a riconciliare le due fazioni palestinesi rivali di Hamas e Fatah, saboterà gli sforzi di pace. "L'accordo fra Abu Mazen e Hamas sferra un duro colpo al processo di pace. "Come si può raggiungere la pace con un governo la cui metà dei componenti chiede la distruzione di Israele ed elogia gli omicidi di massa di Osama bin Laden ? " I capi palestinesi hanno difeso l'accordo, di riconciliazione con Hamas, sostenendo che esso riflette un desiderio pubblico profondo di concludere le differenze interne. Prima di martedi i funzionari di Hamas avrebbero affermato che il gruppo islamico sarebbe onorato di siglare una tregua ufficiosa con Israele dopo la firma dell'accordo con Fatah. Martedì, il funzionario Mahmoud Zahar di Hamas ha detto che l'accordo altro non era che il risultato diretto della rivolta in Egitto e dell'estromissione di Hosni Mubarak. Mentre Domenica, il delegato Musa Abu Marzouk ha dichiarato che Hamas non intende riconoscere il diritto di esistere di Israele, malgrado l'accordo di formare un governo di unità palestinese. "Hamas ha una posizione di principio per quanto riguarda questa questione " ha ribadito Marzouk "Non riconosceremo l'entità sionista. I nostri diritti sono ancora usurpati e per noi è illogico riconoscere l'entità sionista perché andrebbe a scapito delle nostre terre rubate, e della nostra gente confinata nei campi profughi." Hamas non vede alcun collegamento fra il riconoscimento del diritto di esistere di Israele e l'istituzione di uno stato palestinese. "La maggior parte dei paesi arabi non riconosce lo stato di Israele, ma continua a trattare con la comunità internazionale" ha aggiunto. "E molti paesi europei non hanno riconosciuto lsraele fino ad oggi. Di conseguenza, la comunità internazionale non dovrebbe occuparsi di questa questione".
Capo Hamas: la nostra unica lotta è contro Israele
"La nostra unica lotta è contro Israele". Lo ha detto Khaled Meshal, capo di Hamas in esilio, alla cerimonia per celebrare la riconciliazione tra il suo gruppo e le altre fazioni palestinesi.
Nel frattempo, migliaia di palestinesi sono scesi oggi in strada nei Territori, senza distinzione di partito, per celebrare l'accordo di riconciliazione suggellato in queste ore al Cairo. Raduni e manifestazioni di giubilo si segnalano sia in Cisgiordania, il territorio controllato dall'Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente moderato e leader dei laici di Al-Fatah, Abu Mazen (Mahmud Abbas), sia nella Striscia di Gaza, l'enclave espugnata sanguinosamente dagli islamici di Hamas fin dal 2007.
Hamas esegue una pena capitale a Gaza contro una spia
Il ministero dell'Interno del governo di Gaza, a guida Hamas, ha annunciato questa mattina che è stata eseguita la condanna a morte comminata a un cittadino palestinese della zona accusato di essere una spia per conto di Israele. La presunta spia A. Sh., è stato condannato il 19 aprile da un tribunale militare di Gaza in seguito all'accusa di spionaggio rivolta nei suoi confronti da un cittadino della città palestinese. L'esecuzione della pena è avvenuta all'alba di oggi mediate fucilazione. Lo scorso anno Hamas aveva ucciso altre tre persone con la stessa accusa.
Se volete dimagrire, un po' di pasta tenetela per cena
Secondo ricercatori israeliani, i carboidrati avrebbero effetti diversi a seconda dell'ora
MILANO - Molti studi hanno messo a confronto diete ipocaloriche ad alto o a basso contenuto di carboidrati. Ma che cosa succede quando a variare non è la quantità di carboidrati, bensì il momento della giornata in cui questi vengono consumati? Lo hanno verificato ricercatori dell'Università di Gerusalemme con uno studio pubblicato on line da Obesity . Per la ricerca, 78 donne e uomini obesi sono stati divisi in due gruppi che hanno seguito, per 6 mesi, lo stesso tipo di dieta ipocalorica (1300 o 1500 kcal al giorno, con il 20% delle calorie da proteine, il 30-35% da grassi e il 45-50% da carboidrati). Unica differenza: in un gruppo i carboidrati (sotto forma di pasta, riso, pane o patate e yogurt alla frutta o un paio di biscotti) venivano assunti, con altri alimenti, prevalentemente alla sera; nell'altro gruppo i carboidrati venivano distribuiti durante tutta la giornata.
Dopo 6 mesi, nel gruppo dei "carboidrati alla sera" si è osservata una maggiore perdita di peso (in media 11,6 kg contro 9), una maggiore riduzione della circonferenza addominale e della massa grassa, un minor senso di fame e migliori risultati relativi ai livelli di glucosio e colesterolo nel sangue e di alcuni marker dell'infiammazione. Secondo l'ipotesi dei ricercatori, lo spostamento dei carboidrati alla sera potrebbe modificare in modo favorevole la secrezione degli ormoni leptina e adiponectina. La prima è detta anche "l'ormone della sazietà", la seconda porta alla riduzione dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue, migliora la sensibilità all'insulina e ha un'azione antinfiammatoria. E in effetti la dieta "dei carboidrati alla sera" modificava le concentrazioni di entrambi gli ormoni. «Premesso che non basta uno studio per trarre conclusioni definitive, commenta Gabriele Riccardi, presidente della Società italiana di diabetologia consumare più carboidrati a cena e meno a pranzo potrebbe essere una scelta ragionevole, poiché durante il riposo notturno gli zuccheri vengono temporaneamente immagazzinati per essere poi rimessi in circolo, sotto forma di glucosio, nel corso della giornata, specialmente quando serve energia per fare uno sforzo fisico. Se poi gli alimenti ricchi in carboidrati sono anche una buona fonte di fibre, il controllo metabolico e il senso di sazietà migliorano, e si prolungano, ulteriormente».
Si presenta l'Associazione Italia-Israele "Alba, Bra, Langhe e Roero"
CHERASCO (CN) - Domani, giovedì 5 maggio, alle 18, presso il "Somaschi hotel" di Cherasco, la neocostituita Associazione Italia-Israele di Alba, Bra, Langhe e Roero debutterà con un incontro che vedrà la presenza, come eccezionale ospite d'onore, dell'ambasciatore dello Stato ebraico in Italia, Gideon Meir.
Il saluto sarà curato da Carlo Benigni, presidente della Federazione nazionale delle Associazioni Italia-Israele, e dall'avvocato Pier Mario Morra, presidente del sodalizio albese-braidese che in queste settimane muove i primi passi e ha in programma una serie di incontri pubblici dedicati allo Stato di Israele e alla divulgazione dell'autentica realtà da esso costituita.
La partecipazione all'evento, che gode del patrocinio dell'Amministrazione civica della "città delle paci", è libera a tutti. Al termine si svolgerà un rinfresco.
