Notizie su Israele 163 - 26 marzo 2003
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In quel giorno dirai: «Io ti lodo, Signore! Infatti, dopo esserti adirato con me, la tua ira si è calmata, e tu mi hai consolato. Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, e non avrò paura di nulla; poiché il Signore, il Signore è la mia forza e il mio cantico; egli è stato la mia salvezza». Voi attingerete con gioia l'acqua dalle fonti della salvezza, e in quel giorno direte: «Lodate il Signore, invocate il suo nome, fate conoscere le sue opere tra i popoli, proclamate che il suo nome è eccelso! Salmeggiate al Signore, perché ha fatto cose grandiose; siano esse note a tutta la terra! Abitante di Sion, grida, esulta, poiché il Santo d'Israele è grande in mezzo a te». (Isaia 12:1-6) DAL DIARIO DI UN VIGILE DEL FUOCO IN ISRAELE Mariano Penier è immigrato in Israele dall'Argentina sei anni fa e si è arruolato nel Corpo dei Vigili del Fuoco - Intendenza dei Servizi Anti-incendio e Soccorso. Keren Hayesod gli ha chiesto di scrivere, in questo periodo di guerra, un diario della sua vita quotidiana, professionale e privata. Israele, 18 marzo 2003 Shalom! Non c'è dubbio, il nostro stato d'allerta è quasi arrivato al massimo nel corso degli ultimi giorni. Non che negli ultimi tempi non ci fossimo accorti che la situazione stava diventando sempre più tesa, ma questi giorni sono stati davvero critici. Un mese fa ho completato un corso di comandanti di squadra, nel quale è stato messo l'accento su come affrontare un offensiva terroristica non-convenzionale, condotta per mezzo di pirite (gas mostarda), VX (gas nervino) ed altre terribili sostanze di questo genere. In questi casi, ogni secondo è importante: abbiamo imparato, e soprattutto ci siamo addestrati all'infinito, a vestire gli scafandri speciali, a correre alle postazioni ed alle auto-pompe e, ovviamente, a dare le prime cure di pronto-soccorso agli intossicati ed ai feriti. Tutte le nostre attività si svolgono, naturalmente, in collaborazione con il Comando del Fronte Interno, il Maghen David Adom e la Polizia. Anche l'esercito ci ha "prestato" un certo numero di soldati, che noi addestriamo, ma alla fin fine, quelli che arriveranno per primi in ogni luogo colpito dai missili saranno i Vigili del Fuoco. Nel corso dell'addestramento, mi sono accorto ancora una volta quanto siano pesanti le nostre tute di protezione, per non parlare poi delle bombole d'ossigeno che ci portiamo sulla schiena e che pesano 10-11 Kg. Abbiamo provato e riprovato il sistema di comunicazione interno agli scafandri, il sistema di respirazione autonoma, abbiamo imparato a sopportare il calore ed il sudore che si sprigionano all'interno dello scafandro. Ci addestriamo anche agli allarmi ed alle chiamate notturne, perché può succedere di tutto, in tutte le ore del giorno e della notte, ed anche a ciò dobbiamo essere pronti. Due settimana fa, il Sovrintendente ai Servizi Centrali Anti-incendio e Soccorso, Shimon Romah, ha fatto visita alla nostra stazione a Kfar Saba, per aggiornarci ed incoraggiarci. Queste visite sono molto importanti e ci risollevano il morale. Ci sentiamo pronti. Il rifugio della stazione è stato trasformato in 'stanza sigillata', e allo scoppio della guerra, vi saranno immediatamente trasferiti il centralino telefonico d'emergenza e la nostra centrale operativa.. Nel frattempo, io sono al comando di una squadra di Vigili del Fuoco nella nostra stazione distaccata di Tsur Yigal, proprio sulla 'Linea Verde', di fronte a Qalqiliya ed anche lì stiamo ultimando i preparativi, per far fronte a qualsiasi evenienza. Non crediate, però, nemmeno per un istante, che, a causa dei miei impegni professionali così pressanti, io dimentichi la casa e la famiglia. Anche in casa abbiamo approntato uno 'spazio protetto'. Ho istruito mia moglie su come usare correttamente la maschera anti-gas e su che cosa fare con la nostra piccola e rimango in costante contatto telefonico con lei. Anche i miei genitori abitano