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Notizie su Israele 226 - 3 febbraio 2004 |
1. Chiare linee morali di confine contro combattere l'antisemitismo 2. Dalla viva voce di una terrorista suicida 3. Polemiche tra palestinesi sull'attentato al convoglio americano 4. Caos e anarchia nell'Autorità Palestinese 5. L'ambasciatore d'Israele presso l'UE chiede uno «Statuto speciale» 6. Notizie in breve 7. Musica e immagini 8. Indirizzi internet |
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1. CHIARE LINEE MORALI DI CONFINE CONTRO L'ANTISEMITISMO
di Natan Sharansky Questa settimana ho partecipato a una conferenza sull'antisemitismo in Europa. Convocata dal presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, la conferenza ha raccolto i dirigenti del mondo intero, determinati a combattere la nuova ondata di antisemitismo che ha sommerso l'Europa nel corso degli ultimi anni. Il problema è di sapere come le sincere intenzioni dei partecipanti di combattere questo male possano essere tradotte in azioni efficaci. La mia esperienza mi ha convinto che quando si prende posizione contro il male la chiarezza morale è di cruciale importanza. Il male non può essere vinto se non può essere identificato, e il solo modo di riconoscere il male è di tracciare chiare linee di frontiera morali. Il male prospera quando queste frontiere sono confuse, quando il giusto e lo sbagliato sono un fatto di opinione, e non una verità oggettiva. Proprio questo è ciò che rende così difficile la lotta contro il cosiddetto nuovo antisemitismo. Agli occhi del mondo libero moderno, l'antisemitismo classico è facilmente individuabile. Se vediamo dei film che mostrano degli ebrei che prendono il sangue da bambini non ebrei, o che complottano di dominare il mondo, la maggior parte di noi riconosce immediatamente che si tratta di antisemitismo. Film di questo tipo, prodotti recentemente dai media governativi di Egitto e Siria, e fatti arrivare via satellite a centinaia di milioni di musulmani sparsi nel mondo, inclusi milioni di musulmani immigrati in Europa occidentale, usano argomenti e fandonie che ci sono familiari. Ma il nuovo antisemitismo è molto più sottile. Mentre l'antisemitismo classico si indirizzava manifestamente contro la religione ebraica o il popolo ebraico, il nuovo antisemitismo dà l'impressione di essere diretto contro lo Stato ebraico. Per il fatto che può nascondersi sotto la vernice di una legittima critica a Israele, è molto più difficile metterlo in evidenza. Infatti, durante tutto l'anno scorso, ogni volta che abbiamo denunciato le radici antisemite di dichiarazioni anti-israeliane particolarmente virulente, la reazione è sempre stata che stavamo cercando di soffocare la legittima critica a Israele etichettandola come antisemitismo. Uno dei risultati di questa conferenza è stato il fatto che gli stessi dirigenti europei hanno ammesso che non ogni critica a Israele è legittima. Questo riconoscimento è stato evidenziato nelle osservazioni del Presidente Romano Prodi, del Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, e altri alti funzionari. Se non tutte le critiche a Israele sono legittime, come si può definire la linea di confine? Propongo il seguente test per distinguere la critica legittima a Israele dall'antisemitismo. Questo testo 3D, come io lo chiamo, non è nuovo. Non fa che applicare al nuovo antisemitismo i criteri che, nel corso dei secoli, hanno caratterizzato le differenti dimensioni dell'antisemitismo classico. Il primo D è il test della Demonizzazione. Quale che sia la forma teologica dell'accusa collettiva, il deicidio o la descrizione letteraria di Shylock, fatta da Shakespeare, per secoli gli ebrei sono stati demonizzati