Sarà anche l'occasione, per chi fosse interessato, per informarsi sulle attività della locale Associazione Italia-Israele
In un primo pubblico commento di una personalità di governo in Israele sulla rivolta in Siria il ministro della difesa Ehud Barak ha affermato che il brutale ricorso alla forza del regime del presidente Bashar Assad contro i suoi oppositori avrà l'effetto di accelerarne la caduta. In un'intervista alla Tv privata Canale 10, Barak ha detto: «Io penso che Assad si stia avvicinando al momento in cui perderà la sua autorità. La crescente brutalità lo sta relegando in un angolo; più sale il numero dell persone uccise meno sono le sue probabilità di uscire da questa situazione». A giudizio di Barak, Israele «non ha motivo di temere la possibilità che Assad sia sostituito. Nei processi in atto in Medio Oriente ci sono grandi promesse e grandi speranze nel lungo periodo per i nostri figli e nipoti». La Siria si considera tuttora in stato di guerra con Israele dal quale rivendica la totale restituzione delle alture del Golan, occupate nel conflitto del 1967. Malgrado il fatto che la Siria si sia schierata con i peggiori nemici di Israele, come l' Iran e gli Hezbollah libanesi, una quiete assoluta caratterizza la linea armistiziale tra i due paesi sul Golan.
Comunita' ebraica yemenita manifesta a Sanaa, resti fino al 2013
SANAA, 3 mag - Decine di ebrei yemeniti hanno manifestato oggi a Sanaa in appoggio al presidente Ali Abdallah Saleh, il cui ritiro è chiesto invece da un vasto movimento di proteste. "I membri della comunità ebraica nello Yemen sostengono il presidente Saleh e la legittimità costituzionale", era scritto su uno striscione. La folla scandiva: "Il popolo vuole Ali Abdallah Saleh". I dimostranti hanno poi consegnato all'ambasciata Usa una lettera in cui si chiede che Saleh resti sino a fine mandato nel 2013.
Israele, Capital Market Conference: iscrizioni ancora aperte
A due settimane dall'inizio dell'annuale Finance and Capital Market Conference - uno dei principali eventi del settore in Israele - le iscrizioni sono ancora aperte. La conferenza (18 maggio, Tel Aviv) si concentrerà sull'economia globale e sui suoi effetti sui mercati in generale e su quello israeliano in particolare.
Gli argomenti in agenda vanno dalle sfide che nei prossimi anni si presenteranno alle banche e alle assicurazioni, all'analisi degli anni precedenti la crisi del 2007-8 («I campanelli d'allarme: dov'erano? Sono stati ignorati?»), fino alla crisi del credito e alle opportunità che i mercati offrono oggi. Il programma e l'elenco degli oratori anche quest'anno sono di primo livello. L'élite del mondo degli affari israeliano sarà presente, come anche diversi rappresentanti istituzionali. Mentre tra i partecipanti internazionali figurano Alan Greenspan, ex capo della Fed, Jack Welch, per vent'anni direttore e amministratore delegato di General Electric, Richard Quest, superstar del giornalismo economico-finanziario, Samuel Zell, direttore di Equity Group Investments, e molti accademici di gran fama, come i professori Nouriel Roubini (NY University) e Steve Ross (MIT).
Bin Laden: a Gaza una manifestazione in suo ricordo
GAZA, 3 mag. - Una manifestazione di commemorazione di Osama Bin Laden, il leader di al-Qaeda ucciso dagli Usa in Pakistan, si e' svolta nella Striscia di Gaza. Un gruppo di alcune decine di persone si sono riunite di fronte all'Universita' Gaza City, esibendo immagini di Bin Laden e striscioni con slogan in suo sostegno e contro la sua uccisione.
La manifestazione arriva dopo che ieri Hamas, la fazione che amministra la Striscia di Gaza, ha condannato l'operazione americana che ha portato all'uccisione del leader di al-Qaeda, definito dal gruppo come ''combattente musulmano e arabo''.
Hamas piange Bin Laden. Si sono già dimenticati di Arrigoni?
di Anna Momigliano
Ismail Haniyeh denuncia l'uccisione di Bin Laden
Bin Laden è morto e Hamas è in lutto: il padre di al-Qaida era un "santo guerriero arabo" e la sua uccisione rappresenta "una continuazione della politica americana basata sull'oppressione e lo spargimento di sangue musulmano", ha detto Ismail Haniyeh, il capo di Hamas nella Striscia di Gaza. Lacrime da coccodrillo. Già, perché fino a pochi giorni fa Hamas aveva dichiarato guerra aperta ad Al-Qaeda, o meglio a quella galassia di gruppi salafiti che si ispiravano più o meno direttamente all'ideologia di Bin Laden.
Due parole: Vittorio Arrigoni. Non stiamo parlando di storia antica, stiamo parlando dell'attivista italiano barbaramente ucciso da gruppi che si definivano "salafiti" (il termine non sarebbe esattissimo, ma diciamo che in questo contesto significa "vicino ad Al-Qaeda") attivi nella Striscia di Gaza. Ebbene, qualcuno ricorderà che Hamas (il quale di fatto governa a Gaza da quando ha preso il potere nel 2007), non ha preso affatto bene l'assassinio del giovane italiano. Tanto che la milizia palestinese ha vendicato la morte di Arrigoni con un blitz armato, in cui sarebbero rimasti uccisi due terroristi salafiti.
Hamas e Al-Qaeda non sono mai andati d'accordo, anche se si tratta in entrambi i casi di gruppi terroristici che si ispirano a una lettura iper-radicale dell'Islam. Tanto per cominciare , si tratta di una banale lotta per il potere: la Striscia di Gaza è piccola, e non c'è spazio per tutti e due. Poi esistono anche delle divergenze ideologiche. Hamas si inserisce nel cosiddetto Islam politico, crede nell'instaurazione di uno Stato islamico attraverso la politica, anche se non disdegna l'utilizzo del terrorismo. I salafiti invece vogliono ritornare all'Islam delle radici, al califfato, e per loro elezioni, governi e parlamenti fanno solo parte della decadenza occidentale.
E allora perché Ismail Haniyeh, il capo di Hamas a Gaza, si straccia le vesti per la morte di Osama Bin Laden? Come si diceva, sono lacrime da coccodrillo. Dettate da motivazioni politiche. Hamas sta attraversando un periodo estremamente delicato: ha recentemente siglato un accordo per formare un governo di unità nazionale con il Fatah, partito di Abu Mazen, considerato dai settori più estremisti della popolazione palestinese come "venduto" a Israele e all'Occidente. Contemporaneamente, sempre sul versante della popolazione più estremista, Hamas se la deve vedere con la concorrenza di altri gruppi, come la Jihad islamica e, appunto, le cellule vicine ad al-Qaida.
Che cosa ne consegue? Che per evitare di essere bollati pure loro come "venduti all'Occidente" a causa del loro accordo con Abu Mazen, i dirigenti di Hamas devono fare di tutto per "recuperare punti" davanti alle frange più intransigenti della popolazione palestinese. Una bella orazione funebre di Bin Laden è quello che faceva al caso loro. E costava pure poca fatica.
Accordo Fatah-Hamas, verso le elezioni entro un anno
Stasera faccia a faccia Abu Mazen-Meshaal; domani firma ufficiale
IL CAIRO, 3 mag. - Le fazioni palestinesi riunite al Cairo hanno firmato un accordo di riconciliazione che prepara la strada a nuove elezioni nei Territori entro un anno. I rappresentanti di 13 gruppi palestinesi, fra cui i grandi rivali Fatah (al governo in Cisgiordania) e Hamas (che controlla la Striscia di Gaza), oltre ad alcuni politici palestinesi indipendenti hanno firmato l'intesa al termine di intensi colloqui con i mediatori egiziani.