a Kfar Saba, ma durante la guerra, se ci sarà, verranno a stare da noi; come mio fratello, del resto, che ha fatto l'alià con sua moglie e la loro bambina solo due mesi fa, in gennaio. Mio fratello è veramente molto teso per la situazione, è sempre appiccicato ai notiziari; io cerco di dargli istruzioni e di calmarlo. È davvero più difficile per chi è appena arrivato in Israele e, oltre a tutte le difficoltà dell'inserimento, deve adesso fare i conti con una situazione d'emergenza del genere. Ciononostante, non si pente nemmeno per un momento della decisione di immigrare! Almeno, come mi ha detto qualcuno, ha la fortuna di avere a portata di mano "un esperto privato" (il sottoscritto) in questioni di sicurezza ed anche questo è già qualcosa, in questi giorni. Speriamo che tutto finisca presto e bene. Vostro, Mariano * * *
Israele, 23 marzo 2003 Shalom! Dalla mia prima relazione di una settimana fa, abbiamo superato in questa zona del mondo una fase decisiva, che influisce sia sulla nostra vita qui in Israele, sia sul nostro grado di preparazione professionale e personale, e che è stata determinata dallo scadere dell'ultimatum di Bush, in conseguenza del quale le forze americane ed inglesi hanno lanciato l'offensiva contro il regime di Saddam Hussein. I cittadini israeliani hanno ricevuto l'ordine di portare con sé ovunque le maschere anti-gas e tutti sono nel massimo stato di allerta. L'ufficiale responsabile delle operazione della mia zona mi ha telefonato immediatamente, appena si è saputo dell'inizio dei bombardamenti e dei combattimenti, ordinandomi di mettere la mia squadra in stato di allerta "24 ore su 24", con turni di tre-quattro giorni per ciascuno e procedure d'emergenza per le notti. Abbiamo sigillato tutte le stanze, sia nella centrale dei Vigili del Fuoco di Kfar Saba che nella stazione distaccata di Tsur Yigal, ed abbiamo trasferito nello "spazio protetto" il centralino telefonico e l'unità operativa. L'Esercito ci ha assegnato due riservisti, arruolati con procedura d'emergenza ("Ordine di precettazione n. 8") che ci accompagnano ovunque ci spostiamo. Lo scorso venerdì, ad esempio, abbiamo avuto un grosso incendio a Taybeh, una popolosa città araba situata nella nostra zona di operazioni, ed abbiamo impiegato diverse ore a spegnerlo. Non era minimamente collegato allo stato d'emergenza, per fortuna, a differenza del triste caso capitato una settimana fa in un'altra città araba, Kafr Kassem, in cui una donna e due dei suoi figli sono morti soffocati nel sonno, dopo che avevano acceso la stufa per riscaldare la stanza sigillata, in cui si erano rinchiusi per passarvi la notte. Anche la mia famiglia è "passata di livello" nei preparativi. Mia moglie José-Batel sa ormai perfettamente come mettersi la maschera anti-gas e tutti e due siamo diventati degli esperti nell'infilare la nostra bambina di sei mesi, Hadas, nella sua "tenda blu": così abbiamo chiamato il suo kit protettivo. Abbiamo controllato il sistema di areazione e le batterie dell'apparecchio e tutto funzionava alla perfezione. Speriamo di non averne bisogno... Abbiamo preparato una stanza sigillata anche per i miei genitori e per mio fratello Gustavo e la sua famiglia: se dovesse accadere qualcosa di drammatico, possono arrivare da noi in pochi minuti. Gustavo sta ancora cercando lavoro e va a studiare ebraico all'ulpan, come al solito. Là gli hanno dato una lezione speciale sullo stato d'emergenza e gli hanno mostrato come usare il kit protettivo. Vi avevo già detto che Gustavo ha la possibilità di fare altre domande al suo esperto privato (il sottoscritto), ma anche questa lezione è stata un bene ed ha contribuito a calmare molte preoccupazioni. Chi ha conservato la calma più totale è stata invece sua figlia, di 14 anni, che frequenta il liceo a Kfar Saba. Lo scorso giovedì, con l'inizio dell'offensiva, il Ministero dell'Educazione ha comunicato che le scuole sarebbero state aperte come al solito e vi sarebbero state lezioni regolari. Molti genitori non