come incarnazione del male. Per questo, quindi, oggi dobbiamo saper riconoscere quando lo Stato ebraico è demonizzato da una presentazione smisuratamente gonfiata dei suoi atti. Per esempio, il fatto di paragonare gli israeliani ai nazisti, e i campi dei rifugiati palestinesi a Auschvitz - paragone che si sente praticamente ogni giorno negli "illuminati" quartieri dell'Europa - non può essere considerato altro che antisemitismo. Chi fa questi paragoni ignora tutto della Germania nazista, o, più verosimilmente, tenta deliberatamente di dipingere l'Israele moderno come l'incarnazione del male. Il secondo D è il test del Due pesi e due misure. Per millenni, è stato un chiaro segno di antisemitismo il trattare gli ebrei in modo diverso dagli altri popoli, dalle leggi discriminatorie che molte nazioni hanno decretato contro di loro, fino alla tendenza a giudicare il loro comportamento con un metro diverso. Oggi allora dobbiamo chiederci se la critica a Israele è fatta in maniera selettiva. In altri termini, comportamenti simili da parte di altri governi, danno luogo alla stessa critica? o si usano due pesi e due misure? C'è antisemitismo, per esempio, quando Israele è stigmatizzato dalle Nazione Unite per violazione dei diritti umani mentre reali e dimostrati abusi di questi stessi diritti, compiuti da nazioni come Cina, Iran, Cuba e Siria, sono ignorati. Nello stesso modo, c'è antisemitismo quando al Magen David Adom di Israele, unico tra tutti i servizi mondiali di ambulanze, è negata l'ammissione alla Croce Rossa internazionale. Il terzo D è il test della Delegittimazione. Nel passato gli antisemiti hanno tentato di negare la legittimità della religione ebraica, del popolo ebraico, o di tutti e due. Oggi tentano di negare la legittimità dello Stato ebraico presentandolo, tra l'altro, come l'ultimo residuo di colonialismo. Mentre la critica alla politica israeliana può non essere antisemitica, la negazione del diritto di Israele a esistere è sempre antisemitica. Se altri popoli hanno il diritto a vivere in sicurezza nella loro patria, anche il popolo ebraico ha il diritto di vivere in sicurezza nella sua patria. Per ricordare il test 3D, suggerisco di richiamare alla memoria quei film in tre dimensioni che ci hanno rallegrati da bambini. Senza quegli speciali occhiali, il film era tutto indistinto e confuso. Ma quando ci mettevamo sugli occhi quegli occhiali, lo schermo diventava vivo, e noi potevamo distinguere tutto con perfetta chiarezza. Nello stesso modo, se non mettiamo gli occhiali giusti, la linea di demarcazione tra la legittima critica a Israele e l'antisemitismo sarà indistinta, e noi non sapremo identificare questo vecchio male, e tanto meno combatterlo. Ma se indossiamo gli occhiali speciali forniti dal test 3D, che permettono di verificare se Israele è demonizzato, o delegittimato, o se con lui si usano due pesi e due misure, saremo sempre in grado di individuare chiaramente l'antisemitismo. E con l'aiuto di questa chiarezza morale, non c'è dubbio che i nostri sforzi di combattere questo vecchio male si riveleranno molto più efficaci. (Jerusalem Post, 24 febbraio 2004) 2. DALLA VIVA VOCE DI UNA TERRORISTA SUICIDA Un'intervista a cura di Jenny Elazari e Tal Ariel Amir Mattina di domenica 22 febbraio 2004, carcere "Hasharon" (Israele). Alla radio informano che un terrorista suicida si e' appena fatto esplodere su un autobus di Gerusalemme: 8 morti, 50 feriti [saliti poi a quasi 70]. Due ore dopo ci sediamo di fronte alla detenuta Ovaiada Chalil e le raccontiamo dell'attentato. Un ampio sorriso le si dipinge sul volto. "Si'? C'e' stato un attentato? Non lo sapevo - dichiara e aggiunge - mi rallegra assai". Chalil, 27 anni, originaria