L'accordo prevede la formazione di un governo tecnico per preparare elezioni presidenziali e politiche che si terranno contemporaneamente entro un anno. I contenuti dell'intesa erano stati annunciati il 27 aprile al Cairo, dopo un anno e mezzo di trattative fallite fra al Fatah e Hamas. Questo passo è stato criticato con forza da Israele, che vi legge un rafforzamento di Hamas, ancora considerata un'organizzazione terroristica dallo Stato ebraico.
Oltre a Fatah e Hamas, hanno ratificato l'accordo tutti i protagonisti della politica palestinese: fra gli altri, la Jihad islamica; il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp, sinistra); il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (Fdlp, sinistra); e il Partito del Popolo Palestinese (Ppp, ex comunisti). "Abbiamo firmato l'accordo nonostante diverse riserve. La nostra priorità è solo l'interesse nazionale" ha commentato Walid al-Awad del Partito del popolo in un'intervista alla tv egiziana. "I palestinesi a Gaza e in Cisgiordania - ha aggiunto - festeggeranno questo accordo. Ora dobbiamo metterci al lavoro per metterlo in pratica".
In serata è previsto un faccia a faccia fra il presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas), leader di Fatah, e il capo del movimento di resistenza islamico Hamas, Khaled Meshaal: hanno già raggiunto entrambi la capitale egiziana, anche se non hanno siglato l'accordo di persona. Domani le delegazioni parteciperanno alla cerimonia della firma ufficiale al Cairo in presenza del segretario generale della Lega Araba Amr Moussa, del ministro degli Esteri egiziano Nabil al-Arabi e del capo dei servizi di intelligence egiziani, il generale Murad Muafi.
Questa evoluzione non è vista di buon occhio dagli israeliani. "L'accordo fra Hamas, che invita alla distruzione dello Stato di Israele, e Fatah deve preoccupare tutti gli israeliani, ma anche tutti coloro che aspirano alla pace fra noi e i nostri vicini palestinesi" ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Netanyahu, che sarà nei prossimi giorni a Londra e Parigi, intende usare l'intesa interpalestinese come strumento per dissuadere la comunità internazionale dal riconoscimento di uno Stato palestinese senza un accordo preventivo con Israele.
Da parte di Fatah ci si è limitati ad assicurare che il governo di transizione sarà incaricato dell'amministrazione di Cisgiordania e Gaza, in modo che Abu Mazen e l'Olp continuino a seguire il dossier dei negoziati di pace che si trovano in una fase di stallo. "Il ruolo del governo si limiterà alle questioni amministrative che riguardano la vita quotidiana dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania" ha dichiarato dal Cairo Azzam al-Ahmad, capo della delegazione di Fatah. "Tutte le questioni politiche - ha detto ancora - compresi i negoziati del processo di pace, resteranno di responsabilità dell'Olp", l'Organizzazione per la liberazione della Palestina.
L'accordo interpalestinese prevede d'altronde la creazione di un Alto consiglio di sicurezza, in vista della futura integrazione delle forze di sicurezza dei diversi movimenti in un'unica forza di "professionisti", e di una commissione elettorale, oltre alla liberazione dei prigionieri politici di Fatah e di Hamas. Dopo la firma ufficiale, le due parti avvieranno i colloqui per la rapida formazione di un governo tecnico di transizione che sostituisca i governi guidati da Salam Fayyad per l'Anp e Ismail Haniyeh per Hamas. L'accordo può essere letto come un primo successo diplomatico per l'Egitto post-Mubarak.
Missione Netanyahu in Europa: no ad accordo Fatah-Hamas
GERUSALEMME, 3 mag. - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in visita a Londra e Parigi questa settimana, tenterà di convincere i suoi interlocutori a non riconoscere lo Stato palestinese, senza un'intesa preventiva con Israele. Netanyahu sostiene che l'accordo di riconciliazione raggiunto tra il movimento Fatah del presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen e il movimento islamico Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, costituisce una minaccia per la pace: "L'accordo tra Hamas, che vuola la distruzione dello Stato d'Israele, e Fatah deve preoccupare tutti gli Israeliani, ma anche coloro che vogliono la pace tra noi e i nostri vicini palestinesi", ha detto Netanyahu. "Questo è il messaggio che trasmetterò nelle capitali del mondo, e specialmente ai leader europei, nel corso delle mie visite a Londra ew Parigi questa settimana", ha aggiunto il premier conservatore. L'obiettivo del capo del governo israeliano si rivela comunque arduo: il capo della diplomazia britannica, William Hague, ha espresso al Cairo la sua soddisfazione "in via di principio" sull'accordo di riconciliazione. La Francia, dal canto suo, non ha escluso a priori di lavorare "con un governo di unità, impegnato sulla via della non violenza e di un accordo di pace".
I dubbi di Debka File: parabola satellite e computer nella villa di Bin Laden
Il sito di informazione di Gerusalemme: la residenza di Bin Laden era facilmente penetrabile dall'intelligence. La domanda: "Come faceva Islamabad a non sapere che si nascondeva lì?"
ROMA - "Le foto della villa fortificata di Abbotabad dove Osama bin Laden è morto nella notte di domenica 2 maggio, mostrano una parabola satellitare, così come i cavi e fili che si snodano lungo le pareti esterne ed interne.
Ci sono inoltre computer rotti che appaiono nelle riprese degli ambienti interni".
Debka File, il sito d'informazione di Gerusalemme che fornisce informazioni e analisi su fatti terroristici, strategie militari e mosse politiche nel Medio Oriente, fa notare che, diversamente da quanto affermato da molti media, il rifugio di Bin Laden era dotato di collegamenti con l'esterno, di computer e di parabola satellitare.
Il sito fa notare che questa tecnologia avrebbe reso "penetrabile l'edificio ad attività di intelligence". Bin Laden, inoltre, fa notare il sito, aveva bisogno di assistenza per una malattia renale che lo affliggeva da tempo e quindi doveva per forza avere contatti con l'esterno dal punto di vista medico.
L'articolo di Debka File mette quindi in dubbio la versione statunitense in base alla quale sarebbe stato necessario seguire la pista dei corrieri per arrivare al nascondiglio del terrorista più ricercato del mondo. E sottolinea che Bin Laden viveva in un grande grande edificio di tre piani che svettava nella cittadina pachistana di Abbottabad, 120 chilometri da Islamabad.
Il sito si chiede anche come mai l'intelligence pakistana non ha mai indagato sul covo di Bin Laden "un edificio costruito nel 2005, a soli 100 metri da una accademia militare in un piccolo paese che ospita una base militare e le residenze dei generali".
"Pertanto -scrive Debka File - le ripetute dichiarazioni da parte dei funzionari degli Stati Uniti che operazioni speciali dei Navy Seals "hanno avuto luogo senza l'aiuto dei pakistani", suonano come un tentativo di assolvere Islamabad dal coinvolgimento nell'omicidio del terrorista agli occhi del mondo musulmano".