hanno ottemperato alla decisione ed hanno tenuto i figli a casa, come a dire "prima vediamo quel che succede, poi decidiamo". Anche mia cognata non era tanto dell'idea che sua figlia andasse a scuola, ma lei ha deciso che non c'era di che preoccuparsi, ha radunato le compagne e tutte insieme sono partite per la scuola, equipaggiate con le loro maschere anti-gas. Niente male per una ragazzina arrivata in Israele solo due-tre mesi fa! Alle volte questi ragazzi possono insegnarci qualcosa. Speriamo che la calma tesa in cui viviamo adesso perduri e che si possa tornare al più presto ad una situazione di totale routine. Vostro, Mariano (Keren Hayesod) I RAPPORTI TRA IL NAZISMO E IL MONDO ISLAMICO Fascio, svastica e mezzaluna, la trimurti del Raìs di Andrea Colombo MILANO - A Tripoli, davanti a una moltitudine di libici convenuta per lo storico incontro, viene utilizzata una coreografia hollywoodiana, studiata nei minimi particolari da Italo Balbo, per "l'apparizione" di Mussolini. Il Duce è in sella a un purosangue, seguito da 2600 beduini a cavallo, e snuda la fiammeggiante spada dell'Islam d'oro massiccio ricevuta dai capi arabi. E' il marzo del 1937. Il capo del fascismo si presenta come il liberatore dei popoli nordafricani dall'egemonia franco-inglese. Ma ha in mente altri piani: vuole ritagliare una sfera d'influenza italiana nell'area del Mediterraneo, il Mare Nostrum. Un programma neo-coloniale, quindi. Un sogno che si infrange tra il luglio e il novembre del 1942 con la sconfitta delle forze dell'Asse a El Alamein. Svanisce così la possibilità che Benito Mussolini entri ad Alessandria d'Egitto con in pugno "la spada dell'Islam". Questo è solo uno dei capitoli dei rapporti fra il nazifascismo e il mondo islamico. Un rapporto complesso, fatto di complicità, ma anche di rivalità, invidie e sconfitte clamorose. «Sull'incontro delle potenze dell'Asse con i movimenti di resistenza africani e asiatici oggi possiamo finalmente disporre di una precisa ricostruzione, che colma gravi lacune e ci offre non poche sorprese», scrive Angelo Del Boca nell'introduzione al saggio dello storico Stefano Fabei intitolato "Il fascio, la svastica e la mezzaluna" (Mursia). Si tratta di un libro sorprendente, ricco di spunti anche legati all'attualità. Emerge ad esempio che il partito Baath, quello di Saddam per intenderci, aveva in origine come ispiratore lo stesso Hitler. Era infatti un movimento laico, nazionalsocialista, antimarxista, proprio come quello della croce uncinata. Con una particolarità: il panarabismo. Uno dei primi leader del partito Baath, il siriano Sami al-Jundi, disse: «Eravamo ammiratori del nazismo, leggevamo i suoi testi e le fonti della sua dottrina, specialmente Nietzsche. Fummo i primi a pensare di tradurre il Mein Kampf. Il nazismo era la potenza che poteva essere presa a modello». Non solo per i fondatori del partito Baath, ma anche per le masse arabe, oppresse da tante potenze straniere, il nazismo rappresentava la possibilità di liberarsi dal giogo coloniale. E non solo. Con i suoi proclami antisemiti Hitler era l'alleato ideale per fermare i progetti sionisti di occupazione della Palestina. Come scrive Fabei, «agli occhi degli arabi Hitler era il campione della lotta all'ebraismo; quando nel 1934 a Norimberga furono promulgate le leggi razziali pervennero al Fürher telegrammi di congratulazione da tutto il mondo islamico, in maniera particolare dalla Palestina e dal Marocco». Era tale l'entusiasmo per la politica nazista, che molti arabi credevano che Abû 'Alî, come veniva popolarmente chiamato Hitler, si fosse convertito all'Islam. Da parte sua Hitler ricambiava l'ammirazione delle masse e delle élite arabe, dichiarandosi un estimatore dell'Islam. Nel corso della conversazione a tavola con il generale Keitel del 1° agosto 1942, il Fürher oltre a dichiarare la sua convinzione circa la superiorità della religione islamica rispetto alla cristiana, parlando della Spagna affermò che l'epoca araba era stata il periodo d'oro