Notizie 1-15 novembre 2021
Oltremare – Tende
di Daniela Fubini
In Israele ci sono due momenti che portano a costruire strutture temporanee in giardino o in cortile, o se necessario nel parcheggio del condominio, previo consenso dei condomini. Il primo è la festa di Sukkot, in occasione della quale notoriamente si costruiscono capanne fatte di tre muri spesso di stoffa e un tetto di frasche, per poter vedere il cielo e lasciare che la pioggia piova dentro, quelle rare volte che piove già in una stagione qui ancora quasi estiva. Mi è sempre piaciuto molto quel sentirsi esposti, ma anche protetti, e il fatto che alla fine la Sukkah la si usa soprattutto per mangiare, quindi ci si dimentica quasi subito che in fondo è una casa da “Via dei matti numero zero”, senza tetto e senza molte altre cose utili.
L’altra occasione in cui si esce dalle mura di casa ma si resta nelle immediate vicinanze è invece molto meno festosa ed è solo una soluzione pratica per un problema logistico: quando c’è un lutto e secondo la tradizione la famiglia attraversa la shivà, cioè i sette giorni di lutto stretto, stando in casa e ricevendo visite, spesso invece di occupare il salotto di casa si mette su una tensostruttura, cosa che permette alla famiglia di ospitare più visitatori ma di non avere il salotto sotto assedio per sette giorni.
Non ho indagato i risvolti halakhici della questione, ma mentre scrivo mi viene il dubbio che tecnicamente l’idea della shivà abbia proprio a che fare con l’avere la casa piena di persone in un momento altrimenti pieno di vuoti, ma si sa che una delle meraviglie d’Israele è proprio che gli usi religiosi vengono spesso interpretati in modi nuovi e inattesi. Per dire, a Pesach ci si mette scarponi e zaino in spalla e si va a percorrere lo “shvil Israel”, il sentiero che permette di vedere tutto il paese da nord a sud – e questa non è proprio una delle cose richieste nella Haggadah insieme al mangiar erbe amare ma in qualche modo ha perfettamente senso. Resta il fatto che quando si sta seduti nella Sukkah si vede il cielo, e quando invece si sta seduti nella tenda allestita da una famiglia in lutto, ugualmente piena di biscottini e torte e piatti di frutta, e bibite, no. Sarà un caso.
(moked, 15 novembre 2021)
Miss Universo in Israele, Sudafrica chiede a sua candidata di boicottare l'evento
Miss Sudafrica, Lalela Mswane, si accontenti del titolo conquistato. E rinunci, boicottando l’evento, a partecipare a Miss Universo, che quest’anno si svolge il 12 dicembre a Elat. Questo l’appello che il governo del Sudafrica ha rivolto alla ”sua più bella”, incoraggiata a non concorrere in Israele ”per le sue atrocità commesse ai danni dei palestinesi”. Un invito rivolto a Lalela anche dal partito di governo del Sudafrica, l’African National Congress, che ha invitato gli organizzatori del concorso sudafricano a scoraggiare Mswane dal partecipare in Israele, che per la prima volta ospita l’evento.
“Si è rivelato difficile convincere gli organizzatori del concorso di Miss Sudafrica a riconsiderare la loro decisione di partecipare all’evento Miss Universo”, ha dichiarato il ministero delle Arti e della cultura del Sudafrica in una nota. Un concorso di bellezza ”non è un evento politico”, hanno risposto gli organizzatori del concorso in Sudafrica alle pressioni del governo. ”Sappiamo tutti che il boicottaggio non sarà il modo in cui faremo la differenza, non credo che non partecipare e non andare in quel Paese, facendo sentire la propria voce, sia davvero la cosa giusta”, ha detto Stephanie Weil, Ceo del concorso Miss Sudafrica, citata da Eye Witness News.
Convinte della loro partecipazione all’evento che si svolge in Israele sono la Miss degli Emirati Arabi Uniti e quella del Marocco, che per la prima volta da decenni parteciperanno al concorso. I due Paesi hanno firmato accordi per la normalizzazione dei rapporti con Israele durante l’Amministrazione Trump.
(Adnkronos, 15 novembre 2021)
Manovre navali tra Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti
Sono in via di conclusione le manovre navali che per cinque giorni hanno impegnato nelle acque del Mar Rosso le unità della Marine di Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti.
Le manovre sono state svolte insieme all’US Navy che ha coordinato le esercitazioni previste tramite NAVCENT, il Comando centrale delle forze navali statunitensi.
NAVCENT ha afermato che fattori comuni condivisi dalle quattro Marine sono la libertà di navigazione ed il libero flusso delle merci, elementi essenziali per la stabilità e la sicurezza della regione.
Le manovre includono l’addestramento in mare con tattiche di ricerca ed abbordaggio, impiegando la nave da assalto anfibio LPD 27 USS Portland.
L’attività è volta a migliorare l’interoperabilità tra le squadre di interdizione marittima delle forze partecipanti.
La Marina Israeliana ha partecipato successivamente con la INS Hanit, una corvetta classe Sa’ar 5, ad una PASSEX (passing exercise) con la USS Portland.
La Marina Statunitense è presente nel Mar Rosso, Mar Arabico e Golfo Persico con la Quinta Flotta alla quale sono aggregate unità provenienti dagli Stati Uniti o da altre Flotte, a seconda delle necessità.
Per le Marine di Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti è la prima esercitazione navale congiunta, dall’avvenuta stesura e firma degli “Accordi di Abramo” con cui sono state risolte le controversie in atto tra Tel Aviv e buona parte del mondo arabo.
Insieme agli Stati Uniti, questi Paesi hanno interesse a contrastare l’Iran, acerrimo nemico dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati , nonché nemico di Israele.
Da diverso tempo è in corso una guerra non troppo celata che vede protagoniste unità mercantili e petroliere colpite da mine, esplosioni ed attacchi di droni “kamikaze” mai rivendicati.
Teatro dello scontro il Mar Arabico ed il Mar Rosso con epicentro il Golfo di Aden; nel corso di questi attacchi mirati sono state colpite navi civili iraniane, israeliane e di altri Paesi del Golfo Persico, alimentando le tensioni e le minacce di possibili scontri armati nella regione.
(Area Osservatorio Difesa, 15 novembre 2021)
Polonia: corteo antisemita a Kalisz, tre persone arrestate
VARSAVIA - La polizia ha arrestato tre persone in relazione al corteo antisemita tenutosi a Kalisz, in Polonia centroccidentale, giovedì scorso, in occasione della giornata dell’indipendenza del Paese. Lo ha reso noto attraverso il suo profilo Twitter il ministro dell’Interno, Mariusz Kaminski. “Non c’è assenso nei confronti dell’antisemitismo e dell’odio a sfondo nazionale, etnico o religioso. Contro gli organizzatori di questo vergognoso evento a Kalisz lo Stato polacco deve mostrare la propria forza e risolutezza”, ha scritto il ministro. Giovedì 11 novembre i partecipanti al corteo hanno intonato slogan antisemiti e si sono diretti nella piazza principale, dove hanno dato alle fiamme una copia dello statuto cittadino del 1264, che garantiva alla popolazione ebraica tolleranza per decisione del duca di Grande Polonia, Boleslao il Pio. Lo statuto garantiva agli ebrei il diritto di ricorrere a magistrati ebraici e a magistrati specifici nelle cause che coinvolgevano ebrei e cristiani. Assicurava inoltre la libertà personale e la sicurezza degli ebrei, oltre alla libertà religiosa, di circolazione e di commercio.
(Agenzia Nova, 15 novembre 2021)
“Revolution In Warfare” – Israele Presenta Il Nuovo Sistema Di Guerra Elettronica Scorpius
Israele ha capito che il campo di battaglia moderno non può essere combattuto solo in aria, in mare e nello spazio. Per prepararsi meglio a nuove aree di guerra, Israele ha sviluppato un’arma rivoluzionaria per la guerra elettromagnetica.
Israel Aerospace Industries (IAI), il principale produttore israeliano di prodotti aerospaziali, ha sviluppato la famiglia di sistemi Scorpius che scansionano una sfera dell’ambiente operativo alla ricerca di obiettivi ed emettono un raggio strettamente focalizzato per interrompere molteplici minacce attraverso lo spettro elettromagnetico. L’arma ad alta tecnologia è classificata come “protezione morbida” perché non provoca alcun danno fisico. Al contrario, interrompe il funzionamento di sistemi elettromagnetici come radar, sensori elettronici, navigazione e comunicazione dati.
Gideon Fustick, Marketing VP EW Group presso IAI, ha dichiarato a Forbes: “Noi li chiamiamo [die Scorpius-Systemfamilie] “Protezione morbida”. È un’arma offensiva che non spara missili. Non è un sistema hard-kill, “aggiungendo che” è molto efficace quando si tratta di attaccare e abbattere i sistemi nemici”.
Fustick descrive che la nuova arma ha un enorme vantaggio rispetto alle armi elettromagnetiche convenzionali, in quanto può emettere raggi mirati senza disturbare bersagli indesiderati. Ha chiamato questa una “rivoluzione in guerra”.
“Il nemico sta cercando di utilizzare il dominio elettromagnetico per tutte queste attività”, ha detto. “Cerchiamo anche di usarlo. E ognuno di noi sta cercando di impedire all’altra parte di utilizzare il dominio elettromagnetico. ”Aerei, droni, missili e altre armi da guerra usano sensori magnetici elettromagnetici per navigare e comunicare, negando al nemico l’accesso al dominio elettromagnetico. Questo può compromettere seriamente la loro capacità di fare la guerra.
“È il primo sistema in grado di tracciare davvero tutto nel cielo e attaccare più bersagli in direzioni diverse e su frequenze diverse allo stesso tempo”, ha aggiunto Fustick, sottolineando che le precedenti tecnologie di guerra elettronica non erano in grado di colpire più bersagli in combattimento contemporaneamente.
Fustick ha affermato che lo Scorpius era già stato esportato a “diversi clienti importanti” mentre la corsa per la supremazia nella guerra elettromagnetica si intensificava.
(Green Pass News, 15 novembre 2021)
Perché Israele ha ragione a voler sciogliere le Ong che finanziano il terrorismo
di Ugo Volli
Da molto tempo Israele ha molti motivi di contrasto politico con l’Unione Europea, ma di recente le stesse cause lo dividono anche dagli Stati Uniti di Biden. In termini generali, il problema deriva da una visione opposta dei problemi politici del Medio Oriente: Israele, come i paesi sunniti del Golfo e l’Egitto, subisce la pressione militare e la sovversione terroristica dell’Iran, percepisce la possibilità imminente di una suo armamento militare come un pericolo mortale, ritiene che la priorità politica assoluta debba essere la repressione delle minacce iraniane. L’Europa e (di nuovo, come ai tempi di Obama) gli Usa vogliono trattare con l’Iran, non sono particolarmente spaventati per la prospettiva che esso ottenga l’atomica, sono disposti a riconoscergli un’egemonia regionale ai danni di Israele e dei paesi arabi. All’inverso Europa e Usa vedono come particolarmente urgente il problema palestinese, vogliono evitare che Israele consolidi il suo controllo di Giudea, Samaria e perfino di Gerusalemme, cercando di rafforzare la corrotta e decadente Autorità Palestinese e magari di proteggere anche Hamas. Israele, con l’accordo sostanziale dei paesi arabi vicini, pensa invece che la strada della pace non passi oggi per l’Autorità Palestinese, ma per gli accordi di Abramo.
Vi sono poi i problemi specifici, per esempio la volontà americana di riaprire a Gerusalemme (non a Ramallah) la sua rappresentanza diplomatica per l’autorità Palestinese: un modo indiretto per rimangiarsi in sostanza la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. C’è poi l’eterno problema della necessità che le cittadine e i villaggi di Giudea e Samaria hanno di costruire nuovi appartamenti per la popolazione in crescita: Usa ed Europa vogliono impedirlo e aiutare invece a costruire case per i sudditi dell’Autorità Palestinese anche nella zona C, che gli accordi di Oslo riservano all’esclusivo controllo ebraico.
Ma il caso più clamoroso delle ultime settimane riguarda sette organizzazioni non governative palestiniste (Ong) che sono state dichiarate terroriste e bloccate dal ministero della difesa israeliano - pur notoriamente poco propenso all’estremismo e che con la sua amministrazione di Giudea e Samaria (COGAT) si sforza soprattutto di garantire i diritti e il benessere dei residenti arabi, sulla base di un ragionamento pragmatico, anche se certamente discutibile: una popolazione soddisfatta e ben considerata è meno tentata ad adottare comportamenti violenti. Il provvedimento è inoltre stato firmato da un politico che ha certamente poche simpatie per il nazionalismo come Benny Gantz, ministro della difesa. Ma ne sono nate grandi polemiche. Gli Usa hanno protestato di non essere stati informati preventivamente, come se Israele avesse bisogno del loro consenso per difendersi dai terroristi. I paesi europei e la loro Unione, che finanziano massicciamente tutta la galassia palestinista e anche queste Ong, ha sostenuto che il provvedimento israeliano era ingiustificato.
Tutto ciò la dice lunga sul rispetto che oggi gli occidentali hanno per la sovranità israeliana: figuriamoci se ci fosse qualche paese straniero che volesse mettere il becco nelle scelte italiane di sciogliere o meno Forza Nuova o le Brigate Rosse. Il diritto internazionale permette a ogni stato di combattere il terrorismo e chi lo assiste; inoltre Israele come l’Italia è una democrazia e ha una magistratura indipendente che può annullare i provvedimenti del governo che non hanno basi giuridiche o fattuali.
Ma c’è di più: è chiarissimo che le sette Ong hanno legami organizzativi e personali fortissimi con il “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina” (FPLP), fondato da Ahmed Jibril e George Habash, che ha firmato centinaia di azioni terroristiche, dirottamenti, omicidi, attentati suicidi, già dichiarata organizzazione terroristica dagli Usa, dall'Unione europea e dal Canada. Il loro gruppo dirigente è formato quasi interamente da uomini del FPLP, per cui servono come canale di finanziamento (https://fathomjournal.org/palestinian-ngo-terror-links-assessing-the-implications-of-israels-designations/). Per esempio, Shawan Jabarin, direttore generale di una di queste Ong, “Al-Haq”, è stato condannato nel 1985 per aver reclutato e organizzato corsi di formazione per i membri del FPLP; Khalida Jarrar, ex vicepresidente di un’altra, “Addameer”, è stata condannata a due anni di carcere nel marzo 2021 per appartenenza al FPLP; Ubai Abudi, direttore esecutivo di una terza, il “Centro Bisan”, è stato condannato a 12 mesi di carcere nel 2020 per appartenenza al FPLP.
Solo l’altro giorno, Juana Ruiz Rashmawi, attivista spagnola di una quarta di queste Ong, “Health Work Committees”, ha ammesso in tribunale che i soldi che raccoglieva con pretesti sanitari, andavano a finanziare le operazioni del FPLP (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/316683): tutte cose che l’UE dovrebbe conoscere, dato che finanzia queste organizzazioni, e che sono state documentate nei dettagli agli Usa. E allora perché le proteste? Perché lo stesso ministro della difesa di Israele è stato costretto a difendere di persona una decisione ovvia come tagliare i canali di rifornimento ai terroristi? Vi è una ragione specifica e una più generale: la prima è il tentativo dell’Unione Europea di nascondere la propria complicità col terrorismo, che contrasta con le sue stesse norme. La seconda è un pregiudizio, purtroppo fondato nella burocrazia americana come in quella europea: che i palestinesi sono vittime di Israele e dunque hanno il diritto di difendersi in tutti i modi, anche violenti; e che, secondo la morale “woke” oggi dominante fra i democratici, in ogni conflitto fra Israele e l’Autorità Palestinese non conta chi ha ragione e chi ha torto, ma bisogna stare sempre “dalla parte degli oppressi e delle vittime”.
(Shalom, 15 novembre 2021)
La terra di Israele è sempre stata degli ebrei
di Indro Montanelli
“Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c’è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d’Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta.
Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l’odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell’altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso.”
La terra di Israele è sempre stata la terra degli ebrei. Se leggiamo le descrizioni di Gerusalemme fatta nel 1800 da Marx e Mark Twain, leggiamo di “una città povera e miserabile abitata nella parte Est, interamente, da ebrei poveri e miserabili che erano sempre vissuti lì, da tremila anni”. Gli arabi erano sì in leggera maggioranza numerica ma in gran parte erano nomadi senza terra, l’unica vera comunità stanziale era quella ebraica che abitava le stesse case da migliaia di anni.
(Notiziecristiane.com., 13 novembre 2021)
Dror Eydar, ambasciatore d’Israele in Italia: “Israele non è il problema numero uno in Medio Oriente, ma la soluzione in molti settori”
di Marina Pupella
Era il 13 agosto 2020 quando alla Casa Bianca, un esultante Donald Trump proclamava la formalizzazione delle relazioni diplomatiche attraverso gli Accordi di Abramo fra Israele e gli Emirati Arabi. Di lì a poco si aggiunsero pure il Bahrein, il Marocco, all’inizio del 2021 anche il Sudan e a breve si aggiungerà un nuovo Paese. Ma nel quadro geopolitico mediorientale, che vira verso un nuovo ordine, la persistente divisione dei due blocchi – quello dell’asse sciita a guida iraniana con la Siria di Bashar al-Assad, le forze pro-Iran in Iraq, Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen e quello dell’asse sunnita a guida saudita – rischiano di minare quel percorso già avviato fra Paesi che hanno interessi comuni in tema di sicurezza, cooperazione e sviluppo. In mezzo, il ruolo della Turchia nella regione: convinta paladina della causa palestinese da un lato, respinge il piano di pace a meno che non venga accettato da Ramallah, e dall’altro non disdegna la cooperazione con Gerusalemme in diversi campi. Di accordi di normalizzazione delle relazioni con Israele, di equilibri in Medio Oriente, di rapporti fra Roma e Gerusalemme, non trascurando le risoluzioni Onu contro lo Stato ebraico abbiamo parlato con l’ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar.
– Il 24 settembre scorso a Erbil nel Kurdistan iracheno, 312 fra leader sunniti e sciiti si sono incontrati, chiedendo a Baghdad di aderire agli Accordi di Abramo. L’iniziativa non è piaciuta all’autorità centrale, che ha reagito con ordini di arresto contro i partecipanti. Crede ci siano ancora margini per una normalizzazione dei rapporti fra Israele e Iraq?
Da collega a collega, la sua è una domanda originale. I curdi sono un popolo molto interessante, che il mondo non tiene nella giusta considerazione, se facciamo un paragone con gli enormi sforzi messi in campo per il conflitto israelo-palestinese. È uno fra i popoli più antichi al mondo, con una lingua e una tradizione lontane nei tempi e malgrado questo non abbiamo ancora assistito in sede Onu, in Unione europea e anche qui in Italia a confronti sui diritti di questa gente. Vorrei che i vostri lettori riflettessero su questo tema: perché tutto il mondo si occupa di Israele e Palestina senza avere la capacità di arrivare ad una soluzione, mentre nessuno parla della questione curda? Una risposta possibile è illustrata in un manifesto che ho visto nel 2014, quando il Daesh ha massacrato il popolo yazida, violentando le donne e uccidendo gli uomini che si rifiutavano di convertirsi all’Islam. Dov’era il mondo in quel momento? Quell’insegna, che mi ha molto colpito, recitava in inglese “the problem of the Yazidian people is that their enemy is not Jewish” (il problema del popolo yazida è che i loro nemici non sono gli ebrei). Questo è antisemitismo. Quanto a Baghdad, noi siamo aperti ad estendere gli accordi siglati a Washington anche a loro, perché non è un interesse esclusivo d’Israele. Gli accordi rompono un vecchio paradigma, che era dominante e non permetteva un avanzamento nella normalizzazione delle relazioni con i Paesi arabi, senza che prima venisse risolta la questione palestinese. E questo ha bloccato il Medio Oriente.
- Cosa lega Israele all’Iraq, esiste ancora una comunità ebraica nel Paese dopo la repressione di Saddam?
Baghdad storicamente ci ricorda l’antica Babilonia, dove 2600 anni fa viveva la più numerosa comunità ebraica al mondo e lì vi rimase nel corso dei secoli. Il Talmud babilonese, un testo fondamentale per la nostra cultura, fu scritto proprio in quella città. Gli ebrei hanno dato un forte contributo alla formazione dell’Iraq moderno in ogni campo: culturale, sociale, economico e anche giuridico e politico. Ma questo non li ha aiutati quando le gang volevano farli fuori, quando gli arabi iracheni si sono uniti ai nazisti. Alla fine, tutta la comunità è stata costretta a lasciare l’Iraq per trovare rifugio nel neonato Stato d’Israele. Gli ebrei iracheni hanno vissuto per dieci anni in tende e baracche nei campi profughi. Vorrei aggiungere che non sono solo i palestinesi a vivere questa condizione, perché anche gli esuli ebrei purtroppo hanno raggiunto cifre non indifferenti (recenti studi stimano che nel secolo scorso dai soli Paesi arabi e dall’Iran ne furono cacciati 850mila, di cui 135mila dall’Iraq, ndr). Fuggendo dal territorio iracheno hanno lasciato ingenti patrimoni, miliardi di dollari, oro e quant’altro e gli è stato confiscato tutto. I miei genitori, esuli dall’Iran, hanno vissuto per dieci anni nelle baracche in condizioni estreme. Malgrado ciò non si sono lamentati e hanno costruito una casa, se pur modesta, ma da lì hanno posto le fondamenta per cominciare una nuova vita. I palestinesi non hanno agito allo stesso modo e hanno usato i loro profughi per alimentare l’odio contro Israele. Il risultato è che abitano ancora nei campi profughi, mentre gli ebrei sono riusciti a risollevare le loro sorti. Il mondo parla dei profughi palestinesi, ma questi ultimi non possono pensare che siano i Paesi occidentali a risolvere ciò che è nelle loro responsabilità. Hanno rifiutato ogni proposta, anche la più generosa. Potevano fare tanti errori e non pagare per questo, hanno sostenuto Hitler, Saddam Hussein e i Fratelli musulmani. Sono uomini che hanno una dignità, un cervello: al momento delle rimostranze devono far seguire quello dell’impegno proattivo al cambiamento delle proprie vite.
- La Turchia, sostenitrice della causa palestinese tanto che Erdogan l’ha definita “la nostra linea rossa”, è critica del piano di pace, allineandosi a Teheran. Cosa risponde alle loro critiche?
La Turchia non ha sostenuto gli accordi, come gli iraniani e i palestinesi. Rappresenta uno Stato molto importante in Medio Oriente, con il quale abbiamo relazioni commerciali molto forti. Sappiamo cosa sta accadendo nel Vicino Oriente, che sta attraversando un cambiamento epocale, che non può essere ignorato. E la Turchia gioca un ruolo in questo processo. Altri Stati, invece, hanno capito la propaganda contro Israele, che non è il problema numero uno in Medio Oriente, ma la soluzione per la stabilità in tanti settori. A cominciare dalla sicurezza, specialmente alla luce del programma egemonico dell’Iran nella regione. Quindi, le monarchie arabe che per tanti anni hanno dato ai palestinesi privilegi diretti, hanno finito poi per cambiare la loro opinione sulla necessità di edificare rapporti normali con Gerusalemme. Io stesso ho avuto il piacere di ospitare l’amico Yussuf Balla, ambasciatore del Marocco in Italia, e ho pensato alle tante radici comuni, compresa quella della comunità di ebrei marocchini presenti a Rabat. Ho pensato, perché per 70 anni non hanno avuto rapporti con Israele?
- Anche il Sudan, che ora deve affrontare le conseguenze del colpo di Stato, ha firmato l’accordo lo scorso 6 gennaio
Sì, allora non potevamo pensare a quel che sta accadendo oggi. Vedremo quali saranno gli sviluppi, noi speriamo per il meglio. Se c’è un Paese che intende normalizzare i rapporti con noi, perché no? Noi siamo disponibili. La pace è un vantaggio per tutti. Anche per l’Iraq, saremo lieti di stabilire rapporti di pace e di commercio e sono certo che ci saranno tanti ebrei desiderosi di visitare Baghdad, alla ricerca delle loro radici, me compreso. Questa terra ha dato i natali al primo patriarca, Abramo, ed esistono rapporti storici, lunghi 3000 mila anni.
- Secondo lei, a parte la componente sciita non interessata a questi accordi, perché Baghadad si è rifiutata di incontrare Israele?
Ottima domanda, ma deve rivolgerla agli iracheni. Tante volte, specialmente l’élite della società araba di un paese, ha una posizione contraria ad intrattenere relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. L’Iraq può avere rapporti con l’Iran o con Israele, dipende da loro.
- La vedo dura… Parlando dei palestinesi, ha utilizzato il pronome “loro”. Non crede che questa espressione possa indurre molti a mettere Hamas, Autorità nazionale palestinese e profughi tutti nello stesso calderone?
In tanti non distinguono Hamas dall’Autorità nazionale palestinese (Anp). Sono due entità completamente differenti l’una dall’altra, il nome palestinese è in comune anche con gli ebrei che vivevano prima della formazione dello Stato d’Israele nel 1948. “Palestina” è il nome che l’imperatore Adriano diede alla Giudea nel II secolo dopo Cristo, dopo le rivolte degli ebrei contro l’Impero romano. Quanto ad Hamas, è un’organizzazione estremista che ha preso il controllo della Striscia di Gaza nel 2007, ha cacciato l’Autorità palestinese uccidendo decine di poliziotti della stessa Anp, instaurando un regime teocratico come in Iran, non lasciando alcun margine al rispetto delle libertà e dei diritti umani e civili. La invito a leggere lo statuto di Hamas, il manifesto ideologico e politico di questa organizzazione terroristica. Un documento molto importante, perché testimonia la cecità del mondo occidentale di fronte al fenomeno dell’islamismo radicale. Nel documento ci sono due principi centrali: il primo è la dedizione totale volta a distruggere lo Stato ebraico e il secondo incita ad uccidere gli ebrei ovunque si trovino. Da storico, vorrei dire che negli ultimi 100 anni, conosco solo un altro documento, quello scritto in tedesco. Questa è Hamas, che ha preso i suoi cittadini come ostaggi, usando i loro bambini come scudi umani, perché sanno che i soldati israeliani non sparerebbero su di loro. E nell’ultima operazione a Gaza, quella del maggio scorso, Hamas ha lanciato 4000 razzi su Israele e un quarto di questi è piombato sulla Striscia di Gaza, causando molte vittime fra la loro stessa gente. Abbiamo diverse prove video, che ho mostrato al Senato qui a Roma. L’Autorità palestinese è un’altra cosa, distinta da Hamas, ma anche lei ha rifiutato qualsiasi programma. Il nostro ministro degli Esteri, Yair Lapid, ha proposto un piano per la ricostruzione che possiamo definire con la formula “economia per la sicurezza”: proponiamo di ristrutturare la Striscia di Gaza con sistemi elettrici e idrici innovativi, distillatori d’acqua, miglioramento dei servizi sanitari e infrastrutturali. Proponiamo ai cittadini che vivono in quell’area una vita migliore e se Hamas rifiuta, gli abitanti della Striscia sapranno che i terroristi preferiscono uccidere gli ebrei piuttosto che cambiare la loro condizioni sociali.
- Chi finanzia Hamas?
L’Iran, che sostiene anche Hezbollah in Libano, Siria e gli sciiti in Iraq. Quando in una regione del Medio Oriente troviamo instabilità, scopriamo anche tracce di Teheran. Il Libano doveva essere un porto sicuro per i cristiani, adesso purtroppo abbiamo tutti gli Stati della mezzaluna sotto influenza sciita e iraniana: vedi l’Iraq, che era sunnita e la Siria, con una minoranza alawita e adesso sotto influenza iraniana sciita. In Libano, come in tutto il Levante, per la prima volta la comunità cristiana si trova nelle condizioni degli ebrei nel medioevo in Europa, perseguitati con metà della popolazione che è fuggita. L’unica comunità cristiana che prospera e vive in pace si trova in Israele, questa è l’amara ironia della storia.
- A che punto sono i negoziati fra Israele e Libano nella risoluzione della delicata questione delle Zone economiche esclusive?
Stiamo attenti al passaggio di armi dall’Iran a Hezbollah e alla Siria. Anche questo è un esempio di teatro dell’assurdo in Medio Oriente: Beirut oggi sta attraversando forse una delle peggiori crisi del paese. Non c’è benzina, elettricità, hanno l’opportunità di usare i campi di gas nel Mediterraneo orientale per aiutare i propri cittadini. Israele è disposta a raggiungere un compromesso per il bene della popolazione, ma a bloccare il tavolo dei negoziati è ancora Hezbollah, cioè l’Iran. Il Paese degli ayatollah non intende aiutare Beirut, ma vuole destabilizzare e controllare per circondare Israele.
- Gli Accordi di Abramo andranno avanti pure con Biden e anzi il segretario di stato Usa Anthony Blinken ha rilanciato, chiedendo ad altri Paesi di riconoscere Israele.
Questi accordi non dipendono dalla volontà di un singolo leader, ma sono il risultato di un lungo processo e gli Stati arabi moderati che vi hanno aderito, lo hanno fatto in virtù dei vantaggi derivanti dalla collaborazione con il nostro Paese, che si traducono in investimenti, turismo, energia, tecnologia, agricoltura. Gli americani hanno sponsorizzato gli Accordi, che proseguono e forse a breve si aggiungerà un altro Paese.
- Cosa ci dice dei rapporti con l’Italia?
Le relazioni fra i nostri Paesi sono profonde e in alcuni casi intime. Ci sono collaborazioni in diversi settori: intelligence, cyber security, acqua, hi-tech. In piena pandemia abbiamo portato una delegazione di medici dall’ospedale Sheba in Piemonte, per promuovere uno scambio di conoscenze e condividere la nostra esperienza nella lotta al Covid con gli amici italiani, cui siamo legati da un forte rapporto d’amicizia e mutuo sostegno. Il nostro augurio è che la solidità di questo legame possa manifestarsi anche nell’arena internazionale. Ogni anno al Palazzo di Vetro assistiamo a votazioni specifiche contro Israele. Le do alcuni dati: negli ultimi sei anni dal 2015, sono state accettate 5 Risoluzioni contro l’Iran, 6 contro la Corea del Nord, 8 sulla Siria, paesi governati da regimi. Nello stesso periodo sono state 112 quelle su Israele, una delle poche democrazie in Medio Oriente. Proprio a breve, il Quarto Comitato dell’Assemblea generale dell’Onu voterà per il rinnovo del mandato di alcuni organi onusiani, la cui unica ragione d’essere è quella di promuovere un’agenda anti-israeliana. Ci auguriamo che l’Italia voti contro queste risoluzioni, che consentono ai suddetti organi di continuare ad operare senza ostacoli all’interno del sistema delle Nazioni Unite. Inoltre, auspichiamo che l’Italia si esprima contro i riferimenti a Gerusalemme che, ignorando la connessione storica tra i luoghi sacri e la fede ebraica, omettono il nome ebraico di questi ultimi (“Monte del Tempio”), riportando soltanto quello islamica, (“al-Haram al-Sharif”). La mia speranza è che si opponga a queste risoluzioni, invertendo l’attuale tendenza.
- L’ultima decisione delle Nazioni Unite, riguarda l’istituzione di una commissione d’inchiesta volta a far luce sulle presunte violazioni dei diritti umani in Israele, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania prima e dopo il 13 aprile scorso. Cosa si aspetta adesso?
Quella risoluzione è stata la più dolorosa per noi. L’Italia si è astenuta e da parte nostra l’astensione significa trattare Israele e Hamas allo stesso modo e questo ci rammarica, perché il mio popolo ama l’Italia più di qualsiasi altra nazione in Europa.
- Desidera lanciare un appello al nostro governo?
Abbiamo parlato con loro, questo è un fatto che va chiarito fra famiglie, perché Italia e Israele sono come fratelli. La sicurezza del vostro Paese ci sta a cuore e se c’è un pericolo incombente, noi lo segnaliamo.
(Diggita, 15 novembre 2021)
Israele lancia “Scorpius”: nuova famiglia di sistemi difensivi da guerra elettronica
di David Di Segni
La Israel Aerospace Industries (IAI) ha presentato “Scorpius”, la famiglia dei nuovi sistemi da guerra elettronica (EW) in grado di combattere minacce come UAV, navi, missili e sistemi radar. Capace di scansionare l'intera area circostante alla ricerca di bersagli e di interrompere efficacemente il funzionamento dei sistemi elettromagnetici, il sistema ha una sensibilità del ricevitore e una potenza di trasmissione senza precedenti.
Come riporta il Jpost, la famiglia Scorpius è composta da cinque sistemi: G (terra), N (navale), SP (aria - autoprotezione), SJ (aria - dissuasore) e T (allenamento). Ognuno di questi ha una funzione specifica nel settore di riferimento. Quello da terra, ad esempio, viene utilizzato per rilevare ed interrompere le minacce terrestri ed aeree: è un sistema di difesa aerea "soft-kill" che crea una cupola elettronica di protezione sopra un'ampia area. Lo Scorpius N, invece, difende le navi da minacce avanzate, mentre quello SP è un pod di autoprotezione per aerei da combattimento.
"Il moderno campo di battaglia dipende dal dominio elettromagnetico per il rilevamento, le comunicazioni e la navigazione - ha detto Adi Dulberg, direttore generale della Divisione Intelligence della IAI - La nuova tecnologia, sviluppata dai talentuosi ingegneri della IAI, fornisce capacità rivoluzionarie al mondo per la difesa elettronica e la distruzione dei sistemi nemici".
(Shalom, 14 novembre 2021)
Iran - Cyber attacco contro Israele per umiliare gli Lgbtq
di Karimamoual
Anche nella moderna guerra cibernetica tra Israele e Iran, sembrano proprio i civili a dover pagare il prezzo più alto. Senza far scorrere una goccia di sangue, quel che è ormai lo strumento per eccellenza per colpire uno Stato nemico - il cyberattacco - si è diretto stavolta sui dati dei cittadini Lgbtq. L'ultimo colpo è stato sferrato nell'ultima settimana da un gruppo di hacker iraniani che si fa chiamare "Black Shadow": si è infiltrato nei server del sito di hosting on line Cyberserve, prima di diffondere dati da una piattaforma di incontri LGBTQ.
«Sessantanove anni, ben portati per la mia età», scrive un utente, pensando di essere al sicuro. E come questo tanti altri messaggi, alcuni anche più personali, quelli dei centinaia di iscritti a "Atraf', sono finiti sulla pubblica piazza digitale: nomi, numeri di telefono, password, orientamento sessuale, in qualche caso informazioni sanitarie riservate. I dati, da quello che riferiscono i giornali israeliani, sono stati rubati da un'entità sconosciuta che chiedeva un riscatto di un milione di dollari come prezzo da pagare perché non fossero divulgati. Dopo 48 ore dall'ultimatum degli hacker, in assenza di pagamento, hanno provveduto alla pubblicazione di una parte di questi dati.
Insomma, la guerra cibernetica tra Iran e Israele si fa sempre più infida e spietata. Era cominciata nel 2010 con l'attacco a un sito di arricchimento nucleare iraniano di Stuxnet, virus informatico prodotto da una collaborazione israelo-americana, che ha inaugurato un ciclo di attentati e contrattacchi tra i due Paesi. Ma, mentre gli apparati statali di sicurezza militare hanno perfezionato i loro sistemi di difesa nel corso degli anni, le popolazioni civili invece, si trovano sempre più scaraventate in prima linea, senza gli strumenti per difendersi.
Questi attacchi informatici cercano di inviare messaggi politici umiliando le popolazioni dei paesi nemici. Non tutti sono necessariamente collegati all'intelligence iraniana e israeliana. Alcuni potrebbero essere stati commessi da gruppi isolati, forse a volte contrari al proprio governo. Ma l'eccezione non invalida la regola: gli specialisti ritengono che gli hacker inviati dalle Guardie rivoluzionarie iraniane, dal Ministero dell'intelligence iraniano o dal Mossad israeliano abbiano effettivamente cercato in più occasioni di seminare discordia nell'altro campo, a volte rivendicandolo. Operazioni non sanguinose come quelle della guerra convenzionale, ma altrettanto devastanti.
(Specchio, 14 novembre 2021)
La manifestazione antisemita in Polonia al grido di «Morte agli ebrei»
Il governo israeliano: «Inorridito»
«Morte agli ebrei», ma anche «No a Polin (Polonia in ebraico, ndr), sì a Polska (Polonia in polacco, ndr)»”. Sono alcuni degli slogan che sono stati ripetuti a gran voce dai partecipanti alla manifestazione di estrema destra organizzata giovedì scorso, 11 novembre, in Polonia, dai forti accenti antisemiti. Un evento per il quale il ministro degli esteri Yair Lapid – figlio di un ebreo sopravvissuto alla Shoah – si è detto «inorridito». E ha chiesto alle autorità di Varsavia (che già hanno condannato l’episodio) di agire attivamente contro gli organizzatori. Per celebrare la Giornata nazionale dell’Indipendenza durante il raduno è stata data alle fiamme una copia dello “Statuto di Kalisz” con cui otto secoli fa fu regolarizzata la presenza ebraica in Polonia.
Episodi come questi, come spiega Haaretz, sono esacerbati dalle crescenti tensioni tra Israele, Polonia e la comunità ebraica polacca per l’approvazione di una legge del 2018 che limita la possibilità di richieste di restituzione per le proprietà rubate agli ebrei dai nazisti durante la seconda guerra mondiale e nazionalizzate dai comunisti del Dopoguerra. Una legge molto criticata da Israele, e che ha spinto entrambi i paesi a richiamare i rispettivi ambasciatori.
Il giornale ha poi raccontato che condanne per l’episodio sono giunte dai ministri polacchi degli esteri e degli interni. Yari Lapid, ministro degli Esteri israeliano, ha sollecitato il governo polacco ad agire «senza compromessi contro quanti hanno preso parte a questa sconvolgente manifestazione di odio».
(Open, 14 novembre 2021)
Una panoramica sull’antisemitismo, report della FRA
di Gianmarco Pisa
È stato pubblicato lo scorso 9 novembre l’importante report della Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali avente ad oggetto «Antisemitismo: panoramica degli incidenti di natura antisemita riportati nell’Unione Europea nel periodo 2010-2020» (Antisemitism: Overview of antisemitic incidents recorded in the European Union 2010-2020), messo a disposizione, online sul sito dell’Agenzia, per gli attori pubblici e, più complessivamente, l’opinione pubblica. Come viene indicato sin nella breve presentazione del documento, nella consapevolezza che «incidenti di natura antisemita e crimini di odio costituiscono violazione dei diritti fondamentali, in particolare il diritto alla dignità umana, il diritto alla parità di trattamento e, chiaramente, la libertà di coscienza, di pensiero e di religione», il rapporto interviene a fornire un «quadro generale dei dati disponibili sull’antisemitismo così come registrati da fonti ufficiali e non ufficiali negli Stati UE più Serbia, Albania e Macedonia del Nord». Tale panoramica lo rende interessante, non solo per l’aggiornamento che fornisce, ma anche per lo sguardo che getta in ottica europea complessiva, non limitata quindi al quadro UE. Sin nella premessa il documento illustra, infatti, alcuni risultati dell’indagine. In primo luogo, «l’ancora inadeguata registrazione dei casi di crimini di odio, compresi quelli di natura antisemita, insieme con la reticenza delle vittime a segnalare alle autorità tali casi, contribuisce ad una ampia sottostima della portata, della natura e delle caratteristiche dell’antisemitismo all’interno dell’Unione Europea» (p. 5). Né la situazione internazionale legata alla diffusione della pandemia da coronavirus ha mancato di determinare impatti sul fenomeno, se è vero che «nel corso della pandemia, la narrazione antisemita ha ripreso vigore, e nuovi miti antisemiti e teorie cospirative, che ad esempio incolpano gli ebrei per la diffusione della pandemia, sono venute emergendo» (p. 8). Il rafforzamento della cornice di diritto è, ovviamente, solo uno degli aspetti della questione: a tal proposito, il rapporto passa in rassegna gli strumenti di diritto volti alla prevenzione e al contrasto delle emergenze antisemite, con specifico riferimento alla Direttiva sulla non-discriminazione (2000/43/EC), alla Direttiva sui diritti delle vittime (2012/29/EU), nonché la Decisione Quadro del Consiglio (2008/913/JHA) del 28 Novembre 2008 per il contrasto a forme ed espressioni di razzismo e xenofobia. La raccolta dei dati, nella quale il rapporto propriamente si cimenta, è un altro degli aspetti importanti della questione, sia nel senso di mettere a disposizione degli attori pubblici una panoramica aggiornata in senso qualitativo e quantitativo a supporto della progettazione e delle misure di intervento, sia nel senso di fornire uno strumento di conoscenza e sensibilizzazione delle opinioni pubbliche. Esplorando, in particolare, i dati sulla diffusione di tali casi e fenomeni di natura antisemita, Paese per Paese, emergono una serie di aspetti. Ad esempio, in Germania (p. 45), Paese dove non è bassa l’attenzione nei confronti del fenomeno, «le forze dell’ordine hanno registrato, nel 2020, ben 2.351 reati a sfondo politico con motivazione di natura antisemita; si tratta del numero più alto registrato nell’intero periodo 2010-2020 e corrisponde al quinto anno consecutivo in cui si verifica un incremento nel numero dei casi registrati di reati di natura antisemita». In generale (p. 47), «la tendenza complessiva nel periodo 2010-2020 mostra un incremento negli episodi registrati di violenza con motivazione antisemita». Tendenza analoga, seppure con specifiche differenze anno per anno, si registra, del resto, anche nel nostro Paese, in Italia, dove gli episodi registrati di crimini di natura antisemita sono passati da 16 nel 2010, a 68 nel 2014, a 56 nel 2018, a 101 nel 2020, sulla base dei dati forniti dalle forze di sicurezza e dall’Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti di Discriminazione (OSCAD). Secondo tale riscontro, «nel 2020 … sono riportati … 30 crimini legati alla diffusione dell’antisemitismo online». La diffusione dell’antisemitismo in Europa resta, quindi, un fattore preoccupante, non solo perché allude alla diffusione e alla moltiplicazione di casi di discriminazione e di violazione dei diritti umani, ma anche perché spesso risulta legata alla crescita di pulsioni o di organizzazioni di ispirazione nazionalista, fascista o neo-fascista nel corpo della società. È spesso una spia non solo della manifestazione e della diffusione di forme specifiche di razzismo e di discriminazione, ma anche dell’avanzata di miti e stereotipi, di pseudo-culture e residui fascisti presenti nelle società. Nel richiamare, pertanto, le misure da intraprendere per contrastare la diffusione del fenomeno (p. 82), il rapporto richiama, in particolare, la Dichiarazione del Consiglio dell’Unione Europea del 6 dicembre 2018 per il contrasto dell’antisemitismo e l’adozione di un approccio comune tra i Paesi Membri UE, nonché la recentissima (5 ottobre 2021) Strategia UE, presentata dalla Commissione Europea, di contrasto dell’antisemitismo, assunta, peraltro, anche alla luce del fatto che in generale, nell’Unione Europea, il 90% degli ebrei ritiene che l’antisemitismo sia aumentato nel proprio Paese e che l’85% lo considera un problema grave. Al netto di misure più specifiche – o iniziative più controverse, come quella legata all’adozione della definizione internazionale dell’IHRA – tre sono i nuclei di questo approccio condiviso: prevenire e contrastare tutte le forme di antisemitismo; assicurare protezione e sviluppo della vita ebraica in Europa, al fine di garantire piena partecipazione dei cittadini ebrei alla vita nei singoli Paesi e in Europa; sviluppare istruzione, ricerca, memoria della Shoah. Non è un caso che il report sia stato pubblicato nella data simbolica del 9 Novembre: a 83 anni dalla Notte dei Cristalli (Kristallnacht), l’ondata di pogrom e devastazione del 9 novembre 1938, quando i nazisti distrussero centinaia di sinagoghe, uffici e negozi ebraici in Germania, in Austria e in parti della Cecoslovacchia. Un modo ulteriore per ricordare che, per l’appunto, «l’antisemitismo non è un retaggio del passato».
