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Notizie settembre 2011

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Mar Morto, cura naturale anche contro il diabete

Un tuffo nel Mar Morto ora ha uno scopo in più: combattere il diabete. Infatti Uno studio condotto in Israele rivela inediti benefici delle acque salmastre per la cura di questa patologia. Un recente studio condotto dalla Facoltà di Medicina dell'Università di Ben-Gurion in Israele ha rivelato un'interessante novità per le persone affette da patologie diabetiche: una nuotata nelle acque salmastre del Mar Morto, infatti, aiuterebbe a ridurre il livello di glucosio nel sangue, contribuendo così al miglioramento delle condizioni mediche del paziente diabetico.
Ma è solo l'ultima scoperta in chiave di benefici per la salute. Il Mar Morto è una destinazione già senza dubbio nota come fonte di benessere per diversi disturbi della salute: i fanghi neri del Mar Morto e le sorgenti calde termo-minerali alleviano le contratture e tensioni muscolari, migliorano la circolazione sanguigna e attenuano i dolori reumatici; l'aria secca e libera da inquinamento e pollini, ricca di ossigeno, bromo e magnesio può alleviare asma e disturbi polmonari e cardiaci; infine il sole che splende sulla regione tutto l'anno - i cui raggi dannosi UVB vengono filtrati dalla particolare stratificazione dell'atmosfera - è ideale per chi soffre di disturbi dermatologici, come la psoriasi.

(Travelling Interline, 30 settembre 2011)

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Israele: migliorie per il ponte di Allenby

L'Autorità aeroportuale israeliana ha stanziato 20 milioni di euro per modernizzare il ponte di Allenby, alla frontiera tra la Giordania e l'area della Cisgiordania amministrata dallo Stato ebraico. I lavori previsti serviranno a facilitare il transito di merci e turisti. Di recente, erano già state apportate alcune migliorie: oggi, il posto di frontiera dispone di un nuovo ingresso, di un sistema di climatizzazione e di porte elettriche.
Il tutto è costato 2,5 milioni di euro. Il nuovo finanziamento verrà invece utilizzato per costruire grandi hangar, parcheggi, una hall riservata ai turisti, una strada e un nuovo sistema di illuminazione. Il tutto dovrebbe essere ultimato entro il 2014. Nel 2011 è stato registrato un aumento del 60% del volume di merci transitate sul ponte di Allenby rispetto al 2010.

(FocusMO, 30 settembre 2011)

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Cipro: diritto di trivellazione per gas "non negoziabile"

NICOSIA, 30 settembre - Il governo cipriota ha detto oggi che i piani di esplorazione per la ricerca di gas non sono negoziabili, accusando la Turchia di utilizzare la polemica sulle riserve di idrocarburi nel Mediterraneo come prestesto per "disegni espansionistici" sull'isola.
Cipro è impegnata in una polemica con la Turchia per la sua decisione di condurre esplorazioni alla ricerca di gas a sud dell'isola, divisa tra comunità greca e turca, vicino a uno dei più grandi giacimenti del mondo scoperti nell'ultimio decennio.
La Turchia, unico paese che riconosce lo stato turco-cipriota, nel nord dell'Isola, ha detto che il governo greco-cipriota - riconosciuto a livello internazionale - non ha diritto di esplorare le riserve.
Nei giorni scorsi la Turchia ha inviato una nave da esplorazione con scorta militare vicino a una zona dove la società Usa Noble Energy ha iniziato a trivellare almeno due settimane fa.
"Vorrei sottolineare ancora, per tutti coloro che cercano di mettere in discussione questo diritto della Repubblica di Cipro: i nostri diritti sovrani sono non-negoziabili", ha detto il presidente Demetris Christofias in un discorso.
Cipro, membro della Ue, ha commissionato a Noble la perforazione di un'area denominata Block 12, a circa 160 km a sud dell'isola.
La Turchia ha proclamato che intende compiere un'esplorazione a nome dei turco-ciprioti, a meno che i greco-ciprioti non smettano di trivellare.
Anche Israele sta compiendo ispezioni nei pressi. Il suo giacimento Leviatano è stato indicato come il più grande dell'ultimo decennio.

(Reuters, 30 settembre 2011)

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Israele: passi avanti contro l'Alzheimer

L'azienda israeliana Brainsway Ltd. ha annunciato risultati positivi nei test clinici della propria tecnologia non invasiva per trattare pazienti affetti da Alzheimer. Il trattamento in via di studio si basa su stimolazione magnetica transcranica; la sperimentazione - ancora parziale - comprende 24 pazienti divisi in tre gruppi.
Le cure durano otto settimane e la loro efficacia viene controllata dopo altre otto settimane, tenendo conto di vari parametri cognitivi. «I malati - ha dichiarato la compagnia - non hanno sofferto effetti collaterali, con un'unica eccezione. Ma in quel caso erano problemi non legati al trattamento». I dati raccolti finora sono molto incoraggianti, sebbene ancora incompleti. E' stato osservato uno stop nel processo di deterioramento delle funzioni cognitive, e persino alcuni miglioramenti, in particolare presso il gruppo di pazienti sottoposti più intensamente alla cura.

(FocusMO, 30 settembre 2011)

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Striscione "Jihad" contro l'Hapoel Tel Aviv

Gli ultrà polacchi, noti per la loro vicinanza agli ambienti di estrema destra, si sono resi protagonisti di un episodio disdicevole: durante il match di Europa League contro il club israeliano hanno esposto uno striscione inneggiante alla Jihad.


Polemiche in Polonia per il lungo striscione con la scritta "Jihad" esposto dagli ultrà del Legia Varsavia durante la partita di Europa League contro l'Hapoel Tel Aviv. Le organizzazioni ebraiche hanno denunciato il gesto "antisemita" di una tifoseria nota per le sue simpatie di estrema destra.
Il club rischia una multa dell'Uefa fino a un milione di euro e il divieto di trasferta per i suoi tifosi in occasione della gara in Israele del 15 dicembre.

(Sky.it, 30 settembre 2011)

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L’incontro a Roma su Israele organizzato da EDIPI

L'ultimo week-end di settembre ha rappresentato un appuntamento molto importante per EDIPI.
La numerosa rappresentanza dei soci, dalla Sicilia fino al nord della Lombardia, ha evidenziato l'interesse suscitato dalla presentazione romana, in anteprima nazionale, della pubblicazione di Eli Hertz. Importante è stata la presenza di autorità istituzionali come il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, Lironne Bar-Sadeh dell'Ambasciata d'Israele, Fiamma Nirenstein, sottosegratario del Ministero degli Esteri, i senatori Luigi Compagna e Lucio Malan, il giornalista Massimo Teodori e altri.
I rappresentanti del mondo evangelico che hanno contribuito con due relazioni erano Rinaldo Diprose e Marcello Cicchese.
Il presidente di EDIPI, Ivan Basana, nella sua prolusione introduttiva ha evidenziato l'importanza della diffusione di questa pubblicazione, in quanto rappresenta delle "Pillole di Verità" in un mondo ammorbato dalla menzogna.
Inoltre questo libro chiarisce, con documenti alla mano, gli aspetti legali dei diritti ebraici del mandato per la Palestina contemplati dal diritto internazionale.
Proprio in questi giorni è in atto uno scontro con Israele: da una parte c'è il popolo di Israle con la forza del diritto, che dalla Dichiarazione di Sanremo del 25 aprile 1920 (vera data di nascita, se non di concepimento, dello Stato di Israele) fino agli anni più recenti ribadisce la forza della legalità appellandosi al diritto internazionale; dalla parte araba, a questa forza del diritto, si contrappone il diritto di usare la ... forza come strumento per annichilire e zittire l'aversario.
Una forza che non è solo quella delle bombe umane, dei missili o dei kamikaze ma anche quella subdola e mistificante che rifiuta di ascoltare le argomentazioni del primo ministro israeliano all'ONU impedendo che più del 50 % sentisse la risposta israeliana alle menzogne propinate dal rappresentante palestinese.
La forza del diritto contro chi ricorre al diritto della forza!

(EDIPI, 30 settembre 2011)

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Missile da Gaza e risposta di Israele

GERUSALEMME - Le forze aeree israeliane hanno sferrato un raid contro Hamas a Gaza dopo che dalla Striscia era stato sparato un razzo che e' atterrato nel sud dello Stato ebraico.
Il razzo e' caduto nell'area di Shaar Hanegev, senza provocare danni o vittime. Poche ore dopo un caccia israeliano ha colpito un obiettivo di Hamas non meglio identificato nel campo rifugiati di Maghazi, nella parte centrale della Striscia. Un portavoce dell'esercito israeliano ha confermato il raid, precisando che si trattava di una "rappresaglia".

(AGI, 30 settembre 2011)

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Cisgiordania: scontri esercito-dimostranti, tre feriti

Una serie di scontri fra l'esercito israeliano e gruppi di dimostranti palestinesi assistiti da attivisti israeliani di sinistra sono segnalati oggi in Cisgiordania, per lo più a ridosso della Barriera di sicurezza.

Fonti militari riferiscono di incidenti circoscritti nelle località di Bilin, Naalin e Nebi Saleh (Ramallah). Ad Anatot, a nord di Gerusalemme, scontri si sono verificati fra attivisti palestinesi e un gruppo di coloni che vi hanno eretto un avamposto. Nell'intervento delle guardie di frontiera israeliane - che cercavano di separare i contendenti - tre persone sono rimaste ferite in modo non grave.
Intanto resta elevata la tensione, nel Sud della Cisgiordania, nella zona di Hebron dove la scorsa settimana un rabbino-colono di 30 anni e il figlio-bebè sono rimasti uccisi nel ribaltamento dell' automobile su cui viaggiavano. L'inchiesta della polizia israeliana ha accertato che il conducente ha perso il controllo del veicolo dopo essere stato colpito al volto da una grande pietra scagliata, presumibilmente, da un automezzo palestinese che viaggiava in direzione contraria.
Ieri a Daharya, una cittadina palestinese a sud di Hebron, una sessantina di alberi di ulivo sono stati divelti da sconosciuti. Secondo la agenzia di stampa palestinese Wafa, nelle vicinanze è stato scritto in ebraico: "Il prezzo da pagare". Si tratta dello slogan utilizzato da coloni ultrà nelle loro azioni di ritorsione dopo attacchi palestinesi.

(swisscom, 30 settembre 2011)

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Ore di speranza per il pastore apostata. L'avvocato: "Potrebbe essere liberato"

"Penso che la Corte accetterà le mie argomentazioni. Il verdetto da qui a una settimana", afferma Mohammad Ali Dadkhah, difensore di Yousef Nadarkhani, pastore protestante condannato a morte per apostasia. Ma la comunità cristiana continua a temere una imminente esecuzione

Yousef Nadarkhani
TEHERAN - Resta in bilico la sorte di Yousef Nadarkhani, 34 anni, iraniano di Rasht, famiglia musulmana, condannato a morte 1 nel 2010 per apostasia da un tribunale provinciale per essersi convertito al Cristianesimo ed esserne diventando in seguito pastore evangelico. Su indicazione della Corte Suprema, il caso è tornato in aula presso il tribunale di Rasht, che ha emesso la prima sentenza, per dare a Nadarkhani la possibilità di abiurare e salvarsi la vita. Invitato per quattro volte a pentirsi, il pastore si è rifiutato. Per questo, la comunità cristiana in Iran teme una imminente esecuzione.
Pessimismo che Mohammad Ali Dadkhah, avvocato di Nadarkhani ed esponente di primo piano del movimento per i diritti civili in Iran, respinge. "Personalmente sono ottimista - ha dichiarato il legale - e al 95% penso che il tribunale accetterà le mie argomentazioni e lo libererà. In una settimana abbiamo affrontato quattro udienze, l'ultima mercoledì. Nadarkhani non ha ritrattato, ma abbiamo presentato i nostri argomenti e penso che il tribunale si sia convinto. Attendo il verdetto da qui a una settimana".
Molto più cauto Firouz Khandjani, membro del consiglio della Chiesa dell'Iran, il movimento religioso di cui Nadarkhani divenne pastore dopo essersi convertito all'età di 19 anni. "Yousef è stato invitato ad abiurare la sua fede in Cristo per quattro volte per evitare l'esecuzione. Ma lui ha sempre risposto di no", ha raccontato al sito di informazione BosNewsLife, che due giorni fa aveva lanciato l'allarme della comunità cristiana in Iran per la sorte di Nadarkhani.
Khandjani ha rivelato che, tra gli argomenti usati in tribunale dall'avvocato Dadkhah, c'è stato soprattutto il richiamo alla Costituzione iraniana, che garantisce la libertà di culto, e al codice penale, che non prevede la pena di morte per apostasia. In effetti, nell'emettere la sua prima sentenza il tribunale provinciale basò il verdetto su una fatwa dell'Ayatollah Khomeini, il padre della rivoluzione iraniana del 1979, e su una legislazione transitoria in tema di apostasia. In base a tale legislazione, piuttosto controversa, l'apostata che non si pente deve essere impiccato tre giorni dopo la sua condanna. Di qui, il crescente timore di Khandjani e della Chiesa dell'Iran per un'esecuzione ormai prossima. Molti governi, dagli Usa alla Gran Bretagna alla Germania, hanno espresso la loro preoccupazione e lanciato a Teheran un appello per la liberazione del pastore.

(la Repubblica, 29 settembre 2011)

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Alloggi a Gerusalemme, critiche indigeste

Il vicepremier Shalom: «Isaaele non accetta le proteste».

di Matteo Forlì

Il vicepremier e ministro dello sviluppo regionale d'Israele, Silvan Shalom.
All'indomani delle polemiche suscitate dall'annuncio del via libera alla costruzione di 1100 nuovi alloggi nel sobborgo di Gilo, il vicepremier e ministro dello sviluppo regionale, Silvan Shalom, esponente del Likud (destra), il partito del premier Benyamin Netanyahu, è tornato sulla questione nel corso di un'intervista radiofonica. «Israele non accetta le critiche delle cancellerie di mezzo mondo», ha ribadito mercoledì 28 settembre, «né le veementi proteste palestinesi sui suoi programmi d'espansione edilizia a Gerusalemme est, il settore a maggioranza araba della Città Santa, occupato con altri territori dallo Stato ebraico durante la guerra del 1967 e annesso poi unilateralmente negli anni '80 con un atto mai riconosciuto dalla comunita' internazionale».
GERUSALEMME CONSIDERATA CAPITALE DI ISRAELE. Il progetto riguarda il sobborgo di Gilo che, secondo Shalom, «non è un insediamento, ma un quartiere di Gerusalemme». Un funzionario governativo citato in forma anonima dai media ha da parte sua rimarcato la convinzione del governo Netanyahu secondo cui costruire ovunque a Gerusalemme sarebbe del tutto lecito, trattandosi della «capitale unita, eterna e indivisibile d'Israele». Ma ha notato che anche gli ipotetici piani di spartizione della città messi sul tavolo delle trattative con i palestinesi da altri governi israeliani recenti prevedevano che Gilo sarebbe rimasto alla fine all'interno dei confini d'Israele. Un elemento che, a giudizio del funzionario, rende quanto meno eccessivo il tono delle critiche riservate al progetto dei 1100 nuovi alloggi formalizzato martedì 27 settembre.

(Lettera43, 29 settembre 2011)

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Oktoberfest a Ramallah, fiumi di birra per brindare alla pace che non c'è

  
RAMALLAH, 29 set. - Non ha uno stato, non ha la pace, non ha molte occasioni per festeggiare, ma l'1 e il 2 ottobre Ramallah, principale citta' della Cisgiordania, avra' la sua Oktoberfest. A organizzarla e' il birrifico Taybeh, il primo di tutti i Territori palestinesi.
Gestita da una famiglia di cristiani nell'omonima municipalita', la piccola azienda invita, con una locandina affissa su alcuni muri e fatta circolare sul web, a "sostenere la produzione locale". Sullo sfondo del manifesto, dietro un'invitante bottiglia di birra, le rovine di una chiesa ortodossa locale e una lanterna della pace a forma di colomba.
La piccola azienda deve affrontare non poche sfide per sopravvivere. Gran parte dei palestinesi, di fede islamica, non beve la birra e la vendita fuori dalla Cisgiordania e' piuttosto difficile. Ha deciso quindi di puntare sulla qualita'.
"Taybeh e' una birra non pastorizzata senza additivi ne' conservanti", si legge sul sito dell'azienda, che spiega inoltre come, la produzione in quantita' limitate, garantisca all'acquirente la possibilita' di bere le bevanda poche ore dopo il suo imbottigliamento.
La Oktoberfest, gode di diverse sponsorizzazioni. Oltre a quella, immancabile, della rappresentanza tedesca a Ramallah, anche quelle delle sedi diplomatiche di Italia, Brasile e Stati Uniti, delle agenzie per la cooperazione di vari paesi e della Caritas. Arrivata alla sua sesta edizione, la festa importata dalla Germania sara' l'occasione per promuovere non solo la birra locale, ma anche tutti i prodotti del territorio, dall'olio all'artigianato. Il nome della localita', Taybeh, dovrebbe essere una garanzia. Tradotto dall'arabo vuol dire "Buono".

(Adnkronos, 29 settembre 2011)

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Cervello artificiale sperimentato sui topi

Sostituirà le parti danneggiate o deteriorate dall'età.

di Niccolò Fantini

Gli scienziati dell'Università di Tel Aviv, hanno sostituito parte della materia cerebrale di un topo con un impianto digitale che funziona come l'organo naturale.
MAI PRIMA D'ORA - L'esperimento scientifico è stato esposto durante la conferenza Strategies for Engineered Negligible Senescence a Cambridge. Il dispositivo è in pratica un cervelletto artificiale messo a punto dai ricercatori dell'Università di Tel Aviv che hanno analizzato e riprodotto per la prima volta su un dispositivo elettronico i dati inviati verso e dal cervelletto del ratto. Il dispositivo israeliano, a differenza degli impianti già conosciuti dalla scienza medica, non è a "senso unico" ma è in grado di inviare i dati in entrambe le direzioni.
TOPO REATTIVO - Nel caso del topo di Tel Aviv, l'impianto artificiale permette la comunicazione delle informazioni in due direzioni. Il cervelletto artificiale del topo, dopo aver ricevuto un input, rielabora l'informazioni e invia l'ordine alle giuste aree cerebrali. Nello specifico, l'input per l'organo artificiale era quelo di coordinare il movimento del ratto, attraverso un riflesso motorio.
Sostituzione in caso di danni - Il cerveletto artificiale funziona e, come afferma Matti Mintz - uno degli autori dello studio scientifico - "è possibile registrare i dati provenienti dal cervello, rielaborarli in modo simile a ciò che avviene nella rete biologica e rimandarli indietro al cervello" - con l'obiettivo di realizzare in futuro eventuali ricambi artificiali , in grado di coordinare operazioni più complesse e sostituendo aree cerebrali daneggiate , per esempio da un ictus, o deteriorate dall'età.

(jack, 29 settembre 2011)

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Oggi si celebra il Rosh Hashana, il Capodanno ebraico anno 5772

ROMA - La festa dura due giorni, sia in Israele che in diaspora, durante i quali bisogna astenersi da ogni attività che non sia legata alla sfera religiosa e in cui Dio giudica le azioni dell'uomo nel corso dell'anno e decide del suo futuro per l'anno successivo. Napolitano: "Riaffermare in questa ricorrenza lo storico contributo degli ebrei alla nascita del nostro Stato e alla crescita del Paese"

(Adnkronos, 28 settembre 2011)

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Arriva sul web il documento biblico più antico del mondo

Il documento biblico più antico al mondo ora è un ebook che si può leggere tutto intero sul pc o sul tablet. Basta collegarsi sul sito http://dss.collections.imj.org.il/, sfogliare le pagine digitalizzate e godersi un testo - tradotto - che non ha eguali. Fino a oggi vengono proposti al pubblico i primi cinque rotoli: dove si trova anche quasi tutto il libro di Isaia (66 capitoli), riprodotto da uno scriba nel 125 prima di Cristo.
Dopo anni di lavoro i "Rotoli del Mar Morto", il documento biblico più antico arrivato ai giorni nostri, sono da oggi consultabili sul web grazie al Museo Israel di Gerusalemme (dove sono conservati gli originali) e di Google, il grande motore di ricerca che ha provveduto a digitalizzare le pagine senza danneggiarle.
La stessa Google che nei mesi scorsi ha già immesso nel web l'archivio fotografico del Museo dell'Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme. I rotoli è possibile non solo scorrerli, ma anche ingrandirli fino a mettere in luce particolari che non sarebbero visibili ad occhio nudo. All'interno di ciascun rotolo è anche possibile compiere ricerche per colonna, capitolo, o versetto. Il documento è tradotto in inglese. Basta cliccarci sopra a ogni blocco di testo e automaticamente comparirà la versione in una lingua per noi più conosciuta.
I Rotoli del Mar Morto furono scoperti nelle grotte di Qumran nel 1947. Nello stesso luogo dove duemila anni fa si era insediata una setta di religiosi ebrei. Sono testi che gli studiosi considerano un punto di riferimento importante per lo studio della evoluzione del pensiero monoteista.

(Falafel Cafè, 28 settembre 2011)

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Iran: pastore protestante rischia l'impiccagione per apostasia

Un pastore protestante iraniano rischia di essere impiccato tra due giorni dopo che oggi, durante un'udienza del procedimento aperto contro di lui dal tribunale provinciale di Gilan per "apostasia", si è rifiutato di rinnegare la sua fede in Cristo. Lo scrive il sito BosNewsLife, spiegando che Yousef Nadarkhani, 34 anni, sposato e padre di due figli, era musulmano e si è convertito al cristianesimo.
Non era un musulmano praticante, è spiegato nel sito, ma secondo la legge della Repubblica iraniana è comunque un apostata in quanto i suoi genitori sono musulmani. Oggi in tribunale ai giudici, secondo quanto riferito da testimoni a BosNewsLife, ha però detto senza alcuna esitazione: "Pentirmi vuol dire tornare indietro. Ma a cosa dovrei tornare? Alla blasfemia nella quale vivevo prima di trovare la mia fede in Cristo?".
Nadarkhani è in carcere dall'ottobre 2009 nella sua città, Rasht. Da allora le accuse nei suoi confronti sono diventate più pesanti. Inizialmente era accusato solo di aver protestato davanti a una scuola contro l'introduzione dell'obbligo per tutti gli alunni di leggere il Corano, poi era stato messo sotto processo per 'apostasià e per aver cercato di 'evangelizzare i musulmanì. La condanna a morte è del settembre 2010.
Se Nadarkhani venisse impiccato - ricorda BosNewsLife - si tratterebbe del primo cristiano giustiziato in Iran per motivi religiosi negli ultimi 20 anni.

(swisscom, 28 settembre 2011)

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"Questa terra è la mia terra". Impressioni personali post eventum

di Marcello Cicchese

Il primo «evento» è avvenuto a Roma, giovedì 22 settembre 2011, nella sede del Palazzo della Cultura Ebraica. Il secondo "evento" è avvenuto a Torino, il 26 settembre 2011, nella sede dell'Associazione Italia-Israele. Si trattava di presentare la pubblicazione di Eli Hertz sul Mandato per la Palestina. Ero stato invitato anch'io tra gli oratori, e avevo accettato volentieri perché convinto, anche attraverso la pubblicazione di Hertz, che il tema fosse importante e quindi valesse la pena di farlo conoscere. Va dato merito, oltre che all'autore del testo, anche al Presidente di EDIPI, che ha cercato con le sue iniziative di attirare l'attenzione sul tema.
    Avevo cercato di prepararmi con cura a questi incontri durante l'estate: mi ero ripassato argomenti di storia, avevo cercato articoli su internet, mi ero fatto arrivare un interessantissimo libro di 700 pagine (che non ho ancora finito di leggere) proprio su questo argomento: "The Legal Foundation and Borders of Israel under International Law" di Howard Grief. Il motivo è sempre lo stesso: il tema è molto importante, anche in relazione a quanto oggi sta accadendo, quindi è necessario conoscerlo e cercare di farlo conoscere.
    Ma evidentemente, nonostante l'età, continuo a pensare con infantile ingenuità.
    Così a un certo momento, nella riunione a Roma, mi sono ritrovato per la prima volta in vita mia al tavolo della presidenza insieme a due senatori e ad una onorevole. Avrei dovuto sentirmi onorato e intimorito, ma non è stato così. Quando il moderatore mi ha dato la parola, mi sono alzato e ho chiesto: "Quanto tempo ho?" "Dieci minuti", mi ha sibilato l'onorevole alla mia sinistra, "è già troppo tardi". Ho fatto notare che, come matematico, mi riusciva difficile accorciare una dimostrazione, e allora mi sono limitato a enunciare sinteticamente la tesi del teorema senza neppure fare un cenno alla dimostrazione. Cosa di cui, del resto, ho l'impressione che molti non ne sentissero il bisogno.
    Dopo di che hanno parlato i parlamentari. Hanno parlato di cose belle e interessanti, riguardanti Israele, la giustizia, la verità, ma non del Mandato per la Palestina, che era il tema della riunione. E il senatore alla mia destra dopo il suo intervento mi ha salutato stringendomi la mano: "Devo andare a vedere la partita", mi ha detto allontanandosi prima che finisse la riunione.
    Eppure la presentazione di Eli Hertz, anch'essa forzatamente abbreviata per motivi di tempo, era stata molto interessante e avrebbe dovuto offrire spunti di discussione, ma i limiti temporali entro cui l'«evento» doveva svolgersi non potevano permetterlo.
    Nel secondo «evento» le cose si sono svolte per certi aspetti in modo simile e per altri in modo diverso. Interessante è stata la presentazione del giornalista Angelo Pezzana, che fungeva da moderatore. Ha riconosciuto agli organizzatori degli incontri con Hertz il fatto di essere sinceri amici di Israele e diligenti diffusori di notizie a sua difesa, "Ma - ha precisato sorridendo - hanno per noi un solo difetto: che sono cristiani." "Ma noi siamo aperti e lo possiamo accettare", ha aggiunto cordialmente. La precisazione è stata fatta certamente in modo bonario, ma è stato emozionante provare almeno una volta, per pochi minuti, quello che gli ebrei forse provano, nel migliore dei casi, per tutta la vita: essere benevolmente accolti nonostante quello che si è.
    Dopo l'esposizione di Hertz mi hanno dato la parola. E' durata un po' più che a Roma, ma ben presto mi è arrivato il cortese invito scritto del moderatore a concludere. Mi sono avviato a farlo, dopo aver osservato che quasi certamente tutti i presenti erano sostenitori di Israele, ma che avrebbe dovuto essere di un certo interesse anche discutere con quali argomenti si vuole essere dalla parte di Israele. E l'argomento collegato al Mandato per la Palestina non è affatto generalmente noto, e tanto meno generalmente condiviso.
    L'oratore che ha parlato dopo di me, il professor Ugo Volli, ha dato per scontato che siamo tutti d'accordo sugli argomenti, e che è soltanto una questione di comunicazione. Mi permetto di dubitarne. In ogni caso, anche lui alla fine ha parlato di altro: ha accennato a temi generali, ha discusso problemi interni all'ambiente ebraico, ma non è entrato nell'argomento centrale della pubblicazione di Hertz. In linguaggio scolastico, si potrebbe dire che è andato fuori tema.
    Nella giornata di ieri, trascorsa passeggiando piacevolmente con mia moglie per le vie di Torino, in attesa che il meccanico riparasse la nostra auto che il giorno prima davanti alla stazione di Porta Nuova si era decisamente rifiutata di proseguire, ho fatto alcune riflessioni sugli «eventi» avvenuti. Cercherò di sintetizzarle.
    A Israele sono collegate questioni fondamentali di verità a vari livelli. Quello della sua legittimità giuridica come Stato ebraico nel diritto internazionale è uno di questi livelli. L'attacco contro Israele a questo livello avviene nella forma della menzogna, della distorsione, dell'occultamento dei dati giuridici internazionali esistenti. Il testo di Eli Hertz e, in misura ancora maggiore, il libro di Howard Grief, intendono difendere Israele attraverso il ristabilimento della verità a questo livello. Per questo anche i cristiani sinceri e consapevoli possono, e forse dovrebbero, essere interessati all'argomento; e proprio per questo si può trovare una forma di collaborazione tra persone di diversa collocazione, purché interessate a questo tipo di verità. Ma dev'essere un interesse per la verità su Israele, non per gli «eventi» che offrono la possibilità di parlare bene di Israele tutti insieme, dicendo ciascuno quello che gli piace di più, da una passerella preparata per l'occasione.
    Questo interesse per gli «eventi» sta diventando un costume anche nelle comunità evangeliche. In diverse occasioni sono stato invitato a parlare su Israele, ma ho cominciato a chiedermi se questo manifesta un reale desiderio di conoscere come stanno le effettivamente le cose (interesse per la verità), o semplicemente esprime la voglia di avere una diversa forma di intrattenimento (interesse per la varietà).
    Ringrazio ancora una volta Eli Hertz per il lavoro documentario da lui svolto, ringrazio chi ha tradotto in italiano il testo e chi ha partecipato all'organizzazione degli incontri, ma se davvero esiste un interesse reale per un argomento come questo, che può determinare un cambiamento anche radicale del modo in cui si sta dalla parte di Israele, sarebbe necessario avere una discussione approfondita sul tema, senza strettoie temporali e senza obiettivi di visibilità.
    Altrimenti ciascuno continuerà a fare, nel suo piccolo, quello che ha sempre fatto e di cui continua ad essere convinto.

(Notizie su Israele, 28 settembre 2011)

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Creati da ricercatori israeliani topi-cyborg con cervelletto artificiale

ROMA, 28 SET - Creati topolini 'cyborg' dotati di cervelletto artificiale, l'organo dell'equilibrio, collegato col resto del cervello: l'esperimento apre le porte alla sostituzione di parti di cervello danneggiate, ad esempio dopo un ictus o un trauma cranico. Secondo quanto riportato dal magazine britannico New Scientist, Matti Mintz dell'universita' di Tel Aviv ha presentato l'esperimento al meeting 'Strategies for Engineered Negligible Senescence' tenutosi a Cambridge. Oggi, tra protesi ultramoderne che cominciano a comunicare col cervello dell'individuo che le indossa e impianti cocleari, siamo sempre piu' vicini all'uomo cyborg, mezzo umano, mezzo macchina. Ma e' chiaro che questa frontiera resta invalicata perche' ancora i ''pezzi di ricambio'' artificiali non si integrano del tutto al corpo e non sono dotati di comunicazione bidirezionale col cervello. I ricercatori israeliani hanno creato un primo prototipo di una parte del sistema nervoso e l'hanno testato su topolini cui, dopo un'anestesia, e' stato messo 'KO' il cervelletto, che e' l'organo dell'equilibrio. Gli esperti hanno dimostrato che il cervello dei topolini comunica tramite elettrodi con il cervelletto artificiale dandogli informazioni sulla posizione del corpo; il cervelletto artificiale, ricevuti gli input dal cervello, risponde a sua volta, permettendo ai topi normali movimenti (il test per ora e' stato fatto su movimenti involontari). L'obiettivo e' riuscire a far funzionare questo cervelletto artificiale per coordinare equilibrio e movimenti dell'animale, sostituendo l'organo vero.

(ANSA, 28 settembre 2011)

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A Como alta personalità israeliana, task-force per la sicurezza

Secondo i ben informati si tratta dell'ex primo ministro Ehud Barak, che ha affittato l'intero piano di un hotel

COMO - Era previsto per ieri notte l'arrivo di un'alta personalità israeliana a Como e le misure di sicurezza sono scattate immediatamente. Quello atteso in un albergo del centro cittadino pare non essere infatti un semplice politico di Israele, un ambasciatore o un diplomatico, bensì l'ex primo ministro Ehud Barak, che guidò lo stato ebraico per due anni (dal 1999 al 2001) tra i governi di Benjamin Netanyahu e di Ariel Sharon.
Il 69enne Barak è un personaggio guardato a vista quando si sposta in giro per il mondo, visto che è stato il militare più decorato della storia di Israele fino a raggiungere il grado di capo di stato maggiore.
Dopo l'assassinio di Rabin ha guidato il ministero degli Esteri nel governo di Shimon Peres.
Nel 2001 aveva lasciato la politica, per farvi ritorno nel 2005 e tornare ad essere presidente dei laburisti oltre che ministro della Difesa. Durante questo incarico, nel 2008 guidò anche una drammatica operazione a Gaza, passata alla storia come Operazione "Piombo Fuso". Per questo motivo anche di recente ha ricevuto decine di minacce di morte. Nel gennaio di quest'anno ha fondato, con altri cinque parlamentari fuoriusciti dal gruppo parlamentare laburista, una nuova formazione politica che ha aderito alla maggioranza di centrodestra: il Partito dell'Indipendenza.
Cosa ci farà Barak a Como? Nessuno è al corrente del motivo della sua permanenza in città. Ufficialmente si tratterebbe, infatti, di una visita privata. Non sono previsti meeting o incontri ufficiali ai quali dovrebbe partecipare l'ex primo ministro israeliano. Rimangono la grande mobilitazione da parte dello stesso staff dell'ex primo ministro, che si muove con uno stuolo di assistenti e guardie del corpo coadiuvato dalle forze dell'ordine locali.
Pare che, per garantire la sicurezza e la privacy di Barak, il suo staff abbia prenotato un intero piano dell'albergo. Impossibile sapere anche quanto tempo si fermerà sul Lario l'alta personalità israeliana. La visita privata potrebbe infatti portarlo sia sul lago sia nella vicina Svizzera. Anche se la sua scelta di soggiornare in città (non proprio vicino alle principali vie di comunicazione) e non in uno dei grandi resort del Lago di Como fa pensare a un incontro da tenersi direttamente nel capoluogo o nei dintorni.

(Corriere di Como, 28 settembre 2011)

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Attacco al gasdotto per Israele

IL CAIRO - Il sesto attacco da febbraio contro il gasdotto che trasporta il gas egiziano in Israele e in Giordania ripropone la questione della sicurezza nella zona strategica del Sinai e conferma la situazione di incertezza interna in Egitto, anche se proprio ieri sono state annunciate le date per le elezioni parlamentari.
Rimane, però, ancora da sciogliere il nodo della data per le presidenziali. Le prime elezioni del post Mubarak metteranno in moto un complesso meccanismo elettorale che richiederà quasi quattro mesi per concludersi. Le votazioni prenderanno avvio il 28 novembre con il primo dei tre turni per le elezioni dell'assemblea del popolo, la camera bassa egiziana. Questa tornata elettorale si concluderà il 3 gennaio. Sarà quindi la volta della Shura, la camera alta, per la quale si voterà sempre tre volte, dal 29 gennaio fino all'11 marzo. L'annuncio delle date non ha però dissipato i malumori di gran parte delle forze politiche sulla nuova legge elettorale formalizzata ieri sera dal consiglio militare. L'indizione delle elezioni arriva poi in un momento di tensione anche alla luce dei difficili rapporti con Israele e in questo contesto si inserisce l'attacco al gasdotto nel Sinai.
La procura ha aperto una inchiesta sull'ennesimo episodio che ha colpito il gasdotto, attaccato l'ultima volta il 12 luglio e la cui fornitura è ormai da mesi a singhiozzo. A colpire in nottata un commando di sei uomini, entrato in azione alla stazione di pompaggio di El Midan, a 25 chilometri da El Arich nel Sinai settentrionale.
Il presidente dell'ente gas egiziano Magdi Tawfiq ha sostenuto che l'attacco ha come obiettivo quello di danneggiare l'economia egiziana, perché oltre a bloccare il flusso verso Israele e Giordania impedisce il rifornimento per la centrale elettrica di El Arish e le fabbriche di cemento.

(Corriere Canadese, 28 settembre 2011)

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Trascrizione completa del discorso di Benyamin Netanyahu all'Assemblea Generale dell'ONU