L'israeliano The Slut selezionato per la Semaine de la Critique. E' il quarto progetto del Torino Film Lab a sbarcare quest'anno sulla Croisette
Dopo il successo di Le quattro volte di Michelangelo Frammartino alla Quinzaine lo scorso anno, il TorinoFilmLab torna al Festival di Cannes con il film israeliano The Slut di Hagar Ben Asher, selezionato dalla Semaine de la Critique. Il film ha vinto nel 2009 un Production Award di 100.000 € che ha permesso al film di entrare in produzione nella primavera del 2010.La regista, che è anche la protagonista del film, sceglie di raccontare la storia di Tamar, giovane madre single che intrattiene diverse relazioni con gli uomini del suo villaggio. Ma l'arrivo di Shai e la storia d'amore che nasce potrebbe cambiare l'attitudine della donna.Il film si aggiunge ai tre progetti "Torino Film Lab" selezionati qualche settimana fa per partecipare all'Atelier della Cinéfondation di Cannes: Il sud è niente di Fabio Mollo, Wolf del rumeno Bogdan Mustata, Mr Kaplan dell'uruguaiano Alvaro Brechner.Nato nel 2008, Il Torino Film Lab - laboratorio internazionale collegato al Torino Film Festival - ha attivato in tre anni quattro programmi di formazione e sviluppo, e sei dei quindici progetti finora sostenuti con i Production Awards hanno goduto poi della premiere internazionale ai festival di Cannes, Berlino e Rotterdam.
Riportiamo per intero questo articolo del Jerusalem Post tradotto da israele.net perché merita di essere letto con attenzione. La comunità internazionale sta superando, uno dopo laltro, una serie di limiti di decenza morale. Ormai quando si tratta di Israele è vano aspettarsi che sia mantenuta una qualsiasi forma di coerenza etica: i nemici di Israele possono dire e fare tutto e il contrario di tutto, e la voce di chi lo fa notare con argomenti logici si perde nel vuoto.
Dov'è lo sdegno?
da un articolo di David Horovitz
È da quando, mercoledì scorso, Fatah e Hamas hanno annunciato la loro "riconciliazione", che aspetto di sentire il coro dello sdegno internazionale. Ho aspettato di sentire la condanna globale dell'Autorità Palestinese e del suo presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per aver scelto di legare il loro destino a un'organizzazione ideologicamente votata a cancellare dalla carta geografica l'unico stato ebraico esistente al mondo. Sessantaquattro anni dopo che la famiglia delle nazioni - con sei milioni di morti di ritardo - aveva finalmente interiorizzato l'imperativo di far rivivere una sovranità del popolo ebraico nella sua terra storica, ho aspettato che quelle stesse nazioni insorgessero con ira concorde per questa nuova, esplicita legittimazione di un movimento armato consacrato a depredare gli ebrei.
Ho aspettato che perlomeno i più responsabili degli stati membri delle Nazioni Unite facessero a pezzi la ridicola affermazione secondo cui i palestinesi, dopo essersi legati ai banditi che quattro anni hanno preso il controllo della striscia di Gaza uccidendo palestinesi a centinaia, ora godono di una dirigenza unitaria capace di governare una nuova Palestina secondo le norme della sovranità. Una dirigenza unificata che persegue l'indipendenza, ma che incorpora al proprio interno un soggetto il cui obiettivo dichiarato è scalzare lo stato sovrano vicino.
Ma ho aspettato invano. Che sia illusa, ottusa o semplicemente affetta dal buon vecchio anti-ebraismo, fatto sta che gran parte della comunità internazionale ignora l'ordine di "uccidere gli ebrei" che sta alla base la Carta di Hamas. Dicendosi convinta che Hamas potrebbe in qualche modo trasformarsi in un'entità rispettosa di Israele, la comunità internazionale preferisce non tener conto all'implacabile insistenza con cui gli stessi capi di Hamas dichiarano che per loro non riconoscere Israele è un imperativo religioso, e che pertanto non lo riconosceranno mai. E perlomeno una parte della comunità internazionale addossa al governo israeliano degli ultimi due anni la colpa di non aver lasciato ad Abu Mazen - così dicono - altra scelta che quella di tirare a bordo Hamas, come se il non essere riusciti a trovare un possibile compromesso di pace, di chiunque sia la colpa, legittimasse il suo ricorso a un alleanza con gli stragisti islamisti. E ostinatamente si preferisce ignorare la comprovata, sanguinosa propensione di Hamas ad approfittare di ogni occasione costruttiva per perseguire in modo sprezzante i suoi spietati obiettivi: prima sfruttare i ritiri israeliani dalle città di Cisgiordania per costruirvi un esercito di attentatori suicidi; poi, impadronirsi con la violenza della striscia di Gaza non appena "liberata" da tutti gli ebrei, civili e militari, per farne una base terroristica da cui continuare ad attaccare Israele.
Hamas, ha osservato giovedì il capo dello staff della Casa Bianca William Daley, "è un'organizzazione terroristica che mira a colpire i civili". Già, proprio così. E dunque una comunità internazionale con un mimino di moralità (per lo meno quella che si rallegra per l'eliminazione di Osama bin Laden) dovrebbe cercare di toglierle ogni legittimità, dovrebbe fare tutto il possibile per impedirle di rafforzasi, mettendo bene in chiaro che non c'è posto per gente del genere nei rapporti internazionali. Invece Daley, in quella stessa dichiarazione, ha affermato che "gli Stati Uniti appoggiano la riconciliazione palestinese a patto che serva a promuovere la causa della pace". Ma che razza di doppiezza è mai questa? Come potrebbero mai "promuovere la causa della pace" l'intesa Fatah-Hamas quando una delle due proclama apertamente ad ogni occasione di perseguire esattamente il contrario?
Le conseguenze di quelli che in passato sono stati errori di valutazione, abbagli, cecità intenzionale, condiscendenza e mancanza di moralità sono sotto gli occhi di tutti in questi giorni in cui in Israele si celebra la Giornata della Shoà e si ricordano tutti gli innocenti che persero la vita anche a causa di una comunità internazionale che non seppe vedere né agire con sufficiente prontezza. Hamas nel 2011 non può ancora disporre delle armi necessarie per conseguire il suo obiettivo genocida verso lo stato ebraico. Ma è finanziata, addestrata e armata da un paese, l'Iran, che sta alacremente sviluppando gli strumenti per cercare di spazzarci via. E la sua partnership con il volto presumibilmente moderato della dirigenza palestinese costituisce un passo avanti potenzialmente cruciale per le sue ambizioni.
Abu Mazen accoglie, nella sua dirigenza internazionalmente osannata, un'organizzazione verso la quale non dovrebbe esistere alcuna tolleranza internazionale. Se la cosa verrà ufficializzata, tutti i componenti di questo quadro di governo palestinese - un'alleanza che comprende quelle che lo stesso Abu Mazen, dopo il golpe nella striscia di Gaza, ebbe a definire "le forze delle tenebre" - dovrebbero essere messi fuori dalla cerchia della famiglia delle nazioni.
Israele è alla ricerca di un possibile compromesso per separarsi dai palestinesi, un compromesso in base al quale i palestinesi possano conseguire la loro indipendenza senza minacciare la nostra. Abu Mazen si appresta a voltare le spalle a questa via. La comunità internazionale, anziché compiacerlo, dovrebbe premere perché ci ripensi. Ma i principali attori internazionali hanno optato per l'ipocrisia, davanti alla capitolazione di Abu Mazen nelle braccia degli estremisti islamisti. Quel che invece bisognerebbe far arrivare è una netta riprovazione morale, e un messaggio inequivocabile: questa coalizione coi terroristi non verrà tollerata.
L'uomo che otto mesi fa Benjamin Netanyahu chiamava "il mio interlocutore per la pace" sta per sottoscrivere formalmente questo mostruoso amalgama. Ho aspettato finora la condanna internazionale. Non è ancora troppo tardi.