(Pressenza, 14 novembre 2021)
Selfie al palazzo di Erdogan, arrestata coppia di israeliani: «Non sono turisti ma spie»
Altro che turisti, sono spie. Con questa motivazione una coppia israeliana sposata, entrambi autisti di bus per lavoro, è stata arrestata venerdì con l'accusa di «spionaggio politico e militare» dopo avere scattato foto della residenza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan a Istanbul. Un caso che rischia di incrinare ulteriormente le relazioni tra i due Paesi.
È l'agenzia di stampa ufficiale turca, Anadolu, a riportare la notizia aggiungendo che insieme a marito e moglie è stato arrestato anche un cittadino turco. L'arresto da parte della polizia è avvenuto a seguito di una soffiata da parte di un impiegato che lavora nella torre radio televisiva Camlica nel lato asiatico di Istanbul. L'impiegato sostiene che la coppia abbia scattato foto della vicina residenza di Erdogan dal ristorante della torre questa settimana, anche se il palazzo non è più da tempo la residenza ufficiale del presidente ma un museo. Un museo che non si può fotografare, però. Il giudice non li ha lasciati andare ed ha prolungato la custodia per altri venti giorni perché i due avrebbero documentato anche i posti di blocco intorno al palazzo. Informazioni che, si sospetta, avrebbero girato a terzi.
Il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha negato che la coppia lavori per una «agenzia israeliana». Il suo dipartimento è in regolare contatto con i due e sta provando a organizzare il loro rilascio. Il quotidiano israeliano Haaretz identifica la coppia come Natalie e Mordi Oknin. Citando i loro avvocati, scrive che hanno scattato foto del palazzo Dolmabahce di era ottomana mentre erano su un traghetto. Alcune parti dell'edificio, che si trova sul lato europeo della città, vengono usate come ufficio di lavoro del presidente.
(il Giornale, 14 novembre 2021)
Italia-Israele - Manfredi: alimentare l'amicizia fra popoli
NAPOLI - "Ci sarà un forte impegno della comunità napoletana e della città che rappresento per far sì che i rapporti di amicizia siano ulteriormente stimolati e rafforzati. Dobbiamo sempre alimentare l'amicizia tra i popoli per sconfiggere i semi dell'intolleranza che ogni tanto riemergono nei comportamenti e nelle azioni di alcuni".
Lo ha detto il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, intervenuto ai lavori di apertura del XXXII Congresso nazionale della Federazione Italia Israele in corso di svolgimento a Napoli a cui partecipa anche l'ambasciatore dello Stato d'Israele in Italia, Dror Eydar. Manfredi ha sottolineato che aver scelto la città di Napoli per questo appuntamento ''sottolinea ancora una volta il legame storico, profondo e solido che c'è tra la comunità ebraica e la nostra città dal punto di vista culturale, sociale ed economico".
"Penso - ha aggiunto il primo cittadino - che in questo momento molto particolare a livello globale in cui sempre di più stiamo attraversando una fase di trasformazione, anche accelerata dagli effetti della pandemia, abbiamo la necessità di rafforzare rapporti solidi tra gli Stati che hanno sempre messo dalla loro parte il tema della democrazia, dello sviluppo e della crescita e pertanto ritengo che Napoli possa rappresentare un luogo dove la cooperazione italo-israeliana possa essere continuamente rafforzata dal punto di vista della crescita, della cultura, della ricerca per lo sviluppo soprattutto attraverso le nuove tecnologie e loro applicazione''.
Proprio sul fronte della ricerca, il sindaco Manfredi ha evidenziato quanto sia ''salda'' la cooperazione tra il sistema della ricerca napoletano e campano e il sistema israeliano che ''potrà essere ulteriormente rafforzata anche in virtù di tanti nuovi progetti che dovranno partire tra il grande progetto dell'applicazione della tecnologia all'agricoltura con l'istituzione a Napoli del Centro nazionale''.
(ANSA, 14 novembre 2021)
Mantova - Trovato l'accordo sul cimitero ebraico. Adesso si riparte per tutelare l'area
Rivisto tutto il progetto relativo alla zona di San Nicolò. Il rabbino Kalmanowitz referente tecnico della comunità
di Sandro Mortari
MANTOVA - Dopo la lunga disputa con la parte ultra-ortodossa della comunità ebraica sulle sorti dell'antico cimitero, riparte il progetto di Mantova hub. Sul tavolo due fatti importanti hanno risolto, si spera definitivamente, la contrapposizione tra il Comune, intenzionato ad andare avanti con il suo progetto di rigenerazione urbana dell'area di San Nicolò, e i rabbini, che puntavano a tutti i costi ad una salvaguardia del suolo sacro. Il primo fatto è la variante al progetto di San Nicolò che implica la rinuncia ai soppalchi in quattro capannoni su cinque e, quindi, la necessità di spostare alcune funzioni sempre nel perimetro del piano, ma in altri spazi. «È il motivo - spiega l'assessore all'urbanistica Andrea Murari - per cui proponiamo al consiglio comunale l'acquisizione della parte di ex ceramica adiacente alla nuova scuola».
L'altro fatto importante è la convenzione siglata tra il Comune e Palazzo Chigi per l'utilizzo dei 6,5 milioni erogati dallo Stato e destinati alla tutela dell'antico cimitero ebraico. La variante progettuale relativa a San Nicolò si basa su alcune linee guida condivise, «che sono frutto - dice Murari - di un lavoro a quattro mani sottoscritto dall'architetto Corvino, progettista di Mantova hub, e dal referente tecnico del mondo ebraico, il rabbino Kalmanowitz. È la base, a mio avviso, di un ottimo accordo che era stato sollecitato anche dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e che permette il recupero dell'area, nel rispetto della regola religiosa. Uno sforzo - precisa l'assessore - che ha richiesto uno slittamento dei tempi del cantiere e un significativo aumento dei costi. Credo, però, che ne valesse la pena, e che ci siano ora i presupposti per un progetto migliore del precedente». Con la variante al piano della società Vecchia Ceramica, già adottata dalla giunta, è stata anche tolta l'edificabilità a quella porzione dell'antico cimitero che è fuori da San Nicolò e che sfiora l'area della scuola, dove, durante gli scavi, furono fatti alcuni importanti ritrovamenti archeologici.Le linee guide che hanno ispirato il nuovo progetto modifica l'accordo raggiunto con l'Ucei nel 2018. L'idea portante è quella di non interferire con il suolo dell'antico cimitero. «Non verrà realizzato nulla di nuovo - dice Murari - ma solo recuperato l'esistente, e cioè i cinque capannoni, la polveriera e la casa del custode.
Il recupero degli edifici che insistono sull'area cimiteriale avverrà senza intervenire sulle fondazioni con tecniche invasive per il suolo. Al contrario, sia l'interno dei capannoni che le strade saranno rialzate dal piano del suolo attuale, in modo da determinare una netta separazione. Inoltre, le aree esterne ai capannoni, nel perimetro del cimitero, saranno recintate e non si potranno calpestare. Altri dettagli saranno oggetto di successive progettazioni, i cui tempi - assicura l'assessore - saranno strettissimi per rispettare gli impegni presi con la Presidenza del Consiglio».
Un punto importante su cui insiste Murari è la condivisione, da parte dei rabbini ultra-ortodossi e dell'Unione delle comunità ebraiche, delle nuove linee guida per la tutela del cimitero: «Stiamo lavorando tutti insieme per ottenere lo stesso obiettivo. Continueremo a condividere i prossimi fondamentali passaggi progettuali, sui quali, non va mai dimenticato, è determinante anche il punto di vista della Soprintendenza, visto che si tratta di un'area vincolata e dal grande valore storico».
(Gazzetta di Mantova, 14 novembre 2021)
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La schiavitù della paura della morte
di Marcello Cicchese
Poiché dunque i figli hanno in comune sangue e carne, egli pure [Gesù] vi ha similmente partecipato, per annientare con la sua morte colui che aveva il potere della morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dalla paura della morte erano per tutta la vita soggetti a schiavitù (Ebrei 2:14-15).
Nel libro della Genesi, dopo aver dato all'uomo l'ordine di non mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, Dio conclude: "perché nel giorno che ne mangerai, di morte tu morrai" (Genesi 2:17). Così si potrebbe tradurre letteralmente quello che di solito viene tradotto con un "certamente morrai". E' nell'uso biblico accentuare il significato di una parola ripetendo due volte la radice di un termine in accezioni diverse; mot tamut (מות תמות), così suona il secco avvertimento di Dio, che ai nostri orecchi ricorda un po' il tedesco kaput.
Poco dopo il verbo creare, nella Bibbia compare dunque il verbo morire. E poco più avanti compare il verbo temere, che in italiano in certi casi viene tradotto più efficacemente con avere paura. Nelle traduzioni italiane dunque il termine paura compare per la prima volta in bocca ad Adamo, che dopo aver peccato dice a Dio: "Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura" (Genesi 3:10).
Sta dunque qui l'origine della paura: la voce di Dio. Quella voce ricorda ad Adamo quello che poco prima aveva sentito dalla stessa voce: "Nel giorno che ne mangerai, di morte tu morrai". La sua paura è la sgradevole sensazione provocata dall'attesa del compiersi di quella parola di Dio, che da avvertimento si è trasformata in giudizio.
Si dirà che le paure sono di tanti tipi ed hanno le cause più diverse; per noi questo adesso è vero, ma l'origine è sempre la stessa: paura della morte, come compimento del giudizio di Dio.
E' questo il motivo per cui l'illuminato uomo occidentale si oppone così tenacemente alla permanenza in ogni legislazione della condanna a morte: perché non sopporta l'idea che la morte possa essere intesa come giudizio per il peccato. Secondo lui la morte è un triste destino o uno spiacevole incidente che si deve cercare in tutti i modi di allontanare o evitare, ma mai e poi mai una morte deve essere intesa come condanna per il peccato. E se Dio lo fa, se ne deduce che noi uomini siamo più buoni di Dio.
"Che cos'è la morte?" ha chiesto una volta un predicatore a un funerale; e ha dato la risposta biblica: è l'esecuzione di una sentenza. "L'anima che pecca, quella morrà" (Ezechiele 18:20).
Va detto allora, e sottolineato, che il tema centrale della fede e della predicazione cristiana ruota intorno alla morte, e che al suo centro si trova la morte di Gesù Cristo. E’ questo che si sottolinea nel passaggio della lettera agli Ebrei citato all'inizio, dove il termine morte compare ben tre volte.
I due gesti fondamentali con cui i credenti in Cristo esprimono pubblicamente la loro fede, Battesimo e Cena del Signore, fanno riferimento esplicito alla morte:
“O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita” (Romani 6:3,4).
“Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga».” (1 Corinzi 11:26).
Il messaggio cristiano consiste proprio nell'annuncio della buona notizia che il problema della morte è stato risolto con la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Nella spiegazione di questo fatto e delle sue conseguenze consiste tutta la predicazione cristiana agli increduli e l'insegnamento ai credenti.
In questa sede ci limiteremo ad esaminare le possibilità del diavolo in relazione alla morte.
Dopo l'originaria caduta dell'uomo e prima di Cristo, il diavolo aveva il potere della morte (Ebrei 2:14) perché con il suo peccato Adamo ha dato autorità alla parola del diavolo in opposizione a quella di Dio. Il diavolo poteva dunque rivolgersi a Dio e fargli giuridicamente osservare che l'uomo ha scelto di ascoltare lui, quindi deve restare sotto il suo potere. La decisione definitiva sul morire e vivere di ogni uomo resta comunque nelle mani di Dio, perché sta scritto che "L'Eterno fa morire e fa vivere; fa scendere nello Sceol e ne fa risalire" (1Samuele 2:6), ma Satana mantiene un potere sugli uomini che come lui permangono nella ribellione a Dio, e può contrattare col Signore la possibilità di colpire con la morte coloro che sono sotto la sua autorità. E Dio può concederglielo, se lo ritiene opportuno per i Suoi piani. Un esempio si trova nel libro di Giobbe, quando Dio concede a Satana il potere di far morire tutti i suoi figli (Giobbe, cap. 1).
Dio può addirittura usare spiriti satanici per far morire qualcuno:
«Allora Micaia disse: «Perciò ascoltate la parola dell'Eterno. Io ho visto l'Eterno assiso sul suo trono, mentre tutto l'esercito celeste stava alla sua destra e alla sua sinistra. L'Eterno disse: "Chi sedurrà Acab, re d'Israele, perché salga contro Ramot di Galaad e vi perisca?". Chi rispose in un modo e chi in un altro. Allora si fece avanti uno spirito che si presentò davanti all'Eterno e disse: "Lo sedurrò io". L'Eterno gli disse: "In che modo?". Egli rispose: "Io uscirò e sarò spirito di menzogna in bocca a tutti i suoi profeti". L'Eterno gli disse: "Sì, riuscirai a sedurlo; va' e fa' così". Ecco dunque, l'Eterno ha posto uno spirito di menzogna in bocca a questi tuoi profeti, ma l'Eterno pronuncia sciagura contro di te» (2 Cronache, 18:18-22).
Quando il diavolo dice a Gesù nel deserto: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni; perché essa mi è stata data, e la do a chi voglio» (Luca 4:6), dice una mezza verità, perché Gesù stesso lo riconosce come "il principe di questo mondo" (Giovanni 12:31, 14:30, 16:11), ma dice anche che "il principe di questo mondo è stato giudicato". Però, fino al compimento della sua piena disfatta, che condurrà al suo confinamento eterno nello stagno di fuoco (Apocalisse 20:10), al diavolo è permesso ancora di colpire l'uomo in vari modi, anche mortali.
In conclusione si può dire che Satana mantiene un ampio potere su tutti coloro che glielo permettono, consapevoli o no. L'unico modo per sottrarsi a questo dominio è porsi sotto le ali della chioccia Gesù, accogliendo il suo invito al pentimento e alla fede. Al di fuori di questa possibilità, nessuno s'illuda di poter resistere alle pressioni e agli adescamenti di Satana. E' lui che usando il suo potere di morte può spingere l'uomo a decidere di porre fine alla sua esistenza con un colpo di pistola alla tempia o con la "libera scelta" di invitare medici disponibili a praticare quella particolare forma di omicidio consenziente che si chiama suicidio assistito o eutanasia. E' un potere che Dio concede ancora oggi a Satana, il quale certamente vorrà usarlo fino all'ultimo istante che gli sarà concesso.
Il desiderio più grande del diavolo però non è di far morire le persone, e neppure di mandarle all'inferno, anche perché vede che all'inferno le persone ci vanno da sole senza problemi. Più che all'eternità, che non gli riserva grandi soddisfazioni (lo sa, perché anche lui conosce la Bibbia), Satana è fortemente interessato alla gestione del presente, alle cose di "questo secolo", alla politica insomma, nel senso più ampio del termine: vuole sfruttare fino in fondo il tempo che gli resta nel tentativo di ottenere quello che aveva chiesto a Gesù: essere adorato.
«Di nuovo il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria, dicendogli: Tutte queste cose ti darò, se tu ti prostri e mi adori» (Matteo 4:8,9).
L'adorazione richiede un popolo che si prostra davanti al sovrano e lo innalza come un dio. Per ottenere questo a livello mondiale Satana sa che bisogna lavorare su popoli, nazioni e governi; in altre parole, bisogna fare politica. E nessuno, fra le creature, sa farlo meglio di lui.
I metodi usati dal principe di questo mondo sono sostanzialmente di due tipi: seduzione e paura, che corrispondono a due movimenti: attrazione e repulsione, abilmente alternati.
Tutto comincia nell'Eden. La seduzione prodotta dalle parole del serpente produce attrazione: "la donna vide che il frutto dell'albero era buono a mangiarsi, che era bello a vedere, e che l'albero era desiderabile per diventare intelligente; prese del frutto, ne mangiò, e ne dette anche al suo marito che era con lei, ed egli ne mangiò" (Genesi 3:6). A ciò segue nell'uomo la paura che produce repulsione della presenza di Dio: "... ho avuto paura... e mi sono nascosto" (Genesi 3:10). Da quel momento la paura, che nella sua essenza è paura del giudizio di Dio, è stata assunta da Satana come strumento di dominio sugli uomini.
Dopo il diluvio, nel patto con Noè, Dio ha previsto la costituzione di autorità umane a cui concedere deleghe condizionate di potere in forma di governo e punizione. Questo implica un ineliminabile e salutare elemento di paura nei governati. Lo spiega bene l'apostolo Paolo nel noto capitolo 13 della sua lettera ai Romani:
- Ogni persona sia sottomessa alle autorità superiori; perché non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono sono stabilite da Dio.
- Perciò chi resiste all'autorità si oppone all'ordine di Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna;
- infatti i magistrati non sono da temere per le opere buone, ma per le cattive. Tu, non vuoi temere l'autorità? Fa' il bene e avrai la sua approvazione,
- perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti è un ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male.
- Perciò è necessario stare sottomessi, non soltanto per timore della punizione, ma anche per motivo di coscienza.
- E' anche per questa ragione che voi pagate le imposte, perché essi, che sono costantemente dediti a questa funzione, sono ministri di Dio.
- Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l'imposta a chi è dovuta l'imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore; l'onore a chi l'onore.
Si può dire allora che la Scrittura nella sua totalità si oppone a ogni forma di anarchismo "spirituale" che in nome di Dio contesta l'esistenza stessa di un'istituzione che ponga limiti alla volontà del singolo o di una comunità. Ma poiché si parla di "ministri di Dio", è ovvio che sarà la mia comprensione di chi è Dio a determinare la misura in cui sono disposto, o devo essere pronto, a sottomettermi all'autorità. E naturalmente dovrò risponderne alla mia coscienza e a Dio.
Poiché Dio delega parte della sua autorità a istituzioni gestite da uomini, e poiché gli uomini si trovano ancora sotto il potere del principe di questo mondo, è chiaro che le autorità umane sono sempre sotto il tiro di Satana, il quale cerca continuamente di agire su di loro per i suoi fini, con i suoi metodi di seduzione e paura, usando armi di inganno e menzogna. Soffermiamoci su uno dei due suoi metodi di azione preferiti: la paura.
Dicendo che "il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene" Paolo presenta il quadro entro cui Dio vuole che si svolga la vita sociale tra gli uomini, senza entrare nella discussione, comunque inevitabile, di come si deve agire quando questa autorità non si comporta come ministro di Dio, ma piuttosto come strumento di Satana. Il testo dice che bisogna essere sottomessi "anche per motivo di coscienza", e la coscienza non può essere consegnata come un pacco sigillato nelle mani dell'autorità. Fare questo non significa ubbidire all'ordine di Dio.
L'autorità deve lodare chi fa il bene e punire chi fa il male, ma poiché è un ministro di Dio, il senso ultimo di quello che significano bene e male resta nelle mani di Dio, non del ministro. Bisogna dunque chiedersi qual è l'interpretazione che di fatto sta facendo il ministro umano della volontà di Dio. Per un credente in Cristo quindi non è soltanto lecito, ma doveroso interessarsi di quello che avviene nel campo della politica. E non soltanto quando si tratta di sale di culto o di tasse.
Non bisogna avere paura dell'autorità, ma temere Dio. Non rientra tra i mandati concessi all'autorità quello di infondere paura nei cittadini e di usarla come strumento di governo. L'autorità ha il compito di organizzare la vita sociale per il bene di tutti; soltanto i trasgressori devono aspettarsi di avere paura. Lo dice chiaramente Paolo: "Non vuoi temere l'autorità? Fa' il bene e avrai la sua approvazione... ma se fai il male, temi".
Nell'ordine voluto da Dio, ma anche in un sano ordinamento democratico, l'autorità umana non può usare l'intimidazione come sistematico strumento di governo. Quando questo accade, vuol dire che l'autorità umana è entrata nella sfera del diabolico, che è caratteristico dei regimi tirannici. Satana ambisce ad inserirsi nelle autorità riconosciute istituzionalmente da Dio per sostituirsi ad esse o agire surrettiziamente attraverso di loro per svolgere la sua azione su popoli e nazioni. E il suo strumento preferito è, appunto, la paura. Una paura che compare all'inizio e alla fine del percorso di governo, passando attraverso forme di inganno e seduzione, con il risultato di tenere tutti in posizione di schiavitù.
L'esempio più evidente della recente storia è il regime nazista. Sintetica e significativa è la risposta che diede Hermann Göring nel processo di Norimberga a chi gli chiedeva come avessero fatto i nazisti a sottomettersi il popolo tedesco: "L’unica cosa che devi fare per rendere schiave le persone è impaurirle. Se riesci a trovare un modo per impaurire le persone, puoi fargli fare quello che vuoi".
Qualcosa di simile sta avvenendo oggi in Italia. La paura della morte provocata dal diffondersi della pandemia è stata afferrata dall'autorità e usata come minaccioso strumento per costringere i cittadini a sottomettersi alla volontà di chi governa. E' stata proprio la paura della morte ad essere agitata per costringere i cittadini.
«L'appello a non vaccinarsi è un appello a morire. Non ti vaccini: ti ammali, muori. Oppure, fai morire. Non ti vaccini: ti ammali, contagi, lui, lei, muore».
Sono parole di un capo di governo, mai smentite anche dopo che ne è stata dimostrata la falsità. Perché la paura della morte deve continuare a mantenere il suo effetto sui cittadini, e nella tattica di Satana il supporto migliore alla paura è la menzogna.
La paura della morte è stata alimentata non soltanto con le parole, ma anche con l'imposizione di norme che se non osservate possono condurre alla morte. Minacciare di far perdere lo stipendio a qualcuno che magari ha solo quello per vivere, significa infondere in lui la paura di morire di fame. E anche se questo non dovesse avvenire, in ogni caso l'effetto è raggiunto, perché il governo non minaccia di mettere a morte i trasgressori, lascia soltanto che la paura della morte si impadronisca dei cittadini e li induca a sottomettersi "spontaneamente" agli ordini dell'autorità.
Tutto questo non fa sorgere il dubbio che questa autorità umana, con il suo minaccioso maneggiare questioni di vita e di morte, si stia muovendo come se fosse Dio? Come si permette un capo di governo, che è soltanto un uomo, di dichiarare in forma apodittica e pubblica a un generico cittadino: "Non ti vaccini, ti ammali, muori"? E' un'affermazione gravissima, che in altre circostanze sarebbe bastata per far dire che chi parla così non è adatto a guidare una nazione. Ma si può anche pensare che il Signore abbia voluto che la cosa si scoprisse, affinché ciascuno si regoli e stia in guardia.
Ripetiamo allora la citazione che sta all'inizio dell'articolo:
Poiché dunque i figli hanno in comune sangue e carne, egli pure [Gesù] vi ha similmente partecipato, per annientare con la sua morte colui che aveva il potere della morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dalla paura della morte erano per tutta la vita soggetti a schiavitù (Ebrei 2:14-15).
La paura della morte è un'arma con cui il diavolo vuole tenere gli uomini "per tutta la vita soggetti a schiavitù". Chi usa quest'arma per tenere sottomessi gli uomini, quali che siano le sue sbandierate buone intenzioni, è uno strumento di Satana. Gesù con la sua morte ha annientato colui che aveva il potere della morte, cioè il diavolo, e chi crede in Gesù non è liberato soltanto dal potere della morte che conduce alla perdizione eterna, ma anche dalla schiavitù della paura della morte che incatena gli uomini per tutto il tempo della loro vita. Chi crede in Gesù morto per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione può convivere con una simile schiavitù?
Nella presente situazione di mondiale insicurezza e paura cronica, il credente in Cristo che vuole testimoniare al mondo la sua fede ha come primo compito quello di manifestare concretamente, nelle sue scelte, di essere stato liberato dalla schiavitù della paura della morte. Può essere maltrattato, ma non ricattato.
E per quanto riguarda il contrastato tema della vaccinazione e di ciò che ne consegue, ciascuno può e deve fare la sua scelta responsabile; e portarne le conseguenze. Può sembrare che la scelta sia soltanto di ordine pratico, sanitario, e per questo non determinante sul piano spirituale. Ma è proprio così? Se così non è, se al di là delle stesse attuali intenzioni dei governanti lo scopo ultimo dell'Avversario è quello di abituare gli uomini a vivere sotto ricatto, le richieste delle autorità potrebbero diventare presto molto più pesanti. E la scelta più difficile.
Si può comunque dire con certezza che nessuna scelta è cristianamente difendibile se è frutto di paura della morte, sia in senso fisico come malattia, sia in senso sociale come perdita di beni e sicurezze, perché questo significa permanere in uno stato di schiavitù indegno del nome di Cristo di cui ci si professa discepoli.
Cristo ci ha affrancati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù” (Galati 5:1).
(Notizie su Israele, 13 novembre 2021)
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Israele, startup offre soldi digitali ai volontari che raccolgono rifiuti
Ricompensa in cleancoin da spendere per acquisti
di Maicol Mercuriali
Guadagnare raccogliendo rifiuti, semplicemente buttando nel bidone una cartaccia abbandonata per strada. Senso civico, rispetto per gli spazi comuni e per l'ambiente, in Israele saranno premiati: ogni buona azione, documentata con lo smartphone, sarà ricompensata con clean coin, valuta virtuale lanciata dall'omonima startup israeliana che si è inventata questo sistema. La moneta digitale clean coin si accumula in un portafoglio virtuale e può essere spesa per acquistare merci e servizi fisici messi a disposizione dai marchi partner dell'iniziativa. Inoltre, come ha riportato l'Agenzia France Presse, presto si potrà fare anche la spesa con i Clean Coin, e dunque, sistemare la spazzatura abbandonata dagli incivili sarà davvero conveniente.Può capitare di vedere un rifiuto abbandonato mentre si è in auto o in bici, o quando si è impossibilitati a raccoglierlo. In questi casi gli utenti possono segnalare la sua presenza sull'App, così altre persone sanno dove entrare in azione. «Ogni punto nero sulla mappa rappresenta una zona segnalata da un utente per la presenza di rifiuti», ha detto Adam Han, 35 anni, cofondatore e ceo di Clean Coin, mostrando i punti sul telefonino. «Abbiamo già più di 16mila utenti di cui 1.200 attivi ogni settimana», ha continuato Gal Lahat, 21 anni, cofondatore e direttore tecnico della giovane startup di Haifa, città portuale nel nord di Israele. La piattaforma è stata pensata come una caccia al tesoro, con diversi livelli e punti. «Puoi vedere i tuoi progressi contro altri utenti. Vogliamo che assomigli a un gioco». C'è quindi il motore della sfida affinché le persone prendano a cuore la pulizia del territorio e poi il desiderio della ricompensa. Più di 25 brand sensibili alle tematiche ambientali hanno già aderito alla rete, ha fatto sapere Ran. Gli utenti possono acquistare oggetti ma anche «pagare» per attività come l'arrampicata indoor o le notti in hotel. «E presto potranno fare la spesa al supermercato», ha evidenziato lo startupper. La valuta virtuale è sovvenzionata da diverse organizzazioni private e pubbliche, ha spiegato l'Afp, in particolare comuni e i consigli regionali che la vedono come uno strumento per ottimizzare la gestione rifiuti, un vero problema in Israele. Il Paese produce una media di 1, 7 chilogrammi di rifiuti pro capite al giorno rispetto a una media europea di 1,4 kg. A venire abbandonati per strada e nelle aree verdi, dove poi si accumula, sono soprattutto i rifiuti di plastica, dai sacchetti ai contenitori.
(ItaliaOggi, 13 novembre 2021)
I giudici israeliani: ecco perché Eitan deve tornare in Italia
«Non si può dire che Eitan abbia una doppia residenza. Al contrario, un esame approfondito delle intenzioni dei genitori sulla base delle prove presentate fa pendere la bilancio verso l'Italia». Lo scrivono i giudici di Tel Aviv che hanno respinto il ricorso dei nonni materni del bimbo contro la decisione di primo grado che ne aveva stabilito il ritorno in Italia. Dagli atti, secondo i giudici, «emerge che l'intenzione dei genitori non era quella di tornare in Israele ma di rimanere in Italia per un periodo indefinito».
Eitan, spiegano, «è stato istruito in scuole italiane, conosce e parla l'italiano, i parenti dalla parte del padre vivono stabilmente in Italia, ha stretto legami con gli amichetti della sua età». Nel corso degli anni «è venuto in Israele solo per delle visite ai familiari, ma non ha mai frequentato una scuola israeliana e i nonni materni sono venuti a trovarlo in Israele, altro indizio che non è questo il suo luogo di residenza ma è l'Italia». Non escludono però che in futuro possa vivere in Israele, sottolineando che i giudici italiani terranno conto anche delle aspettative dei nonni nel decidere su tutela e affido del bambino. Mercoledì il Tribunale del Riesame di Milano discuterà del ricorso presentato dalla difesa di Shmhuel Peleg contro l'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Pavia. L'uomo è accusato di avere sequestrato il piccolo sopravvissuto all'incidente del Mottarone. Per Peleg è stata chiesta l'estradizione.
(Il Giorno, 13 novembre 2021)
Il mare l'ha coperto per secoli: così riaffiora un immenso tesoro
Il Mediterraneo racchiude segreti custoditi gelosamente per secoli. Relitti, spade, anfore, effetti personali, che a volte il fato o semplicemente la ricerca dediziosa le conducono nelle mani dell'uomo contemporaneo
di Lorenzo Vita
Il mare racconta storie antiche e moderne. E le onde hanno coperto per molti secoli, come un infinito tappeto cristallino, alcune di queste vicende umane trasformate in miti o leggende. Un vero e proprio mondo sommerso, in cui il passaggio dell'uomo è documento da relitti, oggetti abbandonati, a volte veri e propri tesori che nel tempo riaffiorano dal mare e che narrano una storia dimenticata. A volte anche riscrivendo pagine di storia umana che il mare ha inghiottito trascinando con sé una parte di verità che nessuno in tempi in cui non c'erano satelliti e internet, avrebbe potuto conoscere. In questi mesi, il mare sta riportando alla luce il suo mondo sommerso. Singoli subacquei, squadre di ricerca, fortunati nuotatori e fotografie dall'altro hanno fatto scoprire all'uomo tesori che il tempo aveva lasciato coprire dal fragore del mare. In Israele, una statua appartenuta a un crociato e incastonata in conchiglie posate lì nel corso dei secoli, è stata fotografata nelle mani di un uomo che nuotava a 150 metri dalla costa del Carmelo. Shlomi Katzin, il cittadino israeliano che ha scoperto la spada, l'ha consegnata immediatamente alle autorità, scoprendo che si trattava di un'arma di circa nove secoli prima, del tempo delle crociate. Un ritrovamento unico che ci riporta a quell'epoca di cavalieri, spade, fede e sangue che ha caratterizzato la Terra Santa. E che il mare riconsegna nelle mani dell'uomo dopo averla cullata per quasi un millennio. Negli stessi giorni, davanti Otranto, un ritrovamento ancora più incredibile. Un carico di anfore di 2600 anni fa che secondo gli studiosi già può riscrivere la storia della Magna Grecia. Questa volta scoperto non per la fortunata coincidenza di un subacqueo attento ai dettagli, ma per una campagna di ricerca durata anni e che ha visto l'utilizzo di una delle migliori tecnologie per la ricerca sottomarina. Così, a quasi 800 metri di profondità, il canale di Otranto ha mantenuto intatte anfore e ceramiche di un'era in cui l'Italia stava diventando la culla di una delle più importanti civiltà del mondo. Quei recipienti cullati dal mare contenevano cibo, olio, vino e altri materiali che descrivono (e riscrivono) la vita dei nostri antenati. Tutti provenienti dall'area di Corinto, e tutti utili - insieme a quelli ancora sommersi - per dirci cosa accadeva davvero nell'Italia ellenizzata. Un mare che ha offerto altri tesori. Più a nord di Otranto, a Torre Santa Sabina, è custodito, immerso a pochi metri di profondità, un relitto che molti studiosi ritengono la testimonianza di una nave romana meglio conservata di tutto Mediterraneo. Per gli archeologi subacquei, quella di Torre Santa Sabina è un'imbarcazione commerciale del III/IV secolo dopo Cristo, lunga circa 26-28 metri e proveniente dall'odierna Tunisia. Sono anni che il relitto regala dettagli della vita di bordo. Come racconta Repubblica, si trovano gomene, ossa di animali, effetti personali dei marinai: tutto questo mantenuto da una sottile coltre di sabbia, vegetali e pietre che il mare ha posato sul relitto prima che venisse scoperto. E sempre risalendo l'Adriatico, è la costa croata, dell'isola di Ilovik (o dell'Asinello), ad avere consegnato al mondo contemporaneo un'altra "fotografia" dell'era antica. Un ritrovamento casuale, come racconta Il Piccolo, che però sembra abbia dato al mondo il relitto più antico di una nave romana. Un'imbarcazione del secondo secolo prima di Cristo che si trovava lì, a quattro metri di profondità, circondata dai bagnanti, ignari di nuotare sopra un immenso tesoro di legno incastonato nelle acque del Carnaro. Gioielli che riaffiorano dalle sabbie e che ricordano all'uomo che il mare, come la terra, è un'immensa custodia del suo passaggio.
(il Giornale, 13 novembre 2021)
Dagli scudetti firmati da Weisz al pallone del Napoli di Ascarelli: gli ebrei che furono eroi nel calcio
Avvicinare le nuove generazioni all'ebraismo, alla storia d'Israele e alla tragedia della Shoah parlando di sport. È l'obiettivo principale del progetto "Il Calcio e la Shoah" che verrà presentato domani durante il congresso nazionale della federazione delle associazioni Italia-Israele, che si svolgerà a distanza e in modalità informatica.
L'idea - lanciata dall'associazione di Foggia in collaborazione con Renato Mariotti, presidente dell'International Football Museum - punta a realizzare l'obiettivo che il presidente nazionale della federazione, Giuseppe Crimaldi, si è posto sin dall'inizio del suo mandato: rieducare le nuove generazioni avvicinandole a una storia entusiasmante e tuttavia anche tragica, quella che racconta le vite dei tanti ebrei che subirono l'onta delle leggi razziali.
La mostra, grazie anche alla collaborazione e al sostegno dell'ambasciata d'Israele a Roma, sarà itinerante e coinvolgerà i ragazzi delle scuole primarie e medie inferiori: «1945-2020: 75 anni dalla scomparsa dei campioni del calcio nei campi di sterminio». Con l'aiuto del calcio - e grazie al prezioso patrimonio di cimeli custoditi da Mariotti - si potrà spingere a riflettere ancora di più i bambini, i ragazzi, sulla tragedia della Shoah: in particolare sullo sterminio attuato dai nazisti persino dei propri campioni dello sport, in particolare di quelli del calcio nella Germania degli anni terribili; campioni con alto senso di appartenenza alla bandiera, "usati" come veicolo di promozione dei regimi totalitari dell'epoca. Sfruttati per "la facciata" e poi barbaramente uccisi solo perché ebrei. Una storia poco approfondita e che va invece divulgata a giovani e giovanissimi.
La mostra si avvarrà dunque di strumenti diretti (i palloni originali utilizzati per alcune finali della Coppa del mondo, gli scarpini e le magliette dei calciatori tedeschi che militavano nella massima serie in Germania, poi deportati e morti nei lager), sia interattivi, con proiezioni e altro materiale informatico. Tra i personaggi ricordati nella mostra il fondatore dell'Ac Napoli Giorgio Ascarelli, che costruì a proprie spese lo stadio nel Rione Luzzatti (venne inaugurato 17 giorni prima della scomparsa dell'imprenditore), e il tecnico Arpad Weisz, che vinse tre scudetti con Inter e Bologna.
(Il Mattino, 13 novembre 2021)
Israele un polo dell'innovazione
Motivo per cui il suo settore hi-tech ha finito per attirare sempre più investimenti internazionali.
di Federico Piazza
Nuovo record nel 2021 per gli investimenti esteri in imprese israeliane. Raggiunti nei primi 10 mesi dell'anno i 10 miliardi di dollari, ben oltre i 7,7 miliardi del 2019 (notizia ICE, fonti Calcalist e PWC Israel), con 28 nuovi unicorni e 20 quotazioni a Wall Street di società israeliane. Trainante è il settore hi-tech, eccellenza del Paese, dove ci si aspetta che lo stock di investimenti esteri raggiunga quest'anno i 30 miliardi di dollari. Fenomeno che è tra le principali ragioni del progressivo rafforzamento della valuta israeliana, lo shekel, che ha raggiunto in questi giorni il massimo storico in 25 anni sul dollaro e in 20 anni sull'euro. Nel 2021 è aumentato il numero di operazioni di investimento, ma con taglio medio minore, e anche meno rilievo mediatico rispetto a casi precedenti come Mobileye e Mellanox. Le vendite più grandi quest'anno sono state quelle del social network di genealogia per famiglie Myheritage acquisito da Francisco Partners per 600 milioni di dollari e della start-up cloud Epsagon diventata Cisco per 500 milioni di dollari. Commenta Carlo Benigni, presidente dell'Unione Associazioni Italia-Israele (http://www.uaii.eu), profondo conoscitore del Paese: «Anche grazie alle start-up, Israele ha attirato importanti investimenti internazionali, ed è in eccellenti posizioni sul mercato borsistico USA». I principali investitori sono infatti statunitensi, in 40 casi su 86 nel 2021. Ma cresce anche l'attenzione dei giapponesi: nella microelettronica con la recentissima acquisizione del produttore israeliano di chip wi-fi Celeno per 315 milioni di dollari da parte del gruppo Renesas, nella finanza con le attività di SoftBank, nelle telecomunicazioni con il centro R&D di NTT. Opportunità anche per l'Italia? «La forza di Israele sta nell'innovazione applicata in tutte le discipline, dall'agricoltura all' aerospazio, dalla salute all'energia sino all'automotive», nota Fabrizio Camastra, responsabile del desk di Tel Aviv di ICE. «Mentre l'Italia è una superpotenza industriale globale, con imprese che producono ed esportano una vastissima gamma di prodotti nei cinque continenti. In questo connubio vanno colte al meglio le opportunità offerte dalla complementarità dei due sistemi economici; un ecosistema manifatturiero d'eccellenza in Italia, e un ecosistema di ricerca e d'innovazione d'avanguardia in Israele». Gli fa eco Benigni: «L'economia israeliana e quella italiana sono complementari, con ampi margini di sviluppo dal settore agricolo all'alta tecnologia all'automotive. I principali centri di ricerca israeliani scambiano regolarmente informazioni con i centri italiani». Esempi recenti di avvio di collaborazione tra imprese italiane e hi-tech israeliano sono quelli di A2A, Stellantis-Fca e Cnh Industrial. È di inizio novembre l'annuncio della firma di un memorandum d'intesa tra A2A e l'agenzia governativa IIA - Israel Innovation Authority per progetti di collaborazione tra aziende israeliane e Life Company A2A mirati all'innovazione in ambito economia circolare e transizione energetica. Mentre Stellantis ad aprile 2021 ha siglato con IIA un accordo per lo sviluppo di collaborazioni con start-up israeliane per la mobilità sostenibile. E sulla stessa scia, qualche mese dopo, accordo tra IIA e CNH Industrial. E nell'automotive sono molti i player internazionali che hanno investito in R&S in Israele. Spiega Camastra: «Nell'immaginario collettivo Israele difficilmente viene associato a questo mondo, non avendo un'industria automobilistica propria nel senso tradizionale del termine. Ma i grandi costruttori internazionali hanno capito da tempo che il Paese è molto avanzato nell'innovazione tecnologica pure in questo campo, e hanno quindi trasferito qui parte della loro R&S. Innescando un processo simile anche tra i fornitori di componenti: per esempio, il gruppo italo-francese STMicroelectronics e quello italiano Adler hanno inaugurato in Israele i rispettivi Poli di innovazione».
(ItaliaOggi, 13 novembre 2021)
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Sanguinano ancora gli ebrei a fumetti di Spiegelman
Torna dopo trent'anni, con alcune tavole inedite in Italia, l'opera che ha rivoluzionato il modo di raccontare l'Olocausto.
Attribuì ai nazisti fattezze cli cani, pesci agli inglesi e maiali ai polacchi
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Per il trentennale sono stati inclusi materiali inediti e lavori preparatori
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di Massimiliano Panarari
Un graphic novel sconvolgente e commovente (anche se l'autore ha sempre preferito, dal punto di vista della definizione del suo lavoro, direttamente la parola fumetto). E che ha fatto epoca.