di Schem, e' stata arrestata il 2 giugno 2002. I servizi di sicurezza avevano scoperto la sua intenzione di realizzare un attentato suicida. La cintura esplosiva di Chalil era gia' stata preparata e le sarebbe stata consegnata a breve se le forze di sicurezza israeliane non avessero sventato l'attacco, arrestandola nei pressi della sua abitazione mentre si recava al lavoro all'ospedale di Ramallah. Chalil e' stata condannata a 5 anni di reclusione. L'accusa - basata sulla sua confessione - e' quella di tentato omicidio plurimo premeditato. Ovaiada cerca di giustificare il suo atto con la morte del fidanzato, Ali Yasini, ucciso da un proiettile israeliano quando, verso la fine del 2001, quattro giorni prima dal loro matrimonio, era salito armato sul tetto della sua abitazione. Qualche settimana dopo, il 25 gennaio 2002, il fratello di Ovaiada, il diciassettenne Zafuat Chalil, si e' fatto esplodere in un attentato suicida nella vecchia stazione degli autobus di Tel Aviv. Nell'attentato sono state ferite 32 persone, delle quali tre in modo grave. Anche altri due parenti della donna hanno compiuto attentati suicidi in Israele. Assalita da un sentimento di vendetta, Chalil si e' rivolta a diversi attivisti della Jihad islamica pregandoli di aiutarla a realizzare il suo piano, ricevendo da tutti risposte negative, poiche' - dicevano - la Jihad non avrebbe mandato in missione suicida una donna. Ovaiada e' figlia di Nazia Chalil, casalinga, e Abdal Chalil, un tempo dipendente ospedaliero, attualmente disoccupato. La sua famiglia risiede a Sichem. Oltre ai genitori, Ovaiada ha ancora due fratelli e quattro sorelle. All'eta' di 20 anni ha iniziato a lavorare all'ospedale di Ramallah nell'assistenza degli anziani. Nel 2000 e' stata arrestata per la prima volta per soggiorno non autorizzato in Israele. Dopo un anno di reclusione nel carcere di "Neve Tirze", e' stata rilasciata nel 2001. Perche' hai deciso di attuare un attentato? "Ho sentito che dovevo farlo. Ho sempre sentito cosi'. Innanzitutto per Dio, per mio fratello e per il mio fidanzato, e per tutto il popolo palestinese. Volevo suicidarmi. E' nel mio sangue". Anche oggi senti in te questo desiderio? "Si'. Sento di dover attuare un attentato per il Corano. Devo proteggere la mia terra". E non c'e' altra via? "No. Altrimenti come uscirete dalla mia terra?" Non hai paura di morire? "La shahida [donna martire] continua a vivere presso dio". Non vuoi crearti una famiglia, allevare dei figli, vivere una vita normale? "Voi avete ucciso il mio fidanzato. Siete entrati nella sua abitazione e l'avete ammazzato a casa sua. Pertanto ora io non voglio figli". Non hai pieta' almeno dei bambini che potrebbero morire negli attentati? "Non provo nessuna pieta' per i vostri bambini e neonati che muoiono negli attentati. Anche da noi muoiono bambini e persino bambini ancora nelle pance delle madri". E tu credi davvero che una volta che ti sarai suicidata in un attentato raggiungerai il paradiso? "Si', certamente". Cosa immagini che ti accadra' li'? "Ci sono tante cose che nessun essere umano ha mai visto, ne' sentito e neppure pensato che potessero verificarsi e io non posso spiegarle". Agli shahidim [martiri] sono garantite 72 vergini; cosa viene garantito alle donne? "A me basta vedere Dio". Non sei mai colta dal dubbio che Dio e il paradiso non esistano affatto? Ride. "No. Esistono, certo che esistono". Provi odio verso di noi, gli ebrei? "Non ho problemi con gli ebrei, ma con gli israeliani. Io vi odio perche' ci avete portato via la terra e perche' risiedete nella mia terra, ma non per il fatto che siate essere umani". Pero' saresti felice di ammazzarci? "Si', sulla mia terra. Pero' se ve ne state fuori, allora