Signore e signori,
Israele ha steso la sua mano in pace dal momento in cui è stata istituita 63 anni fa. Per conto di Israele e il popolo ebraico, porgo la mano ancora oggi. La porgo al popolo di Egitto e Giordania, con rinnovata amicizia per i vicini con i quali abbiamo fatto pace. La porgo al popolo della Turchia, con rispetto e buona volontà. La porgo al popolo della Libia e Tunisia, con ammirazione per coloro che cercano di costruire un futuro democratico.
La porgo agli altri popoli del Nord Africa e della penisola arabica, con i quali vogliamo creare un nuovo inizio. La porgo al popolo di Siria, Libano e Iran, con rispetto per il coraggio di chi lotta contro una brutale repressione.
Ma soprattutto, porgo la mia mano al popolo palestinese, con cui cerchiamo una pace giusta e duratura.
Signore e signori, in Israele non si è mai attenuata la nostra speranza per la pace. I nostri scienziati, medici, innovatori, applicano il loro genio per migliorare il mondo di domani. I nostri artisti, i nostri scrittori, arricchiscono il patrimonio dell'umanità.
Ora, so che questo non è esattamente l'immagine di Israele che è spesso ritratta in questa sala.
Dopo tutto, fu qui che nel 1975 si affermò l'antico desiderio del mio popolo di ristabilire la nostra unità nazionale nella nostra patria biblica - fu allora che questo sentimento venne vergognosamente assimilato e rimarcato , come razzismo.
E fu qui nel 1980, proprio qui, che l'accordo di pace storico tra Israele e l'Egitto non è stato elogiato, ma è stato denunciato! Ed è qui, anno dopo anno che Israele è stato ingiustamente e unilateralmente accusato. E' sovente individuato come deprecabile più spesso di tutte le nazioni del mondo messe insieme.
Ventuno delle 27 risoluzioni dell'Assemblea Generale condannano Israele - l'unica vera democrazia in Medio Oriente. Bene, questa è un aspetto infelice dell'istituzione delle Nazioni Unite. E' il teatro dell'assurdo.
Non solo presentare Israele come il cattivo, ma far risaltare spesso i veri cattivi nei ruoli principali: Gheddafi (Libia) ha presieduto la Commissione ONU per i Diritti Umani, l'Iraq di Saddam a capo del Comitato delle Nazioni Unite sul disarmo.
Si potrebbe dire: quello è il passato.
Bene, ecco cosa sta succedendo adesso - proprio adesso, oggi.
Libano controllato da Hezbollah ora presiede il Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Ciò significa, in effetti, che un'organizzazione terroristica presiede l'organo incaricato di garantire la sicurezza del mondo.
Non si sarebbe dovuti giungere a questo. Così qui alle Nazioni Unite, la maggioranza può decidere tutto. Essa (la maggioranza dell'Assemblea) può deliberare che il sole tramonta a ovest o sorge ad ovest.
Credo che ciò sia già stato pre-ordinato. Ma la stessa può anche decidere (ha deciso) che il Muro del Pianto a Gerusalemme, luogo più sacro dell'ebraismo, sia territorio palestinese occupato.
Eppure anche qui in Assemblea Generale, la verità a volte può affiorare.
Nel 1984, quando sono stato nominato ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite, ho visitato il grande rabbino di Lubavich. Lui mi ha detto (e signore e signori, non voglio che qualcuno di voi possa sentirsi offeso, perché per esperienza personale nel lavorare qui, so che ci sono molti uomini e donne di grande competenza, molte persone capaci e assennatamente al servizio dei loro popoli qui). Ma ecco ciò che il rabbino mi disse. Egli mi disse, sarete in servizio in una casa dove alberga la menzogna. E poi mi ha detto, ricorda che anche nel luogo più oscuro, alla luce di una candela può essere visto in profondità.
Oggi spero che la luce della verità brillerà, anche se solo per pochi minuti, in una sala che per troppo tempo è stato un luogo di oscurità per il mio paese. Quindi, come primo ministro di Israele, non sono venuto qui per ottenere applausi. Sono venuto qui per dire la verità.
La verità è che Israele vuole la pace. La verità è che io voglio la pace.
La verità è che in Medio Oriente, in ogni momento, ma soprattutto in questi giorni turbolenti, la pace deve essere mantenuta in sicurezza. La verità è che non possiamo raggiungere la pace attraverso le risoluzioni delle Nazioni Unite, ma solo attraverso negoziati diretti tra le parti.
La verità è che finora i palestinesi hanno rifiutato di negoziare.
La verità è che Israele vuole la pace con uno stato palestinese, ma i palestinesi vogliono uno stato senza pace. E la verità è che non si dovrebbe permettere che questo accada.
Signore e signori, quando sono arrivato qui 27 anni fa, il mondo era diviso tra Oriente e Occidente. Da allora, fine della Guerra Fredda, grandi civiltà sono passate da secoli di sonno, centinaia di milioni di persone sono state sottratte alla povertà, innumerevoli altri sono pronti a seguire, e la cosa notevole è che finora questo cambiamento storicamente monumentale è in gran parte avvenuto pacificamente.
Eppure, un tumore maligno si sta sviluppando tra Oriente e Occidente che minaccia la pace di tutti. Non mira a liberare, ma a rendere schiavi, non a costruire ma a distruggere.
Male che è l'Islam militante. Si avvolge nel mantello di una grande fede, eppure non risparmia omicidi di ebrei, cristiani e musulmani con uguale imparzialità. L'11 settembre ha ucciso migliaia di americani, e ha lasciato le torri gemelle in rovine fumanti. Ieri sera ho deposto una corona di fiori sul memoriale dell' 11 settembre.
E' stato commovente. Ma mentre stavo andando lì, una cosa ha preso voce nella mia mente: le parole oltraggiose del presidente iraniano su questo podio ieri. Ci ha suggerito che l' 11 settembre è stato un complotto americano. Alcuni di voi hanno lasciato questa sala. Tutti voi dovreste averne consapevolezza. Dall' 11 settembre, gli islamisti militanti hanno ucciso innumerevoli altri innocenti - a Londra e Madrid, a Baghdad e Mumbai, a Tel Aviv e Gerusalemme, in ogni parte di Israele.
Io credo che il più grande pericolo per il nostro mondo è che questo fanatismo possa armarsi con armi nucleari. E questo è esattamente ciò che l'Iran sta cercando di fare. Potete immaginare l'uomo che urlava qui ieri - lo si può immaginare con armi nucleari? La comunità internazionale deve fermare l'Iran prima che sia troppo tardi.
Se l'Iran non si ferma, noi tutti avremo di fronte lo spettro del terrorismo nucleare, e la Primavera araba potrebbe presto diventare un inverno iraniano. Sarebbe una tragedia.
Milioni di arabi sono scesi in piazza per sostituire la tirannia con la libertà, e nessuno ne beneficerebbe più di Israele, se coloro che sono impegnati per la libertà e la pace prevalessero.
Questa è la mia fervida speranza. Ma mentre ricopro l'incarico di primo ministro di Israele, non posso rischiare il futuro dello Stato ebraico su un pio desiderio.
I leader devono vedere la realtà così com'è, non come dovrebbe essere.
Dobbiamo fare del nostro meglio per dare forma al futuro, ma non possiamo allontanare mentalmente i pericoli del presente.
E il mondo attorno a Israele è sicuramente sempre più pericoloso.
L'Islam militante ha già preso potere su Libano e su Gaza. E 'determinato a stracciare i trattati di pace tra Israele ed Egitto e tra Israele e Giordania.
E' intento a instillare veleno in molte menti arabe contro gli ebrei e Israele, contro l'America e l'Occidente.
Si oppone, non alle azioni politiche di Israele, ma all'esistenza stessa di Israele. Ora, alcuni sostengono che la diffusione dell'Islam militante, soprattutto in questi tempi turbolenti - se lo si vuole rallentare, sostengono, Israele deve affrettarsi a fare concessioni, a concedere compromessi territoriali.
E questa teoria sembra semplice. Fondamentalmente è questa: lasciare il territorio, e la pace sara' ottenuta di conseguenza. I moderati saranno rafforzati, i radicali saranno tenuti a bada. E non preoccuparsi dei dettagli fastidiosi di come Israele possa effettivamente difendersi: una presenza militare internazionale farà il lavoro.
Queste persone mi dicono sempre: basta fare una offerta ampia, e tutto funzionerà. Sapete, c'è un solo problema con questa teoria. Lo abbiamo provato e non ha funzionato.
Nel 2000 Israele ha fatto una offerta ampia di pace in grado di soddisfare praticamente tutte le richieste palestinesi. Arafat ha respinto.
I palestinesi poi hanno lanciato un attacco terroristico che ha causato un migliaio di vittime israeliane. Il primo ministro Olmert ha poi fatto una proposta ancora più radicale, nel 2008. Il presidente Abbas non ha nemmeno voluto rispondere.
Ma Israele ha fatto di più che fare offerte. Abbiamo effettivamente lasciato il territorio. Ci siamo ritirati dal Libano nel 2000 e da ogni centimetro quadrato di Gaza nel 2005. Con ciò non si calma la tempesta islamica, la tempesta militante islamica che ci minaccia. Ha solo ottenuto di rendere la tempesta più vicina e più forte. Hezbollah e Hamas ha lanciato migliaia di razzi contro le nostre città dai molti territori lasciati liberi.
Vedete, quando Israele ha lasciato il Libano e la striscia di Gaza, i moderati non hanno avuto il sopravvento sui radicali, i moderati sono stati divorati dai radicali. E mi dispiace dire che le truppe internazionali come UNIFIL in Libano e UBAM a Gaza non hanno bloccato le intenzioni dei radicali di attaccare Israele.
Abbiamo lasciato Gaza nella speranza per la pace. Non abbiamo congelato gli insediamenti a Gaza, li abbiamo sradicati.
Abbiamo fatto esattamente ciò che la teoria dice: andarsene, tornare ai confini del 1967, smantellare gli insediamenti.
E non credo che la gente ricordi quanto sia costato raggiungere questo obiettivo. Abbiamo sradicato migliaia di persone dalle loro case. Abbiamo portato via i bambini dalle loro scuole e asili. Noi abbiamo demolito sinagoghe. abbiamo anche spostato i loro cari dalle loro tombe.
E poi, dopo aver fatto tutto questo, abbiamo dato le chiavi di Gaza al presidente Abbas. Ora, la teoria dice che dovrebbe funzionare tutto e il Presidente Abbas con l'Autorità palestinese ora potrebbero costruire uno stato di pace a Gaza. Si può ricordare che il mondo intero ha applaudito.
Hanno applaudito il nostro ritiro come l'atto di un grande statista. E 'stato un atto coraggioso di pace.
Ma signore e signori, non abbiamo pace. Abbiamo avuto la guerra. Abbiamo ottenuto che l'Iran, attraverso il suo procuratore Hamas abbia prontamente cacciato l'Autorità palestinese.
L'Autorità Palestinese è crollata in un giorno - in un giorno. Il presidente Abbas ha appena detto su questo podio che i palestinesi sono armati solo con le loro speranze e sogni.
Sì, con le speranze, i sogni e 10.000 missili e razzi Grad forniti da Iran, per non parlare del fiume di armi letali che ora scorre a Gaza dal Sinai, dalla Libia, e da altrove.
Migliaia di missili sono già piovuti sulle nostre città.
Così si potrebbe capire che, dato tutto questo, gli israeliani possano giustamente chiedersi: Cos'è possibile fare per evitare che ciò accada di nuovo in Cisgiordania? Vedete, la maggior parte delle nostre grandi città del sud del paese si trovano a poche decine di chilometri da Gaza. Ma nel centro del paese, di fronte alla West Bank, le nostre città sono poche centinaia di metri o al massimo pochi chilometri di distanza dal confine della Cisgiordania.
Quindi voglio chiedervi. Cosa penserebbe di fare ognuno di voi - nel caso qualcuno portasse un pericolo così vicino alla vostra città, alle vostre famiglie? Volete agire in modo avventato con la vita dei vostri cittadini? Israele è pronto ad avere uno stato palestinese in Cisgiordania, ma non siamo pronti ad avere un' altra Gaza lì.
Ed è per questo che abbiamo bisogno di misure di sicurezza reali, che i palestinesi si rifiutano di negoziare con noi.
Gli israeliani ricordano le amare lezioni di Gaza. Molti dei critici di Israele le ignorano.
Essi consigliano irresponsabilmente a Israele di proseguire di nuovo su questa stessa strada pericolosa. Voi capite quanto queste persone dicono ed è come se nulla fosse successo - solo ripeteno lo stesso consiglio, le stesse formule, come se niente di tutto questo è accaduto. E questi critici continuano a spingere Israele a fare ampie concessioni senza prima assicurare la sicurezza di Israele. Lodano quelli che involontariamente nutrono il coccodrillo insaziabile dell'Islam militante come impudenti statisti. Hanno linciato come nemici della pace, quelli di noi che insistono sul fatto che dobbiamo prima costruire una robusta barriera per tenere fuori il coccodrillo, o come minimo ostacolare con una sbarra di ferro tra le sue fauci spalancate.
Quindi, a fronte di etichette e calunnie, Israele deve ascoltare i buoni consigli. Meglio una cattiva stampa che un buon necrologio, e meglio ancora sarebbe una stampa giusta il cui senso della storia si estenda oltre la prima immagine, e che riconosca a Israele legittime preoccupazioni di sicurezza.
Credo che in seri negoziati di pace, questa esigenza e preoccupazioni possano essere adeguatamente affrontati, ma non sarà affrontata senza negoziati. E le esigenze sono molte, perché Israele è un paese piccolo.
Senza Giudea e Samaria, in Cisgiordania, Israele è in tutto 9 miglia di larghezza. Voglio proporvelo seconda la vostra prospettiva, perché siete tutti qui a New York. Si tratta di circa due terzi della lunghezza di Manhattan. E' la distanza tra Battery Park e alla Columbia University.
E non dimenticate che le persone che vivono a Brooklyn o nel New Jersey sono molto diversi da coloro che vivono in alcuni paesi vicini di Israele.
Così come si fa - come si fa a proteggere un paese così piccolo, circondato da persone votate alla sua distruzione e armate fino ai denti dall'Iran? Ovviamente non si può difendere solo dall'interno quello spazio ristretto.
Israele ha bisogno di maggiore profondità strategica, e questo è esattamente il motivo per cui la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza non richiede a Israele di lasciare tutti i territori catturati nella Guerra dei Sei Giorni.
Si parlava di ritiro da territori, di confini sicuri e difendibili. E per difendersi, Israele deve quindi mantenere una presenza a lungo termine militare israeliana nelle aree critiche e strategiche in Cisgiordania.
Ho spiegato al presidente Abbas. Egli rispose che se uno Stato palestinese doveva essere un paese sovrano, che non avrebbe mai potuto accettare tali disposizioni. Perché no? L'America ha avuto truppe in Giappone, Germania e Corea del Sud per più di mezzo secolo. La Gran Bretagna ha avuto uno spazio aereo a Cipro e una base aerea a Cipro. La Francia ha le forze in tre nazioni indipendenti africane.
Nessuno di questi paesi sostiene che non sono sovrani. E ci sono molte altre questioni di sicurezza vitale che devono anche essere affrontate.
Prendete la questione dello spazio aereo. Ancora una volta, per Israele le piccole dimensioni creano problemi di sicurezza enorme.
L'America può essere attraversata da aereo a reazione in sei ore. Per volare in tutta Israele, ci vogliono tre minuti.
È così piccolo lo spazio aereo di Israele da poter essere tagliato a metà e dato a uno stato palestinese non in pace con Israele? Il nostro grande aeroporto internazionale è a pochi chilometri dalla Cisgiordania. Senza pace, i nostri aerei potrebbero essere bersagli per missili antiaerei piazzati nello stato adiacente palestinese? E come potremo fermare il contrabbando nella West Bank? Non è solo la Cisgiordania, è la montagna Cisgiordania. Domina appunto la pianura costiera dove vive la maggior parte della popolazione di Israele.
Come possiamo impedire il contrabbando in queste montagne di quei missili che potrebbero essere lanciati contro le nostre città? Pongo in evidenza questi problemi perché non sono problemi teorici. Sono molto reali. E per gli israeliani, sono questioni di vita o di morte.
Tutte queste crepe potenziale in sicurezza di Israele devono essere sigillate in un accordo di pace prima che venga sancito uno stato palestinese, non dopo, perché se si lasciano in seguito, non avranno valore.
E questi problemi ci esploderanno in faccia demolendo la pace.
I palestinesi devono prima fare la pace con Israele e quindi ottenere il loro stato. Ma voglio anche dirvi questo. Dopo un accordo di pace firmato, Israele non sarà l'ultimo paese ad accogliere uno stato palestinese come nuovo membro delle Nazioni Unite.
Sarà il primo. E c'è un'altra cosa. Hamas ha violato il diritto internazionale, tenendo il nostro soldato Gilad Shalit, prigioniero per cinque anni. Non hanno concesso una visita della Croce Rossa.
E' tenuto in una prigione, nelle tenebre, contro tutte le norme internazionali. Gilad Shalit è il figlio di Aviva e Noam Shalit. Egli è il nipote di Zvi Shalit, che è sfuggitoto all'Olocausto venendo nel 1930 ragazzo nella terra di Israele.
Gilad Shalit è il figlio di ogni famiglia israeliana.
Ogni nazione rappresentata qui dovrebbe chiedere il suo rilascio immediato.
Se si vuole - se si vuole approvare una risoluzione sul Medio Oriente oggi,- è questa la risoluzione che dovrebbe passare.
Signore e signori, l'anno scorso in Israele nella Bar-Ilan University, quest'anno alla Knesset e al Congresso degli Stati Uniti, io esposi la mia visione per la pace in cui uno Stato palestinese smilitarizzato riconosce lo Stato ebraico.
Sì, lo Stato ebraico.
Dopo tutto, questo è la sede che ha riconosciuto lo Stato ebraico 64 anni fa. Ora, non pensate che sia giunto il momento che i palestinesi facciano lo stesso? Lo stato ebraico di Israele tutelerà sempre i diritti di tutte le sue minoranze, compresi il milione e più di cittadini arabi.
Vorrei poter dire la stessa cosa di un futuro Stato palestinese, ma per i funzionari palestinesi, l' hanno chiarito proprio qui a New York - hanno detto che lo stato palestinese non accoglierà nessun Ebreo.
Sarà Ebreo-free - Judenrein. Questa è pulizia etnica.
Ci sono leggi oggi a Ramallah che considerano la vendita di terre agli ebrei punibile con la morte. Questo è razzismo.
E sapete quali leggi ci ricorda ? Israele non ha alcuna intenzione di cambiare il carattere democratico del nostro Stato. Noi semplicemente non vogliono che i palestinesi tentino cercare di cambiare il carattere ebraico del nostro stato. (Applausi) Noi ci opporremo alla ipotesi di distruggere di Israele con milioni di palestinesi. Il Presidente Abbas se ne stava qui ieri, e mi ha detto che il cuore del conflitto israelo-palestinese sono gli insediamenti.
Beh, questo è strano. Il nostro conflitto infuriava per quasi mezzo secolo prima che ci fosse un unico insediamento israeliano in Cisgiordania.
Quindi, se ciò che il presidente Abbas sta dicendo era vero, allora credo che gli insediamenti di cui stava parlando sono Tel Aviv, Haifa, Jaffa, Be'er Sheva. Forse è questo che voleva dire l'altro giorno quando ha detto che Israele occupa la terra palestinese da 63 anni.
Non ha detto, dal 1967, ha detto dal 1948.
Spero che qualcuno si preoccupi di porgli questa domanda, perché illustra una semplice verità: Il nucleo del conflitto non sono gli insediamenti.
Gli insediamenti sono il risultato del conflitto.
Gli insediamenti sono un problema che deve essere affrontata e risolto nel corso dei negoziati.
Ma il cuore del conflitto è sempre stato e rimane, purtroppo, il rifiuto dei palestinesi di riconoscere uno Stato ebraico non importa con quale confine.
Penso che sia tempo che la leadership palestinese riconosca ciò che ogni leader serio internazionale ha riconosciuto, da Lord Balfour e Lloyd George nel 1917, al presidente Truman nel 1948, per il presidente Obama appena due giorni fa proprio qui: Israele è lo Stato ebraico.
Presidente Abbas, la smetta di girare intorno a questo problema.
Riconosca lo stato ebraico, e faccia la pace con noi.
In tale vera pace, Israele è pronto a scendere a compromessi dolorosi. Siamo convinti che i palestinesi non devono essere né cittadini di Israele né suoi sudditi. Essi devono vivere in un loro stato libero.
Ma devono essere pronti, come noi, ali compromesso. E noi sappiamo che saranno pronti per il compromesso e per la pace quando si inizierà a prendere sul serio il punto sui requisiti di sicurezza di Israele e quando smetteranno di negare il nostro legame storico per la nostra antica patria.
Sento spesso che accusano Israele di giudaizzare Gerusalemme. E 'come accusare l'America di americanizzare Washington o gli inglesi di inglesizzare Londra.
Sa perché siamo chiamati "giudei"? Perché veniamo dalla Giudea.
Nel mio ufficio a Gerusalemme, c'è un antico sigillo. E 'un anello con sigillo di un funzionario ebreo dal tempo della Bibbia. Il sigillo è stato trovato proprio vicino al Muro del Pianto, e risale a 2.700 anni, al tempo del re Ezechia. Ora, c'è un nome del funzionario ebraico scritto sull'anello in ebraico. Il suo nome era Netanyahu. Questo è il mio cognome.
Il mio primo nome, Benjamin, risale a mille anni prima di Benjamin - Binyamin - figlio di Giacobbe, che era anche conosciuto come Israele.
Giacobbe e i suoi 12 figli hanno vagato su queste stesse colline della Giudea e della Samaria 4.000 anni fa, e c'è stata una continua presenza ebraica nella terra da allora.
E per quegli ebrei che sono stati esiliati dalla nostra terra, non hanno mai smesso di sognare il ritorno: ebrei in Spagna, alla vigilia della loro espulsione, gli ebrei in Ucraina, in fuga dal pogrom, gli ebrei del ghetto di Varsavia combattendo, con i nazisti che li accerchiavano.
Non hanno mai smesso di pregare, non hanno mai smesso di provare nostalgia.
Sussurravano: l'anno prossimo a Gerusalemme. L'anno prossimo nella terra promessa. Come il primo ministro di Israele, io parlo per un centinaio di generazioni di ebrei che erano dispersi per il mondo, che hanno sofferto ogni male, ma che non hanno mai abbandonato la speranza di ripristinare la loro vita nazionale nel solo ed unico stato ebraico.
Signore e signori, io continuo a sperare che il presidente Abbas sarà il mio partner per la pace. Ho lavorato duramente per far avanzare la pace.
Il giorno in cui sono divento primo ministro, ho chiesto negoziati diretti senza precondizioni.
Il presidente Abbas non ha risposto. Ho delineato una visione di pace di due stati per due popoli. Lui ancora non ha risposto.
Ho rimosso centinaia di blocchi stradali e posti di blocco, per facilitare la libertà di circolazione nelle aree palestinesi, facilitando una crescita fantastica per l'economia palestinese.
Ma ancora una volta - nessuna risposta. Ho preso l'iniziativa senza precedenti di bloccare la costruzione di nuovi edifici nelle colonie per 10 mesi. Cosa che nessun primo ministro ha mai fatto precedentemente .
Ancora una volta, non c'è stata risposta. Nessuna risposta.
Nelle ultime settimane, i funzionari americani hanno proposto iniziative per riavviare i colloqui di pace. Ci sono state ipotesi sui confini che non mi piacevano. C'erano cose circa lo stato ebraico che sono sicuro che ai palestinesi non piacevano. Ma con tutte le mie riserve, ero disposto ad andare avanti su queste proposte americane.
Presidente Abbas, perché ne parliamo insieme? Dobbiamo continuare i negoziati. Dobbiamo andare avanti. Negoziamo per la pace.
Ho passato anni a difendere Israele sul campo di battaglia. Ho trascorso decenni a difendere Israele di fronte all' opinione pubblica.
Presidente Abbas, hai dedicato la tua vita a favore della causa palestinese.
Questo conflitto deve continuare per generazioni, o permetterà ai nostri figli ai nostri nipoti di parlare negli anni a venire di come abbiamo trovato un modo per porvi fine? Questo è quello cui dobbiamo puntare, e questo è quello che credo che possiamo ottenere.
In due anni e mezzo, ci siamo incontrati a Gerusalemme una sola volta, anche se la mia porta è sempre stata aperta.
Se lo desidera, verrò a Ramallah.
In realtà, ho un suggerimento migliore. Entrambi abbiamo appena volato per migliaia di chilometri a New York. Ora siamo nella stessa città. Siamo nello stesso edificio. Quindi cerchiamo di incontrarci qui oggi alle Nazioni Unite. Chi vuole fermarci? Cosa c'è che può fermarci? Se vogliamo veramente la pace, cosa c'è ad impedire un incontro oggi e l'inizio dei negoziati di pace?
Parliamo apertamente e onestamente.
Ascoltiamoci l'un l'altro. Facciamo come diciamo noi in Medio Oriente: Parliamo di "doogri". Ciò significa, semplicemente, ti dirò le mie esigenze e le preoccupazioni.Tu mi dirai le tue.
E con l'aiuto di Dio, troveremo un terreno comune di pace.
C'è un vecchio detto arabo che dice: non si può applaudire con una mano.
Ebbene, lo stesso vale per la pace. Non riesco a fare la pace da solo.
Non posso fare la pace senza di te.
Presidente Abbas, porgo la mia mano - la mano di Israele - in pace.
Spero che stringerà questa mano.
Siamo entrambi figli di Abramo.
La mia gente lo chiama Avraham.
La tua gente lo chiama Ibrahim.
Condividiamo lo stesso patriarca. Viviamo nella stessa terra. I nostri destini si intrecciano. Cerchiamo di realizzare la visione di Isaia - (parla in ebraico) - "Il popolo che cammina nelle tenebre vedrà una grande luce".
Lasciate che sia la luce della pace.

(Associazione Italia Israele di Vercelli, 25 settembre 2011 - trad. Elio Calza)

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Tutte le bugie di Abu Mazen, falsa colomba

di Fiamma Nirenstein

Dopo gli applausi a Abu Mazen che ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu il riconoscimento dello Stato Palestinese, il Quartetto cerca di rimandare la decisione sperando nelle procedure e chiedendo alle parti di tornare al tavolo delle trattative. Ma se guardiamo al discorso del presidente palestinese si legge una «narrativa», una aggressiva fantasia, che disprezza il nemico e quindi nega la pace.
    Il primo equivoco è il peggiore: promette il rispetto di Israele, assicura la volontà di pace, ma poi Abu Mazen insiste sulla «nakba» del '48, lo Stato Ebraico è per lui un'illegittima presenza coloniale. Abu Mazen parla di «nakba», di occupazione dal 1948, non dal 1967: i profughi come lui, dice, ancora conservano le chiavi di casa di Safed (dove è nato e da dove fuggì nel '48 in Siria). Devono tornare a casa, in Israele, non in Palestina. Dimentica che se ne andarono a causa di una guerra di cinque Paesi arabi contro la partizione. Il nuovo Stato Palestinese come lo disegna il sito dei palestinesi all'Onu, o che i bambini studiano a scuola è la mappa di Israele. Abu Mazen ha detto che nella loro generosità i palestinesi hanno accettato di ridursi nel 22 per cento della Palestina originale: ma non dice che questa Palestina (nome che discende dai Filistin, popolazione non aborigena ma mediterranea e che i romani dettero all'area) è uno dei paesi disegnati dalla Società delle Nazioni (come la Siria, o l'Irak) dopo la disfatta dell'Impero turco e che era destinata al popolo ebraico, riconosciuto nei suoi diritti ancestrali. La politica del Mandato inglese la tagliò per darne parte alla Giordania.
    Abu Mazen parla di una «pulizia etnica» mai avvenuta, semmai è il suo programma che dichiara che il nuovo Stato proibirà la presenza di ebrei. L'invenzione dello Stato razzista e di apartheid è inconcepibile se si guarda all'incredibile miscuglio di colori, culture, etnie, dalla Knesset agli ospedali, alle scuole... La balla poi che sia Israele che impedisce le trattative: Israele dal tempo dei «tre no» arabi di Kartum del '67 non ha fatto che offrire territori in cambio di pace, cercando, com'è statuito dalla risoluzione 242, anche la sicurezza. Le città palestinesi sono tutte state sgomberate con gli accordi di Oslo, il 98 per cento dei palestinesi vivono nell'Autonomia. I check point sono stati diminuiti contrariamente a un'altra frase di Abu Mazen, e semmai servono a controllare gli eventuali terroristi: e Israele ne ha ben donde. Altra bugia: che Israele blocchi l'economia palestinese. Ne è anzi un motore e certo lo sarebbe di più in tempo di pace. Poi: «il muro dell'annessione» come lo chiama Abu Mazen, ha di fatto fermato il terrorismo, quale annessione? I territori: l'Egitto ha fatto la pace e ha avuto il Sinai. Israele ha lasciato il Libano e Gaza. Mal gliene incolse. Gli insediamenti: sono un problema ma occupano solo l'1,36 per cento dell'West bank. L'ultimo insediamento approvato è del 1999. È vero che la crescita naturale è alta, ma Netanyahu bloccò le costruzioni per dieci mesi senza segnali da parte palestinese. Oggi i coloni lamentano un «freezing di fatto». Infine: quando Abu Mazen dice che i palestinesi sono armati solo delle loro speranze, sa che da Gaza sono piombati su Israele migliaia di missili, anche Grad di lunga gittata. Sarebbe meglio che Abu Mazen trattasse, invece di spargere biasimo e odio all'Onu che applaude, ma non porta la pace.
    
(il Giornale, 25 settembre 2011)
    
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Sarà presentata domani anche a Torino la pubblicazione di Eli Hertz



Programma

Nella rubrica approfondimenti sono stati inseriti i testi di due interventi a Roma che per motivi di tempo sono stati esposti solo in forma molto ridotta.

(Notizie su Israele, 25 settembre 2011)

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Il grande miracolo

di Ugo Volli

Da quel che si capisce, per ora la forzatura della leadership palestinese non è riuscita e per il momento lo-stato-che-non-c'è non è stato ammesso all'Onu, dove per altro mancano anche il Granducato di Ruritania, il Paese dei Campanelli, la Terra di mezzo, il Regno delle due Sardegne e anche altri territori più seri, come il Kurdistan, il Tibet, lo stato Sarahui occupato dal Marocco.
Dico "per ora", perché dall'Onu ci si può attendere di tutto, anche la revoca ufficiale del Teorema di Pitagora, dato che si tratta di un matematico greco, dunque nemico personale di Erdogan e comunque pagano, non illuminato dalla luce dell'Islam.
Sia lode alla saggia gestione di Netanyahu, alla pressione degli elettori americani, alla forza calma e determinata dell'esercito israeliano, agli elettori israeliani che si sono scelti un buon governo.
Nel momento in cui scrivo, questa minaccia non sembra più vicinissima.
Ammettiamo pure dunque che questa volta lo "tsunami diplomatico di settembre" (così lo chiamò Ehud Barak) sia scongiurato e magari rimandato di un anno (ma fra un anno ci sono le elezioni presidenziali americane, chissà). Voglio solo suggerirvi una riflessione.
E' possibile che uno stato (e i suoi cittadini) debba vivere in questa maniera? Oggi la flottiglia per aiutare i suoi nemici, domani Ahmadinedjad che vuole "cancellarlo dalle mappe" e costruisce attivamente l'atomica per realizzare questo dolce desiderio, ieri i terroristi che tendono agguati alla gente che va al mare; dopodomani Erdogan che minaccia di mandare le navi a impedire l'apertura dello sfruttamento dei gas sottomarini, l'altro ieri la giornata della Nabkà, della Nafshà e di che altro il diavolo si inventa, sempre con l'idea di cancellare i confini...
E poi tutti i giorni qualche razzo sul sud, un arabo che spara, o cerca di ammazzare la gente con il bulldozer che gli hanno dato in mano per i lavori stradali, accoltella una persona che ha la disgrazia di farsi trovare sola sulla strada, o almeno tira sassi sulle macchine di passaggio.
E poi tutti che gli fanno lezione, che spiegano che per il suo bene, naturalmente per il suo bene, deve genuflettersi a Erdogan, non demonizzare Ahmadinedjad, chiedere scusa agli egiziani e soprattutto lasciare che i palestinesi si annettano quel che gli pare - perché poi tutti i problemi finiranno, dato che l'unico malvagio della regione è proprio lui, Israele.
Fin che si tratta di palesi antisemiti, vabbe', è propaganda avversa.
Ma che la stessa cosa la ripetano, col ditino alzato per aria, persone che si proclamano pomposamente "amiche" e magari anche avanzano la loro origine ebraica a prova - come fare a evitare la crisi di nervi e non mandarli "a stendere", come si dice a Torino?
Eppure Israele è forte, è calma, è allegra, è creativa.
Soprattutto è profondamente libera. La sua innovazione tecnologica rivaleggia con la Silicon Valley, la sua economia è stata appena promossa dalle agenzie che non hanno solo bocciato noi, ma anche le banche francesi e lo stato americano, le sue università sono fra le migliori del mondo, la sua politica è vivace e piena di sani conflitti, la sua arte e letteratura sono apprezzate nel mondo; c'è un sacco di gente che ama divertirsi e la vita di Tel Aviv è fra le più frenetiche e intense, ma anche un sacco di gente che vive una vita religiosa intensa e profonda, e c'è posto per tutti e due, con occasionali tutto sommato fisiologici conflitti.
Questo è il grande risultato, il grande miracolo: che Israele non perde la sua vitalità, che nonostante tutti si affannino a buttargli ostacoli fra i piedi, Israele vive e prospera e non si lascia chiudere nell'angolo dell'emergenza.

(Informazione Corretta, 25 settembre 2011)

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Le bandiere palestinesi non sventolano a Gerusalemme Est

Resoconto di Frate Riccardo Ceriani, saronnese che da anni è "in servizio" a Gerusalemme. Il testo è stato scritto tra sabato e domenica, quando AbuMazen ha chiesto ufficialmente all'Onu il riconoscimento dello stato Palestinese.

Le bandiere palestinesi non sventolano a Gerusalemme Est. Mentre il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen sta tenendo il suo più atteso discorso all'Onu (a seguito della richiesta della Palestina ad essere riconosciuta come stato) in piazza a Gerusalemme Est c'è poca gente. Quaranta persone, una ventina di giornalisti e cameramen, più una decina di stranieri, che come me vogliono essere testimoni delle reazioni dei cittadini della capitale in pectore in questo annunciato momento storico. A differenza delle grandi città della Cisgiordania come Ramallah e Betlemme, i palestinesi di Gerusalemme non sono scesi in piazza. Siamo alla Porta di Damasco unico e naturale luogo di incontro e di raduno della popolazione palestinese di Gerusalemme. Ma non esclusivo: da qui passano gli ebrei ultraortodossi di Mea Shearim per recarsi al Muro Occidentale (Kotel Maariv, meglio conosciuto all'estero col nome di Muro del Pianto). E continuano a passare anche stasera, ignari e indisturbati, osservati da un esiguo numero di forze dell'ordine che non li amano.
    Se avessero letto i giornali degli altri e visto le televisioni che non hanno (gli "haredim" costituiscono una comunità separata e chiusa) forse prudenzialmente avrebbero scelto un altro ingresso per la città vecchia. E invece, nella loro ignoranza hanno avuto ragione: tutto è normale o quasi in un giorno, in un luogo e in un'ora che non avrebbero dovuto esserlo. Mezz'ora prima dell'inizio del discorso di Abu Mazen l'unica agitazione è quella delle troupe televisive, con le telecamere fisse puntate verso la piazza dove avrebbe dovuto essere montato un maxischermo. Ma il maxischermo non c'è, e nemmeno la gente che lo doveva guardare. Allora smontano gli studi che avevano allestito e se ne vanno. Rimane qualche giornalista, qualche cameraman con la telecamera a spalla e alcuni fotografi. Viene invece allestito un minischermo nella piazza antistante, di fianco al ristorante Al Ayed, che mette a disposizione le sedie. La comodità si paga con l'affumicatura da kebab, visto che il vento spinge il fumo proprio in quella direzione. Un applauso all'ingresso di Abu Mazen, un altro quando il Presidente si commuove citando Arafat e per il resto il discorso viene seguito in silenzio con attenzione.
    A un certo punto quattro donne - non tre, non cinque- urlano alcuni slogan e tutti i cameramen vi si protendono come mosche al miele. Alla fine ancora applausi; poi un capofamiglia arringa i presenti con un'autorevolezza che gli viene riconosciuta e insieme ad altri tre capifamiglia e ad un rappresentante religioso musulmano molto noto scendono alla porta col loro seguito, mettendosi in posa per i fotografi mentre le donne ripetono gli slogan. I giornalisti si sguinzagliano in giro per raccogliere le opinioni della poca gente locale presente e dalle risposte mi rammarico che nessuno abbia posto l'unica domanda che andava fatta: dove sono gli altri? Dove sono i palestinesi di Gerusalemme? Perché non sono scesi in piazza come i loro connazionali di Ramallah e di Betlemme?
    C'è un problema ulteriore nella questione palestinese, un problema di politica interna, che per ora i media internazionali non rappresentano perché non lo capiscono, e quindi non lo vedono anche quando è così palese. Mentre su tutti gli schermi del mondo sventolano le bandiere palestinesi delle piazze della Cisgiordania, alla porta di Damasco rimane solo la cenere fredda della grigliata di kebab.

(VareseNews, 25 settembre 2011)

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Israele, parole e idee

ROMA - È iniziato oggi il corso di formazione Public Speaking e Hasbarà organizzato dall'assessorato alla formazione dell'UCEI in collaborazione con il Bené Berith Giovani e l'Ambasciata di Israele in Italia.
I saluti di apertura sono stati affidati a Claudia De Benedetti, assessore alla formazione e vicepresidente UCEI. Claudia ha sottolineato che grazie agli ottimi risalutati portati a casa dal progetto Yeud - Future Leader Training nei due anni passati con la formazione dei giovani leader comunitari, l'Unione ha deciso di aprire un Centro Studi e Formazione che verrà inaugurato il 30 ottobre 2011 a Milano. Il centro, che sarà diretto dal rav Roberto della Rocca, direttore del Dipartimento Educazione e Cultura UCEI, avrà l'arduo compito di estendere questo tipo di formazione ai politici, ai segretari e ai rabbanim di tutte le comunità italiane. A seguire l'intervento di Livia Link, consigliere per gli affari politici e istituzionali dell'Ambasciata di Israele in Italia. Link ha posto l'accento sull'importanza di raccontare Israele mettendo da parte il conflitto per far conoscere nella quotidianità una realtà nazionale che conta centinaia di primati in settori quali la cultura, la ricerca, l'economia, i brevetti, high tech, etc....
La lezione vera e propria è iniziata con l'intervento di Neil Lazarus, esperto di fama internazionale in tema di public speaking e media training. Lazarus, special advisor del ministero degli affari esteri di Israele, ha tenuto un intervento basato sull'interazione con i ragazzi. Dopo una breve fotografia dello status quo strategico in Medio Oriente ha passato il microfono agli studenti mettendoli davanti a una telecamera per riprendere le tanto temute simulazioni. Ci piace ricordare che il corso, che vede la partecipazione di diciassette giovani ebrei italiani provenienti da 5 comunità, si sta tenendo nella Sala del Centro Bibliografico UCEI dedicata alla memoria Tullia Zevi z.l che è stato a capo dell'UCEI per tre lustri. Quale miglior modo di ricordare chi della cultura e dei giovani ha fatto la sua ragione di vita?

(Notiziario Ucei, 25 settembre 2011)

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Gli assalitori dell'attacco anti-israeliano del mese scorso erano egiziani

Tutti coloro che hanno partecipato all'attacco anti-israeliano del mese
scorso sarebbero egiziani, residenti nel Sinai, reclutati e preparati da un
gruppo armato palestinese a Gaza, riferisce mercoledì 21 settembre il
quotidiano israeliano Yediot Aharonot.
Il giornale ha affermato che "un rapporto dell'inchiesta dell'esercito
israeliano" è arrivato a tali conclusioni, precisando in particolare che uno
dei poliziotti uccisi durante la risposta israeliana faceva parte del
commando degli assalitori.

(CRIF, 23 settembre 2011)

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Roma - Cimitero Flaminio: "Domenica pulizia straordinaria nel riquadro ebraico"

ROMA - "Domenica 25 settembre, nel riquadro ebraico del cimitero Flaminio si svolgerà una mattinata di pulizie straordinarie. Le operazioni inizieranno alle 9:30, alla presenza del presidente di Ama, Piergiorgio Benvenuti, e del presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. Ama fornirà supporto tecnico, operativo e logistico. Dipendenti dei Servizi Cimiteriali e della Multiservizi collaboreranno con i cittadini di religione ebraica nella pulizia del riquadro privato che ospita le tombe dei propri defunti. Ai cittadini coinvolti nell'iniziativa, l'azienda fornirà tutti gli strumenti e le attrezzature necessarie per lavorare in sicurezza: rastrelli, pale, sacchi, scope, decespugliatori e furgoni. Ama, che coordina le operazioni, svolge il consueto servizio di decoro e manutenzione nelle aree pubbliche del Cimitero Flaminio e, per questa occasione, metterà a disposizione l'assistenza necessaria e le proprie strutture per venire incontro alle richieste della comunità ebraica della Capitale". Lo comunica, in una nota, Ama. (omniroma.it)

(la Repubblica - Roma, 23 settembre 2011)

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Hamas vieta cortei pro Abu Mazen

GAZA - Un clima di tensione si avverte a Gaza, a poche ore dal discorso con cui il presidente dell'Anp Abu Mazen chiedera' la piena adesione dello stato palestinese all'Onu. Ritenendo questa iniziativa azzardata e ''pericolosa per gli interessi nazionali'', Hamas ha vietato lo svolgimento di qualsiasi manifestazione. Tuttavia gruppi di oppositori si dicono determinati a festeggiare egualmente l'evento anche a rischio di doversi misurare con le forze di sicurezza di Hamas.

(ANSA, 23 settembre 2011)

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Presentata a Roma la pubblicazione di Eli Hertz


ROMA - Si è tenuta ieri a Roma, alle ore 18, nella sede del Palazzo della Cultura Ebraica in via Portico d’Ottavia, la prevista presentazione della pubblicazione di Eli Hertz “Questa terra è la mia terra”. Ha fatto gli onori di casa il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, e ha presieduto l’incontro il Presidente di EDIPI, Ivan Basana. L’autore, tradotto da Monica Tamagnini, ha illustrato i documenti storici raccolti nel suo testo, che sottolineano l’importanza storica, anche per l’attuale discussione sulla legittimità internazionale di Israele, del Mandato per la Palestina accordato alla Gran Bretagna dalle Potenze Alleate vincitrici della Prima guerra mondiale. Sono intervenuti, con esposizioni purtroppo molto abbreviate per motivi di tempo, gli evangelici Rinaldo Diprose e Marcello Cicchese, l’onorevole Fiamma Nirenstein, i senatori Luigi Compagna e Lucio Malan. A parere di molti, anche dell’autore del testo e di alcuni oratori, il tema avrebbe richiesto un tempo a disposizione molto maggiore.
Alla fine dell’incontro Ivan Basana ha ricordato che la pubblicazione di Eli Hertz sarà presentata prossimamente anche a Torino, il 26 settembre, alle ore 18, presso la Fondazione Camis De Fonseca, in via Pietro Micca 15.

(Notizie su Israele, 23 settembre 2011)

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Arte e cibo, percorsi sensoriali nel quartiere ebraico

Sabato e domenica due giorni di food design e musica

Progettazione collettiva di strutture narrative che trovano casa nello spazio e corpo nel cibo: è questo il leitmotiv di Cartaelatte-events and food design, che sabato 24 e domenica 25 settembre accompagnerà il suo pubblico per le vie di food del quartiere ebraico di Trani.
Obiettivo della due giorni, dedicata alla cultura e alle arti del cibo è rilanciare e riproporre, attraverso interventi artistici differenti, uno dei luoghi più suggestivi della città antica di Trani. Si parte dal cibo per sperimentare forme d'arte diverse e nuove prospettive per la rivalutazione del territorio, Cartaelatte, giovane laboratorio di food design, si esprime in questa direzione: interventi site specific per diverse tipologie di evento. Il cibo è l'attore protagonista, la materia prima a partire dalla quale si sviluppano immaginari e prodotti commestibili.
Sabato 24 e domenica 25 dalle 19 il retro della chiesa d'Ognissanti ospiterà laboratori e racconti animati per i più piccoli mentre dalle 20 i più grandi potranno degustare l'aperitivo food evening in piazza Scolanova e passeggiare nel quartiere ebraico alla scoperta delle «Luci Buttate» installazioni artistiche a cura di Incredix Lab design. Diverse le proposte serali, sempre in piazza scolanova. Sabato alle 22 verrà proposto un viaggio tra suoni, visioni e profumi migranti. Domenica, alla stessa ora, si respireranno atmosfere e suggestioni del tango argentino e non solo.
Vie di Food è anche riscoperta di monumenti storici nella città antica. Sarà possibile prenotare una esclusiva visita guidata al quartiere ebraico ed alla chiesa dei Templari (alle 19) con l'ausilio dell'associazione culturale Le terre di Federico (info e prenotazioni al 342/0416263). Dalle 20 alle 23, grazie alla collaborazione di Eta Puglia, sarà possibile visitare il museo di Sant'Anna (sezione ebraica del museo diocesano) al costo di 3 euro. L'iniziativa gode del patrocinio del Comune di Trani ed è inserita nel cartellone dell'estate tranese.

(traniweb, 23 settembre 2011)

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I comportamenti ripetitivi aiutano a ridurre l'ansia

Rituali e comportamenti ripetitivi riducono l'ansia. A dirlo è uno studio coordinato dall'Università di Tel Aviv (Israele) apparso sulle pagine di Neuroscience and Biobehavioral Reviews. I comportamenti rituali servirebbero a indurre la calma e a regolare lo stress causato dall'imprevedibilità e dall'impossibilità di controllare gli eventi.
Esaminando videoregistrazioni che mostravano giocatori di pallacanestro alle prese con un tiro libero, i ricercatori hanno rilevato l'abitudine dei cestisti a palleggiare ripetutamente prima di provare il lancio. "E' un modo per focalizzare l'attenzione e controllare le proprie azioni", spiega David Eilam, coordinatore della ricerca. Infatti i giocatori che credono che completare questa ripetizione possa migliorare la performance ottengono, in genere, risultati migliori.
Questo tipo di comportamento non scade necessariamente nell'ossessività, ma è particolarmente accentuato nel disturbo ossessivo-compulsivo. Chi ne soffre, infatti, controlla ripetutamente di aver completato un'azione, ad esempio aver spento i fornelli. Tuttavia, si tratta di un rituale diverso da quello osservato negli sportivi, perché caratterizzato da una sensazione di incompletezza che impedisce di porre fine alla ripetizione e che distingue il rituale sano dall'atteggiamento patologico.

(ASCA, 23 settembre 2011)

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Rassegna stampa - Stato palestinese, sì o no?

Dunque si è arrivati ai fatidici giorni, quelli nei quali una battaglia politica e diplomatica, l'ennesima, si consumerà senza esclusione di colpi. La richiesta per parte palestinese di vedersi riconosciuto lo status di Stato membro, ancorché nel ruolo di osservatore, non potendo vantare le medesime prerogative degli Stati di diritto e di fatto, è al centro della discussione internazionale. Ne parlano in molti - già lo si è fatto nei giorni trascorsi - e non ci sottraiamo dal compito di segnalare cronache e valutazioni quali quelle di Richar Prasquier, presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche francesi, su Le Figaro, Anna Guaita per il Messaggero, Fabio Scuto su la Repubblica, Virginia di Marco per il Riformista. Oltre, ovviamente, a tanti altri articoli. Poiché su questa questione, che è squisitamente politica, ruota al momento quella strana e ambigua "entità" dello scenario collettivo che va sotto la dizione di «conflitto israelo-palestinese» (una querelle che prosegue da almeno cent'anni, sia pure con intensità diverse), ogni parola che si aggiunge rischia di risultare pleonastica o, peggio ancora, fuori luogo....

(Moked, 23 settembre 2011)

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Israele: possibile escalation di violenza in vista del discorso di venerdi

La polizia israeliana si prepara a contenere una possibile escalation in vista del discorso del presidente palestinese alle Nazioni Unite. «Il livello d'allarme più alto è previsto per venerdì - fa sapere - e questo picco durerà tre settimane». Il 23 settembre Abu Mazen presenterà l'auto-candidatura palestinese alla piena membership: parlerà di fronte all'Assemblea Generale alle 12:30 di New York (le 19:30 in Israele).
Le forze di sicurezza israeliane - ma anche quelle dell'Autorità nazionale palestinese - temono che le manifestazioni previste in Cisgiordania possano degenerare. Novemila poliziotti saranno dispiegati nei Territori e riceveranno un equipaggiamento speciale che comprende un sistema per sparare gas lacrimogeni a 150 metri di distanza, granate rumorose e proiettili di gomma. Esercitazioni di vasta scala vanno avanti da tempo; l'ultima è avvenuta lunedì. Ma nonostante la polizia si stia preparando a fronteggiare gli scenari peggiori, dall'intelligence sono arrivate finora notizie rassicuranti. «Non abbiamo trovato alcuna informazione sulla preparazione o l'intenzione di far esplodere disordini», ha dichiarato il commissario Yohanan Danino.

(FocusMO, 22 settembre 2011)

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Nuova leader per i laburisti israeliani

Un volto nuovo sulla scena politica dello Stato ebraico

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Shelly Yacimovich
La base sceglie Shelly Yacimovich che propone il riconoscimento di uno stato di Palestina
Con il 54% dei voti nel ballottaggio i membri del Partito laburista israeliano hanno scelto l'ex giornalista Shelly Yacimovich per guidarli verso le prossime elezioni.
Seconda dopo Golda Meir
La 51enne madre celibe è stata preferita ad Amir Peretz ed è la seconda donna alla testa della formazione, dopo Golda Meir a cavallo fra gli anni '60 e '70. Fattasi conoscere come paladina della lotta contro le ingiustizie sociali, ha ricevuto l'appoggio sindacale e dei ceti urbani, soprattutto del nord del paese, mentre il suo rivale poteva contare sul sostegno del sud, più povero, degli arabi e dei drusi.
Per il riconoscimento della Palestina
La Yacimovich, criticata da più parti perché molto attenta in campagna elettorale a non pronunciarsi sulla questione palestinese e a non inimicarsi i coloni, una volta eletta ha esortato il premier Benyamin Netanyahu «a proporre il riconoscimento di uno stato di Palestina, al fianco di Israele, nel quadro di un negoziato di pace». L'unilaterale proclamazione di uno stato palestinese aprirebbe invece, a suo dire, scenari pericolosi per Israele.
Crisi e ripresa
Dopo due elezioni completamente fallite (l'ultima, nel 2009, ha dato loro solo 13 mandati alla Knesset), proprio Barak aveva inflitto loro un durissimo colpo formando con quattro deputati una nuova formazione centrista, allo scopo di restare in seno al Governo di destra guidato da Binyamin Netanyahu. La crisi, sentita anche nello Stato ebraico e causa di proteste sociali, ha però restituito loro vigore, tanto che se si votasse oggi otterrebbero non meno di 22 seggi in Parlamento.

(RSI.ch, 22 settembre 2011)

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Quadro di Brera bloccato in Florida. Era stato rubato dai nazisti a una famiglia ebrea

Un quadro rinascimentale che la Pinacoteca di Brera aveva prestato ad un museo della Florida è stato bloccato negli Stati Uniti, praticamente sotto sequestro. Il motivo? L'ennesimo furto nazista a danno degli ebrei. Si tratta del «Cristo portacroce trascinato da un manigoldo», opera risalente al 1538 circa del bresciano Gerolamo Romano (1484-1566 ca) detto il Romanino, che era stato prestato, insieme con altri, per una mostra allestita dal Mary Brogan Museum of Art and Science di Tallahassee (Florida).
L'indiscrezione, apparsa nei giorni scorso su Usa Today, è stata oggi confermata da Ilaria Niccolini, la cui agenzia ha coordinato internazionalmente e co-prodotto l'esposizione intitolata «Baroque painting in Lombardy from the Pinacoteca di Brera». La mostra è stata allestita per cinque mesi e si è chiusa il 4 settembre scorso. Tutti i quadri sono rientrati a Milano, tranne il Romanino.
Chucha Barber, la direttrice del museo di Tallahassee, si é accorta che poteva essere un'opera rubata e si è rifiutata di restituirla. Il dipinto é al centro di una controversia internazionale nata dalla denuncia della famiglia di ebrei Gentili che sostiene di aver comprato il quadro nel 1914 a Parigi e di essere stata poi derubata dai nazisti. Una parte della collezione della famiglia, incluso il Romanino, venne venduta all'asta dal governo di Vichy nel 1941. Nel 1988, dopo 47 anni, il dipinto è entrato a far parte della collezione di Brera.
I discendenti di Giuseppe Gentili hanno intrapreso passi legali per rintracciare e tentare di rientrare in possesso di tutte le loro opere trafugate durante l'occupazione tedesca e già nel 1999 il Louvre dovette restituire alla famiglia ebrea cinque dipinti.
Lo scorso 21 luglio il Procuratore degli Stati Uniti Pamela Marsh ha comunicato alla direttrice del Brogan Museum di ritenere che il dipinto possa rientrare tra le opere d'arte che il governo filo-nazista di Vichy sequestrò alla famiglia ebrea Gentili. Il Romanino, quindi, potrà rientrare in Italia, se rientrerà, solo a controversia risolta.

