Notizie su Israele 62 - 18 dicembre 2001


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Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l'aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante. Allora le nazioni vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del SIGNORE pronunzierà; sarai una splendida corona in mano al SIGNORE, un turbante regale nel palmo del tuo Dio.

(Isaia 62.1-3)


L'INTERVISTA DI ARAFAT ALLA TELEVISIONE ISRAELIANA


Arafat bifronte
Di regola Yasser Arafat non concede interviste normali - ha scritto Danny Rubinstein su Ha'aretz (9.12) - Nei suoi innumerevoli incontri con la stampa in vari decenni non ha praticamente mai fatto un ordinario scambio di domande e risposte. Arafat replica, contesta, si arrabbia, sorride, scherza, fa di tutto meno che rispondere alle domande. Nell'intervista che ha concesso al giornalista Oded Granot del Primo Canale della televisione israeliana venerdi' 7 dicembre era solo arrabbiato. Il messaggio che voleva far arrivare al pubblico israeliano e' chiaro e risaputo: lui e l'Autorita' Palestinese hanno il completo controllo della situazione sul terreno, sono impegnati a far rispettare il cessate il fuoco, la politica americana aiuta Israele mentre lui porge la mano a Israele in segno pace. Ma le dichiarazioni di Arafat contengono sempre parti sconcertanti e francamente imbarazzanti. Questa volta piu' di tutte le altre".
    Se Arafat voleva cogliere quest'occasione per convincere o anche solo disorientare il pubblico israeliano, e' riuscito a ottenere il risultato esattamente opposto. Il presidente dell'Autorita' Palestinese ha dato sfoggio come al solito dei suoi atteggiamenti declamatori e istrionici, ma si e' mostrato piu' confuso del solito. Parlando dell'assassinio nell'ottobre scorso del ministro israeliano Rehavam Ze'evi, lo ha ripetutamente confuso con il giornalista di Ha'artez Ze'ev Schiff. Spesso gli aiutanti che gli stavano attorno hanno dovuto suggerirgli le risposte e le parole giuste. "Quando Arafat s'e' messo a divagare come un piazzista sulle cifre di terroristi che avrebbe arrestato o non arrestato - ha scritto Doron Rosenblum su Ha'aretz (9.12) - ripetendo infinite volte in modo sconclusionato il nome dell'inviato americano Zinni, ha offerto uno spettacolo sconcertante di evasivita' infantile sospesa sul niente".
    C'e' da dire che Granot non gli ha concesso sconti. A differenza di quanto fanno in genere i suoi colleghi davanti ad Arafat, anziche' lasciargli fare supinamente dei comizi retorici il giornalista israeliano gli ha posto un fuoco di fila di domande precise. "Ha fatto qualcosa per fermare gli attentati suicidi?" Risposta di Arafat: "Ho diffuso un comunicato stampa di condanna". "Perche' non dichiara la fine dell'intifada punto e basta?". Arafat svicola e in pratica non risponde. Quando Granot gli chiede: "Come mai anche gli americani criticano il suo comportamento?" Arafat replica: "Beh, si sa che sono sempre dalla parte di Israele" e continua in un crescendo d'ira: "Ma che mi importa degli americani? Chi se ne frega degli americani?". Commenta Rosenblum: "Pronunciare queste parole in questo preciso momento storico significa battere tutti i record del peggiore tempismo politico mai immaginabile. Se poi vengono dette da qualcuno che e' tenuto sotto osservazione come al microscopio, queste frasi assurgono a un livello di stupidita' degno di uno sketch comico. Non meno grottesco, tuttavia, e' stato il momento in cui Arafat ha voluto rivolgere un appello al pubblico israeliano per risollevare la propria reputazione come interlocutore di pace. E proprio in quel delicato momento dell'intervista, come in una caricatura fin troppo banale, si e' udito un suggeritore che da dietro le quinte gli ricordava di dire la frase "Stendo la mia mano in segno di pace". Ci siamo trovati davanti alla vera figura di Arafat - continua Rosenblum - quell'Arafat che tante volte abbiamo sentito descrivere dai vari negoziatori che si disperavano e si arrampicavano sui vetri dopo aver trattato con lui e concluso degli accordi invano".