della penisola iberica. Al di là delle parole e dei proclami di stima reciproca, durante la guerra il contributo di sangue dei musulmani alla causa delle forze dell'Asse fu notevole. Fabei calcola che, fra il '41 e il '45, si siano uniti ai soldati del Reich 13mila fra siriani, palestinesi, iracheni, egiziani e maghrebini, 60mila bosniaci, montenegrini e albanesi, 350mila turchestani, tartari, ceceni, azeri. Soltanto i caucasici persero in combattimento 117mila uomini, il che significa che le truppe musulmane furono sempre impiegate in prima linea. Alla fine della guerra chi non morirà sul campo verrà consegnato dagli Alleati a Stalin, e finirà massacrato nei Gulag. Diversa sorte ebbero invece i due maggiori artefici dell'alleanza fra nazifascismo e mondo arabo: il Gran Muftì di Gerusalemme e il nazionalista iracheno al-Gailani. Il primo, arrestato dalla polizia di De Gaulle nel maggio '45, dopo un breve periodo di prigionia riuscì a fuggire al Cairo, dove inaugurò una nuova fase nella lotta antisionista, come presidente del neonato Supremo Comitato Arabo per la Palestina. Al-Gailani, invece, tornò in Iraq, dove continuò a svolgere un ruolo di grande prestigio fra i nazionalisti panarabi. (Libero, 12.03.2003) «SADDAM, BOMBARDA TEL AVIV!» di Debora Fait " Col nostro sangue e le nostre anime noi difenderemo Saddam" Anche questa volta, come accadde nel 1991, i palestinesi sono scesi in piazza per inneggiare a Saddam Hussein bruciando bandiere americane e israeliane. Sono migliaia in tutte le citta' palestinesi dalla Cisgiordania a |
Gaza, uomini, donne , bambini urlanti "Morte all'America, morte a Israele, morte a Bush e a Sharon". Morte a tutti, insomma. Allora uno si chiede se, caspita, non sono stufi di guerra e di violenza, se non ne hanno avuto abbastanza, se non c'e' limite al desiderio di sangue palestinese. Non impareranno mai, proprio mai che la violenza non paga? Da quarant'anni urlano " a morte"senza pensare che se si dedicassero alla vita e al dialogo avrebbero ottenuto tutto il possibile da Israele e oggi avrebbero sicuramente uno stato. A Jenin, Ramallah, Tulkarem, Bet lechem, Gaza le strade e le piazze sono stracolme di cortei accompagnati da uomini mascherati da kamikaze, che sparano in aria, invocano Saddam, gli chiedono di colpire Tel Aviv, di ditruggere Israele, di usare armi biologiche e chimiche per l'eliminazione dei due Satana, quello grande e quello piccolo: USA e Israele. Ogni volta che la gente in strada pronuncia il nome di Saddam ecco che gli uomini armati sparano in aria e la folla viene presa da isteria. Nei 30 mesi di guerra tra Israele e i palestinesi , Saddam Hussein, alla faccia del suo popolo che muore di fame, ha consegnato alle famiglie palestinesi vicine agli uomini bomba 35 milioni di $ e soltanto il giovedi' precedente l'attacco all'Iraq il rais iracheno aveva mandato altri 10.000$ alle famiglie di 21 kamikaze. Che i palestinesi vedano in questa guerra anche la fine della mucca irachena da mungere? Sicuramente sì, tutto questo amore non e' disinteressato. Nel 1991 avevano perso i soldi del Kuwait che avevano vilmente tradito e adesso rischiano di perdere anche i dollaroni iracheni. Quello che salta agli occhi e' la differenza di reazione all'attacco americano da parte di israeliani e palestinesi, i due popoli in lotta, i due popoli che hanno patito sofferenze inenarrabili e salta agli occhi, e' doveroso dirlo, che la classe non e' acqua. Da una parte gli israeliani calmi, pacati, sofferenti e dignitosi, aspettano col cuore in gola un attacco iracheno o un grande attentato terroristico palestinese. Nessuno urla, la gente e' tranquilla, ognuno si occupa delle sue cose, non ci sono manifestazioni, non servono manifestazioni, quello che serve e' il coraggio e la testa sulle spalle. Con orgoglio posso affermare che mai in tutti questi anni di guerra e paura e' stata bruciata in Israele una bandiera palestinese o di qualsiasi paese arabo nemico. Dall'altra parte ecco invece i palestinesi urlanti odio, aggressivita' e violenza senza confini, fumo di centinaia di bandiere bruciate, spari e distruzione. "Saddam colpisci Tel Aviv"