(Il Sole 24 Ore, 22 settembre 2011)

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Sla, parte da Tel Aviv una sperimentazione con le staminali

Al via trial clinico per vincere il morbo di Gehrig

Sta per partire una nuova sperimentazione sulle cellule staminali. Questa volta si tratta di un trial clinico dell'Università di Tel Aviv in Israele che ha lo scopo di verificare la potenziale efficacia di una terapia sperimentale per la cura della Sla, la temibile Sclerosi laterale amiotrofica.
Dopo aver superato la fase di laboratorio, la sperimentazione - pubblicata sul Journal of Stem Cells Reviews e ideata da Daniel Offen ed Eldad Melamed del Felsenstein Medical Research Center -punta a utilizzare le cellule staminali del midollo osseo dei pazienti per trasformarle in astrociti, vale a dire le cellule che sottintendono al buon funzionamento delle cellule cerebrali.
Gli astrociti svolgono una funzione neuroprotettiva, che rallenta lo sviluppo della Sla, patologia caratterizzata dalla degenerazione progressiva dei motoneuroni e dalla comparsa di sintomi fortemente invalidanti invalidanti come la paralisi degli arti e la compromissione della funzionalità degli organi.
Spiega Daniel Offen: "nel modello murino siamo stati in grado di dimostrare che le cellule derivate dal midollo osseo sono servite a prevenire la degenerazione del cervello a seguito dell'iniezione selettiva di neurotossine". Lo studio si concentra sul trattamento della Sla, ma in realtà la tecnica potrebbe rappresentare una vera e propria svolta in ambito terapeutico per altre patologie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson e la corea di Huntington: "per molte di queste patologie i trattamenti attualmente disponibili puntano solo ad alleviare i sintomi piuttosto che a riparare i danni esistenti", ha dichiarato Offen.

(italiasalute.it, settembre 2011)

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I fraintendimenti dell'opinione pubblica europea. Israele-Palestina, la Grande Dispercezione

di Alessandro Litta Modignani

Mediamente, l'opinione pubblica europea ha del conflitto mediorientale una percezione distorta, dovuta alla scarsa conoscenza dei fatti storici e a un'informazione quasi sempre incompleta, deviante, quando non apertamente ostile. Per "opinione pubblica" non mi riferisco a quella parte più o meno dichiaratamente antisemita, cioè antiebraica, minoritaria e collocata prevalentemente (ma non esclusivamente) all'estrema destra; né all'altro segmento violentemente antisionista, cioè anti-israeliano, più numeroso e d'abitudine schierato a sinistra. Parlo invece di una vasta area di opinione pubblica "centrale", moderata, meno connotata politicamente ma non per questo meno suggestionabile, condizionata da una serie di "convinzioni" ben radicate ma assolutamente sbagliate, "percezioni" apertamente false e tuttavia credute vere. Una serie di luoghi comuni di cui è facile dimostrare l'infondatezza e che però persistono tenacemente, con conseguenze politiche non secondarie, gravi e dannose soprattutto per Israele. Per cercare di smontare alcuni di questi luoghi comuni scrivo l'elenco qui di seguito, consapevole della limitatezza di questo tentativo. Spero con ciò di offrire un contributo a un'informazione più equilibrata e corretta, alla chiarezza e soprattutto alla verità....

(Notizie Radicali, 22 settembre 2011)

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Sisma, i frutti dell'amicizia di Israele

L'AQUILA - Scrive l'ambasciata di Israele in Italia: "Lo Stato di Israele, a seguito del sisma che ha devastato L'Aquila e l'Abruzzo il 6 aprile 2009, non ha fatto mancare la propria solidarietà, anche concreta, contribuendo con una propria donazione alla ricostruzione della città.
La donazione ha consentito, insieme ai contributi di altri donatori, privati e pubbliche istituzioni, alla costruzione di un Centro Polifunzionale nella piccola frazione di Pile, destinato agli studenti dell'Università dell'Aquila.
Lo Stato di Israele ha deciso di destinare la propria donazione a favore di questa struttura adibita agli studenti perché nella tragedia ha perso la vita anche un cittadino arabo israeliano, Hussein Hamade, studente all'Università dell'Aquila.
Venerdì 23 settembre 2011 con una cerimonia ufficiale, alla presenza dell'Ambasciatore di Israele Gideon Meir, sarà inaugurato il Centro Polifunzionale e una sala studio, interna alla struttura, sarà dedicata a Hussein Hamade. Per l'occasione l'Ambasciata di Israele in Italia ha organizzato l'arrivo dei genitori del ragazzo dalla città israeliana di Akko nel nord del paese.
La memoria dello studente e il contributo dello Stato di Israele alla costruzione della struttura saranno ricordati con due targhe affisse all'ingresso del centro e della sala lettura.
"Per lo Stato di Israele è un onore aver partecipato alla costruzione di un Centro Polifunzionale che consentirà di dare ospitalità a moltissimi studenti provenienti da tutto il mondo. Siamo stati, siamo e saremo sempre vicini alle vittime di questa tragedia e ringraziamo le istituzioni e gli enti locali per il riconoscimento al giovane Hussein Hamade con l'affissione della targa che ricorderà la sua memoria in eterno", dichiara Gideon Meir, Ambasciatore d'Israele in Italia".

(inabruzzo, 21 settembre 2011)

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La comunità internazionale adora detestare Israele

Scrive Ben-Dror Yemini, su Ma'ariv: «Invano si cercheranno giustizia e logica. La fortuna dei palestinesi è di avere Israele come controparte. Sono i palestinesi, non i curdi o i tibetani, che ricevono il più ampio riconoscimento internazionale, perché la comunità internazionale più che amare i palestinesi, adora detestare Israele. Questo è lo stile delle forze del progresso. Tibetani e curdi, così come molti altri popoli, non ricevono tutto questo appoggio dalla comunità internazionale, a parte un po' di sostegno soltanto a parole. L'ex primo ministro israeliano Menachem Begin una volta ebbe a dire che noi siamo qui per la forza del diritto, non col diritto della forza. Oggi la forza appartiene alla nuova superpotenza, la comunità internazionale, che detiene una maggioranza automatica e può approvare qualunque capriccio e qualunque ingiustizia. Parafrasando Begin, i palestinesi si meritano uno stato indipendente prima dei curdi o dei tibetani non per la forza del diritto, ma col diritto della forza.»

(israele.net. 21 settembre 2011)

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La fanfara dei Bersaglieri al Portico d'Ottavia

Percorrono l'ultimo tratto di strada a passo di corsa, la musica incalzante che accompagna il loro trotto, uno sfoggio allegro di piume che sventolano a riscaldare la brezza della prima notte di vero fresco autunnale. Accompagnati al Portico d'Ottavia da due ali di folla entusiaste, i bersaglieri sono arrivati ieri sera a Largo 16 Ottobre per concludere in bellezza i festeggiamenti per il 141esimo anniversario della breccia di Porta Pia e dell'apertura dei cancelli del Ghetto al cui interno gli ebrei capitolini erano costretti da 315 anni. La serata, apertasi con gli interventi del sottocapo di Stato Maggiore dell'Esercito Domenico Rossi, del presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, del direttore del Dipartimento Cultura della Cer Claudio Procaccia, del consigliere comunale Antonino Torre e del vicepresidente dell'Associazione Nazionale Bersaglieri Marcello Cataldi, si è svolta tra molti excursus storici e richiami all'unità nazionale e si è declinata sempre più intensamente nel segno della musica grazie al vasto repertorio, che spaziava da motivi militari a brani di musica leggera e operistica, proposto dalla fanfara diretta dal maestro Silvano Curci. Il tutto in un ascesi di emozioni culminate con l'esecuzione dell'inno nazionale e con il seguente rompete le righe. La celebrazione di quest'anniversario, così ricco di significato per il paese e specie per la componente ebraica romana, vessata da oltre tre secoli di umiliazioni e costrizioni all'interno di un fazzoletto di poche centinaia di metri di perimetro, si è ben legata al Festival Internazionale di Letteratura Ebraica, l'altro evento che contemporaneamente catalizzava l'area del Ghetto demolito. Giunto alla quarta giornata, tra proposte di nuovi autori, bookshop e teatro, ieri il Festival ha infatti dedicato alcuni importanti momenti di riflessione alla condizione ebraica capitolina negli anni dell'emancipazione oltre ad aprire una gustosa parentesi sul teatro giudaico-romanesco che proprio di quell'area fu una delle anime. Ancora risposte positive dal pubblico e partecipazione in attesa del grande finale previsto per oggi, a partira dalle 19.30 al Palazzo della Cultura, con ospiti lo scrittore britannico Howard Jacobson, una delle penne di punta della letteratura anglosassone chiamato in questa occasione a dialogare con il giornalista Rocco Cotroneo, e il musicista Nadir Zamir che concluderà con un concerto di tonalità jazz.

(Notiziario Ucei, 21 settembre 2011)

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Il gene che cancella le impronte digitali

di Martina Saporiti

Immaginate di diventare invisibili, non agli occhi delle persone ma quanto meno ai controlli della polizia o degli addetti alla sicurezza negli aeroporti. In che modo? Semplicemente cancellando ciò che vi rende unici e riconoscibili: le impronte digitali. Un gruppo di ricerca coordinato da Eli Sprecher della Tel Aviv University, in Israele, ha infatti individuato il gene che controlla la formazione delle impronte digitali; una scoperta che permetterebbe, almeno in teoria, di diventare "invisibili" bloccando l'espressione di questo pezzetto di Dna. Lo studio è stato pubblicato sull'American Journal of Human Genetics.
La scoperta dei ricercatori risale al 2007, quando a una donna svizzera in procinto di attraversare il confine con gli Stati Uniti venne chiesto di rilasciare le impronte digitali. Gli agenti rimasero scioccati: la donna non ne aveva. Fu così che la comunità medica scoprì la adermatoglifia, un'anomalia in cui sono assenti sia le impronte digitali sia le creste e i solchi (dermatoglifi) sul palmo delle mani, sulla pianta e sulle dita dei piedi. Le persone colpite da adermatoglifia - pochi i casi conosciuti, sono solo quattro le famiglie note che ne soffrono - hanno anche meno ghiandole sudoripare (ma senza alcuni effetti sulla salute).
Le impronte digitali si formano completamente entro le ventiquattro settimane successive alla fecondazione, ma i ricercatori non conoscono i fattori che ne controllano lo sviluppo. Per scoprirlo, Sprecher e la sua equipe hanno condotto un'analisi genetica sui membri di una famiglia svizzera, nove dei quali privi di impronte digitali. Comparando i diversi profili genetici, i ricercatori hanno così scoperto che chi soffriva di adermatoglifia aveva, nel Dna delle cellule della pelle, un minor numero di copie del gene SMARCAD1.
Il gene in questione può esistere in forme leggermente differenti, ognuna delle quali è espressa in una parte diversa dell'organismo. Ebbene, secondo i risultati dello studio quella attiva nella pelle (leggermente più corta delle altre) regola appunto la formazione delle impronte digitali durante lo sviluppo del feto. Capire come questo avvenga sarà il prossimo obiettivo di Sprecher e il suo gruppo di ricerca.
Riferimenti: The American Journal of Human Genetics

(Galileo, 21 settembre 2011)

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Pdl, l'Italia partecipi alla manifestazione filo-israeliana contro "Durban III"

ROMA - "L'Italia partecipi alla manifestazione organizzata dalla 'Friends of Israel Initiative' contro 'Durban III', la discussa conferenza internazionale sul razzismo organizzata a New York sotto l'egida delle Nazioni Unite che si terrà il 21 settembre". Lo chiedono i senatori del Pdl, Paolo Amato e Lucio Malan che hanno presentato un'interrogazione al ministro degli Esteri. Nell'interrogazione i due senatori ricordano che il governo italiano, come quelli di Canada, Israele, Usa, Repubblica Ceca e Olanda, ha deciso di non aderire a 'Durban III' esprimendo il timore che la conferenza si stesse trasformando "da foro di dibattito e coordinamento dell'azione internazionale contro il razzismo, in una tribuna di accusa contro Israele, così come si può evincere sia dagli esiti delle precedenti edizioni di 'Durban' sia dalla prevista partecipazione, come ospite principale, del leader iraniano Ahmadinejad". Amato e Malan chiedono quindi al governo di dare la sua adesione alla controiniziativa prevista per il 22 settembre nella strada di fronte al Palazzo di vetro, organizzata da John Bolton, ex ambasciatore statunitense all'Onu, che vedrà la partecipazione, fra i moltissimi oratori e accademici, del premio Nobel e scrittore Elie Wiesel, dello studioso di Islam Bernard Lewis, dell'attore Jon Voight, dell'ex sindaco di New York Ed Koch e dell'avvocato liberal Alan Dershowitz.

(AgenParl, 21 settembre 2011)

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Questa terra è la mia terra

Per la presentaziione della recente traduzione in italiano della pubblicazione “Questa è la mia terra”, l’autore Eli Hertz terrà due riunioni in Italia: il 22 settembre a Roma e il 26 settembre a Torino.


Programma
Locandina


Programma
Locandina

(Notizie su Israele, settembre 2011)

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Israele e Grecia sfidano Ankara

Il primo prodotto del piano di cooperazione militare sottoscritto il 4 settembre scorso dai ministri della Difesa di Grecia ed Israele è l'approvazione da parte del Parlamento greco dell'acquisto di 400 kit di conversione SPICE (Smart Precise Impact and Cost Effective) 1000 e 2000, con equipaggiamenti per la trasformaztuale di acquisizione dell'obbiettivo pari al 95%.
Il kit, che nel caso delle MK-84/BLU-109B verrebbe installato su ordigni del peso nominale di oltre 900 kg capaci di penetrare corazze di metallo di 38 cm o colate di cemento armato di oltre 3 metri di spessore, verrà fornito all'Hellenic Air Force (HAF) dalla Rafael Advanced Defense Systems, industria israeliana produttrice di tecnologia high-tech per sistemi d'arma destinati al mercato degli armamenti e ad applicazioni spaziali....

(altrenotizie, 21 settembre 2011)

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L' Anp acquista equipaggiamento anti-sommossa da Israele

L'Autorità nazionale palestinese teme incidenti violenti a pochi giorni dalla presentazione della dichiarazione d'indipendenza alle Nazioni Unite (23 settembre) e acquista equipaggiamento anti-sommossa da Israele. La stampa israeliana rivela che l'Anp ha comprato dal ministero della Difesa di Tel Aviv gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Le forze di sicurezza palestinesi, che in Cisgiordania collaborano intensamente con quelle israeliane, si preparano così a contenere una possibile escalation. Grandi manifestazioni sono infatti previste nei Territori in coincidenza con la presentazione del dossier palestinese all'Onu. Il timore è che queste manifestazioni - che dovrebbero essere pacifiche, stando a quanto affermano gli organizzatori - possano invece degenerare, magari anche con lo zampino degli uomini di Hamas presenti in Cisgiordania. L'organizzazione islamico-radicale ha criticato fin da subito l'iniziativa diplomatica dell'Anp, sposando, paradossalmente, la tesi israeliana: «Una simile azione è controproducente», hanno affermato i leader del movimento da Gaza.

(FocusMO, 21 settembre 2011)

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Al-Fatah smentisce Hamas: disaccordo sulla libertà di espressione

Al-Fatah, partito del presidente palestinese Abu Mazen, smentisce Hamas, che ieri aveva dichiarato: «Abbiamo trovato un accordo con Fatah per impedire a Gaza manifestazioni a sostegno dell'iniziativa palestinese all'Onu». L'organizzazione islamico-radicale che governa la Striscia è contraria alla dichiarazione unilaterale d'indipendenza che Abu Mazen dovrebbe presentare il prossimo 23 settembre alle Nazioni Unite.
Eventuali - e probabili - manifestazioni a Gaza a favore dell'auto-candidatura palestinese alla piena membership sarebbero uno smacco per la dirigenza di Hamas, che dunque sta cercando di scoraggiarle. In questo contesto bisogna inserire il comunicato ufficiale con cui ieri Hamas ha affermato: «Abbiamo raggiunto un accordo con Fatah. Non consentiremo alcuna marcia o altra manifestazione popolare pro o contro la richiesta di Abu Mazen. Lo facciamo per evitare che tra noi e loro possano nascere nuovi motivi di rivalità e disaccordo». «Non c'è niente di vero», ha però smentito un alto funzionario del partito presidenziale, Thiab al-Louh. «Quel comunicato - ha aggiunto al-Loub - rappresenta l'atteggiamento di Hamas, non il nostro». Al contrario, Fatah avrebbe chiesto alle autorità di Gaza che ai palestinesi della Striscia venga garantita «sufficiente libertà di espressione dei loro sentimenti in occasione di questa svolta storica».

(FocusMO, 21 settembre 2011)

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Una mostra di antiche "ketubbot" a Rivanazzano Terme

Dopo Monte San Savino, Firenze, Tel Aviv e Roma, a Rivanazzano Terme saranno esposti alcuni contratti matrimoniali ebraici del '700, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, 24 e 25 settembre

ROCCA SUSELLA (PV) - Potrebbe sembrare noioso o poco interessante una mostra di contratti matrimoniali, ma la mostra che sarà allestita a Rivanazzano Terme e a Nazzano in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio è forse quanto di più curioso sia stato mostrato nella piccola località termale negli ultimi decenni: la maggiora parte di questi documenti è finemente decorata da miniature che li impreziosiscono. La redazione calligrafica ed ornamentale della ketubbah in Italia diede vita, in particolar modo nei secoli XVII e XVIII, ad un artigianato di ricchezza e varietà straordinarie. Sotto l'influenza del Barocco italiano, gli ebrei sefarditi, seguiti da altre comunità in Italia, commissionarono e crearono infatti le più elaborate ketubbot fino ad oggi conosciute.
Il contratto matrimoniale è un documento in mancanza del quale un matrimonio ebraico non è valido, nel passato come nel presente. Non risulta, ad oggi, il ritrovamento di contratti matrimoniali ebraici nella nostra provincia, ma la presenza di ebrei nel Ducato di Milano e a Pavia è ampiamente documentata e l'Università degli Studi di Pavia ha organizzato una mostra relativa alla presenza in città degli ebrei dal Trecento a fine Cinquecento.

Organizzatrice della mostra è la D.ssa Stefania Roncolato. Laureata in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Padova con una tesi dal titolo "I partiti ultraortodossi ebraici nella società israeliana contemporanea", nel 1997 vince la borsa di studio Golda Meir per frequentare The Graduate Year Program presso l'Università Ebraica di Gerusalemme. Nel 2006 si laurea cum laude in Storia presso l'Università degli Studi di Milano con una tesi dal titolo "Periplo dell'arte ebraica sulla rotta dell'interdetto visivo. Sosta curiosa a Verona", e nel maggio 2011 consegue il dottorato in Scienze Storiche presso l'Università degli Studi di Verona discutendo la tesi "La comunità ebraica di Verona nel XVI secolo (1539-1600)".
Vera appassionata della cultura ebraica, sulla quale ha scritto numerosi testi, è diventata un'attenta ricercatrice di contratti matrimoniali ebraici: "I contratti matrimoniali ebraici esercitano su di me un grande fascino. Poiché da anni ricerco sulla comunità ebraica di Verona, ho collezionato nel tempo le immagini di tutti i contratti matrimoniali ebraici (in ebraico si chiamano ketubbot) stipulati a Verona che sono riuscita a rintracciare. Alcuni anni fa mi accorsi che nella rete c'era un sito su Salomone Fiorentino, un poeta ebreo nato e cresciuto a Monte San Savino. Il nome non mi suonava nuovo: allora cercai tra i miei files e vidi che il contratto matrimoniale del poeta era conservato in Canada presso il Beth Tzedek Museum. Il poeta, in seconde nozze, aveva infatti sposato la figlia vedova del rabbino di Verona. Chiamai subito l'associazione Salomone Fiorentino e lo comunicai. Il presidente, ing. Jack Arbib (che vive tra Israele e Monte San Savino), persona meravigliosa, mi contattò immediatamente invitandomi a scrivere un libro sui contratti matrimoniali del paesino: stupita, gli dissi che ne conoscevo solo uno, ma lui mi invitò a cercarne altri. E li trovai! Sparsi ai quattro angoli del mondo, ma li rintracciai. E così nasce il libro "Le Ketubbot di Monte San Savino", Giuntina, Firenze 2009.
Jack ha avuto la magnifica idea di stampare le immagini dei contratti su tele e così, in occasione della presentazione del libro, le abbiamo sempre portate come mostra itinerante, un'esperienza davvero affascinante.
In questi due anni abbiamo rintracciato altre due contratti che si trovano presso privati (ogni ritrovamento si tramuta in giubilo!) e un terzo mi è stato donato da uno straordinario collezionista di Tel Aviv, William L. Gross, per il lavoro che ho svolto e la passione che mi ha davvero travolto in questi anni per salvare la memoria e divulgare la storia dei contratti. Si tratta di una preziosa pergamena (risale 1726) che non ha alcuna decorazione se non un fiore sbiadito, ma che ha il pregio di essersi salvata per essere mostrata in tutta la sua bellezza e fragilità".

Il retaggio ebraico di Monte San Savino: una storia di pergamene e pietre
Monte San Savino, antico borgo cintato nel cuore della Val di Chiana, ospitò in varie epoche del passato famiglie di ebrei, che poi, a partire dal 1627, costituirono una laboriosa e vivace comunità. L'anno 1799 segna la fine di questa presenza: la popolazione ebraica, minacciata dalla marmaglia istigata dal moto del "Viva Maria", dovette forzatamente abbandonare la città, senza più ritornarvi. Da allora, nel luogo non vi è più stata una presenza ebraica, ad eccezione dei resti silenziosi della struttura dove era situata la sinagoga nel vecchio ghetto e del cimitero fuori porta. Negli ultimi anni la città ha cominciato ad ospitare, la prima domenica di settembre, la Giornata Europea della Cultura Ebraica, e così, dopo una lunga pausa di oltre 200 anni, la lingua ebraica viene udita, letta e cantata nei borghi, nelle piazze e nei chiostri.
Purtroppo dall'archivio comunale quasi tutti i documenti della Università Israelitica, come era chiamata la comunità ebraica, sono andati dispersi.
Stefania Roncolato ha pazientemente e laboriosamente rintracciato le ketubbot descritte nel libro su citato, pergamene che provengono da Monte San Savino e sono tutte datate - essendo data e luogo requisiti essenziali per la validità di una ketubbah - e fanno parte di una diaspora che ha raggiunto località lontanissime. Alcuni di questi contratti matrimoniali non sono mai stati catalogati, esposti o pubblicati. Si conoscono anche altre ketubbot savinesi, registrate nell'inventario della Comunità Ebraica di Firenze, ma al momento introvabili.

L'importanza che riveste il matrimonio nella tradizione ebraica è implicita nel termine che definisce la cerimonia nuziale, ossia kiddushin, dalla radice che significa ciò che è sacro.
La legge ebraica prevede che lo sposo consegni alla sposa prima delle nozze la "ketubbah", parola ebraica che significa scrittura, ciò che è scritto, ossia la carta dotale tradizionale nella quale sono raccolte le clausole del contratto matrimoniale ebraico.
Il documento è l'atto unilaterale con cui il marito assume verso la moglie degli obblighi morali e patrimoniali, che la legge e la consuetudine di Israele gli impongono.
Con questo contratto il marito si impegna a corrispondere alla moglie, in caso di morte o di divorzio, una somma determinata che le garantisca un tenore di vita indipendente e dignitoso.
Le ketubbot sono migrate nel tempo e nel mondo insieme alla popolazione ebraica: lungo il corso dei secoli tradizioni e costumi di vari luoghi e periodi si sono straordinariamente embricati sulle pergamene, rendendo questi contratti documenti di inestimabile valore per la storia, la tradizione, la cultura e l'arte ebraica. Per molte ragioni e circostanze storiche solo un numero esiguo di contratti matrimoniali ebraici è riuscito a superare il logorio del tempo.

Questa raccolta di carte dotali comprende 7 ketubbot provenienti da Monte San Savino ed una ketubbah vergata a Firenze. La maggior parte dei contratti, graziosamente decorati, risale al XVIII secolo. Una lista conservata presso la comunità ebraica di Firenze elenca le ketubbot che erano incorniciate e conservate presso la comunità fiorentina prima che l'alluvione devastasse la città nel 1966, calamità che, probabilmente, causò la loro scomparsa.

La mostra è visitabile sabato 24 settembre a Rivanazzano Terme in Municipio - Sala Consiliare, dalle ore 15.00 alle ore 19.00, e domenica 25 settembre nel Borgo di Nazzano, dalle ore 10.00 alle ore 19.00.

Organizzazione e informazioni: Ass. Occasioni di Festa. Tel. 0383 944720
Ufficio stampa e promozione: Agenzia Promoemozioni - Rosita Viola tel. 3496418980 - e-mail info@promoemozioni.biz

(informazione.it, 21 settembre 2011)

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Ayalon: "Ritorsioni contro Anp se presenterà la richiesta di membership"

In vista del prossimo 23 settembre, il vice ministro degli Esteri israeliano, Danny Ayalon, minaccia ritorsioni contro i palestinesi se essi presenteranno la richiesta di piena membership alle Nazioni Unite, come dichiarato da tempo. «L'assistenza e la cooperazione future - ha dichiarato ieri Ayalon - potrebbero essere gravemente e irreparabilmente danneggiate se la dirigenza palestinese continuerà ad agire contro tutti gli accordi firmati sinora, alcuni dei quali regolano le relazioni economiche tra Israele e l'Autorità nazionale palestinese (Anp)». Il vice ministro ha parlato durante una conferenza con i donatori che sostengono i palestinesi, organizzata a New York a margine dell'Assemblea Generale dell'Onu.
Il premier palestinese, Salam Fayyad, seduto a tre sedie di distanza da Ayalon, non ha lasciato trasparire alcuna emozione durante il discorso assertivo del numero due del ministero degli Esteri di Gerusalemme. Il presidente americano, Barack Obama, è invece intervenuto, facendo appello agli israeliani affinché non impongano per ritorsione sanzioni economiche contro l'Anp. «Ogni azione israeliana che punti a colpire la capacità palestinese di finanziare un governo indipendente finirebbe per danneggiare lo stesso Israele», ha commentato l'inquilino della Casa Bianca. Molti rappresentanti internazionali presenti alla conferenza dei donatori hanno sottoscritto l'appello di Obama. Ma Ayalon ha risposto con un'alzata di spalle: «La palla non è più nel nostro campo. Se i palestinesi cambiano le regole del gioco, anche gli israeliani sanno farlo». «Israele - ha aggiunto il vice ministro - non agirà in accordo con gli accordi attualmente in vigore - quelli di Oslo, per esempio - quando contemporaneamente i palestinesi stanno pianificando di violare gli stessi patti».

(FocusMO, 21 settembre 2011)

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Roma, 20 settembre - Cultura e memoria in piazza

Oggi è il 20 settembre, anniversario della breccia di Porta Pia (a fianco in una foto d'epoca), una data indelebile nelle vicende dell'Italia unita. Per ricordare quello storico avvenimento e per celebrare l'abbattimento dei cancelli del Ghetto che permise all'ebraismo romano di conoscere la via della libertà e dell'emancipazione, la fanfara dei Bersaglieri suonerà stasera in quell'area che fu un tempo luogo di costrizione e che oggi rappresenta invece uno spaccato vivo di identità, storia e memoria. Il concerto, in programma a partire dalle 20 al Largo Martiri del 16 ottobre, si svolgerà alla presenza tra gli altri del presidente della Comunità ebraica capitolina Riccardo Pacifici e del sindaco Gianni Alemanno e si ricongiungerà idealmente con il Festival Internazionale della Letteratura Ebraica in corso di svolgimento al Portico d'Ottavia. Tra i molti temi che verranno oggi offerti al pubblico, che anche ieri non ha fatto mancare il suo affetto e il suo interesse ai vari eventi in programma - dagli incontri con le scrittrici Yarona Pinhas e Ronit Matalon all'inaugurazione della personale di Menashe Kadishman all'Ermanno Tedeschi Gallery - uno spazio speciale è infatti riservato alle vicende degli ebrei della Capitale negli anni che segnarono il loro nuovo e paritario approccio con la società italiana. Di questo argomento si parlerà ad esempio alle 19 al Palazzo della Cultura con l'incontro tra Bice Migliau e Stefano Caviglia dal titolo Fuori dal ghetto! Gli ebrei romani tra demolizione del ghetto e emancipazione. Sempre al Palazzo della Cultura, alle 20.30, focus sul teatro giudaico-romanesco con alcune pillole a cura di Alberto Pavoncello e con intervento tra gli altri di Amedeo Spagnoletto, mentre questa mattina Fabio Sonnino, assieme a Raffaella Spizzichino e Ariela Piattelli, curatrici del Festival assieme a Shulim Vogelmann, ha parlato della sua prova letteraria d'esordio, Il contorsionista.

(Notiziario Ucei, 20 settembre 2011)

Nel 140o anniversario della Breccia di Porta Pia

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Consolato israeliano in Francia evacuato per allarme bomba

MARSIGLIA - Il consolato israeliano a Marsiglia è stato evacuato oggi a causa di un allarme bomba provocato da una telefonata anonima. Lo ha riferito la polizia locale.
La persona che ha chiamato la polizia di Marsiglia poco dopo le 8 di questa mattina ha detto che un dispositivo esplosivo era stato lasciato in un veicolo parcheggiato vicino al consolato, che si trova in una strada trafficata.
L'allarme arriva in un momento di rinnovata tensione sulla crisi israelo-palestinese, con il leader palestinese Mahmoud Abbas che ha intenzione di chiedere l'ingresso dello stato palestinese nell'Onu all'assemblea annuale di questa settimana.
Marsiglia, una delle città più grandi della Francia, è un crogiolo di diverse etnie e soffre di alti tassi di disoccupazione e criminalità.

(Reuters, 20 settembre 2011)

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Lo chiamavano il tram della discordia, ma oggi arabi ed ebrei siedono vicini

di Francesca Marretta

GERUSALEMME - Lo hanno chiamato il tram della discordia fino a prima che entrasse in funzione il 19 agosto scorso, perché attraversa Gerusalemme dal settore occupato da Israele nel 1967 a est, in cui oggi sorgono insediamenti, alla parte occidentale della città, fino allo Yad Vashem, il museo dell'Olocausto.
Ma basta salirci sopra e fare un giro per accorgersi che è uno dei pochi posti della città non attraversato da cortine visibili e invisibili. Nella stessa carrozza e persino seduti l'uno accanto all'altro, trovi donne con l'hijab (il velo islamico) e soldati col fucile a tracolla. Stessa cosa vale per i bambini haredim (ultraortodossi religiosi ebrei) e i bambini arabi. Donne che leggono libri sacri ebraici scandendone le parole a bassa voce, siedono a coté di "gentili", turisti provenienti dall'Asia, le Americhe e l'Europa. A differenza che sugli autobus, rigorosamente divisi tra quelli che vanno nei Territori palestinesi e arrivano nei pressi della Città Vecchia da est, e le linee urbane su cui salgono in stragrande maggioranza ebrei israeliani, la prima linea tranviaria di Gerusalemme è una babele in miniatura. Si sente parlare arabo, ebraico, inglese, francese, tedesco e altri idiomi.
Il nome delle stazioni scorre in sovraimpressione alle fermate e a bordo è annunciato dagli altoparlanti: "Sha'ar Shkhem", "Bab al-Amoud", "Damascus Gate", (la porta di Damasco).
Il progetto ha preso il via alla fine degli anni '90 ed è costato 4 miliardi di shekel, circa 800 milioni di euro. Un cifra di molto superiore alle stime iniziali. Il tram è entrato in funzione tre anni dopo la data inizialmente stabilita. Le polemiche che hanno accompagnato la gestazione del progetto non hanno riguardato solo le istanze palestinesi, ma anche quelle dei negozianti del centro, per anni danneggiati dagli interminabili lavori in corso, con la conseguente chiusura del traffico, fino agli incidenti stradali verificatisi durante il periodo di test in cui i vagoni viaggiavano vuoti.
Durante la gestazione del piano di trasporto veloce e verde, l'Anp ha accusato i governi israeliani di violare il diritto internazionale e utilizzare la linea tranviaria per compiere un ulteriore passo in avanti verso l'annessione della Gerusalemme araba allo Stato d'Israele.
A mettersi sui binari del tram per protesta sono ad oggi però stati solo alcuni appartenenti a sette ultrareligiose ultraortodosse ebraiche di Mea Sharim quartiere religioso in cui giorno e notte c'è il via vai tra le scuole rabbiniche. Lo hanno fatto per denunciare "l'abominio" del luogo di perdizione (il tram) in cui le donne siedono accanto agli uomini, per giunta abbigliate in maniera sconcia. I tanti haredim che salgono nei pressi di Mea Sharim che non sono, evidentemente, tra gli animatori della protesta, fanno buon viso. E se sotto sotto sperano di vedere un giorno carrozze separate per uomini e donne, non lo danno a vedere. Almeno quando sono sul tram.
La linea tranviaria è usata moltissimo dagli arabi per lo shopping. Frotte di donne di ogni età con l'hijab salgono e scendono alla fermata "Jaffa Centre" e spendono in negozi tipo "Gina underware", che vende intimo e accessori Made in Israel, a prezzi imbattibili, anche da uno a cinque shekel, centesimi di euro.
Forse quando si pagherà il biglietto le cose cambieranno. Per ora le corse sono gratis. Sarà per questo che, almeno sul tram non emerge il conflitto. O forse perché chi vive in questa terra ha voglia solo di shopping e di una vita normale.

(Il Sole 24 Ore, 20 settembre 2011)

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Strategia della tensione araba

Il Cairo, gli assalitori dell'Ambasciata di Israele erano pagati

di Dimitri Buffa

La fonte è il quotidiano di ispirazione governativa "al Ahram", le piramidi. La notizia non sarebbe clamorosa bensì laconicamente prevedibile: coloro che hanno assaltato lo scorso 10 settembre l'ambasciata israeliana al Cairo sarebbero stati pagati da uomini dei cosiddetti servizi deviati egiziani, ancora fedeli a Mubarak, allo scopo di provocare la repressione di piazza che poi ha portato a tre morti e al congelamento delle relazioni diplomatiche tra Egitto e Israele.
Fonte e notizia sono state riprese domenica dal "Jerusalem Post" in questi termini: "i partecipanti sono stati radunati il giorno prima l'attacco e portati da autobus di lusso turistici a mangiare una sontuosa cena. E' stato loro detto che dovevano vendicarsi contro Israele 'per i nostri bambini' che sono stati uccisi al confine".
Poi sono stati istruiti per provocare i disordini. Secondo il rapporto, le buste distribuite a tutti i partecipanti contenevano soldi, cifre che vanno da 5mila a 11mila sterline egiziane. Poi tutti d'accordo per ritrovarsi il giorno dopo, alle 5 del pomeriggio "in varie località come lo zoo e il campus dell'Università del Cairo, per poi andare all'ambasciata e creare il caos".
Israele è stato costretto a fare evacuare l'ambasciata con un aereo mandato apposta da Netanyahu per portare via l'ambasciatore, Yitzhak Levanon, e circa 80 dipendenti con le rispettive famiglie. Un secondo aereo ha messo in salvo anche le sei guardie scelte del Mossad. La testimonianza del quotidiano "Al Ahram" non sembra incompatibile con le affermazioni fatte in Italia alla presentazione del suo nuovo libro, dallo scrittore egiziano Alaa al-Aswany, l'autore del bellissimo Palazzo Yacoubian, un libro che ha raccontato con anni di anticipo, se non con decenni, la vera natura corrotta del regime di Sadat prima e di Mubarak poi.
Aswany, che era a Roma per presentare la raccolta dei suoi articoli dal 2006 ad oggi, ha detto alla gente presente che "ci sono prove fotografiche raccolte dai manifestanti che dimostrano che le persone davanti l'ambasciata erano le stesse che poche settimane prima, quando si era aperto il processo a Mubarak, fuori dal tribunale hanno assalito i familiari delle vittime della repressione".
Secondo lo scrittore "episodi come l'attacco all'ambasciata israeliana sono azioni messe in piedi da quello che resta degli apparati di sicurezza di Mubarak per rovinare l'immagine della rivoluzione e per far credere agli egiziani che il paese rischia il caos". Un copione già visto anche in Italia ai tempi degli "anni di piombo".

(l'Opinione, 20 settembre 2011)

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Lettera al Direttore di "Repubblica"

Sull'articolo di Fabio Scuto «Palestina, tra bandiere e tensioni la festa è pronta»

Nel suo articolo che contiene molte affermazioni a dir poco discutibili, quando non addirittura fuorvianti nei confronti della realtà storica, sono rimasto colpito dalla frase finale, come sempre destinata a colpire particolarmente il lettore: "«Sa», dice a "Repubblica" uno dei leader palestinesi della prima ora, «Arafat ci ha guidato fino ad avere una terra ma è Abu Mazen che ci ha portato ad avere uno Stato. Nascerà sul 22% del territorio che ci aveva assegnato l‘Onu nel 1948, ma finalmente sarà il nostro Paese»".
Ho riflettuto a lungo su quel numero "ad alto effetto" 22%, e ho fatto ogni genere di calcolo per comprendere da dove possa saltare fuori. Niente da fare, proprio non ci sono arrivato. Ed allora un dubbio mi è venuto: non sarà per caso quel 22% dell'originale Palestina mandataria su cui sorgono gli attuali territori di Giordania, Israele, Gaza e Cisgiordania? In effetti, ancora nei giorni scorsi, il moderato il cui "nome di battaglia" fa Abu Mazen ha detto che vuole andare al Palazzo di Vetro a denunciare l'occupazione israeliana degli ultimi 63 anni.
Vede, questo è il reale significato di quel 22%: la Giordania, come è noto a tutti, ha ricevuto dall'Inghilterra il 78% della Palestina, e col rimanente 22% Israele sparisce dalla faccia della terra. Proprio quanto sostengono i palestinesi, quelli "moderati" come Abu Mazen e quelli "terroristi" come Haniyeh. Forse avrebbe reso un migliore servizio al lettore chiedendo a quel "leader palestinese della prima ora" che cosa intendesse dire con quella cifra.
Distinti saluti.
Emanuel Segre Amar

(Dall’autore per conoscenza, 20 settembre 2011)


La risposta si può trovare nell'articolo seguente.

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Da un sito pro Hamas

Haniyah: 'Il voto all'Onu è una politica avventuriera'

GAZA - Il primo ministro del governo di Gaza, Isma'il Haniyah, ha espresso parole di biasimo per il voto richiesto dall'Autorità palestinese (Anp) al fine di ottenere la membership alle Nazioni Unite.
Una "politica avventuriera" è per Haniyah il voto alle Nazioni Unite.
"L'Anp sta procedendo in direzione opposta a quella della primavera araba. (...) Chiunque agisce in maniera frivola usando i diritti dei palestinesi non ha il potere di parlare per conto loro.
"Noi siamo per l'istituzione dello Stato su un territorio che è quello voluto dal popolo palestinese, senza alcun riconoscimento dell'entità sionista o senza concedere un pollice di terra", ha detto Haniyah durate una sessione del Consiglio legislativo (Clp), ieri, a Gaza.
Sono parole di critica quelle di Haniyah per il voto Onu, atteso questa settimana: "Riconoscere lo Stato di Israele sulle frontiere del 1967 equivale a rinunciare ai diritti dei rifugiati palestinesi espulsi dagli stessi territori.
"Quella da noi affrontata, è una situazione che non richiede una politica avventuriera, ma richiede consapevolezza senza seguire le politiche dei precedenti regimi".
Il premier palestinese ha chiesto una consultazione tra tutti i palestinesi in merito alla strategia nazionale volta ad affrontare l'occupazione israeliana.
Haniyah ha poi criticato il voto all'Onu in quanto sarebbe "una contravvenzione all'accordo di riconciliazione palestinese siglato lo scorso maggio.
"Riconciliazione ed esclusivismo nelle decisioni sono due cose parallele, ma che tuttavia non si incrociano", ha specificato Haniyah per il quale "la mossa dell'Anp rappresenta per Israele e Stati Uniti 'un'ancora di salvezza' dopo la primavera araba.
"Avremmo dovuto attendere che la rivoluzione araba trovasse ragion d'essere nell'ambito di movimenti popolari arabi in grado di rafforzare e proteggere posizione e diritti dei palestinesi".
Detto questo, Haniyah ha comunque assicurato che il principio dello Stato resta un obiettivo de facto dei palestinesi, e ha aggiunto: "Non saremo irremovibili nel chiedere la piena sovranità statale, senza fare concessioni".
Intanto, dall'Università di Nablus "an-Najah", il professor 'Abdel Sattar Qassem, docente di Scienze Politiche, ha lanciato le proprie accuse ad 'Abbas definendo il voto all'Onu "una perdita di tempo".
"Credo che non esista la necessità per l'Anp di andare all'Onu", ha affermato Qassem, aggiungendo "se 'Abbas avesse interesse a porre la questione palestinese sul tavolo dell'Onu, potrebbe chiedere l'applicazione delle risoluzioni già esistenti".

(InfoPal, 19 settembre 2011)


Quale sarà lo “stato” palestinese che l’Onu riconoscerà? Quello di Abu Mazen? Quello di Hamas? Sono diversi e divisi? No, niente paura. Una cosa certamente li accomuna: l’odio per Israele. Ed è quello che conta. Per loro per le nazioni dell’Onu.

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Gragnano - Giornalisti israeliani visitano i pastifici

GRAGNANO (NA) - Un week-end d'eccezione per la Città di Gragnano e per l'eccellenza pasta, un prodotto già noto in tutto il mondo e rilanciato in occasione delle ultime edizioni della Festa Internazionale della Pasta che nell'ultima edizione ha superaro i 100mila visitatori, nell'arco della tre giorni svoltasi tra il centro storico e la Valle dei Mulini.
Ieri si è conclusa una visita a Gragnano di una delegazione di 40 tra giornalisti e operatori della Tv di Stato Israeliana e delle maggiori testate giornalistiche del Paese. I giornalisti hanno visitato i principali pastifici assistendo a tutte le fasi della lavorazione della pasta di Gragnano accompagnati dal sindaco di Gragnano, Annarita Patriarca, e dal presidente del Consorzio della Pasta di Gragnano, Giuseppe Di Martino. Un tuffo nel passato in via Roma dove la pasta veniva lasciata essiccare per strada per tre giorni, grazie al vento proveniente dalla Valle dei Mulini e al sole che le conferiva l'inimitabile sapore e valore nutritivo. Nei pastifici gli ospiti della stampa estera hanno potuto ascoltare direttamente dalla voce degli artigiani e dei produttori locali i "segreti della pasta" che affonda le sue radici nella storia e nelle tradizioni di Gragnano prima ancora che nella sua economia. Proprio nella Valle dei Mulini, bonificata e riportata al suo antico splendore dall'amministrazione Patriarca, i rappresentanti della stampa israeliana sono rimasti incantati dalla cornice naturale e dal funzionamento degli antichi mulini che, grazie a torri in cui veniva incanalata l'acqua e poi fatta defluire per caduta libera, mettevano in moto i macchinari per la macina del grano e la produzione della materia prima. Non è mancata durante la due giorni una visita ai principali monumenti tra cui la mirabile Chiesa del Corpus Domini. I giornalisti hanno effettuato riprese e raccolto informazioni che saranno sviluppate nei prossimi giorni nel corso di servizi sulle Tv israeliane e sui principali quotidiani e periodici.
"Questa visita fa seguito ad altre iniziative del genere che hanno visto protagonisti operatori dell'informazione provenienti da ogni parte del mondo - commenta il sindaco di Gragnano, Annarita Patriarca - aver voluto valorizzare l'aspetto popolare della Festa della Pasta di Gragnano attribuendole nel contempo una veste internazionale sta producendo frutti notevoli in termini di promozione del prodotto pasta e di marketing territoriale. Sono fermamente convinta del fatto che a Gragnano, come in tanti altri territori della Campania, la valorizzazione delle eccellenze locali, enogastronomiche e monumentali, sia la carta vicente per rilanciare l'economia e combattere una crisi internazione contro la quale noi campani abbiamo armi vincenti che altri non hanno. Noi ce la stiamo mettendo tutta e continueremo su questa strada anche per contribuire a difendere l'immagine di un Sud positivo ed operoso, aspetti che non sempre vengono alla ribalta della cronaca".

(StablaChannel.ir , 19 settembre 2011)

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Sondaggio: il mondo vuole lo stato per i palestinesi all'Onu

Favorevole è il 49% degli interpellati contro 21% dei contrari

ROMA, 19 set. - I sostenitori nel mondo della richiesta palestinese di riconoscimento all'Onu sono più numerosi di chi si oppone all'iniziativa dell'Anp. E' quanto emerge da un sondaggio pubblicato oggi dalla Bbc. I favorevoli all'iniziativa palestinese all'Onu sono il 49% degli interpellati, contro il 21% che ha espresso parere contrario.
Il sondaggio è stato realizzato dall'istituto GlobeScan consultando 20.446 persone: i più favorevoli al riconoscimento palestinese all'Onu sono gli egiziani, con il 90% dei consensi, contro il 9% di chi ha espresso parere contrario. A seguire i cinesi, con il 56% dei favorevoli e solo il 9% dei contrari.
Di contro, i paesi in cui l'opposizione è più forte sono gli Stati Uniti (45% di contrari, 36% favorevoli), il Brasile (41% di sì e 26% di no), l'India (32% a favore, 25% contro). Nei tre paesi dell'Unione europea in cui è stato effettuato il sondaggio i pareri favorevoli hanno avuto la meglio sui contrari: Francia (54% si sì, 20% di no), Germania (53% di sì, 28% di no), Regno Unito (53% di sì e 26% di no).
In Russia il 37% della popolazione interpellata si è detta favorevole al riconoscimento, ma una persona su due non ha dato una risposta o pensa che il paese dovrebbe astenersi dal prendere posizione.