Torna in libreria uno dei romanzi grafici che hanno rivoluzionato il linguaggio della letteratura a fumetti, e la modalità di raccontare e tramandare la memoria dell'evento abissale del Secolo breve, l'Olocausto. A trent'anni dalla prima pubblicazione, Einaudi Stile Libero manda sugli scaffali un cofanetto contenente l'edizione originale in due volumi ("Mio padre sanguina storia"; "E qui sono cominciati i miei guai") di Maus. Racconto di un sopravvissuto di Art Spiegelman, integrata per l'occasione dall'inserto di inediti Il passato incombe sul futuro. Un'opera con la quale l'autore aveva vinto il premio Pulitzer nel 1992 (primo fumetto a ottenere questo riconoscimento), e che è stata salutata alla stregua di un capolavoro. Di cui, per portare un esempio assai illustre, Umberto Eco, profondo conoscitore dell'arte del fumetto, ha scritto che "Maus è una storia splendida. Ti prende e non ti lascia più. Quando due di questi topolini parlano d'amore, ci si commuove, quando soffrono si piange. A poco a poco si entra in questo linguaggio di vecchia famiglia dell'Europa orientale, in questi piccoli discorsi fatti di sofferenze, umorismo, beghe quotidiane, si è presi da un ritmo lento e incantatorio, e quando il libro è finito, si attende il seguito con la disperata nostalgia di essere stati esclusi da un universo magico".
A ulteriore testimonianza di un lavoro che ha saputo rivoluzionare il linguaggio e i format narrativi intorno a uno dei momenti storici più terribili, uno dei punti di non ritorno della storia dell'umanità. A partire dall'intuizione zoomorfa di attribuire alle vittime le sembianze di topi ( da cui, naturalmente, il titolo dell'opera) e ai carnefici le fattezze di gatti (e, ancora agli americani quelle di cani, agli inglesi di pesci, ai polacchi - con le conseguenti polemiche-di maiali), restituendo così attraverso un teatro, al medesimo tempo, «domestico» e surreale la compresenza in questa mostruosa pagina di storia dell'arendtiana banalità del male e dell'indicibile. La forza narrativa di questo romanzo grafico risiede molto, infatti, nelle storie private e personali che si fanno parabola della tragedia novecentesca, racchiudendo e riproponendo la Storia, e che si intrecciano con l'oggi - gli anni Cinquanta - del protagonista-autore. "Maus" è la biografia di una famiglia devastata dalla Shoah e l'autobiografia di Spiegelman, il quale cerca di fare i conti con il dramma assoluto e il gorgo nero in cui i suoi parenti sono stati risucchiati. Un confronto tra un padre (Vladek) e un figlio (Art) - difficile, delicato, complesso come lo sono spessissimo (e inevitabilmente) i rapporti dentro le famiglie - sullo sfondo della fatica di raccontare da parte del primo e del bisogno, invece, del secondo di sapere dopo il suicidio della madre Anja - e, a sua volta, di provare a narrare l'abisso attraverso i propri codici espressivi.
Ad arricchire e rendere ancora più complicato questo incontro-scontro ci pensa la scelta linguistica effettuata dal fumettista, che fa parlare il papà, col quale giunse da emigrato negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, con un inglese intriso di influenze yiddish e della sintassi del polacco, il suo idioma d'origine. Producendo un effetto di spaesamento e incertezza che risalta molto una volta messo a confronto con il suo modo di esprimersi nei flashback che ci riportano al passato felice, prima dell'internamento nel campo di sterminio. Emozioni che fluiscono, e si interrompono, e sanguinano proprio attraverso il linguaggio disegnato e verbale delle strisce, dando all'autore la consapevolezza - che viene perfettamente trasmessa ai lettori, molti dei quali non coincidenti con il pubblico abituale dei fumetti - del significato dell'essere un figlio di deportati. Ed è proprio questa la rivoluzione spiegelmaniana, che illustra il dolore in modo asciutto e con delicatezza, rifiutando la spettacolarizzazione al punto di chiedersi se sta rendendo il giusto servizio alla causa della memoria dell'Olocausto. E la risposta è straordinariamente sì, dal momento che la sua opera costituisce una pietra miliare delle grandissime testimonianze - come quella di Anna Frank e di Primo Levi sulla Shoah.
Per il trentennale, Spiegelman ha scelto di accompagnare alla nuova edizione un inserto con vari inediti in Italia e materiali preparatori, che contiene tra gli altri alcune litografie da lui realizzate in 100 esemplari: "La vendetta di Maus" (1979) e "Incroci" (1991). Ci sono poi i fumetti "Mouse, nascita di una nozione" (alcune pagine tratte da "Crolli. Ritratto dell'artista da giovane") e "Maus, una storia in 3 pagine" creata nel 1972 per la rivista di fumetti underground Funny Aminals, sei anni prima che cominciasse a lavorare sul suo capolavoro. E, infine, un frammento del ramificato progetto genealogico intorno alla famiglia Spiegelman (pubblicato nel 2011 su "Meta-Maus").
(La Stampa, 13 novembre 2021)
Si riparla di bombe
di Daniele Raineri
In Israele si parla di raid aerei contro l'Iran per bloccare il programma nucleare avanzato
ROMA - In Israele sì parla sempre dì più dì possibili raid aerei contro l'Iran per bloccare il programma nucleare perché i negoziati internazionali a Vienna - che dovrebbero portare a un accordo che sospenderà il programma nucleare iraniano-sono fermi da mesi e non hanno ottenuto finora alcun risultato. Martedì il capo dì stato maggiore israeliano, il generale Aviv Kohavi, ha detto che l'esercito "sta accelerando i piani operativi e lo stato d'allerta per fronteggiare l'Iran e una minaccia nucleare", davanti alla commissione Difesa della Knesset- il Parlamento d'Israele. Martedì 19 ottobre il ministro della Difesa, Benny Gantz, era apparso davanti alla stessa commissione e aveva menzionato anche lui un possibile attacco aereo contro l'Iran e la rete tv Channel 12 aveva rivelato che il governo israeliano ha stanziato un fondo di un miliardo e mezzo di dollari per coprire le spese dell'operazione militare. Sui giornali si è speculato che l'ondata di raid aerei potrebbe non prendere di mira soltanto i siti del programma nucleare, ma anche comandanti militari e leader politici dell'Iran, in modo da azzerare la catena di comando e diminuire la capacità di reazione. I sondaggi dicono che la popolazione israeliana reagisce con scetticismo. Queste dichiarazioni da parte di Israele confezionate in modo che siano riprese dai media fanno parte di una guerra di nervi contro il governo dell'Iran, che per mesi dopo l'elezione del nuovo presidente Ebrahim Raisi ha rifiutato di tornare al tavolo negoziale di Vienna e ora ha acconsentito a riprendere i colloqui a fine novembre. Intanto produce uranio arricchito al sessanta per cento.
Dal punto di vista dell'uso civile è un'operazione senza senso (è sufficiente l'uranio arricchito sotto al dieci per cento come combustibile nelle centrali nucleari, che l'Iran non ha) ed è invece vicino alla soglia dell'uso militare, attorno al novanta per cento. Secondo un rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica di fine settembre, in teoria all'Iran mancava soltanto un mese per essere in grado di costruire una bomba atomica. Era un allarme basato sulla teoria, perché poi l'Iran dovrebbe anche prendere la decisione politica di varcare quella soglia mai varcata prima e produrre davvero un'arma atomica ma dal punto di vista tecnico ormai è una possibilità alla portata dei militari iraniani.
L'Iran risponde per le rime alle dichiarazioni che arrivano da Israele. Ieri il generale iraniano Amir Ali Hajizadeh ha detto che se Israele attaccherà l'Iran allora il risultato sarà soltanto accelerare la propria fine - la linea ufficiale dell'Iran è che Israele è destinato a scomparire, presto o tardi. Il generale Hajizadeh comanda l'aeronautica delle Guardie della rivoluzione ed è uno dei comandanti più in vista del regime - alcuni lo considerano l'erede del generale Qassem Suleimani.
Per anni durante il doppio mandato del presidente George W. Bush alla Casa Bianca si è parlato di possibili raid aerei contro i siti del programma nucleare iraniano - che nel corso del tempo per questo motivo sono diventati grandi complessi sotterranei a decine di metri di profondità. Poi la questione era sparita dalle conversazioni, fino a quest'autunno. Suona teorica, ma c'è da ricordare che la guerra fra Iran e Israele è una questione concreta. In questi giorni Israele accelera i bombardamenti aerei in Siria proprio per contenere gli iraniani, che vogliono trasformare il paese a nord di Israele in una piattaforma militare per lanciare attacchi. Prima i raid israeliani in Siria avvenivano circa una volta ogni due settimane, nell'ultimo mese ce ne sono stati sette. Israele è preoccupato dal trasferimento clandestino di missili e anche di droni armati, che gli iraniani spostano in Siria nell'eventualità di una guerra.
Il Foglio, 12 novembre 2021)
No al ricorso del nonno, più vicino il ritorno di Eitan in Italia
di Sharon Nizza
TEL AVIV - Sentenza lampo della Corte distrettuale di Tel Aviv: a poche ore da un'unica, breve udienza, ieri in serata i giudici hanno respinto il ricorso di Shmuel Peleg, nonno materno di Eitan Biran, sul quale da mercoledì pende un mandato di arresto internazionale, confermando la decisione di primo grado: Eitan deve tornare in Italia. «Con tutta la comprensione per il dolore del ricorrente, non c'è alternativa al rigetto del suo ricorso», si legge nella sentenza emessa dal collegio presieduto dal giudice Shaul Shohat, che ha stabilito che il piccolo superstite della tragedia del Mottarone dovrà fare rientro in Italia entro 15 giorni.
Tuttavia, come avvenuto nel primo grado, la sentenza è sospesa per una settimana, il tempo che viene garantito alla famiglia Peleg per appellarsi alla Corte Suprema. «Studiamo le carte per considerare il ricorso. Si tratta di un caso straordinario, unico e tragico», fanno sapere i legali dei Peleg. «Speriamo che, sebbene il ricorrente abbia illegittimamente prelevato il minore, la sua colpa non ricada sul nipote, e che al minore verrà permesso di incontrare suo nonno anche in Italia», scrivono i giudici a conclusione del verdetto di undici pagine, che conferma inoltre che Shmuel potrà vedere
Eitan in Israele solo con la supervisione dei servizi sociali, anche per «gli incontri in vista della separazione». Peleg in una battuta rubata dai cronisti si è detto «preoccupato» per il mandato di cattura, ma «se ne occuperanno ora i legali».
In Israele non risulta pervenuto ancora nessun atto formale di arresto. L'ordinanza non è arrivata «né a noi, né tantomeno ai legali italiani», dice Ronen Dalyahu, legale israeliano di Peleg. Si ipotizza che una eventuale domanda di estradizione da Roma terrà conto del fatto che il nonno è tuttora sotto indagine penale per rapimento anche a Tel Aviv: la polizia ha trasmesso il fascicolo alla procura, che si dovrà esprimere in tempi non definiti. Israele non prevede l'arresto di propri cittadini sulla base di mandati di cattura internazionale senza un rinvio a giudizio. Perché Israele proceda con l'arresto dovrà ricevere una richiesta di estradizione da parte dell'Italia, che verrà valutata dalle autorità competenti (giuridiche e politiche) in tempistiche non immediate. Allo stato attuale risulta chiaro che, con il mandato di arresto pendente, Shmuel Peleg- che fino alla chiusura delle indagini in Israele non può lasciare il Paese - non potrà essere presente alle udienze in Italia, considerata finora anche dai giudici israeliani la sede competente per discutere il futuro del piccolo Eitan.
(la Repubblica, 12 novembre 2021)
Manovre Usa, Israele, e amici arabi nel Mar Rosso, avvertimento all’Iran
Una flotta poderosa, esibizione di potenza. Ed esercitazione di cinque giorni che già svelano le loro intenzioni. Tattiche di abbordaggio, perquisizione e sequestro di navi sospette o ostili. Messaggio chiaro a Tehran, che questa alleanza militare entrerà in azione in caso di guerra. Mentre in Israele crescono le tentazioni di attacco aereo preventivo alle strutture nucleari iraniane.
• Esibizione di forza per quale obiettivo?
Stati uniti, Israele, Emirati e Bahrein, il ‘Patto di Abramo’ voluto da Trump, con l’Arabia saudita di riserva, alleato non ufficiale ma schierato. Mega flotta quasi tutta Usa nelle acque già cariche di tensione del Mar Rosso, avvertimento al loro comune avversario, l’Iran, alla vigilia della ripresa -il 29 novembre-, dei negoziati indiretti tra Washington e Tehran su un nuovo accordo sul nucleare iraniano. ‘Bullismo diplomatico’ si potrebbe definire, esibizione di forza a sollecitare diverse disponibilità a trattare, mentre minacce più concrete vengono del cielo di Israele, raid aerei pianificati a colpire tutti gli impianti iraniani di lavorazioni nucleari noti e occulti. Badget di spesa già previsto, di un miliardo e mezzo di dollari.
• Accordi di Abramo alleanza militare
«Gli accordi di Abramo, proposti al mondo come un importante trattato di pace, si svelano invece come alleanza militare», segnala Michele Giorgio, Nena News. A guidare le quattro marine è ovviamente la V flotta degli Stati uniti, che opera in tutto il Medio Oriente e che ha la sua base nelle isole davanti al Bahrain, un piccolo arcipelago di eccezionale importanza strategica per Washington. «Proprio la rilevanza della sua posizione nel Golfo garantisce una sorta di immunità al regno di re Hamad bin Isa al Khalifa che è accusato di violazioni dei diritti umani a danno degli oppositori politici e degli sciiti che formano la maggioranza della sua popolazione».
• Obiettivo ufficiali e intenzioni nascoste
Esercitazione su tattiche di abbordaggio, perquisizione e sequestro di navi sospette o ostili, ed il messaggio è chiaro. Chiarendo a Tehran che questa alleanza militare entrerà in azione – assieme all’Arabia saudita – in caso di guerra. Per il momento siamo ai dispetti incrociati. Esercitazioni navali contrarie avviate lunedì da Tehran nel Golfo di Oman, a dimostrare che l’Iran è in grado di bloccare lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale transita circa un quarto del petrolio mondiale. Ovviamente il comandante americano Brad Cooper, sostiene appunto di voler salvaguardare la libertà di navigazione e il libero flusso degli scambi.
• Usa-Israele continuità Biden-Trump
«Pur affermando di preferire la via diplomatica per la soluzione dei conflitti con Tehran, l’Amministrazione Biden negli ultimi mesi si è avvicinata molto alle posizioni israeliane, sia nei confronti dell’Iran che dei palestinesi», la valutazione di molti osservatori internazionali. Tentazioni di resa dei conti militare di parte israeliane nota, meno noto l’invio di bombardieri pesanti B-1, capaci di sganciare bombe nucleari, in volo sulla regione con la scorta di F-15 israeliani e di velivoli di altri paesi alleati. Esibizione contro esibizione, Israele ha ospitato una massiccia esercitazione aerea multinazionale con la presenza anche dell’Italia.
• Biden flette i muscoli, Israele di più
«Per bloccare il programma nucleare di Tehran che procede rapido, mentre i negoziati internazionali a Vienna per ora non hanno ottenuto un nuovo accordo», segnala il Foglio. «In Israele si parla sempre di più di possibili raid aerei contro l’Iran per bloccare il programma nucleare perché i negoziati internazionali a Vienna – che dovrebbero portare a un accordo che sospenderà il programma nucleare iraniano – sono fermi da mesi e non hanno ottenuto finora alcun risultato». E martedì il capo di stato maggiore israeliano, il generale Aviv Kohavi, ha detto che «l’esercito sta accelerando i piani operativi e lo stato d’allerta per fronteggiare l’Iran e una minaccia nucleare», davanti alla commissione Difesa della Knesset.
• Minaccia di raid aereo con molti bersagli
Meno di un mese fa il ministro della Difesa, Benny Gantz, aveva confermato al parlamento di un possibile attacco aereo contro l’Iran (svelato lo stanziamento di un miliardo e mezzo di dollari per le spese dell’operazione militare). E sui giornali si è scritto che l’ondata di raid aerei potrebbe non prendere di mira soltanto i siti del programma nucleare, ma anche comandanti militari e leader politici dell’Iran, ad azzerare la catena di comando e diminuire la capacità di reazione. Ma tante minacce via tv sembrano per il momento far parte di una guerra di nervi contro il governo dell’Iran. Speriamo.
(Remocontro, 12 novembre 2021)
Libia, il generale Haftar potrebbe normalizzare i rapporti diplomatici con Israele
di Paolo Castellano
La Libia potrebbe normalizzare i suoi rapporti diplomatici con Israele. Questo è ciò che emerge da alcune indiscrezioni diffuse dall’entourage del generale Khalifa Haftar, uno dei candidati alla presidenza della nazione nordafricana. Nell’ultimo decennio, la Libia è stata devastata da due guerre civili e ora è alle prese con una campagna elettorale molto attesa e complicata. Come riporta Israel National News, secondo alcuni alti funzionari libici legati ad Haftar, il generale avrebbe intenzione di aderire agli Accordi di Abramo, seguendo le orme di Emirati Arabi uniti, Bahrein, Marocco e Sudan. «Solo un accordo di normalizzazione con Israele, che porterà la Libia negli Accordi di Abramo, può catalizzare il piano di riabilitazione della Libia, che ammonta a centinaia di milioni di dollari», avrebbe dichiarato Haftar ai suoi consiglieri. Tale scenario potrebbe concretizzarsi se Haftar riuscisse a vincere le prossime elezioni libiche previste per il 24 dicembre. Per di più, da fine ottobre una società di consulenza israeliana starebbe collaborando sia con Haftar che con il suo principale rivale, Saif al-Islam Gheddafi, figlio dell’ex dittatore Muammar Gheddafi. Lo ha rivelato Israel Hayom.
(Bet Magazine Mosaico, 12 novembre 2021)
Il capo del piano vaccinale israeliano ci dice come convincere ì No vax
di Annalisa Chirico
ROMA - "Contro il Covid dobbiamo giocare d'anticipo, per questo in Israele abbiamo deciso di vaccinare anche i bambini tra i 5 e gli 11 anni e presto valuteremo l'estensione agli under 5".
Parla così al Foglio il professore Arnon Shahar, responsabile del piano vaccinale di Tel Aviv. "L'Italia sta facendo bene, è un modello in Europa e noi siamo lieti di poter fornire consigli e assistenza per agire in anticipo contro la quarta ondata che divampa in tutto il continente. Se si interviene con prontezza, accelerando su vaccini e booster, l'ondata sarà un'ondina", dice il capo della task force anti Covid del Maccabi Healthcare Services.
- Professor Shahar, avete appena approvato la vaccinazione per i piccoli tra i 5 e gli 11 anni. Il rischio di miocardite ha alimentato obiezioni anche autorevoli.
"Alcuni casi di miocardite si sono verificati, è vero, ma tale rischio è di gran lunga superiore nei giovani malati di Covid. Quando negli scorsi mesi abbiamo vaccinato i ragazzi nella fascia tra i 12 e i 15 anni, anche individui gravemente malati, gli effetti collaterali si sono dimostrati non pericolosi. Questi sono i fatti".
- In Israele avete somministrato il cosiddetto "booster" a 4 milioni di cittadini, oltre il 40 per cento della popolazione. Come si fa a superare la diffidenza di chi era già recalcitrante alla prima dose?
"Bisogna spiegare che il richiamo è ciò che si fa normalmente per diversi vaccini, come l'antinfluenzale. Dobbiamo dire chiaramente che i rischi connessi alla malattia sono di gran lunga superiori a quelli legati alla inoculazione".
- Esiste il rischio di avere "troppi anticorpi"?
Assolutamente no. Dall'esperienza sappiamo che con il passare dei mesi e, in particolare, dal sesto mese dopo la somministrazione il numero degli anticorpi cala sensibilmente, perciò il booster si rende necessario. Lo scetticismo delle persone va superato guardando ai fatti. Laddove aumentano i decessi e i ricoveri nelle terapie intensive, si assiste a una 'pandemia dei non vaccinati': sono persone prive di protezione. Chi si vaccina potrà forse contagiarsi ma sarà al riparo dal rischio di malattia grave".
- Quando potremo fare a meno del green pass?
"Non rimarrà a lungo, in ogni caso va considerato come un mezzo, non come un fine. Sulla necessità del green pass molto dipenderà da quanto saremo bravi a somministrare vaccini e booster alla platea più ampia possibile, bambini inclusi. Nei prossimi mesi noi prenderemo in considerazione anche la fascia sotto i 5 anni".
- Israele è diventato un blueprint mondiale per l'efficacia della campagna vaccinale: merito di cosa?
"Sicuramente ha contribuito il nostro essere pratici e digitali, la digitalizzazione applicata alla salute è stata una componente essenziale".
- Proverbiale la determinazione dell'ex premier Benjamin Netanyahu che, prima di ogni altro, ha tempestato di telefonate il ceo di Pfizer Albert Bourla per assicurare l'approvvigionamento nazionale.
"E' stata una scelta saggia, abbiamo giocato d'anticipo contro un virus che ha una crescita esponenziale. L'attuale premier Naftali Bennett è stato ugualmente saggio nel dare l'avvio alla somministrazione del booster prima degli altri".
- La tecnologia dell'Rna messaggero, alla base dei vaccini Pfizer e Moderna, quali ricadute avrà nella lotta contro il cancro?
"Grazie a questa tecnica rivoluzionaria, che negli ultimi due anni ha ricevuto investimenti record, potremo compiere enormi passi avanti nella lotta contro il tumore. Per la medicina è una frontiera importantissima, per l'umanità un cambiamento epocale".
- A quando il vaccino contro ogni tipo di tumore?
"I tempi saranno tanto più brevi quanto più investiremo in questo campo della ricerca. Dobbiamo augurarci che le case farmaceutiche Pfizer e Moderna, che hanno svolto un ruolo fondamentale nella lotta al Covid, continuino a investire. Oggigiorno il contributo dei privati è irrinunciabile, gran parte delle risorse destinate al progresso della scienza provengono da loro, non dai budget governativi".
- Lei conosce bene l'Italia, ha studiato a Bologna e adesso ha trascorso alcuni giorni a Roma per dare consiglio al governo di Mario Draghi.
"Ho un bel ricordo del vostro paese. Crede fermamente nella collaborazione tra Italia e Israele, che hanno molto in comune. Insieme possiamo farcela".
Far vaccinare un bambino sotto gli 11 anni che sta bene in salute e ha davanti a sé tutta la vita, sapendo che "alcuni casi di miocardite si sono verificati" ma non sono poi tanti, è da criminali. Più precisamente, è criminalità organizzata. Non è questa la priorità israeliana da ammirare. Netanyahu prima e Bennet hanno messo Israele alle dipendenze del dio Mammona, lo stesso dio da cui dipende oggi l'Italia. E quella frase finale: "Crede fermamente nella collaborazione tra Italia e Israele, che hanno molto in comune. Insieme possiamo farcela" ha un suono macabro. M.C. Dopo la vaccinazione
Riscaldamento globale e migrazione della fauna marina
Lo studio dell’Università di Tel Aviv
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Global Ecology and Biogeography dai ricercatori dell'Università di Tel Aviv, decine di specie marine nel Mar Mediterraneo stanno cambiando i propri habitat migrando in acque più profonde e quindi più fredde. Ma perché?
La ricerca, condotta dagli studenti Shahar Chaikin e Shahar Dubiner sotto la supervisione del Professor Jonathan Belmaker, ha individuato le cause della migrazione nel riscaldamento globale degli ultimi anni. La modalità di spostamento, inoltre, non è uniforme per tutta la fauna marina, poiché le specie di acqua fredda raggiungono maggiore profondità rispetto a quelle d’acqua calda.
Questo fenomeno è stato significativamente più evidente nel Mar Mediterraneo che “era caldo in primo luogo - ha spiegato il professor Belmaker – Si sta raggiungendo il limite della capacità di molte specie. Anche se queste scendono in profondità per sfuggire alle acque calde e riescono a adattarsi, c'è comunque un limite: il fondo del mare". La temperatura del Mediterraneo aumenta di un grado Celsius ogni trent'anni: un rapporto che, finora, sta solamente accelerando.
All'inizio del mese, l'Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) ha affermato che gli ultimi sette anni - dal 2015 al 2021 - sono stati i più caldi mai registrati da quando esistono le rilevazioni scientifiche della temperatura. Il rapporto preliminare sullo stato del clima, esposto all'apertura della conferenza sul clima COP26 delle Nazioni Unite, ha affermato che il riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas serra minaccia "ripercussioni di vasta portata per le generazioni attuali e future".
Segnali significativi che, da anni ormai, ribadiscono la necessità di introdurre misure concrete per riassestare l’ecosistema. L'accordo di Parigi del 2015 aveva impegnato i paesi nel limitare il riscaldamento globale, ma da allora il mondo ha assistito ad una serie di disastri meteorologici, tra cui gli incendi Australia e le piogge estreme che hanno causato massicce inondazioni in Asia, Africa, Stati Uniti ed Europa. Perciò la COP26 ha un’importanza essenziale per quella che sarà non più solo la sopravvivenza degli animali, ma di tutti gli esseri viventi, all’interno del globo.
(Shalom, 12 novembre 2021)
«Per Eitan niente pietà trattato da oggetto» Nonno a rischio arresto
Chiesta l'estradizione. Accusa di sequestro pure ali' autista: azione militare pianificata
di Tiziana Paolucci
Si intrecciano le battaglie legali attorno al piccolo Eitan, l'unico sopravvissuto nella tragedia del Mottarone. La procura generale di Milano ha firmato un mandato di cattura internazionale e l'estradizione per il nonno materno, Shmuel Peleg, e per Gabriel Alon Abutul, il dipendente della società Blackwater alla guida dell'auto che ha portato l'uomo e il nipote a Lugano. Il provvedimento e l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Pavia su richiesta dei pm Mario Venditti e Valentina De Stefano sono sul tavolo del ministero della Giustizia. I due uomini sono chiamati a rispondere di sequestro di persona, sottrazione e trattenimento di minore all'estero e inosservanza dolosa di provvedimento del giudice in pregiudizio del minore e della zia tutrice Aya. Ma il legale di Shmuel, Paolo Sevesi, ha già depositato il ricorso «con riserva di motivazioni».
Tutto mentre oggi a Tel Aviv inizia il processo d'appello per decidere, in base alla Convenzione dell'Aja, se Eitan debba tornare in Italia. «Shmuel non commenta il mandato d'arresto - spiega il portavoce della famiglia, Gadi Salomon - . Ma con le mani giunte ha espresso il desiderio che arrivino buone notizie sul futuro di Eitan». In queste ore l'ufficio Affari internazionali di via Arenula prenderà contatti con il ministero della Giustizia israeliano, che dovrà valutare la richiesta di estradizione di Shmuel e Alon Abutul. Israele applica la Convenzione europea di estradizione del 1957 di Parigi, ma ha già apposto una riserva, in base alla quale non estrada i propri cittadini.
Eppure la Procura di Pavia è convinta che il nonno materno e il complice abbiano messo su un «piano strategico premeditato» per rapire Eitan. «Dalle indagini scrupolose fatte dalla squadra mobile di Pavia, risulta che tutto è stato studiato nei minimi particolari a partire dal momento in cui Peleg si è reso conto che non sarebbe più riuscito ad ottenere in Italia l'affidamento del nipote» spiega il procuratore di Pavia Mario Venditti.
«A ulteriore conferma della pianificazione del sequestro - si legge nelle carte - vi sono inoltre i numerosi viaggi in Svizzera effettuati nelle giornate precedenti l'11 settembre, giorno del rapimento, e accertati grazie all'analisi del traffico telefonico, dove sia Peleg sia l'autista avevano definito le fasi finali del progetto criminoso». Gli ex coniugi Peleg, poi, secondo i pm avrebbero tentato di corrompere una israeliana, residente in Italia, contattata della nonna materna per portare il bambino in Israele in cambio di denaro. «Eitan è stato trattato dal nonno come un oggetto da trasbordare - scrive il gip - era invece una persona in condizioni di indicibile fragilità, non per la tenera età, ma per gli eventi tragici occorsigli», Anche se l'intento dei Peleg era «che il piccolo crescesse in una più stretta connessione verso le proprie radici ebraiche», il nonno considerava «l'inerme Eitan come una proiezione delle sue ambizioni e dei suoi intendimenti». Per l'accusa lui e l'ex moglie avevano maturato ostilità nei confronti della zia paterna tutrice del minore, Aya Biran Nirko, in quanto contrariati dalla decisione del giudice di affidarle il nipote. Da qui l'idea del sequestro: giunti all'aeroporto di Lugano-Agno, grazie al complice autista, si sono imbarcati noleggiando un charter per 42mila euro, con destinazione Tel-Aviv. Un piano che potrebbe essere ripetuto e per questo hanno chiesto l'arresto dei due uomini.
Sull'affidamento, invece, si gioca anche in Italia una doppia battaglia giudiziaria: a Milano si discute dell'opposizione al provvedimento concesso alla zia, mentre a Pavia ieri i legali dei nonni materni hanno chiesto al tribunale che venga rimossa dall'incarico di tutrice con immediata sospensione e che venga nominato pro-tutore un avvocato «terzo».
(il Giornale, 11 novembre 2021)
*
Caccia al nonno di Eitan, «Arrestatelo, è pericoloso»
Un sequestro ben pianificato. Nei guai anche l'autista che organizzò il trasporto verso l'aeroporto. Poi il volo su un jet privato.
di Manuela Marziani
PAVIA - Alla vigilia dell'udienza d'appello in cui a Tel Aviv si deciderà se Eitan dovrà vivere in Italia con la famiglia paterna o in Israele con quella materna, la procura della Repubblica di Pavia ha emesso due mandati di cattura internazionali. I provvedimenti riguardano nonno Shmuel Peleg e il 50enne israeliano, che guidava l'auto con cui il bambino fu portato a Lugano per essere imbarcato su un aereo privato, destinazione Tel Aviv. Da mesi il bimbo, unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone è al centro di una contesa familiare. Del suo sequestro devono rispondere il nonno, Shmuel Peleg, 58 anni e Gabriel Abutbul Alon, israeliano residente a Cipro. «Aspettiamo la risposta delle autorità israeliane sul mandato d'arresto internazionale e poi procederemo con la chiusura indagini e con la richiesta di processo» ha detto il procuratore aggiunto Mario Venditti. Solitamente Israele non estrada i propri cittadini e in patria è già stato aperto un procedimento analogo a quello italiano a carico di Shmuel Peleg.
Nel frattempo la procura generale di Milano ha già inoltrato la richiesta di estradizione da Israele verso l'Italia del nonno materno del piccolo e dell'autista. Nell'ordinanza cautelare a carico del nonno di Eitan, il gip ha scritto che Peleg è così «furentemente ostile» nei confronti della zia Aya, da far «temere anche iniziative di attentato alla stessa incolumità personale della tutrice». Quanto a Gabriel Abutul Alon, l'uomo che l'11 settembre era alla guida dell'auto per accompagnare il nonno ed Eitan all'aeroporto di Lugano (da cui poi sono partiti con un volo privato costato 42mila euro), secondo i magistrati pavesi apparterrebbe «alla compagnia militare Blackwater, assunto dai nonni materni per assisterli e aiutarli nel loro progetto di trasferimento del piccolo Eitan in Israele».
E dalle indagini emerge anche il ruolo della nonna materna Esther Cohen che avrebbe tentato di corrompere una cittadina israeliana chiedendole di aiutarla «a portare Eitan in Israele in cambio di una cospicua ricompensa in denaro». Nel corso del rapimento di Eitan sono state usate tecniche di intelligence parallela - ha scritto il gip di Pavia, Pasquale Villani, nell'ordinanza di custodia cautelare di 25 pagine-. Shmuel Peleg è riuscito a far superare al bambino il controllo al posto di frontiera aerea di Lugano a dispetto del fatto che sul passaporto israeliano del minore pendesse, visibile sugli archivi telematici in uso alle forze di polizia di vari Paesi, una denuncia di smarrimento del documento presentata dalla zia Aya e che dovesse essere stato già inserito il divieto di espatrio se non accompagnato dal tutore». Peleg ha già presentato ricorso contro il provvedimento al Riesame di Milano.
(La Nazione, 11 novembre 2021)
«Il Facebook dei palestinesi»: la app di sorveglianza dell'esercito israeliano
Premi ai soldati per scattare foto e seguire ogni passo della vita dei cittadini di Hebro
di Michele Giorgio
GERUSALEMME - Il Cyber intelligence, controllo elettronico, spywar. Sono le armi del terzo millennio in possesso delle forze occupanti israeliane per sorvegliare, seguire e sapere quanto più possibile della vita e gli spostamenti di ogni singolo palestinese. Proprio mentre si parla dei sei attivisti e difensori dei diritti umani palestinesi sorvegliati per mesi dallo spyware israeliano Pegasus installato nei loro telefoni, un'inchiesta del Washington Post, svolta in collaborazione con Breaking the Silence, ong di veterani israeliani, ha portato alla luce un progetto delle forze armate dello Stato ebraico per comporre un database di sorveglianza digitale dei palestinesi, in particolare quelli di Hebron, che chiede ai soldati di scattare foto con i cellulari, anche ai bambini.
Il piano di riconoscimento facciale, ha scritto il quotidiano Usa, è partito due anni fa e si basa in parte su una tecnologia per smartphone chiamata Blue Wolf: è una app che fotografa i residenti di Hebron. Così migliaia di palestinesi sono già stati inseriti nel database. Collegato al database, Blue Wolf indica se un palestinese può passare o va interrogato.
Alcuni ex soldati, senza rivelare la loro identità, hanno riferito di essere stati incentivati a scattare un gran numero di foto in cambio di premi e ricompense e di essere stati impegnati in una sorta di gara a chi catturava il maggior numero di volti. L'esercito ha anche installato telecamere a scansione facciale ai checkpoint di Hebron per consentire ai soldati di identificare i palestinesi prima ancora che presentino le loro carte d'identità.
Il sistema si integra con una rete più ampia di telecamere a circuito chiuso nota come Hebron Smart City che, secondo una testimonianza, rintraccia i palestinesi anche nelle loro case. Un «Facebook per i palestinesi», ha ironizzato uno dei militari intervistati. «Non mi sentirei a mio agio se lo usassero nel centro commerciale ( della mia città natale). Le persone si preoccupano delle impronte digitali ma questo è qualcosa di più grande», ha detto un altro soldato di un'unità di intelligence aggiungendo di aver parlato perché si tratta di «una totale violazione della privacy di un intero popolo». La rete di sorveglianza include anche White Wolf, app usata da agenti della sicurezza negli insediamenti ebraici in Cisgiordania per ottenere informazioni sui palestinesi prima che entrino nelle colonie per lavorare. Le forze armate israeliane non hanno smentito l'esistenza del programma ma lo hanno descritto, come spesso avviene, come «un'operazione di sicurezza di routine» e «parte della lotta contro il terrorismo e degli sforzi per migliorare la qualità della vita della popolazione palestinese». Non di rado le autorità israeliane descrivono metodi e tecnologie, che non sarebbero tollerate nei paesi democratici, come «miglioramenti» a vantaggio dei palestinesi. A loro dire renderebbero più rapide le operazioni di identificazione ai posti di blocco favorendo il transito di migliaia di persone in tempi inferiori rispetto al controllo manuale. Ma tacciono sull'aspetto centrale della sorveglianza capillare di ogni individuo nei Territori occupati.
L'Ue ha proposto una legge per limitare l'uso da parte della polizia di tale tecnologia che è stata vietata in diverse città degli Stati uniti. Nel marzo 2020 Microsoft ha ritirato il suo investimento dalla società AnyVision: l'esercito israeliano aveva installato i suoi scanner facciali ai valichi dove i palestinesi entrano dalla Cisgiordania.
(il manifesto, 11 novembre 2021)
«I novax sono la nostra rovina»
Il fenomeno dell'antinovaxismo
di Marcello Cicchese
C'è stato un grosso scandalo quando dei novax o nogreenpass hanno voluto manifestare mascherati da ebrei, operazione di indubbio cattivo gusto, personalmente offensiva per qualcuno, ma proprio per la sua inappropriata evidenza, poco incisiva e anche poco scandalosa.
L'analogia da fare non è tanto tra ebrei e novax, quanto tra antinovax e antisemiti. Non si tratta, per il momento, di concrete azioni persecutorie contro le persone, ma di modi di valutare, ragionare, giudicare. Se Wilhelm Marr è passato alla storia con il conio del termine "antisemitismo", io mi limito oggi a far sorridere coniando il termine "antinovaxismo". Spero che non abbia lo stesso successo di quello di Marr.
Come persona che da anni riporta, esamina, valuta opinioni, riflessioni, giudizi di persone e movimenti che si pongono contro ebrei o contro Israele, sono sorpreso nel ritrovare atteggiamenti e modi di pensare simili in persone che si scagliano contro i novax. Farò qualche esempio.
Per molti ci sono gli ebrei. E basta. Tutti sanno chi sono gli ebrei, che bisogno c'è di fare altre specificazioni? A che serve voler conoscere e distinguere tra i vari gruppi di ebrei e le loro posizioni? Basta il nome. Il giudizio è complessivo, sintetico, e di solito complessivamente negativo.
Così per molti ci sono i novax. E basta. Tutti sanno chi sono i novax, che bisogno c'è di altre specificazioni? A che serve voler conoscere i loro argomenti e distinguere le loro posizioni? Basta il nome. Il giudizio è complessivo sintetico, e tende a diventare sempre più estesamente negativo.
Per questo chi pone qualche obiezione correttiva alla pratica della vaccinazione sente sempre l'obbligo di precisare: "Ma io non sono un novax". Perché non contano gli argomenti, le opinioni, le differenze fra di loro, ormai è un fatto ontologico: novax si è. Quindi è bene distinguersi subito da loro, se non si vogliono correre rischi.
Un altro effetto comune è quello che si potrebbe chiamare "arresto sinaptico". Più volte ho dovuto constatare che persone preparate e intelligenti, che hanno opinioni serie e calibrate su fatti importanti, una volta messi a confronto con qualche tema spinoso riguardante ebrei o Israele, subiscono una sorta di parziale arresto delle funzioni cerebrali che manifestano rifiutandosi ripetutamente di compiere semplici deduzioni logiche, come sarebbe stato normale aspettarsi da loro.
Qualcosa di simile si verifica in certi antinovax, soprattutto di sinistra. Argomenti che riguardano la costituzione, i diritti inviolabili della persona, il potere tirannico della finanza vengono tranquillamente ignorati come se non se ne fosse mai parlato. E si rimane così in uno stato di emergenza sinaptica di durata indefinita, come quella annunciata a più riprese dal nostro governo.
C'è infine una dichiarazione, che non è stata ancora pronunciata nei termini in cui compare nel titolo, ma già si presenta in diverse circonlocuzioni che si leggono sui media:
«I novax sono la nostra rovina».
Una frase di questo tipo è stata già detta diverse volte nel passato: basta mettere "ebrei" al posto di "novax". Non sono dunque i novax a paragonarsi agli ebrei, sono gli antinovax ad essere paragonabili agli antisemiti.