Israele- Palestina: un Centro di Arbitrato nel 2012
Imprenditori israeliani e palestinesi si sono riuniti per discutere del lancio del Jerusalem Arbitration Center, previsto per il 2012. I membri della Camera di Commercio palestinese hanno infatti firmato un memorandum d'intesa per creare il primo Centro Arbitrale del Paese, per risolvere le controversie attraverso la mediazione internazionale, senza dover ricorrere necessariamente ai tribunali. L'Istituto giudiziario, che sarà monitorato dalla Corte Internazionale di Arbitrato della Camera di Commercio, entrerà in funzione nei primi di Febbraio 2012. "Ovviamente -è stato sottolineato da Masri - la pace economica non sottintende la pace politica". L'idea fu concepita per la prima volta nel 2009, sebbene la Palestina non sia diventata membro della Camera Internazionale di Commercio fsolo nel 2010. La stima dei movimenti economici tra imprese israeliane e palestinese ammonta attualmente a 20 miliardi di NIS.
"L'uscita di scena di Osama Bin Laden rappresenta una vittoria della giustizia, della libertà e dei valori comuni ai Paesi democratici che hanno combattuto spalla a spalla contro il terrorismo". Questo il commento del premier israeliano Benyamin Netanyahu alla notizia, annunciata alla nazione dal presidente statunitense Barack Obama, dell'uccisione del leader di Al Qaeda, stanato insieme ad alcuni fedelissimi nei pressi di Islamabad durante una operazione congiunta condotta da forze speciali statunitensi e pachistane. Mentre molti americani manifestavano soddisfazione per la morte dello stratega delle stragi dell'11 settembre molti leader politici israeliani hanno espresso una propria valutazione-
Laconiche le parole del presidente Shimon Peres: "Bin Laden era uno dei maggiori malfattori della storia e meritava la forca". Peres ha poi esaltato l'importanza strategica di questa operazione nella lotta globale al terrorismo. "Si tratta di un successo significativo per le forze di sicurezza degli Stati Uniti - la sua analisi - e di una grande affermazione per il presidente Obama e per tutto il mondo libero".
Reazioni sono arrivate anche dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, dal ministro della Difesa Ehud Barak e dal leader dell'opposizione Tzipi Livni. Lieberman ha lodato la fermezza degli Stati Uniti: "Non hanno mai mollato la presa e continuato con perseveranza la caccia agli uomini più pericolosi del pianeta". Il ministro, che ha raccontato di essere stato informato dell'uccisione di Bin Laden mezz'ora prima dell'annuncio ufficiale di Obama, ha espresso alla radio militare israeliana un parere sulle ricadute che tale circostanza avrà sul futuro di Al Qaeda. "È ancora presto per fare una valutazione visto che Al Qaeda ha una struttura ramificata in tutto il mondo ma ci sarà senza dubbio una ricaduta".
Per Barak la notizia della morte di Bin Laden è una conferma della bontà della lotta al terrorismo intrapresa su scala mondiale. "Questa operazione fruttuosa - dice Barak - dimostra ancora una volta che la guerra al terrore comune a tutte le democrazie del mondo sarà decisa attraverso uno sforzo continuativo che è ancora lontano dall'essere concluso". Esprime soddisfazione anche Tzipi Livni, leader del partito Kadima.
"Israele - afferma Livni - è protagonista nella guerra al terrore insieme a tutto il mondo libero. Combattiamo con forza per difendere il valore della libertà e per questo non possiamo che elogiare gli Stati Uniti per lo straordinario risultato ottenuto". Il portavoce dell'Autorità nazionale palestinese Ghassan Khatib ha infine affermato: "La morte di Bin Laden rappresenta un fatto importante per il processo di pace in Medio Oriente e per tutto il mondo. Ora bisogna avere la meglio sui metodi violenti che lo stesso Bin Laden ha insegnato agli altri".
Bin Laden ha fatto un miracolo: l'Autorità nazionale palestinese ha preso le distanze dalle dichiarazioni di Hamas sul terrorista saudita. In breve il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, dopo aver condannato l'azione statunitense che ha portato alla morte di Bin Laden ha definito lo sceicco saudita come "un guerriero arabo santo". Quanto segue vuole essere una breve nota per tutta quella sinistra e quell'estrema destra che definisce "resistenti" i terroristi di Hamas.
Chi è Hamas? Hamas è un'organizzazione democraticamente eletta dal popolo palestinese per governare la striscia di Gaza (anche Hitler è stato eletto "democraticamente"). Un'organizzazione artefice di numerosi attentati terroristici contro civili inermi che dichiara nel suo statuto di voler distruggere lo Stato di Israele. Un'organizzazione che oggi ha definito "guerriero santo" Bin Laden. Un'organizzazione considerata dalla sinistra nostrana e dall'estrema destra come "movimento di resistenza". Un'organizzazione, e questo dispiace ricordarlo ma è doveroso farlo, definita dallo stesso Vittorio Arrigoni come un movimento di resistenza. Hamas dunque si contraddice: prima condanna i salafiti, probabilmente legati ad Al Qaeda, che hanno ammazzato Arrigoni e poi definisce il leader degli stessi un eroe. Ma si sa: a chi considera la vita umana come uno strumento utilizzabile per i propri fini poco importa di contraddirsi. La "causa" viene prima di tutto.
A Israele si chiedono, giustamente, tutti gli sforzi possibili e immaginabili per una soluzione con due popoli e due Stati. Ci si rende però conto che quando Israele mette in pole position il tema della sicurezza lo fa perché ha dei vicini che vedono in Osama Bin Laden "un guerriero santo"? Quale nazione occidentale accetterebbe di stipulare patti con chi vede nel movimento responsabile dell'11 settembre, e di altri violenti attentati, un punto "santo" di riferimento? A parole tutte, nei fatti nessuna. E allora ad oggi se davvero si vuole lavorare seriamente per una pace possibile tra israeliani e palestinesi non si può prescindere da questa prerogativa: al terrorismo si dice no, punto. Non ci sono trattative nè contro i missili sparati sulle città israeliane nè sulla sopravvivenza dello Stato di Israele. Anche perché in questa situazione, sembrerà parodassole, la parte debole è quella israeliana.
E' indubbio che gli israeliani siano più forti sul piano militare, ma come si fa a combattere un nemico ideologico (il terrorismo) se nel mondo c'è chi tutto sommato ne giustifica le azioni? E se non si agisce di conseguenza più che nuocere alla causa israeliana, che per difendersi ha sviluppato le migliori tecnologie militari al mondo, si nuoce alla causa palestinese. Quegli Stati che a un'azione politica sensata preferiscono discorsi utopici sulla "Palestina libera" non solo non contribuiscono alla "causa" ma ne intaccano il valore. La utopizzano rendendola irrealizzabile. Tutto il resto, purtroppo, sono solo chiacchere e distintivo.
Siete pronti ad abbandonare tastiera e mouse e ad interagire con il vostro pc solo con la mente? Grazie al primo computer "hands-free", letteralmente: senza mani, presto questo potrebbe essere possibile e si potrebbero andare in questo modo ad abbattere ulteriori barriere di comunicazione, garantendo anche a chi non ha l'uso degli altri, maggiore autonomia.
