Notizie su Israele 20 - 17 giugno 2001


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Oracolo, parola del SIGNORE, riguardo a Israele. Parola del SIGNORE che ha disteso i cieli e fondata la terra, e che ha formato lo spirito dell'uomo dentro di lui. «Ecco, io farò di Gerusalemme una coppa di stordimento per tutti i popoli circostanti; questo concernerà anche Giuda, quando Gerusalemme sarà assediata. In quel giorno avverrà che io farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli; tutti quelli che se la caricheranno addosso ne saranno malamente feriti e tutte le nazioni della terra si aduneranno contro di lei.

(Zaccaria 12.1-3)



Dal 5 al 10 giugno si è tenuta a Krelingen (Germania) una "Israel Woche" (Settimana per Israele). L'oratore, Ludwig Schneider, è il direttore di "NAI - Nachriten aus Israel" e frequenta con la sua famiglia una delle comunità di Ebrei messianici di Gerusalemme. Una delle sue conferenze aveva come titolo "Perché i mass media riferiscono così faziosamente contro Israele?". Riporto liberamente il contenuto di una piccola parte della sua esposizione.

 I media internazionali non possono permettersi di mantenere un corrispondente stabile in ogni luogo del mondo in cui avvengono conflitti, quindi hanno dei reporter che volano da un posto all'altro rimanendo in ogni luogo per un periodo che va dai tre ai sette giorni. Ecco il soggiorno-tipo di un corrispondente che si trattiene cinque giorni in Israele.
 1° giorno - Arrivo all'aeroporto Ben Gurion. Viaggio in taxi fino ad un lussuoso hotel di Tel Aviv. Cena e serata varia in albergo.
 2° giorno - Il corrispondente si fa portare con un taxi speciale fino a Gaza. Lì viene accolto con estrema cordialità dagli impiegati del "Ministero della Propaganda palestinese", i quali gli consegnano una valigia già preparata in cui sono contenuti articoli, fotografie e videocassette sui fatti riguardanti il conflitto israeliano-palestinese. Il corrispondente ringrazia e la sera ritorna in taxi all'hotel di Tel Aviv.
 3° giorno - Il corrispondente si fa accompagnare, sempre in taxi, a Ramallah o a Beit Jalla e lì riceve dagli addetti locali del Ministero della Propaganda palestinese la stessa accoglienza calorosa e un'altra valigia contenente articoli, fotografie e videocassette. Il corrispondente ringrazia e ritorna in taxi all'hotel di Tel Aviv.
 4° giorno - Il corrispondente si reca infine a Gerusalemme o a Tel Aviv, entra negli uffici competenti per avere informazioni sul conflitto e non trova niente. Se chiede di poter avere documenti o fotografie di parte israeliana sui fatti avvenuti gli viene risposto che in Israele c'è libertà di stampa e che lui può fotografare e riferire quello che vuole. Il corrispondente torna al suo albergo in Tel Aviv.
 5° giorno - Il corrispondente prende l'aereo e torna a casa.
 Domanda: che cosa avrà nella sua borsa il corrispondente alla fine della sua missione? Si osservino i servizi televisivi su Israele trasmessi dai vari canali. Sono tutti uguali, perché provengono tutti dalla medesima fonte.
 I giornalisti che risiedono stabilmente in Israele sono circa il 5 % del totale, ed essendo in minoranza, le loro opinioni sono considerate poco attendibili. Quelli che vogliono rimanere per qualche tempo nei territori dell'Autonomia Palestinese devono sottoscrivere un documento in cui si impegnano a non scrivere niente contro i palestinesi.
 L'oratore ha proseguito invitando tutti a pregare assiduamente per coloro che vogliono trasmettere notizie veritiere su Israele, e ha concluso lui stesso con una preghiera.

 Gli articoli che seguono si riferiscono alla medesima realtà, che di fatto è ben più grave di quello che potrebbe apparire a prima vista.

Marcello Cicchese



HAMAS DECORA I GIORNALISTI


Il seguente articolo è apparso sulle pagine internet del movimento radicale islamico Hamas. Particolarmente notevoli sono le dichiarazion del reporter della BBC sui giornalisti che "combattono fianco a fianco con il popolo palestinese":