(TMNews, 19 settembre 2011)

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Tel Aviv: la Corte ordina la rimozione delle tende

Il Tribunale distrettuale di Tel Aviv ordina la fine della protesta delle tende. La corte ha stabilito ieri che le tende piantate da mesi nel centralissimo viale Rothschild dal movimento di protesta contro il carovita devono essere smontate. Il giudice ha accordato ai manifestanti tre giorni per ripulire la zona del bivacco.
Ma se i contestatori - che, tra le altre cose, chiedono abitazioni a prezzi accessibili - dovessero ignorare la sentenza, allora entreranno in azione le forze dell'ordine. «Se l'evacuazione non sarà completata entro il mezzogiorno del 21 settembre - si legge nel documento -, il comune sarà autorizzato a smantellare l'accampamento». Negli ultimi giorni la situazione in viale Rothschild è degenerata. I residenti hanno denunciato rapine e tentativi di rapine in casa loro, e due giorni fa la polizia ha fermato un tentativo di stupro. Atti di vandalismo sono stati compiuti contro edifici e infrastrutture. Il campo di protesta era stato istituito il 14 luglio da Dafni Leef e altri studenti. Il breve, il movimento è cresciuto, attirando un numero crescente di esponenti della classe media. Ma nelle ultime due-tre settimane, la composizione sociale di chi bivacca è cambiata: le famiglie sono sparite, come anche molti leader della protesta originaria. I residenti della zona affermano che chi resta nelle tende sono ormai solo senzatetto e sbandati.

(FocusMO, 19 settembre 2011)

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Netanyahu promette azioni contro carovita

Premier cerca di rispondere a contestazioni sociali

GERUSALEMME, 19 set. - Il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha promesso oggi, in risposta alla contestazione sociale degli "indignados", di regolare il sistema economico per impedire che la ricchezza del Paese sia concentrata nelle mani di un gruppo ristretto di persone e di far abbassare il costo della vita.
"Voglio permettere il gioco della libera concorrenza e limitare la concentrazione dell'economia nelle mani di un gruppo ristretto di imprese per fare abbassare i prezzi dei prodotti e dei servizi", ha spiegato Netanyahu in una conferenza stampa. Il capo del governo israeliano aveva da poco ricevuto il rapporto preliminare di una commissione di esperti, guidata dall'economista Manuel Trajtenberg, che è stato incaricato di rispondere alle rivendicazioni dei dimostranti.
"Non vogliamo turbare il funzionamento delle imprese che certamente non sono nostri nemici ma al contrario sono amici perché creano posti di lavoro e fanno funzionare l'economia", ha sottolineato Netanyahu. "Perchè ci sia una giustizia sociale, è necessario che l'economia sia florida", ha detto ancora Netanyahu. Il rapporto del professor Trajtenberg raccomanda di modificare il meccanismo di controllo delle società israeliane per evitare la concentrazione delle ricchezze economiche. Il movimento di protesta, è nato a luglio su iniziativa di una giovane universitaria che ha espresso su Facebook il suo disagio per l'alto costo della vita e i prezzi delle case troppo elevati.

(TMNews, 19 settembre 2011)

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Israele diventerà Membro Associato del CERN

Il direttore del CERN Rolf Heuer, l'Ambasciatore israeliano
e rappresentante ONU si stringono la mano
ROMA - Venerdì scorso Israele ha siglato un accordo per divenire il primo paese extraeuropeo in piena collaborazione con il CERN, l'organizzazione dove ha sede il Large Hadron Collider (LHC) con cui si studia il "Big Bang" e si cerca di provare l'origine dell'universo.
L'accordo è stato formalizzato per le 20 nazioni attualmente legate da analoghi accordi di collaborazione nella sede del CERN, dislocata ai confini tra Francia e Svizzera, vicino a Ginevra.
"Costruire dei ponti tra nazioni è parte fondamentale della nostra missione. Questo accordo ci arricchisce sotto il profilo scientifico ed è un passo importante in quella direzione", ha detto Rolf Heuer, fisico direttore del CERN, alla cerimonia.
Eliezer Rabonivici, Direttore dell'Institute for Advanced Study presso la Hebrew University di Gerusalemme ha detto che l'accordo rappresenta il riconoscimento dei contributi scientifici e tecnologici che Israele ha portato negli anni al CERN. "La comunità scientifica israeliana spera di continuare questa avventura congiunta", ha aggiunto il dirigente.
Il portavoce del CERN James Gillies ha invece risposto alle domande che esprimevano perplessità circa i boicottaggi tesi a sradicare i legami tra le istituzioni accademiche israeliane per via delle politiche adottate dal paese nei territori palestinesi che esso controlla: "Fornire un territorio neutrale per la cooperazione scientifica di pace è parte del nostro mandato", ha spiegato.
Il principale asse di boicottaggio è stato lanciato nel 2002 da due biologi ebrei britannici e ha ottenuto considerevole supporto in accademici e studenti europei, nordamericani e sudafricani, ma ha anche incontrato forti resistenze da parte di moltissimi accademici e ricercatori secondo i quali la politica deve esere tenuta al di fuori della scienza.
Del resto ai lavori del CERN prendono già parte anche diversi paesi arabi e asiatici musulmani - tra questi Pakistan, Egitto, Marocco e altri - a cui si aggiungono la Turchia, che appartiene ai sette "osservatori" autorizzati a partecipare ai meeting del consiglio del CERN, e alcuni ricercatori palestinesi.
Nel comunicato stampa il CERN chiarisce che Israele ha dato sempre supporto agli studenti palestinesi che studiano e lavorano in loco, così come ha sempre inviato tanto israeliani che palestinesi ai propri programmi di studio estivi.
Isreaele è diventato osservatore del CERN - assieme a Stati Uniti, Russia, India, Giappone ed altri, per citare i più noti - nel 1991. Nel 2009 ha ottenuto lo status di osservatore speciale e ora, non appena il suo parlamento avrà ratificato l'accordo, diverrà un paese pienamente associato e tra due anni potrà divenire membro integrale a tutti gli effetti.

(The New Blog Times, 19 settembre 2011)

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Gli Usa vorrebbero un rifiuto della proposta palestinese senza ricorrere al veto

In questi giorni gli Stati Uniti stanno forzando il conteggio per reclutare il maggior numero di Stati membri contro la richiesta del riconoscimento dello Stato palestinese. In questo modo non sarebbe necessario che gli Usa esercitassero il diritto di veto. L?'ambasciatore USA alle Nazioni Unite. Susan Rice, ha dichiarato ieri che "Penso che ci sia più di una Stato membro nel Consiglio di Sicurezza scettico alla proposta dei palestinesi al Consiglio". Abbas due giorni fa ha tenuto un discorso speciale a Ramallah, in occasione del suo viaggio a New York all'Assemblea, e ha detto che i palestinesi hanno scelto di ricorrere al Consiglio di Sicurezza e chiedere la piena adesione allo Stato indipendente palestinese entro i confini del '67 e con capitale Gerusalemme est. Abbas ha anche ribadito che "non stiamo andando alle Nazioni Unite per minare la legittimità di Israele, ma vogliono delegittimare l'occupazione e gli insediamenti e la politica che ha adottato in questi anni. In nessun modo andremo a mettere un punto interrogativo sulla legittimità di Israele ha detto. Omar Abu Mazen ha definito la strategia:." una volta che otteniamo il riconoscimento vogliamo andare al tavolo dei negoziati e discutere questioni relative allo status finale? Mercoledì Il Presidente degli stati Uniti Obama interverrà all'Assemblea Generale sul conflitto israelo - palestinesi. Il presidente si concentrerà sulle questioni relative al conflitto - e soprattutto - il ritorno delle parti a negoziati".

(FocusMO, 19 settembre 2011)

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Al Festival tra Talmud e memorie

Ancora grandi emozioni e stimoli nell'area del vecchio Ghetto per la seconda giornata del Festival Internazionale di Letteratura Ebraica. Apertosi durante la Notte della Cabbalà che ha richiamato - secondo quanto appreso dagli organizzatori - circa 30mila cittadini romani al Portico d'Ottavia e dintorni, il Festival è proseguito domenica con una serie di appuntamenti apprezzati da un pubblico partecipe e folto. Tema forte della giornata il Talmud, pilastro della tradizione e della metodologia ebraica. Il Talmud, di cui si avrà presto una traduzione in italiano a seguito del recente accordo siglato con il governo, è stato infatti al centro degli incontri che hanno visto protagonisti, in mattinata, il rav Roberto Della Rocca e Stefano Levi Della Torre, e con il calar del sole, il maestro Haim Baharier. Nel mezzo, a suggellare la rinnovata centralità della Comunità di Roma e delle sue anime all'interno del Festival, l'inaugurazione, svoltasi nel tardo pomeriggio al Museo Ebraico, della mostra L'istruzione di sacro e civile nel ghetto di Roma: la Compagnia Talmud Torah e la presentazione del volume Le confraternite ebraiche. Talmud Torah e Ghemilut Chasadim: premesse storiche e attività agli inizi dell'età contemporanea a cura dell'Archivio Storico con il finanziamento del Fondo Otto per Mille UCEI.
Smaltite le soddisfazioni del weekend, oggi pomeriggio si riparte con un triplice appuntamento di grande interesse. Aprirà la terza giornata di rassegna una conversazione, con forte taglio sefardita, tra Anais Ginori ed Eliette Abécassis alle 18 al Palazzo della Cultura. Alle 18.30 invece, nella vicina Ermanno Tedeschi Gallery, inaugurazione della mostra dell'artista Menasse Kadishman. Chiuderà alle 21, ancora al Palazzo della Cultura, l'incontro tra Chiara Valerio e la scrittrice israeliana Ronit Matalon.

(Notiziario Ucei, 19 settembre 2011)

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Domani a Campobasso Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma

CAMPOBASSO - Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, la più antica e prestigiosa del mondo dopo quella di Gerusalemme, sarà domani in Molise per incontrare il presidente della Regione Michele Iorio.
Il governatore del Molise e Di Segni firmeranno una dichiarazione di intenti congiunta per "dare inizio alla promozione della certificazione Kasher delle aziende molisane che risultino avere i requisiti previsti per il rilascio della certificazione medesima". Il termine Kasher in ebraico significa "adatto", "conforme alla regola" e viene prevalentemente utilizzato per indicare l'alimentazione conforme alle regole tradizionali. "La presenza in Molise, in una visita ufficiale, di una delle personalità più autorevoli e prestigiose del mondo ebraico - ha sottolineato il Presidente Iorio - per firmare un primo accordo concreto di collaborazione tra Governo regionale e la Comunità capitolina rappresenta, oltre che un rilevante evento culturale, anche l'apertura di prospettive interessanti per le nostre aziende che intendiamo coinvolgere operativamente in progetti di interscambio produttivo e commerciale con le altre comunità ebraiche sparse nei vari continenti".

(Nuovo Molise, 18 settembre 2011)

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Il bambino poeta egiziano Muhammad Gamal recita la sua poesia

"Oh Gerusalemme, ti libereremo dai maledetti ebrei che hanno ucciso i profeti e i messaggeri"




Di seguito sono riportati alcuni estratti da un'intervista con il bambino poeta egiziano Muhammad Gamal, andata in onda su Al-Hayat TV il 27 agosto 2011

Intervistatore: "Muhammad Gamal è un giovane ragazzo che non ha ancora compiuto dodici anni. Muhammad è un poeta, che scrive poesie, non le recita soltanto. Muhammad, come stai?"
Muhammad Gamal: "Bene, Allah sia lodato".
Intervistatore: "Muhammad, quando hai iniziato a scrivere poesie?"
Muhammad Gamal: "In terza elementare"
Intervistatore: "Come è accaduto? Hai letto poesie, ti ha insegnato tuo padre, o cosa? "
Muhammad Gamal: "Non so dove l'ho preso. Ho scritto una poesia intitolata 'Un invito a Gerusalemme.' L'ho scritta in terza elementare, quando gli ebrei stavano pensando di distruggere Gerusalemme, per poter costruire il tempio ... "
Intervistatore: "La Moschea Al-Aqsa".
Muhammad Gamal: "Sì, volevano distruggere la moschea Al-Aqsa per costruire il tempio Così ho scritto questa poesia, non so come mi sia venuta."
Intervistatore: "Sentiamo questa poesia".
Muhammad Gamal: "La poesia si chiama 'Un invito a Gerusalemme.'"
    "Oh Gerusalemme, oh Gerusalemme,
    Il tuo nome è nel cuore di milioni di persone.
    Abbiamo lavorato duro per te,
    E continueremo a farlo per giorni e anni.
    Se potessi, io ti abbraccerei, non importa come -
    Indipendentemente da chi vuole distruggerti, ma non può,
    perché il Signore ti protegge.
    Oh Gerusalemme, oh Gerusalemme,
    Il tuo nome è nel cuore di milioni di persone.
    Vorrei pregare dentro di te, insieme ai giusti profeti.
    Oh mia amata Gerusalemme, che sei in Palestina.
    Tu continuerai ad appartenere ai musulmani.
    Se ci uniamo, ti riprenderemo,
    Proprio come il Saladino.
    Tu rimarrai nel cuore dei credenti.
    Oh Gerusalemme, oh Gerusalemme,
    Il tuo nome è nel cuore di milioni di persone.
    Ti libereremo dai maledetti ebrei
    Che hanno ucciso e massacrato molte persone,
    Molti poveri bambini, donne e anziani,
    E prima di loro, hanno ucciso i profeti e i messaggeri.
    Ciò nonostante, tu continui ad appartenere agli arabi e ai musulmani.
    Oh Gerusalemme, oh Gerusalemme,
    Il tuo nome è nel mio cuore e nel cuore di milioni."
Intervistatore: "Molto bene, Muhammad, è stato bellissimo" [...]

(MEMRI, settembre 2011 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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I motivi dell'odio

di Ugo Volli

Nonostante anni di allenamento, è difficile non lasciarsi abbattere dall'intensità del sentimento antisemita/antisraeliano. Il senso di ferita personale è sempre fortissimo. La domanda sul perché dell'odio, dell'energia emotiva scaricata in questo sentimento distruttivo, va ben al di là dei suoi usi politici e della sua funzionalità sociale. Per esempio è chiaro che per i regimi arabi, prima e dopo questo ciclo di agitazioni (ma anche prima o dopo di quello precedente che quarant'anni fa portò al potere i regimi nazionalisti in Egitto, Siria, Iraq ecc) hanno usato l'antisemitismo, l'hanno trasformato in odio per Israele e hanno suscitato pogrom e violenze di ogni tipi, per distrarre le masse arabe dalla loro miseria, per unificare i loro paesi contro un nemico esterno, in sostanza per mantenere il loro potere. E' chiaro che la Turchia e l'Egitto oggi stanno facendo lo stesso gioco. Ma la questione logicamente precedente è perché, fra i mille obiettivi possibili di odio sia stato scelto quasi sempre l'ebreo, il che equivale a chiedersi perché le masse islamiche siano da decenni (da ben prima dell'"occupazione") particolarmente pronte a odiare piuttosto gli ebrei, nemici immaginari, ancor più che altri soggetti con cui la guerra era reale, i contrasti materiali. La Turchia che è in guerra coi curdi si mobilita in questo momento contro Israele; l'Egitto che viene da una rivolta tutta interna contro la corruzione e ha interessi strategici in conflitto con l'Iran e la Turchia, se la prende con gli unici ebrei che riesce a identificare sul suo territorio, i diplomatici israeliani.
    La stessa domanda si può fare ovviamente per l'Europa, dove pure lo sfruttamento statale dell'antisemitismo è da qualche tempo assai meno di moda. Perché in piena crisi economica e sociale un teppista deve prendersi la briga di individuare un cimitero ebraico a Venezia su cui disegnare una svastica? Perché su due muri vicino alla mia università, a Torino, con lo scopo non di denigrare gli ebrei, ma la squadra di calcio del Torino e una nota bevanda gassata si poteva leggere fino a qualche tempo fa e forse ancora oggi "Toro ebreo" (ad uso degli italiani) e "Coca cola yahud" (per i lettori arabofoni)? Perché "ebreo" è un insulto usato da tutte le tifoserie del calcio e del basket? Perché, voglio dire, dovrebbe essere un insulto? Perché Israele continua a suscitare oggettivamente più odio di tutti i regimi più criminali del mondo? Perché in questi giorni di stragi continue in Siria e di prudentissime reazioni israeliane al terrorismo si sono mossi a Londra dei manifestanti a disturbare un concerto della certamente non troppo politicizzata orchestra filarmonica israeliana in quel tempio della cultura che è il Victoria and Alberta Hall, e nessuno in tutto il mondo davanti a un'ambasciata siriana? Certo, gli orchestrali erano ebrei... Perché la Turchia, che spara ai curdi in territorio iracheno e fa comunicati stampa per vantarsi dei numeri dei morti, che occupa uno Stato straniero e vi tiene in esercizio un muro, che nega il genocidio armeno, che è stata sconfessata da una commissione di inchiesta dell'Onu (quindi certo non filoisraeliana), si permette con Israele toni arroganti da politica della cannoniere, sicura di ottenere la simpatia generale?
    La spiegazione di tutti questi episodi, che sono di oggi, non degli anni Trenta, non si può ridurre nei puri dati politici, nel conflitto statale o territoriale che oppone Israele ai palestinesi, nel riflesso meccanico dei vecchi schieramenti per cui la sinistra ha ereditato senza rendersene conto le coordinate geopolitiche di Stalin e prosegue a giudicare buoni i vecchi alleati dell'Urss e cattivi gli alleati dell'America. Non è solo la commissione dei diritti umani dell'Onu, alla cui presidenza fino a un paio di mesi fa sedeva la Libia e che produceva praticamente solo risoluzioni antisraeliane; non sono solo gli ambigui legami nero-rosso-verdi fra neonazisti, neocomunisti, islamisti; ma l'opinione collettiva maggioritaria in Italia, in Europa (per non parlare dei paesi musulmani), che in maggioranza, e nella maggioranza più "illuminata", ha in Israele se non proprio esplicitamente negli ebrei il nemico che gli piace di più odiare?
    Le spiegazioni date all'antisemitismo nella storia sono naturalmente moltissime, le abbiamo tutti studiate e molte volte sentite ripetere. Ma a me sembra che oggi ancora ci sia in questo sentimento condiviso un forte nucleo politico-teologico; che non ci troviamo di fronte a un odio laico, interessato, razionale, ma una proiezione ben più potente delle identità collettive, se non proprio delle religioni. E soprattutto credo che noi dobbiamo individuare nelle sue forme attuali una reazione all'emancipazione, alla pretesa intollerabile proprio perché politica, da parte di un popolo teologicamente "inferiore", di essere come gli altri, di vivere la sua identità, soprattutto di avere uno Stato. Nel diritto islamico tradizionale gli ebrei sono considerati dei semischiavi, "dhimmi", che possono sopravvivere in mezzo ai musulmani solo pagando una tassa speciale e accettando uno stato di umiliazione permanente (non portare armi o usare cavalli, non avere case più alte, non avere impiegati islamici, portare certi segni sulle vesti ecc.). Nel mondo cristiano gli ebrei "deicidi" erano stati condannati già da dai primi secoli (per esempio da Agostino di Ippona) a vivere sì, ma in uno stato analogo di umiliazione, per testimoniare insieme con la loro fede della verità dell'"Antico testamento" e con il loro infelice destino della "punizione" per loro "colpa" - ora queste posizioni restano sommerse nelle voci maggioritarie della Chiesa, ma riemergono a tratti, fra i tradizionalisti, i vescovi arabi, i cattolici di sinbistra e influenzano in maniera poco consapevole le posizioni di molti.
    Che i dhimmi, i deicidi, coloro che si ostinano insieme a non volersi convertire al cristianesimo e neppure all'islamismo, abbiano la pretesa di vivere liberi pacifici e produttivi e addirittura in un loro Stato, è un affronto intollerabile - ancor più dell' "occupazione" di una terra che anche la Chiesa e anche l'Islam rivendicano come sacra per loro. E' la libertà degli ebrei, il loro rifiuto di essere vittime, la loro capacità di realizzare una vita autonoma e uno Stato loro, il loro stesso successo, a infastidire e offendere gli islamici (che se la prendono anche coi cristiani, quando possono) e in Occidente certe parti del mondo cristiano e anche laico, ma di cultura, non solo i reazionari, ma anche molti "progressisti", che travestano nella loro coscienza il sentimento antisemita con l'amore per gli oppressi e la "giustizia" - naturalmente imitati da settori altrettanto "progressisti" del mondo ebraico. Con l'intreccio di questa teologia politica, oltre che con il cinismo di dittatori e altri politici noi ci troviamo a dover fare i conti oggi, in uno dei momenti più difficili e rischiosi della storia recente del popolo ebraico.

(Notiziario Ucei, 18 settembre 2011)

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Lettera al Direttore di “Il Sole 24 Ore”

Gentile Direttore,

le posizioni ferocemente contrarie allo Stato di Israele regolarmente dimostrate dal giornalista Ugo Tramballi sono note da tempo.
L'articolo pubblicato il giorno 17 contiene una lunga serie di frasi che le dimostrano e che non sono accettabili in un quotidiano come Il Sole 24 Ore; non sono accettabili sia per il tono che per la deformazione della realtà.
Desidero prima di tutta riprendere questa frase vergognosamente falsa: "il governo ultra-nazionalista di Bibi Netanyahu non ha nessuna intenzione di riconoscere una Palestina sotto qualsiasi forma. Netanyahu invoca un ritorno al dialogo pretendendo condizioni inaccettabili".
La realtà, gentile Direttore, è esattamente l'opposto. Non solo il primo ministro Netanyahu, ma anche il presidente Peres hanno ripetutamente confermato, fin da subito dopo la formazione dell'attuale governo, che sono pronti a riconoscere la nascita dello stato di Palestina. Natanyahu, come gesto di buona volontà, pur di far venire al tavolo delle trattative Abu Mazen, sospese invano per 10 mesi tutte le costruzioni ebraiche in Giudea e Samaria, e successivamente richiese costantemente ad Abu Mazen di venire al tavolo delle trattative "senza condizioni". Sarebbe questa una condizione inaccettabile? Colui che dal momento della formazione dell'attuale governo Netanyahu pone invece condizioni inaccettabili (inaccettabili in quanto impongono a priori quanto deve essere trattato) è proprio il capo di Fatah.
Da quanto precede Lei comprende quanto la frase citata sia falsa e lesiva del diritto dei lettori del quotidiano di essere correttamente informati.
Quanto alle altre numerose frasi inaccettabili, gliene elenco alcune:
  • "L'occupazione militare di territori altrui è una delle più evidenti violazioni dei diritti umani. I palestinesi potrebbero chiedere l'intervento della Corte criminale". In realtà la situazione attuale corrisponde in pieno a quanto stabilito nelle trattative tra le parti, in attesa dei risultati delle ulteriori negoziazioni alle quali Abu Mazen si sottrae.
  • "L'indipendenza palestinese attesa dal 1947", della quale parla Tramballi, è sempre stata negata dagli altri stati arabi, non certo dal nascente stato di Israele.
  • come può Tramballi scrivere che "gli ambasciatori di alcuni importanti paesi UE sarebbero stati minacciati da un oscuro vicedirettore del ministero degli Esteri se non voteranno come chiede Israele"?
  • sono accettabili espressioni del genere: "mai Israele ha avuto un ministro degli esteri così", sapendo che ci si riferisce ad un paese amico dell'Italia?
Gentile Direttore, spero che l'esame di quanto sopra possa convincerla, nell'interesse dei Suoi lettori, a prendere quei provvedimenti che, a parere non solo mio, non possono più essere procrastinati.
Distinti saluti,

Emanuel Segre Amar

(Inviata per conoscenza dall’autore, 18 settembre 2011)

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Arabi uccisi... Siriani (arabi) muoiono in silenzio

Oggi, sabato 17 settembre 2011, le forze di polizia siriane hanno ammazzato 46 dimostranti.... arabi.
Ieri, venerdì 16, le stesse forze dell'ordine hanno ammazzato "solo" 44 dimostranti, civili, arabi siriani. (Fonte: www.debka.com).
Abbiamo cercato la notizia sul sito dell'agenzia ANSA, ma invano.
Abbiamo cercato la notizia sul sito di "Repubblica", inutilmente.
Abbiamo cercato la notizia sul sito del "Corriere": ricerca senza esito.
Abbiamo cercato di conoscere le reazioni dei cosiddetti "progressisti" europei, ma sembra che nel caso della Siria siano caduti in un torpore profondo, al limite di un coma di coscienza.
Speravamo che i "pacifisti" avessero organizzato una flottiglia per aiutare i poveri oppositori del regime dittatoriale siriano, ma i "nostri pacifisti" hanno speso tutte le loro energie e le loro risorse per demonizzare Israele, per cui si sentono troppo esauriti persino per organizzare una minima protesta davanti all'ambasciata siriana.
Ma questi erano solo dei dimostranti civili disarmati, uccisi da un regime "amico".
Immaginatevi se al posto di oltre 3000 civili siriani le vittime fossero 3 "combattenti per la libertà" /suicidi bombers/ della Jihad islamica di Gaza uccisi per mano dell'esercito israeliano.
Pensate che il silenzio sarebbe altrettanto assordante?

Purtroppo, per i "progressisti"/"pacifisti", gli unici diritti sacrosanti degli arabi sono quelli di ammazzare gli israeliani, in quanto ebrei, e per assicurare loro questi diritti non si stancano e non si zittiscono mai.

(Associazione Italia-Israele Bologna, 17 settembre 2011)

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Hamas contro la proposta di Abu Mazen all'Onu: E' vuota

"Non possiamo riconoscere de facto lo Stato di Israele"

ROMA, 17 set. - Non tutti i palestinesi sono a favore della partita alle Nazioni Unite: dopo il drammatico comizio di ieri del presidente dell'Anp, Abu Mazen - riferisce l'edizione online di Yedioth Ahronoth - emergono nuove e pesanti divergenze fra Fatah e Hamas.
Il movimento di resistenza islamico, che controlla la Striscia di Gaza, ha infranto la linea di autocensura che si era imposto negli ultimi mesi nei confronti delle iniziative diplomatiche di Abu Mazen: la proposta che quest'ultimo avanzerà all'Assemblea Generale è "vuota" nei contenuti, ha dichiarato pubblicamente l'influente esponente di Hamas Yusef Rizka, consigliere politico del premier Ismail Haniyeh.
Hamas, ha aggiunto, non potrà sostenere tale iniziativa perché implica il riconoscimento de facto dello Stato di Israele con i confini del 1967. Secondo Rizka il discorso di Abu Mazen ha d'altronde "lasciato alcune questioni indefinite e poco chiare a livello legale".

(TMNews, 17 settembre 2011)

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Festival di Letteratura Ebraica, mostra "L'istruzione di Sacro e civile nel ghetto di Roma"

Nell'ambito del Festival di Letteratura Ebraica a Roma, il 18 settembre alle ore 18,30, presso il Museo ebraico di Roma in Lungotevere Cenci, sarà inaugurata la mostra "L'istruzione di Sacro e civile nel ghetto di Roma: la Compagnia Talmud Torah" a cura di Silvia Haia Antonucci (Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma-ASCER).
Contestualmente sarà anche presentata la nuova pubblicazione a cura dell'ASCER, "Le confraternite ebraiche. Talmud Torah e Ghemilut Chasadim: premesse storiche e attività agli inizi dell'età contemporanea" (Il Centro di Ricerca, Roma 2011), finanziata dal Fondo 8x1000, gestito dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
L'analisi della documentazione conservata nell'ASCER, relativa all'attività della Compagnia Talmud Torah, ha potuto mettere in evidenza come nel ghetto, malgrado le problematiche connesse con la reclusione, esistesse un insegnamento istituzionalizzato ed articolato per le materie sia religiose, sia "civili".
La Compagnia o Congrega o Istituto Talmud Torah (chiamata anche Scuola de' Putti), si occupava dell'istruzione dei ragazzi, offrendo tale servizio anche a quelli poveri, grazie alle quote associative pagate dai più abbienti. Prima della sua fondazione, la cui data non è nota, l'istruzione avveniva nell'ambito familiare ad opera della madre nella prima età, e successivamente del padre o di un precettore stipendiato.
La storiografia moderna riteneva l'insegnamento fornito nel ghetto, da un lato progredito rispetto ai tempi, perché veniva con esso quasi debellato il fenomeno dell'analfabetismo imperante nella società di allora, e dall'altro arretrato, perché "non vi erano insegnate le materie civili". Questa immagine non rispecchia la realtà dei corsi attivati nell'Istituto, così come appaiono da una analisi della documentazione archivistica presente nell'ASCER.
Se è vero che essa fa riferimento più all'insegnamento delle materie "religiose" rispetto a quelle "civili", va anche sottolineata l'importanza nella formazione dei ragazzi, dello studio della grammatica e della lingua ebraica, dello Shulchan Aruch e di Maimonide, così come era previsto nei corsi dell'Istituto, la cui attività ebbe una storia complessa, non priva di problemi di carattere organizzativo fortemente legati alla cronica mancanza di risorse economiche e al carattere "privatistico" dell'insegnamento ancora forte nel XVIII secolo.

(Roma 2.0, 16 settembre 2011)

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Il Cairo: “Ci impegneremo a rispettare gli accordi di Camp David se Israele farà altrettanto”

IL CAIRO - "Ci impegneremo a rispettare gli accordi di Camp David finché Tel Aviv farà altrettanto sia nella forma sia nei contenuti".
Il ministero degli Esteri egiziano ha risposto al richiamo che Tel Aviv aveva lanciato all'ambasciatore egiziano, nel quale gli aveva ricordato che "l'Egitto deve rispettare gli accordi di pace israelo-egiziani". Tale richiamo era giunto a seguito delle dichiarazioni del primo ministro egiziano, secondo il quale "gli accordi di pace non sono sacri".
Il ministro degli Esteri del Cairo ha dunque affermato che "l'Egitto rispetta gli impegni internazionali e gli accordi di pace fintantoché la controparte fa altrettanto sia nella forma sia nella sostanza".
In un comunicato diffuso dal ministero si informa che "l'ambasciatore egiziano si è incontrato con i dirigenti degli Esteri israeliani, su loro richiesta. Essi hanno espresso preoccupazione nei confronti degli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto l'area in cui si trova l'ambasciata di Israele al Cairo, venerdì scorso, e le conseguenze di tali avvenimenti nei rapporti bilaterali tra Egitto e Israele".
La fonte ha anche aggiunto che i responsabili israeliani hanno richiesto chiarimenti su alcune
dichiarazioni riferite da responsabili egiziani relative all'accordo di pace tra i due Paesi, esprimendo la speranza "in una collaborazione da parte egiziana che permetterà all'ambasciata di Tel Aviv al Cairo di riprendere il lavoro in modo naturale".
Il ministero ha aggiunto: "In questo contesto, l'Egitto ribadisce ciò che aveva annunciato precedentemente sui propri impegni internazionali e nei confronti degli accordi firmati, inclusi quello di Vienna (relativo ai rapporti diplomatici), il trattato di pace egizio-israeliano - fintantoché la controparte continuerà a rispettare gli impegni presi".
Il sito on-line del quotidiano israeliano "Yediot Aharonot" ha riferito ieri che l'ambasciatore egiziano a Tel Aviv, Yasser Reda, è stato richiamato dal ministero degli Esteri israeliano che gli ha comunicato che l'accordo di pace di Camp David, firmato dai due stati non sarà mai rinegoziato in alcuna situazione.
Durante la riunione, i dirigenti israeliani hanno espresso irritazione per le dichiarazioni rilasciate da alti ufficiali del governo egiziano sulla possibilità di rimettere il trattato di Camp David sul tavolo dei negoziati.

(InfoPal, 17 settembre 2011 - trad. Ahmad Adi)

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Israele dà asilo politico a una bimba albina africana

  
TEL AVIV - Richia la vita Maiken Kaita, una bambina albina di 4 anni originaria della Costa d'Avorio. Rischia di essere uccisa proprio per il colore della sua pelle e dei suoi capelli, visto che in alcuni stati africani l'albinismo è legato ad una superstizione secondo cui le persone che ne sono affette hanno
poteri speciali. Una superstizione che porta addirittura ad usare alcune parti del loro corpo ed i loro capelli come talismani per la salute, fortuna, ricchezza e successo.
Per questo, per la prima volta, Israele ha deciso di dare asilo politico alla piccola e alla sua famiglia, visto che nel paese di origine della bambina vere e proprie gang armate attaccano gli albini, li smembrano ancora vivi e rivendono le parti del loro corpo a 75,000 dollari, per poter essere usate dagli stregoni nei riti tribali. Solo negli ultimi dieci anni sono stati uccisi ben 100 albini in Tanzania, Burundi e altri stati africani, anche se le organizzazioni internazionali si stanno mobilitando, intanto, per porre fine a questi macabri rituali.
La notizia è stata riportata da Haaretz.com, su cui viene inoltre specificato che il padre di Maiken, Mohammed, emigrò in Egitto diciassette anni fa. Dopo il matrimonio con sua moglie Matinji, l'uomo, elettricista, si trasferì in Israele, chiedendo asilo politico con la speranza di potersi guadagnare un vita migliore. Maiken è nata a Tel Aviv nel 2007, fornendo un motivo in più per insistere nella richiesta di asilo della coppia.
La piccola ora frequenta l'asilo ed è inoltre ben integrata con gli altri suoi piccoli compagni israeliani, paradossalmente anche grazie alla sua pelle bianca

(Leggo, 17 settembre 2011)

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Israele: giacimento Tamar, niente gas fino al 2013

«Israele non riceverà gas dal giacimento Tamar prima del 2013, ed è colpa dell'incapacità del governo di prendere decisioni». Il presidente della Compagnia per il gasdotto Eilat-Ashkelon, Amos Yaron, ha attaccato durante una conferenza l'esecutivo israeliano, imputandogli la responsabilità per il ritardo con cui il carburante del giacimento marino Tamar, a largo delle coste israeliane, arriverà sul mercato. «Israele - ha affermato Yaron - ha solo due ministri in grado di prendere decisioni: il ministro della Difesa e quello dell'Economia.
Tutti gli altri non ne sono incapaci». Il dirigente ha poi rivolto parole particolarmente sferzanti al ministro dell'Ambiente, dichiarando: «La mia compagnia rispetta tutte le leggi a protezione dell'ambiente. Mi auguro che questo Paese tratti gli anziani con la stessa cura con cui tratta le pietre di Nahal Zin (una riserva naturale attraversata dal gasdotto, ndr). Le richieste del ministro sono esagerate e non sono l'unico a pensarlo». «I miei commenti sulla capacità operative dei ministri - ha aggiunto Yaron - vogliono sottolineare una stortura di sistema: i ministeri sono costruiti sulla responsabilità, ma non sull'autorità. Parlo per esperienza, visto che ho lavorato come direttore generale al ministero della Difesa. E' ora di correggere questo errore».

(FocusMO, 16 settembre 2011)

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Israele: la richiesta palestinese non aiuterà la pace


Sul fronte diplomatico sarà sicuramente scontro, sul terreno, la decisione palestinese di chiedere il pieno riconoscimento internazionale sta già provocando disordini. In diverse località della Cisgiordania, come Nabi Saleh, centinaia di palestinesi si sono scontrati con i soldati israeliani, che hanno usato gas lacrimogeni per disperdere la folla.
Non si ottiene la pace con un passo unilaterale, dice il governo israeliano: "La decisione palestinese di andare alle Nazioni Unite è un errore - ha detto il portavoce del governo dello Stato ebraico Mark Regev -. Non aiuterà la pace e non aiuterà ad arrivare alla creazione di uno Stato palestinese. L'unica via allo Stato è attraverso i negoziati, attraverso negoziati di pace".
Intanto, nel sud della Cisgiordania, un gruppo di coloni israeliani ha tenuto un'esercitazione di sicurezza per tenersi pronti, dicono. "Stiamo facendo una finta esercitazione per prepararci a quanto sta per accadere - dice uno di loro -, ossia la violenza degli arabi dopo l'annuncio delle Nazioni Unite, dopo il loro annuncio alle Nazioni Unite".
L'addestramento ha riprodotto diversi scenari, tra cui un corteo che si infiltra in una recinzione di sicurezza o un attacco ad una scuola. Tsahal ha negato ogni coinvolgimento dei suoi militari.

(euronews, 16 settembre 2011)

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Israele convoca l'ambasciatore egiziano

GERUSALEMME - Il ministero degli Esteri israeliano ha convocato oggi l'ambasciatore egiziano per sottolineare l'importanza dello storico accordo di pace tra i due paesi, dopo che il primo ministro egiziano ha detto che il trattato "non è sacro".
Alla televisione turca il premier Essam Sharaf ha detto ieri alla televisione turca che gli accordi di pace del 1979 con Israele potrebbero cambiare per il bene della regione.
Un funzionario israeliano, coperto da anonimato, ha riferito che il direttore generale del ministero degli Esteri, Yasser Reda, ha ricordato

(Reuters, 16 settembre 2011)

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Festival Internazionale di Letteratura Ebraica a Roma

Un evento interessante da non mancare: il "Festival Internazionale di Letteratura Ebraica" a Roma. Non aspettatevi solo reading e quindi libri ma siate pronti ad una grande occasione per vivere la cultura ebraica sotto tanti aspetti e punti di vista. Parole scritte e narrate ma anche musica, arte, momenti di incontro e di riflessione, dibattiti che si svolgeranno dal 17 al 21 settembre 2011.
Il punto d'incontro dove si svolgerà il Festival Internazionale di Letteratura Ebraica a Roma sarà il Rione Sant'Angelo, quindi nel centro di Roma, tra Portico d'Ottavia e Teatro Marcello. Il Vecchio Ghetto Demolito parlerà di giorno in giorno con le voci di intellettuali e artisti a vario titolo, con suggestioni in arrivo dal passato o appena transitate per bocca di scrittori a noi contemporanei.
Tutti gli eventi in programma sono ad ingresso gratuito, fino ad esaurimento posti. A proposito di posti, anche provvedere al pernottamento, magari in un bed and breakfast a Roma, gioca il suo ruolo: trovare disponibilità in centro a buon prezzo permette di partecipare più attivamente a tutte le attività in calendario.
Vi consigliamo di non perdere l'occasione anche di assaggiare qualche specialità gastronomica di tradizione ebraica: qui in zona c'è il Forno Boccione, una vera istituzione in merito che di certo non deluderà nemmeno i palati più fini e golosi.

(Eventi a Roma, 16 settembre 2011)

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Pelosi a 40 leader europei: no al riconoscimento Onu dello stato palestinese

WASHINGTON, 16 set. - Non sostenete la richiesta di riconoscimento dello stato palestinese da parte delle Nazioni Unite. E' questo l'appello dalla leader della minoranza democratica alla Camera Usa, Nancy Pelosi, in una lettera destinata - rivela il sito del Washington Post - a 40 leader europei.
"E' nostra ferma convinzione che un'azione unilaterale di questo tipo avrebbe conseguenze devastanti per il processo di pace e gli stessi palestinesi", si legge nella lettera firmata da altri 57 deputati democratici e che riecheggia quanto gia' affermato da Barack Obama che ha definito "controproducente" una tale mossa.
I deputati democratici si spingono poi oltre dicendo che un voto per il riconoscimento dello stato palestinese da parte dell'Onu potrebbe portare gli Stati Uniti a "riconsiderare la propria assistenza all'Autorita' nazionale palestinese e altri aspetti delle relazioni americane-palestinesi". Attualmente Washington destina circa 500 milioni di dollari all'anno a programmi di assitenza all'Anp.

(University.it, 16 settembre 2011)

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Israele convoca l'ambasciatore egiziano

GERUSALEMME - Il ministero degli Esteri israeliano ha convocato oggi l'ambasciatore egiziano per sottolineare l'importanza dello storico accordo di pace tra i due paesi, dopo che il primo ministro egiziano ha detto che il trattato "non è sacro".
Alla televisione turca il premier Essam Sharaf ha detto ieri alla televisione turca che gli accordi di pace del 1979 con Israele potrebbero cambiare per il bene della regione.
Un funzionario israeliano, coperto da anonimato, ha riferito che il direttore generale del ministero degli Esteri, Yasser Reda, ha ricordato

(Reuters, 16 settembre 2011)

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Shalom su tablet

Anche il giornale della Comunità ebraica di Roma Shalom si rende disponibile su tablet. "A partire da oggi il più importante e prestigioso giornale ebraico italiano - si legge fra l'altro in una nota emessa dalla redazione del giornale stesso - è scaricabile ed è disponibile senza oneri sulle piattaforme Apple (Iphone, I-Pad, I-Pod Touch) e Android". "Il nuovo servizio sviluppato dalla Paperlit Inc., leader di mercato nello sviluppo e gestione delle applicazioni - prosegue il comunicato - consente non solo di leggere il tradizionale magazine ma anche di accedere ad una serie di nuovi contenuti multimediali (video, musiche, gallerie fotografiche, documenti, ecc.) che integreranno e arricchiranno l'offerta"...

(Moked, 16 settembre 2011)

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Giordania. In centinaia protestano contro Israele

AMMAN - Tensione anche in Giordania. Centinaia di giordani ieri hanno manifestato davanti alla sede dell'ambasciata israeliana ad Amman invitando il governo giordano a rompere il trattato di pace del 1994 con Israele ed espellere l'ambasciatore israeliano.
Su facebook molti attivisti, la settimana scorsa, avevano lanciato inviti chiedendo di riunirsi in migliaia per protestare. Decine di poliziotti hanno bloccato le strade del complesso per evitare che i manifestanti si dirigessero nella zona dell'ambasciata. Alcuni manifestanti e attivisti dell'opposizione liberale e islamica, invece raccolti vicino alla moschea Kaloti hanno urlato slogan: "No ambasciata sionista in terra araba".
Khaled Abdul Fattah, attivista politico, ha ipotizzato che i giovani scesi in piazza stavano solo cercando di copiare quello che è accaduto in Egitto, quando un gruppo di egiziani ha recentemente attaccato l'ambasciata di Israele.
"Forse non è il momento giusto per avanzare queste richieste legate alla questione palestinese. La gente vuole il cambiamento in Giordania. Questa sì che sarebbe una chiamata più attraente", ha detto Abdul Fattah.
Per Deiraniyeh Hassan, un residente della zona, la colpa va attribuita all' opposizione islamista, i cui leader incoraggiano i giovani a scendere in piazza. "Quello che posso vedere è un gruppo di giovani entusiasti, ma dove sono i leader del movimento islamico? Nessuno di loro è qui", ha detto.
Sei milioni di abitanti in Giordania sono di origine palestinese. Molti temono, in seguito alla fase di stallo dei colloqui israelo-palestinesi, che Israele costringa molti palestinesi ad andare verso la Giordania.

(il mediterraneo.it, 16 settembre 2011)

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Giordania. Rientra l'ambasciatore israeliano

L'ambasciatore israeliano in Giordania, Daniel Nevo, è rientrato oggi ad Amman dopo che mercoledì era stato richiamato a Tel Aviv per misure precauzionali dopo che erano state organizzate manifestazioni di massa davanti alla sede diplomatica di Israele nella capitale giordana.
Tutto il personale diplomatico aveva lasciato Amman mercoledì. Il timore era quello che nella capitale egiziana potesse ripetersi lo scenario avvenuto al Cairo, dove l'ambasciata israeliana è stata assediata per 13 ore e lo staff diplomatico evacuato in tutta fretta.
In realtà, come riporta al-Jazeera, la marcia di un milione di persone annunciata in Giordania contro Israele si è molto ridimensionata nei fatti, con solo un centinaio di persone scese in piazza.

(l'Occidentale, 16 settembre 2011)

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Israele teme tensioni in Cisgiordania e invia 1.500 soldati

Possibili manifestazioni a sostegno della richiesta all'Onu per uno Stato Palestinese, Mobilitati 3 battaglioni di riservisti

GERUSALEMME, 16 set. - L'esercito israeliano ha dispiegato rinforzi in Cisgiordania in previsione di manifestazioni palestinesi di sostegno alla prevista richiesta all'Onu di riconoscimento di uno Stato indipendente della Palestina. Secondo quanto riferito dalla radio pubblica israeliana, tre battaglioni di riservisti, quasi 1.500 uomini, sono stati mobilitati a questo scopo, mentre sono state rafforzate anche alcune unità attive.
D'altra parte un quarto battaglione di riservisti è stato inviato in Cisgiordania qualora dovesse sostituire un analogo contingente che potrebbe essere inviato alla frontiera con l'Egitto.
L'esercito ha poi rafforzato la sua presenza attorno alle colonie al fine di evitare eventuali attacchi anti-palestinesi da parte di alcune frange più estremiste.