DA DOVE ARRIVA? - Il dispositivo è stato messo a punto da un gruppo di studenti di ingegneria del software della Ben-Gurion University di Beer-Sheva of the Negev, in Israele. L'idea non è nuova, come dimostra per esempio la cuffia Emotiv EPOC (cuffia che legge le onde cerebrali), e rappresenta l'ultima frontiera dell'interazione uomo-macchiana. Quello però che gli studenti israeliani sono riusciti a fare in più rispetto ai prototipi precedenti è stato ridurre le dimensioni dei dispositivi necessari all'attuazione di questa tecnologia; così da poter pensare per la prima volta di "trasportarla fuori dal laboratorio".
COME FUNZIONA - Il dispositivo si basa su di una tecnologia detta BGU che dispone di un casco dotato di quattordici punti di misurazione dell'elettroencefalografia in grado di rilevare l'attività cerebrale e di trasmettere la volontà dell'utilizzatore direttamente al computer.
LA DIMOSTRAZIONE - L'esperimento condotto nei laboratori di ingegneria dell'università di Ben-Gurion dal gruppo di studenti ideatori (Ori Ossmy, Ofir Tam e Ariel Rozen) sotto la supervisione di un team di professori (Mark Last,Rami Puzis, Yuval Lovitz e Lior Rokah) ha visto come protagonista questo prototipo di casco dotato di quattoridici connettori EGG per l'elettroencefalografia e ha mostrato come uno studente sia riuscito a scrivere e inviare un'e-mail senza mani ma solo con l'uso del pensiero.
In Israele solenni cerimonie per giornata della Shoah
Al suono delle sirene la vita in tutto il territorio di Israele si è fermata per due minuti di raccoglimento in memoria dei sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti durante la Shoah.
Al carattere solenne della ricorrenza - che ieri è stata ricordata al Museo dell'Olocausto Yad va-Shem di Gerusalemme e oggi in tutti gli istituti scolastici del Paese - si è aggiunta nel frattempo la notizia della uccisione del leader di al-Qaida Osama Bin Laden. Una coincidenza che alcuni leader locali hanno trovato «altamente simbolica». Israele celebra la Giornata della Shoah otto giorni prima della Giornata dell'Indipendenza sulla base del calendario lunare ebraico.
Ieri, in un discorso alla Nazione da Yad va-Shem il Premier Benyamin Netanyahu ha rilevato che una delle lezioni che il popolo ebraico deve trarre dall'Olocausto è quella di non minimizzare mai l'importanza delle proclamazioni dei suoi nemici quando dicono di volere lo sterminio degli ebrei.
«L'Iran si dota di armi nucleari appunto a questo fine, e finora il mondo non l'ha fermato. La minaccia alla nostra esistenza non è teorica. La minaccia - ha detto ancora Netanyahu - si erge di fronte a noi e di fronte a tutta la umanità. È un dovere fermarla.»
Anche il Capo dello stato Shimon Peres ha fatto appello alle Nazioni del mondo affinché arrestino la minaccia nucleare iraniana. Poi, rivolto agli israeliani, ha aggiunto: «Noi, il popolo ebraico, siamo stati vittime di razzismo, persecuzioni e discriminazioni, ma non abbiamo mai dimenticato l'obbligo di rispettare ogni persona perchè, secondo la nostra tradizione, tutti sono stati creati a somiglianza di Dio».
La missione dello Stato di Israele è duplice: «Difendere fisicamente il popolo ebraico e difendere la nostra tradizione. Ogni cittadino di Israele sa - ha esclamato Peres - che Israele è e sarà il Paese più anti-razzista al mondo».
In Israele vivono circa 200'000 sopravvissuti alla Shoah. In questi giorni i mass media dedicano grande attenzione alle loro vicissitudini durante l'Olocausto. Il Museo Yad va-Shem, da parte sua, è impegnato nella catalogazione di oggetti in loro possesso che racchiudono un particolare significato storico, per evitare che vadano perduti con la morte di questi superstiti.
Oggi intanto si celebrano a Gerusalemme i funerali del giudice Moshe Landau, colui il quale 50 anni fa diresse lo storico processo contro Adolf Eichmann conclusosi con la condanna a morte del gerarca nazista. Landau è spirato ieri, all'età di 99 anni.
Da un sito pro-Hamas
L'Olp annuncia un comitato congiunto Hamas-Fatah per commemorare la Nakba
GAZA - Zakaria al-Agha, membro del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e presidente del Dipartimento per gli Affari dei Rifugiati, ha reso nota la formazione di un comitato congiunto - Hamas e Fatah - per commemorare il 63o anniversario della Nakba, la tragedia che colpì i palestinesi nel 1948 (la creazione di Israele, ndr).
Si tratta dunque di una novità, in quanto da cinque anni, cioè a seguito della separazione interna tra le due fazioni, non erano state organizzate commemorazioni comuni.
Durante un incontro con i giornalisti a Gaza City, al-Agha ha dichiarato che l'evento vede la luce a seguito della recente riconciliazione tra Fatah e Hamas, che culminerà con l'accordo definitivo che verrà siglato mercoledì al Cairo e che lancerà al mondo un messaggio: "Il popolo palestinese è unito e non rinuncia al Diritto al Ritorno e agli altri principi nazionali".
Egli ha chiesto a tutta la società palestinese, e alle fazioni, di "sostenere coloro che lottano per la riconciliazione e per il suo successo, e gli attuali sforzi per porre fine alla divisione".
Agha ha poi annunciato l'avvio delle celebrazioni congiunte per la ricorrenza del 63o anniversario della Nakba, invitando tutti i palestinesi a prendervi parte, e a ribadire il diritto a far ritorno nelle case da cui sono stati espulsi con la forza nel 1948 da parte delle bande sioniste.
Bin Laden, palestinesi divisi: l'Anp plaude, Hamas critica gli Usa
La riconciliazione fra le fazioni laica e islamica è in programma mercoledì al Cairo
ROMA, 2 mag - Alla vigilia della riconciliazione, le fazioni palestinesi si dividono sulla figura di Osama bin Laden. Per il governo dell'Autorità nazionale palestinese guidata dal capo di Fatah, Mahmoud Abbas, la morte del capo di al-Qaeda è, riferisce l'agenzia palestinese Ma'an, "un passo verso la pace nel mondo". Di parere opposto il massimo esponente di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, che ha condannato l'uccisione di Bin Laden come un segnale "dell'oppressione Usa".
La stessa agenzia aggiunge che 41 delegati di Hamas hanno lasciato oggi la Striscia in direzione del Cairo tramite il valico di Rafah. Nella capitale egiziana "dovranno firmare una serie di documenti sull'unificazione del governo palestinese". L'accordo di riconciliazione fra la principale fazione moderata e il gruppo islamico dovrebbe dare vita a un governo indipendente che guidi i territori palestinesi verso nuove elezioni presidenziali e legislative. Lunedì pomeriggio, si legge ancora, i rappresentanti di Hamas si uniranno ad Abbas e al leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, che ha raggiunto il Cairo pochi giorni fa. L'accordo di riconciliazione dovrebbe essere siglato mercoledì nella sede della Lega araba.
Israele ha sospeso il trasferimento delle imposte ai Palestinesi
Israele ha sospeso i trasferimenti delle imposte ai Palestinesi questo è quanto ha riferito domenica il ministro delle finanze, poiché Israele teme che i soldi vengano utilizzati per finanziare Hamas dopo che il Presidente Mahmud Abbas ha stretto un'alleanza con gli islamisti.