(Notizie su Israele, 11 novembre 2021)
Non chiamatelo stato d’emergenza
Quello che qui riportiamo non è un articolo di politica come usualmente intesa, ma è piuttosto una riflessione sul distacco che sta avvenendo in Italia tra politica e potere. Qualcuno ha detto che questa non è un'epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca. Infatti è un periodo di transizione tra un sistema di convivenza sociale finora presente e noto, ad un altro che sta formandosi ed è ancora ambiguo e oscuro. Una riflessione di questo tipo riguarda tutti ed ha a che vedere con ogni attività che si svolge in ambito sociale. Se ne possono fare altre, ma non si può smettere di pensare. E per chi si dice cristiano questo è un dovere. NsI
di Cristofaro Sola
Siamo parecchio turbati. La causa del disagio non è più il Covid in sé, né lo sono i potenziali effetti catastrofici della malattia. Ciò che allarma è l’uso strumentale che il potere fa del probabile rischio di una ripresa consistente del contagio. Badate bene: il potere, non la politica. Già, perché quest’ultima, almeno in Italia, ha deciso di ritirarsi a vivere in un’altra dimensione, dove alberga il Ddl “Zan”, lasciando i comuni mortali a sbrigarsela da soli con gli accidenti della vita quotidiana. La politica: malconcia divinità di un wagneriano Götterdämmerung (Crepuscolo degli dei). Il potere, oggi impersonato da Mario Draghi, uomo solo al comando, ha superato la fase di surroga del decisore politico per assurgere al ruolo, più consono a un monarca assoluto, di regolatore di tutte le cose. Anche di quelle finora gelosamente custodite nelle sacre Tavole del Pactum societatis, che sono le libertà individuali (un tempo) incomprimibili. Com’è stato possibile che ciò accadesse, quando vi era la diffusa convinzione che la forma di Governo democratica fondata su un solido impianto costituzionale d’ispirazione liberale non fosse in alcun modo scalfibile? La parola di passo che è servita a spalancare le porte a un nuovo ordine sociale è “stato d’emergenza”. La speciale condizione, che spinge una comunità a vivere per un tempo breve in quella che giuridicamente si potrebbe definire la “terra di nessuno”, tra la legge e la sospensione della sua validità, è stata giustificata dal diffondersi della pandemia e, nella fase acuta, dal crescere a dismisura della contabilità dei morti. Poi però il “tempo breve”, requisito inderogabile per legittimare la compressione delle libertà, ha tradito se stesso trasformandosi, di proroga in proroga, in “tempo perenne”. Si è cominciato il 31 gennaio 2020 con la prima delibera del Consiglio dei ministri che dichiarava lo stato d’emergenza sanitaria per 6 mesi “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. Siamo quasi alla fine del 2021 e, con l’approssimarsi il prossimo 31 dicembre della scadenza dell’ennesima proroga, dalle stanze del Palazzo fuoriescono voci che ne danno per scontato il prolungamento fino alla primavera del 2022. Eppure, le stesse fonti assicurano che la campagna vaccinale sta funzionando bene; i dati sulla pandemia forniti dalle istituzioni preposte delineano un quadro confortante sulla capacità del Sistema sanitario nazionale di fare fronte ai contagi circolanti; le attività lavorative sono totalmente riprese, sebbene con qualche limitazione circoscritta al comparto produttivo dell’intrattenimento e dello spettacolo artistico e sportivo; le scuole sono state riaperte in ogni ordine e grado; le università idem; il traffico aereo è ripreso con regolarità; i trasporti pubblici non hanno smesso di funzionare fino al massimo della capienza consentita, anche quando non avrebbero dovuto. Perché mai si avverte il bisogno di prorogare lo stato d’emergenza? La verità è che esso non è più tale, già da molto. La verità, che nessuno osa ammettere pubblicamente ma che tutti conoscono a cominciare da coloro che quel potere straordinario se lo sono preso, è che siamo immersi – meglio: sprofondati – nello “stato d’eccezione” di schmittiana memoria. La differenza tra la condizione generata da quest’ultimo rispetto a quella che si configura con lo “stato d’emergenza” non è roba di poco conto. Al contrario: ci cambia la vita. Ricorrendo alla diversificazione formulata da un noto giurista (Gustavo Zagrebelsky quotidiano La Repubblica del 28 luglio 2020): “All’emergenza si ricorre per rientrare quanto più presto è possibile nella normalità (salvare i naufraghi, spegnere l’incendio). All’eccezione si ricorre invece per infrangere la regola e imporre un nuovo ordine”. La nostra Comunità nazionale sta scivolando gradualmente nella nuova condizione che assicura agli individui protezione in cambio di libertà, un pacifico conformismo nell’agire collettivo al posto dell’urticante confronto democratico; l’ortodossia del pensiero unico, politicamente corretto, contro le fughe e le deviazioni dell’eterodossia; pensiero convergente che scaccia dal campo delle interazioni umane ogni forma di pensiero divergente. Al concetto di stato d’eccezione si associa la figura del sovrano al quale è attribuito il potere supremo della decisione. Ora, domandiamoci: non è così che siamo messi in Italia? Non è forse vero che qualsiasi cosa faccia il premier Draghi o, su sua delega, il Governo sia giusta e incontestabile essendo la decisione presa non in nome ma per il bene del popolo sovrano rimasto tale solo sulla carta? Opporvisi è da negazionisti, da credenti d’una religione o di una setta che non oscillano di fronte alle smentite della realtà (Zagrebelsky). Ciò non è soltanto sbagliato ma è velleitariamente antiscientifico, antitetico alla linea di flusso del divenire della Storia. Scioperare, protestare pacificamente, disubbidire in forma non violenta, violano il nuovo ordine. Su un punto Zagrebelsky ha ragione: “L’emergenza non è l’eccezione e l’eccezione non è il grado ultimo dell’emergenza. Sono due cose diverse”. Ma da noi quello steccato è stato saltato da un pezzo. La gente comune, asfissiata dagli affanni quotidiani, neanche se n’è resa conto. Non bada a certe sottigliezze da intellettuali. Se si sente dire dai megafoni di Stato (i media) a ogni ora del giorno e della notte che le cose funzionano e il Pil cresce come mai accaduto prima, ci crede. Forse si dirà che da quando c’è Draghi i treni arrivano in orario. Ma lo si diceva anche di qualcun altro che, per un ventennio lo scorso secolo, ha sequestrato la libertà degli italiani. A breve si terrà l’elezione del presidente della Repubblica e c’è chi ipotizza un approdo di Mario Draghi al Quirinale per essere capo dello Stato con poteri rafforzati: un modo ipocrita per non definirlo monarca assoluto. C’è da gestire fino al 2026 il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), finanziato dall’Unione europea con oltre 200 miliardi di euro. C’è la controversa transizione ecologica da realizzare entro il 2050. Ci sono le grandi riforme strutturali il cui compimento è atteso da decenni. Sussurrano a mezza voce i cantori dello stato d’eccezione: “Per queste cose servono uomini forti, credibili presso la comunità internazionale e i mercati finanziari, che prendano decisioni rapide. Non serve il chiacchiericcio inconcludente dei partiti”. Mario Draghi, con un pugno di uomini e donne fidati, guiderebbe lo Stato dal Colle in una sorta di presidenzialismo de facto; lascerebbe a Palazzo Chigi un suo plenipotenziario; surrogherebbe con il proprio carisma la funzione legislativa finora attribuita dalla norma fondamentale a quel reperto archeologico che è il Parlamento. E le leggi non si limiterebbe a firmarle ma le detterebbe. E al diavolo la Carta costituzionale. Ma non era la più bella del mondo? La cosa sorprendente è che i più convinti assertori della prosecuzione dello stato d’eccezione stiano nel centrosinistra. D’altro canto, perché stupirsi? È da dieci anni che, in un modo o nell’altro, i “compagni” stazionano al potere a dispetto dei verdetti elettorali. Al riguardo: perché sprecare denaro pubblico in quelli che il qualcuno di cui sopra chiamava spregiativamente “ludi cartacei”, visto che c’è tanta gente che alle urne neanche ci va più? Perché infastidire i sudditi con inutili liturgie partecipative? C’è Draghi e, presumibilmente, nel 2023 vi sarà da qualche parte in Italia un malato di Covid o si troverà un’altra variante del virus in circolazione tale da giustificare la prosecuzione dello stato d’eccezione. Conveniente allora sospendere le elezioni: lasciamo tutto com’è adesso. Saranno contenti i parlamentari grillini che continueranno a ricevere lo stipendio. E saranno contenti quegli italiani che apprezzeranno il fatto che i treni arrivino in orario e che non vi siano più scioperi in strada a turbare la pace, dal discutibile retrogusto cimiteriale, delle persone perbene. Tutto giusto e perfetto. Ma a una sola condizione: che ci venga risparmiata la pagliacciata, tutta di sinistra, delle manifestazioni contro il fascismo che torna.
(l'Opinione, 10 novembre 2021)
Eitan, mandato di cattura internazionale per il nonno Shmuel Peleg: «Potrebbe rapirlo di nuovo»
Caso Eitan, la procura di Pavia ha emesso due mandati di cattura internazionali nei confronti del nonno materno del bimbo, Shmuel Peleg, e dell'uomo di 50 anni, Gabriel Alon, israeliano, che era alla guida della macchina con cui il bambino fu portato a Lugano per essere imbarcato su un aereo privato con destinazione Tel Aviv. Il piccolo sopravvissuto alla tragedia del Mottarone è al centro di una contesa tra due rami familiari.
• Pm Pavia: attesa risposta Israele «Aspettiamo di vedere cosa succederà a livello internazionale, ossia la risposta delle autorità israeliane sul mandato d'arresto internazionale e poi procederemo con la chiusura indagini e con la richiesta di processo», ha detto il procuratore facente funzioni della Procura di Pavia Mario Venditti a proposito dei mandati di cattura internazionali nei confronti del nonno materno del piccolo Eitan, Shmuel Peleg, e dell'autista. Il procuratore ha precisato che l'ordinanza di custodia cautelare che attiva il mandato d'arresto dovrebbe essere già stata «trasmessa» dalla Procura generale di Milano al ministero della Giustizia.
• Il nonno ricorre al riesame I legali di Shmuel Peleg, rappresentato sul fronte penale in Italia dall'avvocato Paolo Sevesi, hanno già depositato ricorso al Tribunale del Riesame di Milano contro l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Pavia con conseguente mandato d'arresto internazionale e richiesta di estradizione, a carico dell'uomo accusato del rapimento del nipote. Il ricorso è stato depositato oggi con riserva di motivazioni, anche perché i legali non hanno ancora avuto accesso agli atti e all'ordinanza. I legali del nonno, dopo la notizia del mandato d'arresto internazionale, hanno deciso di depositare già stamani un ricorso al Riesame di Milano (che è competente sui provvedimenti cautelari di Pavia) riservandosi di depositare anche i motivi alla base della loro richiesta di revocare l'ordinanza nei confronti del nonno del bimbo di 6 anni, anche perché ancora non hanno avuto a disposizione l'ordinanza e gli atti del procedimento. Atti che dovrebbero essere messi a disposizione della difesa nei prossimi giorni, quando i giudici fisseranno pure l'udienza per la discussione del ricorso della difesa. I legali dei nonni, tra l'altro, sul fronte civile ieri hanno chiesto al Tribunale di Pavia che la zia paterna Aya venga rimossa dall'incarico di tutrice con immediata sospensione e che venga nominato come pro-tutore un avvocato "terzo". E ciò nell'ambito del reclamo contro la nomina che ha originato anche un procedimento davanti al Tribunale per i minorenni di Milano (udienza l'1 dicembre). I legali dei nonni hanno pure chiesto ai giudici civili di Pavia che gli atti su quella nomina della zia vengano inviati alla Procura di Torino per presunti profili di falsità.
• Nonno potrebbe rapirlo ancora Shmuel Peleg potrebbe rapire ancora Eitan, se rimanesse in libertà. Il pericolo di reiterazione del reato è contestato nell'ordinanza emessa dal gip di Pavia, su richiesta della Procura, e che ha portato al mandato d'arresto internazionale a carico del nonno materno e di un autista. Contestato anche il pericolo di inquinamento probatorio, mentre dai primi accertamenti risulta che l'autista israeliano Gabriel Abutbul Alon lavorava per una agenzia di contractor con sede negli Usa.
La nonna materna Esther, anche lei indagata nell'inchiesta dei pm pavesi, non è destinataria della misura cautelare perché, a quanto si è saputo, gli inquirenti hanno accertato che non era più in Italia l'11 settembre, giorno del sequestro, ossia era tornata in Israele prima che l'ex marito e il suo «aiutante» rapissero il piccolo. Avrebbe, comunque, partecipato alla pianificazione del rapimento assieme ai due uomini e per questo è indagata in concorso.
• Procura di Milano: estradare in Italia nonno e autista La Procura generale di Milano, guidata da Francesca Nanni, a cui è stata inoltrata l'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip di Pavia a carico di Shmuel Peleg e del suo «aiutante» Gabriel Alon Abutbul sul caso del rapimento di Eitan, l'ha già trasmessa al ministero della Giustizia con «richiesta di estradizione» da Israele verso l'Italia del nonno materno del piccolo e dell'autista.
• I viaggi prima del rapimento Il rapimento di Eitan, unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, è stato pianificato nel dettaglio come dimostrano «i numerosi viaggi in Svizzera effettuati nelle giornate immediatamente precedenti l'11 settembre e accertati grazie all'analisi del traffico telefonico» del nonno paterno Shmuel Peleg e di Abutbul Gabriel Alon, l'autista («verosimilmente appartenente alla compagnia militare privata Blackwater») assunto dai nonni materni «per assisterli e aiutarli nel loro progetto di trasferimento del piccolo Eitan in Israele». Da quanto ricostruito dagli investigatori, il nonno non riconsegnò alla zia tutrice il piccolo, ma insieme al 50enne suo connazionale varcò il confine elvetico a bordo di un'auto «presa a noleggio dallo stesso Peleg per giungere all'aeroporto di Lugano-Agno, da dove si sono poi imbarcati su un volo privato, noleggiato da una compagnia tedesca di noleggio charter al costo di 42.000 euro dall'Alon, con destinazione Tel-Aviv in Israele». La ricostruzione di quanto accaduto, spiegano in procura, non è stata semplice: «attesi i presunti trascorsi di appartenenza militare degli indagati, nonché il fatto che gli stessi si muovessero in modo "ombroso" sul territorio italiano con l'utilizzo anche di più autovetture a noleggio e comunicando tra loro con utenze telefoniche estere».
• Il mandato d'arresto in apertura sui siti d'Israele Il sito del quotidiano israeliano Yediot Ahronot (Ynet), quello di Haaretz e il Times of Israel hanno deciso di mettere in apertura la notizia del mandato di arresto internazionale spiccato dalla procura di Pavia nei confronti di Shmuel Peleg. La notizia è tra «le più importanti» anche per il Jerusalem Post e il sito dell'emittente televisiva N12. I media israeliani spiegano nel dettaglio le accuse mosse nei confronti del nonno di Eitan, dell'autista Gabriel Alon e della moglie di Shmuel, Etty, che risulta indagata. Mentre Haaretz e Ynet si limitano a ricordare i fatti e a citare le accuse formulate dalla Procura di Pavia, il Times of Israel ricorda come Shmuel Peleg abbia sempre negato di aver rapito il nipote e sia stato rilasciato con la condizionale dalla polizia israeliana dopo essere stato interrogato. Sempre parlando del nonno, il Times of Israel sottolinea il fatto che gli siano stati affidati i figli in modo congiunto dopo il divorzio dalla prima moglie e nonostante la condanna a 15 mesi in libertà vigilata per violenza privata. L'emittente N12 ricorda anche come la nonna di Eitan abbia definito «un disastro nazionale» la decisione del tribunale della famiglia di Tel Aviv di far tornare Eitan in Italia con la zia paterna Aya, alla quale era stato affidato dal Tribunale di Torino. Il Jerusalem Post afferma che l'affidamento del bambino continua a essere al centro di una battaglia legale sia in Israele, sia in Italia. «La maggior parte degli esperti legali concorda sul fatto che le possibilità per Shmuel Peleg di ottenere la custodia erano già scarse - scrive il Jerusalem Post - Dopo aver preso il bambino illegalmente sono diventate ancora più esigue».
(Il Messaggero, 10 novembre 2021)
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Mandato di cattura internazionale per il nonno di Eitan e il suo autista
Il gip di Pavia; piano premeditato per rapire il piccolo. Spunta un'agenzia di contractor US3.
di Giuseppe Guastalla
Mandato di cattura internazionale per Shmuel Peleg, 63 anni, e per Gabriel Abutbul Alon, 50 enne residente a Cipro: in appena due mesi di indagini serratissime, la Procura di Pavia accusa i due israeliani di aver ordito e realizzato il «piano strategico premeditato» con cui hanno rapito nel Pavese, per portarlo con loro in Israele, Eitan Biran, il nipotino di 6 anni di Peleg, unico sopravvissuto della tragedia della Funivia del Mottarone.
L'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Pavia Pasquale Villani e trasmessa alla Procura generale di Milano viaggerà verso Israele, dove un giudice ha già restituito Eitan alla zia patema Aya Biran, e in tutta l'Unione Europea. Le lunghe e complesse indagini dirette dal Procuratore facente funzioni di Pavia Mario Vendittl svelano i particolari di un'azione portata a termine con tecniche paramilitari e di Intellìgence, ma anche, è questo il forte sospetto, grazie a complicità determinanti.
L'11 settembre scorso, Shmuel Peleg, 63 anni, tenente colonnello in pensione dell'esercito israeliano e consulente di una società di telecomunicazioni, alle 11,30 preleva Eitan dalla casa di Travacò Siccomario (Pavia) in cui vive con la famiglia della zia Aya, alla quale era stato affidato dal giudice tutelare Michela Fenucci dopo l'incidente in cui il 23 maggio ha perso il padre, la madre Tal (figlia di Peleg), il fratellìno di 2 anni e due bisnonni. Ma dall'incidente del Mottarone, in cui morirono 14 persone, la famiglia si è spaccata tra i parenti della madre, i Peleg, che vorrebbero che Eitan, che da quando ha due mesi vive in Italia, venga tolto alla zia ed affidato a loro e tornare in Israele, e quelli del padre, Aya Biran e il marito, ai quali il piccolo è stato affidato affinché continui a crescere con le due cuginette. La contrapposizione si è incattivita nelle udienze a Pavia (ed anche a Tel Aviv dopo il rapimento) al punto che il giudice ad agosto aveva vietato che Eitan potesse essere portato fuori dall'Italia senza il consenso di Aya obbligando anche il nonno a riconsegnare il passaporto israeliano del nipote (ha doppia nazionalità).
Alle 11,26 Peleg fa salire Eitan su una Golf che ha noleggiato il giorno prima alla Malpensa ed in cui si trova anche Alon. Un personaggio già identificato ad agosto in un'udienza dal giudice Fenucci. Si era prima presentato come «legale israeliano» tra gli avvocati di Peleg e della ex moglie Esther Cohen (indagata per il sequestro), ma quando il giudice gli aveva chiesto il tesserino, «il balzano avventore, traccheggiava per poi definirsi con formula più vaga come il "consulente legale di una società di Tel Aviv"», annota il gip. Fu fatto uscire dall'aula ed identificato. La polizia ha accertato che è stato più volte in Italia negli ultimi mesi con Peleg e Cohen. Usa l'indirizzo mail gabriel@blackwater.army, un dominio che fino al 2011 era il nome di «Academi», compagnia militare privata Usa impiegata in Iraq ed Afghanistan. Gli investigatori della Squadra mobile diretta da Giovanni Calagna hanno ricostruito i movimenti della Golf da Travacò Siccomario fino al confine italo-svizzero di Chiasso, superato senza subire controlli. Il divieto di espatrio era stato diramato a livello Shenghen ma agli svizzeri non risultava «visibile» a causa di un problema tecnico.
Nessun approfondimento neanche quando l'auto viene fermata alle 14,10 dalla Polizia cantonale elvetica vicino all'aeroporto Lugano-Agno. Gli agenti identificano i passeggeri e li fanno proseguire «in maniera del tutto inopinata», sottolinea il gip, anche se risulta una denuncia di smarrimento del passaporto israeliano di Eitan, bimbo che è in compagnia di adulti che nemmeno emerga dai documenti che siano suoi parenti. Via libera anche in aeroporto. I tre si imbarcano su un Cessna 680 della società tedesca Aronwest proveniente da Hannover noleggiato per 42 mila euro che alle 15 decolla per Tel Aviv e proseguirà per Cipro. Eitan ha tentato di «abbarbicarsi - scrive il gip Villani - a quel che rimaneva del suo mondo: la zia tutrice, lo zio, i cuginetti, i piccoli amici di Travacò. E in questo contesto, che Peleg, col determinante apporto di Alon, lo rapisce strappandolo alle relazioni più care, prossime e rassicuranti». A chi «sta compiendo un così grave torto a un bambino già percosso dagli eventi e dalla malasorte» va detto in maniera «semplice e diretta: non ti è lecito».
(Corriere della Sera, 10 novembre 2021)
Firenze non dimentica i deportati ebrei del novembre '43
Commemorazione al binario 16 della stazione di Santa Maria Novella
FIRENZE - «È un dovere istituzionale e civico venire al binario 16, ogni anno, per ricordare i fatti drammatici del passato. I temi della discriminazione e del razzismo, che in passato hanno portato a tragedie, non vanno dimenticate. Più si raccontano le nostre memorie e più si riuscirà a far crescere le giovani generazioni con principi saldi». Lo ha detto il presidente del consiglio comunale Luca Milani, intervenendo ieri alla cerimonia commemorativa che si tiene ogni anno al binario 16 della stazione di Santa Maria Novella da dove il 9 novembre 1943 partì il primo convoglio di deportati ebrei, con più di 300 persone, compreso bimbi e anziani, ammassate su alcuni vagoni di un treno diretto ad Auschwitz. Solo in 15 fecero ritorno.
Alla commemorazione erano presenti, oltre al presidente Luca Milani, il prefetto Valerio Valenti, il Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, il Presidente della Comunità ebraica Enrico Fink, il Rabbino Gadi Piperno, i sindaci della Città metropolitana con i Gonfaloni dei loro comuni, i rappresentanti delle associazioni Aned, Anpi, associazioni antifasciste e numerose altre autorità civili, militari e religiose, oltre alle consigliere e consiglieri comunali Bundu, Dardano, Innocenti e Palagi.
Nel suo intervento il presidente Milani ha ringraziato i presenti e ha sottolineato «l'importanza del valore della memoria da coltivare perché dobbiamo assolutamente evitare ciò che abbiamo visto in alcune manifestazioni no green-pass nelle quali è stato accostato il dramma disumano dei deportati nei campi di sterminio alla 'privazione di libertà' nella gestione della pandemia. E questo - ha concluso il presidente Milani - è inaccettabile».
(la Nazione-Firenze, 10 novembre 2021)
L’avventurosa storia dell’esplorazione delle Tombe dei Patriarchi
di Ugo Volli
Israele è fra le zone archeologiche più interessanti del mondo. Mai centro di grandi imperi, ma sede permanente di una civiltà, quella ebraica, le cui tracce risalgono a 35 secoli fa, e poi soggetto a molteplici invasioni, che hanno a loro volta lasciato resti e monumenti. Forse per questo l’archeologia è una passione diffusa in Israele e i ritrovamenti fanno sempre notizia. Spesso però la ricerca è ostacolata dai palestinisti, che fanno il possibile per distruggere i resti ebraici, per cercare di nascondere le prove che smentiscono le loro pretese politiche. È così molto difficile condurre esplorazioni scientifiche dei luoghi che per una ragione o per l’altra sono sotto il loro controllo. Questo vale per il Monte del Tempio, dove gli archeologi hanno dovuto accontentarsi di studiare i resti abbandonati in discarica dei lavori edilizi di scavo condotti dal Wafq, la fondazione giordana che lo gestisce.
Lo stesso problema riguarda anche le Tombe dei Patriarchi a Hebron. Quel che si vede dalla città è un edificio monumentale costruito da Erode ventun secoli fa. Essa ospita su una piattaforma coperta elevata le tombe monumentali dedicate ad Abramo, Isacco e Giacobbe e alle loro mogli, cui però gli ebrei non avevano avuto accesso dal tempo dei Mamelucchi (1270 circa) per lunghi secoli: solo i musulmani potevano entrare, agli “infedeli” era proibito superare il settimo gradino della scala esterna che vi portava. Dopo la Guerra dei Sei Giorni l’accesso fu diviso da Moshé Dayan fra una sezione riservata ai musulmani e una per gli ebrei (e le persone di altra religione). Ma le tombe che si visitano sono vuote, servono solo da ricordo. I veri sepolcri si trovano sotto l’edificio nella grotta, che, come racconta anche la Torà, fu comprata da Abramo a un ittita che possedeva quel territorio, continuano a non essere accessibili né ai fedeli né agli studiosi. Ma qualche tentativo di infiltrazione nei sotterranei dell’edificio erodiano che nascondono le sepolture c’è stato: è una storia affascinante e romanzesca che è stata ricostruita in una tesi di dottorato recentemente discussa, che ha sollevato molto interesse nella stampa israeliana.
Questo è ciò che si sa oggi della cava di Macpelah dove probabilmente le vere tombe dei Patriarchi sono ancora protette come le voleva Abramo 3500 anni fa e le racconta la Torà. Ma nel 2017 l’Unesco ha dichiarato l’edificio parte del “patrimonio culturale palestinese”, un popolo di cui nessuno aveva sentito parlare prima del 1960.
(Shalom, 10 novembre 2021)
"La monocultura ideologica oggi è una grande minaccia in occidente"
Intervista al filosofo Alexander Grau della rivista Cicero
di Giulio Meotti
ROMA - "Quelle menti che restano ancora indipendenti adesso stanno emigrando, abbandonano definitivamente le università, come ha fatto il filosofo Peter Boghossian, che per anni ha combattuto invano contro la cultura del divieto di pensare alla Portland State University, L'esempio più recente di questa crescente cultura inquisitoria nelle università sono le dimissioni della filosofa Kathleen Stock dall'Università del Sussex". Lo scrive nella sua "Grauzone" sul mensile tedesco Cicero il filosofo Alexander Grau, che è anche editorialista dello Spiegel e della Neue Zürcher Zeitung, "Stock è una classica femminista di sinistra e tradizionale. Ecco perché insiste sul fatto piuttosto banale che ci sono due sessi biologici. Questo da solo è bastato, però, a creare un clima di odio al quale ora si è arresa e minacciata. L'accusa: trans-ostilità". Ora, scrive Grau, "c'è la minaccia di una monocultura ideologica".
A quale scopo? "L'obiettivo di questa repressione è il potere", dice Grau al Foglio. "E' di conquistare la sovranità del discorso nelle società occidentali attraverso alcune questioni chiave, dalla forte carica morale: genere, clima, razzismo. E' fondamentalmente una strategia rivoluzionaria per capovolgere completamente le società europee. E funziona: quasi nessuno osa essere seriamente in disaccordo. C'è solo un'opzione: ignorare queste persone. Ad esempio, se minacciano di boicottare qualcuno perché pensano che sia un razzista, allora lasciamo che lo facciano, che rimangano a casa. E' meglio comunque. Ma penso che sia troppo tardi per questa forma di resistenza".
Gran parte di questa ideologia è ben nota: fondamentalismo, fanatismo, negazione della realtà, moralismo. "Sappiamo tutto questo dalla storia delle religioni e delle ideologie", ci dice ancora Grau. "Ciò che¨s è veramente nuovo è l'odio per se stessi. Non conosco alcuna ideologia che abbia mostrato un tale disprezzo per le conquiste e le tradizioni della propria storia. Il mainstream di genere, la bianchezza critica e gli studi postcoloniali non riguardano realmente la giustizia e l'umanesimo, ma denunciano la cultura occidentale come sessista, razzista e imperialista. Inoltre ho l'impressione che gli attivisti non siano effettivamente a favore di qualcosa, ma che invece siano contro qualcosa. Sono guidati da un estremo risentimento. Risentimento contro la propria cultura. E' un fenomeno singolare. Inoltre, costoro rivoltano l'Illuminismo contro se stessi perché l'intera retorica di questi attivisti sembra illuminata, ma la loro causa è profondamente anti illuminista. Stiamo assistendo a una rinascita del sofisma fondamentalista, che cerca di dimostrare con argomenti sofisticati che la Terra è piatta nelle (ex) migliori università del mondo. Tutto questo è radicato in un moralismo così esagerato che non puoi davvero credere che qualcuno faccia sul serio".
Da tedesco, Grau ha una duplice memoria di una società che opprime la libertà di espressione. "Nel mondo occidentale si sta diffondendo sempre di più un clima di non libertà. Le persone non hanno più il coraggio di esprimere la loro opinione e sono minacciate da autodafé mediatici. C'è un'enorme pressione per muoversi all'interno di un corridoio di opinione fissato". Ma il corridoio si restringe ogni anno di più.
Il Foglio, 10 novembre 2021)
Israele: rinvenuto antico anello usato per “prevenire i postumi della sbornia”
La scoperta è avvenuta presso la città di Yavne.
Le autorità per le Antichità di Israele, attraverso un comunicato stampa, hanno diffuso la notizia del ritrovamento avvenuto negli scavi nella città di Yavne, città del distretto centrale di Israele. L’archeologo Amir Golani afferma che il reperto è stato rinvenuto a 150 metri di distanza da un magazzino che conteneva anfore utilizzate per la conservazione del vino. Gli esperti hanno datato il sito intorno al VII secolo ma secondo le ipotesi, l’anello potrebbe essere più antico. “Anelli d’oro con ametista incastonata erano conosciuti già al popolo romano. Non si esclude che possa appartenere all’élite del III secolo d.C.” afferma Golani.
Secondo gli archeologi, questa pietra in particolare poteva essere associata a diverse religioni perché citata nella Bibbia. Con molta probabilità l’anello apparteneva a una persona benestante, forse proprio al proprietario del magazzino ovvero la cantina dove sono state rinvenute le anfore. In tempi antichi, si credeva che una delle cure contro gli effetti della sbornia era proprio l’ametista. “Non sapremo mai se effettivamente il proprietario dell’anello voleva evitare l’intossicazione causata dal bere troppo vino, però non è da escludere come ipotesi” conclude Elie Haddad, direttrice dello scavo.
(Scienze Notizie, 10 novembre 2021)
83 anni dalla “Notte dei cristalli”
La European Jewish Association ad Auschwitz contro il virus dell’antisemitismo
di Luca Spizzichino
In concomitanza con quello che è l'83esimo anniversario della Kristallnacht, la European Jewish Association ha voluto organizzare un importante incontro con i rappresentanti delle diverse Cancellerie ed associazioni, ebraiche e non, a Cracovia per discutere su come combattere un virus, che è cresciuto parallelamente con la pandemia, quello dell’antisemitismo.
“Vi chiediamo di partecipare non solamente per commemorare la memoria delle vittime, ma per porre l’attenzione sulla lotta all’antisemitismo. – ha dichiarato Rabbi Menachem Margolin – E in questo l’Europa sta fallendo.”
Diversi saluti istituzionali, tra cui quelli della Primo Vicepresidente del Parlamento Europeo Roberta Matsola e il Presidente dell’Assemblea Nazionale della Slovenia Igor Zorčič, il Presidente del Parlamento del Montenegro Aleksa Bečić, hanno anticipato quelli che sono le principali tematiche su cui l’associazione ebraica ha voluto porre l’attenzione, ovvero tutte quelle sfaccettature dell’educazione contro l’antisemitismo.
Due le grandi tematiche toccate nella prima parte del convegno: l’importanza nel raccontare la Shoah nel 2021 e le misure adottate dai Ministeri dell’Istruzione dei diversi Paesi membri per contrastare l’antisemitismo nelle scuole e nei campus.
“La Shoah è stata un tragedia per l’umanità, e per questo è parte imprescindibile dei nostri programmi scolastici” ha dichiarato il Segretario di Stato per l’Educazione inglese Nadhim Zahawi rimarcando il fatto che “bisogna avere tolleranza zero riguardo tutte le forme di antisemitismo che si manifestano nelle classi. È necessario che le università adottino la definizione IHRA.”
Ma il vero strumento per contrastare l'odio antiebraico è tramandare la memoria della Shoah attraverso le parole dei sopravvissuti nelle scuole, come ha voluto ricordare Regina Suchowolsky-Sluszny, Presidente del Forum delle Organizzazioni Ebraiche, che da decenni si occupa di questo, visitando centinaia di istituti nel Paese. “Lo farò fino a quando il mio corpo me lo permetterà” con queste parole la sopravvissuta ha voluto rimarcare l'importanza della testimonianza diretta.
A chiudere il Simposio organizzato dall’EJA una sessione incentrata sulla sicurezza, in particolare gli strumenti utilizzati dalle diverse Cancellerie, ma anche dai colossi come YouTube, per contrastare i discorsi d’odio e soprattutto l’antisemitismo. E proprio per il ruolo avuto dalle forze dell'ordine nel prevenire ogni possibile minaccia alle comunità ebraiche italiane l’associazione belga ha voluto insignire il Capo della Polizia di Stato, il prefetto Lamberto Gianni, del King David Award.
(Shalom, 9 novembre 2021)
Israele, la migrazione dei grandi pellicani bianchi
Gli esemplari vengono nutriti grazie ad un progetto finanziato dalle autorita' israeliane
La migrazione dei grandi pellicani bianchi, che si nutrono di pesce come parte del progetto Israele. I grandi pellicani bianchi migratori, noti anche come pellicani bianchi orientali, si nutrono di pesce scaricato da un serbatoio d'acqua come parte di un progetto finanziato dall'Autorita' israeliana per la natura e i parchi, che mira a impedire ai pellicani di nutrirsi da piscine commerciali di allevamento ittico.
(ANSA, 9 novembre 2021)
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Start-up italiane, il futuro passa da Tel Aviv
Offrire alle start-up italiane opportunità di business e partnership e immergersi completamente in uno degli ecosistemi dell'innovazione più all'avanguardia a livello mondiale. Questo l'obiettivo di "Accelerate in Israel", il programma di accelerazione per start-up italiane in Israele, giunto alla sua terza edizione e promosso dall'ambasciata d'Italia e dall'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane con la collaborazione di Intesa Sanpaolo Innovation center e della camera di commercio Israele-Italia. Questa terza edizione è stata presentata dal nuovo ambasciatore d'Italia in Israele Sergio
Barbanti che ha sottolineato come innovazione e trasferimento tecnologico siano diventati punti di riferimento fondamentali per la crescita delle imprese italiane in Israele e non solo. Secondo l'ambasciatore, "Accelerate in Israel guiderà, col prezioso supporto di qualificati acceleratori israeliani, le start-up italiane in un percorso di sviluppo delle competenze necessarie al successo delle loro tecnologie e del loro business pian".
Accanto alle opportunità offerte dall'ecosistema israeliano, è importante promuovere la diffusione di una nuova cultura dell'innovazione anche in Italia, il punto di vista di Carlo Ferro, presidente di Agenzia ICE. "Negli ultimi tre anni i nostri stanziamenti dedicati a iniziative che hanno coinvolto le start-up sono triplicati". In questa direzione, il coinvolgimento in Accelerate in lsrael.
"La terza edizione del programma di accelerazione aprirà nuove opportunità di crescita per le start-up italiane selezionate,- ha continuato Ferro - che saranno ospitate per un periodo di 10 settimane presso acceleratori israeliani che, oltre a fornire tutoraggio, metteranno a disposizione la loro rete di partnership con venture capital, multinazionali, centri di Ricerca e Sviluppo, Università e startup locali". Il programma nasce nell'ambito delle attività previste dall'accordo di cooperazione tra Italia e Israele nel campo della ricerca e dello sviluppo industriale, scientifico e tecnologico e ha l'intento di sviluppare l'esposizione internazionale delle start-up italiane in quello che viene considerato il Paese più innovativo al mondo e con il più alto numero di start-up pro-capite.
"Dopo lo stop imposto dalla pandemia, - la valutazione di Ronni Benatoff, presidente onorario della camera di commercio Israele-Italia - il progetto ha acquisito, a mio avviso, ancora più importanza. Negli ultimi due anni, quando gli ecosistemi innovativi hanno subito importanti rallentamenti, alcuni persino scomparendo, in Israele è accaduto esattamente il contrario".
(Pagine Ebraiche, novembre 2021)
La guerra in Etiopia sta creando un problema con l'immigrazione in Israele
Circa 8 mila persone che rivendicano radici ebraiche vivono ancora nel Paese africano. La ministra per l'Immigrazione israeliana Pnina Tamano-Shata chiede che "vengano salvati dal massacro". Ma sulle identità di molti di loro ci sono dubbi. Nelle ultime settimane 61 etiopi tigrini sono entrati in Israele "perché in grave pericolo", secondo le autorità non avrebbero nessun legame con l'ebraismo né erano a rischio.
di Sharon Nizza
TEL AVIV - Nei drammatici giorni dell'escalation in corso in Etiopia, con l'avanzata dei ribelli del Tigray verso la capitale Addis Abeba, in Israele è in corso un acceso dibattito su una possibile azione di salvataggio di membri della comunità di origine ebraica che tuttora vivono nel Paese africano. Si stima che circa 8 mila persone che rivendicano radici ebraiche o legami familiari con cittadini israeliani sarebbero in attesa di immigrare per scampare alla guerra in corso. In Israele a oggi vivono circa 160 mila cittadini di origine etiope, di cui poco più della metà nati in Etiopia e in gran parte giunti nello Stato ebraico in avventurose operazioni di salvataggio operate dai servizi israeliani principalmente negli anni '80 e '90. La ministra per l'Immigrazione e Integrazione Pnina Tamano-Shata - arrivata in Israele a tre anni nel 1984 con l'operazione Moshè e a oggi prima esponente di governo di origine etiope della storia del Paese - minaccia le dimissioni se l'esecutivo non adotterà una chiara politica volta a "salvare gli ebrei rimasti in Etiopia che rischiano il massacro". Appelli al governo arrivano anche da numerosi rabbini e da esponenti della comunità etiope israeliana. "Un'operazione di alyià ("ascesa", come viene chiamata l'immigrazione degli ebrei verso Israele, ndr) di massa è necessaria immediatamente dall'Etiopia" si legge in una lettera dell'Ong 'Lotta per l'alyià degli ebrei etiopi'. "Il governo israeliano deve evacuare quanti stanno aspettando ad Addis Abeba e a Gondar, prima che sia troppo tardi". Diversi cittadini di origine etiope raccontano dei famigliari in pericolo. "I ribelli stanno arrivando ovunque, arruolano con la forza i giovani", ci dice Gashau Aventa, arrivato in Israele anni fa da Gondar, dove ha lasciato parte della famiglia. "Hanno preso mio nipote e mia sorella non sa più cosa fare". Ma la vicenda ha risvolti più complessi. In Israele da anni vi è un acceso dibattito intorno alla comunità etiope che richiede di immigrare in Israele, per la maggior parte confluita in centri di accoglienza istituti da associazioni ebraiche a Gondar, nel nord del Paese. Per lo Stato ebraico l'operazione di assorbimento della comunità ebraica locale si è conclusa all'inizio degli anni 2000. Chi attende nei centri in questione rivendica di far parte della comunità dei Falashmura, ossia ebrei costretti a convertirsi al cristianesimo nel corso delle generazioni, accolti in Israele in diverse ondate migratorie negli ultimi 20 anni. Oppure si tratterebbe di persone che richiedono un ricongiungimento familiare, molto spesso impossibile da documentare, rallentando il processo di esame delle domande. Nel corso dell'ultimo anno, da quando è esplosa la guerra tra i ribelli tigrini e il governo centrale etiope, circa 2mila persone sono state portate in Israele con un ponte aereo. Ma le polemiche sull'autenticità delle storie personali si moltiplicano.
• Il caso dei tigrini che non erano ebrei
Ieri il quotidiano Haaretz ha reso noti i dettagli di un'operazione segreta che ha portato nei mesi scorsi all'ingresso nel Paese di 61 etiopi tigrini "perché in grave pericolo". Giunti in Israele e dopo settimane di indagini, l'Autorità per l'immigrazione ha rilasciato un rapporto contestando le informazioni fornite dai nuovi immigrati, che, salvo quattro casi, non avrebbero nessun legame con l'ebraismo né provenivano da situazioni a rischio - secondo quando si legge nel rapporto - e che avrebbero quindi sfruttato il canale - immediato - della naturalizzazione, piuttosto che quello della richiesta di asilo (che con ogni probabilità non avrebbe mai avuto esito). In serata, il giornalista Raviv Drucker di Channel 13 ha riportato che il caso in questione è stato oggetto di un'animata conversazione tra il primo ministro etiope Abiy Ahmed e l'omologo israeliano Naftali Bennett nelle settimane scorse. Ahmed avrebbe informato Bennett che come parte di quel gruppo vi erano anche "4 ribelli tigrini che hanno partecipato a massacri contro la popolazione etiope". Elementi che potrebbero confermare quanto trapelato ieri da un rapporto classificato del Consiglio per la sicurezza nazionale israeliano secondo cui "non è chiaro fino a che punto gli 8mila ebrei rimasti siano effettivamente ebrei e fino a che punto siano effettivamente in pericolo. Portarli in Israele senza un'adeguata indagine potrebbe essere un errore demografico" - si legge nel documento - "e potrebbe creare tensioni con le autorità etiopi". Tutti gli sviluppi delle ultime 24 ore sono adesso al vaglio del governo che dovrà decidere come procedere. Secondo fonti dell'ufficio del primo ministro citate da Drucker "al momento qualsiasi operazione di immigrazione è per ora sospesa". Resta da vedere se la ministra Tamano-Shata darà corpo alla minaccia di dimissioni. In Israele vivono inoltre circa 9mila tigrini, parte di una comunità di circa 50 mila immigrati africani clandestini, per la maggior parte arrivati nel Paese con visti turistici poi scaduti, o giunti dall'Africa in viaggi disperati tramite il Sinai, prima che Israele completasse la barriera al confine con l'Egitto che ha troncato i flussi migratori illegali. A causa della degenerazione del conflitto in Etiopia - per cui ieri Israele ha iniziato ad evacuare i familiari dei propri diplomatici ad Addis Abeba - e in una mossa straordinaria che non accedeva da anni, l'Autorità per l'immigrazione ha deciso di concedere ai tigrini certificati di asilo temporanei in vista della valutazione della situazione umanitaria della commissione competente.
(la Repubblica online, 9 novembre 2021)
Lotta all’antisemitismo, alla Polizia Italiana il premio “King David”
di Francesco Puddu
Anche quest’anno l’European Jewish Association ha voluto ricordare coloro che si sono distinti per iniziative a favore dei cittadini. In particolare a Cracovia, nella giornata di ieri, è stato consegnato al Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Prefetto Lamberto Giannini, il prestigioso premio “King David Award”. La candidatura per il conseguimento dell’importante riconoscimento, come spiega il fondatore e presidente dell’anzidetta associazione, Rabbino Menachem Margolin, è legata all’attività svolta per la tutela della comunità ebraica italiana, per la prevenzione del terrorismo e per l’impegno della Polizia di Stato nella lotta contro l’antisemitismo.
Il prefetto Giannini, nel suo intervento in occasione del ritiro del premio, ha sottolineato come “questo è un riconoscimento al costante lavoro svolto dalla Polizia di Stato e dalle altre forze di polizia a tutela della sicurezza della Comunità ebraica italiana attraverso la prevenzione ed il contrasto di ogni fenomeno criminale discriminatorio. Questi risultati sono anche il frutto del consolidato rapporto tra gli apparati di sicurezza della Comunità ed il Dipartimento della pubblica sicurezza, all’interno del quale è stato istituito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, grazie al quale viene effettuato un monitoraggio quotidiano di tali fenomeni”.
Nel 2022 Roma, come annunciato dall’Associazione Ebraica Europea, ospiterà, non a caso, la Conferenza Annuale nella quale si riuniranno i Capi delle Polizie dei Paesi Europei per discutere e mettere a fattor comune le strategie capaci, in futuro, di arginare, in maniera sempre più incisiva, episodi di odio e violenza nei confronti degli ebrei.
(Sardegnagol, 9 novembre 2021)
La storia degli ebrei in Italia
di Elisa Latella
Oltre il ghetto. Dentro e fuori è il titolo dell'esposizione aperta il 29 ottobre e visitabile fino al 15 maggio 2022, al Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah-Meis di Ferrara.
Una mostra a cura di Andreina Contessa, Simonetta Della Seta, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel e allestita dallo Studio GTRF Giovanni Tortelli Roberto Frassoni.
La storia degli ebrei in Italia è la storia di diritti civili negati o riconosciuti a seguito di cambiamenti istituzionali.
La loro esperienza nei ghetti dura secoli: a partire dal 1516 con l'istituzione del primo, quello di Venezia, fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Nel 1870, con la fine del potere temporale dei Papi, si aprono le porte del ghetto di Roma: gli ebrei potranno vivere da cittadini liberi, fino all'arrivo delle sciagurate leggi razziali del 1938.