    E' noto che Israele ha arrestato due terroristi che hanno collaborato all'assassinio nell'ottobre scorso del ministro israeliano Rehavam Ze'evi, ma che altri due, compreso quello che ha personalmente fatto fuoco, sono ancora latitanti e si nascondono nelle zone sotto controllo palestinese. A questo proposito Arafat ha chiesto a Granot in tono di sfida: "Vorreste davvero poterli interrogare per scoprire chi li ha aiutati?", facendo una chiara allusione a una presunta complicita' o cospirazione israeliana nell'assassinio del ministro. Nulla di nuovo. E' tipico di Arafat ricorrere a false allusioni circa vaghi complotti israeliani ogni volta che deve trarsi d'impaccio. Lo fece dopo l'attentato a Beit Lid nel 1995 (22 soldati che facevano autostop uccisi da un terrorista suicida) e dopo una serie di attentati a Netanya nel 1999. A ben vedere, e' la stessa mentalita' di coloro che hanno cercato di addossare a Israele persino l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre.
    In un momento difficile dell'intervista Arafat si e' rifugiato in un altro stereotipo, accusando pesantemente tutti i mass-media del mondo di essere completamente controllati dagli ebrei, probabilmente senza nemmeno rendersi conto dei connotati tipicamente giudeofobi di questo luogo comune, specie agli occhi del pubblico israeliano.
    Arafat non ha fatto neanche la figura di un grande democratico. Quando Granot gli ha riferito che, secondo alcuni palestinesi, non e' mai arrivato da parte sua l'ordine chiaro e netto di cessare gli attacchi armati contro Israele, il rais palestinese e' esploso: "Portatemi qui chi vi ha detto questo e io lo faccio sbattere in galera". E' lo stesso Arafat che, in difficolta' per non aver fatto arrestare gli esecutori materiali dell'assassinio di Ze'evi, si e' vantato davanti a Tony Blair di averne fatto imprigionare comunque alcuni parenti. Il primo ministro della patria della democrazia e dell'habeas corpus ha mostrato chiari segni di imbarazzo davanti a quelle vanterie.
    "Per gran parte dell'intervista - ha scritto Daniel Bloch sul Jerusalem Post (9.12) - Arafat e' apparso come un leader che ha perso il contatto con la realta', che ha perso il controllo sulla sua gente, che non e' in grado di fare nulla per fermare il terrorismo e che non sembra nemmeno aver voglia di farlo. Sembrava del tutto appagato del suo ruolo di perpetuo combattente, perfettamente a proprio agio nell'eterna divisa militare, e che non ha alcuna intenzione di trasformarsi in uno statista civile alle prese con i veri problemi dell'amministrazione di uno stato. Non c'e' da stupirsi che questo Arafat abbia perso credibilita' agli occhi di quasi tutti i leader del mondo, da Washington a Mosca, da Amman al Cairo. Se Arafat avesse capito, dopo l'11 settembre, che era ora di smetterla con il terrorismo e di dichiarare la fine dell'intifada fermando le violenze contro Israele, si sarebbe trovato gli americani al proprio fianco pronti a riprendere il processo di pace sulle stesse linee perseguite dall'ex premier Ehud Barak al vertice di Camp David".
    "Il piu' grande segreto d'Israele e' stato svelato - conclude Rosenblum - il demoniaco Arafat, il nostro arcinemico e' messo a nudo: Arafat e' semplicemente uno stupido. Un somaro. Un cretino. Perche' non dovremmo dargliene atto? Ma per noi la sua possibile stupidita' non e' meno agghiacciante delle altre ipotesi. Anzi, forse e' l'ipotesi piu' spaventosa".