L'Autorità Palestinese sostenuta dal filo americano Abbas, ha chiesto ai poteri stranieri di fermare Israele dal blocco dei trasferimenti, che compongono il 70 per cento dei propri redditi. Il ministro delle finanze israeliano Yuval Steinitz ha confermato di aver sospeso la consegna sistematica di 300 milioni di shekel ($88 milioni) e altre imposte che Israele raccoglie per conto dei Palestinesi nell'ambito degli accordi transitori di pace. Israele la settimana scorsa aveva minacciato sanzioni in risposta all'annuncio a sorpresa di Abbas di aver stipulato un accordo con Hamas che prevede per la fine di quest'anno la costituzione di un governo ad interim e le elezioni. Il Primo Ministro palestinese Salam Fayyad ha detto che l'Autorità Palestinese è "in contatto con tutte le forze influenti internazionali per fermare Israele dall'attuare queste misure". L'agenzia giornalistica Maan, riporta la dichiarazione del Ministro palestinese dell'economia Hassan Abu Libdeh il quale avrebbe confermato che l'Autorità Palestinese, qualora fossero bloccati i trasferimenti non sarebbe in grado di fare fronte ai suoi impegni, compreso il pagamento degli stipendi.
Lockheed Martin ha ricevuto un Undefinitized Contract Action dal Governo degli Stati Uniti nell'ambito del Foreign Military Sale Program, per la consegna di un ulteriore C-130J destinato all'aeronautica militare israeliana. Il primo C-130J richiesto da Israele nell'aprile 2010 verrà consegnato nella primavera del 2013. I successivi due velivoli saranno consegnati rispettivamente alla fine del 2013 e alla fine del 2014. Il contratto comprende, inoltre, la fornitura di un equipaggiamento aggiuntivo necessario per andare incontro alle esigenze operative israeliane.
La variante del C-130J Super Hercules destinata all'aviazione israeliana è nella versione a fusoliera più lunga, anche detta "stretched".
Jim Grant, Lockheed Martin Vice President of Business Development for Air Mobility, ha affermato: "Stiamo fornendo ad Israele uno dei più flessibili e capaci aerei del mondo, in considerazione dell'espansione della flotta da trasporto del paese. Le caratteristiche multi-ruolo e multi-missione del C-130J, già provate sul campo, si adattano perfettamente alle particolari esigenze dall'aeronautica militare israeliana".
I velivoli destinati ad Israele vengono modificati durante la fase di produzione attraverso l'integrazione di parti istallate ad hoc, come il sistema Enhanced Service Live posizionato al centro dell'ala, l'inserimento di due Global Positioning Systems e del sistema di rifornimento Universal Aerial Refuelling Receptacle Slipway.
Rusconi, tra culto e canti d'opera alla scoperta d'Israele
Gli amanti dell'opera e della cultura potranno assistere a una rappresentazione dell'Aida e scoprire le meraviglie di Israele grazie ad un viaggio proposto Rusconi Viaggi in programma dal 31 maggio al 7 giugno. La partenza dall'Italia è prevista il 31 maggio con arrivo a Tel Aviv. La mattina seguente partenza per la città di Cesarea Marittima, quindi tappa ad Akko e arrivo a Tiberiade. Il giorno successivo visita dei luoghi più significativi della predicazione di Gesù: il Monte delle Beatitudini, Tabgha e Cafarnao. Proseguimento per Nazareth e visita della Chiesa dell'Annunciazione. Il 3 giugno si riparte per giungere a Beit Shean, si prosegue per il Mar Morto. Visita di Masada e arrivo in serata a Gerusalemme. La giornata successiva visita della città e proseguimento per Betlemme. Il 5 giugno è a disposizione dei viaggiatori per relax, shopping e visite individuali. Alle 17 trasferimento dall'hotel di Gerusalemme al Mar Morto per la cena in ristorante. Alle 21 inizia la rappresentazione dell'Aida a Masada. La mattinata seguente visita di Gerusalemme e proseguimento verso il Monte Sion. Giornata successiva libera con trasferimento in aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.
Le quote partono da 1.920 euro a persona (+100 euro per le tasse aeroportuali) e comprendono: voli di linea MeridianaFly da Malpensa in classe turistica, trasferimenti, visite ed escursioni come da programma in pullman Deluxe, guida locale parlante italiano, ingressi ai siti previsti nel programma, biglietto per l'Aida, sistemazione in camera doppia con servizi, trattamento di mezza pensione in albergo, assicurazione medico/bagaglio e annullamento viaggio.
Shoah: giornata del Ricordo; dimezzati atti antisemiti nel mondo
TEL AVIV, 1 mag - Si sono quasi dimezzate le aggressioni d'impronta antisemita denunciate nel mondo nell'ultimo anno. A registrarlo sono i dati, confortanti, di un rapporto fresco di stampa del Centro studi sull'antisemitismo dell'Universita' di Tel Aviv resi noti oggi, secondo tradizione, alla vigilia della giornata che Israele - in una data diversa rispetto al resto del mondo - dedica al ricordo della Shoah e dei sei milioni di ebrei vittime dello sterminio nazista. Stando al rapporto, gli attacchi antisemiti di natura violenta contro persone o istituzioni registrati nell'ultimo anno nel pianeta sono stati in totale 614: ancora troppi, ma in netto calo (il 46% in meno) rispetto ai 1.129 dei sei mesi precedenti. I paesi piu' toccati restano tutti occidentali: nell'ordine Gran Bretagna, Francia e Canada. La ricerca denuncia peraltro come preoccupante la tendenza alla diffusione di testi antisemiti attraverso internet. Inaugurando le commemorazioni della Giornata israeliana del Ricordo, il premier Benyamin Netanyahu e' tornato oggi ad additare come nuova forma di antisemitismo quello che ha definito ''l'odio'' manifestato in diverse parti del globo nei confronti dello Stato d'Israele e della sua politica.
FERRARA - Da sabato 7 a lunedì 9 maggio si terrà a Ferrara nel Chiostro di S. Paolo la seconda edizione della "Festa del libro ebraico" promossa dal Meis (Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah) che, per l'occasione, organizzerà convegni, mostre, proposte culturali e musicali nonché visite guidate ai monumenti della presenza ebraica a Ferrara.
Questa seconda edizione della "festa" inizierà con la prima notte bianca ebraica d'Italia intitolata "E fu sera... e fu mattina...". Una delegazione di Edipi (Evangelici d'Italia per Israele), accompagnata dal pastore Ivan Basana, sarà presente per contattare dei distributori per la nuova pubblicazione di Eli Hertz "Questa terra è la mia terra", che uscirà a giugno nella "Collana Edipi". L'obiettivo è quello di individuare, oltre a quello evangelico, degli altri canali commerciali per garantire la massima diffusione di un documento che analizza il "Mandato per la Palestina" sotto gli aspetti legali della costituzione di Israele secondo il diritto internazionale.
Aveva 99 anni. Fu presidente della Corte che emise la condanna a morte
GERUSALEMME, 1 mag - E' morto oggi a Gerusalemme, a 99 anni, il giudice Moshe Landau.
Fu presidente del tribunale che nel 1961 processo' e condanno a morte Adolf Eichmann, esecutore dei piani nazisti di sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Nato a Danzica, Landau emigro' in Palestina nel 1937.
Partecipo' a importanti commissioni d'inchiesta, come quella del giudice Agranat formata nel 1974 per investigare sulla guerra del Kippur, dell'ottobre 1973, che colse di sorpresa Israele.