"Il 6 maggio il movimento Hamas ha organizzato una solenne e ben frequentata cerimonia in cui sono stati decorati 140 giornalisti ed esperti di comunicazione palestinesi, arabi, islamici e internazionali, rappresentanti di giornali, riviste, stazioni-radio e canali televisivi. Alla manifestazione hanno preso parte Sheikh Ahmed Yasin e il capo di Hamas, rappresentante dei commandos nazionali e islamici.
Uno dei capi di Hamas, Ismail Abu Shanab, ha dichiarato che in questo giorno devono essere onorati i giornalisti per il ruolo particolare che svolgono con le loro fotocamere, le loro penne e le loro capacità, e anche per il raro coraggio e audacia che hanno dimostrato quando si sono messi dalla parte che combatte accanitamente il nemico. Egli li ha lodati per aver correttamente rappresentato il terrorismo usato dal nemico sionista e i suoi infami delitti, e per il coraggioso ritratto dei nostri bambini e martiri.
Dopo di che Faid Abu Shimalla, un corrispondente della BBC, ha tenuto un discorso a nome dei giornalisti ringraziando il movimento Hamas per l'eccezionale manifestazione, nonostante la rapidità degli avvenimenti attuali e la difficile situazione in cui si vengono a trovare giornalisti e responsabili di media che combattono fianco a fianco con il popolo palestinese." (Fine del comunicato Hamas).

Il Direttore generale rappresentante del Ministero degli Esteri, Gidon Meir (Gerusalemme), ha detto alla radio di Stato israeliana che "si tratta di una nuova prova del principio che nei territori dell'Autonomia Palestinese i giornalisti riferiscono quello che a loro è concesso, mentre nel democratico Stato di Israele riferiscono quello che vogliono.

(israelnetz.de, maggio 2001)



L'ARTE DELLA DISINFORMAZIONE


L'Autorità Palestinese e i mass media stranieri:
simbiosi di violenza

(documento dell'Ambasciata d'Israele a Roma)


Sin dall'inizio dei moti di violenza, in Israele si diffonde la sensazione che la copertura dei mass media sia ben lungi dall'imparzialità. Sono innanzitutto le televisioni estere ad indignare il pubblico. Un primo campanello d'allarme è la scelta da parte di una emittente straniera di inviare a Ramallah e a Gaza due giornaliste: in barba ad ogni codice deontologico, una è di origine palestinese, l'altra libanese. Più che reporter obiettivi e indipendenti, le due signore sembrano vere e proprie portavoci dell'Autorità Palestinese.

Il problema della partigianeria mediatica, in realtà, si rivela ben presto molto più profondo ed esteso e riguarda i rapporti tra l'Autorità Palestinese e i giornalisti stranieri. L'intreccio tra gli uni e gli altri diviene strettissimo, quasi inestricabile. Scaturisce dall'esplicita volontà dei giornalisti di continuare a documentare i fatti dal punto di vista palestinese. Intorno a questo stato di cose, si estende una vera e propria congiura del silenzio.

Una breccia nel muro del silenzio apre con il reportage di Jean Pierre Martin, corrispondente della televisione belga RTL-TVI. Il l 4 ottobre Martin spiega al pubblico perché non può mostrare le riprese girate per il suo servizio: "Ci hanno condotto con forza alla stazione di polizia palestinese, lì ci siamo presentati, ma ci hanno costretti a cancellare le riprese che non approvavano". In seguito, in un incontro tra Martin e i suoi colleghi presso l'albergo American Colony, emerge chiaramente che la maggior parte degli inviati stranieri hanno subito esperienze analoghe ma hanno preferito evitare di denunciarle.

Pochi giorni dopo, le immagini dello spietato linciaggio compiuto a Ramallah dalla folla palestinese contro due soldati israeliani vengono immortalate dalle telecamere di alcune equipe televisive straniere. I Palestinesi, consapevoli della dimensione dell'eventuale danno all'immagine, non esitano ad aggredire e malmenare gli inviati, frantumando gli obiettivi e sequestrando i nastri incriminanti. Successivamente un corrispondente della televisione di stato polacca, descrive l'accaduto in un suo reportage. Una troupe italiana, riesce a salvare la registrazione e a portarla fuori dai territori palestinesi, di nascosto. La redazione centrale, riconoscendo il grande valore del messaggio, acconsente alla diffusione delle terribili riprese in tutto il mondo.

Pochi giorni dopo, il 16 ottobre, sul quotidiano ufficiale palestinese Al Hayat Al Jadida appare le lettera di Riccardo Cristiano, un inviato della RAI. Rivolgendosi "ai suoi fratelli palestinesi" Cristiano dichiara di agire secondo le regole giornalistiche dettate dall'Autorità Palestinese, garantendo che non avrebbe fatto nulla che potesse mettere in cattiva luce quest'ultima.

La lettera rappresenta un fatto particolarmente grave: per la prima volta un giornalista straniero dichiara senza mezzi termini di adoperare due pesi e due misure nei confronti dell'Autorità Palestinese e del Governo israeliano. Questo comportamento fa luce sulla realtà di un'informazione monca e deformata; vi si concentrano violazione della libertà d'informazione, abuso della buona fede dell'utente, subalternità informativa. In seguito a questa missiva e a motivo di accuse e minacce di morte lanciate dai palestinesi, anche gli altri corrispondenti italiani si vedono costretti a chiudere i loro uffici in Israele.