(Jerusalem Post, Ha'aretz, 9.12.01)


IL DISCORSO DI ARAFAT ALLA TELEVISIONE PALESTINESE


Da un articolo di Barry Rubin

    Nel discorso televisivo di domenica 16 dicembre il presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat ha detto che i palestinesi hanno vinto la loro battaglia grazie alla loro risolutezza e ai loro sacrifici. In realta', i palestinesi stanno perdendo sia sul piano militare che su quello diplomatico. Le Forze di Difesa israeliane colpiscono senza impedimenti nel cuore dei territori sotto controllo palestinese e i carri armati sono a poche centinaia di metri dagli uffici di Arafat.
    Arafat ha celebrato a lungo l'unita' nazionale dei palestinesi. Intanto Hamas, Jihad Islamica e persino alcuni gruppi del suo stesso movimento Fatah sfidano apertamente i suoi ordini e il suo stesso discorso televisivo.
    Arafat ha elogiato la democrazia palestinese, sottolineando che l'Autorita' da lui presieduta e il Consiglio legislativo sono stati eletti e promettendo di tenere nuove elezioni appena le circostanze lo permetteranno. In realta', lui stesso e il Consiglio sono decaduti e avrebbero dovuti essere rieletti nell'anno 2000, in un periodo assolutamente tranquillo, ma questo non e' accaduto. Anche le elezioni amministrative sono state piu' volte annunciate, ma mai indette.
    Arafat ha parlato di una brutale aggressione di Israele contro i palestinesi. Naturalmente non ha ricordato che sono stati i palestinesi a lanciare l'ondata di violenze e che gli stessi palestinesi amano descrivere questo conflitto come una guerra di indipendenza che potra' finire solo quando raggiungera' i suoi scopi. Arafat non ha fatto cenno alle proposte che gli vennero fatte a Camp David ne' al piano di Clinton, da lui rifiutato. Cosi' come non ha fatto cenno ai precedenti cessate il fuoco a cui si era impegnato e che non ha fatto rispettare.
    Arafat ha vantato la credibilita' della dirigenza palestinese, dicendo che le volonta' dell'Autorità Palestinese si traducono in fatti. In realta', proprio in queste settimane la credibilita' dell'Autorita' Palestinese agli occhi di Israele, Stati Uniti e persino dell'Europa ha toccato uno dei suoi punti piu' bassi tanto che molti dubitano che essa sia in grado di rispettare un qualunque impegno.
    Arafat ha decantato l'appoggio internazionale di cui godono i palestinesi, ricordando che il presidente George W. Bush e il segretario di stato Colin Powell hanno sostenuto la nascita di uno stato di Palestina. E ha detto che gli arabi sono al fianco dei palestinesi. Nessun accenno alla perdita di appoggi internazionali, compresa la non casuale inerzia dei paesi arabi e il venir meno del loro sostegno finanziario.


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Arafat ha detto che la pressione d'Israele sui palestinesi non otterra' nessun risultato. In realta', proprio la sua apparizione in televisione e il suo appello per la fine degli attentati sono un frutto di quelle pressioni.
    Ma a parte tutto questo, lo scopo del discorso di Arafat era soprattutto quello di convincere i palestinesi a smetterla con le aggressioni armate, specie gli attentati suicidi, e rispettare il cessate il fuoco. Ma Arafat non ha detto esplicitamente che l'intifada, la sollevazione violenta, deve finire. Non ha espresso nessuna condanna morale del terrorismo. Ha solo detto che le violenze devono cessare perche' in questo momento nuocciono alla causa palestinese, dal momento che offrono a Israele un "pretesto" per l'escalation. Arafat ha giustificato questa sua posizione in tre modi. Primo, affermando falsamente che i palestinesi sono sempre stati favorevoli a un cessate il fuoco e che e' stato Israele ha impedirne l'applicazione. Secondo, dicendo alla sua gente che e' il primo ministro israeliano Ariel Sharon quello che vuole davvero che gli scontri proseguano. Terzo, insinuando (sebbene non l'abbia detto esplicitamente) che Sharon vuole distruggere l'Autorita' Palestinese. Arafat non vuole smentire cio' che diceva fino a poco fa, e cioe' che la prosecuzione della lotta e' espressione dell'eroica guerra d'indipendenza del popolo palestinese. Nel contempo, pero', oggi cerca di sostenere che la cessazione degli scontri sarebbe una astuta strategia palestinese volta ad aggirare i disegni di Sharon.
    Come sempre, Arafat ha ripetuto che l'obiettivo dei palestinesi e' uno stato indipendente con Gerusalemme come capitale. Ma non ha mancato di infilare anche un riferimento alla risoluzione Onu 194, quella che i palestinesi usano per coltivare l'illusione di un "diritto al ritorno" di tutti i profughi e loro discendenti all'interno di Israele: ricetta perfetta per far fallire ogni negoziato.
    In tutta la sua carriera di capopopolo Arafat non ha mai cercato di spiegare ai palestinesi la situazione politica, le reali difficolta', le alternative concretamente possibili, la necessita' di un compromesso. Si e' sempre accontentato di infiammare gli animi, eccitare le emozioni, esortare all'azione. E impartire ordini. Domenica scorsa ha iniziato il suo discorso televisivo dicendo che voleva parlare con il cuore in mano per spiegare ai palestinesi come stanno le cose. Ma non l'ha fatto. Ancora una volta, forse senza nemmeno accorgersene, Arafat ha infiammato gli animi proprio quando voleva calmarli. Se avesse presentato davvero ai palestinesi una valutazione disincantata e realistica delle cose avrebbe reso loro un servizio molto migliore e avrebbe agito in modo ben piu' efficace rispetto al fine dichiarato di porre fine alle violenze e riprendere la via del negoziato.