(TMNews, 16 settembre 2011)

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Israele e Palestina, differenze anche nei processi

Lettera di un lettore al settimanale “Oggi”

Una piccola notizia che nessun giornale italiano, a quel che so, ha dato. Si è concluso il processo al maggiore dei due terroristi che qualche mese fa hanno compiuto l'efferata strage di Itamar, ammazzando tutta la famiglia Fogel, padre, madre, tre bambini, l'ultimo di otto mesi. L'assassino, è stato condannato a cinque volte la pena dell'ergastolo.
Il suo compagno, che era minorenne all'epoca dei fatti, ha un processo separato e protetto. Il processo si è svolto in maniera regolare e legale, senza mobilitazione di folla, senza tentazioni di linciaggio. Israele non usa la pena di morte dopo il processo Eichmann (1960): anche i peggiori assassini e stragisti ricevono un trattamento umano e non rischiano la vita. Che contrasto con il tentativo di linciaggio che in questi giorni hanno subito gli impiegati dell'ambasciata israeliana del Cairo, solo perché israeliani. Salvati per un pelo, quando solo una porta blindata li separava dalla folla ubriaca di violenza. Che contrasto con le decine di condanne e morte dell'Autorità palestinese, le decine di esecuzioni di Hamas, le centinaia dell'Iran, le lapidazioni di "adulteri", le impiccagioni di omosessuali che vi si eseguono ogni settimana.
Angelo Sonnino, ROMA

(Oggi.it, 16 settembre 2011)

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Una decisione dell'Alta Corte Israeliana che non sarà fatta conoscere in Italia

La coppia di arabi israeliani formata da Ahmad e Fatna Zabidat ha festeggiato martedì sera la decisione dell'Alta Corte di Giustizia che ha permesso loro di vivere all'interno della Comunità ebraica di Rakefet dopo che il comitato che doveva vagliarne la richiesta l'aveva respinta.
"Gli arabi israeliani hanno il diritto di vivere all'interno delle comunità ebraiche. Noi rispettiamo tutti, indipendentemente dal loro credo" ha decretato l'Alta Corte.
La coppia, la cui domanda era stata rifiutata per causa di "incomunicabilità sociale", aveva depositato il suo ricorso quattro anni fa. Martedì, all'annuncio della loro vittoria, i residenti ebrei di Rakefet che li avevano sostenuti si sono premurati di felicitarsi per la loro vittoria con delle telefonate.
Ogni trasloco presenta le sue difficoltà, ma noi non abbiamo problema a vivere in una comunità ebraica, e riusciremo a gestire il tutto a Rakefet, ha dichiarato la coppia.
La coppia ha anche dichiarato di voler vivere in un luogo tranquillo e sviluppato. Si è dichiarata sorpresa per il rifiuto ricevuto, ma, non avendo abbandonato l'idea, si è rivolta al tribunale.
A Rakefet la decisione del tribunale ha provocato delle reazioni moderate; "noi siamo cittadini rispettosi delle leggi, e applicheremo la decisione" ha dichiarato il responsabile della comunità, Tzvika Friedman.
Egli si è poi rifiutato di rispondere ad altre domande, limitandosi ad aggiungere che "la comunità ha un comitato di ammissione che applica i propri regolamenti per le ammissioni. Questo continuerà a funzionare anche se l'Alta Corte, con la sua decisione, lo ha giudicato fuori luogo".
Un residente si è espresso contro la decisione del comitato; "la politica del comitato era, fin dall'inizio, errata e non democratica. Le terre appartengono allo Stato. I valori ebraici sottolineano che anche uno straniero deve essere trattato coi guanti".
"La mia opinione è forse minoritaria perché i residenti sono preoccupati dal fatto che molti rappresentanti delle minoranze vengano a vivere in questo luogo", ha aggiunto.
[.....]
Secondo la nuova legge, le collettività sono autorizzate a rifiutare le candidature nel caso di incompatibilità con le caratteristiche peculiari delle singole comunità.
Al contrario nulla viene detto circa l'impossibilità sostanziale per gli ebrei di andare a risiedere nelle città arabe, e, in particolare, in Galilea.

(Juif.org, 15 settembre 2011, trad. Emanuel Segre Amar)

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Apple ritira l'applicazione sugli ebrei

Apple ritira l'applicazione "ebreo o non ebreo" dal mercato francese. Il gruppo informatico Apple ha annunciato mercoledì 14 settembre che aveva ritirato dalla vendita in Francia l'applicazione "ebreo o non ebreo" che ha fatto scandalo nel paese. " Questa applicazione va contro la legislazione locale e non è più disponibile sull'Apple Store" ha dichiarato a l'agenzia di France-Presse un porta voce della società Tom Numayr.
Venduta a 79 centesimi da un mese, questa applicazione offriva una lista di 3 500 personalità di origine o di religione ebrea, e aveva suscitato l'indignazione delle associazioni antirazziste . L'ingegnere che ha ideato questa applicazione, Johann Levy ha detto nel sito della Apple che "sono io stesso ebreo . L'obbiettivo era quello di portare agli ebrei un sentimento di fierezza, quando si vedeva che tale uomo d'affari o tale celebrità era anche lei ebrea" ha dichiarato. Tra le varie reazione negative il presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebree della Francia (CRIF) Richard Prasquier aveva dichiarato che questa applicazione era "totalmente contraria alle regole della nostra società in Francia" .

(FocusMO, 15 settembre 2011)

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Il vero ostacolo alla pace? 80 anni di rifiuto arabo-palestinese

Il vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon ha diffuso martedì su YouTube un filmato di sei minuti intitolato "La verità sul processo di pace", nel quale spiega in parole semplici, con l'aiuto di una grafica accattivante, che "il motivo per cui il processo di pace non ha successo non è la presenza israeliana in Cisgiordania, bensì i decenni di intransigenza da parte araba e palestinese".



Il video è stato pubblicato in coincidenza con il 18esimo anniversario degli accordi di Oslo, firmati il 13 settembre 1993 alla Casa Bianca fra Israele e Olp, e nell'imminenza del voto chiesto dall'Autorità Palestinese alle Nazioni Unite per il riconoscimento unilaterale (cioè, senza accordo negoziato con Israele) di uno stato palestinese.
"Il pretesto palestinese per rivolgersi direttamente all'Assemblea Generale dell'Onu - dice Ayalon - è la cosiddetta occupazione, ma i fatti smentiscono questa versione. E' importante spiegare la verità, mostrando come ai palestinesi venne offerto uno stato già molte volte nel corso dei decenni, ma loro l'hanno rifiutato ogni volta perché accettarlo avrebbe significato riconoscere anche la sovranità ebraica. Purtroppo - continua il vice ministro israeliano - questo desta il sospetto che la dirigenza palestinese sia molto più interessata a porre fine allo stato ebraico che ad ottenere uno stato palestinese. Il che è dimostrato dalla lunga storia della inflessibilità palestinese".
Ayalon spiega d'aver deciso di pubblicare il filmato dopo aver constatato il "vasto successo" di un primo video, diffuso su YouTube un paio di mesi fa, intitolato "Conflitto israelo-palestinese: la verità sulla Cisgiordania" nel quale spiegava "come stanno le cose circa i diritti di Israele sulla Cisgiordania" chiarendo in soli sei minuti il significalo di termini diversi fra loro come "territori occupati" e "territori contesi", oppure "confini del 67" e "linee del 49". "Il riscontro positivo che abbiamo ricevuto da tutto il mondo - dice Ayalon - mi ha spinto a pensare che avessimo iniziato a farci strada nella coscienza dell'opinione pubblica e che la gente in realtà è aperta ed anche ansiosa di conoscere la verità dei fatti circa il conflitto israelo-palestinese".
Entrambi i filmati sono stati prodotti dal filmmaker Shlomo Blass, della Rogatka Ltd, e dal regista Ashley Lazarus, in cooperazione con la ong studentesca StandWithUs. Il video è stato realizzato in inglese, ma include sottotitoli altre lingue.
Danny Ayalon ha già in programma di preparare prossimamente altri due filmati che si occuperanno di profughi e di Gerusalemme. "E' fondamentale che la gente possa sapere come stanno realmente le cose - conclude il vice ministro degli esteri israeliano - senza cadere vittima dei facili slogan della propaganda circa la cosiddetta occupazione, creati da parte araba e palestinese per fuorviare dalla verità".

(Jerusalem Post, YnetNews, 14 settembre 2011 - da israele.net)

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Israele: "Ora tocca ad Ankara"

Il ministero degli Esteri di Gerusalemme non ha dubbi: la crisi in atto tra Israele e Turchia «dipende dai turchi». «Prima - afferma Paul Hirschson, vice portavoce del ministro - chiedono a gran voce un'inchiesta ONU che indaghi sull'incidente della Mavi Marmara (del maggio 2010, ndr). Poi, visto che le conclusioni non li soddisfano, decidono di rompere le relazioni diplomatiche con Israele». E non solo. «Invece di far rientrare la crisi, Ankara sta cercando di gonfiarla: ogni giorno arriva una nuova provocazione».
L'ultima, in ordine di tempo, è l'annuncio che la Turchia potrebbe presto iniziare a chiedere il visto ai cittadini israeliani che si presentano alla sua frontiera. «Non so se lo faranno davvero - commenta Hirschson -, ma in quel caso sarebbe molto più difficile riuscire a mantenere buoni rapporti commerciali. Il che è invece fondamentale per entrambi i nostri Paesi». Il governo turco, tuttavia, non sembra dare ascolto solo alla logica dell'economia: e le ragioni della geopolitica appaiono più forti.
«La Turchia sta cercando di riposizionarsi dopo la delusione che le ha dato l'Unione Europea. Ora punta ad accreditarsi agli occhi del mondo arabo come principale potenza regionale. Per farlo, ha scelto la via più comoda: attaccare lo Stato ebraico». Ma la scelta potrebbe rivelarsi miope. «Per giocare un ruolo strategico importante in Medio Oriente, i turchi non dovrebbero proporsi come l'ennesimo Stato arabo che non parla con Israele. Al contrario, dovrebbero puntare ad essere gli unici che hanno buoni rapporti con esso». La crisi diplomatica con Ankara non è comunque l'unica preoccupazione degli israeliani, che guardano con inquietudine a quanto sta succedendo anche al di là del loro confine meridionale. «L'Egitto è un'incognita», conferma il funzionario. «La rivoluzione non è finita: al contrario, è appena iniziata. Bisogna aspettare le elezioni per vedere che direzione prenderà il Paese. Personalmente, sono ottimista: la pace del 1979 con Israele è troppo importante (per loro e per noi), e credo quindi che non sarà rinnegata. Ma certo l'assalto all'ambasciata d'Israele al Cairo avvenuto lo scorso weekend non è un buon segnale». Come non lo è una recente dichiarazione di alti esponenti di Hamas: «Stiamo valutando se spostare il nostro quartier generale da Damasco al Cairo», hanno dichiarato da Gaza. Hirschson, però, minimizza: «Dubito che Hamas deciderà di trasferirsi in Egitto. Se ci sta davvero pensando, tuttavia, è perché teme che il regime di Bashar al-Assad non sopravviverà».

(FocusMO, 15 settembre 2011)

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Istanbul blindata per il Maccabi, israeliani sotto scorta

  
Erano attesi in 200 ma soltanto una sparuta manciata di 'coraggiosi' fan israeliani e' sbarcata a Istanbul per seguire la squadra del cuore, il Maccabi Tel Aviv, che affronterà stasera i turchi del Besiktas nell'ambito della prima fase a gironi dell'Europa League. Una partita che arriva in un momento di massimo gelo tra Israele e Turchia, con quest'ultima che ha espulso l'ambasciatore dello Stato ebraico e interrotto i rapporti commerciali e militari. L'aeroporto della città sul Bosforo era letterlamente blindato in attesa dei tifosi, con 2.500 poliziotti schierati, di cui 600 delle forze speciali, e tiratori scelti sui tetti. "La situazione a Istanbul e' esplosiva. Una sola scintilla può produrre un grande incendio, per questo abbiamo deciso di portare un numero senza precdenti di forze di sicurezza", ha spiegato al quotidiano Haaretz il sergente di polizia BarcheHarder. Quando l'aereo da Israele e' atterrato, tuttavia, si è capito che gli irriducibili del Maccabi Tel Aviv, disposti a rischiare una trasferta in terra turca in un momento così delicato, si contavano davvero sulla punta delle dita. Quanto ai giocatori, sono stati scortati sul bus che li ha condotti all'hotel Debina. "Non abbiamo paura di nulla", ha assicurato l'allenatore, Motti Ivanir. "Il Maccabi ha già giocato qui altre volte e non è successo nulla. Siamo venuti a giocare a calcio, non a immischiarci con la politica".

(Affaritaliani.it, 15 settembre 2011)

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Evacuata l'ambasciata di Israele in Giordania per timore di incidenti

ROMA, 15 set. - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato l'evacuazione dell'ambasciata di Israele in Giordania, per il timore di manifestazioni violente simili a quelle della scorsa settimana in Egitto. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. Netanyahu e il suo ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, hanno ordinato allo staff dell'ambasciata di Amman di rientrare in Israele con un giorno di anticipo rispetto al previsto, per il timore di dimostrazioni antisraeliane.
Il personale dell'ambasciata torna in Israele ogni fine settimana. Restano nella sede solo un rappresentante diplomatico e gli agenti di sicurezza. Ieri, tuttavia, si è saputo che il premier israeliano ha ordinato allo staff di rientrare con un giorno di anticipo. Un alto funzionario governativo ha detto ad Haaretz che le proteste erano state organizzate su Facebook, e più di 3.000 persone avevano già aderito all'iniziativa. Un altro funzionario del ministero degli Esteri si è detto comunque convinto che le autorità giordane non avrebbero permesso ai manifestanti di fare ciò che è stato fatto al Cairo, "ma l'ambasciata è stata chiusa solo per essere sicuri".

(TMNews, 15 settembre 2011)

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Gli errori di JCall

di Emanuel Segre Amar

Leggo, con grande preoccupazione, l'incredibile serie di affermazioni contenute nella nota di JCall in merito alla richiesta di riconoscimento della "Palestina" all'Onu, e non posso esimermi dal fare alcune osservazioni. Tralasciando l'immancabile mantra del "ciclo di violenza e terrorismo", tralasciando la pura e semplice cancellazione di cento anni di storia operata dai firmatari per JCall, mi limito a soffermarmi sulle ultime frasi:
- Il riconoscimento di uno Stato palestinese darebbe attuazione alla risoluzione 181 dell'Assemblea generale dell'ONU del 29 novembre 1947 che prevedeva la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo entro i confini della Palestina mandataria.
  No: la risoluzione 181 prevedeva la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo entro i confini di quel 22 per cento della Palestina mandataria rimasto dopo lo scorporamento del 78 per cento usato per creare (dal nulla!) il regno della Transgiordania.
- Per Israele, ciò equivarrebbe al riconoscimento delle frontiere scaturite dalla guerra del1948
  No: le frontiere scaturite dalla guerra del 1948 non sono quelle previste dalla 181, e non sono mai state frontiere, ma linee di cessate il fuoco.
- ... e vanificherebbe i timori di una "delegittimazione" da parte della comunità internazionale.
  Dobbiamo intendere che per i firmatari di JCall Israele sta ancora aspettando una legittimazione internazionale e ha bisogno di uno Stato (dichiaratamente e costituzionalmente terroristico e finalizzato alla distruzione di Israele stesso) palestinese per vedersene riconosciuto il diritto?

(Notiziario Ucei, 15 settembre 2011)

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Israele sale al 22o posto nella classifica mondiale sulla competitività

Dal "Global Competitiveness Report" pubblicato recentemente, emerge come Israele, sia salita di 2 ranghi nella competitività mondiale, rispetto al precedente Report. Secondo il rapporto, la forza principale d'Israele, rimane la sua capacità di innovazione, dovuta alla presenza di ottime istituzioni specializzate nella ricerca e sviluppo e le loro collaborazioni con il settore imprenditoriale, nonche' l'elevato numero di brevetti registrati nel paese.
Il rapporto descrive, inoltre, un ambiente finanziario favorevole ed in particolare di una disponibilità solida di capitale di rischio, che ha ulteriormente contribuito a rendere Israele una centro mondiale di innovazione. Secondo il rapporto, questi elementi sono diventati più forti rispetto all'anno precedente.

(Tribuna Economica, 15 settembre 2011)

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Camici ospedalieri possibili veicoli di batteri?

di Valentina Cervelli

Spesso erroneamente crediamo che all'interno di un ospedale tutto sia perfettamente sterile. Uno studio americano ci dimostra che la situazione non è affatto quella che crediamo che sia: oltre il 60% dei camici indossati da medici e infermieri è infatti risultato positivo ai test condotti per la rilevazione della presenza di batteri, e del tipo "potenzialmente pericoloso" per la nostra salute. La ricerca condotta dallo Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme è stata pubblicata sull'American Journal of Infection Control.
Prendendo come base per i test un campione di 75 infermieri e 60 medici in Israele e negli usa, gli esperti hanno eseguito dei tamponi sulle divise degli operatori sanitari premendoli sulla parte addominale dei camici e delle divise, sulle tasche e sulle maniche. Il 65% delle colture eseguite sugli infermieri e il 60% di quelle eseguite sui dottori ha dimostrato una positività ai maggiori agenti patogeni come lo Staphylococcus aureus nella sua forma resistente alla meticillina, lo Pseudomonas e l'Acinetobacter. Insomma, il "meglio" che si possa offrire in quanto ad infezioni difficili da curare.
Sottolineano gli autori dello studio:
Anche se le divise non possono rappresentare un rischio diretto di trasmissione di malattie questi risultati indicano una prevalenza di ceppi resistenti agli antibiotici in prossimità di pazienti ospedalizzati.
Di contro, continua la ricerca, non è ancora chiara una correlazione tra le divise dei medici e degli infermieri e lo sviluppo di infezioni ospedaliere. Non si può quindi attribuire alla presenza dei batteri un sicuro sviluppo delle infezioni derivanti dai germi sopracitati. Anche se, appare evidente che se si riscontra la presenza di stafilococco e pseudomonas in tasca e l'operatore nella stessa inserisce dei guanti sterili (che non sono poi più tali) ed in questa condizione li usa in situazioni nelle quali è richiesta asetticità, sebbene possa non svilupparsi la malattia è evidente che il contatto con il batterio vi è stato, anche se indirettamente.

(MedicinaLive, 15 settembre 2011)

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Tel Aviv e i messaggi pubblicitari anti-Erdogan

In un viale di Tel Aviv, di fronte al Gesher Ha'Maariv sono stati apposti cartelloni pubblicitari come mai se ne erano visti prima in tutto Israele.
Sopra la scritta "Israele ha il diritto di proteggere i suoi cittadini" tre gigantografie del primo ministro turco Erdogan e la denuncia della politica compiacente del governo di Ankara nei confronti di islamisti e terroristi.

Sul primo cartellone si legge "Erdogan, hai scelto i tuoi amici : Assad, Ahmadinejad e i terroristi di Gaza."
Il secondo messaggio rimanda alla crisi causata dall'attacco di Tsahal alla nave Mavi Marmara, quando questa era entrata nelle acque chiuse di fronte alla Striscia di Gaza, incurante del divieto di proseguire: "Erdogan, perché non mandi una flotta umanitaria per salvare i cittadini della Siria?"
Il terzo cartellone spiega invece che in Asia e in Africa i leader e i gruppi musulmani uccidono migliaia di persone.
La notizia è stata riportata dal quotidiano israeliano JSSNews, che non è però riuscito a identificare il promotore della campagna. Al momento non è chiaro se si tratti di un'operazione lanciata a livello nazionale oppure limitata a Tel Aviv.
Quello che sembra certo è che nella crisi che oppone Israele alla Turchia gli israeliani sono saldamente compatti dietro il loro governo. Stando ad un sondaggio del 13 settembre, il 64% degli intervistati si dice contrario all'idea di presentare scuse alla Turchia per l'incidente della Mavi Marmara.

(Ticinolive, 14 settembre 2011)

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Hamas pianifica attentati suicida

Martedì un esperto antiterrorista ha dichiarato che Hamas sta prendendo in considerazione di riprendere gli attentati suicida contro i civili israeliani. Fighel, che ha lavorato presso numerose postazioni operative e di ricerca dell'intelligence in Cisgiordania, ha aggiunto che Hamas "sta aumentando la sua influenza in Cisgiordania e sta agendo più liberamente".
Dicendo che Hamas non è stata scoraggiata da Israele, aggiungendo che l'opinione pubblica si era abituata ai bombardamenti di Hamas nelle città. A tal fine, entrambi hanno sviluppato dei metodi per colpire Israele 'in casa' e hanno sviluppato metodi di attacco asimmetrico per colpire le forze dell'IDF. Il Dr. Matthew, direttore del programma Stein nella lotta al terrorismo, ha avvertito che spesso la flessibilità strategica e tattica di Hamas è stato un motivo fondamentale di fraintendimento dei reali obiettivi dell'organizzazione.

(FocusMO, 15 settembre 2011)

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Turchia: visto per gli israeliani?

La Turchia potrebbe presto richiedere permessi di soggiorno ai cittadini israeliani che si presentano alla frontiera. La notizia è stata rivelata da fonti anonime.
Se davvero il governo turco decidesse di porre fine alla politica di libero ingresso per gli israeliani, la crisi diplomatica in atto tra Ankara e Tel Aviv si aggraverebbe significativamente. Soner Cagaptay, analista turco di lungo corso, ha commentato: «Per la prima volta dal 1948 nessuna delle tre principali potenze regionali (Egitto, Turchia, Iran) è alleato con Israele. Si tratta di un cambiamento strategico molto importante».

(FocusMO, 14 settembre 2011)

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Il Mikvé di Ortigia

di Francesco Lucrezi

Di grande successo e di elevato interesse (ennesimo segno di quell'importante fenomeno umano e culturale che è il risveglio ebraico nell'Italia meridionale, incoraggiato con intelligenza, coraggio e lungimiranza dal Dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) si sono rivelate le manifestazioni organizzate lo scorso 4 settembre a Siracusa, nella splendida isola di Ortigia, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Nello stesso edificio che ospita, nei sotterranei, l'antico Mikvé, il bagno rituale adoperato in passato dagli ebrei locali (e recentemente
  
Il Mikvé di Ortigia
riaperto all'utilizzazione liturgica), un pubblico attento e partecipe si è interrogato (insieme ai rabbini Stefano Di Mauro e Gadi Piperno e a diverse personalità della cultura, di varia competenza e orientamento ideale) sul passato, il presente e il futuro dell'ebraismo in Sicilia, in Italia e nel mondo.
L'ebraismo che risorge o ritorna, in Sicilia e altrove, trova, intorno a sé, un mondo completamente diverso da quello che aveva fatto da alveo e da cornice alla sua precedente presenza. Un mondo, forse, meno freddo e ostile, nel quale i rapporti tra ebrei e gentili appaiono spesso improntati a rispetto, apertura, amicizia. Ma anche un mondo che, accogliendo l'ebraismo nell'abbraccio avvolgente della modernità, rischia di insidiare, di erodere quella identità ebraica che la civiltà del ghetto e dell'esclusione contribuiva, malgrado tutto, a perpetuare.
Qual è il senso profondo, ci si è chiesto a Siracusa, del rapporto tra ebraismo e modernità? In che misura il pensiero moderno è tributario della millenaria sapienza ebraica, che, uscita, con l'haskalà, l'illuminismo ebraico del XVIII e XIX secolo, dal chiuso delle sinagoghe e delle yeshivòt, l'ha fecondata in mille modi, su tutti i terreni dell'umana scienza e fantasia? E in che misura gli artisti, i filosofi, gli scienziati, gli scrittori ebrei dell'Ottocento e del Novecento, che hanno creato la civiltà moderna, devono o possono essere presi in considerazione per il loro essere ebrei? Se è difficile definire tale appartenenza sul piano dell'osservanza religiosa (dalla quale quasi tutti, sia pure secondo percorsi diversi, si sono allontanati, per lo meno sul piano del rispetto formale), fino a che punto è lecito, è giusto far discendere l'identità ebraica unicamente da una derivazione familiare? O forse tale identità va ricercata nelle domande poste, nelle risposte date o negate, nelle tematiche prescelte e nelle forme del linguaggio artistico o scientifico (sia pure da riconoscere sul piano impervio e desolato della destrutturazione del senso e della perdita del messaggio, nello spazio del silenzio e dell'assenza, di quella che Stéphane Mosès definì la mera "contemplazione delle macerie")? Esiste, in definitiva, un "pensiero ebraico"? E che vuol dire tale espressione?
Sono domande, evidentemente, sulle quali ci si potrà interrogare in eterno. Eppure, se una sensazione di fondo è parsa emergere dal dibattito siracusano, è quella secondo cui le Sacre Scritture, quantunque abbandonate, quando non rinnegate, da molti figli del popolo ebraico, tornano, ai nostri giorni, a irradiare una magnetica forza di richiamo; a rivelarsi, per vie traverse, matrice arcana e segreta delle più diverse e lontane creazioni dell'arte, della narrativa, della scienza e della filosofia del Novecento e del nuovo millennio. Come il Mikvé di Ortigia, che, nuovamente riempito, dopo secoli, di acqua sorgente, sembrava comunque ispirare, dalla sua silenziosa oscurità, il 4 settembre, le inquiete interrogazioni che andavano intrecciandosi al piano sovrastante.

(Notiziario Ucei, 14 settembre 2011)

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Rassegna stampa su Israele

di Emanuel Segre Amar

La visita del primo ministro turco Erdogan in Egitto, prima tappa di un viaggio che lo porterà anche a Tunisi ed a Tripoli, è sicuramente l'argomento principale per i quotidiani di oggi. Acuta l'osservazione di Lucia Annunziata che, su La Stampa, scrive che Erdogan ha saputo cogliere il momento difficile degli USA nel mondo arabo per sostituire l'influenza americana con quella turca. Aggiunge poi Annunziata che comunque la Turchia rimane tra i paesi più "curati" da Hillary Clinton. Sono sicuramente osservazioni molto interessanti; l'unico dubbio per il sottoscritto sta nella considerazione della Turchia come "paese fidato" per gli USA. La regia di questa visita è stata estremamente attenta, ed ha visto Erdogan atterrare al Cairo in piena notte, accompagnato da 6 ministri e da 170 industriali pronti a firmare grandi progetti di cooperazione. Va subito detto che la visita a Gaza, prevista in un primo momento, è stata poi cancellata. Ma intanto, dopo la crisi diplomatica che ha visto l'allontanamento dell'ambasciatore israeliano da Ankara, e la successiva forzata partenza di quello del Cairo, va registrata sia la partenza dai porti turchi di alcune navi da guerra che incroceranno nel Mediterraneo orientale, che il nuovo software dei radar turchi che d'ora in avanti identificheranno gli aerei israeliani come "nemici". Sono tutte realtà che non fanno presagire nulla di buono. Stupisce poi non leggere nei grandi commenti nessun paragone a quanto noi italiani vivemmo durante il ventennio. Eppure tanti elementi sono davvero identici in modo impressionante.
    Marta Ottaviani su Avvenire firma un articolo che sarebbe anche interessante se poi non cadesse nel grave errore di scrivere che la Mavi Marmara venne assalita mentre portava viveri sulla Striscia di Gaza; evidente inganno per i lettori del quotidiano. Certo importanti le parole dell'editoriale, sullo stesso quotidiano, a firma di Riccardo Redaelli; sembra appunto di vedere un novello Mussolini che parla di difesa dell'onore turco, che viene acclamato come nuovo leader arabo (lui che arabo non è), pronto a "superare insieme tutte le difficoltà", con le mamme di Ankara alle quali si spezza il cuore a sentire piangere i bambini di Gaza mentre poi, tra tante altre affermazioni roboanti, dimostra che verso Assad preferisce limitarsi ad inconcludenti parole di principio, e verso l'occidente sembra riproporre le attenzioni che aveva già l'impero ottomano.
    Analoghe sono le osservazioni di Roberto Tottoli e di Battistini che sul Corriere scrivono che questo viaggio evoca appunto ricordi imperiali, mentre Erdogan vuole frenare le analoghe mire iraniane (e anche del wahhabismo saudita); questo è proprio l'unico aspetto che sembra dare un certo sollievo per il futuro dell'Occidente, visto che queste rivalità interne al mondo islamico sono destinate ad esplodere. Per fortuna che Boutros Boutros Ghali sostiene che Turchia ed Egitto avrebbero tutto l'interesse a mantenere la pace con Israele verso il quale egli non vede ostilità.
    Su Repubblica Fahmi Huwaidi intervista Erdogan stesso ed allora troviamo parole come: "il rapporto Palmer dell'ONU non ha valore alcuno, ed è una vergogna per chi lo ha redatto."
    Sul Foglio, oltre ad un editoriale che fa osservare il tentativo di creare un Egitto "secolare" come la attuale Turchia, si trova un nuovo articolo di Meotti da leggere con la massima attenzione perché davvero fa capire la realtà di oggi; Meotti infatti ha parlato con lo storico turco Rifat Bali, insegnante alla Sorbonne di Parigi, che ricorda una vecchia pièce teatrale attribuita a Erdogan dal titolo (acronimo) MASKOMYA, che riunisce massoni, comunisti ed ebrei. Già nel '96 Erdogan, all'epoca sindaco di Istanbul, parlava di complotto mondiale ebraico e della cospirazione giudaica che aveva fatto cadere l'impero ottomano, mentre Ataturk sarebbe stato un cripto giudeo. Anche Erdogan veniva considerato un cripto giudeo quando faceva accordi con Israele, come scrive Carlo Panella su Libero, ma ora si oppone allo sfruttamento del gas nel Mediterraneo da parte di Israele, rivendicando interessi della Cipro turca (turca per via della occupazione militare, non dimentichiamolo mai). Interessante anche l'intervista di Lorenzo Biondi al professore dell'Università di Tel Aviv Mark Heller; peccato tuttavia che Biondi riparla di governo di Tel Aviv e scrive di uno stupido errore di inviare l'esercito israeliano nel Sinai...
    Sul Giornale intanto Fabbri teme anche un accordo tra Turchia ed Irak per nuove stragi dei curdi.
    Solite poi le parole di Michele Giorgio che non perde questa occasione per parlare del terrorismo di Israele e dei suoi crimini di guerra per via delle colonie, e pure quelle di De Giovannangeli che fa dire a Erdogan che l'equidistanza da tutte le religioni è un principio dell'Islam....
    Nella stampa estera ancora da sottolineare la solita attitudine negativa verso Israele del Financial Times dove si leggono le parole di Erdogan: Israele deve pagare per le sue aggressioni e per i suoi crimini", mentre eccita gli egiziani ad agire dopo la delusione provocata dai loro attuali governanti, pavidi dopo l'uccisione da parte di Tsahal di 6 militari egiziani.
    Sull'International Herald Tribune Jimmy Carter, in una lunga analisi, considera inaccettabile la futura presenza di Tsahal sul Giordano e la richiesta di Israele di essere riconosciuto come stato ebraico a causa del 25% della sua popolazione non di religione israelita. Tra le altre osservazioni a questo articolo va osservato che l'ex presidente (e marito di Hillary) considererebbe accettabili trattative tra Israele e Palestinesi "indirette", la ridiscussione del problema Golan e anche che parla dei "confini del '67" ai quali bisognerebbe fare solo piccole modifiche. Ovvio, al contrario, che Clinton speri di rivedere gli USA agire come leader nella regione.
Infine, senza ricordare le parole lasciate scritte dai terroristi palestinesi sui muri della Basilica di Betlemme da loro occupata, l'Osservatore Romano pubblica un lungo articolo con l'invito a tutelare i cristiani da ogni discriminazione; ma sui muri stava scritto: prima quelli del sabato, poi quelli della domenica, e queste parole non sono mai state sufficientemente analizzate; le preoccupazioni odierne del Vaticano ne sono la diretta conseguenza, a parere del sottoscritto.

(Notiziario Ucei, 14 settembre 2011)

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"Ebreo o no?" polemiche in Francia per app. iPhone

Apple sotto accusa per una nuova app. per smartphone che recensisce le personalità di origine ebraica e gli ebrei "più popolari del momento". L'ideatore: "Alimenta il senso di fierezza della comunità". La Lega internazionale contro l'antisemitismo: "Scioccati".

L'applicazione sotto accusa
PARIGI - E' polemica in Francia per una nuova app. per smartphone dal nome "Ebreo o non ebreo". Il programma per iPhone, dal costo di 0,79 euro, recensisce personalità di origine ebraica ordinate per nazionalità e settore di attività, cita "gli ebrei più popolari del momento" ed elenca una serie di "fatti soprendenti che riguardano gli ebrei nel mondo". "Lo scopo di questa applicazione - assicura l'ideatore, l'ingegnere Johann Levy - è unicamente ludico. L'unica lezione da trarre è che con molto lavoro, gli ebrei citati nell' applicazione, spesso discendenti immigrati, sono riusciti a raggiungere un certo riconoscimento".
LA POLEMICA - Non la vede allo stesso modo la Licra, la Lega internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo, che si dice "estremamente scioccata e scandalizzata", e valuta la possibilità di denunciare l'ideatore. Alain Jakubowicz, presidente della Licra, ha detto che l'applicazione "è uguale al regime di Vichy, che voleva sapere chi aveva origini ebraiche". L'app. consente inoltre di catalogare le persone in base a tre diversi criteri: ebreo da parte di madre, "metà ebreo" perché di padre e infine convertito. "Chi ha avuto questa 'geniale' trovata - conclude Jakubowicz - è un imbecille".
ACCUSE ALLA APPLE - Secondo Le Monde, l'inventore dell'applicazione si è giustificato affermando di aver creato questa funzione per alimentare il senso di fierezza della comunità, a cui anche lui appartiene. Il problema è che in Francia la legge sull'informatica del 1978 vieta di classificare le persone in base alla loro appartenenza etnica, religiosa o sessuale. E ad avere colpa della commercializzazione non sarebbe tanto Lévy quanto la Apple che, secondo SOS-Racisme, oltre a dover ritirarla subito dal commercio, avrebbe anche dovuto attuare un controllo più serio.

(tg1 online, 14 settembre 2011)

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Lieberman: dura risposta d'Israele contro la Palestina membro dell'Onu

GERUSALEMME, 14 set - Israele sceglie la linea dura nei confronti della Palestina. Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha infatti annunciato che se i palestinesi continueranno ad avanzare la richiesta per il riconoscimento di Stato membro dell'Onu, le conseguenze saranno ''gravi'' e la risporta d'Israele ''dura''. Parlando poco prima di un incontro con il rappresentante per gli affari esteri dell'Unione Europea Catherine Ashton, Lieberman non e' entrato in ulteriori dettagli. In passato il ministro ha chiesto piu' volte al governo del Paese di troncare qualsiasi relazione con il presidente palestinese Abu Mazen.

(ASCA, 14 settembre 2011)

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Cairo: un raffreddamento con Israele costerebbe 70mila posti di lavoro

Il raffreddamento dei rapporti diplomatici in corso tra Israele ed Egitto potrebbe costare al Cairo un miliardo di dollari e 70mila posti di lavoro. Lo afferma BDI-Conface, principale gruppo di informazione per le imprese israeliane. Dal 2004, ricordano da BDI, l'Egitto può esportare verso gli Stati Uniti esentasse prodotti realizzati in collaborazione con Israele o con materie prime israeliane, in virtù di un accordo pensato per incentivare la cooperazione economica tra egiziani e israeliani. In tutto, queste esportazioni ammontano a un miliardo di dollari e impiegano oltre 70mila lavoratori.
«Le imprese israeliane possono sopravvivere anche se venissero interrotti i rapporti commerciali con l'Egitto», dichiara il co-amministratore delegato di BDI, Eyal Yanai. «Mentre non credo che i manifestanti egiziani che in questi ultimi tempi stanno cercando con ogni mezzo di rompere i legami economici e diplomatici con Israele siano coscienti di quale impatto avrebbe sulla loro economia». «Oltre al giro di affari legato all'export esentasse verso gli Usa - aggiunge l'esperto -, l'Egitto perderebbe anche centinaia di milioni di dollari di commercio diretto con Israele».

(FocusMO, 14 settembre 2011)

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Cabbalà, riflettori puntati sul Ghetto romano

di Chiara Campanella

Portico d'Ottavia
ROMA - Una notte magica quella di sabato prossimo a Roma. Il 17 settembre, sotto il cielo della capitale, le luci saranno puntate sulla Roma ebraica. Proprio così, a partire da questo week end fino al 21 settembre, inizierà per il quarto anno consecutivo, il Festival della Letteratura Ebraica. Le porte del Vecchio Ghetto Demolito, tra il Lungotevere e via del Portico d'Ottavia e tra via Arenula e il Teatro di Marcello, si apriranno alla città dalle ore 20.30 alle ore 02.30 con un programma di eventi culturali, musica, teatro, degustazioni, incontri letterari, dj set. Sarà un modo originale per i visitare il centro storico e per permettere agli appassionati e non della Cabbalà, di conoscere e apprezzare la cultura ebraica.
In tutto il quartiere gli esercizi commerciali e i ristoranti rimarranno aperti con i loro menù di cucina giudaico romanesca e dalla tradizione ebraica internazionale (israeliana, orientale, Europea). Un segno che ribadisce l'apertura al dialogo, proprio in occasione dei 150 dall'Unità d'Italia. Un percorso culturale alla scoperta delle radici storiche della città, che apre nuovi scenari e suggestioni fondati sul dialogo tra culture diverse.
Sarà un ospite d'eccezione ad inaugurare la serata di sabato 17 settembre: lo scrittore israeliano A.B. Yehoshua. L'appuntamento, l'unico fuori dal Ghetto, è al Tempio di Adriano alle ore 21.00, quando lo scrittore sarà intervistato dal giornalista Marino Sinibaldi. Il viaggio nella letteratura ebraica sarà accompagnato dalla lettura di alcuni brani da parte dell'attore Massimo Ghini. Importante sottolineare che tutti gli eventi sono gratuiti.
A fare da cornice al programma della Notte della Cabbalà, le proiezioni di video art sulla Facciata del Palazzo della Cultura. Ci sarà inoltre la possibilità di visitare la Sinagoga e il Museo Ebraico di Roma, con visite guidate gratuite fino ad esaurimento posti, a partire dalle ore 21 all'1, con l'ultimo ingresso
Non mancherà, tra le tante iniziative in programma, la musica. Saranno sei i concerti su un palco allestito al Teatro di Marcello dove si alterneranno Mieczys?aw Szlezer al violino e Danuta Mroczek-Szlezer al pianoforte con Tango Project. Olek Mincer e Lisa Paglini eseguiranno uno spettacolo di poesie e brani letterari tratti dal patrimonio culturale dell'ebraismo europeo, dal titolo "Oh dolce melograno". Poi, sarà la volta di Evelina Meghnagi, accompagnata da Domenico Ascione (chitarre, oud) e da Arnaldo Vacca (percussioni) per il concerto Yovel, con un ospite a sorpresa.
Da non perdere l'incontro Dialoghi sulla Cabbalà, in programma alle 22,30 al Palazzo della Cultura. La scrittrice e studiosa di mistica ebraica e di arte sacra ebraica Yarona Pinhaz, la studiosa di Cabbalà e psicologa Daniela Abravanel e il rabbino Benedetto Carucci parleranno dei diversi approcci allo studio e alla conoscenza della Cabbalà. Il Palazzo della Cultura a Roma sarà palcoscenico anche di tantissimi altri appuntamenti nel corso della rassegna. Ad esempio, domenica 18 settembre alle ore 20.30, con Haim Bahaier si parlerà di "Enigmi e aneddoti del Talmud"; ancora, lunedì 19, alle ore, 21 Chiara Valerio incontrerà Ronit Matalon; infine, la rassegna si chiuderà con Daniel Zamir, in concerto alle ore 22.00 con il "Jewish Jazz".
La Cabbalà nasce e si sviluppa intorno al XII secolo e non ha mai smetto di essere una risorsa fondamentale per la lettura e la comprensione della tradizione ebraica e del mondo in generale. Gli argomenti trattati dalla Cabbalà sono vastissimi: dalla Creazione del mondo e dall'essenza stessa di Dio per arrivare ai rapporti sociali tra gli uomini e alla vita quotidiana di ognuno di noi. Probabilmente è per questo motivo che ancora oggi suscita l'interesse di un pubblico religioso e non, soprattutto quando ad affascinare ancora di più il visitatore sono le rovine del Ghetto romano.

(Wakeupnews, 14 settembre 2011)

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Israele: vendita di farmaci online

La catena di drugstore israeliana SuperPharm e la casa farmaceutica americana Pfizer lanciano una joint venture per vendere Viagra in internet. Lo scopo, sottolineano funzionari delle due aziende, è quello di contrastare il traffico online di contraffazioni e imitazioni della pillola blu.
Super-Pharm metterà in vendita il farmaco sul proprio sito, mentre le consegne saranno gratuite, in ogni parte d'Israele. Potrà acquistare Viagra solo chi è in possesso di una prescrizione medica; ogni confezione costerà il 9% in meno rispetto al prezzo in farmacia. In Israele il mercato dei medicinali contro le disfunzioni erettili vale 40 milioni di NIS all'anno (circa 8 milioni di euro), e il ne Viagra copre attualmente il 43%. Israele è al decimo posto nel mondo per quantità di medicinali contraffatti: in pratica, un israeliano su cento compra medicine d'imitazione, consapevolmente o meno.

(FocusMO, 14 settembre 2011)

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Timori per l'ambasciata di Israele in Giordania

Dopo l'assalto all'ambasciata israeliana al Cairo, avvenuto nella notte tra venerdì e sabato scorsi, anche quella ad Amman ha alzato il livello di allerta. Le autorità giordane hanno rafforzato la sicurezza attorno all'edificio; testimoni oculari hanno raccontato di avere visto «due veicoli blindati e un massiccio spiegamento di poliziotti lungo una delle strade principali che conducono all'ambasciata».
Israele per ora non ha rilasciato commenti ufficiali. Intanto, dal Cairo arriva la notizia che il muro di sicurezza costruito nelle scorse settimane attorno alla sede diplomatica israeliana messa a ferro e fuco, andato distrutto, non sarà ricostruito. Alti funzionari egiziani hanno spiegato, parlando in condizione di anonimità, che il governo cairota teme che una nuova barriera di protezione potrebbe rinfocolare il malcontento pubblico e suscitare ulteriori incidenti.

(FocusMO, 13 settembre 2011)

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Israele: nuova invenzione per efficienza eolica

Una turbina eolica gonfiabile, che permetterà di dimezzare i costi ottenendo maggiore efficienza: ad inventarla, un'azienda israeliana, che si dice pronta alla produzione industriale, anche se il progetto appare sollevare qualche dubbio.
Il nuovo congegno è stato ideato dalla Winflex; intervistato recentemente dal sito Qualenergia.It, il Ceo della compagnia Eli Kliatzkin, ne illustra i vantaggi: l'apparecchio monta un rotore leggero, capace di produrre energia a basso costo, mentre un sistema di imbardaggio più semplice ne permette l‘applicazione anche a generatori di ampie dimensioni.
Le previsioni dell'azienda affermano che con l'utilizzo della propria invenzione i costi si ridurrebbero della metà e l'efficienza crescerebbe del 30 per cento; ridotti costi di manutenzione ed elevata efficienza porterebbero i tempi di ripagamento dell'investimento a circa 3 - 5 anni, rispetto ai tradizionali 7 - 10; l'azienda ha creato due modelli, da 10 e 200 kw; il secondo, connesso per due anni alla rete elettrica israeliana, appare aver dato buoni risultati; si punta ora a creare un modello da 1 MW; l'azienda sta già avviando il processo di industrializzazione della turbina da 200, per quella da 1 MW si punta al 2012; in seguito, verrà avviata la commercializzazione. Winflex è già attiva con altri progetti nel settore delle rinnovabili e collabora con il Ministero delle Infrastrutture israeliano.
L'invenzione suscita tuttavia qualche dubbio, sia dal punto di vista dei costi / rendimenti, che in entrambi i casi appaiono troppo alti, sia sotto il profilo delle specifiche tecniche, utilizzando sistemi che ne renderebbero poco pratico l'uso presso grandi parchi eolici.

(Portalino.it, 13 settembre 2011)

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I laburisti israeliani cercano un nuovo leader

La scissione di Ehud Barak è costata cara ai laburisti. Nel partito in grave crisi nessuno dei 4 candidati è riuscito ad imporsi. Sarà necessario uno spareggio.

Il partito laburista israeliano tornerà alle urne la settimana prossima per eleggere il nuovo leader, dopo che nessuno dei quattro candidati che ieri si sono contesi la carica ha raggiunto il quorum necessario, ossia il 40 per cento dei voti.
Allo spareggio si presenteranno la parlamentare Shelly Yehimovic (che ha raccolto il 32 per cento delle preferenze degli attivisti) e l'ex leader sindacale Amir Peretz (che ha ottenuto il 31 per cento). Gli altri due contendenti - Yitzhak Herzog e Amram Mitzna - sono rimasti distanziati. L'elezione di un nuovo leader si è resa necessaria in seguito
alla scissione condotta all'inizio dell'anno dal ministro della difesa Ehud Barak, che ha fondato una nuova lista parlamentare di impostazione centrista. Dopo quella scissione, il partito laburista è rimasto con appena otto deputati fra i 120 della Knesset, ed è
ormai solo il quinto in ordine di grandezza dopo Likud, Kadima, Israel Beitenu e Shas.
Nei primi commenti si afferma che il voto di ieri dei membri del partito laburista riflette le proteste sociali che si sono sviluppate nelle strade di Israele questa estate. Sia Yehimovic sia Peretz sono infatti identificati con buona parte delle richieste di giustizia sociale invocate dai dimostranti.