Oggi la giornata della Shoah, Netanyahu denuncia odio verso Israele
"Le lezioni non sono state imparate", si rammarica premier
GERUSALEMME, 1 mag. - Il primo ministro israeliano ha denunciato "l'odio" nei confronti di Israele attraverso il mondo, mentre gli israeliani hanno iniziato a commemorare questa sera il giorno della Shoah, nel ricordo dei sei milioni di ebrei vittime del genocidio nazista durante la seconda guerra mondiale.
"Le lezioni della Shoah non sono state imparate. L'odio verso gli ebrei grava sempre sul mondo. L'antisemitismo si rinnova e si amplifica, e l'odio per gli ebrei riguarda ormai il loro Stato e il loro diritto all'esistenza", ha affermato Benjamin Netanyahu prima della seduta settimanale del suo governo.
Le commemorazioni della giornata della Shoah sono iniziate alle 20 (le 19 italiane) con una cerimonia all'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme, dedicato allo studio e alla memoria della Shoah, in presenza del presidente Shimon Peres e dei numerosi dignitari e rappresentanti del corpo diplomatico. In occasione della cerimonia, Netanyahu ha attaccato l'Iran. "Alcuni negano la Shoah come l'Iran e i suoi satelliti Hezbollah (libanese) e Hamas (palestinese) che invitano apertamente alla distruzione dello stato ebraico. L'Iran si dota dell'arma nucleare per raggiungere questo obiettivo e, finora, il mondo non lo ha fermato", ha aggiunto il primo ministro. "Se noi non abbiamo la forza di difenderci, il mondo non sarà al nostro fianco", ha ancora sottolineato Netanyahu.
In Israele ci sono 204.000 superstiti della Shoah, in maggior parte sull'ottantina. Circa 12.800 di loro sono morti lo scorso anno, secondo i dati del Brookdale Institute pubblicati oggi dai mass media israeliani.
Hamas al Cairo per laccordo di riconciliazione interpalestinese
Meshaal già arrivato al Cairo, martedì sarà la volta di Abu Mazen
IL CAIRO, 1 mag. - Il leader del movimento integralista islamico Hamas, Khaled Meshaal, è arrivato al Cairo per le cerimonie legate all'accordo di riconciliazione con al Fatah del presidente palestinese Abu Mazen, annunciato mercoledì. Lo ha indicato l'agenzia di stampa ufficiale egiziana Mena.
Meshaal deve partecipare martedì alla firma dell'accordo con tutte le fazioni palestinesi, prima di assistere mercoledì a una cerimonia con Abu Mazen per celebrare la fine delle divisioni.
Abu Mazen è atteso martedì al Cairo, hanno indicato fonti palestinesi nella capitale egiziana. Un protocollo dell'accordo è stato già siglato il 27 aprile al Cairo da Azzam al Ahmad, un alto responsabile di al Fatah, e Mussa Abu Marzuk, numero due dell'ufficio politico di Hamas. Oltre ad Hamas e al Fatah, la Jihad islamica, il Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp, sinistra), il Fronte democratico di liberazione della Palestina (Fdlp, sinistra) e il partito del popolo palestinese (ex comunista) sono stati invitati a firmare martedì l'accordo del Cairo.
Sarà il primo incontro faccia a faccia tra Abu Mazen che guida la Cisgiordania e il suo rivale Khaled Meshaal, il capo di Hamas stabilito a Damasco da quando il movimento islamista ha assunto il potere nella striscia di Gaza nel giugno 2007. Dopo più di un anno e mezzo di negoziati sterili, Hamas e Fatah si sono messi d'accordo mercoledì al Cairo per formare un governo composto da personalità indipendenti, in vista di elezioni presidenziali e parlamentari entro un anno. L'accordo di riconciliazione, applaudito dai palestinesi, è stato duramente criticato dai dirigenti israeliani, che considerano Hamas un'organizzazione terroristica.
GERUSALEMME, 1 mag. - Israele ha annunciato la sospensione di un trasferimento di fondi all'Autorità nazionale palestinese (Anp) a seguito dell'annuncio di un accordo di riconciliazione tra il movimento al Fatah del presidente Abu Mazen e il movimento islamista Hamas. Il ministro israeliano delle finanze, Youval Steinitz, ha annunciato a questo scopo il rinvio di una riunione prevista oggi e dedicata al trasferimento di imposte dovute all'Autorità nazionale palestinese (Anp) e prelevate da Israele.
Durante questa riunione, gli esperti dei due campi dovevano ratificare il trasferimento all'Anp di una tranche di 300 milioni di shekel (59,6 milioni di euro), secondo il quotidiano Yediot Aharonot. I responsabili palestinesi "devono dimostrare che questi fondi non alimenteranno una cassa comune nel governo che vogliono formare con Hamas", ha informato Steinitz.
"Queste minacce non ci dissuaderanno dal fare tutto il possibile per completare il processo di riconciliazione e di unità nazionale", ha replicato il primo ministro palestinese, Salam Fayyad, citato dall'agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa. "Siamo in contatto con la comunità internazionale e le parti coinvolte per scoraggiare Israele ad assumere tali misure", ha aggiunto, "Questi fondi spettano alla popolazione palestinese. Israele li raccoglie prelevando una commissione del 3 per cento", ha ricordato il ministro dell'Economia palestinese, Hassan Abu Libdeh, chiarendo che i fondi erano trasferiti il 4 di ogni mese. Qualsiasi ritardo nel trasferimento rappresenta "un danno ai diritti dei palestinesi e una grave violazione degli accordi attuali, di cui Israele porta l'intera responsabilità", ha sottolineato, criticando "l'ingerenza di Israele negli affari interni palestinesi". Da parte sua, Hamas ha parlato di "un atto di pirateria sionista" a cui ha promesso di rispondere "con una volontà ancor più grande di riconciliazione".
Appello Egitto a Usa: riconoscete lo stato palestinese
Ministro degli Esteri ha incontrato parlamentare americano
IL CAIRO, 1 mag. - Il ministro degli Esteri egiziano Nabil al-Arabi ha invitato gli Stati Uniti a riconoscere uno stato palestinese, dopo l'accordo di riconciliazione tra il movimento al Fatah del presidente Abu Mazen e i fondamentalisti islamici di Hamas.
Arabi ha chiesto al parlamentare americano Steve Chabot, in visita in Egitto, di "sollecitare il Congresso e l'amministrazione americana a riconoscere uno stato palestinese", secondo dichiarazioni riportate dall'agenzia di stampa ufficiale Mena. Tale riconoscimento "sarebbe conforme a precedenti dichiarazioni dell'amministrazione americana a favore di una pace basata su due stati", Israele e uno stato palestinese, ha aggiunto.
Il capo della diplomazia egiziana ha inoltre auspicato un sostegno americano per una "conferenza internazionale sulla pace in Medio Oriente". Fatah e Hamas, che controlla la striscia di Gaza, hanno concluso mercoledì scorso nella capitale egiziana un accordo per formare un governo composto da personalità indipendenti, in vista di elezioni entro un anno. Questo accordo inter-palestinese si verifica in un contesto di blocco degli sforzi americani di rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi. Washington, che ritiene Hamas un'organizzazione terroristica, fa aleggiare la minaccia di riesaminare la politica di aiuto all'Anp (Autorità nazionale palestinese) se dovesse nascere un governo espressione dalla riconciliazione Fatah/Hamas.