(Jerusalem Post, 17.12.01)

I TERRORISTI PALESTINESI RESPINGONO GLI ORDINI DI ARAFAT


I rappresentanti di tre gruppi terroristici palestinesi hanno respinto l'appello del presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat per un cessate il fuoco e per la fine degli attentati suicidi. Si sono espressi in questo senso da Beirut Abu Imad Rifai, portavoce della Jihad Islamica, e Osama Hamdan, esponente di Hamas, i due gruppi palestinesi che hanno rivendicato la maggior parte dei 30 e piu' attentati suicidi perpetrati contro israeliani dall'inizio delle violenze palestinesi quindici mesi fa. Uguale posizione e' stata espressa a Damasco da Maher Taher, membro dell'esecutivo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un gruppo estremista non fondamentalista che ha compiuto di recente una serie di attentati tra cui l'assassinio a Gerusalemme del ministro israeliano Ze'evi. Sia i fondamentalisti che l'FPLP hanno dichiarato che ignoreranno l'appello di Arafat.

(Jerusalem Post,17.12.01)


IL PESO DELLA MENZOGNA GRAVA DI NUOVO SUGLI EBREI


Spira forte il vento dell'antisemitismo

Articolo  di Fiamma Nirenstein
   
    Dopo l'11 di settembre, l'America è un'altra cosa, e un'altra cosa siamo noi ebrei.
    E' come se il risveglio del mondo intero all'antagonismo infinito fra mondi, allo scontro delle culture e delle civiltà, ci avesse richiamato d'un tratto a quella frattura, a quella malattia delle coscienze che si chiama antisemitismo: l'avevamo obliterata, scambiata per qualcos'altro, attribuita a differenze d'opinione sulla politica israeliana, messa da una parte.
    E adesso, però, si avverte qualcosa di infetto nell'aria, spore che volano da più di un anno e infiammatesi da qualche mese. Quando ero piccola, e con mia nonna e mia sorella Susanna cantavamo e ballavamo una hora inventata nella nostra casa di Firenze, la Shoah aveva appena chiuso le sue fauci.
    L'Italia avvolta in un vento resistenziale e Israele intesa come modello socialista, somma di tutte le perfezioni, scevra dal peccato originale, garantivano che quella fornace era chiusa per sempre. Quando ho visto le ceneri dell'11 settembre al Ground Zero e al Pentagono, solo la voce forte di mio cugino Andrea Fiano (ormai quasi newyorkese per quanto noto giornalista economico italiano) il cui ufficio era a dieci metri dalle Twin Towers mi ha risvegliato da una sensazione buia, nota:" Ricordati", mi ha detto "che la mana jomit (la porzione quotidiana) di Auschwitz, come la chiama Aleph Beth Yeoshua, era di 15mila persone al giorno".
    E' vero; e tuttavia io vedo in queste ceneri il segno di un odio spietato e grandioso che mi ricorda quello, e solo quello. E che deve fare ricordare, e pensare bene a quello che oggi gli Ebrei e Israele passano. Dove siamo noi in questo frangente storico? Intanto, con Israele, siamo nel mezzo geograficamente, fisicamente, in una situazione di faglia fra Occidente e mondo islamico in cui siamo rigettati, delegittimati come Stato e come Nazione (nazione di esseri umani, non necessariamente tutti raccolti in un luogo, ma 13milioni di persone che sentono insieme). Siamo nella posizione fisica e morale in cui è facile citare gli ebrei e Israele del tutto pretestuosamente, come ha subito fatto Bin Laden, come causa di uno scontro di cui invece siamo una delle vittime e dei bersagli, come ogni altro pezzetto d'Occidente.
    In più siamo affondati, da quando è in atto questa seconda Intifada (che è stata chiamata come la prima, ma che non ne ha nessun tratto) in un mare di odio, di parole malate, di sciocchezze scambiate per realtà. Non è nuovo l'odio antisraeliano, ma da quando abbiamo sentito ripetere che se non fosse stato perché l'America è amica di Israele non sarebbe mai stata attaccata; o in forma ancora più volgare che il Mossad ha organizzato tutto il disastro; o peggio, che quel giorno nelle Twins non c'era neppure un ebreo, ecco che di nuovo ci si ripropone all'ennesima potenza la vecchia storia della ricerca del capro espiatorio, dell'ebreo colpevole, complottardo, egoista, un mostro, nemico humanis generis.