E'questo il popolo che dovremmo avere come vicino di casa se un giorno le guerre del Medio Oriente finiranno? (Informazione Corretta, 25.02.2003) MA C'E' ANCHE QUALCUNO DI BUON SENSO Il quotidiano israeliano Ma'ariv ha pubblicato un appello lanciato da un arabo israeliano, Hamis Abulafiya, ai suoi fratelli palestinesi. Ecco il testo: «L'offensiva anglo-americana in Iraq ricorda al mondo, e in particolare al popolo palestinese, il periodo della prima guerra del Golfo, nel 1991. Gli israeliani hanno il ricordo di quelle immagini di palestinesi che ballano sui tetti delle loro case e innalzano canti di gloria per Saddam Hussein («Saddam, nostro Saddam tanto amato, colpisci, colpisci Tel Aviv!») Questa condotta ha esasperato gli israeliani in generale e il campo della pace in particolare. Per il momento nessun missile si è abbattuto su Israele, ma le manifestazioni anti-americane e pro-Saddam sono già cominciate nella nostra regione. E gli errori del passato rischiano di riprodursi. Allora, prima che sia troppo tardi, mi sembra necessario chiedere ai miei fratelli palestinesi che si trovano dalle due parti della linea verde di non rallegrarsi se per avventura dei missili dovessero colpire Israele. Certo, gli ultimi due anni sono stati tra i più difficili. Certo, la frustrazione politica è grande, ma non può sfociare nella gioia di vedere l'altro in difficoltà. Nel passato questo comportamento ha provocato sicuramente un danno alla causa palestinese, e se si ripeterà, provocherà altri guai. I palestinesi hanno il diritto di scendere in strada e di manifestare contro questo nuovo attacco all'Iraq, ma non devono lasciarsi guidare dalle loro emozioni. Nel corso degli anni passati il popolo palestinese ha fallito troppi obiettivi in questo campo. Non può permettersi di mancarne ancora un altro.» (Proche-Orient.info, 25.03.2003) CHIRAC RINGRAZIA IL PAPA (E SADDAM RINGRAZIA TUTTI E DUE) Lettera di Chirac al Papa «Lavoriamo insieme per la pace» di Jacques Chirac Santo Padre, mentre in Iraq sono in corso le operazioni militari, desidero rivolgere a Vostra Santità tutti i miei sentimenti di stima e di riconoscenza per gli instancabili sforzi profusi al fine di preservare fino all'ultimo momento le possibilità di pace e di mobilitare in questa direzione tutti gli uomini di buona volontà. Anche la Francia si è sforzata di convincere i suoi partner che si poteva ottenere il necessario disarmo dell'Iraq attraverso mezzi pacifici, nel rispetto del diritto internazionale e delle competenze dell'organizzazione delle Nazioni Unite. E' per questo che sono profondamente rammaricato per l'inizio delle operazioni militari, e mi auguro che finiscano il più rapidamente possibile e al minimo costo in termini di vite umane. Di fronte alle sfide che ci attendono, la comunità delle Nazioni deve unire i suoi sforzi nel quadro dell'Onu, in favore della salvaguardia e del rispetto del diritto. Questo vale per l'Iraq, dove si dovrà rispondere alle necessità delle popolazioni civili provate e assicurare la ricostruzione di un paese preservato nella sua unità e nella sua sovranità. E vale anche di fronte alle tante altre sfide, come la lotta al terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa, come anche la lotta per lo sviluppo e in favore di una globalizzazione al servizio dell'uomo. Parimenti, una riorganizzazione pacifica della regione dovrà andare di pari passo con l'attuazione di una soluzione durevole in Medio Oriente, che tenga conto del bisogno di sicurezza di Israele e del rispetto dei diritti del popolo palestinese. Io sono convinto che un contributo debba venire anche da una conferenza internazionale accuratamente preparata. Ho pure in animo la protezione delle comunità cristiane particolarmente minacciate in questa regione del Vicino e del Medio Oriente e verso la quale, sappiamo, va tutta la sollecitudine e la compassione