(RSI.ch, 13 settembre 2011)

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Tra i ribelli della Libia impazza lo stile mujaheddin

Barbe lunghe anche per moda, ma gruppi islam radicale in agguato

MISURATA - "Vedi quello? Fino a ieri fumavamo insieme l'hashish e bevevamo whisky: ora si è fatto crescere la barba, va in giro con l'Ak-47 e gli piace sentirsi chiamare mujaheddin": la confessione arriva da un ribelle 34enne di Misurata, che preferisce rimanere anonimo. Ma le sue parole restituiscono comunque l'immagine di una rivoluzione che inizia a guardare sempre più attentamente all'Islam, come dimostra la bozza di costituzione del Cnt circolata nei giorni scorsi che individua nella sharia, la legge islamica, la prima fonte del diritto. Tra i più giovani 'vestirsi da mujaheddin' è quasi un fatto di moda....

(ANSA, 13 settembre 2011)

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Israele-Turchia: gli affari continuano

Mentre la crisi diplomatica tra Israele e Turchia non accenna a rientrare, nel campo degli affari i rapporti tra i due Paesi sono di tutt'altro segno. Almeno 40 compagnie turche hanno dimostrato grande interesse per le tecnologie israeliane esposte alla International Broadcasting Convention (IBC) di Amsterdam.
L'incontro - conferenza e fiera-mercato allo stesso tempo - è in corso fino al 16 settembre. Si tratta di uno dei principali appuntamenti internazionali per i professionisti della tv, in cui ogni anno vengono presentate le ultime novità tecnologiche, i nuovi trend e idee di business. Il ministero dell'Industria, del Lavoro e del Commercio, che ha organizzato il padiglione israeliano insieme all'Istituto israeliano per l'export e la cooperazione internazionale, ha dichiarato di avere già fissato circa ottocento meeting con potenziali clienti per le compagnie israeliane che partecipano alla convention. «Se guardiamo l'andamento degli affari tra società israeliane e società turche - ha commentato l'amministratore delegato dell'Istituto, Avi Hefetz -, non crederemmo che c'è in atto una crisi diplomatica. Le persone sanno distinguere tra le incomprensioni internazionali e gli affari». Hefetz ha aggiunto anche che il padiglione israeliano è stato visitato da imprenditori iracheni e iraniani.

(FocusMO, 12 settembre 2011)

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Eli Hertz si tratterrà in Italia dal 21 al 27 settembre e rientrerà a New York per la festa di Rosh Hashana. Oltre a Roma sono in programma due probabili incontri nell'Italia settentrionale.

Invito dell'autore

(EDIPI, 12 settembre 2011)

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Cristiani dimostrano per Israele

L'AIA-BRUXELLES - I gruppi "Cristiani per Israele Internazionale" e "Coalizione Europea per Israele" (ECI) intendono tenere dimostrazioni congiunte nel mese di settembre a L'Aia e a Bruxelles. Con questo vogliono esprimere la loro solidarietà con Israele contro la domanda dei palestinesi all'Onu di riconoscimento di uno Stato indipendente.
Le manifestazioni avranno luogo il 13 Settembre a L'Aia e il 19 Settembre a Bruxelles. L'obiettivo è quello di "difendere Gerusalemme come capitale indivisa dello Stato ebraico di Israele", scrive il quotidiano "Jerusalem Post" riferendosi agli organizzatori.
"Come cristiani, crediamo che sia nostro dovere ubbidire a Dio e ammonire le nazioni, invitandole a rispettare la sovranità di Dio", ha detto al "Jerusalem Post" Andrew Tucker, leader di "Cristiani per Israele Internationale". E ha aggiunto: "Non possiamo rimanere in silenzio mentre le nazioni progettano di dare Gerusalemme, la Giudea e la Samaria ai nemici di Israele".
Tomas Sandell, fondatore e direttore di ECI, ha sottolineato che i cristiani nella storia sono sempre venuti meno al loro compito di stare dalla parte del popolo ebraico. "Questa volta vogliamo dichiarare apertamente che ci sono persone che non sono d'accordo con il progetto delle Nazioni Unite di dividere Gerusalemme e di creare unilateralmente uno stato palestinese lungo le linee del1967.

(Israelnetz.com, 12 settembre 2011 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Egitto-Israele, ancora tensione per l'assalto all'ambasciata.

Oggi incontro al Cairo tra Ue e Abu Mazen

IL CAIRO - I vertici militari egiziani avrebbero deliberatamente ignorato per un paio d'ore le insistenti richieste da parte degli Stati Uniti per un intervento in difesa dell'ambasciata israeliana al Cairo, durante il violento attacco di venerdì sera da parte di una folla di manifestanti inferociti.
Secondo quanto riferisce il quotidiano britannico The Telegraph, venerdì sera, quando i manifestanti hanno assalito la sede diplomatica israeliana, costringendo l'ambasciatore e il suo staff a una precipitosa fuga a bordo di un aereo militare israeliano, il segretario alla Difesa Usa, Leon Panetta, ha provato più volte a contattare invano il maresciallo Hussein Tantawi, il capo di Stato de facto dell'Egitto, per chiedere un intervento immediato delle forze speciali egiziane.
La misteriosa scomparsa di Tantawi in quelle ore, riporta il Telegraph, fa pensare che il maresciallo abbia deliberatamente chiuso un occhio di fronte all'attacco all'ambasciata per calcoli politici. Tantawi avrebbe voluto dimostrare anche agli Stati Uniti che senza un forte esercito l'Egitto rischierebbe di piombare in una situazione di caos e anarchia.
Intanto la responsabile della politica estera dell'Unione Europea, Catherine Ashton, incontrerà oggi al Cairo il presidente palestinese Abu Mazen, per discutere della questione del richiesta di riconoscimento di un loro Stato che i palestinesi presenteranno tra pochi giorni durante l'annuale Assemblea generale delle Nazioni Unite. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz.
Fonti diplomatiche europee hanno detto ad Haaretz che Abu Mazen non chiederà al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il riconoscimento della Palestina come paese membro a pieno titolo dell'organizzazione, per evitare il veto degli Stati Uniti. Il presidente palestinese chiederà però il riconoscimento all'Assemblea generale, sperando di ottenere anche il voto favorevole dei 27 membri dell'Unione Europea, che al riguardo hanno posizioni divergenti.

(News 2U, 12 settembre 2011)

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Che autogol per i ribelli la sfida armata a Israele

di Vittorio Dan Segre

Il 3 gennaio 1919 il presidente dell'Organizzazione sionista Weizmann e l'Emiro Feizal, leader della rivolta araba contro i turchi, futuro re di Siria e poi di Irak, firmavano un'intesa in cui nel preambolo si diceva che arabi e sionisti avrebbero osservato la «più stretta collaborazione» per lo sviluppo dello stato arabo e «della Palestina», favorendo l'immigrazione degli ebrei in essa (art.I) e fissando le frontiere col negoziato. Il trattato - inattuato a seguito della cacciata di Feizal da Damasco per mano francese - resta l'alternativa morale, storicamente giusta ed economicamente valida per la soluzione della grande crisi medio orientale testimoniata dalle rivolte e contro rivolte arabe attuali. Questa alternativa è stata rifiutata da più di 90 anni dalle dirigenze arabe. È stata da loro fatta interiorizzare alle masse affamate e oppresse.
Il sionismo trasformato da potenziale alleato modernizzatore in simbolico nemico, ha permesso a dirigenze corrotte e incompetenti di restare al potere aiutate delle grandi potenze interessate allo sfruttamento delle ricchezze energetiche e al controllo strategico della regione. L'assalto all'ambasciata di Israele al Cairo rilancia il ruolo di capro espiatorio di Israele per una parte dei rivoluzionari. Ancora di più serve alle due potenze regionali - Turchia e Iran - nel loro concorrenziale gioco di controllo sul mondo arabo islamico, nel grande vuoto lasciato dall'America.
Il modello dell'ebreo capro espiatorio è vecchio da secoli, sviluppato prima nella cultura cristiana, poi in quelle nazionaliste, marxiste e terzomondiste.
Ma Israele con tutti i suoi difetti, non è un capro espiatorio. È il solo modello riuscito di democrazia medio orientale (con l'80% di popolazione di origine orientale o indigena) che ha raggiunto un livello di netta superiorità finanziaria, militare, tecnologica sui suoi avversari indeboliti militarmente ed economicamente tanto dalla rivolta araba quanto da tensioni interne etniche e religiose (curdi in Turchia, Verdi in Iran, sunniti e shiti).
La situazione non piacevole ma non sfavorevole per Israele. Si adatta alla mentalità di riccio della coalizione governativa anche se nemica di iniziative politiche costruttrici.
Tanto più che questa politica coincide con un fortunato momento di espansione di investimenti esteri (il solo paese che nel corso della crisi ha visto aumentare da Standard &Poor's il suo rating internazionale) e di scoperta di grossi giacimenti di gas sottomarino.
L'altra alternativa, quella dello scontro militare, sarebbe catastrofica per gli assalitori. Cadendo una volta di più vittime delle proprie ambizioni e eccitazioni ripeterebbero (questa volta forse con la Turchia) l'errore di sfidare militarmente Israele.
Se c'è una volontà condivisa in quel piccolo paese è di non accettare il ruolo di capro espiratorio e ancor meno quello accecato di Sansone.

(il Giornale, 12 settembre 2011)

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"I Borgia": un'altra occasione per rinnovare la calunnia del sangue

La scrittrice Silvana De Mari ci ha inviato un suo commento al serial televisivo di Sky. Dopo duemila anni di sangue versato, sangue di bambini gemelli dissanguati da Mengele ieri, sangue di bambini israeliani sgozzati oggi, invece di interrogarsi sulle colpe dei nostri predecessori e sulle connivenze dei nostri tempi, si continua a giocherellare con oscene e pericolose insulsaggini.

di Silvana De Mari

  
Stanno trasmettendo i Borgia. Versione italiano europea. La versione statunitense pare sia meglio, una specie di connubio tra i Soprano e i Tudor. % Nella versione europea il ritmo non c'è, tra gli sceneggiatori non ce n'è uno che abbia messo insieme una battuta memorabile che sia una e in compenso un congruo numero di fanciulle discinte è stato arruolato per riempire i buchi della regia. Nella seconda puntata si narra un episodio bizzarro: il papa Innocenzo VIII, sta morendo e il cardinale Rodrigo Borgia, il futuro papa Alessandro VI che deve assolutamente rimandarne la morte, per salvarlo chiama il suo medico ebreo. Costui fa bere al papa morente il sangue di tre bambini cristiani, dopo averne pagato i genitori, e i tre fanciulli muoiono. Capisco che agli sceneggiatori non sia sembrato vero di avere qualcosa con cui rimpolpare narrazione lenta e dialoghi inverosimili, e che non siano riusciti a rinunciare a questo episodio che è "storico". Storico nel senso che è successo?
    Ma non scherziamo: è sicuramente falso. Storico nel senso che è narrato da un anonimo cronista del XV secolo e ripreso poi in "Storia della città di Roma nel medioevo", pubblicato dallo storico tedesco Ferdinand Gregorovius nel 1854.
    Come faccio a dire che è falso? Buon senso, conoscenza della fisiologia. La pratica di far bere sangue esisteva? Esisteva. E fa bene? Non molto: ha dei rischi spaventosi di trasmettere tutte le malattie del donatore a fronte di un po' di proteine e di ferro peraltro trovabili in una buona bistecca. È più magia che medicina. Peraltro, è imperativo che il sangue sia freschissimo: perché i frigoriferi non esistevano e la conservazione sottovuoto nemmeno e ogni istante che resta esposto all'aria si arricchisce di batteri e virus (epatite A) e acquisisce un odore e un sapore nauseabondo, e questo persino ai tempi dei papi del Rinascimento dovevano averlo notato. Il far bere a vecchi e malati il sangue di giovinetti fu suggerito dal medico Marsilio Ficino nel 1479 nel "De vita sana, longa et coelesti", pubblicato a Firenze nel 1489. Egli raccomanda ai vecchi di "suggere" il sangue dei giovani allo scopo di ringiovanire. Se ne estraeva un poco e lo si beveva immediatamente e un paio di settimane dopo si ripeteva l'operazione. Un corpo giovane sopporta senza problemi un salasso, può sviluppare un'anemia se ne fa molti, ma di sicuro non la morte per dissanguamento. Se non si usa sempre lo stesso donatore si evita anche l'anemia.
    Che a Innocenzo VIII sia stato suggerito di bere sangue di giovinetti? Possibile, certamente possibile. Era una cura di quegli anni. Che sia stato suggerito da un medico ebreo? Un po' più dura, visto il periodo, 1492, nasce l'inquisizione spagnola di Torquemada, visto il soggetto, per chi non se lo ricordasse Innocenzo VIII, è quello che tra un figlio e l'altro, tutti legalmente riconosciuti, emise la Bolla Spagnola contro gli Ebrei.
    Altamente improbabile se teniamo presente l'interdizione ebraica al sangue.
    Davanti alla paura, nonostante l'antisemitismo, molti ricorrevano a medici ebrei. Per quale motivo? Avevano tassi di guarigione più alta e tassi di mortalità più bassa. Perché? Perché, loro sì e gli altri no, applicavano le regole bibliche che sono anche strepitose regole igieniche: lavarsi le mani dopo aver toccato i cadaveri, per esempio, lavarsi le mani prima di toccare il cibo, toccare il sangue il meno possibile e dopo averlo toccato lavarsi le mani, che è un ottima idea visto che il sangue è il luogo preferito per i peggiori batteri e che grazie al sangue si trasmette la stragrande maggioranza di malattie.
    Che lo faccia un medico cristiano di fare bere il sangue di bambini cristiani al papa più ferocemente antisemita di tutta la cristianità è verosimile, che lo faccia un medico ebreo, è molto inverosimile. Ma è la morte dei tre fanciulli la bufala certa. Che tre bambini siano morti dopo questa pratica è assolutamente falso. Per far morire è necessario estrarre almeno tre litri di sangue, quindi ai bambini sarebbe stato estratto un totale di 9 litri: 9 litri per riempire mezza ciotola? E che diamine! Con 9 litri si riempie un lavandino. Il sangue se non è eparinizzato coagula e non si può conservare. Che avrebbero dovuto farci con 9 litri di sangue che dopo poche ore avrebbe cominciato a puzzare? per estrarre tutto questo sangue o si incide un'arteria molto grossa, avendo cioè già in origine l'intenzione di uccidere, però una parte del sangue finisce per terra o sulle pareti, oppure si incannula l'arteria, e non avevano i mezzi: altrimenti appena la pressione si abbassa, l'arteria si chiude in quanto collabisce e si forma il coagulo: l'organismo mette in atto tutti i suoi mezzi per evitare di morire dissanguato. I tre ragazzini avrebbero dovuto essere sgozzati con un taglio sulla carotide dopo essere stati appesi a testa in giù.
    Per estrarre 9 litri di inutile sangue e farlo marcire? Tutto quello che potevano fare, che hanno fatto, che avesse senso facessero, era il salasso, 200 cc di sangue al massimo, ottenuto mediante una lancetta che tagliava la vena del braccio, sufficiente a riempire la famosa mezza ciotola, assolutamente insufficiente per ammazzare qualcuno. Inoltre si estraevano 100 cc, massimo 200, il donatore restava vivo e qualche giorno dopo poteva fare un altro salasso. L'organismo ben nutrito e sano ricostruisce in fretta il sangue che ha perso.
    Quindi si tratta di una calunnia, un'ennesima versione della calunnia del sangue. Ma in questo caso una doppia calunnia. Una calunnia contro questo supposto medico ebreo assassino di bambini cristiani, ma anche una calunnia contro il papato.
    No, non mi faccio illusioni, so benissimo chi era Innocenzo VIII, ma attenzione: assassinare tre bambini, nemmeno un papa del Rinascimento lo avrebbe fatto. Né avrebbe potuto farlo. Folli e fanatici fin che volete, ma nemmeno loro una cosa del genere avrebbero potuta farla. Né avrebbero desiderato farla. Se non altro perché i padri dei tre ragazzini lo avrebbero poi detto a tutta Roma. E da Roma sarebbe arrivato alla cristianità e se ne sarebbe discusso ovunque.
    Il cristianesimo ne esce ancora più preso a calci dell'ebraismo. Come sempre: l'antisemitismo è la distruzione del cristianesimo, il suo suicidio.

(Notizie su Israele, 12 settembre 2011)

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Giudici di Tel Aviv bloccano lo smantellamento degli accampamenti degli 'indignados'

TEL AVIV, 8 set. - Il Tribunale di Tel Aviv ha ordinato lo stop allo smantellamento degli accampamenti degli 'indignados' israeliani che, nelle ultime settimane, si erano insediati con tende e sistemazioni di fortuna in varie aree della citta'. Le autorita' avevano iniziato ieri a far evacuare gli accampamenti, provocando alcuni tafferugli con i manifestanti e suscitando la reazione dei leader della protesta che hanno presentato immediatamente ricorso tramite i loro avvocati.

(Adnkronos, 8 settembre 2011)

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"Onore ai terroristi". Gli ebrei che pregano al Muro del pianto sono "sporcizia da cancellare''

Quello che segue è un servizio andato in onda lo scorso 28 agosto sulla tv ufficiale dell'Autorità Palestinese in onore del terrorista 'Amer Abu Sarhan, condannato all'ergastolo in Israele per aver accoltellato a morte tre israeliani nell'ottobre 1990.



    Giornalista: "Benvenuti, cari telespettatori, a questo programma speciale dedicato all'eroe combattente 'Amer Abu Sarhan, di Al-Abidiya. [...]"
    Giornalista: "Diamo il benvenuto all'onorevole governatore di Betlemme, Abdel-Fattah Hamaiel".
    Governatore: "Desidero salutare lei e la tv dell'Autorità Palestinese che - e lo dico in tutta umiltà - trasmette un importantissimo messaggio nazionale, umano e morale, in un momento in cui conosciamo fin troppo bene la tirannia e l'oppressione dell'occupante, che impone sofferenze a ogni livello della vita umana. Su un altro tema, sono lieto di essere qui, nella casa dei genitori dell'eroe prigioniero ''Amer Abu Sarhan. […]
    
Giornalista: "Sono anche i genitori del martire Faisal".
    Governatore: "Esatto. Noi abbiamo grande stima di 'Amer, e attraverso di voi desideriamo far giungere, a lui e a tutti i suoi coraggiosi, eroici e risoluti compagni di prigionia, e a tutte le gloriose donne trattenute nelle prigioni dell'occupazione… noi vogliamo trasmettere loro il nostro saluto, apprezzamento e senso di orgoglio." […]
    Giornalista: "Che cosa significa per te l'immagine di tuo zio sulla tua maglietta?"
    Ragazzino nipote: "Sono fiero di mio zio perché è un eroe. Lui sta qui, vicino alla moschea di al-Aqsa, e noi lo ricordiamo". […]

(MEMRI, 7 settembre 2011 - ripreso da israele.net)

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Israele accusa l'Unione Europea. "Finanzia il terrorismo palestinese"

L'Anp ha stanziato una percentuale del proprio budget per sostenere i familiari dei morti suicidi e dei militanti reclusi nelle carceri israeliane. Soldi che arrivano dagli aiuti internazionali di Bruxelles e dei paesi membri

Secondo Israele, i paesi europei finanziano indirettamente i terroristi palestinesi. Milioni di euro in aiuti internazionali finirebbero, stando a quanto sostiene Gerusalemme, nelle tasche delle famiglie di terroristi suicidi o di prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane. Tra i maggiori donatori europei figura la Gran Bretagna, ma anche gli assegni staccati dall'Ue nel suo complesso sono di quelli a sei zeri.
    L'Autorità nazionale palestinese, riconciliatasi ufficialmente con Hamas nel maggio scorso, ha stanziato il 3,5 per cento del budget nazionale a sostegno dei familiari dei morti suicidi in attentati terroristici. A renderlo noto è il quotidiano palestinese Al-Hayat Al-Jadida. In soldoni si tratta di "una media di 3.129 shekel israeliani (circa 600 euro) a testa", una cifra davvero non male se si pensa che "un impiegato pubblico porta a casa circa 2882 shekels (550 euro)". Nutriti sono anche i sussidi ai palestinesi imprigionati in Israele. "Ogni terrorista in prigione, compresi quelli che hanno causato la morte di civili israeliani, sono sul libro paga dell'Autorità palestinese", sostiene Itamar Marcus dell'associazione Palestinian Media Watch. Questi soldi vengono il più delle volte versati ai familiari dei prigionieri proporzionalmente agli anni di condanna. Si parla di circa 350 euro per un condannato a meno di tre anni e fino a 3000 euro per chi prende più di 30 anni.
    Inevitabilmente parte di questi fondi vengono presi dagli aiuti internazionali europei stanziati per la Palestina. Tra i maggiori donatori troviamo la Svezia. Il quotidiano svedese conservatore Svenska Dagbladet fa ironicamente notare che in Palestina "conviene di più farsi saltare in aria piuttosto che lavorare". Ma la maggior parte degli aiuti europei vengono dalla Gran Bretagna, dove nelle ultime settimane infuria la polemica sul loro utilizzo vista soprattutto la crisi e i disordini sociali scoppiati in madrepatria. Secondo il Daily Mail, da Londra partono ogni anno con destinazione Gerusalemme Est circa 86 milioni di sterline (122 milioni di euro), di cui 3 milioni finiscono nelle tasche dei prigionieri palestinesi in Israele.
    "Siamo molto attenti a come spendiamo i nostri soldi nei territori palestinesi occupati", aveva detto in febbraio il ministro allo Sviluppo internazionale britannico Alan Duncan. Una rassicurazione che non sta mettendo Downing Street al riparo dalle critiche sull'utilizzo dei fondi internazionali, specie in tempo di crisi economica. La pressione è aumentata ulteriormente dopo l'annuncio del governo di voler aumentare gli aiuti del 35 per cento entro il 2015. Lo stesso David Cameron ha dovuto ammettere che si tratta di un "impegno molto difficile" in tempi in cui gli stessi inglesi sono costretti a tirare cinghia.
    Nonostante gli scontati attacchi delle opposizioni, è tuttavia difficile imputare responsabilità dirette ai governi europei, che non possono decidere come utilizzare i fondi che stanziano oltre Mediterraneo. Ma lo Stato d'Israele non smette di soffiare sul fuoco della polemica, e parla apertamente di "finanziamento ai terroristi palestinesi". Già un paio di anni fa, attivisti israeliani avevano criticato duramente l'Unione europea per aver finanziato, a detta loro, i programmi scolastici anti Israele promossi dall'Autorità palestinese. Dal canto suo Catherine Ashton, Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, pur non essendo intervenuta direttamente sulla questione, si è spesso spesa a favore della Palestina e dei diritti dei suoi abitanti.

(il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2011)

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Israele: 22o paese competitivo al mondo

Israele è il 22esimo Paese al mondo per competitività. Lo stabilisce il World Economic Forum (WEF) di Ginevra nella sua Classifica annuale sulla competitività globale. Per l'anno in corso e in prospettiva per il 2012, Israele sale di due posti rispetto al piazzamento del 2010 e di cinque rispetto al 2009, quando si era appena conclusa la guerra di Gaza.
Il primo posto è stato assegnato alla Svizzera, che ancora una volta domina la lista di 139 Paesi, seguita da Singapore, mentre continua il declino degli Stati Uniti, che si piazzano solo al quinto posto. La prima delle nazioni europee è la Finlandia (quarta), seguono Germania (sesta), Olanda e Danimarca (rispettivamente, settima e ottava) e Gran Bretagna (decimo posto). «La principale forza d'Israele - si legge nel resoconto - rimane la sua capacità di innovazione, per la quale il Paese si aggiudica il sesto posto e che supporta nuovi business che beneficiano della presenza delle migliori istituzioni di ricerca del mondo. L'eccellente capacità di innovazione, sostenuta anche dalle politiche del governo, si riflette nell'alto numero di brevetti del Paese (il quarto al mondo)». Lo studio cita anche «l'ambiente finanziario favorevole», stimato il decimo migliore in assoluto, e in particolare la «disponibilità di capitali d'impresa» (al secondo posto nella classifica globale). «Questi elementi che hanno contribuito a rendere Israele una superpotenza tecnologica - concludono i ricercatori del WEF - si sono rafforzati nel corso dell'ultimo anno».

(FocusMO, 8 settembre 2011)

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Ecco Ghost, l'elicotterino (silenzioso) contro il terrorismo

È silenzioso. Piccolo. Leggero. Soprattutto: è un occhio elettronico contro possibili minacce alla sicurezza nazionale. Si chiama "Ghost", fantasma, l'ultima diavoleria elettronica dell'Industria aerospaziale israeliana. È un elicotterino a doppia elica lungo poco meno di un metro e pesante appena due chili.

Ghost

Dotato di telecamera super-sofisticata, un'autonomia di volo di mezz'ora, possibilità di movimento anche tra i vicoli stretti di certe strade di città palestinesi, "Ghost" trasmette le immagini in diretta ed è stato realizzato per scovare terroristi o plichi esplosivi. La sua presentazione ufficiale è avvenuta questa settimana al "Latrun Conference", vicino Gerusalemme. Per tutto il resto, qui sotto il video di presentazione. (l.b.)

(Falafel Cafè, 8 settembre 2011)

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Quaranta milioni di dollari per un ritrovato contro il diabete

In un futuro non molto lontano, i malati di diabete di tipo 1 potranno forse fare a meno delle iniezioni giornaliere di insulina. La casa farmaceutica israeliana Teva, insieme alle Industrie biotecnologiche Clal (CBI), di cui la stessa Teva detiene il 15%, stanno mettendo a punto una nuova cura per chi soffre del cosiddetto "diabete giovanile". Attualmente, la sperimentazione si trova in fase clinica avanzata, con test in 115 centri medici in tutti il mondo. Le prove cliniche in corso costano oltre 40 milioni di dollari, e Teva detiene la licenza esclusiva per il ritrovato, battezzato DiaPep277.
Il DiaPep277 è un peptide sintetizzato per la prima volta dal famoso Istituto Weizmann di Rehovot, in Israele. «Si tratta di un derivato di una proteina umana - spiega il dottor Shlomo Dagan, amministratore delegato di Andromeda Biotech, compagnia impegnata a sviluppare il DiaPep277 - che modula la risposta immunitaria dell'organismo». Il diabete di tipo 1 riguarda il 5% dei malati di diabete, circa 220 milioni di persone in tutto il mondo; è causato da una risposta immunitaria abnorme che uccide le cellule produttrici di insulina nel pancreas. Nessuno ha scoperto come agire alla radice di questa grave malattia del sistema immunitario, e i pazienti sono costretti a ricorrere quotidianamente a iniezioni di insulina. Ma il DiaPep277 potrebbe cambiare la loro vita. Il condizionale è d'obbligo, poiché i test clinici sono ancora in corso, ma i risultati raccolti finora sono incoraggianti. «L'obiettivo è quello di preservare, piuttosto che curare - afferma Dagan -, se un paziente ha ancora alcune cellule che producono insulina funzionanti, con questo peptide sintetizzato potrà mantenerle in vita». Malati di diabete di età compresa tra i 16 e i 45 anni hanno ricevuto una iniezione di DiaPep277 ogni tre mesi fin dal 2005, quando è iniziata la prima sperimentazione clinica, che ha coinvolto 40 tra ospedali e centri di ricerca. I soggetti vengono monitorati regolarmente, ogni due anni, per verificare il livello di insulina che il loro pancreas produce. Questo studio si concluderà tra pochi mesi, intanto sono già iniziati i test di conferma, che coinvolgono il campione più ampio mai studiato di pazienti con diabete giovanile. La fine di questo secondo studio è prevista per il 2014; di lì a breve il DiaPep277 dovrebbe essere commercializzato e i malati di diabete di tipo 1 potrebbero finalmente curarsi con quattro sole iniezioni all'anno.

(FocusMO, 8 settembre 2011)

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Germania - Giovane nazista condannata a leggere il Diario di Anna Frank

La "sentenza" del tribunale di Kassel a una 16enne

ROMA, 8 set. - Una condanna esemplare: una ragazzina con idee naziste è stata condannata a leggere il "Diario di Anna Frank".
Secondo la Bild online, la 16enne, il cui nome di fantasia è Lisa, avrebbe imbrattato con svastiche e rune delle SS circa 33 cartelloni del partito di estrema sinistra tedesco, la Linke: "In realtà non so proprio cosa fossero le SS...", ha dichiarato la giovane al tribunale di Kassel, Germania centrale, dove è stata processata con l'accusa di avere utilizzato i simboli nazisti vietati dalla Costituzione.
Cosa si fa con una ragazzina così? Si chiede indignato il tabloid di Springer. Il giudice Reinhardt Hering ha avuto un'idea saggia e cioè sospendere il processo contro Lisa, a patto che la "piccola nazista" si compri "Il diario di Anna Frank", lo legga e scriva un tema sul libro, il tutto in 10 giorni, con la speranza, appunto, che impari qualcosa sugli orrori del nazismo. "Lo scopo del diritto per la tutela dei minori - ha commentato un portavoce del tribunale - non è punire, ma educare".
La ragazzina ha agito con due complici di 16 e 22 anni, i quali sono stati condannati rispettivamente a 20 ore di lavori socialmente utili e a 10 mesi di condizionale. L'amico maggiorenne ha infatti picchiato anche un agente.

(TMNews, 8 settembre 2011)

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Nasce Faceglat, il Facebook kasher degli ultra ortodossi ebrei

  
Si tratta di un nuovo canale sociale che permette ai suoi aderenti di discutere on-line e di inviarsi informazioni , scambiare foto e cercare nuovi amici. Con la netta separazione tra uomini e donne come in un sinagoga. Si chiama Faceglat, sito comunitario per gli ebrei ultra ortodossi , avviato da poco più di un mese in Israele da un giovane.
Faceglat è la contraddizione di Facebook, "glatt" significa "kasher ad alti livelli " nella scala della Kasherut (l'idoneità di un cibo ad essere consumato da un ebreo). Entrando nel sito gli uomini si connettono cliccando sulla parte destra mentre che le donne cliccano sulla parte sinistra, di modo che i due percorsi siano totalmente ermetici. " Un giorno , una coppia di amici è venuta a trovarmi e durante una conversazione , la giovane donna ha rimpianto il fatto che non esisteva un sito dove lei potesse condividere le sue foto con le sue amiche , senza che nessun altro possa vederle. Abbiamo cominciato a riflettere ad un social network per religiosi , senza foto indecenti e che garantisse che nessun uomo possa vedere le foto delle donne e vice versa " racconta Yaakov Swisa. E cosi dopo sei mesi di lavoro è nato il primo Facebook kasher. Il giovane uomo di 25 anni non indossa ne il tradizionale copri capo nero , ne il vestito scuro degli ultra ortodossi. Camicia a quadri e Kippah, nera in testa (copricapo tradizionale ebreo), con il suo portatile a tracolla , ha creato un ponte tra la comunità Lubavitch (uno dei più grandi movimenti religiosi del giudaismo chassidico) del suo villaggio a sud di Tel - Aviv e la sfera delle nuove tecnologie.
Niente avrebbe mai fatto pensare che un giovane ragazzo che ha studiato in una yeshivah ( centro di studi della Torah e del Talmud dell'ebraismo ortodosso) diventasse un programmatore internet. " Ho imparato da solo , durante le vacanze sul computer di casa "Il suo obiettivo non è di spingere le comunità tradizionali ad aprirsi alla modernità ma di proteggerli . " Gli ortodossi hanno bisogno di internet , a casa loro o al lavoro. Il mio sito permette di navigare come lo desiderano , in modo sicuro. Aiuta anche i genitori preoccupati di vedere i propri figli consultare siti aperti a tutti" ha riassunto Yaakov Swisa. La fiducia esige delle regole estremamente severe. Per esempio , un filtro individua le parole sconvenienti e le elimina. Per quello che riguarda coloro che si sono permessi di postare foto di uomini nello spazio delle donne , o di mettere foto considerate poco decenti, sono già stati radiati dal sito. Per ora il controllo è ancora artigianale . Ma per "guadagnare tempo " si pensa di comprare un software capace di individuare le foto dove "si vede troppa pelle" e di sopprimerle automaticamente . Anche se solo all'inizio ha già 2000 utenti grazie al passa parola e di recente ha un centinaio di nuovi inscritti ogni settimana. " E' l'inizio, ci sono molti curiosi, una maggioranza di uomini israeliani ma il 15 % delle adesioni vengono dalla Russia" ha spiegato il giovane sorridendo. Il sito , accessibile in ebreo e inglese sarà tradotto in francese e in russo in poche settimane . Comincerà allora una campagna di pubblicità on-line sui forum frequentati dal pubblico ortodosso , o sui siti dei fan dei cantanti religiosi. Una nuova faccia della rivoluzione Facebook è nata. http://www.faceglat.com/

(FocusMO, 7 settembre 2011)

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La stampa sui rapporti tra Israele e Turchia

di Emanuel Segre Amar

Le relazioni tra Israele e la Turchia sono oggi al centro dell'attenzione di quasi tutti i commentatori. Israele è un bambino viziato, pubblica addirittura nel titolo il Financial Times, riprendendo le parole di Erdogan che arriva a parlare anche di terrorismo di stato perseguito da Netanyahu.
Purtroppo anche su questo tema le disinformazioni si sprecano, e così su Europa Janiki Cingoli dimentica che la crisi tra i due paesi non iniziò affatto con l'episodio della Flotilla, per il quale Israele ha espresso il proprio rammarico e rifiuta le scuse; Cingoli omette infatti di dire ai suoi lettori che iniziò le ostilità proprio Erdogan attaccando il presidente Peres a Davos dopo la guerra Piombo Fuso del 2009. Anche le analisi di Cingoli, e non solo la descrizione dei fatti, è discutibile; non sono tanto "le opinioni pubbliche (della primavera araba) che contano sempre di più", quanto i risultati di anni di lavoro sotterraneo del fondamentalismo che ha avuto buon gioco a causa delle cattive amministrazioni dei vari governi.
Che poi l'Occidente sia preoccupato per questa nuova tensione tra Israele e Turchia è solo logico, ma è ancora presto per comprendere a fondo quella che sarà la reale posizione dell'Occidente.
Sembrerebbe, a questo proposito, più convincente la serie di ipotesi ventilate da Pio Pompa sul Foglio, dove immagina uno stretto legame, una sorta di do ut des, che legherebbe il rapporto Palmer (sostanzialmente favorevole ad Israele), il prossimo voto richiesto da Abbas all'ONU, la successiva ripresa delle trattative (davvero solo ipotetica) tra israeliani e palestinesi e la stessa posizione di Obama; tutto questo avverrebbe in un sostanziale gioco di alleanze sotterranee tra l'Occidente e gli islamisti schierati, in Libia, contro lo stesso Occidente.
Piuttosto ottimista si dimostra Hugh Pope, a lungo corrispondente da Ankara del Wall Street Journal, intervistato da Europa: Erdogan non avrebbe interesse a tirare troppo la corda con Netanyahu, ma probabilmente Pope sbaglia quando sostiene che oggi Erdogan potrebbe trovare tanti alleati in Israele pronti a concedere le scuse reclamate. Su questo punto Israele sembra essere piuttosto compatto, e il rifiuto non è solo della "destra estrema".

(Notiziario Ucei, 7 settembre 2011)

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L'antisemitismo dopo l'11 settembre

"Gli ebrei dietro l'attentato alle torri gemelle"

di Dimitri Buffa

Buone per ogni stagione, anche a dieci anni dal "nine eleven", le teorie che furono gli ebrei a buttare giù le torri non vanno mai né in vacanza né in pensione. Peraltro già 50 anni orsono nel suo saggio 'The Paranoid Style in American Politics', del 1964, lo storico Richard Hofstadter sosteneva che la cosiddetta teoria del complotto ha caratterizzato tutta la storia degli Stati Uniti.
All'epoca si parlava di Jfk e delle reminiscenze di Pearl Harbour, che secondo alcuni fu voluta e progettata da Roosevelt per convincere gli americani alla guerra totale contro il Giappone. Idiozie di ieri e di oggi, insomma. Quelle di oggi a distanza di dieci anni dal "nine eleven", le troviamo in una denuncia contenuta in un rapporto diffuso dalla Anti Defamation League (Adl), una delle principali organizzazioni ebraiche americane che si occupano di difesa dei diritti umani.
Secondo la Adl continuano a proliferare, su Internet soprattutto, in siti non di rado apertamente antisemiti, come Veterans Today, Truth Jihad o Re-Discover 9/11, nei forum, nei blog, nei social network, le teorie cospirative anti-semite. Su Facebook ad esempio c'è l'imbarazzo della scelta, tra pagine come 'Jews Behind 9/11', 'Jews did 9/11' o '9/11 was done by the Jews and Illuminatis'.
Queste argomentazioni trovano orecchie attente soprattutto negli ambienti musulmani integralisti, nella destra e nella sinistra estremiste e antisemite. Nel caso delle Twin Towers, fin da subito circolò la voce che 4.000 ebrei americani non fossero andati al lavoro al World Trade Center il giorno dell'attacco, fatto che proverebbe secondo i teorici del complotto un coinvolgimento nell'abbattimento delle torri.
A diffondere la falsa informazione, guarda caso, fu la tv libanese al Manar legata ad Hezbollah. Oggi una delle versioni più in voga è proprio quella che attribuisce ai servizi segreti israeliani la responsabilità degli attacchi. Secondo un'altra teoria di successo, invece, dietro l'attentato ci sarebbero stati funzionari neo-con di origine ebraica dell'amministrazione Bush: cioè Paul Wolfowitz, Richard Perle and Douglas Feith, che avrebbero elaborato il piano.
Aiutati dal Mossad ovviamente, allo scopo di fare un favore a Israele. Non si capisce tuttavia quale sarebbe stato il vantaggio, anche se per Jim Fetzer, uno dei fondatori dell'organizzazione 'Scholars for 9/11 Truth' proprio "lo Stato ebraico ha beneficiato dell'11 settembre più di ogni altro".
E questo perché "gli ebrei hanno in mano l'America e la finanza mondiale". Dai tempi del falso zarista dei Protocolli dei savi di Sion poco è cambiato. Purtroppo.

(l'Opinione, 7 settembre 2011)

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Gli Stati Uniti spiavano le telefonate dell'ambasciata israeliana

L'Fbi ha intercettato le telefonate dell'ambasciata israeliana. A rivelarlo è il New York Times, che riferisce i retroscena di un processo conclusosi l'anno scorso con la condanna a venti mesi di carcere di un interprete dall'ebraico.
Shamai Leibowitz, questo il nome dell'interprete, è finito sotto processo con l'accusa di aver passato informazioni segrete a un blogger. Il processo però si è svolto nella massima riservatezza, tanto che nemmeno il giudice, Alexander Williams, era al corrente del contenuto delle informazioni divulgate. Ora è stato il blogger che le ha ricevute, Richard Silverstein, a raccontare la vicenda al quotidiano newyorchese. Leibowitz gli aveva consegnato le trascrizioni di telefonate dell'ambasciata israeliana a Washington con sostenitori americani dello Stato ebraico e con un membro del Congresso degli Stati Uniti. Il blogger ha spiegato che Leibowitz voleva denunciare all'Fbi i tentativi israeliani di influenzare i membri del Congresso americano.

(Radicali Italiani, 7 settembre 2011)

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Tel Aviv, le autorità smantellano le tende degli "indignados"

Il sindaco Huldai: Non possono diventare arredo urbano permanente

  
ROMA, 7 set. - Dopo la trionfale "Marcia del Milione", che ha portato lo scorso sabato oltre 400.000 "indignados" in piazza a Tel Aviv per protestare contro il carovita e le politiche sociali del governo Netanyahu, il sindaco della città costiera israeliana, Ron Huldai, ha dato ordine di iniziare a ripulire le strade dalle tende montate dai manifestanti. Come riporta il sito web del Jerusalem Post, stamattina sono iniziati i lavori per rimuovere le tende vuote e gli oggetti abbadonati in strada.
La gran parte delle tende che ancora restano montate si trovano tra il quartier generale del movimento, ad Habima Square, e Hahashmonaim Street. Il sindaco di Tel Aviv Huldai ha difeso la sua decisione, affermando ai microfoni della radio militare che le tendopoli non possono diventare un "arredo urbano permanente". "Non stiamo sgombrando le persone", ha aggiunto, "stiamo portando via le tende che sono già vuote. Non può continuare l'occupazione del suolo pubblico".

(TMNews, 7 settembre 2011)

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Ministro di Israele: non chiederemo scusa ad Ankara per Mavi Marmara

GERUSALEMME, 7 set. - Israele non presenterà le sue scuse alla Turchia per il blitz della sua marina militare contro la nave umanitaria turca Mavi Marmara, costato la vita a nove cittadini turchi, e manterrà il blocco marittimo sulla Striscia di Gaza. "Israele difende i suoi interessi e il suo governo non chiederà scusa", ha affermato Israel Katz, ministro dei Trasporti alla radio pubblica israeliana.
"Israele - ha continuato il ministro - continuerà a mantenere il blocco marittimo sulla Striscia di Gaza per impedire il trasferimento di armi ai terroristi di Hamas", il movimento islamico palestinese che controlla questo territorio.
La scorsa settimana la Turchia ha adottato delle sanzioni contro Israele, proprio perché lo stato ebraico insiste nel suo rifiuto di scusarsi e di togliere il blocco a Gaza. Ieri il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha confermato di aver sospeso le relazioni militari con Israele e ha minacciato di recarsi a Gaza.
Nonostante la crisi politico diplomatica, comunque, il volume di scambi tra i due Paesi è in continuo aumento. Secondo l'istituto israeliano per le esportazioni, le esportazioni da Israele verso la Turchia ammontano a 858 milioni di dollari (609 milioni di euro) nel primo semestre 2011, pari a un aumento del 23% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

(TMNews, 7 settembre 2011)

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Gaza - Lancio di razzi: Israele replica con raid

L'aviazione israeliana ha condotto la scorsa notte un raid nella striscia di Gaza, poche ore dopo il lancio dalla striscia di razzi in direzione del Neghev israeliano. Secondo un portavoce militare a Tel Aviv, i velivoli israeliani hanno centrato un sito «adibito alla produzione di armi». In seguito, sono rientrati indenni alla loro base. Il portavoce ha aggiunto che l'operazione è giunta in reazione ad un nuovo attacco di razzi dalla Striscia verso il Neghev. Nell'ultimo mese, ha aggiunto, da Gaza sono stati sparati 145 razzi di vario genere e 46 colpi di mortai. «Questo genere di attacchi terroristici non può essere in alcun modo tollerato» ha concluso il portavoce secondo cui la responsabilità ricade su Hamas in quanto in controllo assoluto su quanto avviene nella Striscia.