    Roba da primitivi, niente di cui preoccuparsi veramente? Eppure c'è chi lo seguita a chiedere: "E' vero che non c'era neppure un ebreo, là?". E quanti magnati e intellettuali arabi l'hanno detto e ridetto, come lo sceicco Muhammad Gemeaha rappresentante in America dell'Università di al Azhar, la grande Università del Cairo: "Solo gli ebrei" ha detto "sono capaci di distruggere il World Trade Center, e quando questo sarà compreso dagli americani, essi faranno agli ebrei ciò che fece loro Hitler". E questo è uno studioso, uno dei tanti rappresentanti islamici che parlano così. Ma prima di lui, i protocolli dei Savi di Sion sono stati distribuiti a Durban e gli ebrei presenti sono stati picchiati, mentre Israele veniva definito uno Stato di apartheid; Assad dice al papa che gli ebrei fanno ai palestinesi ciò che sono sempre stati abituati a fare, basta guardare cosa hanno fatto a Gesù; l'Olocausto è stato negato sulle prime pagine di tutto il mondo arabo, e fior di intellettuali siriani, giordani, egiziani, hanno sostenuto che gli ebrei se lo sono inventato per mettere insieme soldi e consenso per Israele...Non è finita: non vi sarete dimenticate le storie dei chewing gum avvelenati, del gas nervino, dell'uranio impoverito, delle soldatesse israeliane nude che distraggono i combattenti palestinesi... e al di là di queste menzogne così infantili da apparire ingenue, la sottile ma intensa penetrazione dell'idea che non sia da prendersi neppure in considerazione il fatto che Israele possa aver ragione e non torto, in questo conflitto. L'idea di un Israele criminale, situato in Palestina per un volere colonialistico ed espansionista è passata; l'idea di un conflitto nato per la prepotenza e persino per l'espansionismo israeliano - e non, come si vede benissimo nella storia, da un rifiuto arabo e palestinese - non è parte della grammatica giornalistica e intellettuale corrente.
    Volano nell'aria ormai inquinata l'idea di una mostruosa occupazione imposta per priapismo ideologico (non si sa neppure che il 98 per cento della popolazione palestinese già vive sotto Arafat) e l'idea vuota di senso storico che una volta finita l'occupazione il mondo arabo accetterà Israele; è accaduta un'obliterazione spietata, nella mente e nel cuore della gente, del terrorismo cui gli israeliani sono sottoposti, in misura che le parole non bastano a spiegare; e soprattutto ha preso piede la delegittimazione storica di Israele, l'accettazione del punto di vista che la soluzione in fondo risieda nel fatto che gli ebrei smettano di avere tutte queste pretese, smettano di agitarsi, smettano...
    Il mondo ha già creduto varie volte di vedere negli ebrei i perturbatori da scansare. Dopo l'Olocausto, c'è stato un attimo di respiro; oggi sento che di nuovo il peso della menzogna è sugli ebrei come un tempo. Chi crede che riguardi Israele, si veda tutte le chiamate in causa degli ebrei, in Europa e in America, tutte le richieste di abiurare, di discolparsi, di farsi indietro. Tutta la vicenda del processo Sharon in Belgio.
    Questa Intifada è stata una terribile rivelazione dello stato della psiche del mondo; poi, Durban l'ha identificato e definito punto per punto, rincorrendo gli ebrei sudafricani o francesi con la kippà mentre Israele veniva chiamata assassina e violatrice di diritti umani; e infine, l'11 di settembre, ha alzato alte nuvole di fumo.

(da "Shalom", mensile ebraico di informazione e cultura, dicembre 2001)



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