Le intimidazioni dei palestinesi ai giornalisti stranieri diventano routine. Le sperimenta anche l'inviato di USA TODAY, Matthew Kalman, dopo un servizio pubblicato agli inizi di dicembre, in cui rivela la protesta delle donne di Tul Karem contro la leadership palestinese per l'uso cinico dei bambini palestinesi a fini politici. Alla luce delle minacce ricevute, Kalman riduce notevolmente le sue attività nell'ambiente palestinese. Le pressioni vengono esercitate anche su altri giornalisti stranieri che, tuttavia, per continuare a godere della collaborazione dell'Autorità Palestinese, rifiutano di esporsi con una denuncia pubblica.

Poi è la volta delle minacce di morte ai giornalisti israeliani. Iniziano nel gennaio 2001 con un volantino dei dirigenti di Al-Fatah a Betlemme, in cui si invoca esplicitamente l'omicidio di ogni inviato israeliano che si trovi in città. A scatenare le intimidazioni è una trasmissione di Galei Tzahal, la radio dell'esercito, riguardo un alto dirigente di Al-Fatah accusato di corruzione. Altri minacciosi avvertimenti sono indirizzati a metà marzo in seguito al servizio di un corrispondente della televisione israeliana Raid Dahar, in merito ad un incontro segreto fra il responsabile dei servizi segreti israeliani e Jibril Rajub, capo del Servizio di Prevenzione di Marwan Barghuti, uno dei capi di Al Fatah nei Territori.

Le minacce ostacolano lo svolgimento del lavoro d'informazione: giornalisti, equipe televisive, fotografi e produttori israeliani evitano di entrare nelle zone palestinesi, temendo per la propria vita. Così, l'esclusiva della documentazione degli eventi e la diffusione delle notizie passa totalmente in mano palestinese. È il monopolio dell'informazione.

Un ulteriore grave conseguenza dell'intimidazione dei giornalisti è la ridottissima divulgazione dei dati sull'escalation di violenza palestinese riportata dai mass media internazionali. La scarsa documentazione testimonia ancora di più la faziosità a scapito di Israele, soprattutto alla luce del fatto che ogni danno casualmente inflitto dagli israeliani agli operatori della stampa palestinese provoca reazioni smisurate e particolarmente accese. Mai il contrario.

Alla fine di marzo, l'Autorità Palestinese, sotto la minaccia delle armi, chiude gli uffici dell'emittente televisiva del Qatar Al Jazira a Ramallah, colpevole di aver realizzato un filmato poco lusinghiero su Arafat. Muhammad Dahlan spiega al corrispondente di Associated Press che: "Al Jazira non ha rispettato le nostre regole per i giornalisti nelle zone palestinesi". A quanto pare anche gli operatori arabi devono sottostare alle direttive imposte dall'Autorità Palestinese.

Eclatante è il meeting curato dall'organizzazione terroristica islamica Hamas a beneficio di 140 giornalisti e operatori dei mass media stranieri e palestinesi nella Striscia di Gaza. La partecipazione di un tale numero di addetti ai lavori costituisce una legittimazione al terrorismo contro Israele, legittimazione data da professionisti dell'informazione da cui si attenderebbe un'analisi obiettiva degli avvenimenti.

In quell'occasione, secondo il sito internet di Hamas, il corrispondente della BBC, Fahid Abu Shimla, ringrazia l'organizzazione per l'incontro preparato "per giornalisti ed organi di stampa che conducono la battaglia spalla a spalla con il popolo palestinese". La BBC rifiuta di smentire le parole del suo inviato in modo ufficiale, nel timore che ai suoi corrispondenti sia impedito lavorare nelle aree palestinesi.

Che quelle affermazioni siano attendibili o meno, lo spirito che le pervade trova conferma nell'articolo di Munir Abu Risek apparso sul quotidiano ufficiale palestinese Al Hayat Al Jadida del 24 maggio, in cui si attribuiscono i successi della propaganda palestinese alla migliorata abilità dei giornalisti palestinesi locali nel trattare con le agenzie di stampa e le reti televisive straniere che affiancano e sostengono gli sforzi dell'informazione palestinese.

L'apice dei legami partigiani tra i palestinesi e i mezzi d'informazione esteri si registra il 25 maggio, quando due giornalisti, un americano e un inglese del settimanale Newsweek, vengono rapiti a Rafiah dai falchi dell'OLP. Nell'annuncio alla stampa, i sequestratori palestinesi rendono noto che la loro azione è un messaggio diretto ai governi americano e inglese affinché riconsiderino le proprie posizioni e affinché sappiano che tutti i loro cittadini in "Palestina" e nel resto del mondo arabo saranno esposti al rischio di rapimento e uccisione, nel caso in cui continui l'appoggio ad Israele. Come dire, di notizie si può anche morire.

Ambasciata d'Israele a Roma, giugno 2001



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