Una lunga storia, secondo l'iter narrativo "Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni" curato da Anna Foa, Daniele Jalla e Giancarlo Lacerenza e "Il Rinascimento parla ebraico", a cura di Giulio Busi e Silvana Greco. Due mostre temporanee riunite adesso in una permanente.
L'esposizione comprende opere d'arte - ci sono quadri come "Ester al cospetto di Assuero" (1733), in prestito dal Quirinale, e "Interno di sinagoga" di Alessandro Magnasco (1703), proveniente dalla Galleria degli Uffizi - ma anche documenti d'archivio, oggetti rituali. Troviamo la chiave di uno dei portoni del ghetto di Ferrara (XVIII secolo), il "Manifesto di Sara Copio Sullam" (1621) della Biblioteca del Museo Correr e la porta dell'Aron Ha-Qodesh, l'Armadio sacro (fine del XVIII- inizio del XIX secolo) donato nel 1884 dalla Università Israelitica locale al Museo Civico di Torino.
Gli ebrei in Italia ci sono da sempre: sono forse l'esempio massimo che un popolo ha potuto dare di resilienza. L'esposizione è un viaggio tra l'identità di gruppo e quella individuale: ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica, ed e 'stata realizzata con il sostegno di Intesa San paolo, The David Berg Foundation, Fondazione Guglielmo De Lévy, TPER e il patrocinio del ministero della Cultura, della Regione Emilia-Romagna, del comune di Ferrara, dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane e della Comunità 'Ebraica di Ferrara. Un ringraziamento particolare è stato espresso nei confronti della Fondazione Cdec Centro di documentazione ebraica e all'ambasciatore Giulio Prigioni, scomparso nel 2021.
Ferrara, come nel romanzo Il giardino dei Finzi Contini, continua ad essere un luogo di confine: tra la memoria collettiva e la Storia.
(Conquiste del Lavoro, 9 novembre 2021)
Traduzione del Talmud babilonese, il Rabbino Capo di Roma ad Ancona
Il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, sarà ad Ancona all’incontro “Il Progetto di Traduzione del Talmud Babilonese: Umanesimo e tecnologia in favore del dialogo interculturale”.
Giovedì 11 Novembre 2021 il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, sarà ad Ancona all’incontro “Il Progetto di Traduzione del Talmud Babilonese: Umanesimo e tecnologia in favore del dialogo interculturale”, che si svolgerà alle ore 17:00 presso la sala Boxe della Mole Vanvitelliana. All’evento, patrocinato dal Comune di Ancona, parteciperanno: Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma e Presidente del Progetto Traduzione Talmud Babilonese, Paolo Marasca, Assessore alla Cultura di Ancona, Marco Ascoli Marchetti, Vicepresidente della Comunità Ebraica di Ancona, Roberto Lambertini, Professore di Storia Medievale all’Università di Macerata e David Dattilo, Responsabile Ricerca e Sviluppo Progetto Traduzione Talmud Babilonese e Responsabile Progetto YESHIVA’.
Si tratta di un evento particolarmente importante, testimoniato dalla partecipazione di Rav Riccardo Di Segni, nel quale sarà presentato, per la prima volta ad Ancona, il Progetto di Traduzione italiana del Talmud Babilonese, frutto di un protocollo d’intesa tra Consiglio dei Ministri, MUR, CNR e UCEI-CRI, che rappresenta oggi il più̀ importante, per ampiezza e complessità, progetto di “Umanesimo Digitale”. Un enorme lavoro di studio e ricerca che coinvolge 90 studiosi e personalità̀ di spicco della cultura ebraica in tutto il mondo e che offre l’opportunità, finalmente anche Italia, di accedere e conoscere il Talmud, l’opera più importante dell’ebraismo. Questo imponente lavoro di traduzione viene realizzato attraverso una piattaforma digitale dal nome “Traduco”, un software a base semantica, creata appositamente in collaborazione con l'Istituto di Linguistica Computazionale “A. Zampolli” del CNR di Pisa.
Il primo volume “Rosh Hashanah”, pubblicato nel 2016, è stato donato alla Library of Congress degli Stati Uniti d’America e consegnato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Presidente Israeliano, Reuven Rivlin. Durante la 73esima Assemblea Generale alle Nazioni Unite il Progetto Traduzione Talmud Babilonese è stato presentato in un side event come best practice nell’uso di nuove tecnologie applicate alla cultura che incoraggia il dialogo interculturale e l’inclusione sociale di minoranze.
Ad oggi sono stati pubblicati cinque trattati tutti editi La Giuntina, che hanno riscosso l’interesse di numerosi studiosi e appassionati nazionali e internazionali.
Durante l’evento, questo importante patrimonio culturale verrà presentato finalmente anche ad Ancona, città con una delle più antiche e significative comunità ebraiche in Italia.
(AnconaToday, 9 novembre 2021)
Israele invia aiuti sanitari alla Romania per l’emergenza Covid-19
di Paolo Castellano
La scorsa settimana, il Ministero della Salute di Israele ha inviato aiuti sanitari alla Romania che in questi giorni è alle prese con una nuova ondata di Covid-19. Lo Stato ebraico ha donato 40 bombole d’ossigeno e ha promesso l’invio di un team di medici esperti che questa settimana dovrebbero raggiungere le strutture ospedaliere rumene. Come riporta il Jerusalem Post, l’ambasciata israeliana a Bucarest si è attivata per ricevere la consegna delle bombole d’ossigeno che sono state donate sia dal settore pubblico sia dal settore privato israeliano. Il materiale sanitario è stato infatti offerto da Elbit Systems ed Effie Europe. Invece, a breve, arriverà in Romania un team di esperti medici guidati dal Dottor Rami Sagi, vice capo del dipartimento ospedaliero del Ministero della Sanità dello Stato ebraico. «La Romania è uno dei migliori e più cari amici di Israele e le buone relazioni tra i due paesi hanno una lunga storia. Siamo orgogliosi dell’assistenza che stiamo fornendo», ha sottolineato l’ambasciatore israeliano a Bucarest David Saranga. «Tra le due nazioni ci sono relazioni strategiche che includono una stretta cooperazione economica, sanitaria e culturale. L’assistenza fornita e l’equipe di medici che arriverà questa settimana hanno lo scopo di fornire supporto al sistema sanitario rumeno e sollievo ai pazienti, istruendo i team medici che stanno affrontando la pandemia».
(Bet Magazine Mosaico, 8 novembre 2021)
Israele, il governo agli Usa: "No al consolato per gli affari palestinesi a Gerusalemme"
Il primo ministro Bennett e il responsabile degli Esteri Lapid hanno comunicato all'amministrazione Biden che sono contrari alla riapertura della sede nella città santa, dove la sovranità "è solo di Israele". L'Anp: "Lì è la nostra capitale". La chiusura venne decisa da Trump.
di Sharon Nizza
GERUSALEMME - Non si placano le polemiche intorno alla possibile riapertura del consolato americano per gli affari palestinesi a Gerusalemme. Ieri, rispondendo alle domande dei cronisti in una conferenza stampa dopo il passaggio della legge di bilancio, il premier Naftali Bennett ha ribadito l'opposizione del governo israeliano alla mossa annunciata in campagna elettorale dal presidente Joe Biden. "Non c'è posto per un consolato americano destinato ai palestinesi a Gerusalemme. Lo abbiamo comunicato a Washington", ha detto Bennett, "abbiamo espresso la nostra posizione coerentemente, con calma e senza drammi e spero sia capita. Gerusalemme è la capitale di un solo Stato, Israele". Posizione confermata anche dal ministro degli Esteri, il centrista Yair Lapid (destinato a succedere alla presidenza del Consiglio nell'agosto 2023 secondo l'accordo di rotazione in vigore): "Se gli americani vogliono aprire un consolato a Ramallah, per noi non è un problema. Ma la sovranità a Gerusalemme è solo d'Israele".
• LA REAZIONE PALESTINESE Le affermazioni dei capi dell'esecutivo israeliano sono state duramente attaccate dall'Autorità nazionale palestinese (Anp). "La leadership palestinese accetterà la riapertura del consolato americano solamente a Gerusalemme Est, la capitale dello Stato di Palestina", ha dichiarato Nabil Abu Rudeineh, vicepremier e portavoce della presidenza dell'Anp. "L'amministrazione americana ha riaffermato il suo impegno a ripristinare il consolato a Gerusalemme Est e ci aspettiamo che questa decisione venga implementata presto", ha aggiunto. Tuttavia, il 28 ottobre, il sottosegretario di Stato Usa Brian McKeon, durante un'audizione al Senato, aveva specificato che gli Stati Uniti "necessitano del consenso del governo ospitante per aprire qualsiasi sede diplomatica", lasciando intendere che il parere dell'esecutivo Bennett-Lapid continuerà ad avere un certo peso.
• LA SVOLTA DI TRUMP NEL 2019 Il consolato generale americano a Gerusalemme è stato chiuso come entità diplomatica separata nel 2019, inglobato nella nuova ambasciata statunitense nella città santa e rinominato "Unità per gli affari palestinesi", in seguito alla decisione dell'allora presidente Donald Trump di spostare la sede diplomatica da Tel Aviv a Gerusalemme nel 2017. La sede consolare in questione si trova in un palazzo storico in un quartiere di Gerusalemme ovest, ovvero quella parte della città riconosciuta dalla comunità internazionale come territorio sovrano israeliano, a differenza della parte orientale della città - una divisione che Israele rigetta, considerando l'intera città sua "capitale unica e indivisibile" dopo averla catturata dai giordani in seguito alla guerra dei Sei giorni del 1967.
• L'IPOTESI ABU DIS Pertanto, non è ancora chiaro se il nuovo consolato generale - se verrà aperto - tornerebbe in quella sede o piuttosto traslocherebbe in uno dei quartieri orientali della città. Tra le varie proposte discusse sottobanco vi è anche la possibilità che la nuova sede riapra ad Abu Dis, cittadina adiacente a Gerusalemme esclusa da Israele dai propri confini municipali attraverso il muro di separazione. Anche questa opzione è rigettata dalla leadership palestinese, nonostante sia proprio ad Abu Dis che nel 2000 i palestinesi avevano iniziato la costruzione di un nuovo parlamento, lavori poi sospesi con lo scoppio della Seconda Intifada.
• LA PROMESSA DI BIDEN E BLINKEN Joe Biden, già durante la campagna elettorale, aveva invocato la riapertura della sede consolare. Promessa ribadita anche dal segretario di Stato Antony Blinken il mese scorso durante la visita di Lapid a Washington. In conferenza stampa con il ministro degli Esteri israeliano, aveva risposto ai giornalisti che l'amministrazione "andrà avanti con il processo di apertura di un consolato come parte del consolidamento delle nostre relazioni con i palestinesi". Relazioni che durante l'amministrazione Trump avevano registrato i minimi storici e che la nuova leadership americana vorrebbe rivitalizzare, senza però farne una priorità della propria politica estera. Sempre durante la missione statunitense di Lapid era emerso che, in conversazioni a porte chiuse, questi aveva avvertito l'amministrazione Biden del potenziale esplosivo della riapertura del consolato per la tenuta della fragile coalizione di governo - che da giugno vede alleati otto partiti agli antipodi con una maggioranza risicata. Per risollevare l'argomento, gli americani si erano impegnati ad attendere il superamento dello scoglio critico dell'approvazione della legge di bilancio, arrivato venerdì.
• ASPETTANDO IL NUOVO AMBASCIATORE È opinione comune che una decisione in merito non verrà presa prima dell'insediamento del nuovo ambasciatore Usa a Gerusalemme. La sede è tuttora vacante da gennaio, nonostante la nomina presidenziale a giugno di Thomas Nides, già sottosegretario di Stato durante il primo mandato Obama. La nomina di Nides è stata ratificata dal Senato due giorni fa. Con ogni probabilità questo sarà il primo serio banco di prova con cui vagliare la sinergia nelle relazioni israelo-americane nell'epoca post Netanyahu-Trump.
(la Repubblica, 8 novembre 2021)
Cybersicurezza: sei attivisti palestinesi hackerati da spyware israeliano Pegasus
GERUSALEMME – Alcuni ricercatori nell’ambito della sicurezza hanno rivelato oggi che lo spyware Pegasus della società israeliana Nso è stato rilevato nei cellulari di sei attivisti palestinesi per i diritti umani, metà dei quali affiliati a gruppi che il ministro della Difesa israeliano ha dichiarato legati al terrorismo in una dichiarazione controversa. Si tratta del primo caso noto di attivisti palestinesi presi di mira da Pegasus. Il suo uso contro giornalisti, attivisti per i diritti umani e dissidenti politici, dal Messico all’Arabia Saudita, è stato documentato dal 2015. Un ‘contagio’ riuscito da parte di Pegasus dà alle intrusioni accesso a qualunque cosa una persona immagazzini e faccia sul suo telefono, incluse le comunicazioni in tempo reale.
Non è chiaro chi abbia messo lo spyware Nso sui telefoni degli attivisti, riferisce il ricercatore che per primo ne ha rilevato la presenza, Mohammed al-Maskati dell’organizzazione no profit Frontline Defenders, con sede in Irlanda. Poco dopo che le prime due intrusioni sono state identificate a metà ottobre, il ministro israeliano della Difesa Benny Gantz ha dichiarato organizzazioni terroristiche sei gruppi palestinesi della società civile. Sia Frontline Defenders, sia due delle vittime ritengono Israele il principale sospettato e credono che la designazione possa essere avvenuta per provare a mettere in ombra la scoperta degli hackeraggi, ma non hanno fornito prove per comprovare queste affermazioni.
(LaPresse, 8 novembre 2021)
Il drone kamikaze israeliano Harop ha distrutto il complesso TOR-M2KM
Il sistema missilistico antiaereo TOR-M2KM di fabbricazione russa è stato distrutto dal velivolo senza pilota israeliano Harop durante il conflitto armato nel territorio del Karabakh. Questo è il secondo sistema missilistico antiaereo di questo tipo, perso durante un conflitto armato di 44 giorni: il primo complesso TOR-M2KM è stato distrutto da un attacco aereo senza pilota Bayraktar TB2.
Sui fotogrammi video presentati, puoi vedere il momento di colpire il complesso TOR-M2KM. A quanto pare, quest'ultimo non è stato attivato ed è quindi diventato un semplice bersaglio per il drone israeliano. Dato che la maggior parte dei complessi distrutti sono stati distrutti in uno stato attivato, sorge la domanda su come l'esercito azero sia riuscito a trovare questo sistema di difesa aerea.
L'Armenia non commenta ufficialmente la perdita del secondo sistema di difesa aerea TOR-M2KM. Allo stesso tempo, tenendo conto dei rapporti ufficiali, la perdita del complesso non è stata ancora segnalata, sebbene in precedenza si ritenesse che i complessi della famiglia "TOP" fossero i più efficaci nella lotta contro i droni kamikaze.
Va notato che, secondo dati non ufficiali, durante il conflitto di 44 giorni in Karabakh, solo un sistema di difesa aerea TOR-M2KM è rimasto in servizio con l'Armenia - tutti gli altri veicoli da combattimento sono stati distrutti.
I militari della Repubblica popolare cinese si sono avvicinati all'attuazione del loro progetto di un sistema missilistico ipersonico, che può confrontare nelle sue capacità di combattimento con il sistema missilistico russo Avangard. Secondo i dati forniti dai media cinesi, nell'ambito dei test effettuati nell'agosto di quest'anno, i militari sono riusciti ad accelerare il missile ipersonico a una velocità di 19720 km/h, che supera la cifra di 16 MAX.
La RPC ha già in servizio missili ipersonici, uno dei quali è di natura più tattica, poiché la loro portata non supera i 3mila chilometri. Tuttavia, i test di agosto indicano che la RPC ha già raggiunto la Russia, accelerando il missile ipersonico a una velocità di oltre 16 MAX. Il raggio di volo del missile era di oltre 18 mila chilometri, che supera persino gli indicatori dell'avanguardia russa, tuttavia, con un tasso di sviluppo russo di oltre 20 MAX, la Cina è ancora in ritardo rispetto alle tecnologie ipersoniche russe.
In precedenza, l'agenzia di stampa Avia.pro ha già pubblicato filmati video, che presumibilmente hanno catturato un missile ipersonico testato dai militari della RPC - a giudicare dall'enorme coda di fiamma, il razzo è stato davvero in grado di sviluppare una velocità incredibile, tuttavia, Pechino ufficiale ha finora negato informazioni sui test.
(Avia.pro, 8 novembre 2021)
Lo spartiacque dell’ebraismo italiano
di Ariela Piattelli
La prima riunione di Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che si è svolta ieri a Roma, e in cui è stata riconfermata Noemi Di Segni come Presidente dell’Ucei, anticipa e ritrae il duello in seno all’ebraismo italiano nei prossimi quattro anni.
La formazione di una giunta, presentata dalla Presidente, che sostanzialmente esclude i rappresentanti delle liste di maggioranza delle grandi comunità di Roma e Milano, e la convergenza in essa dei delegati delle piccole comunità, esprimono uno spartiacque politico. Uno spartiacque in cui le maggioranze che governano le grandi comunità ebraiche italiane di Roma e Milano, guidate rispettivamente da Ruth Dureghello e Walker Meghnagi, nel consiglio dell’UCEI passano all’opposizione, e la scelta di affidare la giunta a liste di minoranza nelle grandi città e ai rappresentanti delle piccole comunità, prefigurano uno scenario politico in cui non sono soltanto i temi e le istanze a dividere ma anche l’anatomia territoriale dell’Italia ebraica.
La necessità dell’unità auspicata dagli schieramenti, si è rivelata il suo esatto opposto. E gli schieramenti, sempre più lontani tra loro, sono destinati a confrontarsi sui temi e le urgenze dell’Italia ebraica. Si annuncia un dialogo difficile, in cui i consiglieri che rappresentano l’espressione alle urne del 58% dell’ebraismo romano ed il 75% di quello italiano, dovranno far sentire la loro voce fuori dal coro della Giunta, cercando di continuare ad esprimere e realizzare le idee dei loro elettori.
(Shalom, 8 novembre 2021)
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“Escluse Roma e Milano. È inaccettabile"
L’intervento di Ruth Dureghello al primo Consiglio Ucei
La giunta dell’UCEI, appena formata dalla neopresidente Noemi Di Segni, non vedrà la presenza di Per Israele: la lista romana, guidata da Ruth Dureghello, aveva registrato più del 40% alla tornata elettorale del 17 ottobre, confermandosi la più votata dagli ebrei romani.
Sull’esclusione dei consiglieri Per Israele eletti è intervenuta la Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello: “È inaccettabile la proposta di giunta per i prossimi quattro anni – ha affermato Dureghello – È una decisione scellerata. L’attuale statuto vuole dare pari dignità a tutte le comunità, ma quello statuto è diventato lo strumento per affermare una divisione, una spaccatura evidente, per mettere all’angolo, in modo antidemocratico, e assolutamente non ebraico, una larga fetta degli ebrei italiani che si è espressa a Milano e a Roma per la lista Per Israele e in altre liste a Roma e Milano una rappresentanza autorevole fatta da persone che si sono messe a disposizione nel tentativo di trovare formule di dialogo e condivisione, scambiate in questa sede come segno di debolezza. L’esclusione di Rav Alfonso Arbib dal Consiglio UCEI è un attacco gravissimo all’ebraismo. Continuerò a proporre il metodo di Roma in una modalità di visione di futuro di priorità, in un ebraismo fatto di piccoli numeri, di pochi giovani, di problematiche sociali, davanti alle quali non ci siamo mai tirato indietro. Continuerò a lavorare per l’ebraismo italiano, ma non a queste condizioni, quando si vede esclusa la componente eletta degli ebrei romani e milanesi, che non si vedono in alcun modo rappresentati.”
(Shalom, 7 novembre 2021)
Gli ebrei italiani: un panda da proteggere?
di Rav Scialom Bahbout
L’attuale situazione demografica dell’Ebraismo italiano e la progressiva diminuzione del numero degli iscritti e la scomparsa di alcune comunità, al di là della loro presenza “ufficiale” sulle pagine dei lunari odierni, è un dato che fa riflettere. Le comunità italiane hanno accolto nel dopoguerra molti immigrati soprattutto ma non solo dai paesi orientali, cosa che ha permesso di mantenere un certo equilibrio demografico e “religioso”. Comunque c’è una naturale tendenza a non voler vedere in faccia la verità: con questo trend varie comunità saranno destinate a scomparire, e anche le due comunità maggiori nel giro di pochi anni saranno progressivamente ridimensionate. In genere la responsabilità della situazione viene addossata ai rabbini “incapaci” di avvicinare gli ebrei alla tradizione e insensibili alle richieste di conversione provenienti da varie persone e alla richiesta di facilitazioni nell’osservanza delle mizvoth, alla mancanza di lezioni ecc. E’ facile scaricare tutto sulle poche persone che svolgono un’opera molto difficile, spesso in assoluto isolamento, mentre sarebbe necessario disporre di molte più persone: rabbini, educatori, madrikhim …. Tra coloro che si allontanano dall’ebraismo troviamo i figli di madre ebrea, che ha contratto matrimonio misto, e sono considerati sic et simpliciter come ebrei, ma che spesso vengono dimenticati e non vengono seguiti con la stessa attenzione con cui avviene per le persone che chiedono di convertirsi. Dai dati a disposizione, risulterebbe che spesso i figli di sola madre ebrea vengono dimenticati e finiscono per assimilarsi più facilmente dei figli di padre ebreo (anche quando questi passano attraverso un atto di conversione). Le scuole ebraiche si sono dimostrate comunque un grande strumento per rafforzare l’identità ebraica dei giovani, ma esistono altre vie che vanno utilizzate specie per coloro che non frequentano le scuole ebraiche: in questi casi bisogna studiare dei percorsi educativi e culturali alternativi. Inoltre, sarebbe necessario monitorare con attenzione cosa accade sia nelle comunità grandi (dove la percentuale di assimilazione è certamente più bassa) che in quelle più piccole dove i numeri sono appunto preoccupanti: è un’attività che non può essere svolta dai pochi rabbini già impegnati in altre cose. Il problema è in realtà molto più complesso e le responsabilità sono molteplici. I rabbini, ma anche i consigli delle Comunità, interessati a risolvere i problemi, spingono per ricorrere a conversioni più semplici e paventano la possibilità di rivolgersi ai riformati (una specie di spauracchio!). Una conversione “riformata” non risolve la situazione: se paradossalmente facilita chi vuole fare l’aliyà perché la conversione riformista viene riconosciuta dal governo di Israele per la ‘aliyà, in pratica finisce per aggravarlo in quanto crea l’illusione di avere risolto il problema: questi nuovi convertiti non possono iscriversi a una Comunità ebraica italiana. Insomma chi ha intenzione di trasferirsi in Israele, può percorrere una strada in apparenza più vantaggiosa perché conosce la durata del percorso della sua conversione e preferisce sistemare le cose una volta arrivato in Israele, ma anche lì incontrerà non poche difficoltà.
• UN GRUPPO DI EBREI PUO' DIVENTARE COMUNITA': COME?
Intanto bisogna chiedersi cosa fa di un gruppo di ebrei una Comunità: una tefillà con minian almeno nei sabati e nelle feste, lezioni regolari di Talmud Torà per ragazzi e adulti, un mikvè funzionante e usato, servizi di kasheruth e di assistenza sociale. Vi sono realtà riconosciute come Comunità che mancano di queste caratteristiche essenziali, ma vengono dichiarate erroneamente Comunità. La mancanza di certi servizi non impedisce certo di organizzare attività come conferenze, visite alla sinagoga ecc. per evidenziare una presenza, un “presidio” ebraico nel territorio: chi si dedica a queste attività e rimane in località dove di fatto la comunità non può svolgere la sua piena funzione è una specie di “eroe” che rinuncia a molto. E’ assimilabile a quegli inviati di Habad che vengono spediti nei luoghi più sperduti per aiutare altri ebrei a rimanere tali. Loro però godono di un supporto internazionale che non li abbandona mai e li aiuta costantemente anche nel provvedere all’educazione dei figli. Vi sono viceversa realtà con una popolazione e un’attività ebraica più ampia che non vengono considerate comunità, perché l’Intesa non ne contempla l’esistenza. Insomma l’uso del termine Comunità non richiede il riconoscimento ufficiale dello Stato, ma quello di una base che si riconosce nel progetto, dove i partecipanti si impegnano con tutto se stessi perché credono che l’Ebraismo abbia valori da proporre all’uomo moderno e alla società in cui vivono. Se si vuole modificare l’attuale trend, le Comunità (attraverso i rabbini e ogni altro ebreo idoneo) devono andare alla ricerca di iscritti e non iscritti per offrire un’assistenza che non può limitarsi alle ufficiature. Bisogna andare a cercare ogni ebreo e non aspettare che riceva l’ispirazione ad avvicinarsi; bisogna creare occasioni di incontro per creare gruppo e creare anche nuove famiglie (non deve essere un tabù parlare di questa necessità e opportunità!), bisogna impegnarsi affinché il livello della cultura ebraica delle persone non si limiti alla conoscenza dei programmi per il Bar e Bat mizvà. E’ soprattutto l’ignoranza che allontana le persone dall’ebraismo: rav Adin Steinzalz z.z.l. – che ha scritto un nuovo commento al Talmud e non solo – proveniva da una famiglia non religiosa, ma il padre gli disse: un ebreo può essere un eretico, ma non un ignorante, e lo mandò a studiare dal nonno…. L’ebraismo italiano e quindi le Comunità e l’Unione delle Comunità devono investire molte più risorse nell’insegnamento della Torà e della cultura ebraica in generale, devono dedicare molto più tempo ad elaborare progetti e attività culturali che non siano solo la storia della Shoà, l’antisemitismo ecc. E’ quindi necessario proporre una nuova visione per rilanciare il messaggio ebraico oggi, elaborando una proposta con delle idee che possano costituire un riferimento per ogni ebreo e per chiunque voglia affiancare il popolo ebraico, secondo i principi di Noè. In fondo nella Bibbia troviamo gli Irè hashem, i timorati del Signore: questi vengono ricordati nell’Hallel (Salmi 114 – 118) tra coloro che lodano il Signore e sappiamo che nell’Impero romano c’erano molte persone vicine alle idee espresse nella Torà, pur non avendo intenzione di convertirsi, perché consapevoli dei problemi cui sarebbero andati incontro.
• LA RESILIENZA EBRAICA SECONDO J.J. ROUSSEAU
Una spinta ottimistica che questo possa ancora accadere potrebbe venire dalle parole di Jean Jacques Rousseau, un illuminista certamente non vicino al mondo ebraico, che scrive a proposito del popolo ebraico:
«… questa singolare nazione, così spesso soggiogata, così spesso – all’apparenza – dispersa e distrutta …. si è tuttavia conservata fino ai giorni nostri sparsa tra le altre senza confondervisi; e che i suoi costumi, le sue leggi, i suoi riti, sussistono e dureranno quanto il mondo, nonostante l’odio e le persecuzioni del resto del genere umano. … Ma è uno spettacolo stupefacente e veramente unico vedere un popolo senza patria, privo di tetto e di terra da circa 2000 anni, un popolo misto di stranieri, forse senza più un solo discendente delle primitive razze, un popolo sparso disperso sulla terra, asservito e perseguitarlo, disprezzato da tutte le nazioni che, nondimeno, conserva le sue caratteristiche, le sue leggi, i suoi costumi, il suo amore patriottico per l’originaria unione sociale, quando tutti i legami sembrano spezzati. Gli ebrei ci danno un sorprendente spettacolo: le leggi di Numa, di Licurgo, di Solone sono morte; quelle di Mosè, ben più antiche sono sempre vive. Atene, Sparta e Roma sono perite e non hanno più lasciato figli sulla terra; Sion distrutta non ha perso i suoi. Essi si mescolano tra tutti i popoli e non si confondono mai; non hanno più capi e sono sempre un popolo; non hanno più patria, e sono sempre cittadini. Quale deve essere la forza di una legislazione capace di operare simili prodigi, capace di sfidare le conquiste, le dispersioni, le rivoluzioni, gli esili, capace di sopravvivere ai costumi, alle leggi, all’autorità di tutte le nazioni, che, infine, per queste prove promette loro di continuare a sostenerli tutti, di vincere le umane vicissitudini, e di durare quanto il mondo? …. Chiunque deve riconoscervi una meraviglia unica, le cui cause, divine o umane, certamente meritano lo studio e l’ammirazione dei saggi più di tutto quello che la Grecia e Roma offrono di ammirabile in materia di istituzioni politiche e di insediamenti umani.»
A distanza di oltre due secoli, dopo gli eventi che hanno caratterizzato la storia del popolo ebraico dalla rivoluzione francese in poi, cosa direbbe oggi J.J. Rousseau e, soprattutto, cosa abbiamo da dire noi, che abbiamo attraversato la Shoà prima e la nascita dello Stato d’Israele dopo?La persecuzione, la deportazione e la faticosa rinascita del dopoguerra, dopo la fondazione dello Stato ebraico, dove oggi risiede una Comunità ebraica italiana che si è sviluppata e notevolmente rafforzata negli ultimi due decenni, ma che non gode di alcun riconoscimento da parte dell’Unione. E’ lecito domandarsi se l’ebraismo italiano possa identificarsi con le parole di Rousseau e quali sono le strategie che mette in campo per garantire quella fedeltà così ben descritta da Rousseau? In che misura la Comunità ebraica italiana, così ridotta nei ranghi sta elaborando nuove strategie per garantire il proprio sviluppo futuro?
• COSA HA CONTRIBUITO ALLA RESILIENZA EBRAICA…
La domanda è cosa ha contribuito a formare il carattere “resiliente” del popolo ebraico e che potrebbe spingerci a rinnovare e riaffermare con forza il patto? Cosa ha impedito che gli ebrei potessero continuare a creare cultura e a partecipare alla vita del mondo, senza fare la fine di altri popoli ben più grandi e potenti, che crescevano e poi arrivavano a un declino per scomparire poi dalla scena della storia.Una risposta “tecnica” a questa domanda proponeva rabbi Nachman Krochmal (1785-1840). L’autore della Guida degli smarriti del nostro tempo sostiene che la teoria di Giambattista Vico secondo la quale tutti i popoli sorgono e tramontano nel tempo, non può essere applicata al popolo d’Israele: infatti costituisce una eccezione alla teoria vichiana della storia. A questa contraddizione, risponde rabbi Krokhmal: esistono due modalità secondo le quali si sviluppa la storia: gli altri popoli sorgono e tramontano nel tempo, Israele, per avere accettato e stipulato il patto alle pendici del Sinai, gode della protezione divina e vive sotto il segno dell’eternità e non può tramontare whatever it takes.Ma non possiamo appoggiarci solo sulla promessa, dobbiamo anche fare e reinventare qual è oggi il senso dell’identità ebraica e come può porsi nella linea del patto stipulato ai piedi del Sinai.
• COSTRUIRE UNA NUOVA ARCA DI NOE'
Penso che nel corso della storia la capacità critica che possiamo far risalire alla scelta antiidolatrica di Abramo, alla capacità di accoglienza, alla lotta contro l’idea di un Dio che ama il sacrificio degli esseri umani e considera il dolore un privilegio; un sistema di vita che ha sempre rispettato il valore della vita umana e di quella degli altri esseri viventi, animali o vegetali, stabilendo che è una mizvà piantare nuovi alberi, e aiutare il prossimo senza aspettare che lo faccia lo Stato. Questa capacità critica deve essere corroborata dallo studio dell’ebraismo, assieme a quello dello studio delle scienze, inteso come parte integrante dei doveri di ogni uomo, e soprattutto da un sistema di vita attento non solo alle dichiarazioni, ma impegnato nell’applicazione giorno per giorno a rispettare la legge non per dovere, ma per piacere (fino a ballare con la Torà). La presenza ebraica serve non solo agli Ebrei, ma alla società tutta perché ogni componente dell’umanità ha una sua funzione: non c’è nessun bisogno di trascinare gli altri verso l’ebraismo, ma di educarli ad accettare i principi universali di Noè. Ciò che ha meravigliato gli altri è stata l’unità del popolo ebraico, un esempio da imitare per affermare e raggiungere l’unità del genere umano, per la soluzione dei problemi che abbiamo in comune: da quello della povertà, a quello del clima, prevenendo e rinunciando all’uso delle cose che la tradizione ebraica considera Motaròt, cioè inutili e superflue, che possono servire solo il singolo e non la collettività. L’unità deve essere perseguita e raggiunta anche da noi senza creare discriminazioni verso coloro che si ispirano al Hassidimo, al mondo haredì, a una visione universalista che sia anche sempre rispettosa della specificità e identità ebraica. Non dobbiamo aspettare di essere costretti a risolvere un problema, solo quando siamo con l’acqua alla gola. Se pensiamo all’emergenza clima, possiamo rifarci a Noè e alla costruzione dell’Arca, che simboleggia la Terra intera, la cui distruzione, nonostante gli allarmi di Noè, nessuno prese sul serio, come nel caso del clima. Le guerre e le controversie furono eliminate nell’Arca: per tutto il periodo del Diluvio, il lupo e l’agnello condivisero gli stessi spazi e vissero d’amore e d’accordo. In quel caso non avevano alternative, ma ci sarà un tempo in cui i popoli si avvieranno per salire sul Monte di Sion e la convivenza sarà automatica e convinta, e la Terra sarà piena della conoscenza del Signore, gli uomini spezzeranno le proprie spade per farne aratri, nessun popolo alzerà la spada verso l’altro e non si imparerà più a fare la guerra (Isaia cap. 2). Nel frattempo gli ebrei devono impegnarsi a rafforzare le proprie basi, che sono nella Torà, dove ognuno può e deve avere una sua parte, come diciamo nelle preghiere. “Ten chelkènu betoratèkha”, dacci la nostra parte nella tua Torà: una parte che comprende studio, applicazione della zedakà, dell’amore per il prossimo, dell’insegnamento all’osservanza delle mizvoth e molte altre cose ancora, ognuno secondo le sue inclinazioni.
(Kolòt, 7 novembre 2021)
Chi sono gli ebrei che vivono oltre la linea armistiziale del 1949?
Lo spiegano loro stessi in un libro di interviste
di Ugo Volli
Anche senza contare i quartieri di Gerusalemme, oggi ci sono almeno seicentomila israeliani che vivono oltre le linee armistiziali del 1949 in Giudea e Samaria, cioè in quella zona, che ha la dimensione della metà dell’Abruzzo, che spesso viene definita con un nome inventato “Cisgiordania”. I media e buona parte dei politici internazionali si ostinano a chiamarli “coloni”, richiamando ricordi ottocenteschi di sfruttamento di popolazioni asiatiche e africane da parte delle potenze europee. Ma la situazione è del tutto diversa, perché la nazione ebraica proviene proprio da queste terre e vi è stata sovrana per oltre un millennio, prima di essere espulsa con la forza. E poi perché gli abitanti ebrei di queste zone non vivono affatto sfruttando gli altri, semmai li arricchiscono con la loro industriosità; né si sono impadroniti di materie prime che qui mancano.
I “coloni” comunque sono la categoria di israeliani più diffamata dai media, anche peggio dei charedim (quelli che vengono chiamati di solito “ultraortodossi”) con cui essi sono anche impropriamente confusi. Essi sarebbero il principale ostacolo alla pace, il nemico implacabile degli arabi, violenti, visionari, “messianici”, magari “fascisti” - così ci viene detto ogni volta che se ne parla. Vengono boicottati; si cerca di impedire che i loro prodotti, per esempio l’ottimo vino che producono, sia marchiato come israeliano; le loro istituzioni universitarie e di ricerca, per esempio la buona università di Ariel frequentata anche da parecchi arabi, sono oggetto di boicottaggio accademico. Ma nessun giornalista internazionale, a mia memoria, si è sforzato onestamente di capire chi sono e che cosa pensano.
L’ha fatto finalmente in un libro un giornalista italiano esperto di Medio Oriente, Pietro Frenquellucci, già all’Ansa e al Messaggero. Frenquellucci condivide alcune delle opinioni critiche contro gli abitanti delle comunità insediate oltre la linea armistiziale, tant’è vero che ha intitolato il suo libro Coloni (LEG Edizioni, Gorizia), pur aggiungendoci un sottotitolo positivo: “gli uomini e le donne che stanno cambiando Israele e cambieranno il Medio Oriente”. Spesso nel corpo del libro avanza l’obiezione che l’esistenza di ebrei oltre la linea armistiaziale sia il principale ostacolo alla pace. Ma fa una cosa semplice e importante, un lavoro giornalistico vero che mancava: dà voce a queste persone, li ascolta e riporta onestamente la loro posizione. Il libro si compone di una dozzina di lunghe interviste, riportate a racconto, cioè senza le domande, più due interviste finali vere e proprie, in cui parlano due fra gli israeliani di origine italiana più noti, l’ex vice sindaco di Gerusalemme, David Cassuto e il demografo dell’Università ebraica di Gerusalemme, Sergio Della Pergola, sentiti come esperti.
Più che dalle loro opinioni, certamente utili, il libro trae interesse dalle testimonianze di persone come Fabio Anav, che abita a Shekev; Jonathan Segal, a Neve Daniel; Noam Arnon, portavoce della Comunità di Hebron; Elyakim Haetzni, che l’ha fondata e ora sta nella collina accanto, a Kiryat Arba; Annalia Della Rocca, che abita a Bet El; Ariel Viterbo a Alon Shvut e diversi altri ancora. Non solo tanto discussioni geopolitiche o storiche, ma racconti di vita: l’immigrazione in Israele, l’insediamento da qualche parte nelle città e nei villaggi, la scelta di venire in Giudea e Samaria, talvolta la difficile fondazione delle nuove comunità, il lento passaggio dalle prime baracche alle cittadine ben costruite d’oggi, le regole di funzionamento delle comunità, i rapporti personali e collettivi con i vicini arabi, gli ostacoli che la politica e il pregiudizio internazionale pongono alla vita e allo sviluppo economico dei villaggi, le ragioni ideali, religiose, politiche o pratiche che hanno guidato la scelta di questo insediamento, l’amore per la terra e la sua bellezza.
Da tutte queste storie, spesso molto belle e partecipate, sempre espresse con grande onestà, senza paura di dar fastidio o essere posti all’indice, esce un quadro interessante e frastagliato. Il primo dato, che non è una sorpresa per chi conosce almeno un po’ Israele ma per molti altri lo sarà, è che non c’è un “movimento dei coloni”, unitario e compatto. Le esperienze sono molto differenziate, c’è chi per spiegare le proprie scelte apre le Scritture e cita i viaggi di Abramo o le battaglie dei Giudici, e chi semplicemente parla del costo della vita e del prezzo delle case o della possibilità di vivere meglio che in città; chi parla della storia del Novecento, dei pogrom di Hebron o delle ripetute distruzioni subite da chi si era insediato già sotto gli inglesi al Gush Etzion, e chi indica ragioni strategiche, il bisogno di difendere il paese. La seconda cosa che emerge con chiarezza è che nessuna di queste persone è fanatica, millenarista o “messianica”, che nessuno è nemico degli arabi in quanto tali o tanto meno razzista, che l’atteggiamento è in genere dialogico, lucido, colto e maturo. La terza cosa è la rivendicazione di una continuità con il periodo di fondazione dello stato di Israele, l’insediamento (Yishuv) che durò per la prima metà del Novecento: la stessa volontà di intraprendere, di radicarsi, di essere utili, di risolvere i problemi con le proprie mani, di affrontare i sacrifici necessari per stare sulla terra che si ama. L’ultimo dato rilevante è l’idea diffusa che gli insediamenti siano lì per restare. Se il governo di Israele decidesse di smantellarli molti accetterebbero l’ordine, altri proverebbero a resistere. Ma nessuno crede che sia possibile, nel medio termine, un accordo con l’Autorità Palestinese che comportasse il loro sradicamento, perché ciò sarebbe, nell’opinione generale, non la fine di questi villaggi, ma la resa di Israele a chi lo vuole distruggere.
(Shalom, 7 novembre 2021)
Memoria della deportazione degli Ebrei di Firenze Cultura
FIRENZE – La Comunità di Sant’Egidio ricorderà martedì 9 novembre 2021 a Firenze, alle 18.15, nel piazzale della sinagoga, insieme alla Comunità Islamica e i rappresentanti di associazioni e altre religioni e confessioni, accolti dalla Comunità Ebraica, la deportazione degli Ebrei fiorentini, avviata il 6 novembre 1943 dal comando nazista. Vennero arrestate oltre 300 persone. Il 9 novembre furono caricate sui treni diretti verso Auschwitz, dove arrivarono il 14 novembre. Solo 107 superarono la selezione per l’immissione nel campo: gli altri vennero immediatamente eliminati.
Nell’elenco dei deportati figuravano anche otto bambini nati dopo il 1930 e 30 anziani, nati prima del 1884. I tedeschi avevano completato l’occupazione di Firenze nel settembre 1943. Qui i nazisti poterono contare per la razzia sul sostegno attivo dei fascisti, in particolare su quello della banda Carità.
Degli Ebrei deportati nei lager dal 6 novembre del ’43 in poi, solo 15 tornarono indietro: otto donne e sette uomini.
(Stamp Toscana, 7 novembre 2021)
Sir Frank Lowy: da figlio della Shoah a filantropo internazionale
Dall’Ungheria a Israele all’Australia. Dopo un’infanzia di fughe, persecuzione e sofferenze, è iniziato il formidabile percorso verso il successo. Co-fondatore della Westfield, impresa multinazionale e multimiliardaria, Frank Lowy è stato nominato Cavaliere del Regno Unito dalla Regina Elisabetta. Un tycoon dalla vita rocambolesca.
di Marina Gersony
La storia della vita di Frank Lowy rappresenta una significativa espressione del riscatto del popolo ebraico dopo l’Olocausto. Lui non si è mai arreso al destino né autocompatito, e questo è il motivo perché è riuscito con successo a trasformare una tragedia personale in un successo fenomenale», ha dichiarato Reuven Rivlin, ex presidente di Israele. E ancora: «La storia di Frank è la storia dell’Australia» ha ribadito a sua volta il media tycoon Rupert Murdoch.