no. Alla fine comunque ve ne andrete dalla nostra terra. Vi e' difficile sentirvelo dire, ma e' quello che sento". Un mese fa Ovaiada Chalil e' stata trasferita assieme alle altre detenute di sicurezza dal carcere "Neve Tirza" di Ramallah al carcere "Hasharon". Come ti trovi qui? "Normale, come tutti. Ci si abitua. Non mi e' difficile. Cio' che Dio mi da', a me va bene". Da dove sai l'ebraico? "L'ho studiato in carcere". Ti manca la famiglia? "Si'". E non ti importa di morire e non rivederla piu'? "Quando saro' in paradiso, la vedro' da li'". Quando vedi degli israeliani ti passa per la testa il pensiero "peccato che non siano morti"? "Si'. E per quanto mi riguarda non fa differenza se sono di destra o di sinistra, se si chiamano Arik [Ariel] Sharon o Yossi Sarid. Ai miei occhi sono tutti uguali". La parola "shalom" [pace] significa qualcosa per te? "No. Quando voi avevate la terra, sono forse venuta io e vi ho portato via il vostro stato? Non voglio due stati per due popoli. Questa e' la mia terra. Conosco la pace della quale parlate voi. Non e' pace. E' guerra. Parlate di pace e fate altro. Non credo che ci sara' la pace." Cosa pensi della societa' israeliana? "E' troppo permissiva, laica. Vi fara' male sentirvi dire quello che ne penso". Provaci lo stesso. "Il paese e' pieno di centri di assistenza per drogati. La cosa piu' importante per voi e' il denaro. Siete troppo libertini". Tra quattro anni sarai rilasciata. Cosa farai? "Chi vuole qualcosa ha bisogno di forza. Io chiedo a Dio che mi conceda di farlo, di essere una shahida". Per lungo tempo Chalil ha tentato di convincere gli attivisti della Jihad islamica a permetterle di attuare un attentato suicida in Israele. "La Jihad islamica non manda donne a fare attentati", le hanno ripetuto continuamente, rifiutando le sue richieste. "Ero nella Jihad da tempo, da prima che mio fratello venisse ucciso", dice Ovaiada. "Pero' da quando il mio fidanzato e' stato ammazzato, ho detto che avrei voluto attuare un attentato. Non hanno voluto. All'epoca, all'inizio del 2002, non vi erano ancora donne attentatrici". Ti sei arrabbiata quando la Jihad ha cambiato approccio e ha consentito alle donne di uscire in missioni suicide? "Ho pianto dalla troppa frustrazione. Volevo essere la prima. Volevo essere un modello da imitare, che le altre seguissero le mie orme". Quando alla fine e' stato deciso che avresti comunque attuato un attentato suicida, come ti sei sentita? "Ero proprio soddisfatta. Ah! Quant'ero soddisfatta! Ho gridato dalla gioia, ho pregato Dio e gli ho detto grazie. Attendevo questo giorno, ma non ho fatto in tempo. Peccato che non sia riuscita ad attuare l'attentato". Esiste qualche cerimonia che si celebra prima dell'attentato? "Si'. Non e' obbligatorio, ma solitamente si digiuna. Si fanno cose religiose". E quando ti hanno catturata? "Mi sono arrabbiata moltissimo. Ero ricercata da quattro mesi, poiche' [gli israeliani] erano a conoscenza delle mie intenzioni di attuare un attentato. Mi hanno catturata mentre preparavo la cintura [esplosiva], vicino a casa mia, nel periodo di assedio a Schem. Non so come potessero sapere di me. Non ho parlato, non ho raccontato nulla a nessuno, nemmeno alle amiche. Non si sospettava di me. A casa ero sempre io quella che rideva tutto il tempo. Nessuno se n'era accorto". Ti senti in colpa per il fatto che a causa tua e di tuo fratello la casa dei tuoi genitori e' stata demolita? "No. Si sono trasferiti in un'altra casa. Dio ha cambiato loro dimora". Qual'era la meta del tuo attentato? "La vecchia stazione degli autobus di Tel Aviv, sia perche' e' li' che mio fratello si e' suicidato, sia perche' nei giorni di venerdi' e domenica vi girano molti