di Vostra Santità. Inoltre dobbiamo stare attenti a che il conflitto iracheno non alimenti l'antagonismo tra civiltà e religioni. E' lì, mi pare, una delle nostre principali responsabilità di fronte alla Storia. Per questo è essenziale che la comunità internazionale ritrovi la sua unità intorno ai valori fondamentali dell'umanesimo, a cominciare dal rispetto dell'altro e dalla tolleranza. Poiché sull'insieme di questi temi condividono punti di vista largamente convergenti, la Santa Sede e la Francia dovranno continuare ad agire insieme per far prevalere il primato del diritto, della giustizia e del dialogo fra i popoli. Desidero assicurare ancora una volta a Vostra Santità la mia volontà di lavorare senza sosta in questa direzione. (La Stampa, 25 marzo 2003) PERES: «NECESSARIA LA CAMPAGNA CONTRO SADDAM»
Secondo Peres, la guerra contro Saddam portera' vantaggi a tutto il Medio Oriente, e Israele potrebbe persino ritrovarsi con qualche amico a Baghdad, dopo che sara' stato sostituito l'attuale regime. Il regime di Saddam Hussein si e' lungamente "infiltrato" nei territori palestinesi, promuovendo il terrorismo contro Israele. Questa campagna, inoltre, rappresentera' un avvertimento rivolto ad altri stati infestati dal terrorismo, come l'Iran. "L'Iran e' molto vicino alla bomba atomica - ha detto Peres - Cio' che gli Stati Uniti stanno tentando di fare e' inviare un forte segnale, sperando nelle forze riformiste all'interno dell'Iran". Sulla questione del conflitto israelo-palestinese, Peres si e' detto incoraggiato non solo dalla nomina in se' di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a primo ministro dell'Autorita' Palestinese, ma anche dalle modalita' della nomina. L'investitura di Abu Mazen e' giunta dopo una votazione del Consiglio Legislativo Palestinese che Peres definisce un passo avanti verso la democrazia. Peres, considerato uno degli architetti del processo di pace di Oslo degli anni Novanta, sostiene che Yasser Arafat inizialmente era sinceramente interessato a una composizione del conflitto con Israele, ma lo accusa di non essere stato pronto, nella fase finale del processo, ad agire con determinazione contro i gruppi terroristici come Hamas e Jihad Islamica. Cio' nondimeno Peres ritiene che la strada avviata a Oslo finira' per prevalere. "La direzione e' chiara - ha detto - Vi sara' uno stato palestinese". (Jerusalem Post, 24.03.03 - da israele.net) SOLDI EUROPEI CHE NON ARRIVANO AI "POVERI PALESTINESI" Spariti nel nulla milioni di dollari donati al più famoso ente palestinese per i diritti umani L'Unione Europea ha annunciato martedi' che i paesi donatori hanno sospeso tutti gli aiuti alla piu' importante organizzazione palestinese per i diritti umani (il Palestinian Society for the Protection of Human Rights and the Environment, LAW). La decisione e' stata presa subito dopo che un controllo indipendente, condotto da esperti svedesi della Ernst & Young, aveva sollevato pesanti sospetti di cattiva gestione sui fondi per milioni di dollari. La ONG palestinese opera nei territori da 13 anni durante i quali ha ricevuto ingenti finanziamenti da Norvegia, Svezia, Danimarca, Irlanda, oltre che dall'Unione Europea come tale. Dal settembre 1997 all'agosto 2002 l'organizzazione palestinese ha ricevuto dai paesi donatori circa 10 milioni di dollari: di questi, almeno 4 milioni sono spariti o sono stati intascati dai capi dell'organizzazione. Secondo gli ispettori, almeno 2,3 milioni sarebbero finiti su conti bancari segreti, in Israele e territori, e usati per scopi che non hanno niente a che vedere con quelli dell'organizzazione. Il fondatore della Palestinian Society for the Protection of Human Rights, Khader Shkirat, da alcuni mesi fa parte del collegio di difesa di Marwan Barghouti, il capo di Fatah sotto processo in Israele per terrorismo. I paesi donatori hanno sospeso tutte le erogazioni, dicendo di sentirsi "traditi". (Ha'aretz, 25.03.03 - da israele.net) INDIRIZZI INTERNET Israel My Beloved | ||||||||||