(L'Unico, 6 settembre 2011)

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Gli inalienabili diritti del popolo ebraico sulla Terra di Israele e/o Palestina

di Marcello Cicchese

In un periodo in cui le nazioni si apprestano, ancora una volta, a esprimere la loro noncuranza, ogni volta che si tratta di ebrei, per questioni di verità e giustizia, segnaliamo volentieri un libro di Howard Grief, uscito nell'ottobre del 2008, che varrebbe la pena di leggere, studiare e tradurre in italiano: "The Legal Foundation and Borders of Israel under International Law". La tesi dell'autore risulterà indigesta a molti, anche fra gli ebrei, ma affinché non si pensi che si tratta della sparata di qualche fanatico estremista, è bene sottolineare che si tratta di un lavoro di più di 700 pagine, frutto d 25 anni di lavoro.
Per accentuare la provocazione, e dal momento che si diffondono facilmente slogan che hanno soltanto il carattere della ripetitività senza averne alcuno di verità, presentiamo subito qualche slogan di contrapposizione che può trovare supporto di documentazione nel libro segnalato.
  1. Lo Stato d'Israele non è il frutto tardivo del colonialismo delle potenze occidentali, ma, al contrario, le sue difficoltà sono dovute al perdurare di atteggiamenti colonialstici europei che hanno favorito la nascita di Stati arabi come Iraq, Giordania, Libano, Arabia Saudita, mentre hanno danneggiato la fondazione dello Stato ebraico.
  2. La legittimità nazionale dello Stato ebraico non nasce nel 1947 con la Risoluzione di spartizione 181 dell'Onu, ma nel 1920 con la Risoluzione di Sanremo stabilita dalle potenze alleate vincitrici della prima guerra mondiale:
  3. La Risoluzione di spartizione 181 non è la benevola dichiarazione che ha fatto nascere lo Stato d'Israele, ma, al contrario, è la malevola prevaricazione che ha causato l'illegale decurtazione di una parte consistente della terra che già apparteneva, de jure, allo Stato ebraico.
  4. L'Olocausto non è la molla che ha spinto le nazioni, per rimorso e volontà di compensazione, a dare agli ebrei una nazione, ma, al contrario, è la tragedia che ha costretto l'Organizzazione Sionista e l'Agenzia Ebraica ad accettare, come sotto ricatto, la spartizione della loro terra perché era assolutamente urgente dare asilo alle migliaia di profughi ebrei scampati all'Olocausto, e che nessuno, a cominciare dalla Mandataria Gran Bretagna, voleva accogliere.
  5. Uno Stato palestinese, nel senso geografico del termine, esiste già, ed è lo Stato ebraico d'Israele. Uno Stato arabo palestinese non ha alcuna legittimità nella terra che, fin dall'inizio delle trattative successive alla prima guerra mondiale, è stata destinata dalle potenze alleate vincitrici ad essere la sede della nazione ebraica.
  6. Il costituendo Stato arabo nella Terra d'Israele e/o Palestina non nasce con l'intenzione di vivere accanto allo Stato ebraico, ma, al contrario, con il solo scopo di arrivare a distruggerlo. Chi pensa di dar prova di moderazione parlando di "due stati per due popoli che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza" contribuisce, che lo voglia o no, in buona fede o no, al raggiungimento dell'obiettivo arabo.
  7. Per anni la politica d'Israele è stata "terra in cambio di pace": non ha ottenuto niente. Ma il guaio ancora più grande è che Israele ha dato "diritti in cambio di pace". La terra, la vedono tutti. Per vedere i diritti invece bisogna leggere, studiare, almeno se si vuole procedere in termini di verità e giustizia. Se invece si predilige la via della forza e della real politik, studiare non serve: basta sparare, quando si può; e mentire, quando non si può. Meglio ancora quando si possono fare le due cose insieme.
Con gli accordi di pace i nemici di Israele, non riuscendo ad abbatterlo subito con la violenza, sono riusciti a metterlo su un piano inclinato. Con piccoli, graduali scossoni provano ripetutamente, con pazienza e tenacia, a farlo scivolare dolcemente sempre più in basso, aspettando soltanto il momento in cui sarà arrivato abbastanza in basso da non esserci più bisogno del piano inclinato: una mazzata e via. Sfilando da Israele un diritto dopo l'altro sarà inevitabile arrivare a parlare di "diritto all'esistenza". E' vero che molti lo stanno già facendo, ma evidentemente c'è bisogno che il coro aumenti. E il 20 settembre, nella molto attesa assemblea generale dell'Onu, ci saranno le prossime prove del coro con l'inserimento dei nuovi coristi.

(Notizie su Israele, 6 settembre 2011)

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Tensione crescente tra Israele e Turchia

di Ugo Volli

Le notizie odierne su Israele riguardano soprattutto la tensione crescente con la Turchia. Cittadini israeliani hanno denunciato i maltrattamenti subiti all'aeroporto di Istanbul e lo stesso hanno fatto i turchi per quello di Tel Aviv. Ma questo è solo l'ultimo dettaglio di una rottura di rapporti generale, che mette a rischio, dopo le relazioni diplomatiche e militari, anche quelle economiche, anche se Israele può trovare compensazione nei rapporti con gli avversari dei turchi, come i greci. In questo contesto di crisi, i soliti falsi amici di Israele, come quel Roger Cohen che molte volte ha espresso la sua stima per gli ayatollah iraniani, consigliano a Israele di porgere le scuse che il regime turco esige, ignorando però due fatti. In primo luogo la commissione dell'Onu ha sostanzialmente dato ragione a Israele (e per questo la Turchia ha rovesciato il tavolo): il blocco di Gaza era e resta giustificato e legale, la flottiglia ha compiuto un'azione irresponsabile ("reckless"), Israele aveva il diritto di fermarla, ha solo ecceduto nei modi, peraltro di fronte a una resistenza violenta e organizzata. La commissione non chiede le scuse di Israele, suggerisce di esprimere dispiacere ("regret"), cosa che Netanyahu ha già fatto. Scusarsi quindi sarebbe piegarsi a una prepotenza, mostrarsi inferiori, cosa pericolosissima in una regione dove la "faccia" conta moltissimo in politica. In secondo luogo, la Turchia non ha chiesto solo le scuse e le compensazioni, ma la fine del blocco di Gaza, il che sarebbe ovviamente disastroso, mentre i razzi continuano a cadere sul Negev, mentre i giornali europei non ne parlano affatto. Inoltre la valutazione di Israele, condivisa anche dai più autorevoli giornali turchi, è che il posizionamento antisraeliano della Turchia sia una mossa strategica, il tentativo di assumere la leadership del mondo islamico staccandosi dall'Occidente, che ogni pretesto sia buono per ribadirla e che nessuna concessione israeliana potrebbe modificarla. Le scuse sarebbero così un indebolimento di immagine, una confessione di debolezza, senza nessun vantaggio reale.

(Notiziario Ucei, 6 settembre 2011)

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Palestinesi divisi tra chi vuole subito il riconoscimento Onu e chi prima la pace con Israele

Un sondaggio evidenzia la divisione dell'opinione pubblica di Cisgiordania e Gaza sulla richiesto alle Nazioni Unite di riconoscere lo Stato di Palestina. Il giudizio sui comportamenti tenuti sulla questione da Stati e organismi internazionali è positivo per Lega araba, Turchia e Paesi islamici. Abbastanza bene l'Europa, del tutto negativo per gli Usa. E neppure la stessa Onu gode di grande fiducia.

GERUSALEMME - La maggioranza (il 53%) dei palestinesi - sia in Cisgiordania che a Gaza - è contraria a ogni decisione del presidente dell'Anp, Mahmoud Abbas, mirata a non chiedere, questo mese, alle Nazioni Unite il riconoscimento dello Stato di Palestina, ma al tempo stesso il 59.3% sarebbe favorevole a un rinvio della richiesta all'Onu se Usa, Europa e Quartetto domandassero di posporla per dare ai negoziati con Israele la possibilità di raggiungere accordi definitivi accettabili da entrambe le parti.
La divisione dell'opinione pubblica palestinese sulla questione della richiesta di riconoscimento dello Stato è evidenziata da un'indagine, resa nota oggi ed inviata ad AsiaNews, condotta dal Palestinian Center for Public Opinion (PCPO), un centro indipendente che dal 1994 studia l'opinione pubblica palestinese, diretto da Nabil Kukali, cristiano, che è anche professore alla Hebron University, in Cisgiordania.
In effetti, mentre il 59,3% degli interrogati ritiene che è necessario andare ai negoziati di pace con Israele prima di avanzare la richiesta di riconoscimento alle Nazioni Unite, il 35,0% sostiene la priorità di ottenere dall'Onu il riconoscimento, senza la necessità di concludere preventivamente un accordo di pace con Israele.
Quanto al contributo che Stati e organizzazioni internazionali hanno dato al riconoscimento dello Stato palestinese, il giudizio più positivo è per la Lega araba (52,9% "molto buono" e 20,3% "abbastanza buono), seguita da Turchia (46,4% e 25,5%) e Paesi islamici (42,7% e 22,4%). In maggioranza positivo anche il giudizio sul comportamento dell'Europa (27,7% "molto buono" e 25,9% "abbastanza buono"). Se la cava la Russia (18,1% e 28,2%). Del tutto negativo invece il risultato per gli Stati uniti, il cui comportamento è ritenuto "del tutto non buono" dal 67,9% degli intervistati e "piuttosto non buono" da un altro 15,7%, a fronte di valutazioni positive che, nei diversi gradi, arrivano solo all'8,9%. E neppure la stessa Onu è oggetto di grande fiducia, visto che alla domanda sul ruolo che le Nazioni Unite giocheranno per il riconoscimento dello Stato palestinese, il 41,7% dà un giudizio variamente positivo, ma il 54,0% uno variamente negativo.
Sul piano interno palestinese, infine, la questione del riconoscimento da parte dell'Onu vede giudicato più positivamente il comportamento di Fatah (57,3% "molto buono" e 21,9% "abbastanza buono") rispetto a quello di Hamas (17,4% e 42,0%).

(AsiaNews, 6 settembre 2011)

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Israele: aumentano richieste per costruire hotel

Continuano ad aumentare le domande per ottenere prestiti e permessi per costruire hotel in Israele. Nel 2011 il ministero del Turismo di Gerusalemme ha ricevuto trenta richieste di incentivi economici - sotto forma di prestiti garantiti, come prevede la Legge israeliana per incoraggiare gli investimenti - da aziende interessate a costruire nuove strutture alberghiere o a ingrandire quelle già esistenti, per un totale di 3.600 camere in più.
La maggior parte delle domande riguarda Gerusalemme, la zona del lago di Tiberiade, Nazareth e la Galilea. Ad avanzare richieste non sono solo israeliani, ma anche imprenditori stranieri. «E' la prova del grande interesse internazionale per l'industria del turismo israeliano - ha commentato il ministro, Stas Misezhnikov -, oltre che un segno di fiducia nei confronti delle nostre politiche e strategie turistiche». Il ministero ha deciso di dare priorità ai progetti che riguardano Gerusalemme, dove finora si regista una «seria carenza di hotel rispetto al numero di turisti che ogni anno visitano la città», come dichiarato dallo stesso ministero in un comunicato ufficiale.

(FocusMO, 6 settembre 2011)

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L'opposizione turca teme lo sfascio dei rapporti con Israele

Il leader dell'opposizione turca Kemal Kilicdaroglu critica aspramente la decisione di Ankara di declassare i legami diplomatici con Israele e ritiene che la mossa sia stata un inutile colpo alla politica estera della Turchia Il capo dell'opposizione turca, , ha criticato la decisione di Ankara di declassare le relazioni diplomatiche con Gerusalemme, sostenendo che la mossa è "inutile". "Non può venire nulla di buono da tutto questo e non c'è bisogno di mettere a rischio i nostri interessi con azioni meschine", ha dichiarato domenica all'agenzia di stampa Turca La decisione della Turchia, che comprendeva l'espulsione dell'ambasciatore israeliano ad Ankara e la sospensione dei contratti militari, era la risposta al rapporto Palmer , delle Nazioni Unite. Kilicdaroglu ha espresso parere favorevole sulle posizioni critiche del ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, a riguardo del Rapporto Palmer ritenendolo dannoso per la Turchia ma ha anche insistito sul fatto che declassare i rapporti diplomatici con Israele sarebbe stata una mossa pericolosa per i rapporti tra l'Occidente e la Turchia. "C'era un delegato turco nella commissione Palmer - a detto Kemal Kilicdaroglu- ma credo che il suo parere, essendo in minoranza, non sia stato considerato." Espellendo l'ambasciatore israeliano e declassando le relazioni diplomatiche tra i due paesi, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan effettivamente si è messo in un angolo da solo, ha spiegato Kilicdaroglu "Questo è un duro colpo per la nostra politica estera. A che serve? Israele può sostenere che l'ONU ha espresso parere positivo sul blocco di Gaza . Che risultati ha portato il raid? Avremmo dovuto pensarci prima. Non c'era bisogno di rischiare gli interessi della Turchia così ", ha concluso Kemal Kilicdaroglu.

(FocusMO, 5 settembre 2011)

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I Dem filo-israeliani stoppano Casalecchio: un errore piazza Vik

L'associazione Sinistra per Israele boccia l'intitolazione ad Arrigoni. Ma il sindaco (Pd): non è scelta di parte

di Marco Madonia

  
BOLOGNA - Se il suo «restiamo umani» era un appello per la pace, ora a Casalecchio si consuma una piccola «guerra» proprio nel suo nome. Perché il ricordo di Vittorio Arrigoni continua a dividere. Il Comune ha deciso di dedicare una piazza all'attivista ucciso lo scorso 15 aprile a Gaza da un gruppo di area jihadista sfuggito al controllo di Hamas. Una targa da fissare davanti alla Casa della Pace «La Filanda» che sarà svelata il 17 settembre. L'associazione «Sinistra per Israele», però, è già insorta e con una lettera di protesta ha chiesto e ottenuto un incontro chiarificatore con il primo cittadino, Simone Gamberini.
Il gruppo di militanti filo-israeliani di area Pd parla di fatto «grave» e di una «scelta assolutamente sbagliata». Con il primo cittadino hanno fissato un appuntamento per giovedì prossimo nel tentativo di trovare una mediazione. Intanto, però, la cerimonia in ricordo di Arrigoni resta in agenda. A scoprire la targa ricordo saranno il sindaco, la senatrice (Pd) Rita Ghedini, il presidente dell'associazione percorsi di Pace, Giovanni Paganelli, e probabilmente anche la mamma di Arrigoni. In calendario anche un mini-convegno per parlare del conflitto israelo-palestinese. Proprio a Casalecchio la salma di Arrigoni, prima di essere sepolta a Bulciago, venne salutata da amici e attivisti con una grande bandiera palestinese appesa sul calvalcavia dell'autostrada. Anche per questo motivo la Conferenza della pace del Comune, in contatto con la famiglia e con l'Ong per la quale lavorava Arrigoni, ha deciso di dedicargli una piazza. Idea approvata anche dalla giunta di centrosinistra. «La nostra non è una scelta di parte - spiega il sindaco Gamberini - da anni abbiamo attivato un percorso di riflessione su quel conflitto e collaboriamo con Ong e comunità dove vengono ospitati sia ragazzi israeliani che palestinesi».
Il sindaco non ci sta a passare per antisemita e ricorda: «A Casalecchio abbiamo celebrato la memoria di Angelo Frammartino, (il volontario ucciso da un palestinese a Gerusalemme, ndr)». Una linea che, però, non ha ancora convinto quelli dell'associazione «Sinistra per Israele». Il gruppo nato per «contrastare i pregiudizi anti-israeliani, antisionisti e talora perfino antisemiti che albergano anche in una parte consistente della sinistra italiana"» presieduta dal giornalista ed ex senatore, Furio Colombo. Un gruppo che conta tra le sue fila anche l'assessore regionale alla cultura, Massimo Mezzetti, e il consigliere regionale Idv, Franco Grillini. E sotto le Due Torri ha già alzato le barricate. «Una decisione sbagliata dettata forse da scarsa informazione sui fatti e poca voglia di approfondire - attacca la presidente bolognese dell'associazione, Silvia Cuttin -. Arrigoni non è un simbolo di pace, speriamo che ci ripensino». Più sfumata, ma comunque contraria, la posizione di Colombo: «Non è una buona idea questa corsa all'intitolazione delle piazza a persone che invece di unire dividono - spiega il giornalista -. In Italia non c'è nessuna piazza dedicata, tra l'altro, alla Shoah o ai grandi ebrei italiani. In questo caso mi sarebbe piaciuto che il Comune avesse scelto di tributare un omaggio a Gerusalemme, oppure alla pace in Palestina».

(Corriere di Bologna, 5 settembre 2011)

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Ricordando Giorgina Levi

Dalla fuga in Bolivia all'impegno nella difesa della Costituzione. E' scomparsa a Torino, a 101 anni, Giorgina Levi Arian e le cronache le hanno reso omaggio rievocando il suo impegno politico nelle istituzioni locali e in Parlamento.

di Giancarla Codrignani

Giorgina Levi Arian
Che io sappia - ma non è una novità - non si è fatta menzione della sua vita reale.
Io l'ho conosciuta perché molti anni fa mi mise in contatto con un diplomatico israeliano disponibile per vedere se era possibile costruire qualche opportunità da parte italiana per la distensione con il popolo palestinese. E mi raccontò di sè.
Alla emanazione delle leggi razziali era una ragazza che si era laureata e voleva fare una vita normale con i suo compagno Heinz, un ebreo svizzero-tedesco.
Scopertisi perseguitati perché i nomi Arian e Levi facevano immediatamente perdere i diritti civili e, forse, rischiare la vita, cercarono di emigrare: fu possibile solo in Bolivia, perché in anni in cui la cultura ufficiale richiedeva, per essere ammessi, che una coppia dimostrasse di essere regolarmente sposata, solo quel paese dell'America latina ammetteva chi fosse in possesso di una registrazione di matrimonio formalizzata solo in sinagoga.
Ma anche i rabbini avevano paura di rilasciare un certificato non convalidato per l'espatrio. I due giovani erano nei guai per l'ostinazione di Giorgina che, poiché in quel tempo all'atto del matrimonio la donna assumeva la nazionalità del marito, non voleva perdere il suo diritto.
Trovarono comprensione da parte del rabbino di Genova e partirono. Il governo boliviano era di manica larga nell'accogliere emigrati perché aveva bisogno di medici e medico era il marito Heinz: nemmeno oggi è gran cosa andare a vivere in un villaggio delle Ande, ma a quell'epoca per una giovane donna - e per il giovane medico - non fu facile. Giorgina condivise le scomodità, la miseria e il freddo con le donne della montagna boliviana e divenne capace di aiutarle.
Quando tornò in Italia a guerra finita, si rese conto di quanto positiva fosse stata quell'esperienza e per questo - più che per la sua parentela con la famiglia Montagnana - si iscrisse al Pci e fece politica: per contribuire al bene comune a partire dai più svantaggiati.
Si impegnò anche per gli svantaggi delle donne, ma, soprattutto negli ultimi anni, fino a quando era già quasi centenaria, si diede da fare per difendere la nostra Costituzione e insegnarla ai più giovani.
Nelle scuole torinesi era popolarissima, così come a San Salvario, dove abitava, che per lei era territorio senza problemi, amica dei negozianti, del parrucchiere (conservò sempre una sua certa civetteria), ma anche dell'imam e del parroco. Sempre memore di essere una Levi, ebrea.

(il paese delle donne, 5 settembre 2011)

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Quaranta israeliani fermati e interrogati all’aeroporto di Istanbul

GERUSALEMME - Una quarantina di cittadini israeliani, giunti da Tel Aviv a Istanbul con un volo di linea della compagnia di bandiera turca Turkish Airlines, si sono visti separare dagli altri passeggeri in arrivo e trattenere da agenti della polizia di frontiera turca. Lo ha denunciato una portavoce del ministero degli Esteri d'Israele, Ilana Stein, citata dal sito on-line di Haaretz. Secondo la portavoce, e' stato uno dei connazionali coinvolti nella vicenda a segnalare l'accaduto, che lo stesso dicastero ha poi provveduto a verificare nei dettagli.

(AGI, 5 settembre 2011)

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Trovato l'ossario della nipote di Caifa

Pare dunque che sia confermato ufficialmente: studiosi israeliani hanno scoperto un ossario di 2000 anni fa appartenente alla nipote del sommo sacerdote Giuseppe Caifa.

Uccr - L'iscrizione sull'ossario è in aramaico e recita: "Maria, figlia di Gesù figlio di Caifa sacerdote di Maaziah di Bet 'Imri".L'Israel Antiquities Authority, ha dichiarato che l'ossario è stato sequestrato dai cosiddetti "tombaroli" tre anni fa, i quali lo avevano preso nella valle di Ela in Giudea. Per questo ci è voluto tanto tempo per confermarne l'autenticità e gli esami microscopici hanno confermato che l'iscrizione è "genuina e antica".
Gli archeologi spiegano che Maaziah (o Ma'azya, o Ma'azyahu) è il nome dell'ultimo dei 24 ordini sacerdotali che serviva il Tempio di Gerusalemme. I nomi degli ordini sono elencati nella Bibbia, precisamente in Cronache 1 (24,18) e Maaziah è menzionato nel libro di Neemia (10,9). L'ossario indica che la famiglia di Caifa apparteneva all'Ordine dei Maaziah. Gli studiosi offrono anche due possibili spiegazioni per "Beit Imri", che letteralmente significa "la Casa di Imri". Una possibilità è che questo sia il nome di una famiglia sacerdotale - la famiglia di Imer, la quale è anch'essa menzionata nella Bibbia, precisamente in Esdra (2:36,37) e Neemia (7:39-42). La seconda opzione è che Beit Imri sia il nome di un luogo.
La scoperta suggerisce anche la diffusione dei nomi "Maria" e "Gesù", tra i più comuni allora (come un "Mario Rossi" di oggi, per intenderci). Questa è ciò che può essere definita una delle tantissime "debolezze fortificanti" contenute nel Nuovo Testamento. Infatti, sono tanti gli studiosi che si sono chiesti: "Ma se i Vangeli fossero veramente dei testi inventanti, perché attribuire al Figlio di Dio e alla sua famiglia nomi così banali e diffusi? Non sarebbe controproducente per un falsario?"
Ovviamente ricordiamo che nel 1990, in una piccola tomba di famiglia a Talpiot, un sobborgo di Gerusalemme, venne rinvenuto, tra gli altri, un elaborato ossario del 41-48 d.C., la cui iscrizione diceva chiaramente: "Giuseppe, figlio di Caifa" (o "della famiglia di Caifa). All'interno vennero trovate anche le ossa del Sommo Sacerdote e le analisi mostrarono che morì intorno ai 60 anni. Faceva parte della corrente dei Sadducei, gli unici ebrei a non credere nella resurrezione dei corpi. Eppure la sepoltura nelle cassette degli ossari serviva proprio ad indicare la disponibilità delle nude ossa alla risurrezione del corpo. Forse che anche lui, come la sua famiglia, abbia constatato la resurrezione di Gesù e abbia leggermente modificato le sue convinzioni religiose?

(La Perfetta Letizia, 5 settembre 2011)

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Torna la sindrome nazionalista. Un pericolo che minaccia l'Europa

di David Bidussa

A Ramallah si delinea lo stesso destino del ghetto di Varsavia? Messo alle strette da Dario Fertilio, Zygmunt Bauman non risponde perché non sa come uscire dal suo paragone banale. Gunther Grass, dopo aver fatto un'equivalenza tra morte in massa dei militari tedeschi dopo la guerra nei campi di prigionia sovietici e Shoah, dice che da anni si batte contro tutti per il Premio Nobel ad Amos Oz. È la sindrome nota per cui la conclusione di ogni ragionamento pericolosamente ambiguo e vicino al pregiudizio si risolve nell'affermazione che «tra i miei migliori amici ci sono gli ebrei». Non è improbabile che dietro a tutto questo ci sia la comparazione non risolta tra nazismo e comunismo, come sostiene Pier Luigi Battista.
C'è un'inquietudine europea che dobbiamo osservare con attenzione, com'è emerso, del resto, anche sabato a Cernobbio al Forum Ambrosetti e riguarda in prima persona noi europei di ora alle prese con una crisi che ci terrorizza.
L'Europa è divisa in due: da una parte l'impegno da parte di alcuni volonterosi, tra questi la Germania che, pur con errori e incertezze, vogliono l'Europa perché convinti che quel progetto ci consentirà di guardare al mondo; dall'altra il fascino che molti avvisano per politiche e culture neonazionaliste, convinti che rappresentino un'ancora di salvezza. E accaduto sia a Paesi che avevano intrapreso una via di modernizzazione come l'Ungheria; a Paesi a forte tradizione democratica come l'Austria; a Paesi moderni caratterizzati da una tradizione profonda di pratica della libertà individuale, come la Finlandia, la Danimarca, i Paesi Bassi. E sta accadendo in Francia e forse nemmeno noi, qui in Italia, siamo così lontani da sentire quel fascino.
Quel tempo che pensavamo lontano, è tornato a popolare i sogni di molti europei. Sostituire le parole, come in Francia, perché Shoah è una parola straniera, o parlarne facendo paragoni banali, è la terapia più miope per non guardare in faccia la realtà, scaricando su altri quello che temiamo di ritrovarci a vivere e, da parte di alcuni, forse a scegliere.

(Corriere della Sera, 5 settembre 2011)

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Cultura Ebraica a Casale

di Emanuele Azzità

La Giornata Europea della Cultura Ebraica svoltasi ieri, domenica 4 settembre, ha riguardato tutto il continente, dalla Francia alla Slovenia, dalla Serbia al Belgio. Sono stati 27 i Paesi interessati. Per l'Italia è stato un record perché la festa si è svolta in 62 località. E' il segno di quanto profonde e radicate nella storia siano anche le radici ebraiche del nostro Paese.
A Casale la Giornata è iniziata alle 10 con l'apertura gratuita della Sinagoga, è seguita la presentazione delle schedature informatizzate dei musei (quello dei Lumi e quello degli Argenti) e dell'Archivio. Dato il tema di quest'anno: "Ebraismo 2.0, dal Talmud a Internet, nel pomeriggio è stato presentato anche il nuovo sito della Comunità con gli interventi di Guido Viale Marchino e Elio Carmi. Sempre nella mattinata di ieri c'era anche l'opportunità di visitare a Moncalvo il locale Cimitero Ebraico.
La storia della Sinagoga di Casale iniziò con un contratto di locazione firmato il 17 settembre 1595 a con la costruzione di un forno per il pane azzimo nel 1606. Sempre dal sito della Comunità Ebraica di Casale si apprende che nel 1761 vivevano nella città monferrina 136 famiglie ebree per un totale di 673 persone. Nel 1848 si contavano 850 individui. Agli inizi del secolo scorso ci fu uno spostamento verso centri più importanti come Milano o Torino. Nel 1931 le persone residenti erano 112. Poi c'è stata la Shoah. Oggi ci sono solo due famiglie.
A Moncalvo nel 1836 scorso erano censiti 233 ebrei. Oggi quella Comunità è estinta.
Il Museo Ebraico e la Sinagoga si possono visitare tutte le domeniche dalle 10,00 alle 12,00 e dalle 15,00 alle 18,00. Dalle 8,30 alle 12,30 negli altri giorni. Il sabato e nelle festività ebraiche, chiuso.

(Agenfax, 5 settembre 2011)

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Gerusalemme, un ragazzo batte il tram in velocità

di Leonard Berberi

  
Non son bastati gli anni (travagliati) di lavoro: 12. Non son bastati nemmeno i soldi (tanti, troppi) spesi per costruire l'intera rete: 300 milioni di euro. E non son bastate nemmeno le polemiche e le paure di attentati. Per non parlare del fastidio e dei disagi nel dover ogni giorno aver a che fare con la polvere, con i reticolati, con il cemento sparso un po' ovunque, con la ferraglia mollata ai lati delle strade e i blocchi stradali.
Il tram dei desideri, quel CityPass che in 13,8 chilometri collega Gerusalemme Ovest a quella Est, continua a far parlare. Per carità: per ora di incidenti - tra arabi ed ebrei - non ce ne sono stati. Le pietre sono ancora al loro posto. La polizia ogni tanto controlla, ma non è che sia dovuta intervenire granchè.
Il problema è un altro: la velocità. «Va così lento questo tram che facciamo prima a fare il percorso a piedi», è il lamento di molti. Frase fatta, certo. Lo si dice anche di certi mezzi pubblici di Milano e Roma.
Poi però qualcuno ci ha pensato su e quel percorso l'ha davvero fatto a piedi. Michael Spivak (foto a lato), 28 anni, studente alla Hebrew University, s'è messo un paio di giorni fa a camminare a passo di jogging di fianco al tram. Alla fine dei 13,8 chilometri di binari e ferraglia la conferma: quel treno è davvero lento. Spivak è arrivato per primo al capolinea di Pisgat Ze'ev staccando il bolide di quattro minuti.
La notizia non è irrilevante. Appena s'è sparsa la voce che un ragazzo aveva battuto il tram in velocità il Comune di Gerusalemme ha detto subito che il mezzo pubblico sarà impostato per aumentare i chilometri orari. «Quando l'ho visto per la prima volta - ricorda Spivak - mi sono chiesto se sono io o davvero questo tram procede come una tartaruga». Dopo una veloce verifica sul campo, la conferma: il «problema» è nel CityPass.

(Falafel Cafè, 5 settembre 2011)

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Grass e Auschwitz

di Donatella Di Cesare

La fabbricazione di cadaveri su scala industriale, avvenuta nei lager nazisti, non ha termini di paragone e resta - che lo si voglia o no - una ignominia incancellabile nella storia della Germania. Le parole di Günter Grass non sono perciò né una banalità superficiale né un'innocua relativizzazione. È grave affermare: «i crimini portarono a disastrose conseguenze per i tedeschi, che a loro volta divennero vittime». Già nell'immediato dopoguerra la Germania è stata tentata dal ruolo della vittima. Non si tratta del diritto di raccontare la storia dalla parte dei perdenti - il che è certo legittimo. Si tratta di rovesciare i ruoli. E di farsi passare per vittime. Questo non è accettabile. Günter Grass non è nuovo, d'altronde, a prese di posizione del genere. Nel suo romanzo «Il passo del gambero» (Einaudi 2004) racconta in forma romanzata l'affondamento della Wilhelm Gustloff, la nave da crociera, silurata da un sottomarino sovietico il 30 gennaio del 1945, mentre navigava sul Baltico. Morirono novemila tedeschi in fuga dall'Armata Rossa. Non si può non provare compassione per quei civili che morirono. Ma tre giorni prima, il 27 gennaio, avanzando l'Armata Rossa era arrivata ad Auschwitz. La posizione di Grass, che proviene da una famiglia di rifugiati costretti a lasciare Danzica, non è alla fine molto diversa da quella di Martin Walser che vorrebbe affrancare la Germania dalla colpa della Shoah. In un'intervista rilasciata il 9 febbraio del 2002 Grass ha d'altronde dichiarato: «Posso capire che Walser voglia metterci un punto di chiusura, lo desidero anch'io di tanto in tanto […]. Ma Auschwitz appartiene alla nostra storia e, dunque, alla nostra identità. Il che non significa che debba essere strumentalizzata per costringere i tedeschi al silenzio» (ristampata nel volumetto «Scrivere dopo Auschwitz»). La domanda è: a quale silenzio sarebbero stati costretti i tedeschi? E da chi? Riaffiora il ruolo della vittima. Ma sullo sfondo non è difficile leggere il malumore di una nazione che ha bisogno di recuperare, tra occidente e oriente, una vecchia identità senza passare per gli ultimi decenni della sua storia.

(Notiziario Ucei, 5 settembre 2011)

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Israele: "gli scambi commerciali con la Turchia continueranno"

Malgrado il recente strappo diplomatico tra Tel Aviv e Ankara, gli israeliani appaiono fiduciosi: «Gli scambi commerciali con la Turchia continueranno». Ne sembrano convinti gli esperti dell'Istituto israeliano per l'export e la cooperazione internazionale, i quali sottolineano anche i buoni risultati ottenuti nell'ultimo biennio dalle esportazioni israeliane in Turchia e viceversa. Tra gennaio e luglio 2011 la Turchia ha acquistato merci e beni dallo Stato ebraico per 1.1 miliardi di dollari: cifra in proporzione superiore rispetto a quella dell'anno precedente, nonostante un parallelo crescendo delle tensioni politiche tra i due Paesi.
In tutto il 2010, l'export israeliano verso il mercato turco aveva fatto registrare un volume di affari totale pari a 1.3 miliardi di dollari. «La Turchia è stata un'importante partner commerciale nei primi sette mesi del 2011 - spiega Avi Hefez, direttore dell'Istituto -, il settimo mercato al mondo per i prodotti israeliani». Il 70% dei prodotti che Tel Aviv vende ai turchi sono prodotti chimici e gaspetroliferi. Importanti anche altri settori: macchinari pesanti, metalli, legno, carta, mobili. Ma anche i prodotti turchi hanno fatto registrare performance molto buone in Israele. «Entrambi i Paesi - continua Hefez - hanno dunque tutto l'interesse affinché vengano mantenute le relazioni commerciali. In particolare, Ankara esporta verso Israele più di quanto non importi. La sua bilancia import-export rispetto è in positivo, e crediamo che gli uomini d'affari turchi vogliano mantenere questo stato di cose». La crisi in corso tra Israele e Turchia è iniziata nel maggio dello scorso anno, in seguito all'affaire della Mavi Marmara. Il battello turco, parte della Freedom Flotilla, aveva tentato di rompere l'embargo israeliano su Gaza; il conseguente scontro con i militari israeliani ha causato la morte di nove cittadini turchi. Da allora, Ankara aspetta scuse ufficiali da Tel Aviv.

(FocusMO, 5 settembre 2011)

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Riconoscimento per i governatori delle banche centrali di Libano e Israele

Il numero uno della Banca centrale libanese, Riad Salamé, e il suo collega israeliano, Stanley Fischer, sono stati quest'anno i migliori nel loro ruolo. Come avviene dal 1994, il magazine statunitense Global Finance ha scelto i migliori banchieri centrali del 2011, tra quelli di 36 paesi, Ue compresa. I criteri per l'assegnazione del riconoscimento sono controllo dell'inflazione, obiettivi di crescita economica, stabilità monetaria e gestione dei tassi di interesse.
Riad Salamé è al suo quarto mandato alla giuda dell'istituto, dal 1993 ha stabilizzato la Lira libanese e ristrutturato il sistema bancario nazionale, ottenendo grandi apprezzamenti per la gestione della crisi post 2008. Stanley Fischer giuda la Banca di Israele dal 2005, dopo un passato di economista capo alla Banca Mondiale. Gli altri premiati sono i governatori delle banche centrali di Australia, Malaysia, Filippine e Taiwan.

(FocusMO, 5 settembre 2011)

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Mantova - Grande emozione per il Qaddish di Verdi

di Angelica Bertellini

  
A Mantova grande attesa per l'esecuzione del ritrovato Qaddish verdiano affidato alla curatela di Stefano Patuzzi. Il giardino e l'ingresso della Comunità gremiti, il benvenuto come di consueto caloroso e partecipato del presidente Fabio Norsa, i saluti delle autorità cittadine e finalmente l'ingresso nel Tempio, dove si è potuto assistere all'esecuzione del Qaddish musicato da Giuseppe Verdi grazie alla Schola Cantorum "Pietro Pomponazzo" (soprano Antonella Antonioli e direttore Roberto Fabiano). Tale l'affluenza del pubblico da chiedere al Coro almeno un bis, per consentire a tutti di entrare in gruppi. In questa occasione è stato presentato anche il nuovo libro di Emanuele Colorni, vice presidente della Comunità, "C'era una volta il ghetto", in anteprima a pochi giorni dall'ufficiale uscita in programma per il Festivaletteratura. In serata sarà la volta del volume "Ebraismo in musica - dalla Mantova di Salomone Rossi al Qaddish di Giuseppe Verdi", a cura di Stefano Patuzzi (ed Di Pellegrini), poi nuovo musica ebraica nel teatro Bibiena con Angel Harkatz e il suo complesso vocale e strumentale. Un anno fa era stato annunciato l'inizio del progetto di digitalizzazione e messa in rete del prestigioso Archivio storico della Comunità e siamo davvero a buon punto: tra poco questo prezioso patrimonio sarà consultabile da tutti e gratuitamente con un semplice click; Mantova 2.0: dal Talmud a internet (passando da Verdi e dal Festivaletteratura), una piccola Comunità che valorizza il suo passato e guarda al futuro.

(Notiziario Ucei, 4 settembre 2011)

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Napolitano scrive a Fassino: commosso per la scomparsa di Giorgina Arian Levi

torino, 4 set. - "Partecipo commosso al cordoglio per la scomparsa di Giorgina Arian Levi, per piu' legislature parlamentare appassionata e competente". Inizia cosi' il telegramma indirizzato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al sindaco di Torino, Piero Fassino, per esprimere il suo cordoglio per la scomparsa di Giorgina Arian Levi, morta ieri a Torino. "Suscitava generale rispetto - prosegue il Capo dello Stato - la sua personalita' fine discreta e ferma, la sua dedizione alla causa dell'antifascismo, della difesa dei valori dell'ebraismo e a tutte le battaglie di progresso civile e sociale". "Ella sara' ricordata - sottolinea il presidente Napolitano - con gratitudine e rimpianto come rappresentante eccellente della tradizione democratica torinese. Sono affettuosamente vicino in questo triste momento - conclude il presidente della Repubblica - ai suoi famigliari".

(Adnkronos, 4 settembre 2011)

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Ballando sul Titanic

di Ugo Volli

Spigolatura di notizie degli ultimi due o tre giorni: a Venezia, profanato con svastiche il cimitero ebraico. A Jedwabne, nella Polonia orientale, distrutto il monumento ai 340 ebrei che nel luglio 1941 furono concentrati in un fienile in questa localita' e bruciati vivi da un commando nazista, con la partecipazione della popolazione polacca del luogo. In Francia, la parola "Shoà", se non proprio la cosa stessa, è bandita dai libri di scuola, per decisione del Ministero dell'Istruzione. Bisogna dire pudicamente "anéantissement", distruzione, che oltre a essere una brava parola francese, fa mano paura, è più normale - chi, che cosa non è distrutto prima o poi nella storia?
In Germania il premio Nobel Gunther Grass dichiara che in fondo non c'è troppa differenza fra la Shoà e la morte di stenti dei soldati tedeschi fatti prigionieri alla fine della Seconda Guerra mondiale (che non è negare tanto l'unicità del genocidio subito dagli ebrei, ma la sua volontarietà e programmazione, argomento di tutti i negazionismi). In Gran Bretagna, un concerto della Filarmonica di Israele alla Royal Albert Hall è stato impedito dalla contestazione di un gruppo di scalmanati. In Turchia, il governo che è stato sonoramente smentito dal rapporto Palmer sugli incidenti della flottiglia di un anno fa, minaccia Israele di tutti i mali, compreso uno scontro navale se vi sarà una prossima flottiglia. A Tel Aviv, tre giorni fa, vi è stata l'ennesima caccia al civile disarmato da parte di un terrorista palestinese. Da Gaza si sparano continuamente razzi sui villaggi ebraici dentro a Israele, senza che il mondo si agiti più che tanto. In Italia si pubblicano liste di ebrei. Si potrebbe continuare a lungo.
Difficile negare che l'antisemitismo sia in piena forma e abbia ormai travolto la barriera di ritegno imposta per qualche decennio dal ricordo della Shoà. Essere antisemiti, con o senza la maschera dell'antisionismo, è ormai più o meno normale. Insultare il prossimo dandogli dell'ebreo è così comune che non si nota più. Sostenere che Israele è la fonte di tutti i mali è più o meno ovvio. Non lo fanno solo gli estremisti o le star avvinazzate, sono luoghi comuni, diffusi, condivisi. Chi prova quotidianamente a contrastarli vede nei propri interlocutori comuni, non militanti, incredulità e sconcerto, prima ancora che polemica: come, credi davvero che Israele non sia uno stato criminale e che gli ebrei non si siano trasformati in nazisti? Ma allora devi essere un fanatico un po' matto...
E naturalmente, come sempre nella storia, ci si mettono anche gli ebrei che hanno interiorizzato l'odio degli antisemiti o pensano di riuscire più accettabili insultandosi da sé. Così negli ultimi giorni il sociologo "liquido" Zygmund Bauman ("Il muro di Betlemme mi ricorda quello del ghetto di Varsavia") e costantemente l'ebreo da teatro Moni Ovadia che ha costruito la sua immagine sugli insulti più volgari ("stupidi", "fanatici", "razzisti", "colonialisti", "sgherri", "banda bassotti", "rambo" ecc.) a Israele e al suo governo.
E' un clima di assedio progressivo, apparentemente focalizzato sullo stato di Israele. Il prossimo passo importante sarà la battaglia all'Onu sul riconoscimento di uno stato palestinese che farà saltare definitivamente il quadro degli accordi di Oslo. E' sicuro che questa battaglia sarà persa, il problema è il come e soprattutto quel che ne seguirà. Ma non si capisce il perché dell'odio antisraeliano così diffuso nel mondo se non si vede che Israele da sempre è il nome collettivo degli ebrei e che oggi lo si colpisce "a prescindere" dalle ragioni e dai torti come una volta si facevano i pogrom su accuse ridicole senza badare affatto al loro fondamento.
E' in questo quadro che oggi si celebra una giornata europea della cultura ebraica dal titolo non si capisce se più ridicolo o iettatorio. Per favore, qualcuno spieghi che significa "Ebraismo 2.0". L'attributo numerico 2.0 di solito si applica a programmi informatici che sono stati riscritti per superarne i difetti, come ha raccontato anche David Piazza nel suo blog. E' così? Qualcuno ha riscritto la Torah senza che ce ne accorgessimo? Per renderla più moderna? Ha trasformato un gran libro di discussioni e deliberazioni come il Talmud in un sito web senza dircelo? Con le musichette e le animazioni Java? Per carità, nessuno ha fatto questo, come nessuno dice di voler offrire tribune agli antisemiti. Lo si fa così, senza badarci, per riuscire più popolari, per sembrare aggiornati e fare il "tutto esaurito", per offrire una faccia popolare e simpatica, per sostituire le barzellette sugli ebrei raccontate da ebrei che sono divertenti (ma Freud ha spiegato che servono a parare un po' l'aggressività, che sono l'altra faccia dell'antisemitismo) alla Torah che sarà anche un gran libro, ma in fondo è un po' noiosa e andrebbe proprio riscritta: ebraismo 2.0, magari a fumetti e con barzellette su Moshé. Un ballo del Titanic. Un suicidio grottesco. Come disse più o meno una volta il grande politico francese Talleyrand, è qualcosa di peggio di un crimine, è un errore.

(Notiziario Ucei, 4 settembre 2011)

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Egitto: si chiudono i tunnel a Rafah

Polizia e esercito all'opera per impedire il contrabbando di merci

IL CAIRO, 3 set - Esercito e polizia egiziani stanno procedendo a chiudere i tunnel a Rafah che collegano l'Egitto a Gaza e che sono usati per fare entrare nella Striscia merci di contrabbando, incluse automobili. Soldati e poliziotti stanno usando macchinari per gettare sabbia e pietre nei tunnel. E hanno chiesto agli abitanti della zona di confine di dare informazioni sulla presenza dei tunnel e cio' ha gia' portato alla chiusura di 160 tunnel nella zona abitata di Rafah.

(ANSA, 3 settembre 2011)

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Chi tocca la parola Shoah attacca Israele

di Fiamma Nirenstein

  
Se qualcuno giocherella con la Shoah, questo fa Ahmadinejad contento. Fa contento anche Nasrallah capo degli Hezbollah, fa contenta Hamas, fa contenta la jihad islamica e Al Qaeda, fa felice i neonazisti e tutti quelli che vanno a disegnare svastiche nei cimiteri ebraici. Decidere come ha fatto la Francia che la parola «Shoah» non si può più usare nei libri di testo, sparare errori storici sul numero dei prigionieri tedeschi uccisi per compararlo ai sei milioni di ebrei sterminati, come ha fatto Günter Grass, sono giuochi da salotto che oltre a essere cretini, dato che la storia della Shoah è un masso inamovibile e un testo trasparente per la coscienza e la conoscenza di chi ce l'ha, hanno ormai un significato politico evidente. Giocare con la Shoah, annettersi in un modo o nell'altro all'ormai grande vecchio carrozzone della sua negazione, è la maggiore arma oggi in uso per distruggere gli ebrei e Israele. Insomma, è un'arma antisemita.
E sia chiaro che io penso che di stermini ce ne sono stati di immensi, di comparabili a tratti e per segmenti (la strage dei kulaki, gli armeni, la Cambogia, il Darfur..) ma forse non nella loro interezza di operazione crudele oltre la misura, programmata, ideologica, organizzata, perdurante, di largo successo, attuata contro persone integrate a perfezione nell'educazione e nella vita civile del popolo che l'ha decisa, immensa... La negazione della Shoah va in coppia con la promessa di «spazzare via il regime sionista»: Ahmadinejad ha citato la promessa dell'Ajatollah Khomeini di «spazzare Israele via dalla mappa» quando nel 2006 parlò ai delegati della conferenza sull'Olocausto sponsorizzata dall'Iran. C'erano David Duke, il capo del Ku Klux Klan, Faurisson, Garaudy.. ma tutti i vecchi arnesi della negazione della Shoah sono stati rapidamente rimpiazzati dall'abitudine ossessiva e ripetuta dell'idea che la Shoah sia una specie di passpartout con cui gli ebrei e Israele ingannano il mondo, fanno quello che vogliono, diventano a loro volta i perpetratori di crimini simili a quelli di cui accusano i nazisti. A queste orribili balle, che partono dalla negazione della Shoah e cui il mondo si è assuefatto e con cui gioca a dadi, segue la promessa di distruggere gli ebrei e Israele.