soldati". Pero' anche molti lavoratori stranieri. Che colpa hanno loro? "Loro non hanno colpa, pero' se si trovano li', va bene lo stesso". (Yediot Aharonot, 27.2.04 - israele.net) 3. POLEMICHE TRA PALESTINESI SULL'ATTENTATO AL CONVOGLIO AMERICANO Il 5 febbraio 2004, l'ambasciata statunitense a Tel Aviv ha pubblicato un annuncio sul quotidiano dell'Autorità Palestinese (AP) Al-Hayat Al-Jadida e sul quotidiano palestinese Al-Quds, con cui si offrivano fino a 5 milioni di dollari per informazioni che potessero portare all'arresto degli autori dell'attentato del 15 ottobre 2003 al convoglio diplomatico statunitense diretto a Gaza per consegnare le borse di studio americane Fulbright, viaggio durante il quale vennero uccisi tre membri delle forze di sicurezza. Un consigliere di Yasser Arafat ha ammesso che gli Stati Uniti hanno minacciato di sospendere i loro e altri aiuti all'Autorità Palestinese se non |
fossero state prese serie misure per arrestare i colpevoli. In risposta a questa pressione, l'AP ha convocato la prima sessione del processo militare a quattro uomini accusati di aver perpetrato l'attacco. La sessione fu in seguito aggiornata al 29 febbraio per permettere agli accusati di procurarsi un difensore. Un rappresentante dell'accusa sostenne che i quattro accusati possedevano armi ed esplosivo, e avevano in momenti diversi sistemato cariche esplosive anticarro e fece l'ipotesi che forse una mina era esplosa al passaggio del convoglio. L'inizio del processo ha suscitato una marea di reazioni da parte di quelli coinvolti e di altri elementi palestinesi. Presentiamo una panoramica delle reazioni palestinesi al processo: 'Comitati di resistenza popolare' condannano il processo a 'onorevoli, leali palestinesi' Uno degli accusati ha negato che i quattro fossero affatto coinvolti e ha sostenuto che essi non avevano ricevuto l'avviso di garanzia con sufficiente anticipo e che per questo motivo non avevano avuto il tempo di incaricare un avvocato della loro difesa. Durante una dimostrazione di solidarietà coi quattro accusati davanti alla sede del Consiglio Legislativo Palestinese a Gaza, dove si teneva il processo, i Comitati di Resistenza Popolare (CRP), a cui appartenevano i quattro detenuti, sostennero che il loro processo contravveniva alla linea del comitato investigativo di sicurezza, istituito da Yasser Arafat per esaminare l'attacco; ossia che i quattro non avevano alcun legame col fatto. I CRP sostennero che durante un incontro il 5 gennaio, proprio a funzionari americani venne detto che era questo il caso. I CRP condannarono il fatto che Arafat avesse ignorato le conclusioni del comitato investigativo di sicurezza e affermarono che esso lo vede come "una cosa pericolosa e un segno di disprezzo per il sistema giuridico". I comitati minacciarono anche di impiegare tutti "i mezzi legali e illegali per fare uscire di prigione" i quattro qualora non fossero stati rilasciati. Secondo alcuni membri dei CRP, la dimostrazione armata era solo il primo passo, e l'ala militare non sarebbe stata alla finestra. I comitati accusano inoltre l'AP di aver stretto un patto con gli Stati Uniti per "il processo a onorevoli, leali membri del popolo palestinese". Nel corso della dimostrazione, un portavoce dei CRP ha indirizzato un messaggio mirato agli alti funzionari dell'AP che dice: "Per voi cinque milioni di dollari sono sufficienti per vendere la coscienza, ma la vostra vita e la vita dei vostri figli non saranno sufficienti a liberare i nostri quattro membri". Un membro del Consiglio Legislativo Palestinese (CLP): non 'consegnate i nostri figli al nemico' L'ex ministro per le Comunicazioni palestinese e attualmente membro del Consiglio Legislativo Palestinese 