Sono solo alcuni dei commenti nei confronti di Frank Lowy, uomo d’affari australiano-israeliano con un patrimonio personale da capogiro (basta googlare per avere un’idea) e una vita da romanzo. Dopo un’infanzia di fughe e sofferenze, è iniziato il formidabile percorso verso il successo tra battaglie commerciali, squadre di calcio, polemiche, impegni nel sociale, l’appassionato appoggio a Israele e la politica internazionale. Filantropo, co-fondatore della Westfield di cui è stato presidente di lunga data (impresa multinazionale e multimiliardaria oggi diffusa in mezzo mondo), un invidiabile elenco di acquisizioni – case sontuose, aerei e barche, – Sir Lowy è stato tra l’altro nominato cavaliere per il suo contributo all’economia del Regno Unito dalla Regina Elisabetta. Scrive a proposito la sua biografa Jill Margo: «Non c’erano limiti all’energia che Frank avrebbe impiegato per andare avanti. Lui era l’azienda e qualsiasi cosa fosse capitato all’azienda sarebbe capitata lui».
Qual è la storia di questo ultimogenito di una pia famiglia ebraica di origine slovacca che è riuscito a fondare un impero? Come ha fatto il ragazzo di bottega che preparava panini, cresciuto in povertà e vissuto in pericolo costante, a diventare un multimiliardario grazie alle proprie forze e al proprio intuito? Cosa si cela dietro la personalità di questo abile negoziatore amato ma anche invidiato, capace di essere duro e intransigente e soprattutto mai disposto a perdere? E infine, quanto ha influito nella sua vita il suo passato di figlio della Shoah, celato per anni nel cuore per paura di farsi travolgere da ricordi devastanti? Ritroviamo la parabola umana di questa leggenda vivente del business mondiale nel libro fresco di stampa Frank Lowy. Oltre il limite. Una vita di Jill Margo, pubblicato e curato dall’editore Moretti & Vitali (traduzione Marisa La Greca e Pier Andrea Bongiorno; pp. 408; € 25,00).
• L’infanzia in Slovacchia, la fuga, la Soluzione Finale
Nato nel 1930 a Fiľakovo, nel Sud della Slovacchia, ultimogenito di Hugo e Ilona Lowy, Frank visse i primi anni in una minuscola comunità ebraica composta da una quarantina di famiglie di fede saldissima e legate alle tradizioni. Pur essendo molto amato, il bambino si rese presto conto della ferocia del mondo esterno, dei sentimenti antisemiti diffusi e della necessità di non far mai trapelare debolezze ed emozioni. Quando iniziarono i trasporti nei campi di concentramento, i suoi genitori decisero di trasferirsi con i figli a Budapest dopo la notizia della sparizione di alcuni parenti. Ma la sopravvivenza per i cittadini ebrei non era garantita neppure nell’Ungheria sotto occupazione tedesca. In quei giorni gli ebrei erano facilmente riconosciuti da una marcata lettera «Z», che stava per Zsidó, ebreo in ungherese. Dopo un interludio di illusorio benessere, la famiglia Lowy, così come gli ebrei in città, dovettero fare i conti con le restrizioni e poi le persecuzioni, culminate con l’agghiacciante massacro compiuto dai miliziani del Nyilaskeresztes Párt – Hungarista Mozgalom, il «Partito delle Croci Frecciate – Movimento Ungarista» che sotto la guida di Ferenc Szálasi governò l’Ungheria dal 15 ottobre 1944 al gennaio 1945 collaborando con i nazisti nella deportazione e nello sterminio di migliaia di ebrei. Non ultimi quei disgraziati legati a gruppi di tre e uccisi con un colpo alla nuca e poi gettati nelle acque gelide del fiume (Oggi, un’installazione raffigura delle scarpe poste sul ciglio del Danubio a Budapest per ricordare quell’atto infame).
• Alla ricerca del padre
Una sorte tragica toccò anche a Hugo, il padre dell’allora piccolo Frank, rinchiuso nel campo di concentramento di Kistarcsa delle SS per prigionieri politici gestito dalla polizia ungherese, situato a una ventina di chilometri da Budapest. Dopo aver scritto qualche lettera ai famigliari, Hugo scomparve senza lasciare traccia e la famiglia non lo vide più. L’infanzia di Frank, František, Ferike, Feri o Tata, come lo chiamavano affettuosamente in casa, si spezzò così per sempre. L’allora tredicenne non avrebbe mai più dimenticato il canto malinconico del rabbino al Tempio: «Chi vivrà e chi morirà; chi morirà dopo una lunga vita e chi prima del suo tempo; chi perirà per il fuoco, chi per l’acqua; chi per la spada e chi per la belva».
Solo molti decenni dopo Frank Lowy venne a sapere grazie a un’incredibile casualità che il padre era stato portato ad Auschwitz dove, rifiutandosi di consegnare una borsa contenente il suo Tallet, fu picchiato a morte all’arrivo: «La scomparsa di mio padre ha avuto un impatto enorme su di me e in particolare la scoperta del suo destino – ha raccontato emozionato in un’intervista a The Australian –. Ricordo quando è stato portato via, non avevamo idea di dove fosse, e stavo a guardare alla finestra, giorno dopo giorno aspettando il suo ritorno. Ricordo distintamente ogni minuto di quei giorni». Quell’esperienza traumatica contribuì a forgiare la personalità di quel giovane precocemente segnato dagli eventi tragici del XX secolo portandolo a una vita di incredibili successi e soddisfazioni nonostante il peso di un passato impossibile da metabolizzare.
• Palestina, Australia, Israele, una corsa verso il successo
Ricostruire la vita di questo uomo fuori dal comune deve essere stata un’impresa tutt’altro che facile a sentire Jill Margo, tra le giornaliste australiane più autorevoli che gradualmente è riuscita a guadagnarsi la fiducia di Lowy portandolo ad aprirsi e ad affrontare il passato. Nascosto dietro il suo accento dell’Est europeo, i modi di fare impeccabili, i vestiti accurati e le maniere affabili, nessuno avrebbe mai immaginato il dramma che si portava dentro come sopravvissuto alla tragedia del Ventesimo secolo più ripugnante e indegna che si possa immaginare.
• Una vita, mille vite
Non basta un articolo a raccontare la sua vita pirotecnica e movimentata. Dopo la fuga da un’Europa stretta nel fuoco incrociato tra il nazionalsocialismo e lo stalinismo, Frank emigrò in Palestina che si trovava a sua volta in un momento di grandi turbolenze ma anche di idealismo; si unì all’Unità 12, nel battaglione Barak della Brigata Golani e partecipò da giovanissimo soldato all’epica creazione dello Stato di Israele. Successivamente raggiunse il resto della famiglia, come lui scampata ai rastrellamenti nazisti ed emigrata a Sydney, in Australia, dove Frank cominciò da zero un’altra vita preparando prima sandwich, aprendo quindi un negozio di Delikatessen fino a co-fondare la società Westfield che con un percorso vertiginoso arrivò in qualche decennio a diventare una multinazionale che costruisce e gestisce centri commerciali in tutto il mondo. Accanto a lui c’è sempre stata Shirley – amata moglie da poco scomparsa – nonché centro della sua vita. Frank e Shirley si conobbero meno di un anno dopo il suo arrivo in Australia e da allora non si separarono più. Lei aveva 19 anni, lui 21. Si sposarono 18 mesi dopo, nel 1954, mettendo al mondo tre figli e formando una famiglia allargata che ora abbraccia quattro generazioni che Frank fa il possibile per proteggere e tenere unita. L’amore sconfinato per i suoi cari, la fierezza per la sua appartenenza al popolo ebraico, il business travolgente, l’impegno nei confronti di Israele, la conservazione della memoria della Shoah, degli ebrei ungheresi sterminati dai nazisti, di suo padre e delle sue origini, questa è la storia di Frank Lowy, una storia avvincente che si legge d’un fiato. E per non dimenticare.
(Bet Magazine Mosaico, 7 novembre 2021)
Sky Dew, il nuovo aerostato israeliano a difesa dello spazio aereo
di David Di Segni
Si chiama Sky Dew ed è il nuovo aerostato, dotato di avanzato sistema di rilevamento missili-aerei, che l'aeronautica israeliana si sta preparando a lanciare nel cielo. Lo scopo è quello di intensificare la copertura dello spazio aereo, in particolare quello della zona nord che è più sensibile a presenze ostili. A riportare la notizia è il The Times of Israel.
Il sistema ha lo scopo di integrare e migliorare le tecnologie già esistenti, posizionando i sensori ad alta quota al fine di rilevare missili a lungo raggio, missili da crociera e droni. “Offre un significativo vantaggio tecnologico e operativo per il rilevamento tempestivo e preciso delle minacce - spiega Boaz Levy, CEO di Israel Aerospace Industries - Aumenta l'affidabilità della sorveglianza aerea e l'efficienza di risposta contro gli obiettivi".
Sky Dew, uno degli aerostati più grandi nel proprio genere, è stato sviluppato in una joint venture tra l'Organizzazione per la difesa missilistica israeliana e l'Agenzia per la difesa missilistica degli Stati Uniti. Negli ultimi mesi, il sistema è stato sottoposto agli esami finali e preparato per lo spiegamento definitivo. Una campagna di test atta a dimostrare “le eccezionali capacità della difesa missilistica d’Israele, anche contro i missili da crociera” ha riferito il direttore dell'Organizzazione per la difesa missilistica israeliana, Moshe Patel. Il capo dell'aeronautica israeliana Amikam Norkin ha accolto il nuovo aerostato, sottolineando che la IAF (Israel Air Force) ha sistemi difensivi ed offensivi per difendere lo Stato e la sua sovranità.
Una difesa, quindi, che dovrà fare i conti coi droni e missili da crociera di fabbricazione iraniana che inondano il Medio Oriente e che rappresentano una minaccia maggiore rispetto alle armi usate in passato dai gruppi terroristici. Alla luce di questa minaccia, l'IDF intende disporre una copertura difensiva completa e permanente sullo spazio aereo del nord di Israele entro i prossimi due anni, con l'intenzione di estenderla eventualmente all'intero paese.
(Shalom, 6 novembre 2021)
Gerusalemme: le donne chiedono di pregare al Muro del Pianto, ma gli ortodossi si oppongono
Nella città sono scoppiati violenti scontri tra la polizia e i manifestanti che non vogliono aprire gli accessi alle fedeli
di Vittorio Sabadin
La polizia di Gerusalemme si è scontrata con centinaia di manifestanti ortodossi che volevano impedire a un gruppo di donne dell’associazione Women of the Wall di pregare vicino al Muro del Pianto, il luogo più sacro dell’ebraismo. Non è la prima volta che accade: nei pressi del Muro, alle donne è vietato pregare a voce alta, leggere la Torah e indossare il tallìt, lo scialle di preghiera.
Il divieto perdura dal 1967, quando Israele conquistò nella Guerra dei Sei Giorni la città vecchia di Gerusalemme dalla Giordania.
Una delle manifestanti è stata brevemente arrestata per avere portato con sé di nascosto un rotolo della Torah, il libro che contiene gli insegnamenti e i precetti di Dio rivelati da Mosè. Le modalità della preghiera al Kotel, il Muro Occidentale, sono definite dal suo custode, il rabbino ortodosso Shmuel Rabinowitz.
«Ci sono 100 rotoli della Torah a disposizione degli uomini al Kotel – dicono le Women of The Wall - e il rabbino Rabinowitz respinge continuamente le nostre richieste anche solo per uno. Ha pure vietato che i rotoli siano portati da fuori. E’ una pratica discriminatoria che tiene la Torah fuori dalla portata delle donne in uno spazio pubblico e sacro in Israele».
Secondo gli ortodossi, i servizi di preghiera organizzati da Women of The Wall sono «una profanazione contro il luogo più sacro del giudaismo», in quanto si ritiene che qualunque gruppo di preghiera femminile sia proibito dalla Halakhah, la legge ebraica. La Suprema Corte israeliana ha dato invece ragione alle donne, ordinando nel 2012 di realizzare almeno uno spazio loro riservato all’estremità sud del Muro, ma ancora oggi restano in vigore molti altri divieti e restrizioni che si chiede vengano aboliti. La piazza del Kotel è di fatto una sinagoga ortodossa che mantiene una rigida separazione dei sessi. Le preghiere mensili organizzate dalle Women of The Wall finiscono molto spesso con l’arresto di donne che leggono la Torah o indossano gli scialli da preghiera.
Il governo è preoccupato, anche perché gli ebrei della diaspora, e in particolare la potente comunità americana, sostengono i movimenti che si battono contro le discriminazioni e chiedono un maggiore egualitarismo anche nelle pratiche religiose. Il nuovo presidente israeliano Isaac Herzog ha annunciato l’intenzione di riesumare l’accordo di compromesso raggiunto nel 2016, poi abbandonato dall’allora primo ministro Benjamin Netanyahu proprio a causa delle pressioni dei partiti ultra-ortodossi.
Il progetto prevedeva che l’area che correva lungo il Muro Occidentale fosse divisa in tre parti uguali: maschile, femminile ed egualitaria. Il ministro per gli Affari della diaspora Nahman Shai ha confermato che il rilancio dell’accordo è nell’agenda del governo e gode di un ampio sostegno nella coalizione, compreso quello del primo ministro Naftali Bennett, anche lui ebreo osservante.
Le Donne del Muro manifestano dal 1988 e lo faranno finché i loro diritti non saranno riconosciuti dal governo, ma sarà più difficile convincere gli ebrei ortodossi che la legge dell’uomo valga di più di quella di Dio. Il ruolo subordinato delle donne è una caratteristica di tutte e tre le grandi religioni monoteiste, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo, ma chi si batte per porre fine alle discriminazioni lo fa spesso solo nei confronti dell’Islam, o si concentra sull’abolizione della desinenza maschile e femminile, facendo finta di dimenticare che i problemi sono anche altrove.
(La Stampa, 6 novembre 2021)
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La saggezza chiama
Riflessioni sul libro dei Proverbi. Dal capitolo 8.
- La saggezza non chiama forse?
L’intelligenza non fa udire la sua voce?
- Essa sta in piedi in cima ai luoghi più elevati,
sulla strada, agli incroci;
- grida presso le porte della città,
all’ingresso, negli androni:
- «Chiamo voi, o uomini nobili,
la mia voce si rivolge ai figli del popolo.
- Imparate, o semplici, l’accorgimento,
e voi, stolti, diventate intelligenti!
- Ascoltate, perché dirò cose eccellenti,
le mie labbra si apriranno a insegnar cose rette.
- Infatti, la mia bocca esprime la verità,
le mie labbra detestano l’empietà.
- Tutte le parole della mia bocca sono conformi a giustizia,
non c’è nulla di ambiguo o di perverso in esse.
- Sono tutte rette per l’uomo intelligente, giuste
per quelli che hanno trovato la scienza.
- Ricevete la mia istruzione anziché l’argento,
e la scienza anziché l’oro scelto;
- poiché la saggezza vale più delle perle,
tutti gli oggetti preziosi non la equivalgono.
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La saggezza non chiama forse?
L’intelligenza non fa udire la sua voce?
Quello che era stato detto affermativamente in 1.20 viene qui ripetuto in forma interrogativa, forse per provocare la riflessione. La voce della saggezza continuava a parlare anche quando il giovane ascoltava le parole suadenti della donna estranea. Ha dovuto forse, il ragazzo, cedere alla tentazione perché a un certo punto la saggezza ha smesso di parlare? Ha forse l'intelligenza smesso di far udire la sua voce? Certamente no.
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Essa sta in piedi in cima ai luoghi più elevati,
sulla strada, agli incroci;
No, anzi, al contrario della donna adultera, che ama scegliere accuratamente le sue prede e isolarle dagli altri per poterle meglio circuire, la saggezza per essere ben visibile sta in piedi, si mette in cima ai luoghi più elevati e ovunque ci sia movimento di persone, in modo da trovare le occasioni per essere ascoltata. -
grida presso le porte della città,
all’ingresso, negli androni:
Viene ripetuto (cfr. 1.20-21) che la sapienza grida, non sussurra in un orecchio, e lo fa in luoghi a tutti noti perché in essi si svolge la vita sociale. La sapienza che viene da Dio ha sempre un carattere pubblico, e anche se Gesù per un certo tempo l'ha affidata ad una particolare cerchia di persone, lo scopo è sempre stato quello di far giungere il messaggio a tutti (Matteo 10.27).
«Chiamo voi, o uomini nobili,
la mia voce si rivolge ai figli del popolo.
Oltre al carattere pubblico, la sapienza ha un carattere universale. Si rivolge a tutti: agli uomini di potere e alle persone comuni. Tutti ne hanno bisogno, anche e proprio perché quasi tutti credono di essere già molto saggi. Chi sta in alto è convinto che la sua elevata posizione sia una chiara dimostrazione della sua saggezza; e chi sta in basso si convince di essere saggio perché sa indicare e illustrare con precisione tutte le sciocchezze che fanno quelli che stanno in alto. E' proprio necessario che la sapienza interrompa questi compiaciuti pensieri gridando a tutti: "Chiamo voi", non qualcun altro.
Imparate, o semplici, l’accorgimento,
e voi, stolti, diventate intelligenti!
Il fatto che la saggezza si rivolga a tutti è sottolineato da un'altra contrapposizione: semplici e stolti. I primi hanno bisogno di accorgimento, cioè di accortezza, discernimento, perché pur essendo meno responsabili in quanto inesperti, rischiano di adagiarsi sulla loro inesperienza per non assumersi il peso della responsabilità. I secondi, al contrario, credono di essere già molto esperti, e quindi vanno avanti pienamente convinti di sapere più di altri "come si sta al mondo". Diventate intelligenti, dice loro la saggezza, colpendoli così nella loro presunzione. Letteralmente il testo dice: "Siate intelligenti di cuore", e l'espressione è adatta, perché la stoltezza è un atteggiamento del cuore, più che della testa.
Ascoltate, perché dirò cose eccellenti,
le mie labbra si apriranno a insegnare cose rette.
Affinché una comunicazione avvenga, devono essere presenti due elementi: qualcuno deve parlare, altri devono ascoltare. Molti sono convinti che il problema stia nella mancanza del primo elemento: per loro non c'è nessuno che parla, cioè non esiste una fonte unica e universale di saggezza; ciascuno deve arrangiarsi con quello che ha: intelligenza personale, buon senso, tradizioni ricevute. E' evidente che in questo modo le varie "saggezze" si incrociano e si scontrano. L'educata soluzione da molti proposta ha un nome attraente: dialogo! Per la Bibbia invece il problema è un altro, e sta nel secondo elemento. La sapienza unica e universale esiste e comunica, non resta a bocca chiusa, apre le labbra, dice cose eccellenti e insegna cose rette, ma manca chi riceve la comunicazione. La soluzione offerta dalla saggezza è semplice, e proviene anch'essa dalla sua bocca: Ascoltate!
Infatti, la mia bocca esprime la verità,
le mie labbra detestano l’empietà.
Ma perché bisogna ascoltare? Forse perché le parole della saggezza sono dolci e gradevoli? Possiamo chiederci allora perché ascoltiamo le parole di un medico di cui abbiamo fiducia, anche se forse temiamo che ci possa dire cose sgradevoli? Evidentemente perché crediamo che ci dica la verità. E per guarire abbiamo bisogno di verità, sia per la diagnosi che per la terapia, non di parole che allentino la tensione e ci distendano i nervi soltanto per qualche ora. Ma la verità della saggezza non è soltanto tecnica, non si oppone all'errore scientifico, ma all'empietà, cioè alla menzogna e alla malvagità che sono conseguenze dell'allontanamento da Dio.
Tutte le parole della mia bocca sono conformi a giustizia,
non c’è nulla di ambiguo o di perverso in esse.
Dire la verità sui fatti che riguardano i rapporti fra uomini, o fra gli uomini e Dio, significa parlare secondo giustizia. La saggezza fa questo, e si sottolinea che tutte le sue parole sono giuste, non soltanto una parte. Per far capire poi che cosa questo significhi, si nomina il contrario: ambiguità e perversione. La seconda forma di ingiustizia è più chiara, perché si presenta in modo esplicito, spesso come violenza e sopraffazione. La prima è più sfumata, e assume spesso la forma della diplomazia: quel parlare tortuoso che dice e non dice, che vuol far arrivare a certe conclusioni senza esporsi apertamente.
Sono tutte rette per l’uomo intelligente, giuste
per quelli che hanno trovato la scienza.
Si conclude con questo versetto una serie di dichiarazioni sulle parole della sapienza che potremmo dire "propagandistiche". Esse sono rette, cioè lineari, semplici, comprensibili, e giuste, cioè adeguate alla realtà che descrivono. Ma affinché queste qualità siano percepite, è necessario che chi le riceve sia un uomo intelligente, cioè uno che ha già gli strumenti spirituali per capire, uno che ha trovato la scienza, perché l'ha cercata. Vengono in mente le parole di Gesù: "Attenti dunque a come ascoltate: perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, anche quello che pensa di avere gli sarà tolto (Luca 8:18).
Ricevete la mia istruzione anziché l’argento,
e la scienza anziché l’oro scelto;
Un abile venditore, dopo aver illustrato le qualità della sua merce si rivolge al compratore e cerca di indurlo all'acquisto facendo il paragone con altri prodotti in circolazione. In modo simile si comporta la sapienza, con la differenza che non chiede nessuna forma di pagamento.
poiché la saggezza vale più delle perle,
tutti gli oggetti preziosi non la equivalgono.
L'istruzione, la scienza e la saggezza vengono offerte in dono e valgono molto più dell'argento, dell'oro, delle perle e di qualsiasi altro oggetto che si possa desiderare (cfr. 3.14-15).
M.C.
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Israele ha un governo stabile
L'esecutivo degli ex mette fine all'era Bibi e riesce a far approvare il budget.
Negli ultimi anni Israele si era abituato allo strambo e ripetitivo susseguirsi di nuove elezioni dopo il fallimento dell'approvazione del budget nazionale. La sequenza è stata interrotta giovedì quando la Knesset, il Parlamento israeliano, dopo tre anni, ha approvato il nuovo bilancio che è anche il bilancio del governo più eterogeneo della sua storia e al suo interno comprende partiti che vanno dall'estrema destra all'estrema sinistra, con molte sfumature al centro, tutti tenuti assieme dalla volontà di allontanare l'ex primo ministro del paese, Benjamin Netanyahu, leader del partito di centrodestra Likud. I membri della coalizione hanno dimostrato che la loro capacità di stare assieme è più forte delle aspettative, hanno dato un segnale importante e hanno indicato che questo esecutivo pieno di forze centrifughe è più stabile del previsto. Il premier Naftali Bennett, ex alleato e pupillo di Netanyahu, ha scritto su Twitter che finalmente Israele è tornato in carreggiata. E in effetti il paese sembra essersi liberato dalle crisi politiche incessanti, dai governi traballanti, e anche dall'ossessione della politica israeliana per Netanyahu, il premier che ha governato il paese per dodici anni con meriti indiscussi, ma che ormai era diventato sinonimo di instabilità.
L'approvazione del budget indica anche che la rotazione dei premier prevista per il 2023 ci sarà, dopo Bennett sarà il turno di Yair Lapid, ora ministro degli Esteri, anche lui un ex di Netanyahu. Bibi adesso dovrà vedersela con chi dentro al Likud è pronto a fargli la guerra, a chi lo accusa di debolezza per non essere riuscito a far cadere il governo. Ma la verità più dolorosa per il leader dell'opposizione è che i suoi ex stanno imparando a convivere sul serio e a porsi degli obiettivi importanti per il paese e insieme, obiettivo dopo obiettivo, stanno mettendo fine all'era Netanyahu, prendendo anche il meglio dei suoi insegnamenti. E per la prima volta da tempo, Israele ha finalmente la certezza di avere un governo.
Il Foglio, 6 novembre 2021)
Dopo due anni la Israel Start-Up Nation è tornata... a casa
Per la prima volta da quando è iniziata la crisi sanitaria legata al Covid-19 l’intera squadra della Israel Start-Up Nation si troverà insieme in Israele. Il team, che in questa stagione ha ottenuto 17 vittorie, ha scritto un nuovo primato entrando nella top ten delle migliori squadre del World Tour. Tutti i corridori, Froome compreso, sono arrivati ieri e, dopo aver ricevuto i saluti dei rappresentanti dello Stato, hanno cominciato il loro ritiro a Tel Aviv dopo un esilio di due anni. Il team resterà in Israele per una settimana, l’obiettivo principale sarà quello di stare insieme e creare un gruppo forte e incontrare i giovani ciclisti della Academy per avere un confronto costruttivo con loro. Ci saranno appuntamenti sportivi e con i fan, ma anche una festa per celebrare questo rientro: i due proprietari del team, Sylvan Adams e Ron Baron, insieme a corridori e membri dello staff saranno ricevuti presso la residenza del presidente israeliano Isaac Herzog. Grande emozione per Chris Froome, che proprio nei giorni scorsi ha dichiarato di voler continuare a lavorare duramente per tornare protagonista al Tour de France: «Non vedo l'ora di poter finalmente visitare Israele e incontrare quei tifosi che nell’ultimo anno mi hanno fatto sentire la loro vicinanza. Sono veramente contento per quello che andremo a fare in questi giorni». Il Covid-19 aveva cancellato tutti gli impegni in Israele e, a distanza di quasi due anni dall’inizio della crisi sanitaria che ha colpito il mondo intero, finalmente il team si riunirà nella sua sede principale. «Ci consideriamo ambasciatori del nostro Paese e in ognuna delle nostre gare cerchiamo di portare un messaggio in ogni angolo del mondo - ha detto Sylvan Adams -. Penso che sia molto importante che adesso tutti i nostri corridori e lo staff siano venuti qui e per alcuni di loro questa sarà la prima volta». Oggi la squadra sarà impegnata in un giro in bici sulle strade israeliane e sarà questo un modo per farsi conoscere e allo stesso tempo verrà data ai corridori la possibilità di conoscere il territorio e incontrare gli appassionati. «La squadra pedalerà da Gerusalemme alla vetta di 'Nes Harim' nelle colline della Giudea - ha detto Il manager dell'ISN Rik Verbrugghe -. Faremo un incontro con i nostri tifosi e i giovani ciclisti potranno parlare e pedalare per la prima volta con i nostri corridori». Molto emozionato è Guy Niv, primo corridore israeliano che nel 2020 ha portato a termine il Tour de France. «È molto importante che i giovani corridori israeliani sappiano che possono andare lontano con il ciclismo, grazie al loro talento e all’impegno». Sarà proprio Niv, a guidare la squadra in un giro sulle alture del Golan. La squadra visiterà anche il velodromo Sylvan Adams che ospiterà l’ultima tappa dell’UCI Track Champions League. La presentazione ufficiale ci sarà proprio oggi: a salire sul palco ci saranno 26 corridori provenienti da 14 nazioni diverse e tra le new entry più importanti ci sono Jakob Fuglsang e Giacomo Nizzolo.
(Tuttobiciweb, 6 novembre 2021)
La lezione di Israele. Dopo i richiami mortalità azzerata
Riportiamo questo articolo che riguarda il nostro sito perché si riferisce "a quello che tutto il pianeta guarda come 'caso pilota' della pandemia, ovvero Israele". Nello stesso tempo è un altro esempio di come in fatto di pandemia i media più diffusi sono quasi totalmente allineati con la versione governativa dei fatti. Chi vuole può credere alla "scientificità" dei dati riportati e alla loro interpretazione. In fondo, è una questione di fede. Fede nella nuova religione sanitaria che il nostro paese si avvia, nei fatti, a riconoscere come prossima Religione di Stato. E non è detto che sul sacro terreno della salute ci potranno essere dei "culti ammessi", come sotto il fascismo. NsI
di Lorenzo Mottola
Una conferenza stampa per illustrare alcune decisioni prese dal governo sulle misure anti-Covid. I dati dai territori non sono buoni: a seconda delle Regioni, si assiste a bruschi aumenti del numero contagiati (fino al 50% in Veneto). E la responsabilità secondo gli esperti sarebbe da attribuire al calo delle difese immunitarie nelle prime persone sottoposte a vaccino all'inizio della campagna, in particolare negli anziani. Dopo sei mesi la forza dei prodotti Moderna e Pflzer cala significativamente. E il virus torna a colpire. Era prevedibile che ciò accadesse, in altri Paesi era già stato visto. Questo però ci dà buone speranze anche riguardo al funzionamento della soluzione proposta: il cosiddetto richiamo "booster".
Il riferimento è a quello che tutto il pianeta guarda come "caso pilota" della pandemia, ovvero Israele. Come noto, il governo di Gerusalemme grazie ad accordi particolari con la Pflzer ha bruciato tutte le nazioni occidentali sul tempo, riuscendo ad anticipare di mesi le nostre campagne vaccinali. Ad inizio agosto, a Tel Aviv è stato registrato un forte aumento di ricoverati e morti. Quasi pari alle prime ondate. Proprio come in questi giorni in Italia. Ma la reazione è stata tempestiva: subito terze dosi a tappeto. Oggi il 45% della popolazione israeliana ha già fatto il richiamo. E gli effetti sono esattamente quelli auspicati: la media dei decessi per Coronavirus oggi è stata ridotta a tre al giorno. Secondo uno studio pubblicato da Lancet questa settimana ( e realizzato da ricercatori di Harvard sulla popolazione che ha ricevuto la terza dose ad agosto), a sette giorni dal richiamo il rischio di ricovero ospedaliero si abbassa del 93%. In parole povere, l'Italia ha un sentiero tracciato. Anche se c'è qualche differenza c'è tra noi e loro.
Prendiamo prima gli aspetti positivi. Per certi versi, le cose sono andate meglio dalle nostre parti: i no vax israeliani sono più numerosi dei nostri e
ben rappresentati soprattutto nelle comunità ortodosse e in quelle arabe immigrate. Il che probabilmente spiega come mai da noi l'aumento di contagi è meno marcato rispetto a quello visto nel paese mediorientale. Le buone notizie, però, per noi finiscono qui. Prima di tutto a chi dice che la nostra campagna per la terza dose procede a gonfie vele tocca sottoporre alcuni dati: siamo poco oltre il 3% di nuove iniezioni sul totale della popolazione, dietro a nazioni come la Cambogia o El Salvador, che non rappresentano certo un faro per i sistemi sanitari del nostro pianeta. E c'è anche da dire che buona parte dei centri vaccinali italiani in queste settimane sono stati chiusi, quindi procedere con somministrazioni di massa potrebbe comportare qualche difficoltà. Riguardo agli approvvigionamenti, le scorte ci sono (circa 9 milioni di dosi in magazzino). Ora però bisogna usarle. La conferenza stampa di ieri aveva proprio questo obiettivo: annunciare che è necessario un cambio di passo sui richiami. Speranza chiede di "accelerare". Le Regioni, tuttavia, restano in attesa che da Roma arrivino indicazioni su come partire, perché al momento non è chiaro neanche quale saranno le fasce d'età da puntare. Infine, bisogna tener presente quale è stato l'andamento della "curva" dei decessi in Israele. Dopo l'inizio della campagne per le terze dosi, ci sono volute alcune settimane per vedere degli effetti positivi sui bollettini. Anche in Italia, quindi, le cose potrebbero peggiorare, prima di migliorare. Ultima nota: non è affatto detto che con il "booster" sia tutto finito. In Israele c'è anche chi parla di quarta dose. Per fortuna, però, per allora potremmo avere anche altre armi, ovvero il farmaco antivirale in grado di curare i malati, già sperimentato da due case: Merck e Pflzer.
Libero, 6 novembre 2021)
Qualche riflessione potrebbe venire dall'articolo che segue. L'autore è regolarmente vaccinato e in una posizione di disponibilità e apertura. M.C.
Nella sfida al Covid il fallimento è vistoso e il dubbio legittimo: sanno quello che fanno?
Quarta ondata, terza dose, immunità di gregge ... Visto l'andazzo, si può insinuare il dubbio che i poteri pubblici, politici e sanitari, e i loro corifei mediatici, abbiano fallito clamorosamente la sfida dei contagi e delle terapie? Continua ad alzarsi l'asticella e si rimanda sempre la salvezza. Facendo ricadere la colpa sui pochi che non osservano i diktat.
di Marcello Veneziani
La quarta ondata del Covid annunciata con grande allarme dai media; il terzo vaccino nell'arco di sei mesi prescritto praticamente a tutti con una campagna martellante; il 90 per cento di vaccinati indicata come nuova soglia d'immunità, dopo il 70 e dopo l'80 per cento dei mesi scorsi; il terzo anno di pandemia e di emergenza che si annuncia con certezza e apprensione: si può insinuare il dubbio che qualcosa non stia funzionando, che i poteri pubblici, politici, amministrativi e sanitari, e i loro corifei mediatici, abbiano fallito clamorosamente la sfida dei contagi e delle terapie, considerando che si alza sempre l'asticella e si rimanda sempre la salvezza? O si deve per forza concentrare ogni responsabilità, ogni attenzione e ogni condanna sulla esigua minoranza che non si è vaccinata e si ribella al green pass, con manifestazioni che gli stessi media giudicano di poco rilievo e con quattro gatti? Avevo deciso in questa pandemia di sospendere ogni giudizio, non ritenendomi in grado di esprimere pareri netti e autorevoli in merito o indicare soluzioni alternative; con tutte le perplessità che ho sempre coltivato, ho continuato a seguire di malavoglia le prescrizioni e le proscrizioni imposte. Con una sola raccomandazione: allargare e non restringere i campi di ricerca e di sperimentazione, non limitarsi ai vaccini ma investire di più sulle cure per debellare o neutralizzare il virus. Insomma, aggredire il Covid su vari fronti, a monte e a valle. Personalmente ho usato come strategia di sopravvivenza quella di evitare tutti i programmi televisivi sul tema e cambiare canale o media quando appariva il santino del virologo di turno e dei centouno virologi di complemento. Sottrarmi, senza nessuna pretesa di insegnare a nessuno il mestiere. Non ho dunque alcuna tesi precostituita, nessuna soluzione alternativa, nessuna propensione al complotto. Però quando ti alzi la mattina del 5 novembre 2021 e vedi che il titolo principale dei principali giornali e media italiani è incentrato sulla quarta ondata, sull'euroterrorismo, sul pericolo che viene dall'Est (dove peraltro sono già sotto osservazione i 12 Paesi europei colpevoli di voler ripristinare i confini per arginare l'immigrazione), allora dici: basta, non se ne può più, non potete tenere l'umanità così a lungo in una gabbia di terrore, di obblighi e divieti, spostando continuamente gli obbiettivi da raggiungere, e facendo ricadere ogni colpa sui pochi che non seguono le vie obbligate. Se dopo venti mesi un virus non viene debellato nonostante l'80% di popolazione sia vaccinata, e anche due volte, se il Covid è ancora virulento e pericoloso, vogliamo dirlo che siamo davanti a una sconfitta, anzi un fallimento delle classi dirigenti e delle forze sanitarie, farmaceutiche e amministrative senza precedenti? La moltiplicazione dei dubbi a questo punto è più che legittima: la strada intrapresa senza se e senza ma, imposta ai quattro quinti della popolazione, considerando che il restante quinto e per meta costituito da bambini, è stata davvero quella giusta? Un virus che supera il biennio, ditemelo voi perché io non lo so, ha precedenti? O se volete riformulo la domanda: è concepibile che all'entrata nel terzo anno di Covid, si debbano ancora allestire, intensificare e amplificare vaccini, controlli e allarmi, senza contemplare soluzioni alternative o supplementari? E sfiorando la blasfemia, la bestemmia contro il dio vaccino: e se ci fosse un nesso tra le varianti e i vaccini, nonostante le dimostrazioni che il contagio riguarda in particolare chi non si è vaccinato? Dobbiamo considerare normale che i virologi si portino avanti con il lavoro e si proiettino non nell'anno venturo ma addirittura nel 2023, che era un modo proverbiale per indicare il futuro lontano, predicendo che in quell'anno ci faranno un vaccino multitasking, onnicomprensivo, prodigioso, incluso di anti-influenzale? Se dopo sei mesi siamo al terzo vaccino, dopo ventiquattro mesi saremo alla dodicesima dose? Siamo entrati in un serial horror, in un raggiro universale, in una truffa colossale o che? A fronte di un fallimento così vistoso sono legittimi i dubbi, anche quello di aver imboccato una strada sbagliata, oltre che esserci affidati a percorsi sanitari e farmaceutici errati o inadeguati. Il dramma, lo ammetto onestamente, è che non siamo in grado di opporre un' altra soluzione organica, né abbiamo poteri, voce in capitolo, mezzi e condizioni per poter indicare altri percorsi o correggere quelli presenti. Dobbiamo però vigilare con la massima attenzione su quel delicato passaggio in cui il regime della sorveglianza sanitaria si estende automaticamente ad altri ambiti civili, culturali, politici, sociali. E' impressionante l'ondata repressiva e liberticida che c'è in giro che esonda dai confini sanitari e si allarga ovunque. Oscuramenti sui social, intimidazioni, censure dappertutto e nuove restrizioni si annunciano in ogni campo. Lo dico anche per esperienza personale. Considerando che i social sono, bene o male, l'unico luogo in cui il privato dissenso si fa pubblico, è di una gravità enorme. Se solo tocchi certi temi «sensibili» o presunti tali, anche argomentando, non insultando nessuno né semplificando con tesi «oltraggiose», sei subito censurato e punito. E non puoi prendertela con nessuno perché ti dicono che il mandante è l'algoritmo, dunque la censura è anonima, come la banda dei sequestri. Anonimo, come il Covid. La colpa in ambo i casi non è di chi usa questi agenti anonimi per veicolare e controllare la gente ma del caso o della tecnica. Se non possiamo fare e dire molto in ambito sanitario, sorvegliamo almeno le linee di frontiera della nostra libertà, della nostra dignità e dei diritti. Occhio alla dogana, alle mascherine ideologiche e agli sconfinamenti delle «ondate» sanitarie. Cantava Bruno Lauzi: «onda su onda il mare ci porterà alla deriva, in balia di una sorte bizzarra e cattiva».
(La Verità, 6 novembre 2021)
Il dubbio maggiore potrebbe venire da una delle osservazioni conclusive dell'autore: "E' impressionante l'ondata repressiva e liberticida che c'è in giro che esonda dai confini sanitari e si allarga ovunque". Ma forse è proprio questo che si vuole. E' quasi patetico dire "... sorvegliamo almeno le linee di frontiera della nostra libertà, della nostra dignità e dei diritti", quando questa frontiera è già stata chiaramente oltrepassata. "Oscuramenti sui social, intimidazioni, censure dappertutto e nuove restrizioni si annunciano in ogni campo", questo non è uno "sconfinamento", ma piuttosto un obiettivo raggiunto. Da cui ripartire per andare oltre. Sanno quello che fanno? Forse sì, e questo è il guaio. M.C.
Israele sostiene le forze armate sudanesi
Il governo israeliano ha ammesso che a fine settembre 2021 una delegazione militare sudanese è stata inviata dal generale Dagalo, alias Hemidti, a Tel Aviv. Israele ha riconosciuto anche che, dopo i fatti del 26 ottobre, definiti da Washington «colpo di Stato militare», Israele ha inviato a Khartum una delegazione di alto livello del ministero della Difesa e del Mossad.
Già a febbraio 2020 l’allora primo ministro israeliano in carica aveva incontrato il generale al-Burhan a Entebbe (Uganda).
Gli Occidentali hanno ufficialmente rotto con i generali Dagalo e al-Burhan, ma questi ultimi sono tuttora finanziati dall’Arabia Saudita e sono tuttora gli interlocutori di Israele.
Il 4 novembre il segretario di Stato USA, Antony Blinken, ha telefonato al primo ministro, in libertà, Abdallah Hamdok, nonché al generale al-Burhan. Al termine dei colloqui sono stati liberati quattro ministri in precedenza assegnati a domicilio coatto.
(Réseau Voltaire, 6 novembre 2021 - trad. Rachele Marmetti)
Sally Rooney non si fa tradurre. Israele la bandisce
Guerra di libri tra Israele e la scrittrice Sally Rooney. A cominciarla è stata l'autrice irlandese, che non intende autorizzare la traduzione in ebraico dell'ultimo romanzo A Beautiful World, Where Are You come sostenitrice del boicottaggio verso lo Stato ebraico, in sostegno alla causa palestinese. Ma adesso lei stessa sarà boicottata in Israele dalle due principali catene di librerie, Steimatzky e Tzomet Sfarim: con un provvedimento senza precedenti e dopo un appello web sottoscritto da migliaia di lettori, le due catene hanno deciso di rimuovere dai propri siti internet e scaffali i due libri della Rooney tradotti in ebraico (Parlarne tra amici e Persone normali).
(Nazione-Carlino-Giorno, 6 novembre 2021)
Addio a Pasqualina Perrella, l’ultima delle “ragazze dell’anagrafe”
Falsificò i documenti per gli ebrei in fuga
di David Di Segni
Il 25 ottobre scorso si è spenta all’età di 99 anni Pasqualina Perrella, una delle dipendenti comunali di San Donato Val di Comino (Frosinone) che, durante la Seconda guerra mondiale, rischiò la propria vita per salvare quella degli ebrei confinati in città. Perella, il podestà Gaetano Marini ed altri quattro dipendenti comunali - Donato Coletti, Maddalena Mazzola, Rosaria De Rubeis, Carmela Cardarelli – falsificarono i documenti d’identità degli ebrei per scamparli alle deportazioni nei campi di sterminio.
Tra i confinati c'erano anche Margaret Bloch - ex compagna di Franz Kafka - che diventò vicina di casa dei Perrella, e l'attrice del cinema muto Grete Berger. "Gli ebrei venivano a chiederci aiuto e noi rilasciavamo a ciascuno di loro documenti falsi per farli risultare cittadini italiani. - raccontò Pasqualina Perrella – Ricordo che a una donna ebrea attribuii lo stesso nome e cognome di mia sorella".
Per l’attività di falsificazione lei rischiò persino la vita, quando il 6 aprile 1944 Pasqualina venne prelevata dai tedeschi e interrogata. “Venne condotta presso il locale Comando, dove fu interrogata. – spiega il sindaco di San Donato Val di Comino, Enrico Pittiglio - Riconosciuta come una delle artefici delle falsificazioni, venne condotta presso il camion dove furono stipati gli ebrei arrestati. La fortuna di Pasqualina fu che nel camion non c’era posto e quindi rimase a terra, scampando così alla deportazione ad Auschwitz".
Questo valoroso gruppo di persone verrà ricordato nel Museo del Novecento e della Shoah, attualmente in fase di realizzazione nel piccolo centro della provincia di Frosinone, che riprodurrà anche il luogo di lavoro delle rinominate “ragazze dell'anagrafe”.
Con Pasqualina Perrella se ne va un’eroina della storia, che ha basato la propria esistenza proprio su quell’eterno principio che è il fondamento dei giusti: chi salva una vita, salva il mondo intero.
(Shalom, 5 novembre 2021)
Israele approva la prima finanziaria dal 2018
Tiene la nuova maggioranza
Prima vittoria del nuovo governo israeliano guidato da Naftali Bennett: il Parlamento, la Knesset, nella notte tra mercoledì e giovedì ha approvato la legge finanziaria, per la prima volta dal 2018, evitando così la scadenza del 14 novembre che avrebbe portato il Paese alle quinte elezioni in tre armi.
Il premier Bennett detiene una maggioranza stretta, che aveva fatto sperare all'ex primo ministro Benjamin Netanyahu, ora all'opposizione, di poter rientrare in gioco nel caso in cui non ci fossero stati i numeri per approvare la legge di bilancio.
Bennett ha subito celebrato su Twitter, scrivendo: «Dopo anni di caos abbiamo formato un governo, sconfitto la variante Delta e ora, grazie a Dio, approvato un bilancio per Israele». Il budget, che riguarda l'anno in corso ed è di 195 miliardi di dollari, ha avuto il via libera dopo una serie di votazioni durate tutta la notte con 61 voti a favore contro 59 contrari che rappresentano l'esatta fotografia della divisione tra la composita maggioranza guidata da Bennett e l'opposizione di Netanyahu. Ora la Knesset tornerà a riunirsi per l'approvazione della finanziaria 2022.
Il voto permetterà di sbloccare l'azione di governo necessaria ad affrontare la crisi del debito pubblico che nell'anno della pandemia è aumentato del 21% raggiungendo quota 72,4% del Pil. Il target di deficit nella finanziaria è stato posto al 6,8% del Pil, Includendo le spese per la lotta alla pandemia e il sostegno all'economia.
La bozza di legge finanziaria per il 2022 prevede una spesa di 184 miliardi di dollari e una riduzione del rapporto deficit-Pil fino al 3,9 per cento. Il bilancio dello stato e la crescita economica nel difficile periodo della pandemia sono stati ostaggio del caos politico che ha attraversato il paese dal dicembre 2018 fino alla formazione dell'attuale coalizione di governo, cinque mesi fa quando è nata la Grande Coalizione che mette insieme otto formazioni di tutti gli schieramenti.
Sempre sul fronte mediorientale, ieri il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen è stato ricevuto dal Papa, che ha auspicato un rilancio del dialogo per la «soluzione dei due Stati».
(Il Sole 24 Ore, 5 novembre 2021)
Quell'esempio di Israele: rinato coi sieri
di Fiamma Nirenstein
Si deve fare? Sì. Lo si deve però scegliere liberamente, essendo in democrazia? Ancora sì. Ci sono i No Vax, e quelli sono duri come il granito. Non si parla a loro. Ma per spiegarsi fra gente normale, di buon senso, occorre discussione, consapevolezza sull'oggetto in questione, la vaccinazione: i pro, i contro, i pericoli, le risorse, senza spazi per stupide teorie della cospirazione o movimenti rivoluzionari social-politici. Così dopo un periodo di crisi, Israele si riposiziona come esempio per la lotta al Covid, guardiamolo bene: ieri la squadra di esperti che affianca il ministero della Sanità nelle decisione, ormai imminente dopo quella americana, di vaccinare i piccoli, ha tenuto la sua seduta in pubblico, sui social, sulla pagina Facebook del ministero, con tutti gli esperti, i medici, i politici, e con venti cittadini ciascuno con il diritto a parlare per tre minuti. Alla fine deciderà la commissione, e non la folla, si capisce: ma il vaccino ai bambini oltre i 5 anni è un pezzo di cuore e richiede tutto il cervello. Difficile decidere, ma messe tutte le carte in tavola, basta, si soppesa, si decide, forti del fatto che dopo un momento di panico, di nuovo i vaccini hanno salvato il Paese, e senza ombra di dubbio. Su questo, anche un governo e un'opposizione che si odiano come quelle di Bennett e di Netanyahu, sono insieme. Pochissimi usano la chiave No Vax in una dimensione politica. Si sa, qualcuno dei vaccinati si è ammalato di nuovo, ma non è morto; e il vaccino ogni tanto ha reazioni indesiderate anche estreme. Perciò un Paese allenato come Israele ha bisogno di inspirare profondamente prima di decidere sui numerosissimi, onnipresenti piccoli cittadini. Ma è chiaro a tutti gli opinion maker, i giornalisti, i politici, gli intellettuali, come dovrebbe esserlo in Italia. Chiedi: «Hai fatto la terza dose?». E la risposta è sempre: «Certo». Sei un fratello nella scelta della libertà per tutti. Dopo il booster la crisi della quarta ondata è stata superata, a settembre c'erano 80mila casi attivi, ora sono 7.388; i casi seri erano 740, ora sono 201; i nuovi casi quotidiani 663 ed erano 2.500. Prima di rendersi conto, a maggio, che si era ben proceduto a salvare la vita degli adulti e degli anziani, ma si doveva vaccinare veloci anche i ragazzi nelle scuole pena una moria generale; adesso si sa che i bambini fra i 5 e gli 11 anni, più di un milione e 200mila, sono il 45% dei portatori del virus della settimana scorsa. E allora, se i dati sono questi, se il vaccino preserva dal contagio, e quando non lo fa comunque salva la vita, e rende la libertà, che dire, per esempio, alla folla triestina? Quando si ammala rischia la vita, e appare anche un po' scema.
(il Giornale, 5 novembre 2021)
" ... i No Vax, quelli sono duri come il granito", ".. stupide teorie della cospirazione", "... la folla triestina? appare anche un po' scema". Anche Fiamma Nirenstein non ha resistito dunque alla tentazione di sostenere le sue ragioni pro-vaccino screditando gli oppositori. E' manifestazione di pacato buon senso trattare gli oppositori come gente anormale, priva di buon senso, che merita di essere considerata "anche un po' scema"? O manifesta invece insicurezza per le scelte fatte e fastidio nel vedere che altri fanno scelte diverse? Da dove viene tutta questa stizza? E' solo una domanda, e non si formula una risposta.
E' innegabile che la pandemia ha ridisegnato linee trasversali di separazione in quasi tutti gli ambienti, non è strano quindi che questo avvenga anche tra gli amici di Israele. Per il sito su Israele che gestisco da vent'anni devo allora precisare che, ferma restando la vicinanza a Israele in tutto quello che riguarda il suo posto fra le nazioni, questo non significa e non ha mai significato approvazione indiscussa del costume della sua società e delle scelte del suo governo. In particolare, è inquietante che proprio Israele si sia messo a capo, o sia considerato avanguardia, della campagna di vaccinazione mondiale. Le nazioni applaudono, e proprio questo è il guaio. Almeno su questo argomento e in questo tempo. Se ne dovrà riparlare. M.C.
I «Protocolli» antisemiti venduti dalla Feltrinelli
di Alberto Giannoni
E intervenuta la Comunità ebraica, e a sostegno la coordinatrice nazionale della lotta all' antisemitismo Milena Santerini, docente all'Università Cattolica: «Davvero incredibile - ha scritto - che si possa diffondere un libro così pericoloso scrivendo che i Protocolli potrebbero essere "veri o falsi" senza avvertire che sono un falso e l'uso che se ne è fatto nella storia». Sì perché il libro in questione, i Protocolli dei savi di Sion; è un falso conclamato, redatto ad arte oltre un secolo fa, e da allora usato a piene mani dalla peggiore propaganda antisemita, tanto da ispirare i deliri di Adolf Hitler nello sterminio di massa degli ebrei. Il volume, prodotto probabilmente dalla polizia segreta russa, mirava ad accreditare l'esistenza di un piano ebraico occulto per impossessarsi del mondo, e da cento anni calamita le attenzioni morbose dei razzisti di tutte le categorie (è molto diffuso in certe piazze arabe). L'editore del volume, oggi, è una piccola casa ultrareligiosa, la friulana «Segno», che ha compilato la scheda che viene caricata sempre uguale, in automatico, nelle varie piattaforme di vendita ordine. «Fin dall'inizio - si legge - sono stati bollati di essere un geniale falso e le motivazioni pro e contro sono tante». «Veri o falsi che siano ormai non conta più - prosegue incredibilmente la presentazione - perché questi misteriosi protocolli, persino fuori dal loro tempo si sono rivelati laicamente profetici». La Comunità ebraica ha subito chiamato in causa via twitter La Feltrinelli, perché il volume compariva proprio negli «store» online di quella (come di altre) case editrici. «Ehi, La Feltrinelli, attenzione qui - il tweet della Comunità - Davvero pensate si possa proporre i Protocolli dei Savi di Sion - libro chiave della propaganda antisemita - senza una nota che ne evidenzi la falsità?». Prima ancora era stata la traduttrice Ilaria Pipemo a sollevare il caso: «È sconvolgente - ha scritto - che Ibs e La Feltrinelli vendano questo nel 2021 nel mio Paese». Feltrinelli ha replicato direttamente sul social: «Grazie per la segnalazione. La descrizione del volume è di competenza esclusiva della casa editrice che lo ha pubblicato e non dei canali di vendita presso i quali questo risulta disponibile». La precisazione non è bastata ai molti che hanno continuato a protestare, manifestando indignazione verso i distributori. Qualcuno ha pubblicato pure la risposta di Feltrinelli: «Le confermo che, grazie alle numerose segnalazioni, la sinossi dell' editore Segno è stata opportunamente rimossa». Raggiunta dall'Huffington, l'editrice Cristina Mantero ha garantito: «Non era nostra intenzione urtare la sensibilità di nessuno». «Siamo profondamente dispiaciuti - ha assicurato - Siamo disponibili a specificare che si tratta di un documento di cui è dubbia la veridicità». Intanto Mosaico, portale della Comunità ebraica milanese, ha fatto notare come nel catalogo dell' editore friulano compaia un altro titolo, L'ombra di Samael. Gli ultimi sviluppi della questione ebraica, che pretende di «arrivare a una conclusione definitiva della querelle sull' autenticità dei Protocolli», definendo «patetico» il «tentativo di farli passare per falsi».
(il Giornale, 5 novembre 2021)
Le loro case un riparo per le famiglie ebree perseguitate dai nazisti
Ora sono Giusti tra le Nazioni, le cerimonie a Firenzuola e a Firenze. I nomi impressi nel Memoriale della Shoah di Gerusalemme. Così sono stati ricordati Armando e Clementina Matti, Pietro e Dina Angeli e il giorno prima Giuseppe Dani e i genitori, Giovanni e Maria.
di Azzurra Giorgi
Finché è stato in vita, Alessandro Smulevich sentiva di non aver fatto abbastanza per ringraziarli. Ma adesso, Armando e Clementina Matti e Pietro e Dina Angeli, che per un anno avevano aiutato lui, la sorella Ester, il cugino Leone e i genitori Sigismondo e Dora Smulevich, nascondendoli dai nazisti nelle loro case di Firenzuola e Ponte Roncone, sono Giusti tra le Nazioni. A onorarli lo Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme, dove saranno impressi i loro nomi, insieme con quelli di Giuseppe Dani e dei suoi genitori, Giovanni e Maria, diventati Giusti il giorno prima per aver salvato la famiglia Cividalli dai rastrellamenti nella campagna pisana. A Firenzuola, il figlio di Alessandro Smulevich, Ermanno, ha ricordato la storia della famiglia, di come il nonno Sigismondo, ebreo nato in Polonia, avesse conosciuto la moglie Dora, ungherese, a Fiume, dove era rimasto dopo essere stato imprigionato dall'esercito ungherese, di come lì avesse cominciato a fare il sarto, mettendo su famiglia, ottenendo la cittadinanza italiana e vivendo una vita moderatamente benestante.
Poi erano arrivate le leggi razziali, l'Italia era entrata in guerra, e Sigismondo fu internato in provincia di Salerno. Riuscì a farsi trasferire prima a Firenze poi a Prato come internato libero, con obbligo quotidiano di firma, fin poco dopo l'8 settembre' 43, quando fuggì con la famiglia a Firenzuola, rifugiandosi prima a casa dei Matti e poi, quando la situazione peggiorò, in quella degli Angeli. Allora quella zona, così vicina alla Linea Gotica, aveva una massiccia presenza di soldati tedeschi e milizie fasciste: Ermanno ha ricordato la fuga del padre sulla canna di una bicicletta da Firenzuola a Ponte Roncone, i nascondigli e le altre famiglie di Firenzuola che «aiutarono e nascosero ebrei perseguitati, nonostante questo le esponesse a rischi gravissimi. Purtroppo non ci sono più testimonianze dirette per promuovere la loro causa allo Yad Vashern». Alla cerimonia, erano presenti anche Lisa Matti e Pellegrina Angeli, discendenti dei Giusti, il sindaco di Firenzuola Giampaolo Buti, il presidente della Comunità ebraica fiorentina Enrico Fink, il rabbino Gadi Piperno, l'assessore al Comune di Firenze Alessandro Martini e altri discendenti della famiglia Smulevich. Presente anche l'ambasciatore d'Israele in Italia, Dror Eydar, che in questi giorni sta girando la Toscana, visitando realtà economiche e accademiche dopo ad aver partecipato alle cerimonie dei Giusti, ovvero «persone che si sono opposte alle sofferenze inflitte al popolo ebraico.
L'orrore della Shoah si è potuto verificare perché non c'erano abbastanza persone di buon cuore pronte ad opporsi alle leggi antisemite e perché gli ebrei non avevano un focolare nazionale che potesse difenderli. Ora - racconta Eydar - sono venuto come rappresentante dello Stato ebraico per onorare queste grandi anime e le loro grandi azioni, che hanno consentito al popolo ebraico di mantenere la fiducia nella bontà umana». Prima di Firenzuola, Eydar ha partecipato alla cerimonia nella Sinagoga di Firenze in cui sono stati riconosciuti Giusti Giuseppe Dani e i genitori, che protessero Giorgio Cividalli, la moglie Wanda e le tre figlie: Carla, Anna e Miriam, che hanno ricordato come «quando si cominciò a parlare di un riconoscimento per i salvatori degli ebrei perseguitati, il Dani rifiutò: «È stato fatto solo quello che si doveva fare», sosteneva. Sono passati anni dalla sua scomparsa prima che riuscissimo a dirci che era venuto il momento di disubbidire».
(la Repubblica - Firenze, 5 novembre 2021)
La lunga storia del “cacio all’argentina”
di Giulia Gallichi Punturello
Nel 1492 gli ebrei sono espulsi dalla Spagna; e il 18 giugno dello stesso anno viene dato l’ordine di espulsione anche dalla Sicilia, ordine che viene eseguito, dopo una breve dilazione, entro il 1492. Neppure un ebreo rimane in Sicilia; la maggioranza degli ebrei siciliani si rifugia nelle comunità ebraiche del meridione. Ma anche le Comunità ebraiche dell’Italia Meridionale sono destinate a scomparire. Nel 1500, con il Trattato di Granada, il Regno di Napoli viene diviso fra Luigi XII di Francia e Ferdinando il Cattolico di Spagna; nella lotta che ne segue fra francesi, e spagnoli, questi ultimi prevalgono: nel 1505 gli spagnoli entrano a Napoli; da questo momento le Comunità ebraiche del Regno di Napoli (Napoli, Trani, Nola, Bari) vanno rapidamente scomparendo. Una parte degli ebrei provenienti da queste Comunità si stabilisce a Roma, dove sorgono in tal modo piccole sinagoghe (siciliana, aragonese). I Siciliani che approdano a Roma portano con loro non soltanto tradizioni e riti antichi, ma anche un’abitudine culinaria fatta di ricette profondamente ebraiche ma che all’apparenza sembrano non esserlo. Nel tentativo di sfuggire al tribunale dell’inquisizione gli ebrei siciliani avevano sviluppato un’incredibile capacità di nutrirsi di cibi consentiti che sembrassero assolutamente taref (non kasher). Un ingrediente che utilizzavano moltissimo erano le melanzane. Il modo di prepararle e condirle dava l’impressione che si trattasse di carne. La stessa preparazione di alcuni formaggi, uno per tutti il cacio, tanto famoso anche nella tradizione romana, che insaporito e bruciato sulla griglia sprigionava lo stesso odore del maiale. Il cacio all’Argentiera, le melanzane in agrodolce (concia) ed anche le sarde a beccafico sono sicuramente tre tra i più clamorosi esempi di cucina cripto-giudaica.
INGREDIENTI: - formaggio caciocavallo 500 gr.
- aglio, due spicchi
- aceto, una spruzzata
- origano, un pizzico
- olio di oliva quanto basta
PREPARAZIONE: - Mettete l’olio in una padella antiaderente e fate imbiondire l’aglio. Appena avrà cambiato colore eliminatelo.
- Tagliate il formaggio a fette di un certo spessore e mettetelo nell’olio ben caldo.
- Giratelo velocemente con una paletta e fatelo dorare dall’altro lato.
- Spruzzare con l’aceto e spolverizzare con l’origano. Servitelo immediatamente con contorno di insalata fresca
(Shalom, 5 novembre 2021)
Gerusalemme riapre ai pellegrini in vista del Natale
Dal 6 novembre via libera ai pernottamenti anche a Betlemme. L'essere vaccinati contro il Covid-19 è un requisito essenziale.
Prima solo i gruppi, ora anche singoli visitatori potranno entrare in Israele seguendo un rigido protocollo sanitario. Dal 6 novembre via libera ai pernottamenti anche a Betlemme. Dopo i lunghi mesi di sostanziale chiusura dei flussi di pellegrini verso Gerusalemme e la Terrasanta riparte quasi a pieno regime, anche in vista del Natale, il flusso dei pellegrinaggi. Sono stati due anni durissimi, in cui è venuto a mancare anche il sostegno rappresentato per l'economia locale da questa forma di viaggio.
Ora si spera che il peggio sia alle spalle. I no vax - non pochi tra i cattolici tradizionalisti - dovranno comunque rinunciare al viaggio. L'essere vaccinati contro il Covid-19 è, infatti, un requisito essenziale (salvo eccezioni autorizzate, su esplicita richiesta, da un'apposita commissione) e le autorità israeliane, molto sensibili all'argomento, non sembrano disponibili al lassismo. Per intenderci: il viaggiatore non deve aver soggiornato (o transitato) nei 14 giorni precedenti all'ingresso in Israele in un Paese considerato zona rossa dal governo dello Stato ebraico.
La testata specialistica "Terrasanta" sottolinea che tutti i vaccini usati in Italia sono riconosciuti anche da Israele. Devono essere trascorsi almeno 14 giorni dall'inoculazione della seconda, o terza, dose (dalla prima, in caso di Johnson & Johnson). L'uscita da Israele deve avvenire entro sei mesi dall'ultima dose di vaccino. Tutti dovranno essere in possesso di green pass e sottoporsi a un tampone molecolare (Pcr) - con esito negativo - non piu' di 72 ora prima di imbarcarsi sul volo per Israele. Dovranno anche compilare un apposito modulo online con i propri dati anagrafici ed altre informazioni.
Unica via d'accesso consentita è l'aeroporto internazionale Ben Gurion, di Tel Aviv. Nell'aerostazione i passeggeri saranno sottoposti a un altro tampone molecolare, a loro spese, e dovranno autoisolarsi in albergo, o nel loro primo alloggio, fino a quando non riceveranno l'esito negativo del test, che consentirà loro di circolare liberamente per il Paese. Lo straniero non positivo al Covid-19 che non rispetti l'isolamento imposto dalle norme israeliane verrà bandito dal Paese per 3 anni. Chi presentasse documentazione falsificata sarà bandito per 5 anni.
Chi dovesse risultare positivo durante il soggiorno verrà isolato in un Covid-hotel e le spese saranno a carico della sua assicurazione. Il custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, ha accolto con soddisfazione la riapertura: "un luogo che, piu' di ogni altro, esorta a superare la paura è il Santo Sepolcro", ha dichiarato ad Asianews. Sorridono commercianti e piccoli imprenditori a Gerusalemme, come a Betlemme in Palestina. Nella maggior parte dei casi si tratta di palestinesi, appartenenti alla minoranza cristiana come musulmani, che hanno pagato direttamente il prezzo delle chiusure decise in passato.
Negli ultimi mesi, precisa il Custode di Terra Santa, "abbiamo registrato un piccolo volume di turismo interno", ma quello che cambia adesso è la possibilità "non solo per i gruppi, ma anche per singoli individui di entrare con visto turistico. "La speranza - sottolinea - è che a novembre si possa assistere a una graduale ripresa", da consolidare a dicembre con "l'ingresso di un numero maggiore di pellegrini".
(AGI, 4 novembre 2021)
L’ultimo saggio di Fiamma Nirenstein: così è cresciuto l’odio per Israele
di Gianni Vernetti
Fiamma Nirenstein ha scritto il libro Jewish Lives Matter nei giorni successivi all’ennesima aggressione subita da Israele con il lancio di migliaia di razzi dalla striscia di Gaza verso la popolazione civile, lo scorso mese di maggio. Un libro scritto “di getto” a Gerusalemme, fra una sirena e una corsa al più vicino rifugio.
Il titolo è efficace e mette in chiaro, fin dalle prime battute, che la tragedia dell’antisemitismo, che ha profondamente segnato tutto il Novecento, non solo non è conclusa, ma si è evoluta ed è mutata in qualcosa di nuovo, insidioso e pericoloso. Per prima cosa l’antisemitismo si è definitivamente sovrapposto all’antisionismo: l’odio per gli ebrei è diventato odio sistematico per lo stato di Israele, che, per i suoi crescenti detrattori, non solo non ha diritto di difendersi e di vivere in sicurezza, ma non ha diritto di esistere.
Fiamma Nirenstein coglie però un passaggio in più e ci racconta di come l’antisemitismo abbia allargato ulteriormente i propri confini: non è più solo prerogativa della residuale sottocultura neo-fascista e neo-nazista (mai scomparsa però e che riemerge nella goffaggine sciagurata di quel candidato a sindaco di Roma che ci ha tenuto a farci sapere che ricordiamo troppo la Shoah solo perché gli ebrei controllano la finanza mondiale…), ma neanche più soltanto programma politico del jihadismo internazionale nelle sue varie declinazioni.
C’è un passaggio ulteriore che Fiamma Nirenstein è fra i primi a cogliere e svelare: la descrizione di Israele come uno stato “oppressore” nel quale è stato insediato un regime di “apartheid”. Israele come il Sudafrica e gli ebrei i nuovi “suprematisti bianchi” Un “mondo alla rovescia”, dunque, nel quale l’unica democrazia del Medio Oriente diventa uno stato di apartheid e i terroristi di Hamas dei novelli Nelson Mandela. E questa narrazione cancella facilmente la realtà.
Si dimentica così in un attimo che Israele è una democrazia compiuta e avanzata, dove la minoranza araba gode di diritti impensabili in qualunque altro stato mediorientale; dove la libertà di stampa, di pensiero e di culto sono le fondamenta di uno stato di diritto, tollerante e aperto; dove la libertà di ricerca scientifica e un innovativo sistema di venture capital lo hanno trasformato in breve tempo in una “start-up nation”.
E contemporaneamente si può soprassedere sul fatto che nella striscia di Gaza viga una dittatura islamista e oscurantista, nella quale non c’è spazio per le opposizioni (ben se lo ricordano i dirigenti di Fatah trucidati e costretti alla fuga dopo la presa al potere di Hamas); dove gli omosessuali vengono uccisi a decine e giustiziati in modo sommario, gettati dai tetti dei palazzi di dieci piani a Gaza; dove gli aiuti internazionali vengono utilizzati non per il welfare, l’istruzione, la sanità ma per costruire tunnel sotto gli ospedali e basi di lancio missilistiche nei condomini civili, militarizzando e mettendo a rischio la vita di un’intera popolazione. L’odio antisionista e dunque antisemita diventa, come rileva la Nirenstein, sempre più “intersezionale”: se Israele è uno stato di apartheid e gli ebrei dei “suprematisti” è doveroso, quasi obbligatorio, nel nome della giustizia globale e della tutela universale dei diritti umani, cose ovviamente buone e giuste, battersi contro lo stato di Israele e gli ebrei che vi abitano.
Un odio nuovo che si fonda però su tecniche antiche e Fiamma Nirenstein ricorda le “3d” di Natan Sharansky, ebreo dissidente perseguitato in Unione Sovietica e poi fuggito in Israele: la demonizzazione, il doppio standard e la delegittimazione dello stato di Israele.
Ma Fiamma Nirenstein coglie anche il fatto che c’è una speranza. E questa prende il nome da Abramo, colui che ebrei, cristiani e musulmani considerano il patriarca del monoteismo. Sì, perché gli Accordi di Abramo siglati fra Israele e diversi paesi arabi (Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan) sono la dimostrazione che c’è una parte di mondo arabo e islamico che vuole chiudere la stagione del conflitto e scommettere su pace, dialogo e sviluppo. E non è una “pace fredda”, come fu quella con Egitto e Giordania: l’entusiasmo in tante capitali arabe e l’esplosione in pochi mesi delle relazioni politiche, economiche, commerciali, turistiche fra i paesi firmatari degli Accordi e Israele, lo dimostrano.
(la Repubblica, 4 novembre 2021)
Nasce il polo della Memoria con il centro studi sulla Shoah
Il Cdec (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) porterà al Memoriale del Binario 21 l'immensa mole di documenti sull'eccidio degli ebrei Trentamila i libri su persecuzioni e antisemitismo a disposizione in nuovi spazi di consultazione. Luzzatto: "Ci saranno aula didattica e auditorium aperti a tutti.
di Zita Dazzi
Il grande archivio della memoria del Cdec cambia casa. Verrà ospitato al Memoriale della Shoah, dove oggi si visita il tristemente noto Binario 21, dove venivano formati i treni destinati a portare i deportati verso i campi di concentramento. Il Centro di documentazione ebraica, che raccoglie le testimonianze della comunità milanese e italiana a partire dagli Anni '30 e che offre testimonianze e informazioni sia sulle persecuzioni legate alle leggi razziali sia sull'antisemitismo contemporaneo, si sposta a dicembre. Da gennaio 2022 sarà operativo nella nuova sede. Un grande unico polo dedicato alla Memoria della Shoah, con il percorso museale che porta al Binario 21, l'anfiteatro, la biblioteca e tutti gli spazi e i servizi del Centro di documentazione ebraica (Cdec), fondazione che studia e conserva tutto quel che racconta cosa successe a partire dagli anni '30 con l'avvento al potere di Hitler e di Mussolini. Si trasferisce da metà dicembre in piazza Safra 1, accanto al Memoriale della Shoah, il Cdec, una delle più importanti fondazioni a livello europeo, che fra le molte iniziative culturali, divulgative e di ricerca, ogni anno pubblica un importante rapporto sull'antisemitismo in Italia.
L'annuncio l'ha dato l'altra sera, durante il presidio dopo il corteo no vax di Novara, il presidente dell'istituto che stava in via Eupili, Giorgio Sacerdoti. Ed è il direttore del Cdec, Gadi Luzzatto Voghera, a raccontare il progetto che trasformerà l'ente in un avamposto aperto sulla città, in comunicazione concreta non solo con tutti i milanesi, ma anche con chi vorrà venire qui a studiare o a vedere un evento pubblico, arrivando con un treno da altre città italiane. Rete ferroviaria italiana ha concesso in comodato d'uso al Cdec uno spazio di 250 metri quadrati che verranno collegati e annessi al Memoriale e ai suoi 7 mila metri quadrati circa di percorso che porta al Binario 21, da dove partivano i vagoni blindati carichi di ebrei e prigionieri politici destinati ai campi di concentramento e di sterminio tedeschi. Del Cdec è anche la biblioteca dentro al Memoriale e l'archivio che custodisce 30 mila volumi specialistici sulla storia ebraica e sulle persecuzioni, sia nazionali che internazionali. «È la più completa che c'è in Italia in questo momento e un importante punto riferimento anche europeo — spiega Luzzatto Voghera — . Ci sono oltre 2.200 riviste di cui un centinaio correnti. Abbiamo 600 metri di scaffali con libri, documenti video, testimonianze e molto materiale, che ora è stato anche digitalizzato e messo a disposizione del pubblico, degli studiosi, dei cittadini che volessero documentarsi».
Insomma, da gennaio, quando la nuova sede del Cdec diventerà operativa, Milano si arricchirà di un luogo che farà memoria, celebrerà le date simboliche come il 27 gennaio, ma sarà anche un'istituzione culturale aperta tutto l'anno, dove si andrà a riflettere, a studiare, ad ascoltare esperti. Dal 2015 la fondazione ha creato la Digital library, un portale integrato in cui sono stati inseriti i dati di ogni singolo documento dell'archivio Cdec, messo in collegamento con altre centinaia di archivi "fratelli" in Italia o nel mondo sullo stesso argomento. Una grande "nuvola" che contiene tutto lo scibile accumulato sui temi della persecuzione degli ebrei e sulle storie di chi visse quegli anni bui. Una rete di intelligenze e di documentazione che servirà a partecipare a bandi per ottenere fondi e collaborazioni europee. «Si aprono tante nuove possibilità — riassume Luzzatto — . Sono in via di allestimento spazi diversi, l'aula didattica per le scolaresche e gli insegnanti, l'auditorium che con il nostro arrivo verrà usato di più di oggi. Siamo felici di andare in un'area in grande sviluppo urbanistico, dove le nostre due fondazioni unite si salderanno idealmente con le nuove funzioni del quartiere. Per esempio con i magazzini che vengono usati durante il Salone del mobile e che in futuro saranno riqualificati».
La biblioteca avrà grandi vetrate affacciate sulla strada e 22 postazioni per lo studio e sarà aperta al pubblico, non solo a chi viene per la collezione libraria del Cdec, ma anche per chi vuole stare in questo luogo a studiare. «Diventa uno spazio per la cittadinanza e per gli studenti, un posto dove si organizzeranno eventi culturali e anche manifestazioni politiche come quella di martedì, perché la memoria non è solo storia ma anche politica», conclude il direttore del Cdec.
(la Repubblica, 4 novembre 2021)
Vaccino Covid, Arnon Shahar (responsabile piano vaccinale Israele) a Tgcom24: "Dopo la terza dose, sarà necessario farne altre"
"Noi siamo stati i primi a introdurla. Grazie all'ulteriore richiamo abbiamo salvato migliaia di persone", ha aggiunto.
Sarà necessario fare altri richiami di vaccino anti Covid dopo la cosiddetta "terza dose". Lo dice a Tgcom24 il responsabile del piano vaccinale di Israele Arnon Shahar, ospite del direttore Paolo Liguori a "Fatti e Misfatti". "E' necessario per salvare vite", spiega. "Nei mesi di giugno e luglio, in Israele abbiamo rilevato un calo drammatico dell'immunità, della capacità del vaccino di proteggerci. Visto l'arrivo della quarta ondata, abbiamo così quindi deciso di dare una copertura in più. E così facendo abbiamo salvato migliaia di persone", aggiunge.
"Siamo stati i primi nel mondo ad avviare una campagna per la terza dose, da soli e anche duramente criticati. Ma è stata necessaria. L'antinfluenzale non dura anni - dice ancora, supportando le sue parole -. Non è una novità che si è inventata ieri la medicina. Questa pandemia ci sta facendo capire che dobbiamo essere umili nei confronti del virus. Il Covid è intelligente, riesce a sfuggire alle nostre strategie".
"Dobbiamo fermare il motore della contagiosità - continua Shahar -. Se non riusciremo a fermarlo con i vaccini ci saranno altre ondate. La pandemia finirà quando saremo vaccinati tutti. Vaccinarsi è una responsabilità sociale. E personalmente, ogni volta che avrò un farmaco che saprò che salverà la vita del mio paziente insisterò e andrò in guerra per utilizzarlo".
Per quanto riguarda il Green pass, dice: "Dobbiamo continuare a utilizzarlo fino a fine pandemia". Infine, una riflessione sui no vax: "La quarta ondata è stata un'ondata di non vaccinati. Loro alimentano il motore della pandemia".
(tgcom24, 4 novembre 2021)
Prima dose, seconda dose, terza dose, quarta dose ... e così procedendo in una serie illimitata di dosi. "La pandemia finirà quando saremo vaccinati tutti". Sembra una profezia. Quanto al Green Pass: "Dobbiamo continuare a utilizzarlo fino a fine pandemia", cioè per sempre. Quanto ai no vax: "Loro alimentano il motore della pandemia", cioè il problema ben presto non sarà più la permanenza della pandemia, ma la permanenza dei no vax. E tutto questo ha il suo centro in Israele. Primi nelle vaccinazioni, primi nei certificati, primi... in che cos'altro? M.C.
Effetti negativi del vaccino oscurati dal ministro israeliano
Il Ministro della Salute israeliano è stato sorpreso a cancellare migliaia di testimonianze scritte in risposta a un post che affermava che non vi erano quasi effetti negativi per il vaccino.
(Notizie su Israele, 4 novembre 2021)
Israele e le cicliste afghane in salvo “Aiutare gli altri è una benedizione”
“Aiutare gli altri è una benedizione”. Dice così Sylvan Adams, il mecenate israelo-canadese a capo della Israel Start-Up Nation protagonista di molte iniziative umanitarie intrecciate al mondo dello sport. L’ultima in ordine di tempo collegata proprio al ciclismo, la disciplina in cui la sua squadra si è imposta come un modello non soltanto agonistico ma anche valoriale.
Sua infatti la regia di un’operazione segreta promossa dall’Unione Ciclistica Internazionale che ha permesso la fuga di vari cittadini afghani a rischio sotto il nuovo regime: tra loro cicliste e professioniste in vari campi minacciate in quanto donne emancipate, oltre a studenti, giornalisti e attivisti. Uno sforzo reso pubblico di recente che ha messo in gioco vari governi, con Israele punto di riferimento al pari di Svizzera, Francia, Canada, Emirati Arabi Uniti e Albania.
Ed è proprio in Albania che Adams si è recato per incontrare faccia a faccia un gruppo di donne che avevano fatto del ciclismo la loro passione, impossibilitate non solo a perseguirla ma anche a proseguire la loro esistenza senza il timore di soprusi e violenze. Abbracci, commozione e poi tutti insieme sui pedali per le vie di Tirana, con addosso la divisa di un team che anche i tifosi italiani hanno imparato ad apprezzare sulle strade del Giro. Nell’occasione Adams ha rivelato qualche dettaglio sulla rete di soccorso: “La dinamica – ha spiegato – è stata molto simile alla trama di un romanzo o film di spionaggio. Ci sono persone che, per portare a termine la missione, hanno rischiato la vita”.
(moked, 3 novembre 2021)
Cosa fanno Israele ed Emirati sulla cybersicurezza
L’accordo con Israele è l’ultimo di una serie di partnership per Beacon Red. L’articolo di Giuseppe Gagliano
di Giuseppe Gagliano
A Dubai, alla GITEX Technology Week 2021, svoltasi dal il 17 al 21 ottobre è stata siglata una nuova intesa nel contesto della cybersicurezza frutto degli accordi di Abramo. In un ulteriore riavvicinamento con il settore informatico israeliano, la Beacon Red, una filiale della società di difesa degli Emirati Arabi Uniti EDGE Group, ha collaborato con l’israeliana XM Cyber, guidata dall’ex capo del Mossad Tamir Pardo. Queste due società hanno siglato una nuova partnership che si concentrerà sulla gestione delle vulnerabilità, con Beacon Red che attingerà all’esperienza di XM nei metodi di attacco per identificare le vulnerabilità più a rischio. La partnership sarà supervisionata dal capo della sicurezza delle informazioni di Beacon Red, Rogerio Lemos, e dal capo dei mercati emergenti di XM Erez Jacobson. L’azienda israeliana, che sta andando bene in Europa e negli Stati Uniti è desiderosa di rafforzare il suo marchio in Medio Oriente, dove deve ancora ottenere contratti importanti. Ma cosa è la Beacon Red? Red è un’impresa che ha preso il posto della pionieristica società cyber-offensiva degli Emirati Arabi Uniti DarkMatter, dove in precedenza lavoravano un certo numero di dirigenti Beacon Red, tra cui l’amministratore delegato dell’azienda Mauricio de Almeida. La società emiratina, specializzata nella consulenza sulla guerra ibrida con una forte attenzione al cyber, ha precedentemente fatto affidamento sulle competenze informatiche australiane e statunitensi assumendo un gran numero di veterani del settore dell’intelligence e della difesa come il capo della sua divisione difesa e cyber, Eric Eifert, che in precedenza era con ManTech. L’accordo è l’ultimo di una serie di partnership che Beacon Red ha stabilito con società informatiche israeliane dalla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Emirati Arabi Uniti-Israele, anche con la società di simulazione di attacchi informatici israelo-statunitensi.
(Startmag, 3 novembre 2021)
Israele, personale hi-tech cercasi
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Infografica che mostra i dati del rapporto della Israel Innovation Autority
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Nell'anno della profonda crisi pandemica, l'industria hi-tech israeliana, in controtendenza con gli altri settori, ha resistito. Lo racconta un report pubblicato in estate dall'Autorità israeliana per l'innovazione, in cui emerge chiaramente il ruolo centrale di questa realtà nell'economia israeliana. Per esempio, il report dice che il 15 per cento del prodotto interno lordo di Israele è generato dal mondo dell'alta tecnologia. O ancora che le esportazioni high-tech sono aumentate costantemente nel corso degli ultimi anni e hanno raggiunto quasi 50 miliardi di dollari nel 2020, rappresentando oltre il 40 per cento del totale delle esportazioni israeliane.
Il documento però non è solo un'autocelebrazione, ma mette in luce le criticità per il futuro di questo settore. In particolare viene evidenziato come un quarto degli studenti universitari stia studiando materie scientifiche e potenzialmente possa essere poi impiegato nell'hi-tech. Il problema è che solo il 45 per cento dei datori di lavoro è disposto ad assumere impiegati junior, cioè senza esperienza. "Quindi, - si legge - senza un cambiamento di percezione da parte dei datori di lavoro del settore, il problema dei giovani non potrà che peggiorare". Ovvero arriveranno sul mercato, ma non troveranno offerte di lavoro. Questo perché i profili che mancano in Israele sono quelli più specializzati: sono attualmente 16mila i posti vacanti e che l’industria sta cercando di coprire.
Per far fronte a questa mancanza di risorse umane, si è guardato all'estero. Negli ultimi tre anni circa mille lavoratori sono stati pescati fuori dai confini nazionali, in particolare negli Usa, in India, in Germania e in Cina. E il nuovo governo israeliano, in particolare attraverso gli sforzi del ministro della Scienza e della Tecnologia Orit Farkash-Hacohen, sta mettendo in piedi un intero sistema per portare in Israele lavoratori da impiegare nell'alta tecnologia. Per facilitare le assunzioni sono state previste delle agevolazioni fiscali, iter burocratici semplificati per i permessi di lavoro, incentivi per l'immigrazione ebraica. Su quest'ultimo elemento il governo israeliano punta in modo particolare: il presupposto è che chi fa l'aliyah viene in Israele per rimanerci. E questo è importante per stabilizzare il mercato del lavoro, che altrimenti potrebbe vedere gli impiegati rimanere un periodo circoscritto per poi lasciare nuovamente vacanti le proprie posizioni e trasferirsi altrove.
Per il futuro però non basta l'importazione di know how, segnala l'Autorità israeliana per l'innovazione, ma e necessario costruire percorsi di formazione per gli studenti del paese che siano poi in grado di rispondere alla domanda del settore, con una flessibilità dei datori di lavoro. Inoltre, è necessario aumentare la quota di donne (già significativa perché rappresenta un terzo del totale), dei haredi (sono solo il 3 per cento) e arabi (il 2 per cento) con competenze utili per questo mercato. A maggior ragione considerando che l'hi-tech sembra essere sempre più la colonna portante dell'economia nazionale.
(Shalom, novembre 2021)
3 novembre ’43, cominciò in via Bertora la tragica retata degli ebrei genovesi
Oggi da Galleria Mazzini la partenza della marcia della memoria
di Mario Paternostro
GENOVA - Oggi, da Galleria Mazzini alla Sinagoga sfileranno i genovesi (speriamo siano in tanti) per ricordare il 3 novembre del 1943, quando avvenne da parte delle SS occupanti il rastrellamento degli ebrei. Me lo racconta, con la sua innata sobrietà, Piero Dello Strologo, presidente del circolo Primo Levi e la sua intervista è diventata una puntata di “Terza”. Di fronte a quell’ orrenda sceneggiata di no green pass novaresi, che hanno sfilato in strada vestiti come i deportati nei lager nazisti, sono andato a rivedere la puntata della trasmissione di Primocanale. Vale la pena, oggi di ricordarlo quel giorno. Anche nella nostra città e per fortuna che la Comunità di Sant’Egidio con il Primo Levi e la Comunità Ebraica, promuove da anni questa importante celebrazione. Mi spiegava Dello Strologo che la comunità ebraica genovese nata nel Settecento (ma nel 1492 ormeggiarono al Molo tre caravelle con gli ebrei che fuggivano dalla Spagna, restarono segregati per un mese e poi furono ospitati da Alfonso di Borbone a Napoli) diventт una delle piщ importanti in Italia, dopo quelle di Roma e di Milano. “Per lo più dediti a piccolo commercio, cominciando da quello del tabacco, si insediarono al Molo e vicino alle Mura della Malapaga costruirono la prima Sinagoga che restò in funzione fino al 1935, quando fu realizzata quella attuale di via Bertora”. ”Nel Novecento, con la crescita del porto – ricorda ancora Dello Strologo nell’intervista – avvenne il grande sviluppo della comunità. Allora erano circa duemila persone e in via Roma aprirono alcuni tra i più importanti negozi della città, da Issel a Cabib a Abolaffio”. Quando la sinagoga fu inaugurata vi fu una grande partecipazione della città, anche delle autorità fasciste. Tre anni dopo cambiò tutto. Gli ebrei, dopo la guerra etiopica, diventarono una “razza diversa” fino a quel terribile 5 settembre del 1938 quando i bambini ebrei furono cacciati dalle scuole. Ricorda il presidente del Primo Levi: “Noi bambini vivemmo cinque anni in una bolla. Finché il 16 ottobre del 1943 vi fu la tremenda retata nel ghetto di Roma. Ma il 3 novembre la Sinagoga di Genova era ancora aperta. Improvvisamente arrivarono alcune SS, portarono via tutti i registri degli iscritti e andarono a cercarli nelle case. Ricordo una signora che abitava in fondo a via Bertora e vide dalla finestra di casa quello che stava accadendo. Con coraggio diede l’allarme. I tedeschi arrestarono anche lei. In conclusione furono deportati 262 ebrei e alla fine della guerra ne tornarono soltanto dodici”. E’ giusto, quindi, essere tutti anche sotto la pioggia, in Galleria Mazzini, dove fu arrestato il rabbino capo Riccardo Pacifici, morto nel campo di concentramento di Auschwitz con la moglie, a ricordare e soprattutto a non dimenticare mai. Tanto più in questi giorni, di fronte a manifestazioni che, invocando un presunto diritto alla libertà, offendono la storia. Quella purtroppo vera.
(Primocanale, 3 novembre 2021)
I residenti di Sheikh Jarrah si oppongono al compromesso della Corte suprema israeliana
GERUSALEMME - I residenti arabi del quartiere Sheikh Jarrah, a Gerusalemme, hanno respinto all’unanimità l’accordo di compromesso proposto dalla Corte suprema israeliana in merito alla proprietà delle abitazioni. Lo riferisce una nota stampa ripresa dalla stampa israeliana. In precedenza, la Corte suprema israeliana ha proposto ai residenti arabi di restare nelle loro case per almeno 15 anni, in cambio del riconoscimento della proprietà a un gruppo di coloni e del pagamento di un affitto simbolico. Oggi, durante una conferenza stampa, Muna el Kurd, ha espresso la posizione delle famiglie. “Rifiutiamo all’unanimità l’accordo proposto dal tribunale dell’occupazione (Israele, ndr)”, ha detto El Kurd, sottolineando che l’accordo “prepara la strada per l’espropriazione dei diritti sulle nostre terre”.
Secondo la proposta, le tre famiglie che rischiano lo sfratto sarebbero riconosciute come inquilini protetti di prima generazione, mentre una quarta famiglia sarebbe considerata di “seconda generazione”. Gli sgomberi pianificati a Sheikh Jarrah lo scorso maggio hanno concorso, insieme all’annullamento delle elezioni palestinesi, allo scoppio di un conflitto tra Israele e i gruppi armati presenti nella Striscia di Gaza, capeggiati da Hamas.
(Agenzia Nova, 2 novembre 2021)
“Süss l’ebreo”, il film antisemita voluto da Goebbels riproposto nelle edicole di Milano
GERMANIA - 1940. È l’anno in cui nei cinema tedeschi uscì “Süss l’ebreo”, una pellicola nazista e antisemita, divenuta caposaldo della propaganda antiebraica del Terzo Reich.
Milano, 2021. È l’anno in cui nelle edicole milanesi è possibile acquistare il dvd di “Süss l’ebreo”, senza una critica iniziale, senza un commento, senza una qualsiasi contestualizzazione in aiuto per chi non conosce un film chiaramente antisemita.
A cura di “A&R Productions”, specializzata nel recupero di vecchi film, la distribuzione della pellicola sta creando diverse polemiche, che presto sfoceranno in una interrogazione parlamentare.
Ad annunciarla è stato il deputato del PD Emanuele Fiano:
“È così come se niente fosse, in edicola a Milano si può comprare Süss l’ebreo la più importante opera di cinematografia nazista antisemita. Senza un’introduzione, senza una spiegazione, senza una storicizzazione. Così come se niente fosse. Come se i nazisti fossero ancora tra noi e vendessero liberamente i loro prodotti. Quel film che proiettavano nei cinema in Germania, per preparare il popolo all’attuazione della Soluzione Finale. Così come se niente fosse. E poi ci meravigliamo di Novara? Presenterò domani un’interrogazione ma anche una denuncia alla procura per i reati descritti dalla Legge Mancino. Non sarò mai indifferente”.
La denuncia per la distribuzione nelle edicole milanesi del film antisemita è stata fatta dall’Osservatorio democratico sulle nuove destre che ha espresso “sconcerto”:
“La pellicola fu commissionata dal ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels, che intervenne (come dichiarò lo stesso regista) anche personalmente sulla sceneggiatura, il montaggio e la selezione degli attori. Per parte sua Heinrich Himmler ordinò che tutti i membri delle SS e della Gestapo vedessero il film. Nel personaggio di Süss, il regista, Veit Harlan, che fu al termine della guerra anche sottoposto a processo con l’accusa di “crimini verso l’umanità”, cercò di condensare tutti gli stereotipi possibili dell’ebreo, anche fisici: con il naso adunco e la barba sudicia, avido e usuraio, imbroglione e immorale, ostile verso i non-ebrei”.
2021, Milano: a 81 anni dall’uscita, un film contro gli ebrei viene riproposto in una delle città guida del nostro paese, come niente fosse.
(Progetto Dreyfus, 2 novembre 2021)
Caso Eitan Biran, nonno Peleg fa ricorso contro il ritorno del bimbo in Italia
In primo grado la giudice del tribunale di Tel Aviv aveva dato ragione alla zia paterna Aya ordinando il rientro a Pavia dell'unico sopravvissuto della strage del Mottarone.
di Sharon Nizza
TEL AVIV - Shmuel Peleg, nonno materno di Eitan, ha presentato ricorso alla Corte distrettuale di Tel Aviv, impugnando la sentenza del tribunale della famiglia che una settimana fa aveva dato ragione alla zia paterna Aya Biran. In primo grado, la giudice Iris Ilotovich-Segal ha stabilito che “Eitan è stato allontanato illegittimamente dal suo luogo di residenza abituale” e ha ordinato il rientro in Italia del piccolo, unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, secondo i termini della Convenzione dell'Aja sulla sottrazione dei minori. “Sfortunatamente, il tribunale della famiglia ha scelto di non tenere conto delle circostanze eccezionali che si sono presentate e ha ignorato le azioni unilaterali intraprese apparentemente con astuzia dalla zia per ottenere la tutela, alle spalle della famiglia Peleg mentre era in lutto”, si legge in una nota diffusa dalla famiglia materna. “Ci auguriamo che il Tribunale distrettuale di Tel Aviv respinga il ricorso”, hanno risposto i Biran tramite gli avvocati Shmuel Moran, Avi Himi e Alon Amiran. “La sentenza del tribunale della famiglia parla da sé: è completa, ben fondata e approfondita”, hanno sottolineato i legali, augurandosi che Eitan possa tornare “il più rapidamente possibile alla sua famiglia, alla sua scuola, alle strutture terapeutiche da cui era stato rapito”. Nell’emettere la sentenza, la giudice ne aveva tuttavia sospeso l’esecutività immediata, per consentire la presentazione dell’appello. Saranno ora i giudici della Corte distrettuale di Tel Aviv, che si riunirà a stretto giro, a stabilire se mantenere questa decisione in piedi o ordinare l’immediato rientro del piccolo anche durante il dibattimento di secondo grado, che si stima durerà circa un mese, secondo le tempistiche serrate stabilite dalla Convenzione. Nel frattempo, la tensione tra i due rami della famiglia continua a essere alta. Dopo la sentenza lunedì scorso, Aya Biran non ha consegnato Eitan al ramo materno, facendo saltare l’accordo stabilito precedentemente dalla stessa giudice che garantiva la custodia congiunta del piccolo fino al termine delle procedure legali in Israele. Nei giorni successivi, la giudice ha accolto la richiesta dei legali dei Biran che il bambino rimanesse sotto la loro custodia esclusiva (Aya si è trasferita in Israele da oltre un mese con marito e le due figlie per seguire il processo), con possibilità di incontrare i Peleg solo alla presenza dei servizi sociali. Opzione che proverebbe “che per Aya il suo bene viene prima di quello di Eitan”, accusa la famiglia materna, che ha presentato ricorso anche contro questa decisione. “Non vediamo Eitan da una settimana”, dice a Repubblica Etty Cohen, la nonna materna. “Aya ha deciso che la famiglia della mamma di Eitan deve essere esclusa dalla sua vita e come ha cercato di impedirci di vederlo in Italia, ora sta facendo la stessa cosa qui”. “Non c’è motivo per cui si svolga in Italia il dibattimento sul futuro della vita di Eitan, cittadino israeliano la cui maggior parte dei familiari (da entrambe le parti) si trova in Israele e parla ebraico”, prosegue il comunicato della famiglia Peleg. Va specificato che il processo in corso in Israele non affronta la questione del futuro di Eitan, bensì quale sia la sede giudiziaria dove si debba svolgere questo dibattimento, determinata, secondo la Convenzione dell’Aja, da alcuni criteri specifici. Tra questi, quale sia il “luogo di residenza abituale” del minore. La giudice Ilotovich-Segal ha per l’appunto stabilito che si tratti dell’Italia ed è “in quella sede che devono continuare i procedimenti già avviati sul futuro del bambino” ha scritto. Un altro criterio fondamentale della Convenzione stabilisce che chi ne richieda l’attivazione sia l’ente o la persona che esercita il “diritto di affidamento” del minore e “in particolare il diritto di decidere riguardo al suo luogo di residenza”. Dalla sentenza di primo grado – di cui sono stati resi pubblici ampi stralci, nonostante il processo si svolga a porte chiuse – è possibile dedurre che il ricorso della famiglia Peleg verterà in particolare su questo punto, contestando che la zia Aya avesse la facoltà di “decidere riguardo al luogo di residenza di Eitan”. Per avallare la propria tesi, i legali dei Peleg hanno portato di fronte alla giudice i pareri di due esperti di diritto italiano, l’avvocato Luca Passanante, professore ordinario di diritto processuale civile dell'Università degli Studi di Brescia e il professor Mauro Paladini, ex magistrato del Tribunale di Piacenza. Negli estratti delle loro deposizioni resi pubblici, essi rilevano quelli che potrebbero essere dei vizi di forma nelle procedure legali che hanno conferito ad Aya la tutela del piccolo, avvenute a Torino due giorni dopo la tragedia e a Pavia il 9 agosto (ricorso). Nel primo caso, la mancata richiesta di applicazione dell’articolo 371 del codice civile che conferisce al tutore la facoltà di decidere il luogo dove il bambino deve vivere (il prerequisito della Convenzione). In sostanza – è la strategia legale dei Peleg – Aya in quanto “tutrice” aveva un ruolo puramente amministrativo e non di “affidatario” (termini peraltro scritti in italiano e lungamente dissertati nelle 79 pagine della sentenza, per appurarne le differenze rispetto agli equivalenti nel diritto israeliano). Nel secondo caso, viene invece contestata dai legali dei Peleg la mancata attivazione dell’articolo 741 del codice civile, che dispone che un decreto abbia efficacia immediata, nonostante l’impugnazione. Se la decisione del giudice tutelare di Pavia di agosto non è definitiva – si vuole sostenere – non si tratta di sottrazione illegale. La giudice israeliana - che ha sentito anche il parere della dottoressa Maria Cristina Canziani, ex giudice del Tribunale dei minori di Milano, portato dai legali dei Biran - ha respinto queste argomentazioni sostenendo che “non si possa negare in nessun modo che lo Stato di Israele abbia l'obbligo di rispettare i procedimenti nei Paesi che hanno aderito alla Convenzione” e “il solo fatto che una sentenza sia stata impugnata non significa che il procedimento in corso sia inesistente e deve essere consentito ai tribunali competenti, nel Paese di origine, di portare a termine il loro lavoro fino alla pronuncia di una sentenza definitiva”. I presunti vizi di forma reclamati dagli avvocati dei Peleg che emergono dalla sentenza di primo grado sembrano essere l’appiglio legale su cui si basa la ripetuta contestazione della famiglia materna per cui hanno “perso fiducia nella giustizia italiana”. Secondo diversi esperti israeliani di diritto, le probabilità che la corte distrettuale di Tel Aviv ribalti la sentenza di primo grado sono basse. Ma quanto emerge ora dagli atti del processo in corso in Israele sono alcuni dei nodi che a breve passeranno al vaglio del tribunale dei minori di Milano, che ai primi di dicembre si riunirà nuovamente per discutere il ricorso dei Peleg sulla tutela conferita ad Aya. Se la corte distrettuale di Tel Aviv confermerà la decisione di primo grado (e salvo ulteriore appello alla Corte Suprema), è in quella sede che si deciderà il futuro di Eitan.
(la Repubblica, 2 novembre 2021)
Il Negev come Marte: conclusa l'esercitazione astronautica nel cratere Ramon
di David Di Segni
Sembra di essere su Marte, ma è nel cratere Ramon del Negev Meridionale d’Israele che, settimane fa, sei astronauti provenienti da diversi paesi hanno iniziato il progetto di simulazione della vita sul pianeta rosso. Per un mese hanno condotto esperimenti per rendere sempre più vicino e concreto il viaggio dell’uomo verso Marte.
Il programma di un mese, intitolato AMADEE-20, è stato l’epilogo di una collaborazione quadriennale tra centinaia di ricercatori provenienti da venticinque paesi diversi. L'iniziativa è stata guidata dal Forum Spaziale Austriaco in collaborazione con l'Agenzia Spaziale Israeliana, attraverso l'organizzazione israeliana D-MARS.
I sei astronauti “analogici” - così chiamati perché operano in ambienti analoghi allo spazio - hanno trascorso tre settimane isolati dal mondo esterno, in condizioni fedeli a quelli riscontrabili su Marte. Comunicazioni con il centro di controllo - situato in Austria - veicolate con un ritardo di circa dieci minuti, doccia con acqua limitata e risoluzione di tutti i problemi in corso d’opera senza aiuti esterni. Gli astronauti hanno condotto numerosi esperimenti al fine di avvicinarsi sempre più all’inizio di una missione con equipaggio su Marte. Tra questi, il test delle tute spaziali - pesanti più di 50 chili- di cui sono stati equipaggiati.
Perché è stato scelto proprio il Negev come sito d’esercitazione? Il paesaggio roccioso color ruggine del cratere Ramon e le sue condizioni climatiche sono stati considerati come una sostituzione valida alle condizioni atmosferiche di Marte. “Una formidabile analogia - ha detto Gernot Gromer, direttore del Forum spaziale austriaco, durante la cerimonia di chiusura del programma - Gli astronauti non erano su Marte, ma nemmeno completamente sulla Terra".
L’esperienza, sostengono gli scienziati, è stata realistica. "Non è difficile entrare in questa mentalità - ha detto Anika Mehlis, unica donna della squadra - La mattina, quando ti svegli e guardi fuori dalle piccole finestre, e vedi questo paesaggio rosso, e non c'è nessuno, e non puoi uscire, e le uniche comunicazioni sono con un ritardo, inizi a sentirti davvero isolato”.
Un piccolo passo verso la conquista di Marte. Gli astronauti coinvolti nell’esperimento sono fiduciosi delle proprie scoperte, ed il sogno sembra non essere troppo futuro. Addirittura, è probabile che “il primissimo essere umano a camminare su Marte sia già nato” ha detto Gromer. Le imprese pubbliche e private stanno correndo verso Marte. Sia l'ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che il fondatore di SpaceX, Elon Musk, hanno dichiarato che gli esseri umani avrebbero camminato sul Pianeta Rosso in pochi decenni. Nel frattempo, nuovi sfidanti come la Cina si sono uniti agli Stati Uniti e alla Russia nella corsa verso Marte.
(Shalom, 2 novembre 2021)
Israele riapre le frontiere ai turisti vaccinati di tutto il mondo, dal 1° novembre 2021.
Israele è stato tra i primi paesi a lanciare la campagna di vaccinazione all'inizio di quest'anno e alla fine dell'estate ha iniziato a somministrare la terza dose di vaccino.
Ad oggi, più di 3.9 milioni di israeliani (circa il 42% della popolazione) hanno già ricevuto la dose di richiamo e le autorità hanno ripreso i colloqui per riaprire il turismo, una delle principali industrie della Terra Santa.
Dopo lunghi dibattiti e analisi avvenuti nei giorni scorsi, il Ministero del Turismo israeliano ha confermato domenica sera la riapertura delle frontiere dei turisti stranieri vaccinati contro il Covid-19 a partire da oggi, 1° novembre.
• Dal 1 novembre, i turisti vaccinati da tutto il mondo hanno di nuovo accesso in Israele
Le autorità di Gerusalemme hanno recentemente emesso un'ordinanza che sancisce la ripresa del turismo internazionale, oltre a nuove regole secondo cui i turisti di tutto il mondo potranno visitare Israele, a più di un anno e mezzo dalla chiusura delle frontiere del 9 marzo 2020. L'accesso è consentito da oggi, 1 novembre 2021, a tutti i cittadini stranieri vaccinati a regime completo negli ultimi 180 giorni con uno dei sette vaccini riconosciuti dall'OMS (Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson, AstraZeneca, Sinovac, SinoPharm, Covishield), così come coloro che hanno avuto il COVID negli ultimi sei mesi, sono stati curati e possono dimostrare la malattia con documenti giustificativi ufficiali. Questa decisione è stata presa dopo che circa il 65% della popolazione israeliana ha già ricevuto il programma di vaccinazione completo e il 41% dei cittadini è immunizzato anche con la dose di richiamo, con Israele tra i primi paesi ad adottare la terza dose di vaccinazione.
• Condizioni di viaggio in Israele dal 1 novembre 2021: certificato di vaccinazione o prova di malattia, test COVID PCR e test PCR eseguiti all'ingresso nel paese, più PLF
Il Ministero del Turismo israeliano ha annunciato ufficialmente che, a partire dal 1 novembre 2021, i turisti di tutto il mondo potranno di nuovo viaggiare liberamente in Israele. Ci sono, infatti, restrizioni per coloro che sono stati in una lista rossa negli ultimi 14 giorni, ma in questo momento nessun paese è classificato come rosso nella lista. La maggior parte dei paesi è considerata arancione (livello di rischio medio), inclusa la Romania. Pertanto, i turisti rumeni potranno entrare in Israele se soddisfano le seguenti condizioni:
- Essere vaccinati con un programma completo almeno 14 giorni prima di entrare in Israele e un massimo di 180 giorni prima della fine del viaggio in Terra Santa OPPURE essere in grado di dimostrare il passaggio attraverso la malattia negli ultimi sei mesi OPPURE avere il dose di richiamo eseguita;
- Presentare un test PCR negativo eseguito con un massimo di 72 ore prima dell'imbarco per Israele;
- Esegui un altro test PCR all'ingresso in Israele a tue spese e attendi in isolamento per un massimo di 24 ore fino a quando non ricevi il risultato negativo. Il valore equivalente del test è di circa 100 NIS (circa 130 RON);
- Compilare un modulo sanitario da presentare all'imbarco per Israele, oltre che all'ingresso nel Paese, un modulo contenente informazioni quali la data e il tipo di vaccino somministrato, le persone con cui viaggiano o i Paesi visitati negli ultimi 14 giorni.
Tutte le informazioni ufficiali sono disponibili sul sito web del Ministero della Salute israeliano: corona.health.gov.il
(AirlinesTravel.ro, 2 novembre 2021)
Via alla raccolta di firme contro i cortei "No pass". Oggi presidio bipartisan
Una doppia rivolta contro i deliri no vax. La prima, firmata Confcommercio Milano, è una petizione-appello per dire basta ai cortei selvaggi che da 15 sabati consecutivi tengono in scacco cittadini e commercianti. La seconda è il presidio organizzato oggi alle 18 dalla Comunità Ebraica davanti al Memoriale per dire «basta alle strumentalizzazioni della Shoah». La misura era già colma prima delle immagini choc arrivate da Novara, dove un gruppo No green pass ha osato sfilare per le vie del centro storico piemontese indossando pettorine a strisce verticali bianche e grigie, alcune con un numero identificativo appuntato addosso, e tenendosi a una corda che ricordava un filo spinato, chiaro riferimento ai lager nazisti. I gruppi politici parteciperanno in maniera bipartisan, hanno aderito e saranno presenti esponenti di Pd, Lega, Forza Italia.
Partendo dal primo atto di ribellione, Confcommercio ha lanciato la raccolta firme on line sul sito change.org. «Milano produttiva - si legge - vuole dire con chiarezza che la città non può e non vuole dividersi sulle soluzioni per combattere la pandemia; che la città dà spazio e ascolta da sempre le opinioni di tutti e che tutti hanno diritto di manifestare le proprie idee ma nel rispetto delle regole democratiche e della legge».
Milano, prosegue il testo, «vuole far sentire la voce pacifica ma ferma della grande maggioranza dei propri cittadini che non condivide la paralisi ogni sabato della città per cortei ripetitivi che spesso non rispettano le regole creando disagi crescenti e rischi per la collettività. Se non c'è condivisione sullo strumento dei vaccini e sull'utilizzo del green pass ci sono tutte le modalità democratiche per far sentire le proprie ragioni e per individuare propri rappresentanti da eleggere nelle istituzioni. Ma una minoranza, qualunque essa sia, non può imporre la propria volontà e tenere sotto scacco una grande città». E «in vista del periodo natalizio Milano non può accettare, dopo tutta la sofferenza di questo lungo anno e mezzo di pandemia, che si crei un clima di contrapposizione dannoso per la società civile e per il mondo delle imprese».
Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli sottolinea che «la probabile estensione dell'emergenza sanitaria dimostra che la pandemia resta ancora un problema aperto e una fonte di preoccupazione. Proprio per questo è fondamentale ricordare che è il Covid il nemico comune e non le soluzioni per combatterlo. La petizione che lanciamo è un appello forte alla responsabilità da parte di tutti, nel rispetto della libertà di tutti. Dopo un anno e mezzo drammatico Milano, e il nostro Paese, hanno assoluto bisogno di tornare a crescere in sicurezza. Tutti insieme per il bene comune e per la libertà».
La Comunità ebraica dice invece «basta con le stelle gialle, le casacche a righe dei prigionieri dei campi e i simboli di Auschwitz usati dai no vax. Non accettiamo paragoni tra le cure contro il virus e lo sterminio di persone innocenti. La nostra coscienza civile si ribella al confronto tra la distruzione degli ebrei d'Europa e norme che proteggono i cittadini. Chiediamo rispetto per le vittime, coscienza della storia del nostro Paese e difesa della memoria che ci unisce». Prima del delirio a Novara c'erano stati gli attacchi a Liliana Segre, gli striscioni «Ora e sempre Resistenza» alla testa dei cortei. Alle 18 davanti al Memoriale hanno già annunciato la presenza il Pd, il capogruppo milanese della Lega Alessandro Verri e quello di Forza Italia Alessandro De Chirico che ha «invitato la commissaria cittadina e altri esponenti azzurri a venire numerosi, è importante partecipare per ricordarsi di dove la follia umana possa arrivare. É gravissimo che qualcuno paragoni il Green pass alla deportazione, sintomo di una società malata e superficiale. Chi oggi si dimentica della gravità della Shoah non è degno di alcuna solidarietà». Il capogruppo Fdi Andrea Mascaretti invia la «vicinanza e solidarietà del partito alla comunità ebraica che incontreremo a breve. C'è diritto di manifestare ma va condannato l'uso improprio di simboli della sofferenza e della deportazione nei campi di sterminio».
(il Giornale, 2 novembre 2021)
... ma va condannato l'uso improprio di simboli della sofferenza e della deportazione nei campi di sterminio». D'accordo. Con tutto il resto no. Ma è inutile parlarne. Le scelte ormai sembrano fatte e ai benpensanti non interessa certo ascoltare qualcuno che si lascia collocare nella categoria dei "no vax" per motivi di coscienza e si colloca spontaneamente in quella dei "no green pass" per motivi di ragione. E se le cose sono arrivate a questo punto, ciascuno deve fare personalmente i conti con la propria coscienza e la propria ragione. E poi scegliere. M.C.
"Se lo storico non indaga vincono le notizie false"
L’ex rettore Stefano Pivato di nuovo in libreria con un saggio sulla vicenda di Bartali e il salvataggio degli ebrei.
di Tiziano V. Mancini
Probabilmente nessuno meglio di uno storico di professione può comprendere il valore del tempo quale apportatore di verità. Perché non sempre il suo trascorrere deposita polvere e spessori di ombre sui fatti, ma consente invece che la tentazione vanità delle ideologie, della politica, dell’opportunismo sbiadisca a favore dell’emergere della sostanza delle cose.
La storia di Bartali e del suo presunto "salvataggio di migliaia di ebrei" che gli valsero il titolo postumo di “Giusto delle Nazioni“ da parte dello Yad Vashem e la medaglia d’oro al valore civile da parte del Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi, è un caso emblematico e viene ricostruita dettagliatamente dalle voci di David Bidussa, John Foot, Gianluca Fulvietti, Carala Marcellini, Stefano Pivato e Nicola Sbetti nel volume “Il caso Bartali e le responsabilità degli storici“ (Castelvecchi, 2021) che fa da naturale e si spera definitiva conclusione alla vicenda sollevata dal libro di Stefano Pivato “L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata“ anch’esso edito quest’anno da Castelvecchi.
Ma piuttosto che una difesa della casta o un j’accuse generalizzato, il libro vuole essere una rara ammissione di colpa degli storici che offre l’occasione per riflettere sul ruolo della memoria e sul rapporto di questa con i documenti e infine con i fatti, a partire dalla testimonianza di don Aldo Brunacci, che, come si legge nella prefazione "fu stretto collaboratore del vescovo di Assisi Giuseppe Placido Nicolini, nell’opera di salvataggio di ebrei fra il 1943 e il 1944, sostituito poi da Bartali nei racconti di Alexander Ramati, scrittore e regista, allo scopo di rendere la trama del romanzo Assisi Underground (Harper and Collins, 1978) più avvincente. Un equivoco incredibilmente rimasto senza traccia fino a che, nel 2017, Michele Sarfatti non si è servito proprio di quella testimonianza per smontare tutta la leggenda. La “falsa notizia“ del ruolo di Bartali nell’opera di salvataggio degli ebrei è diventata leggenda perché, nel corso degli anni, non è mai stata indagata da nessuno storico", tanto da sfociare in una vulgata degna di quello che Pivato definisce nel suo intervento "il Paese di Vanna Marchi" nel quale neppure il positivismo che dovrebbe essere proprio degli storici, ne abbiamo avuto riprova anche questi giorni, riesce a sottrarsi a scivoloni da avanspettacolo.
(il Resto del Carlino, 2 novembre 2021)
Eitan: la famiglia della madre ricorre contro il ritorno in Italia
Secondo il nonno, Shmuel Peleg, la sentenza ha ignorato le "azioni unilaterali" della zia Aya Biran
La famiglia della madre di Eitan Biran, il bimbo di sei anni unico sopravvissuto della tragedia del Mottarone, ha fatto ricorso contro la decisione del tribunale di Tel Aviv che ha stabilito il suo ritorno in Italia presso la zia italiana. Lo riferisce l'emittente israeliana Canale 2.
Dopo aver perso i genitori, il fratellino di un anno e i bisnonni nell'incidente della funivia lo scorso maggio, Eitan era stato sequestrato e portato in Israele dal nonno materno, Shmuel Peleg, lo scorso settembre. La battaglia legale tra i due rami della famiglia si era conclusa in prima istanza con un pronunciamento a favore della zia Aya, la sorella del padre, residente in Italia, con la sentenza del Tribunale della famiglia che ha riconosciuto le ragioni della zia paterna nell'ambito della Convenzione dell'Aja sulla sottrazione dei minori.
Il nonno materno ora ha presentato ricorso alla Corte distrettuale di Tel Aviv contro la sentenza. Il portavoce della famiglia, Gadi Solomon, ha fatto sapere che nel ricorso si denuncia che il Tribunale nella sua sentenza non ha tenuto conto "delle circostanze eccezionali di fronte alle quali si trovava" ed ha ignorato "le azioni unilaterali della zia Aya Biran".
"Ci auguriamo che il Tribunale distrettuale di Tel Aviv respinga il ricorso". Questa la reazione di Shmuel Moran, Avi Himi e Alon Amiran, legali di Aya Biran. "La sentenza del tribunale della famiglia - hanno sottolineato - parla da sé ed è completa, ben fondata, approfondita e accademica". I legali si augurano che "come determinato" dal Tribunale della famiglia" di Tel Aviv, Eitan torni "il più rapidamente possibile alla sua famiglia, alla sua scuola, alle strutture terapeutiche da cui era stato rapito".
(RaiNews, 1 novembre 2021)
Iran ed Hezbollah spingono il Libano sempre più nel baratro
Che il Libano sia ormai oltre la linea del baratro è evidente a tutti, ma che nel bel mezzo della più grande crisi mai attraversata dal Paese dei cedri un Ministro di Hezbollah, pur di fare il gioco dell’Iran, rischi di mettere a repentaglio le relazioni con gli unici paesi che possono aiutare il Libano è davvero incredibile.
Il ministro dell’Informazione libanese, George Kordahi, vicino a Hezbollah e al regime siriano, nei giorni scorsi ha rilasciato dichiarazioni nelle quali equiparava i ribelli Houthi dello Yemen a Hezbollah sostenendo che ambedue i gruppi terroristici lottavano contro la prepotenza saudita e degli altri Paesi del Golfo Persico.
Tali dichiarazioni hanno provocato l’immediato ritiro dal Libano degli ambasciatori dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti (EAU), del Kuwait e del Bahrain, cioè di quei Paesi arabi che stavano cercando una soluzione per il Libano.
Il Qatar non ha ancora preso questa decisione ma ha invitato il Governo libanese a “pari passi verso i paesi fratelli” invece di perseguire gli obiettivi di Teheran che lo hanno portato sull’orlo del default finanziario.
Da più parti, anche dall’interno del Libano, sono arrivate richieste di dimissioni per George Kordahi il quale però le ha respinte al mittente confermando quanto detto precedentemente.
Sabato, persino tre ex primi ministri libanesi hanno invitato Kordahi a dimettersi per aiutare a risolvere la crisi diplomatica con le nazioni del Golfo indispensabili per l’economia del Libano, ma anche in questo caso le richieste sono cadute nel vuoto.
Orami è evidente la volontà da parte dell’Iran e quindi di Hezbollah di non volere che siano i Paesi del Golfo a salvare il Libano dal baratro del default finanziario, ma né Teheran né tantomeno Hezbollah hanno i mezzi per farlo e quindi preferiscono che il Libano vada in default piuttosto che a salvarlo siano gli arabi.
Un modo di pensare davvero criminale anche se non ci si può aspettare nulla di diverso dall’Iran e da Hezbollah.
(Rights Reporter, 1 novembre 2021)
L'oscena sfilata di No Pass che infanga la memoria della Shoah
di Fiamma Nirenstein
Non c'è affatto da stupirsi se il movimento dei No Green Pass, creatura artificialmente impallidita del movimento No Vax, produce una schifosa manifestazione antisemita come quella che ieri la povera città di Novara ci ha offerto. L'antisemitismo è un largo arcipelago, una moneta di uso comune: travestendolo un po' la puoi smerciare ovunque, il rischio è solo che riveli la miseria di chi la pratica. Qui, se c'era bisogno di rivelare la volgarità, l'ignoranza, il disprezzo per la libertà e anche per la vita umana già peraltro contenute nelle posizioni antivaccino, beh, stavolta lo spettacolo è plateale.
Gli animali che non sanno come sono stati uccisi due milioni di bambini, per esempio, nell'ambito di sei milioni di ebrei torturati e trucidati, non sono soli. Ci sono antisemiti consapevoli, «mild», nostalgici, noncuranti, antisionisti, anticapitalisti, anticomunisti, travestiti da difensore dei diritti umani. Ma sempre antisemitismo è. Se «il loro migliore amico è ebreo», beh si svegli. Una recentissima indagine su tutti i Paesi UE ci dice che l'89 per cento degli ebrei sente la pressione, 1 su 4 ha subito aggressioni. Il 51 per cento degli intervistati pensa che gli ebrei hanno troppo potere; il 71 che gli ebrei fanno ai palestinesi quello che gli hanno fatto i nazisti; il 43 che gli ebrei sfruttano la memoria della Shoah. In Texas per insegnare la Shoah devi dare spazio a libere interpretazioni contrapposte: è davvero accaduto o no? A Boston il centro Elie Wiesel, dal nome del famoso scrittore della Shoah, per la sua lettura annuale ha ospitato uno speaker che ha accusato Israele di prendere di mira i bambini palestinesi solo perché vogliono la libertà. Il gruppo «green» Sunrise per l'azione sul clima si è ritirato da un rally perché c'erano tre organizzazioni ebraiche. Da destra a sinistra, sono tutti troppo confusi per capire di essere dei vergognosi antisemiti. O è di moda?
(il Giornale, 1 novembre 2021)
"Qui, se c'era bisogno di rivelare la volgarità, l'ignoranza, il disprezzo per la libertà e anche per la vita umana già peraltro contenute nelle posizioni antivaccino", dice l'autrice. Lasciamo che queste parole risuonino nell'aria senza indagare, come ormai molti fanno, sui motivi profondi di chi le scrive. L'analogia visiva con i fatti di Auschwitz è gravemente offensiva per chi ha ricordi legati a quei fatti, ma il rigetto avrebbe dovuto fermarsi lì. Perché i fatti mostrano che ormai dire "no vax" è come dire ai bambini "cattivo". E basta. Non c'è più nulla da aggiungere, se non elencare vari tipi di cattiveria che si possono manifestare. La menzogna istituzionale ormai ha guadagnato terreno e non le resterà più molto da fare: saranno i convinti si vax a fare il lavoro che rimane. M.C.
Novara: “Giusto denunciare, ma non facciamo il loro gioco” – Intervista a Ruth Dureghello
di Ariela Piattelli
Il macabro corteo di manifestanti “no green pass” che ha sfilato a Novara, con il filo spinato e i vestiti che imitavano quelli degli internati nei campi di sterminio, ha sollevato molte reazioni del mondo politico, dell’opinione pubblica e delle comunità ebraiche. Farsi sentire, d’accordo, ma non sempre, perché quando i paragoni tra Shoah, green pass e vaccini diventano una pericolosa forma di linguaggio per attirare l’attenzione, l’indignazione a voce alta può essere rischiosa. Così la pensa la Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello: «Ho l’impressione che l’utilizzo dei simboli della Shoah da parte dei No Green Pass sia diventato lo strumento per ottenere una visibilità che altrimenti non avrebbero. Giusto denunciarne la gravità, ma dovremmo interrogarci sull’opportunità di non cadere nella loro provocazione» scrive Dureghello in un tweet, aprendo così un dibattito. Shalom l’ha intervistata.
- Presidente, lei sostiene che quella dei fatti di Novara sia una provocazione diversa rispetto a tante altre a cui abbiamo assistito. Temo che la provocazione dei no Green Pass sia strumentale per attirare un’attenzione che altrimenti non ci sarebbe. Da un lato l’indignazione è tanta, dall’altra dovremmo chiederci se cinquanta ignoranti in un mini corteo non usino i simboli della Shoah consapevoli che quella provocazione è l’unica che gli permette di finire sui giornali. In questo senso non dobbiamo cadere nella loro trappola.
- La Comunità Ebraica di Roma in genere è molto reattiva, e fa sentire la sua voce davanti agli episodi di antisemitismo. Perché stavolta, davanti alle vicende di Novara, come presidente ha deciso di non intervenire? Noi siamo intervenuti nell’immediato, ma poi abbiamo avuto la netta impressione che dare eco e risalto alle immagini di Novara sia molto pericoloso e possa creare una dinamica perversa di emulazione rispetto a un tema che sposta l’attenzione su altri temi.
- Dunque c’è una differenza sostanziale tra l’episodio isolato di antisemitismo e la messa a sistema dei paragoni tra Shoah, green pass e vaccini. Quali sono i pericoli di questa deriva? Si tratta di una banalizzazione della memoria che diventa lo strumento per avere voce in un dibattito in cui non si riesce ad argomentare le ragioni di un dissenso. In poche parole, richiamo di sdoganare la vergogna.
(Shalom, 1 novembre 2021)
Vogliono segregare i non vaccinati
Guido Rasi (consulente del generale Francesco Figliuolo) chiede di «restringere le maglie»: chi è senza puntura verrà chiuso in casa, A Capodanno cenone con mascherina, Roberto Speranza: altri mesi di stato d'emergenza. E sono pronti a vietare le manifestazioni.
di Maurizio Belpietro
Guido Rasi, ex direttore dell'Ema e consulente del commissario straordinario all'emergenza Covid, vuoi chiudere in casa gli italiani che non si sono vaccinati, copiando l'idea lanciata dall'Austria, Secondo l'ex numero uno dell'Agenzia europea del farmaco è urgente prendere provvedimenti restrittivi contro i no vax. «Non si può tornare indietro», ha spiegato, «sarebbe oltraggioso per chi si è vaccinato». Il suggerimento dell'uomo che sussurra al generale Francesco Paolo Figliuolo in pratica è «più green pass per tutti». Anzi: più tamponi per chiunque (ovviamente a pagamento), perché il test ogni 48 ore «non è abbastanza protettivo: si dovrà imporlo a chi va al lavoro o a chi partecipa ad un evento» nel caso non si sia sottoposto al siero anti coronavirus. La ragione di questo ennesimo giro di vite, nonostante i «successi» della campagna vaccinale (l'Italia è uno dei Paesi che può vantare il maggior numero di adulti trattati con prima e seconda dose e il generale Figliuolo non si stanca di promettere il raggiungimento a breve dell'immunità di gregge), si spiega con un'escalation di contagi, che anziché decrescere aumentano. «Vanno identificati i focolai e se nascono nei luoghi di lavoro si devono restringere le maglie attorno ai non vaccinati», assicura Rasi. Insomma, si è aperta la caccia grossa ai renitenti al siero, ritenuti responsabili della diffusione della malattia, Colpa loro se il virus continua a circolare più di quanto ci si sarebbe attesi. Dunque, urge rinchiudere in casa chi rifiuta l'iniezione e, se del caso, cioè se non basta sospenderlo dal lavoro e levargli lo stipendio, proibirgli di andare al ristorante, bisogna punirlo in qualche altro modo, magari rinchiudendolo in casa e, se occorre, privarlo della gratuità del sistema sanitario nazionale, che obbliga a curare a spese della collettività anche i clandestini. Peccato che, come abbiamo spiegato nei giorni scorsi, il Covid-19 continui a infettare anche chi si è vaccinato e non in Paesi dove imperversano i no vax, ma in città dove si è raggiunto un tasso di vaccinazione che rasenta il cento per cento, Waterford, in Irlanda, è un esempio che dovrebbe far riflettere i pasdaran del siero, quelli che sono convinti che basti un certificato verde per sentirsi al sicuro dal coronavirus. Nonostante il 99,7% della popolazione abbia ricevuto sia la prima che la seconda dose, gli ospedali della provincia registrano il più alto tasso di contagiati che si sia visto da un anno a questa parte, Segno evidente che qualche cosa non ha funzionato e che la narrazione ufficiale (più vaccini e meno malati) non sempre coincide. La realtà forse è quella descritta da Carlo La Vecchia, epidemiologo e ordinario di igiene dell'Università statale di Milano, che in un'intervista a Repubblica (non a L'eco dei no vax, ma all'organo che più si è speso nell'attacco contro gli anti green pass) ha spiegato: «La tendenza della curva dei contagi Covid-19 si è invertita», nel senso che invece di calare aumenta, e per fermare il virus «andrebbe anticipato il richiamo del vaccino da 6 a 4 mesi», Il professore ha citato uno studio appena uscito sul New England journal of medicine, in cui, in base a quanto accaduto in Israele, si spiega come le coperture del vaccino tendano a calare 3 o 4 mesi dopo la somministrazione della seconda dose. Come qualsiasi persona in buona fede può comprendere, se il professore La Vecchia non si sbaglia, il green pass non solo è inutile, ma è addirittura pericoloso, perché ingenera nelle persone una falsa sensazione di sicurezza. «Sono vaccinato, dunque non ho bisogno di proteggermi» è il pensiero comune, Ma se, come ormai la maggioranza degli esperti testimonia, il siero garantisce una protezione limitata, a che serve un certificato che per un anno assicura un'esenzione dal contagio che non c'è? Perché discriminare chi si è sottoposto a un tampone (con la certezza di non aver contratto il virus nelle ultime ore) rispetto a una persona che si sia vaccinata sei o otto mesi fa e può essere portatrice del virus anche se asintomatica? Secondo la narrazione imposta da gran parte della stampa e dai principali talk show, se i contagi sono tornati a risalire la colpa è da attribuirsi a chi non si è vaccinato e per questo con insistenza i giornali raccontano le storie di persone finite in terapia intensiva perché non immunizzate. Tuttavia è ancora La Vecchia - che è favorevole ai vaccini tanto da consigliare a tutti di sottoporsi a prima e seconda dose - a spazzar via le consolanti convinzioni: non sono i non vaccinati «ad aver invertito la tendenza, visto che sono diminuiti anche i green pass per lavorare». Tradotto, è il vaccino che protegge meno di quel che ci aspettavamo. Il professore smonta anche un'altra certezza, quella della cosiddetta quota 90, che non c'entra con le pensioni, ma con la percentuale di vaccinati ritenuta congrua per evitare la diffusione del virus: «Ormai abbiamo capito che l'immunità di gregge non la raggiungeremo». Ma chi lo farà capire a Speranza e compagni, i quali, come i tori, si agitano solo di fronte al drappo rosso dei no vax, senza rendersi conto che stanno per essere infilzati da ciò che non avevano previsto? Sono quasi due anni che il ministro della Sanità le sbaglia (quasi) tutte: non sarebbe ora di congedarlo, decidendo che la salute degli italiani è più importante di un calcolo politico che, per la sopravvivenza del governo, considera indispensabile l'apporto del capo di un minuscolo partitino post comunista?
(La Verità, 1 novembre 2021)
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