(il Giornale, 3 settembre 2011)

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Teppisti intellettuali contro Israele

Il vandalismo antisraeliano ha un volto comune di protesta. E' quello mostrato da una trentina di attivisti che hanno interrotto per due volte un concerto della Filarmonica di Israele, sotto la direzione di Zubin Mehta, tenuto giovedì alla Royal Albert Hall di Londra. L'emittente Bbc, che trasmetteva la serata sul terzo canale radiofonico, durante le proteste ha sospeso la diretta scusandosi con gli ascoltatori. Poi c'è un altro teppismo, più grave, sottile, perfido. E' quello intellettuale sfoggiato dal sociologo Zygmunt Bauman, il filosofo della "modernità liquida", la star delle chattering classes italiane, "uno dei più grandi pensatori viventi". In un'intervista a un settimanale polacco, Politika, Bauman ha detto che "Israele sta traendo vantaggio dall'Olocausto per legittimare azioni inconcepibili" e che il fence anti terrorismo eretto da Gerusalemme per difendere i propri cittadini è come il Ghetto di Varsavia. Non si tratta di una boutade, ma di una idea che da anni circola nei quadri dell'intellighenzia europea. Nel 1982 fu il premier socialista della Grecia, Andreas Papandreou, a paragonare Israele ai nazisti. Poi venne Norbert Blum, ministro tedesco del Lavoro, un cristiano-democratico, che accusò Israele di operare sui palestinesi una "Vernichtungskrieg", l'espressione nazista per la guerra di sterminio. La disse il Nobel José Saramago, quando paragonò Ramallah ad Auschwitz. Fino al giornale norvegese Dagbladet, che durante la guerra del Libano nel 2006 fece la caricatura del premier israeliano Ehud Olmert come il maggiore delle SS Amon Goeth, quello di "Schindler's List" di Spielberg. Ora il famoso sociologo Zygmunt Bauman paragona una barriera provvisoria che ha fermato i kamikaze e che ha consentito di riavviare i colloqui negoziali al ghetto in cui 400mila ebrei polacchi furono rinchiusi prima di essere sterminati nelle camere a gas di Treblinka. Bauman non fa dell'umanitarismo, sta dicendo: Israele merita di fare la fine dei nazisti. La questione dell'assedio esistenziale allo stato ebraico sta diventando davvero il discrimine morale attraverso cui giudicare la salute o la perversione intellettuale dei nostri maître à penser e delle classi dirigenti occidentali.

(Il Foglio, 3 settembre 2011)

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Addio a Giorgina Levi, testimone della Shoah

Giorgina Arian Levi
E' deceduta al Mauriziano: aveva 101 anni. Una lunga militanza politica nelle file del partito comunista. Una parentela con Togliatti. Aveva ricevuto il sigillo civico della città di Torino
E' morta nella notte a Torino Giorgina Arian Levi, saggista, storica, giornalista, a lungo deputata del Pci, ma soprattutto una delle testimoni della Shoah. Imparentata con Palmiro Togliatti, aveva da poco compiuto 101 anni. Il decesso è avvenuto all'ospedale Mauriziano dove era stata ricoverata dopo un malore avuto nella casa di riposo della comunità israelitica dove da tempo era ospite.
L'anno scorso per i suoi 100 anni era stata festeggiata dal Comune di Torino che le aveva consegnato il sigillo civico della città. La cerimonia avvenne nella Sala Rossa che l'aveva vista consigliera comunale dal 1957 al 1964, poi deputata fino al 1972.
La parentela con Togliatti è da parte di mamma, Gemma Montagnana che era sorella di Rita, prima moglie del "migliore". Giorgina Arian Levi era una battagliera di natura.
Sposata con il medico tedesco Heinz Arian, anche lui ebreo, per sfuggire al nazifascismo emigrò in Bolivia nel 1939 e vi rimase fino al 1946.
Da quando rientrò in Italia, Giorgina Arian Levi non smise mai l'impegno politico, civile, spendendosi innanzitutto a diffondere tra i giovani la memoria della Shoah e con essa i valori della libertà, del rispetto della dignità umana, dei diritti fondamentali di ogni popolo. Si è dedicata anche alla ricerca storica sul movimento operaio, sull'America Latina e sulle comunità ebraiche in Piemonte. E' stata fondatrice e per molti anni direttore del periodico ebraico "Ha Keillah" e membro del Consiglio della Comunità israelitica di Torino.

(la Repubblica, 3 settembre 2011)

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Pd di Torino: un minuto di silenzio per la morte di Giorgina Arian Levi

TORINO, 3 set. - Raggiunta dalla notizia della scomparsa di Giorgina Arian Levi, il segretario del Partito Democratico di Torino, Paola Bragantini, ricorda con stima e affetto ''una donna straordinaria, coraggiosa testimone, non solo della Shoah, ma anche di una delle pagine piu' memorabili della storia della nostra Repubblica. Giornalista, storica, saggista, a lungo deputata del Pci, Giorgina Arian Levi rappresenta per noi - sottolinea l'esponente del Pd torinese - un esempio di indomabile spirito e di appassionato impegno civile e politico". "Il Partito Democratico Torinese tutto la piange - conclude Bragantini - e in suo ricordo osservera' un minuto di silenzio in occasione del dibattito previsto questa sera alla Festa Democratica''.

(Adnkronos, 3 settembre 2011)

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Indignados a Tel Aviv per la "Marcia del Milione"

Appuntamento cruciale per i leader del movimento

ROMA, 3 set. - Iniziata un mese e mezzo fa con una singola tenda montata in Rothschild Boulevard, a Tel Aviv, la protesta degli "indignados" israeliani contro il carovita e le politiche sociali del governo Netanyahu raggiungerà il sua apice stasera, sempre nella città costiera, con la cosiddetta "Marcia del Milione". Si tratta di evento cruciale per il destino di questo movimento di protesta che non ha precedenti nella storia di Israele, e che ha riscosso ampi consensi nel paese, nonostante tra i suoi due leader riconosciuti stiano emergendo frizioni, come mette in evidenza oggi il quotidiano israeliano Haaretz, dovute anche al loro differente stile.

(TMNews, 3 settembre 2011)

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Per Erdogan è un momentaccio: blocco di Gaza giusto, "Flotilla" out

di Bernardino Ferrero

Non è andato giù al governo turco il rapporto stilato dalla commissione Palmer della Nazioni Unite che, pur giudicando eccessivo il raid dei commando israeliani sulla Mavi Marmara (la nave della Flottilla che l'anno scorso cercò di raggiungere Gaza), e chiedendo a Israele di inoltrare delle scuse formali ad Ankara e a risarcire le famiglie delle vittime (i nove cittadini turchi morti durante l'operazione), in sostanza legittima il blocco israeliano di Gaza e critica Erdogan per aver permesso ai fondamentalisti dell'IHH di imbarcarsi, armati di mazze, bastoni e coltelli, per raggiungere i territori palestinesi.
Spiazzato dal rapporto delle Nazioni Unite, e appreso che il governo israeliano si limiterà ad esprimere rammarico per l'accaduto ma non delle scuse formali (Netanyahu ha ricevuto un forte sostegno popolare su questo punto), Erdogan e il suo ministro degli esteri Davutoglu hanno reagito con durezza, espellendo l'ambasciatore israeliano in Turchia, bloccando qualsiasi iniziativa comune da un punto di vista militare e disconoscendo il documento redatto dalla Commissione Palmer.
Netanyahu, al contrario, si è detto pronto ad adottare il rapporto "con alcune riserve", definendolo "serio, professionale e approfondito". Secondo Israele, furono i "pacifisti" dell'IHH (che ne escono per quello che sono: un movimento aggressivo, provocatorio e pericoloso) a reagire all'abbordaggio della Marmara attaccando i commando israeliani, provocando le nove vittime che hanno scatenato la lunga crisi diplomatica tra i due Paesi.
Ma al di là dei rispettivi punti di vista, è importante notare che per una volta le Nazioni Unite non sembrano piegarsi all'opinione favorevole ai palestinesi che domina al Palazzo di Vetro, in molte cancellerie internazionali e nella galassia delle organizzazioni di sinistra pro-palestinesi. Il rapporto rischia al contrario di essere un brutto viatico per la tanto attesa dichiarazione di indipendenza palestinese: lo Stato ebraico ha il diritto di chiudere le frontiere con Gaza per ragioni di sicurezza e si riconosce finalmente la minaccia rappresentata dai missili lanciati dalla Striscia su Israele.
Una soluzione della crisi avrebbe potuto essere questa: Israele chiede scusa e paga i risarcimenti, la Turchia riconosce che il blocco di Gaza è necessario e prende dei provvedimenti contro l'IHH, e i due Paesi continuano a fare affari e ad avere normali relazioni diplomatiche. Invece gli effetti dello scontro in atto sono destinati a influenzare negativamente le relazioni turco-israeliane, almeno fino a quando ad Ankara resterà al potere il governo islamico di Erdogan. Che non ha perso solo una battaglia con Gerusalemme, ma anche con l'Unione Europea (o almeno con quanti credono ancora che una Turchia islamica possa entrare nella Ue), e con gli Usa (quando si tratterà di discutere sulla questione curda ma anche sulla situazione nella parte Nord di Cipro).

(l'Occidentale, 3 settembre 2011)

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Irene e le sue figlie, la storia di una voce spenta dalla Shoah

  
Sarà che è ormai alle porte (domani 4 settembre) la Giornata Europea della Cultura Ebraica, con molte manifestazioni anche nel nostro Paese, sarà che si tratta di una delle migliori "riscoperte" letterarie degli ultimi tempi, ma la pubblicazione di un ultimo libro-biografia su Iréne Némirovsky è davvero una bella occasione per tornare ad occuparsi di questa grande scrittrice dal destino tragico. Il libro a cui facciamo riferimento si intitola "Mirador. Iréne Némirovsky, mia madre", è pubblicato, in Italia, dalla Fazi editrice, ma soprattutto è scritto da Elisabeth Gille, una delle due figlie della scrittrice. Bisogna ricordare questa storia paradigmatica.
La Némirovsky nasce in Ucraina nel 1903, in una famiglia ricca di origini ebraiche. L'infanzia è dorata, ma anche molto infelice, per via del rapporto tormentato con la madre, assente, preoccupata solo di se e del tutto indifferente alla figlia. Qualcosa che ferirà profondamente Irène e plasmerà, in un certo senso, la sua creazione letteraria. A causa degli sconvolgimenti seguiti alla Rivoluzione del 1917, la famiglia lascia la Russia e, dopo lunghe e penose peregrinazioni, approda a Parigi. Qui si chiarisce la vocazione alla scrittura per la giovane brillante e tormentata. I suoi racconti e romanzi cominciano ad essere pubblicati con molto successo. Nonostante la conversione al cattolicesimo nel 1939, dopo l'invasione nazista della Francia, Irène Némirovsky, in quanto di origine ebrea, viene arrestata e deportata nel luglio del 1942 ad Auschwitz, dove morì un mese più tardi.
Anche il marito, Michel Epstein, che aveva cercato di farla liberare, muore in una camera a gas, nel novembre dello stesso anno, al suo arrivo ad Auschwitz. Le due figlie, Elisabeth e Denise, si salveranno grazie alla fuga e alla carità dei pochi amici rimasti, trascinandosi dietro, in quei tristissimi giorni di peregrinazioni e di pericolo, una valigia, che conteneva il manoscritto dell'ultimo romanzo, incompiuto, della mamma, quella "Suite francese", che ripubblicata tanti decenni dopo, faceva riscoprire al mondo una straordinaria autrice, dalla scrittura poetica e insieme poco indulgente, capace di ritrarre la realtà nella sua fatalità e crudezza.
Alla fine della guerra, Elisabeth e Denise torneranno a vivere una vita più normale, o almeno a tentare di farlo. Tentativo non semplice, se si pensa a quando Denise racconta, in un'intervista di circa un anno fa, rievocando poi la figura dell'odiata nonna: «Mia mamma e lei si detestavano. Non si parlavano da anni. Mia mamma adorava il padre ed è per questo che in ogni suo libro c'è un ritratto feroce della madre. Dopo la guerra mi sono ammalata, non avevo soldi per curarmi e la tutrice mi ha portato dalla nonna a Nizza. Lei nel frattempo aveva ritrovato l'appartamento e la sua fortuna. Abbiamo bussato alla sua porta non so quante volte. Lei non ha aperto. L'ho rivista da morta, aveva 100 anni. Ci siamo sbarazzate di tutti i suoi ricordi».
Elisabeth intraprenderà una brillante carriera nel mondo letterario fino a diventare direttrice della Juilliard. In Mirador, scrivendo di Irene, Elisabeth scrive, in fondo, di se stessa: uno sguardo profondo e commosso sui suoi legami con il padre e con la madre, la sorella… E poi la fama e le sue illusioni, l'ebraismo e la Shoah. A poca distanza dalla celebrazione della Giornata europea della cultura ebraica, dunque, leggere la vita tragica di Irene Nemirovsky e delle sue figlie significa anche provare a comprendere uno dei tanti aspetti dell'identità ebraica e, ancora una volta, sentire il brivido terribile sotto l'ombra nera e infinita dell'Olocausto.

(korazym.org, 3 settembre 2011)

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Ecco perché il termine «Shoah» richiama l' unicità di quell' evento

di Lewy Mordechay, Ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede

Lewy Mordechay
Durante un incontro tra diplomatici israeliani un mio anziano collega disse che il ricordo della Shoah si sarebbe dovuto mantenere come intima memoria piuttosto che come esposizione in pubblico delle sofferenze e dei traumi. Solo così il ricordo sarebbe rimasto autentico e immune da banalità e strumentalizzazioni. Nonostante ciò, coltivare la memoria collettiva di un evento così traumatico, unico nel suo genere, è una necessità. Con il trascorrere del tempo, i sopravvissuti scompaiono e il ricordo dei fatti potrebbe sbiadire. I primi anni '50 furono caratterizzati dal silenzio delle vittime e degli aguzzini, un silenzio che si ruppe con il processo Eichmann che portò a una nuova riflessione sulla Shoah fra i membri della seconda generazione - sia delle vittime sia degli aguzzini. Si iniziò a promuovere la cultura della memoria. La Shoah doveva essere spiegata alle generazioni più giovani e si ritenne che si potesse mantenere viva grazie alla ripetizione.
   Ma si aprì anche la strada alla banalizzazione. Poiché per correttezza politica si usava il termine «olocausto» per descrivere il male estremo, la tentazione di etichettare altri eventi come olocausti divenne politicamente conveniente. Olocausti in Biafra, in Cambogia, in Burundi o nel Darfur hanno riempito i titoli dei media, contribuendo a richiamare l' attenzione su eventi che lo meritavano. Tuttavia lo scotto da pagare è stato il venir meno dell' unicità della Shoah e della sua memoria.
   Il termine greco «olocausto», letteralmente «offerta interamente bruciata», nella Bibbia (Ger 19,4-5) indica i sacrifici umani alle divinità infernali. La stessa definizione viene data dall' Encyclopedie di Diderot. D' altra parte, a New York, nel 1932, la pubblicità di una svendita annunciava che tappeti orientali erano oggetto di un «grande olocausto del prezzo». Il termine «olocausto» per indicare lo sterminio nazista degli ebrei fu utilizzato per la prima volta nel novembre 1942 in un editoriale del Jewish Frontier. Tuttavia, anche dopo il 1945, non è mai divenuto un sinonimo preciso di sterminio degli ebrei, infatti, fino ai primi anni Sessanta, era usato principalmente nel contesto della catastrofe nucleare. Il termine «olocausto» per indicare lo sterminio degli ebrei era dunque usato raramente e sempre insieme all' aggettivo «ebraico». Nel 1978 la serie televisiva statunitense «Holocaust» fu trasmessa in tutto il mondo occidentale legando così il termine allo sterminio ebraico.
   Sono numerosi i motivi per cui è divenuto preferibile il termine Shoah per indicare l' evento, unico nel suo genere, dell' uccisione sistematica e meccanizzata che portò allo sterminio di un terzo del popolo ebraico. In primo luogo, esso offre un' alternativa ai significati imprecisi del termine «olocausto». L' unicità è meglio mantenuta con il termine Shoah. In secondo luogo, utilizzando il termine Shoah si può mostrare rispetto e solidarietà alle vittime e al modo in cui esse stesse esprimono la propria memoria nella loro lingua ebraica. Probabilmente dobbiamo questa sostituzione di termini al regista Claude Lanzmann che, nel 1985, ha intitolato il suo documentario di nove ore proprio «Shoah». Ciò ha reso internazionalmente nota questa parola ebraica.
   Gli ebrei hanno sviluppato una sensibilità all' uso di questo termine, ritualizzato nella cultura della memoria per evitare la dimenticanza. A tutt' oggi accomunare la loro unica esperienza di vittime con le atrocità commesse contro altre nazioni sembra equivalere al tradimento di un lascito trasmesso alle generazioni di ebrei sopravvissuti a quell' evento. Infatti, se la possibile conseguenza della memoria è la banalizzazione, il prezzo della dimenticanza è molto più alto. Per questo all' entrata dello Yad Vashem si possono leggere le parole di Baal Shemtov: «La memoria è la fonte della redenzione». Ambasciatore d' Israele presso la Santa Sede

(Corriere della Sera, 3 settembre 2011)

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Profanato un monumento agli ebrei in Polonia
  


VARSAVIA — È stato devastato a Jedwabne, nell'Est della Polonia, il monumento ai 340 ebrei che nel luglio 1941 furono bruciati vivi in un fienile dalla popolazione polacca del luogo, probabilmente affiancata da soldati nazisti. Come ha reso noto la polizia, il monumento è stato profanato con delle svastiche, mentre sono state cancellate con una vernice verde le scritte che ricordano i fatti avvenuti settant'anni fa. Sulle pietre che tracciano la pianta del fienile gli assalitori hanno lasciato scritte antisemite, come «Non chiediamo scusa per Jedwabne», «Erano altamente infiammabili». Il monumento era stato realizzato dieci anni fa con il patrocinio dell'allora presidente Aleksander Kwasniewski. L'attacco si è verificato alla vigilia dell'anniversario dell'invasione tedesca della Polonia, il primo settembre 1939.

(Corriere della Sera, 2 settembre 2011)

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Moni Ovadia alla giornata della cultura ebraica, che cosa ne pensa la gente?

di Michael Sfaradi

Che cosa spinga gli ebrei, già vittime designate della storia, a fare scelte impopolari e improponibili rimane e, a nostro avviso rimarrà, uno dei misteri più profondi del creato. Dobbiamo purtroppo registrare che anche in Italia questo 'modus operandi' sta prendendo piede e, l'ultima trovata, in ordine di tempo, è stata l'invito a Moni Ovadia in occasione della giornata della cultura ebraica. Quello che la base non perdona al personaggio è, ad esempio, che in occasione dell'uccisione di Vittorio Arrigoni, il pacifinto amico dei palestinesi e da loro ucciso perché troppo occidentale, Ovadia accusò Israele come mandante dell'omicidio. Dichiarò tra l'altro: " Ma Il mandante della violenza è l'oppressione, l'ingiustizia, il privilegio, il razzismo … I mandanti morali di questo ennesimo orrore sono gli sgherri di questo status quo che si sottraggono alla giudicabilità grazie alla sconcia inerzia della vile comunità internazionale. E questo ignobile status quo, voluto per cancellare l'identità di un popolo, proseguirà il suo sporco lavoro." Dando così, di fatto, la colpa a Israele continuando ad accusarla, secondo il collaudato metodo Goebbels riesumato dai palestinesi e tanto ben accettato dal miope occidente, dove le bugie ripetute diventano realtà. Quando poi la verità e la dinamica di quell'omicidio vennero alla luce, non fece nessun cenno di rettifica sulle dichiarazioni date a caldo. All'indomani della strage di Itamar, una famiglia ebrea israeliana sgozzata nel sonno bambini compresi, Moni Ovadia adottò invece la politica dell'assordante silenzio e non fece uscire dalla sua bocca nessuna parola di cordoglio stringendosi ai suoi amici, quelli che trovano sempre una scusa o una ragione per giustificare i peggiori crimini. E poi? Viene invitato dalla comunità di Firenze a rappresentare la cultura ebraica e questo francamente lascia allibiti. Raccogliendo gli umori nella 'Piazza Ebraica', così viene in gergo chiamato lo zoccolo duro dell'ebraismo romano, e sul Web i commenti degli amici di Israele, abbiamo potuto registrare un misto fra rabbia e sconcerto per questa azzardata decisione.
   Una decisione che non ha alcun senso logico se non quello di fare scalpore e, probabilmente, "cassetta", a spese di coloro che negli anni hanno dato il massimo per combattere l'antisemitismo e difendere le ragioni di Israele, non nei soffici salotti ma nel WEB e nelle scomode strade. Ci siamo messi in contatto con il Presidente della Comunità Ebraica di Firenze Dott. Passigli, che molto gentilmente ci ha spiegato il suo punto di vista e si è assunto la responsabilità dell'invito, invito fatto su suggerimento di David Parenzo. Anche se il Dott. Passigli ha cercato più volte di stemperare la situazione con argomentazioni che hanno il loro peso, valore e seguito come, ad esempio, la libertà di espressione su cui si poggia la cultura ebraica. Rimane che, almeno per questa volta, sarebbe stato meglio agire con più prudenza. I tempi per questo invito sono stati fra i più sbagliati in assoluto e quella che doveva essere un evento di cultura rischia di diventare una bomba a orologeria, politica e sociale, che potrebbe improvvisamente scoppiare nelle mani di qualcuno. Era proprio il caso di invitare un personaggio così scomodo e inviso alla maggioranza degli ebrei italiani? Cosa c'è sotto questa trovata? Chi bisognava compiacere? E, soprattutto, chi ci guadagna da questa commedia delle parti che definire bizzarra è un eufemismo? Queste sono le domande che serpeggiano fra la gente. Con l'avvicinarsi dell'evento in molti attendono per scoprire cosa Ovadia dirà o farà da quel fantastico palcoscenico che gli è stato offerto su un piatto d'argento in una piazza, come quella senese, dove è un beniamino del pubblico non ebraico e generalmente nemico di Israele. Rimane, e questo è un dato di fatto indiscutibile, che la maggioranza dell'ebraismo italiano sta dalla parte di Israele e non potrà mai convivere con le smanie di masochismo disperato o ragionato che portano a queste scelte. La pazienza della maggioranza dell'ebraismo italiano è da tempo in riserva e mal sopporta le continue, ingiuste e odiose critiche a prescindere nei confronti dello Stato Ebraico, questa è una realtà da non sottovalutare in futuro quando si faranno certe scelte sensibili. Ci consola la certezza che alla fine tutti quelli che non perdono occasione per scagliarsi contro Israele, coprendo il loro antisemitismo chiamandolo antisionismo, dovranno fare i conti con la storia; e gli ebrei fra loro dovranno farli anche con la loro coscienza perché quando le stesse ingiuste critiche verso Israele arrivano dai suoi figli, esse diventano gocce di veleno che prima vengono strumentalizzate e poi sparse su un popolo intero.

(Informazione Corretta, 2 settembre 2011)


Riferendosi ai palestinesi di Gaza, l'ebreo Moni Ovadia ha scritto:
«... la popolazione civile di quel popolo da 45 anni subisce la violenza di un'occupazione e di una colonizzazione illegale, ingiusta, violenta che per gli abitanti di Gaza oggi si è trasformata in un vero assedio che strangola in un diuturno stillicidio la sua economia, la sua vita, il futuro dei suoi fanciulli e dei suoi adolescenti.»
Riferendosi al governo dello Stato d'Israele, il sociologo ebreo Zygmunt Bauman ha scritto:
«Israele sta traendo vantaggio dall'Olocausto per legittimare azioni inconcepibili. I politici israeliani sono terrorizzati dalla pace. Tremano, col terrore della possibilità d'una pace. Perché senza guerra e senza una mobilitazione generale, non sanno come vivere. Israele non vede come un male i missili che cadono sulle cittadine lungo i confini. Al contrario: i politici sarebbero preoccupati, perfino allarmati, se non piovesse questo fuoco» (Corriere della Sera).
Dovrebbe ormai essere chiaro che oggi la "questione ebraica" ha assunto il nome di "questione israeliana", e che per quanto riguarda la sua valutazione l'essere o non essere ebreo non è una discriminante decisiva. M.C.

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Proteste durante un concerto a Londra della Filarmonica di Israele

Un concerto della Filarmonica di Israele tenuto ieri sera alla Royal Albert Hall di Londra è stato interrotto per due volte in seguito alle proteste di un gruppo di spettatori contrari alle politiche portate avanti in Medio Oriente dalle autorità dello stato ebraico.

Ne dà notizia sul suo sito online la BBC che, come ogni anno, ha organizzato la stagione delle 'Proms' nel famoso teatro londinese dedicato al principe Alberto, il consorte della regina Vittoria. L'emittente, che trasmetteva la serata sul terzo canale radiofonico, durante le proteste ha sospeso la diretta scusandosi con gli ascoltatori.
La prima interruzione è avvenuta quando Gil Shaham stava per eseguire il concerto per violino di Bruch, sotto la direzione di Zubin Mehta. Alcuni spettatori hanno improvvisamente iniziato a rumoreggiare fischiando e gridando slogan anti-israeliani. La stessa scena si è ripetuta un'ora più tardi.
Un gruppo denominato 'Palestine Solidarity Campaign' aveva chiesto agli appassionati di boicottare la serata a causa della presenza dell'orchestra israeliana ed aveva persino chiesto alla BBC di annullare l'evento. Il movimento accusa la Filarmonica di essere "complice nel mascherare le continue violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani da parte dello stato di Israele".

(swisscom, 2 settembre 2011)

Video

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Hamas: flottiglia 2010, "Rapporto Onu squilibrato"

Il movimento integralista Hamas che controlla la Striscia di Gaza ha bollato come ''ingiusto e squilibrato'' il rapporto pubblicato oggi dall'Onu in cui viene definito ''eccessivo e irragionevole'' il blitz israeliano del 2010 contro la flottiglia filo-palestinese che cercava di raggiungere Gaza ma che riconosce come ''legale'' il blocco navale imposto dallo stato ebraico.
''Il rapporto dell'Onu sull'assalto israeliano contro il Mavi Marmara è ingiusto e squilibrato, consentirà agli occupanti di sottrarsi alle loro responsabilità'', ha detto all'agenzia AFP, Sami Abu Zurhi, uno dei portavoce di Hamas.

(FocusMO, 2 settembre 2011)

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Israele accetterà con riserve il rapporto Onu sulla flottiglia

Saranno circostanziate, dice responsabile dello stato ebraico

GERUSALEMME, 2 set. - Israele accetterà il rapporto delle Nazioni Unite sul suo raid mortale contro la flottiglia internazionale diretta a Gaza nel 2010 con "riserve circostanziate". Lo ha dichiarato un alto responsabile dello stato ebraico.
"Annunceremo la nostra accettazione della relazione dopo la sua pubblicazione ufficiale, con riserve circostanziate", ha detto sotto copertura di anonimato, sottolineando che il rapporto riconosce la legalità del blocco navale di Gaza, secondo il testo integrale pubblicato ieri dal New York Times.

(TMNews, 2 settembre 2011)

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Pace fatta tra comunità ebraica e amministrazione di Trani

Il 4 settembre Scolanova sarà aperta: il programma

  
Pace fatta tra l'amministrazione comunale di Trani e la comunità ebraica di Trani. Sono bastate due telefonate dell'assessore alla cultura Andrea Lovato, per superare le tensioni derivate dall'organizzazione della giornata europea della cultura ebraica, affidata dall'amministrazione ad un'associazione che nulla aveva a che fare con la comunità ebraica tranese che da diversi anni ha ottenuto in comodato la sinagoga di Scolanova. Dicevamo delle due telefonate: la prima fra l'assessore e Pierluigi Campagnano, presidente della comunità ebraica di Napoli (da cui Trani dipende), la seconda fra Lovato e Francesco Lotoro, responsabile culturale della comunità tranese.
Grande senso di responsabilità da ambo le parti per ricucire lo strappo e programmare congiuntamente un'iniziativa per il 4 settembre proprio all'interno di Scolanova. La giornata europea della cultura ebraica così concepita inizierà con l'apertura al pubblico della Sinagoga Scolanova dalle ore 9.30 alle 12.30: in Sinagoga sarà possibile ascoltare lezioni tematiche sugli usi e costumi delle comunità ebraiche del Mediterraneo. Inoltre, sarà possibile degustare ottimo vino kasher e dolci della cucina ebraica meridionale kasher come pure si potrà ascoltare musica religiosa ebraica. Nel pomeriggio la Sinagoga riaprirà per le visite alle 18 mentre alle 19.30 si terrà una interessante conferenza dal titolo «Trani, Palmi, Siracusa: il mistero del ritorno degli Ebrei nel Meridione» con la partecipazione dell'assessore alla cultura Andrea Lovato, il responsabile culturale della comunità ebraica di Trani Francesco Lotoro ed altri relatori.
A margine della presentazione del programma, la comunità ebraica tranese ha voluto ribadire «le proprie irrinunciabili prerogative storiche e culturali e la più totale disponibilità nel rendere partecipe l'intero territorio del patrimonio ebraico di una città come Trani, tanto cara al cuore degli ebrei di Israele e della diaspora». «Tanto il Comune di Trani quanto la comunità ebraica - si legge in una nota congiunta - auspicano una sempre maggior sinergia nelle promozione dei valori sociali, storici e culturali dell'ebraismo e si preparano entrambi a importanti eventi ebraici di caratura internazionale che la città ospiterà nei prossimi mesi».

(TraniWeb, 2 settembre 2011)

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Scovato un gene che causa la miopia

La scoperta presentata sull'American Journal of Human Genetics

ROMA, 1 set - Scovato un gene della miopia che quando è difettoso causa questo diffusissimo difetto oculare. La scoperta, presentata sull'American Journal of Human Genetics, è stata possibile studiando il Dna di una tribù beduina nel Sud di Israele tra i cui membri ricorrono di frequente casi di miopia a esordio precoce. Si tratta del gene 'LEPREL1', spiega Ohad Birk dell'Università di Ben-Gurion nel Negev, che serve a produrre un enzima fondamentale per dare la forma giusta al bulbo oculare.

(ANSA, 1 settembre 2011)

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Intitolato alla Brigata Ebraica, il Ponte della Statale 16 sul Fiume Foglia

di Rossano Mazzoli

In occasione della celebrazione del 67o anniversario della Liberazione di Pesaro, giovedì pomeriggio alle ore 16.00 si è scoperta la targa di intitolazione del ponte alla Brigata Ebraica. Nel 1944 furono proprio i soldati appartenenti a questa compagnia a ricostruire il ponte. Guarda le foto.
Per Brigata Ebraica si intende la First Camouflage Coy Royal Engineers ( una della unità ebraiche aggregate all'VIII Armata Britannica) composta di artisti e genieri ebrei di Palestina che nell'autunno del 1944, subito dopo la Liberazione di Pesaro, ricostruì il ponte distrutto dalle truppe in ritirata.
A perenne ricordo collocarono sulla chiave di volta ai due lati del ponte lo stemma della Compagnia. A loro la città di Pesaro intitola il ponte in memoria e a riconoscenza del contributo ebraico alla Liberazione d'Italia dal giogo nazifascista.
Sulla targa è riportata la dedica: A COLORO CHE SEPPERO RESISTERE ALLA BARBARIE E RICOSTRUIRE PONTI E NAZIONI LIBERE.
La manifestazione è coincisa anche con l'inaugurazione dei lavori di ampliamento della struttura, che hanno interessato i marciapiedi più ampi e l'installazione di parapetti a norma.

(Vivere Pesaro, 1 settembre 2011)

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Mavi Marmara: il rapporto Onu forse è favorevole a Israele

Il 2 settembre arriva all'Onu il rapporto sull'attacco israeliano alla Mavi Marmara che il 31 maggio 2010 costò la vita a nove attivisti turchi pro-palestinesi. Il documento era stato ordinato per stabilire colpe e responsabilità nell'attacco, ma la sua pubblicazione era stata rinviata tre volte per permettere alle diplomazie turca e israeliana di trovare un compromesso sulla ricostruzione dei fatti. Il governo di Tel Aviv avrebbe richiesto un ulteriore posticipo rifiutato dalle autorità di Ankara. Le posizioni dei due governi restano quindi invariate e la distanza anche. Ma c'è un retroscena interessante che potrebbe cambiare le prospettive della vicenda. Stando al Jerusalem Post, il "Rapporto Palmer" sarebbe in realtà favorevole a Israele e metterebbe il comportamento Ankara in cattiva luce. Inoltre, secondo indiscrezioni pubblicate dal quotidiano turco Hurriyet, il dossier riconoscerebbe il diritto di Israele di agire contro chi minaccia la sua stabilità e la sua sicurezza anche in acque internazionali pur criticando duramente Tel Aviv per l'uso eccessivo della forza contro. Se così fosse Israele non ne uscirebbe dunque sconfitta e sarebbero vanificati gli sforzi della Turchia di ottenere scuse ufficiali. Resterebbero poi da vedere i successivi sviluppi.

(Net1News, 1 settembre 2011)

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L'Iran dispiega un sottomarino e una nave da guerra nel Mar Rosso

L'Iran ha in programma di inviare la sua flotta composta da 15 navi, tra cui un sottomarino e una nave da guerra, nel Golfo di Aden nel Mar Rosso secondo quanto riferito da una agenzia di notizie semi-ufficiale della televisione iraniana,citando le parole del comandante Ammiraglio Habibollah Sayyari.
L'annuncio è arrivato dopo che l'esercito israeliano ha modificato l' operatività militare del Centro di Comando della Marina Militare a Eilat, che è responsabile di proteggere il sud di Israele dalle minacce che hanno origine nel Mar Rosso. Lunedi scorso, due corvette della Marina israeliana di grandi dimensioni sono stati viste ancorate a Eilat, probabilmente per le operazioni di anti-terrorismo e anti-contrabbando nel Mar Rosso. Dal canto loro l'Iran fa sapere che lo scopo dei presidi navali iraniani è quello di pattugliare in alto mare, mostrare le grandi capacità della Repubblica islamica, ed ha aggiunto che la flotta serve a combattere la pirateria e a rafforzare la sicurezza per tutti i paesi "La presenza dell'esercito iraniano in alto mare - ha dichiarato l' Ammiraglio Habibollah Sayyari. - trasmetterà il messaggio di pace e amicizia a tutti i paesi". A febbraio, dopo la caduta del presidente egiziano Hosni Mubarak, due navi da guerra iraniane hanno attraversato per la prima volta dalla Rivoluzione islamica del 1979 il canale di Suez, in rotta verso la Siria, una manovra che Israele ha descritto come "provocatoria".

(FocusMO, 1 settembre 2011)

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Il bookcrossing, un modo per conoscere la cultura

  
Roberto Israel
Si scrive bookcrossing, si legge scambio gratuito di libri ed è una delle principali novità di questa dodicesima edizione della Giornata europea dell'ebraismo. L'idea di base è quella di rilasciare libri nell'ambiente naturale compreso quello urbano, affinché possano essere ritrovati e quindi letti da altre persone, portando ad una condivisione di saperi anche tra sconosciuti.
Un'idea che si adatta perfettamente alla cultura ebraica, come spiega Roberto Israel, assessore alla cultura della comunità ebraica: «Nella nostra tradizione rubare un libro è un atto che viene compreso, anche se certo rimane un furto, perché crediamo che se qualcuno prende un libro lo faccia spinto dal desiderio di conoscenza. In parole semplici, vuol dire che ne aveva bisogno». Il bookcrossing invece rimane nella legalità e potrà essere sperimentato domenica con volumi legati alla cultura ebraica, che potranno essere presi gratuitamente, letti e poi liberati, Un'iniziativa perfetta per quello che viene definito il popolo del libro».

(L'Arena, 1 settembre 2011)

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Kuwait: la Corte archivia la causa contro Israele per la questione flotilla

Secondo quanto riferisce il quotidiano Al -Dar, il Ministero della Giustizia del Kuwait si propone di archiviare il caso presentato dal Primo Ministro, Dr Waleed Al-Tabtabaei e altri, contro il governo israeliano per essere stati umiliati e aggrediti mentre erano a bordo della flottiglia turca che trasportava aiuti umanitari alla popolazione della Striscia di Gaza in Palestina.
Il ministero si stava preparando a presentare una querela nei tribunali internazionali ma è stata consigliata dai suoi legali di non procedere perché Israele potrebbe vincere la causa e il Kuwait finirebbe per pagare miliardi di dollari a titolo di risarcimento visto la nave aveva violato la legge internazionale entrando nelle acque territoriali israeliane senza autorizzazione.

(FocusMO, 1 settembre 2011)

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Sbianchettare la Shoah

Forse ha ragione Adrien Barrot, filosofo dell'Università di Parigi, che parla di "visione pedagogica dell'antisemitismo", di una idea troppo astratta e stereotipata, un eccesso, un abuso, una dittatura della memoria. La decisione del ministero dell'Istruzione francese di archiviare l'uso della parola "Shoah" per descrivere lo sterminio degli ebrei appare assurda e scandalosa. Claude Lanzmann, direttore della rivista Les Temps Modernes ma soprattutto autore nel 1985 del documentario "Shoah", sul Monde ha scritto del tentativo di "relativizzare" il genocidio ebraico, denunciando la nuova politica culturale in corso. Lo storico Pierre Nora parla di un tentativo di "addomesticarla". Al posto di Shoah, nei manuali scolastici francesi, verrà ora preferito il generico termine "annientamento". E gli ebrei vengono posti sullo stesso piano degli zingari. Basta quindi con l'unicità della vicenda ebraica. Una circolare del ministero dell'Educazione nazionale, passata piuttosto inosservata ma pubblicata nel bollettino ufficiale del 7 settembre 2010, insisteva già sulla necessità di sopprimere la parola Shoah dai manuali. Una raccomandazione seguita dagli editori scolastici del nuovo anno 2011. Dominique Borne, importante dirigente del ministero, aveva detto di provare fastidio per l'uso di una "parola straniera". Shoah. Come si è arrivati a tanto? Oggi i memoriali dell'Olocausto sono disseminati nel paesaggio francese, le scuole lo usano per insegnare la tolleranza, si sfornano film in continuazione sulla guerra e gli ebrei, mai quanto oggi la conoscenza dell'Olocausto è capillare in tutta la Francia e in Europa. Dunque? La chiave di lettura, forse, ce la offre un professore dell'Indiana University, uno storico come Alvin Rosenfeld, autore di un libro recente dal titolo "La fine dell'Olocausto?". Rosenfeld dice che si sta rischiando seriamente la perdita e la perversione di quanto accadde in un banale kitsch di astrazioni sull'umana brutalità. Non più sterminio del popolo eletto su base genetica e religiosa, ma generica parabola della sofferenza umana. Di relativismo in relativismo si è arrivati a Parigi a sbianchettare la parola intraducibile per eccellenza, opaca, senza sillabe, terrificante: Shoah.

(Il Foglio, 1 settembre 2011)

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Israele arresta di nuovo un leader di Hamas liberato il 4 agosto

RAMALLAH, 1 set. - Liberato dalle autorita' israeliane agli inizi di agosto dopo 5 anni prigione per attivita' terroristiche, Hassan Yousef, uno dei fondatori di Hamas, e' stato arrestato di nuovo ieri notte dalle autorita' dello stato ebraico.
Il capo palestinese stava cercando di attraversare un posto di blocco situato tra le citta' di Ramallah e Nablus. Ne danno notizia fonti di Hamas. L'ex leader spirituale del movimento islamista che controlla la Striscia di Gaza era stata rilasciato il 4 agosto, insieme ad altri 200 detenuti palestinesi, che avevano scontato per intero la condanna subita. Non appena libero, Yousef aveva espresso l'intenzione di collaborare agli sforzi di riconciliazione tra Hamas e Fatah, esortando le fazioni palestinesi ad unirsi "contro Israele". Il nome degli Yousef in Israele e' noto alle cronache soprattutto per il figlio di Hassan, Mosab Hassan, che durante la seconda Intifada, con il nome di battaglia di "Principe verde", servi' lo Shin Bet come spia tra le fila di Hamas .

(AGI, 1 settembre 2011)

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Batteri sul 60% dei camici di medici e infermieri

Lo Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme
GERUSALEMME, 1 set. - Piu' del 60 per cento dei camici di infermieri e medici di un ospedale, mediamente, potrebbero essere portatori di batteri potenzialmente pericolosi. Lo studio e' stato pubblicato sulla rivista American Journal of Infection Control. Un team di ricercatori guidato da Yonit Wiener-Well, dello Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, ha raccolto campioni provenienti da tre diverse aree delle uniformi di 75 infermieri e 60 medici. Gli scienziati hanno poi scoperto che il 65 per cento delle uniformi degli infermieri e il 60 per cento dei camici dei medici ospitavano agenti patogeni. Di questi, 21 uniformi di infermieri e sei camici presentavano microrganismi resistenti a piu' farmaci, tra cui anche il temibile Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA). Anche se le uniformi di solito non rappresentano un veicolo diretto di contagio, i risultati dell'indagine indicano una notevole presenza di ceppi patogeni resistenti agli antibi otici in prossimita' di pazienti ospedalizzati. "Studi come questo sono utili per migliorare la comprensione delle potenziali fonti di contaminazione ospedaliera ma e' necessario compiere ulteriori indagini", ha commentato Russell Olmsted, dell'Epidemiologist, Infection Control Services, al Saint Joseph Mercy Health System di Ann Arbor, Michigan. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanita', il rischio di infezioni nosocomiali in alcuni paesi in via di sviluppo e' 20 volte superiore a quello dei paesi piu' ricchi. Anche negli ospedali di nazioni come Israele, in cui si e' svolta questa indagine, e negli Stati Uniti, si verificano troppo spesso casi di infezioni ospedaliere, che possono essere mortali o costose da trattare. La prevenzione e' dunque l'approccio migliore per la sicurezza del paziente. Mediante l'applicazione di pratiche di prevenzione e' stato dimostrato che sarebbe possibile evitare piu' della meta' dei casi di infezioni nosocomiali che si verifica no normalmente.

(AGI, 1 settembre 2011)

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Il museo Einstein in Israele avrà la forma della testa dello scienziato

Dovrebbe avere la forma della testa di Albert Einstein un nuovo museo che il Capo di stato israeliano Shimon Peres vorrebbe edificare per mostrare in maniera adeguata al pubblico i 45 mila documenti e gli effetti personali che lo scienziato lasciò in eredità all'Università ebraica di Gerusalemme.
Peres ha detto al quotidiano Yediot Ahronot che Einstein è "nella storia umana l'ebreo più noto al mondo, dopo Mosè". e dunque, a suo parere, Israele dovrebbe rendergli omaggio in maniera adeguata.
Secondo il giornale, nelle ultime settimane Peres ha ottenuto il sostegno attivo dell'ufficio del Primo ministro e dell'Università ebraica di Gerusalemme, che stanno adesso cercando un luogo adatto per realizzare il progetto.

(swisscom, 1 settembre 2011)

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Staminali, un tesoro nella bocca

di Sabella Festa Campanile

Contro demenze e diabete, la mucosa orale nasconde un tesoro inaspettato. Grazie a una nuova scoperta, effettuata da un gruppo di ricercatori dell'università di Tel Aviv, si aprono nuovi spiragli per la ricerca sulle staminali.

La mucosa orale, stando ai dati di una recentissima ricerca, conterrebbe cellule staminali in grado di essere una valida alternativa alle staminali embrionali. In altre parole, ognuno di noi all'interno della propria bocca possederebbe cellule staminali che rimangono giovani nonostante il nostro inevitabile invecchiamento. E questa caratteristica le renderebbe del tutto simili, in quanto a utilità, a quelle embrionali.
La ricerca, svolta presso la Scuola Goldschleger della Tel Aviv University of Dental Medicine e pubblicata su Stem Cell, rende entusiasta la comunità scientifica e soprattutto i dentisti, da tempo consapevoli delle importanti proprietà della mucosa orale. Inoltre, date le difficoltà della ricerca a lavorare su cellule embrionali e considerato l'intenso dibattito etico che, soprattutto in Italia, caratterizza l'argomento, la possibilità di ricavare staminali dalla cavità orale è un'alternativa allettante e confortante. Gli scienziati, durante i loro studi, hanno esaminato tali cellule e, oltre a scoprire la loro capacità di restare più giovani rispetto alle altre, hanno anche potuto osservare la proprietà di quest'ultime di autorigenerarsi.
Infatti, il team coordinato da Sandu Pitaru ha affermato che da un unico frammento delle dimensioni di 1x2x3 millimetri è possibile ottenere un trilione circa di staminali. Con caratteristiche affini a quelle embrionali che, a differenza di quelle provenienti da un tessuto adulto, non perdono flessibilità. Difatti, come spiegato dal professor Pitaru: "Anche se derivate da tessuti adulti, queste cellule staminali tratte dalla mucosa orale sono quasi altrettanto flessibili delle cellule staminali embrionali". Questa scoperta apre le porte a nuovi approcci terapeutici. Malattie cardiache, neurodegenerative, patologie autoimmuni, sono questi e altri gli ambiti entro i quali tali cellule, trasformate in staminali, possono essere di grande aiuto per innovative terapie. Inoltre, proprio la presenza di staminali nella bocca, rende quest'ultima dotata di grande capacità "autocurativa". Come ognuno di noi avrà avuto modo di notare, le ferite all'interno della cavità orale, hanno vita breve, cioè si rimarginano con grande rapidità. Questo perché le lesioni "guariscono per rigenerazione" conferma Pitaru, "in quanto", aggiunge, "il tessuto ritorna completamente al suo stato originale".
Ciò vuol dire che, indipendentemente dall'età del soggetto, un taglio che sull'epidermide ha bisogno di molti giorni per rimarginarsi e guarire, all'interno della mucosa orale si risana in tempi molto più veloci. La scoperta dei ricercatori di Tel Aviv, è, dunque, un importante passo in avanti per la scienza, in quanto, sebbene gli studi debbano necessariamente proseguire, si potrebbero così aggirare le controversie etiche legate alle cellule staminali embrionali, senza dover rinunciare a nuove e interessanti possibilità terapeutiche.

(FastWeb, 1 settembre 2011)

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