'Imad Al-Falouji, che pure partecipò alla dimostrazione di solidarietà, ha criticato l'AP per tenere un processo militare ai quattro accusati, sostenendo che era un esempio del far commercio del sangue dei palestinesi. Al-Falouji ha fatto appello all'AP perché "non consegni i nostri figli al nemico". Al-Falouji ha aggiunto che il Consiglio Legislativo ha deciso di prendere varie misure, fra cui l'incontro con alcuni rappresentanti degli avvocati militari dell'accusa e con i quattro imputati, per sentire da essi cosa realmente accadde. E disse: "Fin tanto che i quattro non hanno confessato le imputazioni devono essere rimessi in libertà". E ha anche invitato i membri del Consiglio Legislativo a dimettersi se i detenuti non vengono rilasciati. Vari giorni dopo la dimostrazione, Al-Falouji scrisse un articolo intitolato "Chi ha ucciso i tre americani a Gaza?", insinuando il sospetto che l'attacco fosse stato compiuto da Israele. Giunse a questa conclusione dopo aver scartato la possibilità che i gruppi della resistenza palestinese avessero compiuto l'attentato, dato che avevano dichiarato che la resistenza aveva come bersaglio solo l'occupazione israeliana e dato che è inconcepibile che i gruppi palestinesi piazzino esplosivi e non li smantellino dopo il ritiro delle IDF. (International Defence Forces). Al-Falouji è anche critico verso gli U.S.A. per la pubblicazione del loro annuncio di una taglia di 5 milioni di dollari a chi fornisce informazioni che portino all'arresto dei colpevoli, perché l'annuncio è apparso dopo la cattura dei quattro imputati. E ha aggiunto: "E' solo da noi che gli americani vengono uccisi senza che nessuno sappia chi è il responsabile?" Altre critiche al processo Anche l'ala militare di Al Fatah, le Brigate dei martiri di Al-Aqsa, ha diffuso un comunicato in cui si afferma che non c'è prova che gli imputati siano implicati nella morte degli americani, e prosegue: "Invece di perseguire gli agenti, i traditori e i corrotti che fanno quello che vogliono, l'AP ha cominciato a mettere sotto processo innocenti combattenti, chiedendo [così] al nostro popolo di offrire la gola al nemico per farsela squarciare se lo ritiene opportuno. Forse questo soddisferà l'aggressività del nemico, o soddisferà il governo americano che non perde occasione per dichiarare il suo sostegno al nostro nemico". L'ex ministro palestinese per la sicurezza interna Muhammad Dahlan ha detto che la mancanza di prove sufficienti a dichiarare colpevoli i sospetti denota che essi sono vittime della confusione che regna sulla scena palestinese. In un comunicato, il Palestinian Centre for Human Rights, Centro palestinese per i diritti umani (PCHR), ha protestato contro un processo che si tiene in un tribunale militare e ha sostenuto che secondo il suo punto di vista questo tribunale non è diverso dai tribunali di sicurezza statale che l'AP aveva annunciato di voler chiudere. Il PCHR ha pure chiesto che tutta la questione venga trasferita a una corte civile, in modo da garantire un processo giusto. (The Middle East Media Research Institute, 24.02.2004) 4. CAOS E ANARCHIA NELL'AUTORITA' PALESTINESE I media, vittime della lotta dei clan a Gaza di Jean-Luc Allouche GERUSALEMME - La serie di attacchi provocati dai palestinesi contro i media di Gaza ha conosciuto ieri il suo coronamento. Nella mattina, Khalil al-Ziban, 59 anni, è stato ucciso a Gaza da uomini mascherati. Giornalista, direttore di un bimensile dedicato ai diritti dell'uomo, lavorava presso l'ufficio locale dell'Autorità Palestinese ed era un consigliere stretto di Yasser Arafat. L'assassinio di Khalil al-Ziban non è che un esempio dell'anarchia che comincia a regnare a Gaza dopo l'annuncio di Sharon di un ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza. Oltre alla minaccia di un predominio di Hamas, sono le lotte di potere e le rivalità tra forze armate palestinesi che illustrano il caos temuto sia dai responsabili palestinesi, sia da Israele, dagli Stati Uniti e dall'Europa. Fossato. In questi ultimi giorni è scoppiato anche un conflitto che ha opposto il quartier generale della polizia e dei fedeli di Arafat a dei partigiani di Mohammed Dahlan, ex capo della sicurezza preventiva a Gaza. In seguito si è abbozzata una riconciliazione, che però lascia intatto il fossato tra la giovane generazione e la vecchia guardia. Per gettare un ponte tra le due parti, si è riunito la settimana scorsa a Ramallah il consiglio rivoluzionario di Fatah (il movimento di Arafat) per dibattere il tema delle riforme. Si è accennato anche alla dissoluzione delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa, tanto più insistentemente per il fatto che questi ultimi hanno rivendicato l'attentato di Gerusalemme del 22 febbraio, che ha fatto 8 morti alla vigilia dell'apertura del processo all'Aia contro il "muro di separazione". Senza illusioni, Dahlan ha dichiarato, all'uscita da una sessione: "Non esiste una politica chiara di Fatah sul modo di trattare con le Brigate. Chi pensa che il consiglio rivoluzionario di Fatah o il suo comitato centrale possano influenzare o controllare le Brigate ignora tutto sul funzionamento degli affari interni palestinesi." Altro segno dello sgretolamento dell'Autorità Palestinese: le dimissioni di Ghassan Shaka, sindaco di Nablus, dove le lotte tra bande rivali hanno fatto più di 30 morti, tra cui il fratello di Shaka. "Quando il caos trascina tutto e l'anarchia diventa un rito quotidiano, preservare la propria dignità diventa una priorità assoluta", ha dichiarato. L'assassinio di Al-Ziban è il più grave attacco contro un giornalista locale, dopo l'incendio, di tre settimane fa, dell'auto di Munir Abu Rizeq, direttore dell'ufficio di Gaza del quotidiano Al Hayat al-Jadida, organo legato all'Autorità Palestinese. All'inizio di febbraio sono stati gli uffici del mensile Ad-Dar ad essere vandalizzati. L'8 gennaio, Seif Shahine, corrispondente della catena Al-Arabya a Gaza, è stato aggredito e gli uffici della catena sono stati saccheggiati a Ramallah da assalitori che si proclamavano appartenenti alle Brigate. Il 9 febbraio giornalisti palestinesi di Gaza hanno osservato uno sciopero di ventiquattro ore per protestare contro le aggressioni. Successo. Tuttavia, una prima misura contro l'"opacità" del finanziamento ai palestinesi è stata adottata ieri. Arafat ha dato il suo consenso al fatto che gli stipendi dei membri delle forze di sicurezza siano girati sui loro conti bancari e non più distribuiti in buste dai loro capi. Il Ministro delle Finanze, Salam Fayad, riporta così un successo contro la corruzione che ha giurato di voler eliminare. (Liberation.fr, 03.03.2004) 5. L'AMBASCIATORE D'ISRAELE PRESSO L'UE CHIEDE UNO «STATUTO SPECIALE» In una conferenza organizzata recentemente dal Congresso ebreaico europeo (CJE) e dagli studiosi ebrei dell'organizzazione "Israel at heart", l'ambasciatore d'Israele presso l'Unione Europea ha parlato sui rapporti tra Israele e UE. L'ambasciatore d'Israele presso l'Unione Europea, Oded Eran, ha chiesto la concessione di uno «statuto speciale» per il suo paese, ma si è astenuto dal richiedere un'adesione piena d'Israele all'UE. «Da una parte, l'idea di uno statuto speciale è stato riconosciuto dall'UE, ma se per il momento non ci sono grandi possibilità di adesione, dobbiamo adottare l'opzione che ci avvicinerà di più a questa adesione», ha dichiarato Eran. «Dovremo perseguire un'adesione minore... cioè fare in modo che Israele e l'Europa si associno il più strettamente possibile». Parlando in una conferenza al Parlamento Europeo sul futuro del Medio Oriente, Eran ha auspicato che Israele possa beneficiare dello statuto di osservatore nel quadro delle attività europee in materia di ambiente, di educazione e di cultura. Questo seguirebbe il modello già adottato per quel che riguarda la cooperazione nel campo scientifico e in quello della ricerca, dove un numero ridotto di paesi partecipano come membri a pieno titolo senza tuttavia contare tra i mebri dell'UE, ha affermato. Israele ha intenzione di ratificare il programma europeo di navigazione satellitare Galileo nelle prossime settimane. «Dobbiamo sviluppare il più possibile le nostre relazioni commerciali e aderire alla zona economica europea», ha aggiunto Eran. L'ambasciatore ha tuttavia scartato ogni intenzione di richiedre l'adesione piena d'Israele, poiché per il momento il clima internazionale rende impossibile la cosa. La possibilità di una futura adesione d'Israele all'UE era stata messa sul tappeto da certi ambienti, tra cui il Parlamento Europeo, ma più particolarmente il Primo Ministro italiano Silvio Berslusconi. Non sarà possibile che Israele e l'UE restino in «campane di vetro». La conferenza, organizzata dal Congresso ebreo europeo (CJE) e dagli studiosi ebrei dell'organizzazione "Israel at heart" ha insistito soprattutto sul ruolo dell'UE per la pace in Medio Oriente. «Il conflitto in Medio Oriente ci concerne tanto quanto il problema dei partiti regionali», ha dichiarato Marc Otte, inviato dell'UE nella regione. «L'Europa ha un ruolo da giocare perché ha un dovere morale, certamente verso il popolo ebraico e verso Israele, così come un dovere morale verso il popolo arabo e i palestinesi a causa del suo passato colonialista nella creazione dello Stato d'Israele», ha detto. Otte ha vivamente invitato a «ripensare l'approccio a livello politico» in quel che concerne il conflitto, cominciando da una misura che miri a «delegittimare» l'uso della forza come strumento di progresso. «Dobbiamo collaborare per stabilire nuove relazioni internazionali. Di più, quando i governi falliscono.... le persone dovrebbero parlare alle persone»? Bisogna ridare vita alla Road Map per il Medio Oriente, ha detto. «Una cosa è certa: dobbiamo metterci in testa che il tempo non gioca a favore della pace e della stabilità. Non fare niente o aspettare il momento buono non è la soluzione». (EUpolitix.com, 02.03.2004) 6. NOTIZIE IN BREVE Sassi su ebrei che pregano al muro del pianto Venerdì scorso, gli ebrei che pregavano al muro del pianto hanno dovuto allontanarsi e mettersi al riparo perché centinaia di musulmani, dopo la predica musulmana del venerdì nella moschea Al-Aqsa, hanno cominciato a gettare sassi dalla spianata del Tempio sugli ebrei che pregavano presso il muro del pianto. Dopo di che sulla spianata del Tempio sono avvenuti scontri tra le forze di sicurezza israeliane e gli aggressori musulmani. *
Cento giapponesi appartenenti al Gruppo-Makuja visitano in questo periodo Israele e hanno fatto la loro apparizione anche nella Knesset, dove hanno cantato inni sionistici. I Makuja credono alla Torah, studiano ebraico e hanno un indirizzo sionistico. Da quarant'anni questo gruppo di giapponesi ebreo-cristiani compie ogni anno un pellegrinaggio a Israele. Ieri pomeriggio [29 febbraio] hanno fatto una marcia con bandiere giapponesi e israeliane, e hanno percorso il centro di Gerusalemme nel loro costume tradizionale. (NAI-Stimme aus Jerusalem, 01.03.2004) 7. MUSICA E IMMAGINI Tutim 8. INDIRIZZI INTERNET Beth Shlomo Voice in the Wilderness Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |