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Notizie luglio 2010

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Raid di Israele su Gaza contro il lancio di razzi palestinesi

ROMA, 31-07-2010 - Jet israeliani hanno effettuato nella notte raid aerei sulla Striscia di Gaza in risposta al lancio di un razzo palestinese su Ashkelon.
Secondo fonti palestinesi, citate dalla Reuters, i caccia hanno colpito un campo d'addestramento utilizzato da Hamas, che controlla Gaza.
Secondo fonti, citate dall'agenzia Afp, che riprende testimonianze di Hamas e del servizio sanitario locale ci sarebbero di una vittima e almeno 11 feriti. La vittima sarebbe un comandante di Hamas, Issa Batran. Un portavoce di Hamas a Gaza ha aggiunto che il movimento islamico e' deciso a vendicare l' uccisione del suo esponente.
Gli aerei israeliani, inoltre, hanno sganciato almeno quattro missili contro edifici utilizzati dalle forze di sicurezza del movimento estremista islamico palestinese che controlla la Striscia di Gaza, ha affermato il responsabile dei servizi d'emergenza di Gaza, Muawiya Hassanein.
Colpiti anche i tunnel di contrabbando al confine con l'Egitto. Nessun commento da parte di Israele. Ma il premier Benjamin Netanyahu aveva in precedenza sottolineato che Israele considerava molto seriamente il razzo palestinese che, venerdi', era caduto su Askelon. L'attacc, viene considerato dagli osservatori come un tentativo di minare la possibile ripresa dei colloqui di pace diretti tra Israele e l'Autorita' Nazionale Palestinese.

(RaiNews24, 31 luglio 2010)

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Soragna paese d’arte

La Sinagoga di Soragna
SORAGNA (PR) - Prosegue domenica 1o agosto l'iniziativa Soragna paese d'arte. Alle 15 il via con la visita alla Sinagoga e al Museo Fausto Levi. La Sinagoga costruita nel 1855 in stile neoclassico si trova all'interno di un palazzo seicentesco situato in via Cavour, 43. I locali annessi alla Sinagoga furono trasformati nel 1981 dall'allora presidente della comunità ebraica di Parma Fausto Levi in un museo.
Alle 16 si proseguirà con la visita alla splendida Rocca Meli Lupi edificata nel 1385 e poi più volte trasformata con consistenti rifacimenti nel 1500 e soprattutto nel 1600 quando divenne la sfarzosa residenza principesca, aspetto che ancora oggi conserva.
Le visite si concludono alle 17, con il Museo del Parmigiano Reggiano situato nello storico Casello ottocentesco che sorge all'ombra della Rocca Meli-Lupi a Soragna. Le guide illustreranno gli oltre 120 oggetti, le immagini, disegni e foto che raccontano la produzione del formaggio, l'evoluzione delle tecniche di trasformazione del latte, le fasi della stagionatura e della commercializzazione.
È possibile partecipare a una o più visite a scelta, le visite guidate sono gratuite mentre gli ingressi ai musei sono a carico dei partecipanti. È possibile prenotare contattando: info@itineraemilia.it o il numero 327 7469902. Info: www.itineraemilia.it.
Il prossimo appuntamento si svolgerà domenica 5 settembre.

(la Repubblica - Parma, 31 luglio 2010)

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Israele vuole lasciare senz'acqua il Santo Sepolcro

di Caterina Maniaci

Non avete pagato l'acqua corrente fino a oggi? Ora la pagherete e con tutti gli arretrati, altrimenti vi sarà tolta. Questo, in estrema sintesi, sarebbe quanto minacciano le autorità municipali alle chiese di Gerusalemme, ossia di tagliare il rifornimento d'acqua alla basilica del Santo Sepolcro. Una notizia diffusa dall'agenzia Asianews, ricevuta da fonti della basilica stessa e che sta gettando nello sconforto le varie Chiese cristiane le quali, come da antica tradizione, insieme gestiscono il Santo Sepolcro. E non sempre in armonia, come dimostrano anche recenti fatti di cronaca, con preti e monaci di diverse professioni che se le danno di santa ragione proprio dentro la basilica. Sin da quando è cominciata ad arrivare l'acqua corrente nella zona, tutti i governi che si sono succeduti hanno fornito acqua al luogo sacro senza pretendere pagamenti, quale servizio pubblico ai pellegrini e "cortesia" per i religiosi, cattolici e non, che custodiscono ed officiano nel santuario. Così hanno fatto il governo britannico della Terra Santa (1917- 1948), quello giordano (1948- 1967) e finora anche quello israeliano. Senonché le autorità municipali israeliane ora passano alla minaccia di tagliare l'acqua per farsi pagare, non solo nel futuro ma anche per tutta quella fornita a partire dal 1967. Fatto curioso - rileva sempre Asianews - è che le domande di pagamento vengono indirizzate ad un ente inesistente, "la chiesa del Santo Sepolcro". Una tale amministrazione non esiste, visto che l'antichissima basilica - costruita sul luogo che la tradizione indica come quello della crocifissione, sepoltura e resurrezione di Gesù - è retta dal peculiare regime giuridico internazionalmente riconosciuto dello "Statu quo". Il quale prevede che spazi, tempi e funzioni vengano ripartiti tra la chiesa cattolica, rappresentata dalla francescana Custodia di Terra Santa e diversi gruppi di monaci non cattolici, greci e armeni anzitutto, ma anche copti, etiopi e siri ortodossi. Proprio per la sua natura complessa, con tanti e diversi "utenti", sarebbe molto difficile far pagare l'acqua al Santo Sepolcro, da quella fornita agli spazi comuni a quella per ogni singolo "settore" e poi si dovrebbero installare impianti distinti con i rispettivi contatori per permettere di esigere da ciascuno dei gruppi di monaci il pagamento relativo al proprio consumo. Insomma, un gran guazzabuglio. La speranza diffusa è che si tratti di un'iniziativa non ben ponderata e che ci sarà un ripensamento, tanto che la Santa Sede potrebbe chiedere un intervento del governo israeliano per risolvere la questione. In attesa di un chiarimento, di una smentita o di una conferma, bisogna ricordare che la vicenda si muove sullo sfondo della ingarbugliata situazione fiscale-giuridica tra lo Stato vaticano e quello israeliano. In ballo c'è la negoziazione di un "accordo globale", cioè una risoluzione di tutte le rivendicazioni sullo statuto fiscale della Chiesa in Israele, su questioni riguardo le proprietà ecclesiastiche e su altri aspetti di natura economica, ad esempio la partecipazione dello Stato nel finanziamento di scuole cattoliche e ospedali. Nel 1993 fu siglato lo storico Accordo Fondamentale, che è la base per le relazioni fra Santa Sede e Israele. Questo documento obbliga le due parti a negoziare il famoso e non raggiunto "accordo globale". Regolarmente si riunisce la Commissione permanente di lavoro fra Santa Sede e lo stato d'Israele ; si fa qualche passo avanti, ma spesso le riunioni sono rimandate, o si avvitano su qualche secondario aspetto tecnico. Gli ottimisti sostengono che il fatto che la Commissione continui a svolgere le sue funzioni è già di per se' positivo e che i risultati ci saranno. I pessimisti scuotono la testa e prevedono solo lungaggini burocratiche e continui contenziosi, come quello in cui minaccia di trasformarsi il caso delle "bollette mancanti" al Santo Sepolcro.

(Libero, 31 luglio 2010)

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Non solo Oz, tanti titoli israeliani

di Riccardo Calimani

Stanno incontrando molta fortuna in Italia i narratori israeliani. Negli ultimi tempi, sugli scaffali delle librerie, si contano numerose traduzioni di romanzi, non solo di autori famosi come Amos Oz, editi dai maggiori editori di casa nostra. Di Oz sono usciti due romanzFeltrinellier Feltrinelli: Scene dalla vita di un villaggio e Una pace perfetta. Il primo è un romanzo carico di una tensione e di un mistero che si sciolgono alla fine. Il secondo invece è centrato sulla crudeltà e sull'amore. Di israeliano, molto; di ebraico, poco. AlmeBompianie. La Bompiani pubblica Il fratello perduto di Zvi Yanai, che racconta la storia vera di una famiglia ebrea nel XX secolo. Italiano, emigrato in Israele nel '45, l'autore scopre l'esistenza di un certo Romolo Benvenuti e apprende che si tratta del fratello che aveva perso di vista durante le persecuzioni razziali. Inventario di Yaakov Shabtai, edito da Feltrinelli, è una storia israeliana dove, tra nostalgia e ironia grottesca, emerge un cantore di una paese che ha bisogno di antieroi in una Tel Aviv in preda al disincanto. Dopo l'abbandono di Zeruya Shalev, edito da Frassinelli, è il terzo romanzo di una trilogia, iniziata con Una relazione intima e Una storia coniugale: un'analisi profonda delle relazioni umane.
Ebraico e israeliano si fondono nel libro di Aharon Appelfeld dal titolo: Un'intera vita. Un romanzo che parla del destino ebraico con accenni completamente universali e quindi adatti ad ogni uomo.
Yehoshua Kenaz è conosciuto come uno dei più vigorosi scrittori israeliani. Il suo Ripristinando antichi amori, edito da Giuntina, è una narrazione avvincente che unisce frammenti di vite. Per certi aspetti affine al precedente Vite fragili di Rina Frank, edito da Fanucci, è invece più struggente e intimistico. Agli ultimi due romanzi tipicamente israeliani fa da contrappeso Gog e Magog di Martin Buber, edito da Bompiani venti anni fa, poi da Neri Pozza e ora riproposto da Guanda. Lo sfondo: la Polonia del Settecento a Lublino dove due sette chassidiche si confrontano sull'arrivo di Napoleone. Un intrico su vicende lontane solo in apparenza, scritto alla vigilia della seconda guerra mondiale quando parlare della lotta eterna tra Gog e Magog significa cercare di decifrare il destino degli uomini e degli ebrei in particolare.
Infine il celebre André Chouraqui ha raccolto una serie di interviste ormai classiche a Jules Isaac, Jacques Ellul, Jacques Maritain, Marc Chagall ne Il destino di Israele edito dalle Paoline, pagine che a distanza di decenni sono capaci di suscitare un dibattito.

(Europa, 31 luglio 2010)

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Come araba in una unità di combattimento israeliana

HAIFA - Elinor Joseph è la prima araba israeliana che serve in una unità di combattimento. Proviene da una zona di Haifa in cui vivono ebrei e arabi. Lei si sente parte dell'esercito dello Stato ebraico, anche se ha la sua propria identità.
Secondo dati delle forze israeliane di difesa, a scuola Joseph ha avuto soltanto compagni di classe arabi. Suo padre ha prestato servizio nell'esercito come paracadutista. Anche se il padre ricorda con orgoglio questo tempo, dopo la scuola sua figlia aveva pensato all'espatrio. Ma alla fine si è decisa per l'esercito israeliano. Nella cerchia dei suoi amici la cosa ha provocato soprattutto rifiuto.
"Capivo che è molto importante difendere i miei amici, la mia famiglia e il mio paese. Io sono nata qui", afferma la giovane araba. "Quando si fanno le cose con tutto il cuore, con il tempo si comincia a capire il loro significato."
Joseph ha cominciato il suo servizio militare come sanitaria nella polizia militare al valico di Kalkilija in Cisgiordania. Nonostante uno scetticismo iniziale, alla fine ha trovato piacevole il lavoro al posto di blocco: "Al posto di blocco trattavo tutte le persone allo stesso modo, perché siamo tutti esseri umani. Per questo motivo nessuno ha reagito negativamente contro di me, cosa che - per essere onesti - mi ha sorpreso", ricorda. La sua presenza ha sempre indotto gli altri soldati a trattare bene i palestinesi. "Ed effettivamente il loro trattamento è stato sempre pieno di rispetto."
Poiché voleva assumere responsabilità maggiori, ha fatto richiesta di entrare in una unità di combattimento. E non ha neppure alcun problema con il prevalente carattere ebraico delle truppe di combattimento: "So di essere parte dell'esercito dello Stato ebraico, per questo ascolto attentamente quando parlano di questo argomento, e imparo. Mi sono abituata a questo fatto e lo rispetto, anche se non mi coinvolgo molto con l'identità del paese. Io ho la mia propria identità e rispetterò quella del mio paese."

(Israelnetz.com, 30 luglio 2010 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

Per chi capisce l’ebraico o il linguaggio dei sordomuti:


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Missile sparato da Gaza colpisce la zona di Ashkelon

TEL AVIV, 30 lug. - Un missile sparato dalla Striscia di Gaza ha colpito la zona abitata di Ashkelon, senza provocare feriti ma interrompendo un lungo periodo di calma nella cittadina costiera israeliana. Si tratta infatti, ha dichiarato il maggiore Benny Wakni, del primo missile che colpisce la zona dai tempi dell'operazione "Piombo Fuso", l'offensiva di tre settimane condotta dall'esercito israeliano nell'inverno 2008-2009 nella Striscia di Gaza.
Secondo Wakni il missile, che si ritiene essere un Katyusha russo con una gittata maggiore dei piu' rudimentali Qassam, e' caduto in una giardino tra i palazzi, facendo andare in frantumi vetri delle finistre e finestrini delle auto parcheggiate e facendo scattare le sirene d'allarme in tutta la citta'. Negli ultimi mesi vi sono stati sporadici lanci di missili da Gaza ma in maggioranza hanno colpito le zone rurali nei pressi del confine.

(Adnkronos, 30 luglio 2010)

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Energia solare: le ultime novità in Israele

In Israele si stanno sviluppando alcune innovazioni piuttosto importanti in materia di sfruttamento dell'energia solare. Il Paese ha infatti deciso di incrementare gli sforzi al fine di raggiungere, entro il 2020, il target stimato nell'utilizzo dell'energia pulita per coprire il 10% del fabbisogno energetico nazionale: un obiettivo che Israele vuole conquistare facendo leva soprattutto sull'utilizzo di una delle fonti rinnovabili per eccellenza, il Sole.
Per incentivare il ricorso allo sfruttamento dell'energia solare mediante impianti fotovoltaici, infatti, l'Authority competente ha annunciato una gamma di interventi (finanziari, di comunicazione ambientale, ma non solo) a supporto dello sviluppo dei moduli solari.
Ancora, il governo ha invece confermato le indiscrezioni delle scorse settimane, annunciando che incrementerà la remunerazione di quei produttori di energia che immetteranno nella rete elettrica nazionale dell'energia ottenuta mediante sfruttamento di fonti rinnovabili.
Ovviamente, le iniziative di cui sopra - come ribadito dalle stesse autorità israeliane - non rimarranno isolate. Ci sembra tuttavia un primo sforzo concreto per permettere al Paese di poter realmente ottenere il raggiungimento del target del 10%, un impegno energetico che anche alcune altre nazioni dell'area hanno deciso di assumere, in un'ottica ambientale che sta coinvolgendo l'intera zona.

(Nano Press, 30 luglio 2010)

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Gaza. Il primato degli aquiloni

7200 aquiloni in volo contemporaneamente. I bambini di Gaza hanno battuto il record mondiale che già era stato il loro precedentemente, con quasi 4mila aquiloni in aria. Il concorso è stato organizzato dall'Agenzia per i rifugiati dell'ONU, già ispiratrice di un altro primato:
"La settimana scorsa siamo andati in 7mila all'aeroporto per palleggiare coi palloni da basket e così abbiamo battuto un altro record. Adesso abbiamo conquistato quello degli aquiloni".
L'entusiasmo è alle stelle, anche se il loro primato non potrà essere iscritto nel libro dei Guinness perché i responsabili non hanno ricevuto l'autorizzazione a recarsi a Gaza. Secondo le agenzie dell'ONU molti bambini hanno subito traumi psicologici in seguito all'attacco israeliano di 2 anni fa. Operazioni come questa cercano di ridare loro una certa parvenza di normalità in una situazione che di normale ha ben poco.

(euronews, 30 luglio 2010)

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Tv Israele: membro di Hezbollah principale sospettato per la morte di Hariri

Secondo la televisione di stato israeliana il procuratore generale Daniel Bellemare che conduce le indagini per conto del Tribunale speciale per il Libano si accinge ad incriminare Mustafa Bader a-Din, altrimenti noto come Elias Saab.

ROMA, 30-07-2010 - E' una figura centrale di Hezbollah il principale sospettato nelle indagini sulla uccisione dell'ex premier libanese Rafik Hariri, avvenuta a Beirut nel 2005. Lo ha sostenuto la scorsa notte la televisione di stato israeliana secondo cui il procuratore generale Daniel Bellemare che conduce le indagini per conto del Tribunale speciale per il Libano si accinge ad incriminare Mustafa Bader a-Din, altrimenti noto come Elias Saab.
Bader a-Din, ha aggiunto l'emittente, e' il cognato di Imad Mughniyeh, il capo militare degli Hezbollah ucciso a Damasco nel 2008 in un attentato la cui paternita' e' stata attribuita dalla sua organizzazione al Mossad israeliano.
Il quotidiano Haaretz, che riprende con grande evidenza la notizia divulgata dalla televisione, aggiunge che Bader a-Din era stato coinvolto nel 1985 nel tentato assassinio di un dirigente del Kuwait e, dopo l'uccisione di Mughniyeh, era incluso fra i candidati alla sua successione. Secondo Maariv, Bader a-Din e' stato uno dei piu' stretti collaboratori di Mughniyeh.
Il movimento sciita libanese Hezbollah ha minacciato ieri una nuova ribellione armata nel Paese se qualcuno dei suoi membri dovesse essere accusato di esser coinvolto nell'omicidio dell'ex premier Rafik Hariri.
"La resistenza (l'ala armata di Hezbollah) riterra' ogni accusa nei confronti dei suoi quadri come una forma di aggressione e s'impegna a difendere l'onore dei suoi combattenti fino alla fine", ha detto lo shaykh Nabil Qawuq, responsabile del movimento sciita nel sud del Libano, citato ieri dalla stampa di Beirut. Fonti di stampa libanesi avevano nelle scorse settimane riferito della possibilita' che in autunno alcuni membri di Hezbollah possano essere messi sotto accusa dl Tribunale speciale per il Libano, incaricato di far luce sulla morte di Hariri e sugli altri attentati compiuti nel Paese dal 2004.

(RaiNews24, 30 luglio 2010)

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Abu Mazen vuole tutto e subito

di Sergio Minerbi

Sergio Minerbi
Avevo appena finito di scrivere questo breve articolo quando Kol Israel, la radio locale, ha annunciato che dalla Striscia di Gaza è stato lanciato un razzo di tipo "Grad" contro un quartiere di abitazioni della città di Ashkalon. Il sistema di allarme ha funzionato in tempo e non si lamentano vittime. Questo è il linguaggio di Hamas. No al negoziato, ma usa il terrorismo come al solito.
Ieri, giovedì 29 luglio, la Lega Asraba si e` riunita al Cairo e ha deciso di appoggiare il negoziato diretto fra palestinesi e Israele. Ciò non significa però la ripresa dei negoziati interrotti alla fine del 2008. Abu Mazen infatti mette due condizioni: il blocco totale delle costruzioni negli insediamenti, e l'accettazione da parte di Israele di uno Stato Palestinese nei confini ante-1967. Hamas rifiuta ogni negoziato con Israele.
La strategia palestinese rimane un punto interrogativo. Da un lato il premier Salam Fayad è riuscito a calmare la situazione: oggi si nota un notevole miglioramento dell'economia palestinese in Cisgiordania, nonché un progresso importante nella cooperazione con l'esercito israeliano. Ma Fayad qualche mese fa ha anche avanzato l'idea di proclamare lo Stato palestinese senza il beneplacito israeliano, nei confini del 1967. Ossia invece di perdere tempo in lunghi e snervanti negoziati con Israele, i palestinesi con l'appoggio della comunità internazionale, proclamano uno Stato e ottengono dalle Nazioni Unite ciò che Israele ha rifiutato. Abu Mazen dal canto suo si è probabilmente convinto che ciò che può ottenere da Israele non è sufficiente per rimanere in carica. E d'altra parte Benjamin Netanyahu sa bene che prolungare il blocco delle costruzioni oltre ottobre, rischierebbe di far crollare il suo Governo. Anzi uno degli scopi delle nuove costruzioni era proprio quello di immettere nel negoziato coi palestinesi un senso di urgenza per evitare che si prolunghi oltre misura.
Insomma ambo le parti sono prigioniere della propria opinione pubblica. Ma la più lontana dalla realtà è quella palestinese che per decenni si è abituata a ritenere possibile il ritorno dei profughi palestinesi alle loro case, sogno impossibile. Nessun leader palestinese ha avuto il coraggio di spiegare al suo popolo la verità, né ha potuto sanare il dissidio con Hamas che governa la Striscia di Gaza in barba all'Autorità Palestinese.

(Notiziario Ucei, 30 luglio 2010)

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Veri o percepiti

di Anna Segre

In questi giorni d'estate capita che le previsioni del tempo ci comunichino non solo le temperature effettive, ma anche quelle percepite. Altre volte televisioni e giornali vanno in giro a intervistare la gente che ha caldo, fornendoci così la percezione di una percezione.
Cosa succederebbe se, oltre alle temperature, confrontassimo realtà e percezione anche in altri ambiti? Lo Stato di Israele vero è senza dubbio molto più interessante di quello percepito: non solo i suoi detrattori, ma anche i difensori si concentrano essenzialmente sulla pace e la guerra, sulla politica estera e sulla sicurezza, ma raramente raccontano la ricchezza culturale e la complessità di un paese estremamente variegato da tutti i punti di vista, dai paesaggi agli abitanti. Viceversa, gli ebrei percepiti rischiano di essere più affascinanti di quelli veri, anche quelli percepiti dagli antisemiti: hanno un grande potere, sono intelligenti, sono uniti tra loro e controllano la politica mondiale; quelli veri sono molto più litigiosi e persi nei loro piccoli problemi quotidiani.
A volte è anche interessante distinguere tra rabbini veri e rabbini percepiti, Consigli delle comunità veri e Consigli percepiti. E poi ci sono le percezioni di percezioni, cioè quello che i giornali locali capiscono delle vicende comunitarie intervistando qualche ebreo qua e là; curiosamente talvolta qualcuno giudica le decisioni dei Consigli sulla base delle interpretazioni fornite dai giornali. Eppure, a chi verrebbe in mente di aprire la pagina locale di un quotidiano per decidere se ha caldo?

(Notiziario Ucei, 30 luglio 2010)

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Israele: il figlio di Netanyahu punito per ritardo al servizio di leva

TEL AVIV, 29 lug. - Jair Netanyahu, il figlio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e' stato condannato a 10 giorni di confino per essersi presentato con ritardo a una chiamata dei suoi superiori dell'esercito israeliano, dove sta svolgendo il servizio di leva. A renderlo noto e' un portavoce dell'esercito, spiegando che il soldato e' stato punito per "disobbedienza". Jair, 19 anni, era stato convocato alcuni giorni fa insieme alla sua unita' nell'ufficio del portavoce dell'esercito per un incarico, ma non si e' presentato con il resto del gruppo, rendendosi irreperibile e comparendo soltanto diverse ore piu' tardi.

(Adnkronos, 29 luglio 2010)

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Riapre a Gerusalemme il Museo d'Israele

Dopo tre anni di restauri è stato riaperto il Museo d'Israele, il più importante di Gerusalemme. E' stato completamente rinnovato, riconfigurato negli orari e nella distribuzione delle sale, prolungato negli orari d'apertura con possibilità di trascorrervi intere serate soprattutto in questa prima settimana inaugurale (iIngresso libero per i ragazzi fino a 17 anni). Molti gli eventi in programma nella settimana inaugurale.

(Travel Quotidiano, 29 luglio 2010)

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Libano, Hezbollah: 'Nessuna accusa altrimenti è ribellione'

Uno dei leader di Hezbollah sostiene che il Tsl agisce per contro degli Usa e di Israele

Se qualche membro di Hezbollah verrà accusato di essere coinvolto nell'omicidio dell'ex premier Hariri, nel Paese scoppierà una nuova ribellione armata. "L'ala armata di Hezbollah riterrà ogni accusa nei confronti dei suoi quadri come una forma di aggressione e si impegna a difendere l'onore dei suoi combattenti fino alla fine" ha riferito Nabil Qawuk uno dei leader di Hezbollah nel sud del Libano.
La stampa locale aveva scritto nei giorni scorsi che esiste la possibilità che durante il prossimo autunno alcuni membri di Hezbollah possano essere messi sotto accusa per far luce sulla morte dell'ex premier.
Secondo Qawuk ogni decisione del Tribunale Speciale per il Libano "è una manovra orchestrata dali statunitensi e dagli israeliani".

(PeaceReporter, 29 luglio 2010)

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Senza Israele l'Occidente è perduto

di José María Aznar

Da ormai troppo tempo, in Europa è diventato fuori moda pronunciarsi a favore di Israele. All'indomani dell'incidente a bordo della nave colma di attivisti anti-israeliani che si trovava nel Mediterraneo, è davvero difficile immaginare una causa più impopolare da difendere.
In un mondo ideale, l'assalto dei commando israeliani alla Mavi Marmara non si sarebbe concluso con nove morti e una ventina di feriti. In un mondo ideale, infatti, i soldati sarebbero stati accolti pacificamente sulla nave. In un mondo ideale, nessun Paese, tantomeno un recente alleato di Israele qual è la Turchia, avrebbe sponsorizzato e organizzato una flotilla il cui unico scopo era creare una situazione impossibile per Israele: cioè metterlo nella condizione di dover scegliere tra la rinuncia della sua politica di sicurezza e del blocco navale, o il rischio di far scoppiare l'ira del mondo intero....

(l'Occidentale, 29 luglio 2010)

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Ahmadinejad ha fatto il nido al Palazzo di Vetro

di Fiamma Nirenstein

Il Palazzo di Vetro
Dell'Onu, dei suoi paradossi, abbiamo già volte tentato di ridere per non piangere, e tuttavia non si può fare a meno di soffrire: nata per preservare il mondo da dittature, persecuzioni, guerre è divenuta spesso la più ipocrita e aggressiva cassa di risonanza antioccidentale e antidemocratica. Causa ne sono le maggioranze automatiche cosiddette "non allineate" e islamiste. Adesso a misurare in maniera intelligente e particolare il danno ci aiuta la giornalista Claudia Rossett su Forbes, e lo diciamo per non derubarla del difficile computo da lei operato sulla presenza dell'Iran dentro le istituzioni dell'Onu.
È formidabile a dir poco quanto il Paese che oggi rappresenta una delle maggiori minacce per tutto il mondo con il suo programma atomico che procede, conformemente alla politica iraniana, contro Israele e la civiltà ebraico-cristiana; ormai colpito da quattro round di sanzioni obbligatorie del Consiglio di Sicurezza; macchina organizzatrice e ideologica di terrorismo internazionale; violatore senza remore di diritti umani… quanto questo Paese si sia insediato all'Onu in lungo e in largo. Ad aprile, dopo che avevamo rischiato di vederlo nel Consiglio per i Diritti Umani, l'Iran ripiega sulla Commissione per lo Status delle Donne. Questo, mentre escono via internet le immagini delle sue donne costrette in palandrane totali e sottoposte a regole di segregazione sotto la sorveglianza delle Guardie della Rivoluzione, o peggio mentre si diffondono immagini di fedifraghe fustigate, sottoposte a lapidazione, impiccate.
Ma questo è solo un incipit: l'Iran è uno dei 36 membri della maggiore organizzazione Onu, l'Undp, programma per lo sviluppo. Lo ha presieduto l'anno scorso, e essere nel direttivo gli dà l'accesso anche al direttivo che governa l'Unfpa, il fondo per la popolazione, e l'Unifem, il fondo di sviluppo per le donne. I tre anni nel direttivo dell'Undp si concluderanno alla fine del 2010, ma l'Unifem dà diritto a far parte del direttivo dell'Unicef (che si occupa dell'infanzia) fino alla fine del 2011 e del Wfp (il programma per il cibo) fino al 2012.
Altrettanto pervasiva la presenza iraniana nel settore delle armi, dello spazio, del crimine globale. Fino alla fine del 2012 infatti l'Iran di Ahmadinejad, che si pregia di una minaccia di sterminio al giorno, sarà vicepresidente del consiglio esecutivo dell'Opcw, l'organizzazione per le armi chimiche; inoltre, siederà in due commissioni dell'Unodc, l'ufficio Onu per la droga e il crimine, e la sub commissione di 20 membri della commissione per la Prevenzione del Crimine e la Giustizia Criminale, di cui fa parte dal 2009 per la durata di tre anni. Da questo aprile l'Iran è entrato per 4 anni nella commissione con base a Ginevra per la Scienza, la Tecnologia e lo sviluppo. L'Onu consta anche di un sub comitato legale del Copuos, Comitato per l'Uso Pacifico dello Spazio, ed esso è presieduto da Ahmad Talebzadeh dell'Iranian Space Agency. L'Iran siede anche nel consiglio dell'Unhcr (l'Agenzia per i rifugiati) e fa parte del comitato direttivo delle sue centrali di Nairobi. Manca alla nostra lista ancora l'Unep, il programmna per l'ambiente, e l'Un Habitat, il Programma per gli insediamenti umani. Ahmadinejad è anche là. Dice la Rossett inoltre che il mandato dell'Iran alla Fao come presidente del consiglio direttivo è scaduto, ma ne è già prevista la candidatura per il periodo 2011-13 e intanto siede nella commissione finanze fino alla fine del 2011.
Ahmadinejad, oltre a primeggiare in conferenze Onu come quella di Ginevra contro Israele detta "Durban 2", dal 2005 ogni settembre, in occasione della inaugurazione annuale, è volato a New York per tenere un suo discorso: sempre ha lasciato gli ascoltatori senza fiato per la smodata aggressività anti occidentale e per la promessa ripetuta del genocidio degli ebrei. Possiamo dire che l'Iran si è impossessato del discorso pubblico internazionale e l'ha tutto quanto volto verso sé stesso: Ahmadinejad è il grande capo di un movimento mondiale, il suo comportamento ci dice se si mette bene o male per tutti. La forza diplomatica dell'Iran gli ha certo fatto da scudo simbolico contro le sanzioni votate dall'Onu stessa. Esse sono sempre state sbeffeggiate. Adesso l'Ue ha scelto a sua volta di adottare dure sanzioni che riguardano gli scambi commerciali, i servizi finanziari e l'energia. Solo un paio di settimane fa il Consiglio di sicurezza dell'Onu aveva adottato una quarta tornata di sanzioni, e l'Ue, pressata dagli Usa, l'ha battuta in severità. Lo shock sembra aver indotto Ahmadinejad a riproporre uno «scambio di carburante senza precondizioni». Sarà saggio guardare a questa proposta con scetticismo. L'Iran ha sempre usato i negoziati per guadagnare tempo: vuole raggiungere l'arma atomica prima che la pressione economica diventi intollerabile. Dunque l'Europa deve tener fede alla sua intenzione: l'Iran deve essere bloccato. Anche per l'Onu è venuto il tempo dell'intransigenza: date le sanzioni del Consiglio di Sicurezza, sarebbe logico anche in uno stop alla nidificazione in tutti gli angoli del Palazzo di Vetro.

(il Giornale, 29 luglio 2010)

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Israele, salva la spiaggia dei sogni. Ragazza del kibbutz ferma le ruspe

Adi Lustig, 20 anni, di origine sudafricana, blocca il progetto per un villaggio turistico a Palmahim

Adi Lustig, vent'anni, di origine sudafricana, ha salvato dagli speculatori la spiaggia di Palmahim, una delle ultime oasi intatte sulla costa israeliana. Adi vive nel kibbutz costruito nel 1949 sulla baia ed è riuscita a convincere il governo a bloccare il progetto per un villaggio turistico, ville e palazzi a pochi metri dal mare. La battaglia ambientalista è durata due anni e mezzo: per far conoscere la protesta la ragazza si è piazzata in una tenda davanti al cantiere.

(Corriere della Sera, 29 luglio 2010)

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Guidare, scrivere, comunicare col naso

I disabili gravi potrebbero presto essere in grado di utilizzare il loro naso per scrivere, guidare una sedia a rotelle, navigare in internet, grazie a un nuovo dispositivo sviluppato e testato da alcuni medici israeliani.
Il dispositivo sfrutta il respiro, l' inspirare e l'espirare attraverso il naso, un meccanismo che coinvolge il palato molle.
Il palato molle è controllato dai nervi cranici, come il lampeggiare dell'occhio, meccanismi che in genere sono sempre molto ben conservati dopo un trauma grave.
Del nuovo dispositivo ne ha parlato la rivista Proceedings of the National Academy of Sciences degli Stati Uniti, in cui è stata illustrata una ricerca israeliana del Weizmann Institute.
Noam Sobel, professore di neurobiologia presso il Weizmann Institute di Rehovot, in Israele, uno degli autori dello studio, ha detto che il dispositivo, denominato "sniff controller", consiste in una piccola cannula, grande come un tubicino di quelli utilizzati negli ospedali per fornire ossigeno ai pazienti, che è collegata a un piccolo sensore.
Il dispositivo si mette nell'apertura delle narici.
Nello studio si racconta che il dispositivo è stato sperimentato su un paziente colpito da un ictus circa sette mesi prima (nel giro di tre settimane scriveva annusando); su un uomo che per 18 anni aveva comunicato facendo lampeggiare un occhio (dopo 20 minuti era in grado di scrivere il suo nome); su una donna tetraplegica con grave sclerosi multipla (è stata in grado di scrivere per la prima volta dopo 10 anni e ha imparato a navigare in Internet e a scrivere e-mail).
Un uomo di 30 anni che era paralizzato dal collo in giù da sei anni è stato invece in grado invece di guidare la sua carrozzina.
I ricercatori sperano che qualcuno possa sviluppare il dispositivo in serie, perché in tal modo sarebbe poco costoso e potrebbe aiutare un sacco di gente.

(In dies, 29 luglio 2010)

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Calcio - Celtic Glasgow: ingaggiato il nazionale israeliano Kayal

Beram Kayal, centrocampista israeliano del Maccabi Haifa, è stato ingaggiato per quattro stagioni dal Celtic Glasgow. Lo ha annunciato sul proprio sito web il club scozzese (7o acquisto). Kayal, 22 anni, vanta 13 presenze in Nazionale ed è considerato uno dei giocatori più promettenti del suo Paese. Il trasferimento diventerà ufficiale quando la federazione scozzese avrà dato l'ok alla documentazione amministrativa richiesta.

(la Repubblica, 29 luglio 2010)

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Un ex SS è accusato di sterminio in Germania

È accusato di aver partecipato allo sterminio di 430.000 ebrei durante la seconda guerra mondiale. Quello contro di lui sarà probabilmente l'ultimo grande processo contro un ex ufficiale nazista

L'ingresso del campo di sterminio di Belzec
L'ex ufficiale nazista Samuel Kunz, 90 anni, è stato accusato da un tribunale di Dortmund di aver partecipato allo sterminio di 430.000 ebrei durante la seconda guerra mondiale. Secondo l'accusa sarebbe stato una delle guardie del campo di concentramento di Belzec, Polonia, tra il 1942 e il 1943. È anche accusato di avere ucciso personalmente dieci prigionieri durante alcuni scontri all'interno del campo.
Kunz era il terzo tra gli ufficiali nazisti più ricercati nella lista del Simon Wiesenthal Center, il centro per la memoria sull'Olocausto fondato da Simon Wiesenthal che dal 1977 si batte per assicurare alla giustizia i criminali nazisti. Il suo nome era uscito durante le indagini su un altro ex criminale nazista, John Demjanjuk (noto alle cronache con l'accusa di essere "il boia di Treblinka"), al momento imputato di avere ucciso 28.060 ebrei nel campo di concentramento di Sobibor. Entrambi sarebbero stati addestrati dalle SS nel campo di concentramento di Trawniki.
Kunz era nato in Russia nel 1921. Partecipò alla seconda guerra mondiale nell'esercito sovietico e quando fu catturato dai tedeschi gli fu data la possibilità di collaborare. Accettò e dopo un primo periodo di addestramento a Trawniki fu trasferito a Belzec.
Dopo la fine della guerra, si trasferì a Bonn dove ottenne la cittadinanza tedesca. Negli anni sessanta testimoniò in vari processi contro ex ufficiali nazisti. Interrogato recentemente dalla polizia bavarese, ha ammesso di aver lavorato nel campo di concentramento in quegli anni: «tutti sapevamo che gli ebrei venivano uccisi e poi bruciati, si sentiva l'odore ogni giorno».
Secondo Klaus Hillebrand, studioso tedesco della storia nazista, negli anni sessanta i giudici non erano interessati a processare ufficiali di basso rango, ma negli ultimi dieci anni questa tendenza è cambiata: «c'è stato un cambio generazionale e un nuovo atteggiamento nei confronti di questi processi». Le autorità tedesche hanno esaminato oltre 25.000 casi collegati ai crimini nazisti dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, ma la maggior parte non è mai arrivata in tribunale.
Kunz non è stato arrestato perché secondo il tribunale non c'è rischio che cerchi di scappare. Secondo il settimanale tedesco Spiegel, quello contro di lui sarà probabilmente l'ultimo grande processo nei confronti di un ex ufficiale nazista: gli ultimi ex SS ancora vivi hanno ormai più di ottantacinque anni.

(il Post, 29 luglio 2010)

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Usa, antisemitismo in aumento in California

Per il secondo anno consecutivo aumentano del 20 per cento gli episodi antisemiti in California. E' ciò che emerge da un rapporto diffuso dall'Anti-Defamation League, nel giorno in cui i media americani tornano sulle scuse del regista Oliver Stone per le sue dichiarazioni riguardanti Hitler e la lobby ebraica.
Intervistato dal Sunday Times, il regista di Wall Street, aveva denunciato "il dominio ebraico sui media e sulla politica estera americana".
Quindi aveva detto che "Hitler aveva ricevuto un grande supporto dagli industriali americani e francesi" e che "aveva ucciso più russi che ebrei". Frasi duramente criticato da moltissime associazioni, tanto che Stone e' stato costretto a rettificare e scusarsi.
"Parlando delle atrocità commesse dai tedeschi durante la guerra - ha spiegato il regista - ho fatto un paragone maldestro tra quei fatti e l'Olocausto. Di questo mi pento e mi scuso".
Tornando alla California in molti casi insegnanti delle scuole medie inferiori hanno trovato svastiche disegnate sulla porta della classe e minacce razziste. "Non si tratta necessariamente di ragazzi politicamente consapevoli del loro estremismo. Spesso - racconta Amanda Susskind, dirigente locale della Adl - sono gesti compiuti solo per sentirsi più sicuri di sé. Purtroppo oggi l'odio è di moda".
Accanto alle scritte, aumentano anche i casi di vera e propria violenza. A rafforzare questo fenomeno nel corso degli ultimi due anni, conclude Susskind, la convergenza di diversi fattori come l'elezione di Barack Obama e l'operazione militare israeliana nella striscia di Gaza. Infine, in questi tempi di crisi, anche l'arresto e la condanna del finanziere ebreo, grande truffatore Bernard Madoff.

(Blitz quotidiano, 28 luglio 2010)

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Israele. Nel porto di Jaffa centrale alimentata da onde

Prima tranche di progetto da 50 mw su molo frangiflutti

ROMA, 28 lug. - La SDE, società israeliana specializzata nella progettazione di tecnologie marine, ha portato a termine e messo in servizio sul molo del porto di Jaffa una centralina da 60 kW che ricava energia elettrica dal moto ondoso. SDE ha beneficiato del sostegno del ministero dell'Industria israeliano, che ha supportato la realizzazione di 8 modellini sperimentali dell'impianto, l'ultimo dei quali, da 40 kW, ha operato con successo per 2 anni. Quello appena completato a Jaffa è il nono ed è costituito da una singola barriera mobile che utilizza l'energia cinetica delle onde per creare pressione idraulica che viene poi trasformata in energia elettrica. La società ha annunciato che l'impianto appena completato è il primo di una serie da installare sul molo frangiflutti del porto di Jaffa, fino a realizzare una centrale della potenza complessiva di 50 MW. Potenza, quest'ultima, per la quale il Governo ha garantito a SDE una concessione senza gara per un periodo di 20 anni. L'auspicio della SDE è che l'esperienza di Jaffa possa essere poi replicata in altri porti israeliani, come quelli di Ashdod, Haifa e Herzeliyah considerando anche il vantaggio economico che avrebbe questo tipo di impianti. Al riguardo SDE fornisce dati senz'altro sorprendenti. Dichiara infatti che, con la sua tecnologia, il costo di installazione di 1 MW di potenza dal moto ondoso parte da 650 mila dollari (circa 500 mila euro) e si rivela quindi più conveniente non solo rispetto alle altre fonti rinnovabili (3 milioni di dollari per l'energia solare, 1,5 milioni di dollari per un impianto eolico), ma anche alle fonti convenzionali più economiche, come il carbone o il gas. Ancora più sorprendete è il costo di generazione elettrica dichiarato, che, secondo SDE, per un impianto da 1 MW ammonterebbe a 2 centesimi di dollaro per kWh. Rendendo così "molto attraente" il prezzo di 12 cent/kWh proposto dalla Israel Electric Corporation per l'acquisto dell'energia prodotta dalla futura centrale.

(Apcom, 28 luglio 2010)

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Begli aiuti dalla Flottilla per Gaza: medicinali scaduti e sacchi di fosforo

di Dimitri Buffa

Sacchi di fosforo che non possono servire ad altro se non a preparare ordigni rudimentali, cibo e medicinali scaduti già prima dell’imbarco. Una bella figura di guano stanno facendo questi cooperanti turchi dell’Ihh, i grandi ideatori della flottilla per Gaza, man mano che le autorità israeliane scoprono quanto ammassato nel porto di Ashdod e successivamente trasferito in quello di Gaza. La gente adesso si chiede: ma allora erano veramente dei pacifinti?
La notizia è stata rilanciata in rete dall’agenzia FocusMO, specializzata in notizie del Medio Oriente e diretta da Massimo Tesio, un sito internet specializzato proprio nello scoprire notizie poco politically correct. Ma anche l’Ansa ha dato queste notizie nei giorni scorsi sebbene i media non le abbiano riprese. Pare che proprio l’altro ieri l’autorità sanitaria di Gaza abbia lanciato l’allarme denunciando la comunità internazionale per l’invio di medicinali scaduti.
Tra cui quelli della suddetta flottilla.
L’autorità avrebbe in effetti appurato che oltre il 70% di medicinali che arrivano a Gaza come aiuti umanitari sono scaduti da mesi, alcuni addirittura da anni.
Così, di fronte a questo triste e increscioso episodio, i responsabili hanno dovuto distruggere i medicinali, bruciandoli o sotterrandoli, per un controvalore quantificabile in milioni di euro. Il fatto è stato inoltre denunciato dal Capo del Dipartimento donazioni del Ministero della Sanità palestinese, Monir Albaresh. A tutto questo si aggiunge che, oltre ai medicinali già scaduti, è stata rinvenuta una partita di cemento arrivata a Gaza con la nave irlandese Rachel Corrie, anche essa inutilizzabile da oltre 15 anni.
Per giunta Hamas ha tenuto per settimane fermi ad Ashdod gli aiuti della flottilla turca per motivi strettamente burocratici: dovevano essere loro a metterci le mani sopra e a comandare la successiva distribuzione. A chiudere il cerchio della farsa il rinvenimento di decine di sacchi di fosforo nelle stive della Navi Marmara. Ora è noto che il fosforo è sia un fertilizzante sia un componente di rudimentali (ma non troppo) congegni esplosivi. In passato lo stesso tipo di sacchi era stato sequestrato anche al valico terrestre di Rafah a bordo di camion che povenivano dall’Egitto. Questo significa che tutta questa storia della flotta di liberazione dal presunto assedio umanitario israeliano di Gaza sta concludendosi nel peggiore e più prevedibile dei modi: con il disvelamento di una duplice menzogna planetaria. Da una parte i filmati, anche commissionati e girati dagli outlet di proprietà palestinese, mostrano una Striscia dove nei supermercati non manca nulla, beni di lusso compresi, dall’altra che gli aiuti vengono mandati per fare scena o per creare problemi diplomatici a Israele.

(l'Opinione, 28 luglio 2010)

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Israele, il quotidiano Yediot Ahronot perde il primato
    
TEL AVIV, 28 lug - Il quotidiano israeliano Yediot Ahronot non è più al primo posto assoluto come diffusione ed è stato affiancato, secondo un'indagine condotta dalla società specializzata Tgi, dal quotidiano gratuito e filo-governativo Israel ha-Yom. La notizia ha procurato un vero e proprio terremoto nel mondo della carta stampata israeliana. Finanziato dall'uomo di affari statunitense Sheldon Adelson, il free-press Israel ha-Yom ha iniziato le pubblicazioni tre anni fa ed esce sei giorni su sette con una tiratura media di 350 mila copie. Nell'ultimo anno, secondo Tgi, Israel ha-Yom è stato letto quotidianamente dal 35 per cento degli israeliani adulti che si esprimono in ebraico (nel 2009 la sua percentuale era del 27 per cento). Anche Yediot Ahronot, aggiunge Tgi, viene letto quotidianamente dal 35 per cento degli israeliani mentre Maariv resta distanziato al terzo posto (13,6 per cento). Nel 2010 il numero complessivo dei lettori di giornali è salito - dopo un periodo di flessione - al 62,8 per cento degli adulti che si esprimono in ebraico. Si tratta, secondo Tgi, di una percentuale molto elevata rispetto ad altri Paesi occidentali.

(Notiziario Ucei, 28 luglio 2010)

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Israele, donna siriana riceve il permesso di attraversare il Golan

La donna varcherà il confine provvisorio sulle alture occupate del Golan per rivedere la sorella in fin di vita - E' la prima volta che Israele concede il passaggio dalla Siria verso le Alture occupate. Il quotidiano arabo Asharq al Awsat, che ha dato la notizia, spiega che la donna vive nella città di Hadar, in Siria, a soli 4 km di distanza da sua sorella, residente nel villaggio druso di Massaada, situato sul territorio che Israele occupò durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967. Il passaggio di cittadini drusi del Golan verso la Siria viene concesso da Israele per motivi di studio e per i pellegrinaggi ai santuari drusi siriani. Nel caso di matrimoni tra residenti dei due lati del confine controllato dall'Onu, gli sposi del Golan possono recarsi in Siria, senza più tornare dalle loro famiglie.

(PeaceReporter, 28 luglio 2010)

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La strage di Bologna e il libro scomodo

La verità sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto di 30 anni fa vacilla: sia la versione giudiziaria che quella politica, che ha immediatamente bollata la strage come «fascista», opera di bombaroli considerati squallida manovalanza dei veri mandanti: i servizi deviati. Non è ancora in libreria, ma il libro Dossier strage di Bologna ha già creato malumori, specialmente a sinistra. Il testo (curato da Gabriele Paradisi, Gian Paolo Pelizzaro e Francois de Quengo de Tonquédec) è un saggio che ricostruisce le vicende del terrorismo palestinese in Italia. Sul ruolo del terrorista Thomas Kram, che la notte precedente l'esplosione dormì all'hotel Centrale di via della Zecca e sul presunto coinvolgimento del gruppo Carlos attraverso Kram passa la «non estraneità» di alcuni palestinesi nell'attentato. Ancora lunedì il giudice Rosario Priore ha parlato apertamente di «reazione del terrorismo palestinese all'arresto di un responsabile di alto livello del Fronte popolare di stanza a Bologna». Da tempo la Procura di Bologna indaga. ma in merito nulla trapela.

(il Giornale, 28 luglio 2010)

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Terzo concerto della rassegna "I Luoghi dello Spirito e del Tempo" 2010


RAVENNA - Il ritorno di una forma di spettacolo che il festival non presentava da tempo segna il terzo appuntamento de "I Luoghi dello Spirito e del Tempo": sul palco dell'anfiteatro della Rocca di Russi le sei ballerine di "Incontradanza", accompagnate dall'ensemble musicale "Sensus" presenteranno un excursus nella danza rinascimentale focalizzato su un aspetto culturalmente particolare che caratterizzava la danza di quell'epoca: la fortissima influenza dei danzatori ebrei.
Forse perché la danza era ed è stata per lungo tempo una delle forme di arte e intrattenimento più praticate dalle comunità ebraiche, i maestri, i teorici, le scuole di danza italiane - il che equivale a dire la punta di diamante della creazione della danza moderna- tra rinascimento e barocco sono in buona parte di origine ebraica.
I maestri di danza ebrei sono contesi dalle corti di tutt'Italia e costantemente chiamati a insegnare, a preparare coreografie per le feste o semplicemente a danzare. Per la prima volta poi, essi trascrivono questo loro sapere in trattati che sono la base per la creazione di una tradizione coreutica colta, e tramite questi trattati ci tramandano anche le musiche per le loro danze, creando così per la prima volta un corpus musicale preziosissimo.
Lo spettacolo, con la voce di Marco Muzzati, ripercorrerà poi storie di diaspora, scenario sempre presente sullo sfondo nella vita degli ebrei d'Europa.
Il concerto è previsto nell'anfiteatro della Rocca di Russi alle ore 21 ma, in caso di pioggia, verrà spostato nel vicino Teatro, l'ingresso è gratuito.

(Lugonotizie, 28 luglio 2010)

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L'aragosta e la questione ebraica. Quali rabbini, crisi e speranze

Una denuncia formale recapitata nella seconda metà del mese di luglio all'Ufficio rabbinico di Milano e il giudizio di un tribunale rabbinico che con ogni probabilità ne sarà la conseguenza, manifestano un fatto fino a ieri difficilmente concepibile e sembrano riassumere tutti gli elementi della grande mutazione che la minoranza ebraica in Italia e con essa il suo rabbinato stanno attraversando. La guida spirituale del movimento ebraico riformato milanese Lev Chadash affiliato alla World Union for Progressive Judaism (una particolarità nel panorama ebraico italiano, che fa tradizionalmente riferimento all'ebraismo ortodosso), accusa un rabbino milanese del movimento chassidico dei Lubavich (un'altra particolarità, presente ormai in Italia da anni, ma proveniente da tradizioni nate altrove) di aver diffuso notizie false e infamanti sulle attività del proprio gruppo ebraico. A dirimere la controversia e a fare giustizia è chiamato un collegio giudicante composto di rabbini che si identificano nella via ortodossa italiana. Al di là del contenuto di questa specifica vertenza ci troviamo di fronte alla conferma della centralità del ruolo e dell'autorevolezza del rabbinato italiano. In ogni caso un fatto nuovo. Un episodio che si inquadra nel dibattito già molto acceso e ricco di spunti. Un confronto che concentra grande attenzione sul mondo rabbinico e che evidenzia una realtà nuova, certo meno stabile, più ricca di contraddizioni e di rischi. Ma anche densa di quelle sfide e di quelle potenzialità che in oltre due millenni di storia la più antica comunità della Diaspora è spesso riuscita a tramutare, con equilibrio e creatività in una ricetta originale di crescita e di fedeltà alle proprie autentiche radici.

(Notiziario Ucei, 28 luglio 2010)

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Il naso per rendersi autonomi

Dispositivo tecnologico offre nuove possibilità ai tetraplegici

Un nuovo ritrovato tecnologico per migliorare la vita dei pazienti tetraplegici. È il risultato di una ricerca israeliana del Weizmann Institute pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
Il nuovo dispositivo, denominato "sniff controller", permette ai pazienti di controllare il movimento della sedia a rotelle, di parlare, scrivere e navigare su internet semplicemente espirando aria dal naso.
I ricercatori israeliani sono partiti dal presupposto che nella maggior parte dei casi nelle persone disabili i nervi cranici non sono danneggiati e riescono a trasmettere una serie di segnali alla parte superiore della bocca. Lo sniff controller è sensibile alle variazioni della pressione nasale sul palato molle e le trasforma in segnali elettrici.
Il neurochirurgo americano Paul Sanberg commenta: "È un'idea brillante, una valida opzione per tutti coloro che soffrono di disabilità gravi". In altri casi, i pazienti utilizzano il movimento oculare per comunicare, mentre gli scienziati stanno lavorando alla possibilità di tecnologie basate direttamente sui segnali inviati dal cervello.
Nella sperimentazione israeliana, i pazienti hanno cominciato a servirsi della nuova tecnologia per scrivere messaggi ai familiari, sfruttando appunto l'espirazione del naso per comporre alla velocità di 3 lettere al minuto, un tempo che potrebbe sembrare infinito per molti, ma che costituisce una vera e propria conquista per i tetraplegici e i loro familiari che riescono così a comunicare di nuovo con i loro cari.

(italiasalute.it, 28 luglio 2010)

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Oliver Stone si scusa con gli ebrei, affermazione maldestra sull'Olocausto

LOS ANGELES, 27 lug. - Il regista Oliver Stone ha diffuso un comunicato in cui si scusa per i commenti fatti in un'intervista al 'Sunday Times' di London sull'Olocausto e su quella che ha definito "la dominazione ebraica dei media". "Nel tentativo di fare il punto storico piu' ampio sulla gamma di atrocita' commesse dai tedeschi nei confronti di molte persone, ho fatto una maldestra associazione con l'Olocausto, per la quale sono dispiaciuto e pentito", ha detto Stones in una dichiarazione diffusa dal suo portavoce. "Gli ebrei ovviamente non controllano i media o qualunque altra industria. Il fatto che l'Olocausto e' ancora oggi un avvenimento molto importante, vivido e attuale e' infatti merito dell'inteso lavoro che una estesa coalizione di persone ha profuso sul ricordo di questa atrocita', perche' e' stata un'atrocita'".
Nell'intervista rilasciata al 'Sunday Times' per promuovere il suo documentario 'South of the Border', Stone era arrivato a parlare dell'Olocausto dicendo: "Hitler era un Frankenstein, ma c'era anche un Dr. Frankenstein. Gli industriali tedeschi, gli americani e gli inglesi. Ebbe un sacco di supporto... Hitler ha fatto molti piu' danni ai russi che agli ebrei". Nell'intervista Stones aveva anche parlato dell'influenza di Israele sulla politica estera statunitense.
Le sue affermazioni avevano provocato la dura reazione dell'American Jewish Committee, che aveva diffuso un comunicato di condanna. "Invocando questo grottesco, tossico stereotipo Oliver Stones si e' dichiarato come antisemita", aveva affermato in un comunicato il direttore dell'associazione, David Harris. "Nonostante le pretese progressiste di Stone, la sua osservazione non e' differente dagli insulti antisemiti del suo collega di Hollywood Mel Gibson", aveva aggiunto Harris. Dopo le scuse di Stone, l'associazione americana dei sopravvissuti all'Olocausto ha diffuso una nota in cui si dice che le "le sue scuse erano necessarie e noi le accettiamo. Ma se ha agito con sincerita o in risposta allo sdegno suscitato dalle sue affermazioni resta una questione aperta. Egli deve essere giudicato sui suoi futuri comportamenti e parole".

(Adnkronos, 27 luglio 2010)

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Ideata sedia a rotelle che si guida con il respiro

ROMA, 27 lug - Bastera' respirare per guidarla. Ingegneri israeliani dell'Istituto Weizmann hanno messo a punto una sedia a rotelle che consentira' ai tetraplegici di controllare i movimenti del mezzo meccanico grazie ai respiri emessi dal naso. Il sistema, sviluppato da un team guidato da Noam Sobel, Anton Plotkin e Aharon Weissbrod, ha un sensore che individua le variazioni della pressione dell'aria all'interno delle narici e le traduce in segnali elettrici.
E' stato testato anche come strumento di comunicazione con familiari e amici. Un paziente che era stato paralizzato per sette mesi in seguito ad ictus ha imparato a usare il dispositivo in pochi giorni riuscendo a scrivere il primo messaggio alla famiglia. Il dispositivo e' nato dall'idea che la capacita' di annusare e' una delle poche funzioni motorie che si conserva anche nei casi piu' acuti di paralisi, come la sindrome locked-in, caratterizzata da una forma completa di paralisi motoria che 'imprigiona' il paziente il corpo in una gabbia senza possibilita' di comunicare verso l'esterno.

(ASCA, 27 luglio 2010)

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Gaza, Hamas istituisce il servizio di leva facoltativo

ROMA, 27 lug - Nuova mossa di Hamas per cercare il favore della popolazione della Striscia di Gaza, dopo anni di politiche repressive che ne hanno minato la credibilità interna, e allo stesso tempo aumentare la sua capacità militare. Il ministro dell'Interno della formazione, Fathi Hammad, ha annunciato che i residenti della zona potranno svolgere il servizio militare. Questo però sarà facoltativo e non obbligatorio. "È importante preparare gli uomini e le donne di Gaza contro una nuova aggressione israeliana", ha affermato Hammad durante l'inaugurazione di un nuovo centro di formazione della polizia nel nord della Striscia. Alle sue parole si sono aggiunte quelle del suo portavoce, Ihab al-Ghussein, il quale ha spiegato che un comitato ministeriale è al lavoro per elaborare al più presto uno studio da presentare al governo per l'approvazione finale. "Nel documento - ha sottolineato al-Ghussein - verrà specificato che il servizio militare sarà facoltativo e non obbligatorio".
Hamas punta molto su questa iniziativa, tanto che ha già annunciato stipendi interessanti per chi vi aderirà. Da una parte, infatti, sarà un "buon" servizio per la causa; dall'altra rappresenterà una fonte di reddito per i volontari. Soprattutto per i giovani. La popolazione, però, è diffidente in quanto più di una volta provvedimenti "facoltativi" si sono poi trasformati senza preavviso in obbligatori e le proteste sono sfociate in violente repressioni. Le forze di sicurezza di Hamas a oggi sono composte da circa 13 mila effettivi, la maggior parte dei quali si occupa di gestire l'ordine pubblico sul territorio. A loro si affianca l'ala militare del movimento, che può contare su altre migliaia di guerriglieri il cui compito è contrastare i raid israeliani e lanciare razzi sul territorio del paese ebraico.

(il Velino, 27 luglio 2010)

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Amnon Ben-Tor
Israele, scoperto un Hammurabi di 3700 anni fa

Per la prima volta, un frammento del «Codice della legge» di Hammurabi è stato scoperto al di fuori della Mesopotamia, terra natale del primo sistema legale scritto della storia. La scoperta è stata stata annunciata ieri da un gruppo di archeologi israeliani che hanno rinvenuto il documento nel sito della città cananea di Hazor, nel nord di Israele. «E' la prima volta che un frammento del Codice viene rinvenuto in Terra Santa e al di fuori della Mesopotamia» ha spiegato il responsabile degli scavi, l'archeologo Amnon Ben-Tor dell'Università ebraica di Gerusalemme. Il testo rinvenuto è stato datato al 1700 a.C., ovvero circa dieci secoli prima della redazione della Bibbia. Si tratta di un frammento di argilla in scrittura cuneiforme su 4 linee.

(Avvenire, 27 luglio 2010)

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La bolla immobiliare spaventa anche Israele

La paura della crescita di una bolla nel settore immobiliare non spaventa solamente in Asia...

La paura della crescita di una bolla nel settore immobiliare non spaventa solamente in Asia. Se infatti è soprattutto in Cina che, da mesi, si è lanciato l'allarme sulla crescita "esagerata" dei prezzi delle case - e, conseguentemente, dei prestiti concessi dalle banche locali -, anche la Banca d'Israele ha annunciato ieri un rialzo dei tassi di interesse proprio finalizzato a raffreddare il settore del real-estate.
L'istituto centrale dello Stato ebraico ha infatti aumentato di un quarto di punto il tasso di riferimento, portandolo così all'1,75%: "La crescita del prezzo del mattone, pari al 21% nell'ultimo anno, ha raggiunto un livello non compatibile con le attuali condizioni economiche del Paese", è stato specificato in un comunicato. L'ultimo rialzo del costo del denaro in Israele risale allo scorso mese di marzo.
Va considerato, inoltre, che complessivamente l'inflazione nei primi sei mesi del 2010 è cresciuta al 2,4% su base annuale (ancora comunque compresa nella forchetta prevista dal governo, tra l'1 e il 3%).

(Valori.it, 27 luglio 2010)

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Barack: se Hezbollah attacca Israele, colpiremo il Libano

WASHINGTON, 27 lug. - Israele colpirà direttamente le istituzioni governative libanesi se il movimento sciita libanese Hezbollah lancerà razzi contro città israeliane: è quanto ha spiegato il ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak in un'intervista concessa al Washington Post. Barak, che ha incontrato ieri il segretario di Stato americano Hillary Clinton a Washington, ha confermato che il governo israeliano non tollererà alcun nuovo attacco del movimento sciita. Se Hezbollah lancerà un razzo su Tel Aviv, "noi daremo la caccia a ogni terrorista e ogni aggressore di Hezbollah", ha avvertito il ministro durante l'intervista. "Considereremo legittimo colpire qualunque obiettivo che appartiene allo Stato libanese e non soltanto ad Hezbollah", ha aggiunto. "Se qualcuno lancia un missile su Israele, Israele, come tutti i paesi, ha il diritto a difendersi", ha commentato da parte sua Philip Crowley, il portavoce della diplomazia americana, che ha aggiunto: "Certamente, preferiremmo vedere lanciare negoziati di pace piuttosto che razzi". Il primo ministro libanese Saad Hariri ritiene che Israele si stia preparando a condurre una nuova guerra contro il Libano; il capo del governo ha ripetutamente condannato i voli di sorveglianza condotti dallo Stato ebraico sopra il territorio libanese, in violazione dello spazio aereo di Beirut. (fonte afp)

(Apcom, 27 luglio 2010)

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Opa Rosenstein e l'«altro violino»

SALÒ - Stasera in piazza Zanardelli, nell'ambito della rassegna musicale, il quintetto proporrà brani di musica Klezmer. Protagonista del concerto la «band» formata da Gian Andrea Guerra, Valentina Soncini, Fabio Crespiatico Giovanni Baffi e Antonio Amodeo

Il contrabbassista Fabio Crespiatico
Proseguono gli appuntamenti musicali nell'ambito della 52a Estate Musicale del Garda a Salò: questa sera è di scena l'Opa Rosenstein Klezmer Band con l'«altro violino», quello cioè usato in un genere musicale diverso rispetto a quello classico, vale a dire quello della musica Klezmer.
Il repertorio di questa sera sarà interpretato da Valentina Soncini (voce e viola), Gian Andrea Guerra (violino), Antonio Amodeo (chitarra), Fabio Crespiatico (contrabbasso) e Giovanni Baffi (percussioni). Il concerto è in programma alle 21.30 in piazza Zanardelli, l'ingresso è gratuito.
Ma cos'è la musica Klezmer? E' un genere musicale tradizionale ebraico e fonde strutture melodiche, ritmiche ed espressive che vengono dall'Est europeo, in particolare dai Balcani, dalla Polonia e dalla Russia; zone geografiche e culturali con le quali il popolo ebraico ha a lungo convissuto. La musica ha un «uso specifico», nasce cioè per accompagnare momenti particolari della vita di ognuno: principalmente le feste di matrimonio e il funerale, ma anche episodi di vita quotidiana. Una musica che esprime dunque sia la gioia che la sofferenza e la malinconia, tipica quest'ultima della musica ebraica.
Fra gli strumenti principalmente usati nella musica Klezmer c'è sicuramente il violino, apppunto il «protagonista alternativo» di questa sera, ma molto spesso anche il clarinetto, la tromba e gli strumenti a percussione. Tra l'altro fu proprio la musica Klezmer, quando gli ebrei perseguitati dal nazismo si trasferirono in America, a contribuire allo sviluppo del jazz, e proprio a questo genere si riferirà anche una parte del programma presentato questa sera a Salò dall'Opa Rosenstein Klezmer Band.

(Brrescia Oggi, 27 luglio 2010)

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Alto Adige - Durnwalder alla delegazione di ebrei: Siamo un modello di speranza

BOLZANO, 27 lug - ''L'Alto Adige e' un elemento di speranza nel dimostrare che per tutti i problemi delle minoranze puo' essere trovata una soluzione. La convivenza in Alto Adige e' buona, nonostante i periodici momenti di confronto direi anzi molto buona, perche' finora con la buona volonta' e il buonsenso abbiamo sempre superato le divergenze''.
E' quanto ha dichiarato Luis Durnwalder, presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, durante la riunione a Palazzo Widmann con la delegazione di ebrei e arabi di Israele giunti in Trentino per studiare l'esperienza delle minoranze tedesca e ladina nel loro rapporto con lo Stato italiano dal punto di vista storico, politico e sociale, e il modello di soluzione adottato per garantire la convivenza.
Durante l' incontro, che e' stato promosso dal Cipmo (Centro italiano per la pace in Medio Oriente) con l'Ufficio provinciale Affari di gabinetto, Eurac e Legacoopbund, il presidente ha illustrato il cammino dell'autonomia e della convivenza nelle sue diverse sfaccettature, come si legge in una nota. L'esperienza altoatesina della proporzionale nel pubblico impiego e nelle stesse rappresentanze istituzionali, le garanzie nell'uso della lingua, l'organizzazione scolastica, la promozione della cultura, l'autonomia finanziaria e amministrativa.
Dal direttore del Cipmo Janiki Cingoli, si legge ancora, e' arrivata la proposta di avviare uno scambio tra Alto Adige e Israele sottoforma di un gemellaggio tra Eurac e istituzioni israeliane nonche' l'auspicio che il presidente Durnwalder possa illustrare il modello di sviluppo dell'Alto Adige direttamente a Gerusalemme e nel Medio Oriente attraverso una serie di incontri. ''Il conflitto in quelle terre e' profondo e complesso - e' stato detto in vari interventi - ma questo non deve diventare un pretesto per non imparare buone pratiche da altre realta'''.

(ASCA, 27 luglio 2010)

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Oliver Stone "riabilita" Hitler

Polemiche su Paris per saluto nazi

Oliver Stone
Oliver Stone è nella bufera a causa di alcune dichiarazioni su Hitler e Stalin, in cui avrebbe riabilitato i due dittatori. Secondo Stone più di Hitelr sono responsabili "gli industriali tedeschi, americani e inglesi che lo hanno supportato", mentre l'Olocausto sarebbe diventato un affare così importante a causa "del dominio ebreo nei media". E intanto Paris Hilton è stata fotografata nell'atto di fare un saluto nazista.
L'intervista incriminata è stata lasciata dal regista di "Platoon" e "Jfk" al "Sunday Times", per promuovere il suo ultimo documentario "Secret History of America". Stone è andato a ruota libera e, probabilmente, ben sopra le righe. Ha intanto affermato che realizzare questo documentario gli ha permesso di "mettersi nei panni di Hitler e Stalin comprendendo il loro punto di vista". Contro Hitler avrebbe giocato la lobby ebrea che domina l'editoria statunitense. "Hanno in mano tutti i media - ha detto Stone -. Sono grandi lavoratori e sono al top in ogni commento, la lobby più potente di Washington. Israele ha condizionato la politica estera americana per anni".
E poi ancora per giustificare l'operato di Hitler. "Lui è stato il prodotto di una serie di azioni. E' tutto causa ed effetto: la gente negli Stati Uniti non ha idea di quali connessioni ci siano tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Dobbiamo liberare le menti da certi pregiudizi. Andiamo a vedere la fondazione del Partito Nazista, quante compagnie americane erano coinvolte, dalla General Motors all'IBM. Hitler era semplicemente un uomo che sarebbe potuto essere assassinato facilmente. E oltretutto ha fatto molti più danni ai russi che non agli ebrei, uccidendone quasi 30 milioni".
Quella che Stone ha cercato di fare è un'analisi storica di quanto accaduto, ma il risultato delle sue dichiarazioni, sicuramente rilasciate con troppa leggerezza, è stato di sollevare un vespaio, tanto da costringerlo a un rapido dietrofront. Almeno sulla questione Olocausto. "Ho fatto un'associazione inappropiata riguardo l'Olocausto - ha poi detto -. Gli ebrei ovviamente non controllano i media o alcun altra industria. Il fatto che l'Olocausto sia ancora una cosa così importante e la sua memoria vivida è solo merito di un gruppo di persone impegnate a ricordare questa atrocità, perché è stata un'atrocità".
Ma evidentemente per il mondo dello showbiz in questi giorni ll nazismo è un argomento pericoloso da toccare. Nella trappiola è finita anche Paris Hilton, sbattuta in prima pagina dai tabloid (in particolare il "Daily Mail") mentre si scatena su una barca con indosso un berretto dell'Armata Rossa e facendo un saluto nazista.
Circostanza da lei e dal suo entourage fortemente negata. Un suo portavoce ha dichiarato al "MailOnLine" che Paris stava semplicemente ballando e il braccio era alzato in quella posa "equivoca" soltanto per quel motivo. In quanto al cappello, "non era un cappello comunista, è un berretto in stile militare che arriva da un club. Metà della sua famiglia è ebrea così come molti dei suoi amici".

(TGCOM.it, 27 luglio 2010)

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Luoghi dello spirito, a Russi le danze ebraiche del Rinascimento

RAVENNA - Quest'anno tocca al giardino della Rocca "Terzo Melandri", in via Trieste a Russi, venire annoverato tra i "Luoghi dello Spirito e del tempo" dell'omonima rassegna musicale curata ormai da 15 anni dal Collegium Musicum Classense di Ravenna. Un cartellone da sempre votato alla riscoperta contestuale di luoghi di pregio della provincia (e che ha fatto tappa già molte volte a Russi, Godo e San Pancrazio, tra Palazzo San Giacomo e le pievi delle frazioni) insieme a musiche classiche e antiche, spesso dimenticate o comunque troppo poco ascoltate.
E così giovedì 29 luglio alle 21 il giardino della Rocca "Terzo Melandri" di Russi (via Trieste) ospiterà un vivacissimo programma di danza, musica e recitazione dedicato agli ebrei della diaspora, con l'Ensemble Sensus impegnato del programma "Fuggi fuggi fuggi - Musiche e danze degli ebrei italiani nel Rinascimento". Sarà l'occasione per indagare l'importante ruolo della danza nella storia del Rinascimento italiano, con particolare attenzione ai maestri di origine ebraica: l'arte della danza era infatti presente in ogni strato della società ebraica e la posizione dei maestri di ballo si consolidò progressivamente con lo sviluppo della tecnica sempre più ricercata.
Il concerto è a ingresso gratuito.

Info Ufficio Cultura Russi: 0544/587641 , www.racine.ra.it/collegiummc

(Lugonotizie.it, 27 luglio 2010)

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Gerusalemme, in mostra un rarissimo affresco del XII secolo

Raffigura la "Deesis", venne ritrovato nel Giardino di Getsemani

GERUSALEMME, 26 lug. - Il Museo di Israele di Gerusalemme ha presentato oggi al pubblico un rarissimo affresco risalente al XII secolo e ritrovato nel 1999 nel Giardino di Getsemani, sul Monte degli Ulivi. La scena rappresenta la "Deesis" ("supplica"), ovvero, Gesù, Maria e Giovanni Battista raccolti in preghiera: originariamente si ritiene fosse alto una decina di metri ma oggi ne rimane solo la parte inferiore.
Fino ad oggi solo due affreschi simili sono stati ritrovati nella zona di Gerusalemme: secondo gli archeologi tutte le altre pitture dell'epoca furono distrutte per ordine di Saladino quando le truppe islamiche occuparono la Città Santa nel 1187.

(Apcom, 26 luglio 2010)

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Strage di Bologna, ex giudice Priore rilancia la pista palestinese

"Possibile matrice internazionale anche per l'attentato di san Benedetto Val di Sambro"

ROMA, 26 lug - La strage di Bologna come reazione del terrorismo palestinese all'arresto di un responsabile di alto livello del Fronte popolare, che aveva la sua base operativa proprio nel capoluogo emiliano. A evocare un simile scenario è Rosario Priore, giudice istruttore di alcuni dei più importanti processi della storia giudiziaria italiana, dall'eversione nera e rossa al caso Moro fino alla strage di Ustica e l'attentato a Giovanni Paolo II. Presentando alla sala del Cenalcolo della Camera il libro-intervista scritto con Giovanni Fasanella ("Intrigo internazionale: perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire"), il magistrato ripercorre le possibili tappe che potrebbero aver portato alla strage del 2 agosto. "Nel novembre del '79 avevamo arrestato a Ortona tre autonomi romani (Daniele Pifano, Giuseppe Nieri e Giorgio Baumgartner, ndr) che stavano trasportando due missili terra-aria bulgari, destinate ai terroristi palestinesi - afferma Priore -. Quell'operazione portò anche all'arresto di Abu Anzeh Saleh, un dirigente del Fronte popolare che era il responsabile dell'organizzazione in Italia. L'organizzazione pretendeva assolutamente la liberazione di questa persona, perché la ritenevano una violazione del 'lodo Moro' (basi logistiche in Italia in cambio della non belligeranza, ndr)". Nonostante un comunicato ufficiale del Comitato centrale del Fplp, Saleh invece condannato dal Tribunale di Chieti e la sentenza venne poi confermata dalla Corte di Appello dell'Aquila.
"I messaggi che si scambiavano le nostre polizie sono inequivocabili e fanno un riferimento diretto all'ipotesi di una grande strage nel nostro Paese - prosegue Priore -. Ricordo una comunicazione del direttore del Sisde, Grassini, che poco prima del 2 agosto diceva 'siamo agli ultimi giorni, si sente parlare di una rappresaglia pesantissima'". Per il magistrato, insomma, nessuna trama nera ma una matrice internazionale, la stessa che potrebbe essere dietro la strage di Natale a san Benedetto Val di Sambro. Una convinzione maturata leggendo "le relazioni dei servizi orientali". "Probabilmente anche quella strage - spiega Priore - fu dovuta all'arresto di un terrorista, fermato a Fiumicino con le valigie piene di esplosivo". Il risultato della mancata liberazione fu un nuovo sanguinoso attentato, dovuto al peso di organizzazioni internazionali, come il Fronte popolare palestinese o il gruppo di Carlos, che avevano "una forza tale da imporre rappresaglie enormi". Priore ha ricordato come anche la Francia abbia subito pressioni dal gruppo di Carlos a causa dell'arresto di due membri dell'organizzazione. "Per due anni ci fu una seria impressionante di attentati su treni veloci nelle stesse modalità con cui avvennero in Italia, che finirono solo quando i due vennero espulsi dal Paese".

(il Velino, 26 luglio 2010)

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In Giordania torna la paura dei palestinesi

di Mimmo Candito

AMMAN - Ma chi l'ha detto che il mondo arabo è tutto, e soltanto, quello delle nostre cronache più nere. Uno viene ad Amman, Giordania, e una sera finisce al Grand City Mall, un centro commerciale di luci colorate e di shopping a tutto volume, e vede che la storia, alla fine, è più complessa: la folla spinge e preme, come ogni folla in ogni Mall, e anche qui sono soprattutto giovani, e soprattutto uomini. Gli abiti sono occidentali, e le ragazze e le donne hanno comunque i capelli sciolti, liberi; quelle che hanno il fazzoletto in testa, davvero poche, si notano subito, e però solo un occhio europeo pare accorgersene.
In questo multisala passa un pezzo della storia d'oggi della Giordania, che val bene come il Paese simbolo d'ogni possibile Medio Oriente dentro incastri dove passato e futuro si mescolano con qualche incertezza. I manifesti dei cinema sono grandi, in inglese: c'è George Clooney seduto nel suo aeroporto di «Up in the Air», le nuove avventure di «Sherlock Holmes», anche «Avatar» naturalmente, con le promesse fantastiche del 3D e dei suoi occhialini di plastica. Potrebbe essere un qualsiasi altro cinema d'Europa o d'America, e i rari veli delle ragazze si perdono subito verso il buio delle sale....

(La Stampa, 26 luglio 2010)

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L'ultima festa, tra amore e perdono

di Luciano Meir Caro, rabbino capo della Comunità Ebraica di Ferrara

Tu beAv, vale a dire il 15 del mese di Av (nel 2010 cade il 26 di luglio), è l'ultima ricorrenza dell'anno ebraico e anche la meno nota. Considerata festa dell'amore e della gioventù, fu istituita presumibilmente nel periodo del Secondo Tempio, ma, secondo alcuni, trae le sue origini da un'antica festa legata all'agricoltura e alla fine dell'estate. Attenuatasi la calura dell'estate, si finiva di tagliare il legname da usarsi nel Santuario per i sacrifici dell'anno successivo. Dal punto di vista liturgico la data si segnala per l'omissione nella preghiera quotidiana di alcune parti penitenziali (Techinnà). Inoltre chi si sposa in questa giornata è esentato dal digiuno istituito in occasione del giorno delle nozze. Se poi nel giorno di Tu beav ha avuto luogo l'inumazione di un defunto si limitano le manifestazioni pubbliche di lutto. Ma, quali sono le origini della festa e a quali eventi è legata? Una fonte midrashica ricorda che, a detta di «certi sapienti il 15 Av sono stati creati gli astri» (Otzar Hamid 1, 282 ). Nel libro dei Giudici si fa cenno a una festa popolare celebrata «da molti anni» nelle vigne con canti e danze e, secondo una tradizione, questa che potrebbe esser definita una festa della vendemmia cadeva proprio il 15 Av. Altri sostengono che la festività risalga al periodo di polemico confronto fra Farisei e Sadducei e che sarebbe stata istituita dai primi per celebrare un loro successo nei confronti dei Sadducei. Nelle nostre fonti il riferimento più evidente è dato da quanto riportato nella Mishnà: Raban Shimon ben Gamliel diceva: «Per Israele non esistevano giorni più lieti del 15 di Av e del giorno di Kippur, in cui le fanciulle di Gerusalemme uscivano con abiti bianchi presi in prestito per non far arrossire le più povere. Tutti i vestiti andavano sottoposti al bagno di purificazione. Le fanciulle di Gerusalemme uscivano a danzare nelle vigne. E che cosa dicevano ? "Giovane, alza i tuoi occhi e guarda bene quello che scegli. Non posare gli occhi sulla bellezza, ma bada alla famiglia. Cosa falsa è la grazia; vanità è la bellezza. Solo la donna temente di Dio è degna di lode" (Prov. 31,20 - Ta'anit IV, 7)». Questo testo presenta alcune difficoltà di interpretazione. Ci si domanda quale tipo di rapporto leghi Tu beav e il giorno di Kippur. Qualcuno sostiene che entrambe le date sono collegate al perdono concesso da D. in diverse occasioni. Nel giorno di Kippur l'Eterno perdonò di fatto il popolo ebraico che si era macchiato del peccato del vitello d'oro, ma, secondo la tradizione, era il 15 di Av allorchè fu accolta la richiesta di perdono formulata da Mosè il giorno stesso della sua discesa dal Sinai. Sempre nel giorno del 15 di Av ebbe termine la pestilenza inviata come punizione per la vicenda degli esploratori incaricati da Mosè di compiere un sopralluogo in Terra di Israele. Inoltre il 15 di Av cessarono i decessi di quanti, usciti dall'Egitto, furono condannati a morire nel deserto. E anche questa circostanza è legata al perdono di D. perché si sostiene che quanti non morirono entro quella data sopravvissero miracolosamente. Le fonti midrashiche riferiscono che nel quarantesimo anno del soggiorno nel deserto, gli ultimi quindicimila di quanti, ultraventenni, erano usciti dall'Egitto attendevano la morte per il 9 Av, tradizionale anniversario del peccato degli "esploratori". Infatti, secondo la tradizione, furono condannati a morire nel deserto e pertanto a non entrare nella Terra Promessa, solo coloro che avevano superato i vent'anni. Ma, l'Eterno ebbe pietà e li lasciò in vita. Dapprima costoro ritenevano di aver conteggiato male il tempo e che il 9 di Av non fosse ancora sopraggiunto, ma quando videro in cielo splendere la luna piena (segno che era il 15 del mese) si resero conto di esser stati perdonati e istituirono il 15 di Av come giorno di festa. (Talmud Jerushalmi-Ta'anit 4). Dunque esiste un rapporto fra Kippur e 15 di Av. Perché non c'è gioia maggiore di quella provata da colui al quale sono stati perdonati gli errori commessi. Secondo la Meghillat Ta'anit, il 15 di Av non si fanno manifestazioni di lutto in quanto la giornata è legata alla raccolta del legname per il Santuario (Nehemia 10, 35). Le fonti talmudiche affermano che in questo giorno sono state abrogate alcune limitazioni nel campo matrimoniale. Si ricorderà che nel libro dei Numeri, a proposito delle "figlie di Tselofchad" (cap. 36), per evitare che vi fossero trasferimenti di proprietà terriera fra una tribù e l'altra, fu stabilito che una donna erede di una famiglia priva di figli maschi non potesse sposare un membro di altra tribù. Si racconta anche che, in relazione al triste episodio della "concubina" (Giud. 19-20,21) i rappresentanti delle varie tribù si impegnarono a non consentire le nozze con una donna appartenente alla tribù di Beniamino. Il 15 di Av fu stabilito che le suddette deliberazioni riguardavano solo la generazione nella quale furono prese. Secondo il Talmud, il 15 di Av, Hoshèa', figlio di Elà, ultimo re di Israele, abolì i posti di blocco istituiti da Geroboamo ai confini col territorio di Giuda. Veniva in tal modo sollecitata la riunificazione tra il territorio del Regno di Giuda e quello del Regno d'Israele (Ta'anit 30). Il 15 di Av ricorda anche la revoca del provvedimento delle autorità romane di dare sepolture ai caduti della fortezza di Betar (135) strenuamente difesa dai combattenti di Bar Kokhbà. Nonostante i cadaveri fossero stati abbandonati all'aperto per lungo tempo, furono miracolsamente trovati integri. Per celebrare l'evento fu istituita una benedizione supplementare (Hatov Vehametiv) nel Birkat Hamazon, la formula da recitarsi dopo il pasto (Bava Batrà, 121). Il 15 di Av viene altresì ricordato come giorno dello «spezzamento delle scuri». Infatti da questo giorno tali strumenti venivano pubblicamente spezzati in quanto non servivano più, essendo terminata la raccolta del legname per il Santuario. In quell'occasione si faceva una grande festa. (B. Batrà, 121) Si osserva altresì che il progressivo accorciarsi della luce del giorno che ha inizio nel periodo del 15 di Av predispone l'animo all'atmosfera del succesivo mese di Elul particolarmente adatto alla riflessione e alla introspezione in preparazione delle imminenti ricorrenze autunnali (Yamin Noraim). il testo fondamentale della Kabalà, la mistica ebraica, raccomanda di celebrare il 15 di Av con manifestazioni di allegria perché in questo giorno la Provvidenza è particolarmente disposta alla benevolenza nei confronti dell'uomo. Viene anche suggerito di dedicare la notte allo studio di Torà. Sono dunque tante le motivazioni proposte sui significati della ricorrenza. In relazione al passo della Mishnà riportato all'inizio c'è chi ha formulato due curiose affermazioni. Si è visto che il 15 di Av le fanciulle uscivano a ballare, presumibilmente in cerchio, vestite di bianco. Il termine "Av" designa un mese dell'anno ebraico, ma è composto dalle prime due lettere dell'alfabeto: Alef Bet. Da notare che nell'alfabeto ebraico la quindicesima lettera è la Samekh, che ha la forma di un cerchio ed evoca pertanto la danza in circolo, nella quale tutti i danzatori si possono guardare l'un l'altro e si trovano tutti in situazione di uguaglianza. Inoltre si afferma che nei tempi messianici, il Santo Benedetto parteciperà alla danza festosa dei giusti ponendosi in mezzo a loro. Qualcuno sostiene che la danza organizzata per i giusti avrà luogo nel Gan Eden. In quell'occasione l'Eterno sarà al centro del cerchio e ognuno dei partecipanti Lo additerà agli altri esclamando: «Ecco questo è il nostro Dio nel quale abbiamo confidato…. Gioiamo e rallegriamoci nella Sua salvezza». (Isaia 25, 9) E quanto al colore bianco richiesto per le vesti delle fanciulle, questo, secondo alcuni, è composto da vari colori che rappresentano la varietà del nostro mondo materiale. Ma, il mondo futuro non avrà alcunchè di materiale e pertanto non vi sarà più bisogno di indossare abiti bianchi. Oggi, nel risorto Stato di Israele è ripreso l'uso di dar vita, in occasione di Tu Beav ad allegri incontri campestri fra giovani, a feste di fidanzamento e riunioni di riconciliazione.

(Pagine Ebraiche, agosto 2010)

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Tu beAv

di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Tu beAv, il 15 di Av, la festa di oggi, rischia di diventare, nella cultura popolar-commerciale israeliana una festa dell'amore, una specie di S. Valentino; mancano i Baci Perugina, che al caldo si squaglierebbero. Strano modo per riprendere una tradizione remota in cui l'amore c'entra, ma fino a un certo punto. I Maestri, tra i motivi per festeggiare, ricordano questo come il giorno in cui fu permesso alle tribù d'Israele di sposarsi tra di loro; forse fu l'addolcimento della regola che impediva alle ereditiere di sposarsi fuori tribù per impedire il trasferimento delle proprietà terriere (Bemdibar 36:6). La società ebraica ha oscillato in questo campo da un eccesso all'altro. Nell'Ottocento gli ebrei italiani (livornesi), grandi commercianti e imprenditori a Tunisi, avrebbero considerato con orrore le loro nozze con gli ebrei locali; l'unione in matrimonio era anche in patrimonio. Oggi, da queste parti, è già tanto se ci si sposa e la caduta delle barriere van ben oltre i limiti tribali del 15 di Av.

(Notiziario Ucei, 26 luglio 2010)

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Bolzano: domani Durnwalder riceve una delegazione di ebrei e arabi

BOLZANO, 26 lug - E' previsto per domani l'incontro tra il presidente della Provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, e una delegazione di ebrei e arabi d'Israele per parlare di autonomia e convivenza.
Come si legge una nota, una trentina di rappresentanti israeliani, tra arabi ed ebrei, compone la delegazione giunta in Alto Adige su iniziativa del Cipmo (Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente), che ha come presidente onorario Rita Levi Montalcini e tra i suoi fondatori il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Il viaggio e' nato per studiare l'esperienza delle minoranze tedesca e ladina, nel loro rapporto con lo Stato italiano dal punto di vista storico, politico e sociale.
La delegazione riunisce rappresentanti delle piu' prestigiose Ong israeliane, arabe e ebraiche, che si occupano della minoranza arabo-israeliana e della convivenza tra arabi e ebrei nello Stato di Israele. Durante il periodo in Alto Adige si vogliono approfondire gli elementi che possono essere utilizzati per migliorare la condizione della minoranza araba nello Stato ebraico, che costituisce il 20% della popolazione complessiva.

(ASCA, 26 luglio 2010)

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Dalla Galilea al Sud Tirolo

di Janiki Cingoli

Capita raramente che si elabori una idea, apparentemente bizzarra, e che poi alla prova dei fatti quella idea si riveli piena di sostanza e suscettibile di sviluppi estremamente interessanti.
    Immaginare che ci fosse un qualche nesso tra i cittadini tedeschi dell'Alto Adige, dal reddito più alto d'Europa e cresciuti mangiando spesso e volentieri maiale cucinato in mille maniere, e i palestinesi israeliani di Nazareth o di Haifa, certo non ugualmente ricchi e in prevalenza musulmani, richiede sicuramente una grande fantasia. Ma alla prova dei fatti il problema della identità culturale ed etnica ha accomunato l'esperienza di queste due minoranze, producendo uno di quei felici corto circuiti che la storia a volte ci propina.
    In questi giorni arriva a Bolzano una missione di circa 30 rappresentanti israeliani, sia arabi che ebrei, per studiare l'esperienza delle minoranze tedesca e ladina nel Sud Tirolo, nel loro rapporto con lo Stato italiano, dal punto di vista storico, politico e sociale.
    La delegazione, ospitata dalla Provincia Autonoma di Bolzano, è promossa dal CIPMO - Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente.
    Una delegazione analoga, composta da studiosi, era già venuta a Bolzano nel maggio 2008, e si era rivelata un successo, dato che tutti i partecipanti avevano rilevato nella esperienza del Sud Tirolo elementi di grandissimo interesse. Quella attuale costituisce un ulteriore salto di qualità, perché riunisce rappresentanti delle più prestigiose ONG israeliane, arabe e ebraiche, che si occupano della minoranza arabo-israeliana e della convivenza tra arabi e ebrei nello Stato di Israele.
    Lo scopo della missione è semplice : mettere a confronto la situazione della minoranza arabo-palestinese in Israele con quella minoranza tedesca nella Provincia di Bolzano.
    Una minoranza, quest'ultima, che non solo gode di uguali diritti come cittadini italiani, ma anche di specifici diritti aggiuntivi, "positivi" è stato detto, in quanto minoranza e a salvaguardia della sua identità, secondo quanto sancito dall'articolo 6 della stessa Costituzione Italiana. Diritti che prevedono un'ampia autonomia finanziaria, la proporzione nel pubblico impiego, l'uso paritario delle due lingue, la gestione delle scuole. Una concezione, quella italiana, che non vede le minoranze come un pericolo per l'unita' dello stato, da controllare o sopportare, ma come una realtà da riconoscere e proteggere, facendone così un fattore di arricchimento della società, arrivando per questa via a rafforzare la stessa unità del paese.
    La minoranza arabo-israeliana, al contrario, si trova di fronte a gravi problemi, sia in termini di uguaglianza di diritti, che di identità complessiva, in uno Stato che si definisce ebraico e vuole essere riconosciuto come tale dagli Stati arabi e a livello internazionale.
    La popolazione arabo-palestinese costituisce il 20% dello Stato di Israele, ed è a tutti gli effetti una minoranza etnica, parte di una popolazione originaria preesistente alla stessa nascita dello Stato. Ha teoricamente uguali diritti rispetto agli altri cittadini, anche se permangono gravi ineguaglianze in relazione ai finanziamenti di cui fruiscono i municipi arabi, agli accessi ai più alti livelli dell'istruzione, alle possibilità di lavoro e di carriera. Ma non gode di alcuna forma di riconoscimento collettivo, in quanto minoranza.
    Essa è oggi sottoposta ad una forte pressione, da parte di alcuni partiti che formano la attuale maggioranza di governo: Yisrael Beiteinu, il partito della ultradestra laica diretto dal Ministro degli Esteri Lieberman, che ha ottenuto un sorprendente successo alle ultime elezioni, ne ha fatto uno dei temi centrali della sua piattaforma, con lo slogan "No citizenship without loyalty", niente cittadinanza senza lealtà. Esso reclama una sorta di giuramento di fedeltà allo Stato ebraico da parte di questi cittadini che ebrei non sono e propone anche uno scambio tra i territori israeliani più densamente popolati dagli arabi, come la Galilea e il cosiddetto Triangolo, con le aree della Cisgiordania ove sono stati costruiti i maggiori insediamenti ebraici. Questo anche per garantire il carattere ebraico di Israele, risolvendo così la sfida demografica che il più alto tasso di natalità della popolazione araba pone.
    Ma come si può chiedere agli arabi israeliani di essere leali ad uno Stato ebraico che sostanzialmente misconosce la loro stessa identità? Tutto ciò in realtà rende ancora più urgente una questione ineludibile, e cioè proprio quello del riconoscimento, dentro Israele, dello status collettivo della minoranza araba, e della sua tutela con specifiche azioni positive.
    Vi è anche un altro parallelo possibile con la situazione del Sud Tirolo: quello tra la popolazione ebraica della Galilea e del Triangolo, e la popolazione di origine italiana in Provincia di Bolzano, che rappresenta il 20% del totale degli abitanti. Una minoranza che è invece schiacciante maggioranza a livello nazionale, ove invece i tedeschi rappresentano lo 0,5% della popolazione totale. In Galilea la situazione è differente, perché le due popolazioni sono più o meno numericamente alla pari, ma a livello nazionale i palestinesi rappresentano il 20%, e quindi il problema del loro riconoscimento come minoranza nazionale pone problemi assai più rilevanti. Ciò tuttavia rafforza e non indebolisce l'indifferibile esigenza di tale riconoscimento, perché non si può marginalizzare una componente così alta della popolazione, se non a costo di innescare processi esplosivi, con rischi enormi per la tenuta e la stessa sopravvivenza del paese.
    Un altro spunto di riflessione è la situazione della piccola minoranza ladina di questa provincia, che conta 30.000 abitanti rispetto ai 300.000 tedeschi: la tutela si estende anche a loro, analogamente a quanto potrebbe essere fatto in Israele per i drusi o i beduini.
    Il riconoscimento di tali diritti alla minoranza tedesca è stato concordato, dopo la seconda guerra mondiale, con l'Austria, che di tale minoranza costituisce storicamente nazione di riferimento. A questo proposito, un ulteriore elemento rilevante è l'avvenuto rilascio all'Italia, da parte dell'Austria, della "Clausola liberatoria", che riconosceva l'adempimento di tutte le intese concordate, in base al Trattato De Gasperi-Gruber del 1946, e quindi la cessazione di ogni controversia: un precedente che può essere significativo riguardo alla richiesta israeliana di dichiarazione di "End of Claims" (fine delle rivendicazioni), che dovrebbe essere collegata al possibile accordo di pace israelo-palestinese.
    Un altro punto interessante, da un punto di vista storico, è l'introduzione nella Costituzione austriaca del divieto, imposto dalle potenze vincitrici, di ogni rivendicazione di irredentismo, di richiesta cioè di restituzione dei territori ex austriaci perduti alla fine della guerra: anche questo un elemento che potrebbe essere utilizzato nella stesura di un futuro accordo di pace tra israeliani e palestinesi.
    Va detto altresì che l'ingresso dell'Austria nella Unione Europea nel 1995 e la relativa libera circolazione tra gli Stati membri hanno fortemente contribuito a stemperare le tensioni riguardanti i confini nazionali nel più ampio contesto.
    Per concludere, se Israele vuole conservare il suo carattere di Stato ebraico, l'unica via realistica pare quella di riconoscere e tutelare la sua minoranza araba in quanto tale, e insieme di procedere speditamente sulla via della pace, accettando la creazione di uno Stato palestinese al suo fianco. Su un piano più vasto, infatti, gli arabi israeliani, o per meglio dire i palestinesi israeliani come oramai scelgono di chiamarsi, sono e si sentono parte del popolo palestinese, e della sua storia tormentata.
    Se il problema della loro esistenza, in uno Stato che si definisce ebraico, passa per il loro riconoscimento come minoranza etnica, tutelata da diritti collettivi, la loro aspirazione nazionale in quanto popolo può essere soddisfatta solo attraverso la creazione di uno Stato palestinese, al fianco di Israele, a cui tuttavia essi possano guardare: così come gli ebrei della diaspora possono essere cittadini leali dei loro paesi, e guardare a Israele come riferimento per le loro aspirazioni nazionali in quanto popolo. E d'altra parte sarebbe illusorio pensare di poter raggiungere una pace stabile, tra israeliani e palestinesi, ignorando o trascurando il nodo della minoranza arabo-israeliana.
    Il suo riconoscimento e la sua tutela pare l'unica soluzione intermedia, l'unico "compromesso" percorribile, se si vogliono evitare improbabili tentativi di assimilazione forzosa o ancor più pericolose derive fondamentalistiche: l'unica alternativa realistica alla trasformazione di Israele in uno Stato fondato sull'apartheid, o all'affermarsi della proposta di uno Stato israeliano di tutti i cittadini, privo di caratteristiche ebraiche, o di uno Stato unico binazionale su tutta la Palestina storica. Lo studio dell'esperienza del Sud Tirolo può dare un contributo importante in questa direzione.

(CIPMO, 26 luglio 2010)

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Israele: ritorno al futuro

di Eugenio Roscini Vitali

Iron Dome, il sistema di difesa aerea sviluppato ad Haifa dalla società israeliana Rafael Advanced Defense Systems, ha completato con successo i test di simulazione reale ed è stato dichiarato pienamente operativo. La notizia, diffusa con un comunicato ufficiale dal ministero della Difesa israeliano, precisa inoltre che il programma sta per passare alla fase di installazione delle prime batterie di lancio e che inizialmente la copertura riguarderà le città più vicine al confine libanese e alla Striscia di Gaza.
Nato nel 2003, il sistema antimissili Iron Dome é stato il primo vero progetto pensato e realizzato per difendere il sud di Israele dalla minaccia dei Qassam palestinesi. Nel 2006, dopo la guerra contro Hezbollah e i 4.000 razzi Katyusha caduti sulla Galilea, Tel Aviv ha deciso di imprimere una notevole accelerazione allo sviluppo del sofisticato sistema d'arma, ma la svolta decisiva è arrivata nel maggio scorso, quando su input dello stesso presidente Barak Obama, il programma ha ricevuto una iniezione straordinaria di fondi americani: 25 milioni di dollari che il Congresso ha concesso allo Stato ebraico per portare a termine i test di valutazione del programma Iron Dome....

(altrenotizie, 25 luglio 2010)

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Haaretz: un amico di Obama raccoglie fondi per una nave di aiuti a Gaza

WASHINGTON, 25 lug. - L'audacia della speranza che ha lanciato l'ascesa di Barack Obama verso la Casa Bianca rischia di portare nuove nuvole nelle, gia' travagliate, relazioni tra il presidente americano e Israele. Si dovrebbe proprio chiamare cosi' infatti, "The audacity of hope", la nave di aiuti a Gaza che gruppi a sostegno dei palestinesi stanno cercando di comprarare per unirsi ad una nuova missione internazionale tesa a sfidare il blocco imposto dagli israeliani ai territori palestinesi controllati da Hamas.
Ma l'imbarazzo per Obama non si ferma al nome della nave: uno dei principali organizzatori della campagna di raccolta fondi lanciata negli Stati Uniti e' - scrive oggi Haaretz - Rashid Khalidi, il professore di storia della prestigiosa Columbia university. Di cui sono ben note le posizioni fortemente critiche nei confronti di Israele quanto l'amicizia con il presidente, che risale agli anni in cui i due hanno vissuto e lavorato a Chicago, che, ricorda il giornale liberal israeliano, ha gia' creato qualche problema ad Obama durante la campagna elettorale nel 2008.

(Adnkronos, 25 luglio 2010)

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Eichmann tradito dalla love story tra suo figlio e una ragazza ebrea

Ombre sul Vaticano e sui servizi segreti occidentali. Per spronare il Mossad all'azione dovette intervenire Ben Gurion

di Eric Salerno

Adolf Eichmann
ROMA (25 luglio) - Un documentario della studiosa tedesca Bettina Stangneth sulla poco nota storia d'amore che portò alla cattura del criminale nazista Adolf Eichmann ripropone interrogativi e ombre sul comportamento del Vaticano e dei servizi segreti occidentali che aiutarono i boia tedeschi a fuggire indisturbati dall'Europa alla fine della guerra e anche dei servizi segreti israeliani che spesso ebbero un atteggiamento blando nei loro confronti. Eichmann, considerato uno dei massimi artefici della "soluzione finale" - il genocidio degli ebrei - come tanti altri gerarchi e militari di Hitler, era riuscito a rifugiarsi in Argentina, con moglie e figli, grazie alle complicità di chi era già entrato nella logica della "guerra fredda" e considerava i nazisti alleati potenziali del blocco anti-comunista.
A Buenos Aires, Eichmann viveva sotto l'identità falsa ottenuta in Italia dalla vasta rete di connivenza con i criminali nazisti. Il nuovo nome, Riccardo Klement (Clement), documenti falsi perfetti, e un contegno riservato ma non tanto da destare sospetti, lo facevano passare per uno dei tanti tedeschi che in quegli anni, prima e dopo la guerra, erano approdati in Argentina.
Un altro di questi era Lothar Hermann, avvocato di lontane origini ebraiche che nel 1936 per motivi politici era stato internato nel campo di concentramento di Dachau e poi era riuscito a emigrare. Nel 1956, tra sua figlia Sylvia e Nick (o Klaus), uno dei figli di Eichmann sbocciò la storia d'amore che avrebbe portato il nazista al patibolo.
Il ragazzo non nascondeva il suo odio per gli ebrei. Al contrario, sembra che andasse fiero del passato nazista del padre e ne parlasse tranquillamente con la sua giovane amica. Hermann, insospettito dai racconti di Sylvia che gli aveva anche fornito i nomi degli altri figli di Klement-Eichmann e di sua moglie (non erano stati mai cambiati), si rivolse per posta al procuratore generale tedesco Fritz Bauer. E questi si rivolse al Mossad, il servizio segreto israeliano.
Gli israeliani, all'epoca, avevano altre priorità e non erano veramente interessati a dare la caccia ai criminali nazisti. Alcuni di loro, oltretutto, arrestati in Italia dalle forze alleate furono poi liberati e reclutati dal Mossad come agenti da utilizzare nella loro guerra contro gli arabi. Con la Germania post-bellica, inoltre, era da poco nato un nuovo rapporto e le autorità (tedesche e israeliane) avevano deciso, in quella fase, a non "infierire" sui carnefici. Nel 1958, l'intervento di Bauer fu "archiviato". Il Mossad non ritenne necessario approfondire la segnalazione nonostante fosse abbastanza documentata.
Un anno più tardi, il procuratore tedesco, decise di recarsi personalmente a Tel Aviv. Si era accorto che i suoi capi non erano interessati a dare la caccia a Eichmann e, con informazioni nuove alla mano, voleva convincere il Mossad. Secondo una testimonianza racconta nei mesi scorsi dal quotidiano israeliano Haaretz, fu necessario un intervento diretto del premier Ben Gurion per spronare i servizi segreti ad agire. L'operazione fu affidata a Mossad e Shin Bet (l'agenzia che si occupa della sicurezza interna) e l'11 maggio 1960 Eichmann fu affrontato all'uscita della sua abitazione in Argentina, drogato, caricato su un aereo israeliano e portato a Tel Aviv per essere processato. E giustiziato.

(Il Messaggero, 25 luglio 2010)

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Israele critica l'Onu per l’inchiesta sul raid a Gaza

GERUSALEMME - Israele critica la decisione del Consiglio Diritti Umani Onu di aprire un'inchiesta sul raid a Flotilla Freedom. "La missione di questi esperti non e' di cercare la verita' ma soddisfare i Paesi non democratici che controllano il Consiglio sui Diritti Umani e che costituiscono una maggioranza automatica contro Israele", ha detto un funzionario, che ha chiesto l'anonimato.

(AGI, 25 luglio 2010)

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Quattro chiacchiere con Noa, la star israeliana

Noa saluta l'assessore alla Cultura Cocomazzi
TERMOLI. Il suo nome è Achinoam Nini, ma il mondo la conosce semplicemente come Noa, cantante israeliana dalla voce splendida che ammalia e affascina allo stesso tempo, Noa è un'artista profondamente impegnata nell'utilizzo della musica come strumento di riavvicinamento fra popoli in conflitto, con particolare riguardo alla tragica questione mediorientale, il 16 ottobre 2003 è stata nominata "ambasciatrice di buona volontà dell'organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura.
Il suo ultimo lavoro musicale risale al 2008 ed è quello che presenterà questa sera anche a Termoli "GENES & JEANA".
Le sue canzoni sono fortemente influenzate dalla'ambiente israeliano con le sue contraddizioni, i suoi dolori, la guerra e il terrorismo le sue speranze che tutto questo un giorno sia solo un ricordo.
Di Termoli in questo suo primo giorno di visita pur non vedendo molto è rimasta incantata dalla bellezza del borgo antico e dal cibo che ha mangiato a pranzo il pesce cucinato alla termolese.
L'abbiamo incontrata, stupendoci per l'affabilità e il sorriso, nella cornice della Cala Sveva, dove insieme a lei c'era Antonio Artese, direttore del Festival Adriatico delle Musiche, che la ospiterà questa sera, con gli assessori al Turismo e alla Cultura Giusy Vergallo e Michele Cocomazzi.
Un finale di eccellenza per la IV edizione, Noa narra, in questo progetto, il percorso della sua gente e della sua famiglia: partendo dalle vecchie canzoni della tradizione yemenita ripercorre le tappe fondamentali della sua vita, dalla nascita in Israele alla maturità americana, col ritorno definitivo a Tel Aviv.
Alternando brani e composizioni originali, l'artista israeliana canterà in yemenita, in ebraico e in inglese, tre lingue che rappresentano simbolicamente i momenti più importanti del suo cammino artistico e personale.
Coloro che non riusciranno ad acquistare il biglietto in prevendita, potranno comprarlo presso il botteghino che verrà allestito domani sera, a partire dalle ore 20 alla "finestra sul mare" del ristorante Battello Ebbro, a pochi passi dall'area Festival.

(Termoli Online, 25 luglio 2010)

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Shimon Peres a Jasenovac, in visita alla Auschwitz croata.

Il Presidente di Israele con Josipovic stamane ad ex campo di sterminio

JASENOVAC, 25 lug. - Il presidente israeliano, Shimon Peres, si è recato oggi nell'area dell'ex campo di concentramento croato di Jasenovac, dove morirono migliaia di serbi ed ebrei durante la seconda guerra mondiale, vittime del regime filo-nazista croato. Shimon Peres, accompagnato dal suo omologo croato Ivo Josipovic, visiterà il museo del campo di sterminio, definito a volte "l'Auschwitz croata", e depositerà una corona di fiori al monumento in memoria delle vittime, prima di pronunciare una breve allocuzione.
Shimon Peres è il secondo capo di Stato israeliano a recarsi a Jasenovac. Moshe Katsav vi aveva fatto visita nel 2003.
Il numero delle vittime a Jasenovac sotto il regime filo-nazista croato - la maggior parte serbi, ebrei, rumeni e antifascisti croati - è da sempre soggetto a discussioni e varia di molte decine di migliaia ad almeno 700.000, secondo cifre avanzate dalla Serbia.
Le relazioni tra Israele e Croazia sono gradualmente migliorate, dopo anni di forti tensioni, con l'arrivo alla presidenza croata di Stipe Mesic, succeduto a Franjo Tudjman nel 2000.

(Apcom, 25 luglio 2010)

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Israele: la Corea del nord vende missili in Medio Oriente

Tel Aviv preoccupata per armi che minacciano la stabilità della regione

GERUSALEMME, 24 lug - Israele ha accusato davanti all'Onu la Corea del Nord di fornire missili balistici a paesi del Medio Oriente. Tel Aviv è 'preoccupata', poiché 'queste armi 'mettono in pericolo la stabilita' della regione', ha detto la delegazione israeliana all'Onu in una lettera alla commissione del Consiglio di sicurezza. A maggio il ministro israeliano Lieberman aveva accusato la Corea del Nord di fornire armi agli islamisti palestinesi di Hamas e ai libanesi di Hezbollah.

(ANSA, 24 luglio 2010)

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Sinagoga restaurata per la Giornata della cultura ebraica

La Sinagoga di Sabbioneta  
SABBIONETA — La Pro Loco di Sabbioneta parteciperà attivamente alla Giornata Europea della Cultura Ebraica la cui XI edizione si terrà domenica 5 settembre. Tema 'Arte ed Ebraismo'. La giornata coincide con la riapertura ufficiale della Sinagoga dopo quasi un anno di lavori di restauro. La Pro Loco, in collaborazione con la Comunità Ebraica di Mantova, ha già predisposto il programma.
Il Tempio ebraico sarà aperto, con visite guidate, dalle 9,30 alle 13 e dalle 14,30 alle 19. All'interno esposizione dei preziosi libri antichi editi dalla stamperia ebraica del XVI secolo. Con orario continuato sarà possibile visitare il cimitero ebraico. Prevista la vendita di libri di cultura, storia e cucina ebraica. Alle 17 in Palazzo Forti, presentazione dei restauri della scala di accesso e del pavimento del tempio.
Intervengono Marco Aroldi (sindaco di Sabbioneta), Fabio Norsa (presidente della Comunità Ebraica di Mantova), Alain Elkann (consigliere del ministero dei Beni Culturali), Emanuele Colorni (vicepresidente della Comunità Ebraica). Coordinamento di Alberto Sarzi Madidini, presidente della Pro Loco. Alle 18 l'inaugurazione ufficiale. Eventi organizzati in collaborazione con il Comune. Ingresso libero. (d.b.)

(CremonaOnLine, 24 luglio 2010)

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La cattura di Eichmann e il logoro scoop della tv tedesca

Fu il figlio a farlo scoprire: una storia così notoria da essere perfino su Wikipedia

ROMA, 24 lug - È uno "scoop" conosciuto da anni, quello che la tv pubblica tedesca, la Ard, promette di mandare in onda domani sulla vicenda Eichmann, di cui lo scorso 11 maggio sono ricorsi i 50 anni dalla cattura. Da tempo, infatti, è risaputo che a far scoprire l'ex ufficiale nazista a Buenos Aires, sotto il falso nome di Ricardo Klement, fu involontariamente suo figlio Klaus. Una storia talmente conosciuta da essere riportata perfino nella pagina personale che Wikipedia riserva ad Adolf Eichmann. Fra i tanti, anche David Cesarani, nel suo "Eichmann - His Life and Crimes (2004), riportò la vicenda. Ovvero la sbruffoneria di Klaus Eichmann, primo figlio di Adolf, che si presentò col vero cognome alla sua ragazza ebrea, Sylvia, lasciandosi più volte andare ad affermazioni sul "mancato genocidio" e all'esaltazione dei "valori" del Terzo reich. La ragazza lo raccontò al padre, che la mandò a indagare a casa del fidanzato. La conferma arrivò pochi giorni dopo, quando ad aprire la porta fu Adolf Eichmann in persona. "Mio figlio non c'è, torni un'altra volta", disse l'ex Ss. "Lei è il padre?", domandò la ragazza, ricevendo risposta affermativa. Fu così che il papà della giovane, Lothar Hermann - un ebreo ceco reduce del campo di concentramento di Dachau ed era poi emigrato in Argentina - informò il procuratore tedesco Fritz Bauer, il quale a sua volta girò l'informazione al Mossad. Non essendo prevista l'estradizione nel sistema giuridico argentino, i servizi segreti decisero per il rapimento, che avvenne l'11 maggio a Buenos Aires.
Sul ruolo di Eichmann nella "Soluzione finale", nuova luce potrebbe venire piuttosto dalla recente decisione del tribunale amministrativo di Lipsia, che tre mesi fa ha tolto il segreto di Stato ai documenti che raccontano gli ultimi 15 anni di vita di Adolf Eichmann. Il dossier, di 4.500 pagine, finora è stato custodito dai servizi segreti esteri tedeschi (Bnd) ma essendo stato fornito da un servizio di intelligence straniero, la cancelliera Merkel si era battuto contro la rimozione del vincolo. Sarà così possibile vedere se e fino a che punto Eichmann fu solo una pedina che eseguiva ordini, secondo quanto sostenuto dalla sua linea difensiva.

(il Velino, 24 luglio 2010)

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"Uno scandalo allungare il segreto di Stato". A rischio la verità sulla pista palestinese

Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione famigliari vittime del 2 agosto: "Voglio che al trentennale venga un ministro che ci tranquillizzi su questo"
Sarebbe "uno scandalo" se venisse allungato il segreto di Stato. Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione famigliari delle vittime della strage alla stazione di Bologna (di cui fra pochi giorni ricorre il trentennale) ribadisce che "noi vogliamo che ogni elemento in possesso dei servizi segreti sia fornito ai giugici e sia tutto pubblico". E' fondata, infatti, l'ipotesi che possa slittare la data del 31 dicembre prossimo, fissata dal governo itaiano per la fine del segreto di Stato sui rapporti tra i servizi segreti italiani e organizzazioni palestinesi.
Quello che preoccupa Bolognesi è che non si possano ancora conoscere nuovi elementi sull'ipotesi del cosiddetto "Lodo Moro", il presunto accordo fra 007 italiani e terroristi palestinesi secondo il quale in Italia sarebbe potuto circolare esplosivo in cambio di risparmiare il Paese da attentati. Ed è l'opinione del terrorista "Carlos", Ilich Ramirez Sanchez, che a causare l'esplosione alla stazione sia stato proprio materiale palestinese.
Ma la preoccupazione di Bolognesi va anche al di là della strage del 2 agosto 1980. "Non mi interessa se parliamo di palestinesi o altro. Mi preoccupa che ci possano essere segreti di Stato che vengono prorogati e mi preoccupa che su questo aspetto ci possano essere convergenze tra centrodestra e centrosinistra...". Per cui la speranza del presidente dell'associazione dei familiari è che il prossimo 2 agosto "venga un ministro che ci tranquillizzi, non solo sul problema delle pensioni dei familiari delle vittime, ma anche sulla questione del segreto di Stato" sulle stragi.

(la Repubblica - Bologna, 24 luglio 2010)

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Libano: Hezbollah sotto accusa per l'assassinio di Hariri

di Anna Momigliano

Saad Hariri con Hassan Nasrallah
Ricordate l'omicidio di Rafiq Hariri? L'ex primo ministro libanese, padre dell'attuale premier Saad Hariri, era stato assassinato nel 2005 da un'autobomba.
L'Onu aveva aperto immediatamente un'inchiesta. In un primo momento i sospetti erano caduti sulla Siria. Hariri infatti era uno dei leader carismatici del blocco anti-siriano, in un Paese in cui i rapporti con Damasco rappresentano una delle discriminanti principali nell'arena politica: da un lato il blocco filo-siriano, di cui fa parte anche il partito-milizia Hezbollah, dall'altro il blocco Hariri, detto anche del 14 Marzo, composto da tutte quelle forze che si oppongono allo strapotere di Damasco e alla presenza delle truppe siriane sul suolo libanese.
Poi però l'inchiesta si era arenata Forse ma qui siamo nel campo delle congetture, perché sarebbe stato troppo pericoloso destabilizzare il regime di Damasco.
Lo scorso novembre il giovane premier Saad Hariri aveva anche accettato di formare un governo di unità nazionale insieme a Hezbollah…
Adesso lo stesso leader di Hezbollah, lo sceicco Hassan Nasrallah, ha ammesso che alcuni membri del suo partito figurano tra gli indagati per l'omicidio Hariri. Nasrallah ha anche accusato il tribunale Onu di agire seguendo "motivazioni politiche".
Ora, vale sempre il principio di presunta innocenza. Ma se Hezbollah dovesse risultare coinvolto… Diciamo che la cosa non mi stupirebbe molto.
Piuttosto, la domanda è un'altra: gli inquirenti avranno il coraggio di andare fino in fondo? E fare giustizia sul caso Hariri anche se questo significa destabilizzare i precari equilibri del Libano?

(Panorama, 24 luglio 2010)

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Blitz Gaza: Israele, no a esperti dell'Onu

La misura decisa dimostra l'ossessione nei confronti Israele

GERUSALEMME, 23 lug - Negativa la reazione in Israele alla decisione dell'Onu di creare una commissione d'inchiesta sul blitz contro la nave turca Marmara.
Il provvedimento di incaricare tre esperti, Karl Hudson-Phillips (Trindidad e Tobago), Desmond da Silva (Gb) e Mary Shanty Dairiam (Malayisia), e' stato deciso dal Consiglio dei Diritti dell'uomo dell'Onu. Fonti israeliane indicano che l'inchiesta e' 'superflua, che dimostra la incomprensibile ossessione di quel Consiglio nei confronti di Israele'.

(ANSA, 23 luglio 2010)

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La comunità internazionale invia a Gaza medicinali scaduti

L'autorità sanitaria di Gaza ha lanciato l'allarme denunciando la comunità internazionale per l'invio di medicinali scaduti. L'autorità infatti ha accertato che oltre il 70% di medicinali che arrivano a Gaza come aiuti umanitari sono scaduti da mesi, alcuni addirittura da anni.
L'autorità, di fronte a questo triste e increscioso episodio, si è vista costretta a distruggere i medicinali, bruciandoli o sotterrandoli, per un controvalore quantificabile in milioni di euro. Il fatto è stato inoltre denunciato dal Capo del Dipartimento donazioni del Ministero della Sanità palestinese, Monir Albaresh.
Il funzionario ministeriale ricorda che i vaccini inviati a Gaza per combattere l'influenza suina sono arrivati nella striscia già scaduti. Il Ministero si sta chiedendo il perché di questa trafila e la risposta che si sono date le autorità non è proprio edificante: l'obiettivo dei paesi che inviano aiuti umanitari sarebbe duplice, da un lato fare bella figura inviando prontamente medicinali alla popolazione bisognosa e nello stesso tempo liberare i magazzini delle aziende da merce scaduta sulla quale bisognerebbe usare metodi speciali per lo smaltimento.
A tutto questo si aggiunge che, oltre ai medicinali già scaduti, è stata rinvenuta una partita di cemento arrivata a Gaza con la nave irlandese Rachel Cori, scaduta da oltre 15 anni.

(FocusMo, 23 luglio 2010 - da Informazione Corretta)

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Un gruppo palestinese organizza una rara visita al memoriale dell'Olocausto

GERUSALEMME, 23 giu. - Rara visita di un gruppo di palestinesi della Cisgiordania al memoriale dell'Olocausto dello Yad Vashem a Gerusalemme. L'inziativa e' stata di un 28enne di Ramallah che ha raccolto le adesioni tramite Facebook ed e-mail agli amici e ha poi inoltrato la richiesta al memoriale. "La maggior parte dei palestinesi e degli arabi non crede nemmeno che l'Olocausto ci sia stato -ha spiegato il 28enne al sito di Ynetnews - La maggior parte dei palestinesi conoscono gli israeliani solo come occupanti. Gli israeliani non conoscono i palestinesi e la loro sofferenza. Spero che la visita aiuti i due popoli a pensare. Dobbiamo costruire un futuro comune". Il giovane, indicato solo come A., si e' detto "sorpreso" delle adesioni ricevute, una sessantina, provenienti da Ramallah, Hebron e altri centri della Cisgiordania. Alla fine solo in 27 hanno potuto partecipare, ma A. e' certo che altri gruppi seguiranno. "Come palestinese ritengo di essere stata derubata di molti dei mei diritti" -commenta una ventenne che ha partecipato alla visita- "ma se uno vuole la pace deve capire gli israeliani e la loro necessita' di un esercito e di sicurezza". "Sono arrivati con un enorme bagaglio di pregiudizi e mancanza di conoscenza", ha detto la guida che accompagnato il gruppo nella visita, aggiungendo che alla fine tutti erano "estremamente pensosi". La visita rappresenta un raro gesto da parte palestinese, che forse non verrebbe apprezzato da molti in Cisgiordania. Va notato che non si tratta di un'iniziativa ufficiale e che nessuno dei partecipanti ha dato il suo nome o si e' fatto fotografare.

(Adnkronos, 23 luglio 2010)

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Dalle sinagoghe alle catacombe, i mille volti dell'ebraismo in arte

di Federico De Cesare Viola

La Sinagoga di Casale Monferrato
La Sinagoga di Casale Monferrato è una delle più belle d'Europa. Eppure non sono in molti a conoscerla, anche tra gli appassionati d'arte, e ancor meno sono quelli che hanno ammirato le pitture e gli stucchi che decorano l'interno. Sotto Villa Torlonia, a Roma, si estende per 13 chilometri un suggestivo complesso di catacombe ebraiche. Livorno è l'unica città italiana a non aver avuto un ghetto e quella dalla storia ebraica più importante, a partire dalle famose leggi "livornine" del 1593 volute da Ferdinando I De' Medici: patria di importanti rabbini e cabbalisti, di stampatori, scrittori e artisti ebrei, tra i quali Amedeo Modigliani e Vittorio Corcos.
Nonostante siano oggi meno di 30.000 gli iscritti alle 21 comunità italiane, l'Ebraismo è stato e continua ad essere profondamente radicato nel tessuto storico e sociale italiano.
Proprio Livorno, città simbolo di accoglienza e di spirito libertario, è stata scelta come capofila della XI Giornata Europea della Cultura Ebraica, in programma domenica 5 settembre, in contemporanea con 28 Paesi.
Quest'anno il fil rouge della manifestazione è "Arte ed ebraismo". Argomento complesso, profondo, discusso. Per questo ricco di fascino. Anche a causa del controverso rapporto ("Non avrai altri dei al mio cospetto, non ti farai alcuna scultura né immagine qualsiasi di tutto quanto esiste in cielo al di sopra o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra") tra una cultura figurativa e una religione che, almeno in linea teorica, nega ogni forma di creatività.
L'obiettivo della giornata è anche questo: sfatare luoghi comuni, promuovere la conoscenza dell'arte, della storia, degli usi e delle tradizioni, "aprire le porte" del mondo ebraico, in sintesi, anche ai non ebrei.
62 le città che aderiscono in Italia, da Alessandria a Vicenza. Oltre alle visite guidate in sinagoghe, templi, musei e siti archeologici - alcuni dei quali normalmente non aperti al pubblico - sono in programma itinerari enogastronomici (era il polpettone alle olive, tra le ricette ebraiche della tradizione livornese, il piatto più amato dal rabbino Toaff), convegni, mostre e concerti.
A Firenze è previsto un percorso espositivo sui pittori ebrei dell'800 e '900 in tutte le principali sedi museali, Uffizi compresi. A Trani sarà aperta in notturna la Sinagoga Scolanova e il Castello Svevo ospiterà un concerto dell'Orchesta Sinfonica della Provincia di Bari. A Roma, tra i molti eventi, si potrà assistere alla cerimonia di un matrimonio e delle nozze d'argento in Sinagoga, e al Centro Ebraico "Il Pitigliani" sarà presentata l'opera di Tobia Ravà. A Mantova il ritrovamento di una pagina del Talmud nella settecentesca Biblioteca Teresiana darà lo spunto per spiegare un testo troppo spesso citato senza una precisa cognizione.

(Il Sole 24 Ore, 23 luglio 2010)

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GAZA. Israele riconsegna le tre navi alla Turchia

di Lorenzo Alvaro

Le imbarcazioni della Freedom Flotilla sequestrate a maggio dalla Marina militare israeliana saranno liberate

Israele ha deciso di riconsegnare alla Turchia le sue tre navi che facevano parte della "Freedom Flottilla" diretta a Gaza, bloccata dalla Marina militare israeliana a fine maggio. Lo riferisce il sito del quotidiano Hurriyet, spiegando che il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Ehud Barak e quello degli Esteri Avigdor Lieberman hanno dato il via libera alla riconsegna in una riunione svoltasi ieri, dopo che più volte il governo di Ankara ha chiesto ufficialmente la restituzione delle navi, di proprietà di ong turche.
Le navi si trovavano sotto sequestro nei porti israeliani di Ashdod e Haifa e le autorità dello Stato ebraico avevano fatto sapere ad Ankara che le avrebbero restituite solo con la garanzia che non sarebbero state utilizzare per l'invio di una nuova flottiglia a Gaza, con l'intento di rompere l'embargo imposto al territorio palestinese. Non è chiaro, al momento, se dalla Turchia sia giunta questa garanzia.
Il ministero della Difesa israeliano si coordinerà nei prossimi giorni con le autorità turche per gestire il rimpatrio delle navi, che dovrebbero essere trainate da alcune imbarcazioni da rimorchio che saranno appositamente inviate nei porti dello Stato ebraico. L'attacco israeliano alla Mavi Marmara, una delle tre navi turche, ha provocato la morte di nove attivisti, otto turchi e un americano di origine turca. Il raid ha scatenato tra i due paesi una crisi diplomatica tuttora irrisolta.

(Vita.it, 23 luglio 2010)

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Appello di Israele: fermare la flottiglia libanese

Il giornale cita anche fonti israeliane secondo cui le due navi - Junia e Julia - si prefiggono di forzare il blocco marino israeliano alla striscia di Gaza su iniziativa di un uomo d'affari palestinese, con l'aiuto della Siria e degli Hezbollah.

GERUSALEMME, 23-07-2010 - Un appello al governo libanese e alla comunita' internazionale affinche' impediscano a due navi libanesi di dirigersi nei prossimi giorni verso Gaza e' stato lanciato la scorsa notte dall'ambasciatrice di Israele alle Nazioni Unite Gabriela Shalev. Lo riferisce il quotidiano Haaretz.
Il giornale cita anche fonti israeliane secondo cui le due navi - Junia e Julia - si prefiggono di forzare il blocco marino israeliano alla striscia di Gaza su iniziativa di un uomo d'affari palestinese, con l'aiuto della Siria e degli Hezbollah. "Israele fa appello alla comunita' internazionale - ha affermato la ambasciatrice Shalev - affinche' usi la propria influenza per impedire che le due navi salpino verso Gaza".
"Israele si riserva il diritto di ricorrere a qualsiasi mezzo, nel contesto del diritto internazionale, per impedire a quelle navi di forzare il blocco marino", ha avvertito Shalev.

(RaiNews24, 23 luglio 2010)

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Israele ora ha uno scudo che lo protegge dai razzi degli amici di Teheran

Pronto il sofisticato sistema di difesa Iron Dome per difendersi dagli attacchi da Gaza e dal Libano

Iron Dome
L'arte della guerra è un'avventura psicologica molto più che tecnica; chi riesce a intraprendere le rivoluzioni necessarie, vince. E in genere, soltanto le democrazie riescono a mettersi in discussione fino a scavalcare tradizioni d'arma e gerarchie militari che impongono vecchi sistemi perdenti. Adesso, siamo di fronte a una rivoluzione strategica di valore globale. Tre giorni or sono su Israele è stata virtualmente eretta una «cupola di acciaio», Iron Dome, un sistema di difesa missilistico le cui due prime batterie saranno pronte a novembre. È la risposta ai missili Kassam, Katiusha, Grad, Fajr e simili lanciati, con un raggio fino a 70 chilometri, da Gaza e da Hezbollah in Libano, ovvero i razzi a breve gittata che tengono i civili di Israele ostaggio ogni giorno dell'anno. È la risposta al nuovo pericolo strategico immediato che si affianca, nel programma dell'Idf, l'esercito israeliano, al Magic Wand contro i missili a medio raggio, e l'Arrow, contro i missili a lungo raggio.
In una serie di test condotti nel deserto del Negev in cui la «cupola» ha distrutto contemporaneamente missili provenienti da molte direzioni, si è sperimentata anche la capacità del nuovo sistema di distinguere missili diretti contro zone abitate da quelli destinati a cadere senza fare danni, e questo potrebbe risparmiare esplosivo e 100mila dollari a missile, tanto ne costa ciascuno. Si discute su quante batterie siano necessarie per difendere Sderot, città a pochi chilometri da Gaza. Alcuni dicono una, altri due, ma si pensa soprattutto al Nord, alle minacce del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che ha il tipo di missili che ormai Israele può fermare. Come usa in Israele, si discute ferocemente anche su un successo, ma è chiaro a tutti che si apre una nuova era, quella in cui i civili sono difesi dalla maggiore minaccia della guerra asimmetrica, quella di attaccare donne e bambini a casa loro.
Nel 2000 l'arma definitiva erano i terroristi suicidi. Sembrava impossibile fermarli: poiché erano determinati a morire, nessuna minaccia poteva arginare l'orrida quotidiana ondata di giovani col giubbotto, eguale agli altri salvo che per la cintura di tritolo; di pie fanciulle bianco velate secondo il precetto islamico che, davanti a un supermarket o a un caffè israeliano pieno di avventori da uccidere, scendevano da un taxi proveniente da Betlemme, in cui per la prima volta in vita loro avevano trascorso una mezz'ora da sole con un uomo, l'autista. Poi Ariel Sharon disse basta, e lanciò l'operazione «Muro di difesa» che disseccò la palude: i depositi di esplosivo, i finanziamenti di Yasser Arafat, le bande di supporto come i Tanzim, interi paesi, come Jenin, conquistata in una dura battaglia con 52 morti palestinesi e 23 soldati israeliani, macchine pianificatrici di questo nuovo tipo di guerra. Sharon vinse, il terrorismo si arenò. E nacque la nuova grande guerra dei missili: da lontano, al Nord e al Sud, sia gli Hezbollah sia Hamas, il secondo reso libero di agire dallo sgombero di Gaza cinque anni fa, il primo dallo sgombero del 2000 misero mano a Kassam, Grad, Fajr,Katiushe. Ne nacquero due guerre, la seconda guerra del Libano e l'Operazione Piombo Fuso. Era la grande scoperta terrorista: invece di mandare i tuoi uomini in casa del nemico, invece di esplodere sugli autobus e nei ristoranti, vai a trovarli con i missili fin dentro casa, mandali al cimitero, all'ospedale e anche al manicomio sparando molto e da molto lontano. La sfida è strategica, definitiva, una forma di minaccia così convincente che l'Iran, coadiuvato dalla Siria, ci ha impostato sopra gran parte della sua prospettiva egemonica. I suoi amici Hezbollah hanno ricevuto in regalo 40mila missili e anche Hamas dispone ormai di una pioggia di missili da usare al bisogno, se per esempio l'Iran dovesse innervosirsi alla prospettiva di un attacco alle sue strutture atomiche. Ma le cose sono cambiate in questi giorni, e non solo per Israele: da una fase di potenziamento delle armi aggressive, passando a quello delle armi difensive indica una strada a chiunque possa trovarsi a temere che il terrorismo lo scelga come obiettivo della nuova arma missilistica.
Essere coperti dall'attacco degli amici dell'Iran crea anche la possibilità per Israele di non dovere temere una furiosa risposta pilotata nel caso decida di attaccare le strutture atomiche iraniane, la maggiore minaccia esistenziale che Israele abbia mai conosciuto. Sarà interessante in questi giorni seguire quale sarà la decisione finale di Israele sull'acquistare o meno l'F15 dagli Usa: lo Stato ebraico deve decidere se acquistare uno squadrone di questi aerei da combattimento di quinta generazione che i radar non intercettano. In questo modo con i nuovi sistemi di difesa e quelli di attacco, con la convinzione che l'Iran non deve raggiungere l'atomica, Hezbollah e Hamas non saranno contenti.

(il Giornale, 23 luglio 2010)

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Trecentomila palloni a Gaza per battere il record mondiale

L'evento è stato organizzato dall'Onu, all'interno del progetto Giochi Estivi. I bambini dovranno poi cercare di riconfermare il primato del numero di acquiloni fatti volare contemporaneamente

di Giampaolo Pioli e Donatella Mulvoni

NEW YORK - Oggi i riflettori sono puntati su di loro: i bambini della Striscia di Gaza. Per una volta i loro nomi non compariranno nel registro delle vittime di guerra, ma in quello dei record mondiali. Migliaia di ragazzi si riuniranno, infatti, a Gaza per far rimbalzare contemporaneamente più di 300 mila palloni di basket.
L'evento, organizzato dall'Onu all'interno del programma "Giochi estivi", è simbolico. Serve, come dichiarato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moom, per dimostrare al mondo, ma prima di tutto ai bambini stessi, che "quando gli viene data l'opportunità, possono diventare i numeri uno".
Le trattive per le negoziazioni di pace e le promesse di Israele, in un documento inviato a New York alle Nazioni Unite, di ridurre le morti civili nei prossimi conflitti, sono lontane anni luce dalla sfera di azione di questi bambini, che da quando sono nati subiscono le conseguenze di una lotta che ai loro occhi sembra infinita.
L'idea del Palazzo di Vetro, realizzata attraverso la UNRWA, United Nations Relief and Works Agency (le agenzie che si occupano di prestare soccorso), nasce proprio per farli sentire protagonisti. "Con la loro determinazione e la capacità di affrontare le sfide possono fare qualsiasi cosa- afferma il direttore di UNRWA, John Ging- sono sicuro che batteranno il record mondiale".
Per il momento, il titolo lo detiene Indiana. Nel settembre 2007, durante la Hoosier Basketball Celebration, furono fatti rimbalzare 250mila palloni. Gli organizzatori quest'anno sperano che a Gaza la cifra venga raddoppiata.
Ma questa non è l'unica scommessa. La prossima settimana infatti, in città, ci sarà un'altra competizione importantissima: battere se stessi. L'anno scorso, sempre durante i Giochi Estivi, ottennero il primato del numero di acquiloni fatti volare contemporaneamente. Quest'anno ci riproveranno. Se vinceranno anche questa sfida, allora i primati mondiali saranno tre: oltre ai due titoli, anche quello di aver ottenuto due record in meno di sette giorni.

(Quotidiano Net, 23 luglio 2010)





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Israele, divieto di vendere alcolici dopo le 23

di Leonard Berberi

Niente più alcolici di notte. La guerra israeliana alle bevande approda alla Knesset, il parlamento, e incassa l' approvazione unanime di una legge che ne proibisce la vendita dopo le 23 e prima delle 6 del mattino. Così, proprio quando inizia la movida, negozi, chioschi e esercizi vicini alle pompe di benzina non potranno più commercializzare alcolici. Dalla lista sono esclusi i pub - per ovvie ragioni - e i duty free.
Niente più scene d' inciviltà, insomma. Niente più vie di Tel Aviv - soprattutto - e Haifa sporche e maleodoranti. E niente più lamentele di semplici cittadini che, ogni sera, inondavano il centralino della polizia locale di telefonate, di denunce e di accuse di mancanza di sorveglianza.
La legge doveva essere ancora più restrittiva. Nello stesso pacchetto normativo, infatti, era previsto il divieto di vendita delle bevande negli esercizi vicini alle pompe di benzina per tutta la giornata. Ma, come fa notare il quotidiano on line Ynet, «la lobby dei benzinai e dei commercianti s'è fatta viva e il divieto è stato affossato» dalla commissione congiunta composta da quella degl'Interni, dell'Ambiente e della Giustizia.

(DirettaNews.it, 23 luglio 2010)

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Riccardo Pacifici - Io, l'amico ebreo di Alemanno

Per parlare con Riccardo Pacifici, si entra in Sinagoga, da una porta più piccola. Siamo nel cuore della Roma ebraica, luogo che i romani non ebrei guardano a volte con timore, come fosse un monolite sganciato dal passato. Ad un uomo che appare dalla penombra esibisco il passaporto, con tanto di timbro israeliano che lui registra con un sorriso enigmatico: "Sì, sono stata in Israele, pi volte". Tutti parlano a voce bassa, qui. Anche le scale sono piccole e strette. Come in un libro di Kafka, penso. Non il Castello, non il Processo, no. Come nei Diari. Le cose piccole e strette, di luminescenza chiaroscurale. Al piano di sopra, lo spazio si stende. La stanza in cui lavora Pacifici, 46 anni, presidente della Comunità Ebraica di Roma dal 2008, non è diversa da qualsiasi altra stanza di un moderno ufficio di una grande metropoli. Sopra la scrivania, c'è una foto di Giorgio Napolitano. Tiro un respiro di sollievo. Ci immaginavamo una parete piena della interminabile serie Pacifici-Alemanno, Alemanno-Paifici...

(Notiziario Ucei, 23 luglio 2010)

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Vecchia Sinagoga di Carpi, presto il restauro

Inaugurazione della Sinagoga di Carpi - aprile 2009  
CARPI (MO) - Partiranno nelle prossime settimane a Carpi i lavori relativi al primo stralcio delle opere edili di restauro e consolidamento della Sinagoga settecentesca, così come redatto per la parte architettonica dal Settore Restauro e conservazione patrimonio immobiliare artistico e storico del Comune e come previsto dal Piano degli Investimenti 2009-2011: importo a base di gara 102.263 euro+Iva, i lavori sono stati aggiudicati tra 15 aziende concorrenti in lizza all'impresa Righi srl di Modena, che ha proposto un ribasso del 20.2%.
Il progetto come ci spiega l'assessore comunale al Centro Storico Simone Morelli, ha l'obiettivo di arrivare al completamento del restauro dell'edificio contenente le due ex Sinagoghe, che hanno già subito interventi di consolidamento e miglioramento sismico. Si è già proceduto al restauro della Sinagoga più recente (quella del Sammarini) e dei locali annessi, opere che hanno consentito di collocare la sede della Fondazione ex Campo di Fossoli all'interno dell'edificio. L'intervento della Sinagoga settecentesca (con accesso dalla scala del Lucenti), collocata nel sottotetto adiacente al Portico del Grano, verrà invece eseguito in due stralci; 320.000 euro la cifra che dovrà essere spesa in totale (comprendente un contributo della Regione Emilia Romagna di 112.500 euro): i lavori riguarderanno murature, pavimenti, infissi e impianti.
L'istituzione del Ghetto di Carpi nel 1719 porta alla necessità di costruire una Sinagoga al suo interno. Il problema dovuto alla carenza di spazi disponibili viene risolto, come in tutti i ghetti, in altezza, anche perché la sala di preghiera deve avere sopra di sé il cielo. L'edificio di culto, iniziato nel 1722, è ottenuto sopraelevando il solaio del Portico del Grano. Lo si raggiunge dalla strada con una scala a quattro rampe, progettata come tutto il complesso, da Giacomo Lucenti, "il maestro delle belle scale"; in seguito gli ebrei si aprono un altro accesso alla Sinagoga, tramite una serie di passaggi interni fra i solai. Nonostante alcune modifiche ottocentesche, il complesso è tuttora conservato, così come parte delle decorazioni originarie, anche se richiede interventi di consolidamento e recupero, e costituisce un raro esempio di luogo di culto ebraico del XVIII secolo nella nostra regione.

(Sassuolo2000, 22 luglio 2010)

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Lieberman: "La proroga del congelamento degli insediamenti non è ragionevole"

Prorogare il congelamento delle nuove costruzioni negli insediamenti israeliani in Cisgiordania "non è possibile nè ragionevole". Lo ha affermato il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, in un incontro con il primo ministro greco, George Papandreou, in visita in Israele.
Illustrando la situazione dei negoziati indiretti israelo-palestinesi e dei prossimi sviluppi, Lieberman ha affermato, citato dal sito di Yedioth Ahronoth, che il suo governo è "pronto per i negoziati diretti, ma la continuazione della moratoria sulle costruzioni non è possibile nè ragionevole". Il congelamento delle nuove costruzioni negli insediamenti israeliani scadrà a fine settembre.
Lieberman ha poi chiesto a Papandreou di fare pressioni sull'Unione europea affinché convinca paesi come Libano, Siria e Turchia a desistere dal proposito di rompere l'embargo marittimo a Gaza con l'invio di nuove navi di attivisti.

(l'Occidentale, 22 luglio 2010)


Libano: la spy-story infiamma l'estate, una nuova crisi riaccende vecchie tensioni

Stasera discorso di Nasrallah, entro la fine dell’anno incriminazioni per l’omicidio di Hariri

BEIRUT, 22 lug. - Nuova crisi interna per il Libano, dove riemergono con potenza i vecchi contrasti tra le Forze del 14 Marzo, con in testa la coalizione del premier Saad Hariri, e le Forze dell'8 Marzo, con l'opposizione guidata da Hezbollah. Una delle gocce che ha fatto traboccare il vaso e' la scoperta di reti di spie al soldo di Israele, ma non e' cosi' semplice. Si avvicina, infatti, la fine dell'anno, quando il Tribunale speciale per il Libano (Tsl), incaricato di fare luce sulla catena di attentati che hanno insaguinato il Paese negli ultimi anni, dovrebbe emettere le incriminazioni relativi ai casi e sullo sfondo ci sono le proteste contro Unifil, il dibattito sulle intercettazioni e quello sulla spinosa questione dei diritti dei rifugiati palestinesi in Libano. Per stasera, intanto, si attende un nuovo discorso di Hasan Nasrallah, numero uno di Hezbollah.

(Adnkronos, 22 luglio 2010)

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Tel Aviv, riapre la vecchia stazione

La vecchia stazione di Tel Aviv
La vecchia stazione di Tel Aviv, che dal 1892 al 1948 ha costituito il centro nevralgico e commerciale della città, è stata riaperta al pubblico dopo un decennale restauro costato circa 20 milioni di euro, ed è diventata immediatamente uno dei luoghi più interessanti e alla moda della vivace città israeliana.
Grazie al restauro, oggi i visitatori possono accedere ai 22 edifici di differente tipologia architettonica e ciascuno relativo a un ben preciso periodo storico, come il terminal commerciale costruito nel 1892 e oggi riportato al suo antico splendore, la Casa Rossa costruita in stile arabo e datata fine XIX secolo e un edificio adibito al commercio del 1924.
Un team di architetti, ingegneri e imprenditori ha meticolosamente conservato e ristrutturato gli edifici, mantenendo l'integrità storica e architettonica della zona. Due carrozze dello "storico" treno ospitano attualmente una mostra fotografica che racconta l'avvenuto restauro della stazione.

(Agenzia di Viaggi, 22 luglio 2010)

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Impeto di onestà di un giornalista palestinese: "Meglio mandare la flottiglia a Damasco che a Gaza”

di Dimitri Buffa

"Gaza non ha aule scolastiche fatte di fango, come quelle che esistono in molte province siriane. Gaza non ha 60 studenti una singola classe. Anche dopo che Gaza è stata messa sotto assedio, il cibo non è scarso come in Siria dove molti prodotti alimentari non raggiungono i mercati all'infuori di quelli contrabbandati attraverso il confine fra Libano e Siria. I servizi Internet a Gaza sono molto superiori ai pietosi servizi di Internet in Siria. Gaza e la Cisgiordania non hanno messo al bando centinaia di siti web. Fino a che Hamas non ha preso il potere, la situazione a Gaza per quanto riguarda l'acqua e l'elettricità era molto migliore che in Siria. Gli stipendi medi nella Striscia di Gaza sono più alti che in Siria. Le decine di migliaia di impiegati governativi che sono rimasti disoccupati dopo il colpo di stato di Hamas ricevono ancora regolarmente il loro salario. Allora, chi ha più bisogno di flottiglie della libertà? I residenti di Gaza o il popolo siriano?"
Udite udite, anzi leggete: queste sagge parole le ha scritte un giornalista palestinese in una sorta di overdose orgasmica di onestà intellettuale sul sito internet liberale Aafaq.
Si chiama Zainab Rashid e l'articolo, benchè scritto lo scorso 22 giugno e reso noto a tutto l'Occidente con la "O" maiuscola da Memri pochi giorni dopo, ancora non ha ricevuto una degna analisi da parte dei politologi "de noantri".
Ad esempio gli "esperti" del Medio Oriente alla Sergio Romano o Lucio Caracciolo, sempre pronti a dare a Israele la colpa di ogni male che accade in quelle latitudini.
Chissà perché? Magari a causa del fatto che ogni capoverso dell'articolo inizia con "..prima che Hamas prendesse il potere a Gaza..", e termina con una serie di constatazioni e di paragoni che fanno capire che nella Striscia nonostante tutto non c'è alcuna emergenza umanitaria e che invece tale emergenza esiste in Siria. Ma nessuno ovviamente ne parla.
Ecco un esempio: "Fino alla conquista di Gaza da parte di Hamas, la situazione a Gaza per quanto riguarda l'economia ed il sistema educativo, nonché il tenore di vita e le libertà, erano molto migliori che in Siria".
Eccone un altro: "Fino alla conquista di Gaza da parte di Hamas, la situazione a Gaza per quanto riguarda l'economia ed il sistema educativo, nonché il tenore di vita e le libertà, erano molto migliori che in Siria, sotto il governo della famiglia Assad e dei suoi oppressivi apparati di sicurezza, che hanno riportato indietro la Siria di decadi e che hanno reso il suo onorato popolo uno dei più poveri della regione e del mondo. Hanno strangolato le libertà e 'reso prigioniero' chiunque alzasse la testa per chiedere un minimo di libertà."
A questo punto agli Infopal e ai Forum Palestina di casa nostra e agli IHH di casa Erdogan non resta che prendere atto che non riescono a ingannare (né a fagocitare come complici della propria disonestà intellettuale) i giornalisti liberali palestinesi. Magari quelli italiani ed europei, in nome dell' "islamically correct", sì. Ma quelli che vivono nella propria patria l'oppressione anti liberale della religione usata come strumento poiltico di oppressione del progresso e delle libertà di sicuro no.
E a quelli che ancora non abbiano un'idea della differenza tra la Gaza vera e quella "percepita", attraverso i media, non resta che domandarsi: "A quando una bella flottilla, magari aerea, per liberare la Siria da Assad?"

(l'Opinione, 22 luglio 2010)

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Con Modigliani e Chagall si racconta la cultura ebraica

Il 5 settembre la giornata in Europa; Livorno capofila in Italia

di Silvia Lambertucci

Marc Chagall - Les Amoureux
ROMA, 22 lug - L'incanto della pittura di Modigliani, Fattori, Corcos, Chagall. E poi le architetture, i templi spesso distrutti e ricostruiti, le decorazioni, gli oggetti sacri, la letteratura, la musica. Ma anche il sapore antico del polpettone alle olive, la ricetta livornese prediletta, si dice, dal rabbino Toaff.
Torna il 5 settembre, in tutta Europa, la Giornata della Cultura ebraica e il tema quest'anno sara' l'arte, raccontata a partire dalle bellezze e dalle curiosita' di Livorno, citta' capofila dell'edizione 2010. Una festa, anticipa il presidente dell'Unione delle comunita' ebraiche Renzo Gattegna - che ha presentato la Giornata al ministero dei beni culturali alla presenza del sottosegretario Giro e del consigliere di Bondi Elkann - che si estende a 28 paesi europei e almeno 62 citta' italiane. Con la citta' portuale toscana, rifugio prediletto per gli ebrei della diaspora, in prima fila nelle celebrazioni, teatro di mostre, convegni, degustazioni, eventi. Ma anche tante adesioni che arrivano dal Sud.
Unica citta' italiana a non avere avuto mai un ghetto, con una tradizione di liberalita' e di accoglienza nei confronti degli ebrei che parte da Ferdinando I De Medici e dalle sue leggi livornine (anche oggi pero' il comune vanta un pluralistico assessorato 'alle culture') Livorno, spiega Gattegna insieme con il consigliere Ucei Yoram Ortona, e' stata a lungo meta prediletta per gli ebrei, soprattutto i sefarditi che arrivavano dalla penisola iberica. Punto di riferimento anche per gli studi e la cultura, patria di importanti rabbini e di cabalisti, di stampatori, scrittori, artisti, di pensatori e di intellettuali, come il padre del rabbino Toaff, grecista di fama che negli anni Trenta preparo' per l'ammissione alla Normale di Pisa il futuro presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
''Livorno ha dato molto all'ebraismo e l'ebraismo molto a questa citta' '', sintetizza il presidente della comunita' ebraica di Livorno Samuele Zarrug, anche lui, libico, accolto a Livorno. ''Ora e' venuto per noi il giorno di ricambiare l'accoglienza, di aprire le porte dei nostri templi, di raccontare il mondo ebraico ai non ebrei''. Il programma dei festeggiamenti e' ancora aperto, ma le iniziative sono gia' tante, a partire da una mostra, in una galleria vicina alla Sinagoga, con capolavori di autori livornesi e dall'apertura per tutta la giornata che si spera di poter offrire anche per Casa Modigliani, oltre ad un grande convegno in cui si ricostruira' e si spieghera' il complesso rapporto del mondo ebraico con l'arte, un concerto in sinagoga con il coro del Tempio grande di Roma.
La prima domenica di settembre tutti a Livorno, allora. Ma anche a Trani, Siracusa, Saluzzo, Modena, Sabbioneta. Perche' come ormai e' tradizione, anche in questa XI edizione della Giornata, le iniziative fioccano un po' ovunque. A Roma, per esempio, tra una visita guidata alla Sinagoga e un'altra alle catacombe ebraiche di Villa Torlonia, si potra' assistere in Sinagoga ad un matrimonio e ad una cerimonia di nozze d'argento. L'ebraismo, sottolinea per il ministero della cultura il sottosegretario Giro, ''ha lasciato un patrimonio significativo che lo Stato e il Governo hanno il dovere di tutelare. Impegno che qualche volta i governi, tutti, hanno disatteso. Ma che ci impegniamo a mantenere''.

(ANSA, 22 luglio 2010)

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Antisionismo umanitario

di Michael Sfaradi

Il sito in inglese delle quotidiano Haarez, www.haaretz.com, riporta una notizia che in Italia non ha avuto eco e cioè la polemica fra la sezione olandese di "medici senza frontiere" attualmente operativa in Congo e la spedizione medica israeliana giunta nella città di Uvira per portare aiuti sanitari specialistici. Dopo la tragedia dell'autocisterna che si è ribaltata causando morti e feriti alcuni estremamente gravi, il governo di Gerusalemme ha inviato sul posto una equipe specializzata per prestare le cure a 50 ustionati gravi, per poi spostarsi al villaggio di Sange, lo stesso dove è accaduto l'incidente, per occuparsi di chi è stato vittima di ferite più lievi. Quello israeliano è stato il primo team specialistico giunto sul luogo del disastro. La sua presenza non è stata però gradita dai medici affiliati all'organizzazione internazionale. Questi hanno creato una sorta di "muro di gomma" rendendo impossibile, almeno nella fase iniziale, la collaborazione che in certi casi, ci si aspetterebbe. Questo tutto a scapito dei feriti. "Medici senza frontiere" dal 2009 accusa Israele di aver ostacolato le cure alla popolazione civile palestinese, su questo potremmo discutere all'infinito visto che i dati dicono il perfetto contrario, ma non collaborare in questo frangente è, a nostro avviso, fuori luogo. Secondo il dottor Winkler, direttore del dipartimento di ricostruzione plastica dello Sheba Medical Center di Tel Aviv, l'organizzazione medica internazionale ha spiccate simpatie politiche per la causa palestinese, e questo è alla base di un comportamento quanto meno discutibile. "Sono venuto qui per salvare delle vite", questa è stata la sua dichiarazione durante uno degli incontri avuti con i responsabili olandesi, durante il quale chiedeva di lasciare da parte problemi simpatie politiche ed occuparsi dei feriti. Sempre secondo il giornale israeliano alcuni medici olandesi e uno belga collaborano ora con gli specialisti israeliani insieme ai quali hanno portato a termine, con successo, diverse operazioni chirurgiche estremamente delicate e complicate. Questa storia, come altre che si verificano ormai con una frequenza inquietante, dovrebbero far pensare quanto il virus del antisionismo, anti-Israele, sempre e comunque qualsiasi cosa faccia sia presente ormai in maniera indelebile nella mente e nei cuori di troppa gente che vede nello Stato ebraico un nemico da abbattere e delegittimare ad ogni costo.

(l'Opinione, 22 luglio 2010)

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Un deputato israeliano si avventura sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme

            Danny Danon ha chiesto che gli ebrei possano accedere liberamente al luogo che sovrasta
            il Muro del pianto

Un deputato in vista del Likud, il partito del Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si è recato martedì 20 luglio sulla spianata delle Moschee, luogo elevato della città di Gerusalemme, provocando delle proteste di passanti arabi ma nessun incidente serio. Scortato da un nugolo di poliziotti, il vicepresidente della Knesset, Danny Danon, ha trascorso un'ora nel sito eretto sulle vestigia di un [sic!] antico tempio ebraico raso al suolo dai Romani, che gli ebrei chiamano il monte del Tempio.
Danon è stato accolto al grido di "Allah Akhbar!" ("Dio è il più grande") dagli arabi, che considerano la spianata dove sono erette le moschee di Al Aksa e del duomo della Roccia come il terzo luogo santo dell'Islam. Il deputato israeliano, che ha trascinato con sé una dozzina di Israeliani e di turisti occidentali, si è astenuto dal penetrare nella Al Aksa, ma ha affermato che gli ebrei dovevano poter avere libero accesso al luogo che sovrasta il Muro del pianto.

- "Nessuna provocazione"
  "C'è una totale libertà religiosa per gli ebrei e per i musulmani sul monte del Tempio. Ma è più difficile per gli ebrei che per i musulmani andarci a pregare. E' uno squilibrio che deve essere corretto", ha detto facendo allusione agli sforzi della polizia di evitare ogni provocazione. "Non vedo dove sarebbe la provocazione", ha risposto Danon a dei giornalisti che gli chiedevano se la sua visita non avrebbe rinfocolato le tensioni, dato che il destino di Gerusalemme è al centro del conflitto israeliano-arabo.
I Palestinesi rivendicano la parte orientale della città, dove si trova la spianata, come la capitale del loro futuro Stato, ma Israele, che l'ha annessa nel 1967, considera l'insieme della città come la sua capitale riunificata per sempre. Nel 2000 una visita analoga di Ariel Sharon, allora leader dell'opposizione, provocò i primi incidenti violenti di quella che sarebbe diventata la seconda Intifada palestinese, una rivolta sanguinosa che è durata parecchi anni.

(Le Monde, 21 luglio 2010 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Italia-Israele - Alfano incontra l'ambasciatore Meir

Avanti con la cooperazione giudiziaria tra i due paesi

ROMA, 21 lug. - Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha incontrato questa mattina, presso il dicastero di via Arenula, l'ambasciatore di Israele, Gideon Meir. Nel corso del cordiale colloquio, riferisce una nota, il ministro Alfano ha parlato all'ambasciatore Meir della sua recente visita in Israele, sottolineando l'importanza dei passi in avanti fatti dallo Stato israeliano in termini di democrazia e di libertà.
La visita in Israele ha segnato "un'altra tappa importante nel processo di cooperazione giudiziaria tra i due Paesi", rafforzato grazie anche alla firma di una dichiarazione congiunta che prevede diversi livelli di collaborazione.
Il Guardasigilli ha offerto la propria disponibilità ad avviare un lavoro di coordinamento tra i due ministeri, in vista del vertice Italia-Israele, previsto per il prossimo anno.

(Apcom, 21 luglio 2010)

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Ora anche le donne ebree si mettono il burqa

di Gian Micalessin

A Kabul lo chiamano burqa, a Riad «niqba», a Gerusalemme «frumka», ma se non è zuppa è pan bagnato. Tra il mantello nero delle fondamentaliste islamiche e i sacchi a strati indossati dalle fanatiche ebree che da qualche anno girano per i quartieri ultraortodossi di Beit Shemesh e Mea Shearim cambia poco. Il «frumka» -come lo chiamano loro - ha la stessa funzione di «niqba» e «burqa». Deve garantire la modestia della donna, impedire agli sguardi impuri degli uomini di posarsi su di lei, lasciarla pura e incontaminata per il marito e Dio. E allora vai con i tendaggi. La «rabbanit» Bruria Keren, la discussa santona che qualche anno fa si propose come portabandiera della nuova tendenza non incontrava nessuno prima di essersi nascosta sotto dieci spesse gonne, sette lunghi mantelli, cinque fazzoletti annodati al mento e tre alla nuca. Il tutto corredato da una mascherina di stoffa da cui sbucavano solo gli occhi. La «rabbanit» di Beit Shemesh, la roccaforte dell'ortodossia ebraica alle porte di Gerusalemme, non durò molto. All'inizio del 2008, pochi mesi dopo la diffusione dello strampalato culto, la polizia l'arrestò accusandola di aver seviziato i dodici figli e di averli costretti a pratiche incestuose. La condanna a 4 anni inflitta alla santona del «frumka» non fermò le sue seguaci che continuarono a far proseliti. Oggi le «talebane ebree», come le ha battezzate la stampa israeliana, contano centinaia di adepti e imperversano in vari quartieri compreso Mea Shearim il cuore dell'ortodossia di Gerusalemme.
Una differenza tra il culto del «niqab» e quello della «frumka» però c'è. Mentre nei paesi arabi e nelle comunità islamiche più integraliste gli uomini aderiscono di buon grado alla volontà femminile di scomparire sotto una veste nera in Israele i maschi ortodossi si guardano bene dall'avvallare la nuova tendenza. Benché a Mea Shearim e nella stesa Beit Shemesh le ronde ortodosse impongano alle donne di usare bus separati e di vestirsi «con modestia» i sacchi ambulanti non sono né amati, né approvati. I primi a combattere la rivoluzione integralista sono gli ultraortodossi di sesso maschile. «Quelle donne erano delle povere pazze e noi l'abbiamo sempre saputo, ora le nostre impressioni sono state pienamente confermate fra un po' quelle poverette la smetteranno di dedicarsi a quelle insane credenze» - dichiarò dopo l'arresto della Keren Shmuel Poppenheim portavoce di Eda Haredit, uno dei più intransigenti gruppi dell'ortodossia ebraica. Ma il proliferare dei sacchi ambulanti ha contraddetto le sue o previsioni e così «Eda Haredith» - un nome che significa «setta dei timorati» - ha deciso di portare la questione davanti ai rabbini della Corte di Giustizia la più alta istituzione del gruppo ortodosso.
La questione non è propriamente solo estetica. Da quando il numero delle affiliate si conta a centinaia la questione della «frumka» si è trasformata in un problema educativo. I figli, e soprattutto le figlie, delle seguaci di Bruria Keren spesso si ritrovano isolati dagli altri bambini e chiedono di non andare più a scuola. Una richiesta cui le madri - sostenitrici della necessità di un'educazione rigorosamente religiosa - sono spesso felici di acconsentire. Le figlie delle «ebree talebane» rischiano così - al pari delle bimbe dell'Afghanistan fondamentalista - di crescere senza aver mai messo piede in una scuola. Proprio per questo i rabbini della Setta dei Timorati potrebbero decretare l'inammissibilità della «frumka» e la messa al bando di tutte le sue adepte.

(il Giornale, 21 luglio 2010)

Jewish Burqa Trend: The Frumka

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Manoscritto e lettere di Kafka erano chiusi in due casseforti

Rivelazione del giornale israeliano «Haaretz»

Giallo kafkiano dell'estate. Gli elementi ci sono tutti: un prezioso archivio letterario scomparso; una schermaglia in tribunale per la sua attribuzione; le casseforti di istituti bancari che, su ingiunzione dei giudici, si aprono. Il giornale israeliano Haaretz ha così annunciato in prima pagina il ritrovamento di manoscritti del grande scrittore ceco Franz Kafka. «Un vero tesoro letterario», dice il giornale.
Le prime battute dell'intricata vicenda vanno ricercate a Vienna, nel 1924, quando sentendosi in punto di morte Kafka affidò i manoscritti all'amico Max Brod. Avrebbe dovuto distruggerli, ma non ne ebbe il coraggio. Nel 1939, con l'invasione tedesca, Brod si trasferì, assieme ai documenti di Kafka, a Tel Aviv, dove morì nel 1968. La sua segretaria, Ilse Esther Hoffe, restò custode dell'archivio. Al suo decesso all'età di 101 anni, avvenuto nel 2007, gli incartamenti furono ereditati dalle figlie, Ruth ed Eva Hoffe. A questo punto è insorta la Biblioteca Nazionale di Gerusalemme secondo cui le sorelle Hoffe non possono garantire la preservazione dei documenti e devono cederli. Al Tribunale di Ramat Gan (Tel Aviv) infuria da due anni una battaglia a tre: oltre alle sorelle Hoffe e alla Biblioteca nazionale israeliana è intervenuto in causa anche l'Archivio di letteratura tedesca di Marbach, interessato agli incartamenti. Il tribunale ha fatto aprire due casseforti in banche di Tel Aviv e Zurigo, per verificarne il contenuto. Altre casseforti dovranno ancora essere ispezionate, a Tel Aviv. Haaretz Rivela che sarebbero state trovate lettere di Kafka e il manoscritto originale di un suo racconto (il giornale non precisa quale) mai studiato.

(Brescia Oggi, 21 luglio 2010)

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La sfida degli ebrei francesi: «Ridateci i nostri cognomi»

di Lorenzo Cremonesi

«Il cognome è la bussola della vita. Orienta, spiega da dove vieni: raccontando le tue radici ti dà una direzione» dice Jeremie Fazel, uno tra la trentina di ebrei francesi che ha chiesto allo Stato di poter tornare «al nome di famiglia originario». Il suo è quello dei nonni, Fajnzylber, immigrati a Parigi dalla Polonia dopo la Seconda guerra mondiale. Sopravvissuti alla furia nazista, erano transitati per Unione Sovietica, Italia e Israele prima di approdare in Francia nel 1951. Un'era che oggi appare lontanissima, quando i profughi dell'Olocausto lasciavano impauriti le rovine dei loro villaggi.
Nel 1946 non era raro che gli scampati ai campi di sterminio nell'Europa dell'Est tornando a casa incontrassero ostilità, antisemitismo e pogrom. Il trauma era troppo forte. Dunque scappavano, emigravano verso occidente. Italia e soprattutto Francia erano le prime fermate. E proprio sotto l'urgenza di superare il trauma, oltre che influenzata dallo spirito rinnovato dell'uniformità dei cittadini nello Stato laico, l'amministrazione francese consigliò ai nuovi arrivati di lasciare per sempre il mondo allora in decadenza degli antichi accenti yiddish e invece «francesizzare» i loro nomi. Oltretutto, dei ben 76.000 ebrei deportati nei campi di sterminio dal suolo francese (molti dei quali arrivati in Francia soltanto poco prima) solo 2.500 erano sopravvissuti. Il desiderio fu quello di nascondere le differenze, omogeneizzare, evitare a tutti i costi il ripetersi delle condizioni che avevano portato alle leggi razziali e in ultimo alle camere a gas.
I Rozenkopf diventarono Rosent, Frankestein si trasformò in Franier, Wolkowicz in Volcot, Rubenstein in Raimbaud, Sztejnsznajder in Stenay. Un fenomeno simile, anche se per motivi diversi, stava accadendo in Israele: sin dai primi del Novecento il movimento sionista spingeva a «ebraicizzare» tutto quello che sapeva di yiddish diasporico. Un po' come nell'Italia preunitaria, e anche dopo la fase risorgimentale, quando molte grandi famiglie ebraiche immigrate nei secoli scelsero di amalgamare i loro cognomi alla società circostante adottando quello della località di residenza. Ma oggi le urgenze e le priorità della Francia nel secondo dopoguerra sono radicalmente cambiate. E i figli degli immigrati chiedono di tornare alle loro radici. Nathalie Felzenszwalbe, giovane avvocatessa parigina la cui famiglia ovviamente è restata fedele alle antiche origini polacche, è segretaria de «La Force du Nom» (La Forza del Nome), l'organizzazione che raccoglie una trentina di aderenti tra la comunità ebraica. Pochi, se si pensa che la comunità costituisce per importanza numerica (circa 600.000 persone) il terzo polo ebraico nel mondo, superata solo da Stati Uniti e Israele. Ma loro sostengono di essere in crescita e soprattutto di avere ispirato movimenti simili tra i figli degli immigrati dal Nord-Africa e dal mondo arabo. Eppure il movimento deve superare ostacoli giuridici non indifferenti. Il Codice Civile francese, così come modellato sui principi ispiratori della Rivoluzione del 1789, non frena, ma anzi incoraggia il cambio di nomi che «suonano stranieri», però si oppone decisamente alla riconversione a quelli originari. Una clausola aggiunta dopo l'ultima guerra specifica che i cognomi francesi sono «immutabili». La battaglia diventa dunque più che legale, va a toccare i principi primi delle regole dello Stato.
Ne parla con foga Céline Masson, braccio destro della Felzenszwalbe nel cercare di coinvolgere anche i sefarditi (legati alla tradizione sud-europea e orientale), che in realtà costituiscono la maggioranza della comunità ebraica in Francia. «Io sono nata Masson, ma i miei antenati in Tunisia si chiamavano Hassan. Quando ci penso, il mio nome acquisito non ha alcun significato. Quello originario è invece carico di una storia antichissima, molto più ricca e profonda di quella seguita alla nostra emigrazione in Europa negli anni Sessanta. Non vedo perché debba essere privata delle mie radici». Jérémie Fazel ribadisce di essere ben contento e fiero della sua cittadinanza francese. Ai suoi occhi il ritorno al vecchio cognome polacco non è in alcun modo un atto ribellione nei confronti dello Stato centrale. Semplicemente: «Ogni uomo sente l'urgenza di sapere da dove viene». E chiede ironico: «Come mai oggigiorno non possiamo avere un nome che suona straniero, quando il nostro presidente si chiama Sarkozy?».

(Corriere della Sera, 21 luglio 2010)

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Presentata interrogazione per inserire l'IHH nella black list dell'Unione Europea

Dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera:

"L'organizzazione turca IHH (Insani Yardim Vakfi), che ha organizzato la spedizione tutt'altro che pacifica della Mavi Marmara lo scorso maggio, ha tutte le caratteristiche storiche e operative per essere inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche europee ed è per questo che ho presentato oggi una interrogazione in tal senso al Ministero degli Esteri, assieme ai colleghi Martino, Pianetta, Picchi, Malgieri e Polledri". Lo dichiara in una nota l'On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera.
"La nostra iniziativa segue di pochi giorni due eventi importanti nella stessa direzione: la decisione della Germania, annunciata dal proprio Ministro dell'Interno Thomas de Maizier, di bandire l'IHH, presente sul proprio territorio con una sede a Francoforte, in quanto l'organizzazione 'lotta contro il diritto all'esistenza di Israele' e 'consciamente e deliberatamente supporta organizzazioni sotto il controllo di Hamas, o Hamas direttamente'. Il secondo fatto di grande rilievo è l'appello rivolto al Presidente Obama da un gruppo bipartisan di 87 senatori americani, con la richiesta di inserire l'IHH nella lista USA delle organizzazioni terroristiche"....

(Fiamma Nirenstein Blog, 20 luglio 2010)

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Tishà b'Av e il moderno Stato di Israele

di Andrea Yaakov Lattes

La distruzione del Tempio
Durante le tre settimane che vanno dal 17 di Tamuz fino al 9 di Av, viene ricordata l'apertura della prima breccia nelle mura di Gerusalemme da parte dei babilonesi fino alla sua completa caduta e distruzione, e secondo la tradizione viene osservato un periodo particolare di lutto contrassegnato appunto da due digiuni, uno all'inizio del periodo ed uno alla fine. Ma questa tradizione viene adesso in Israele messa in discussione, e non negli ambienti secolarizzati lontani dall'osservanza delle mitzwot, ma proprio da chi tiene a metterle in pratica. Infatti è proprio la tradizione rabbinica a stabilire che: "En ben ha-Olam ha-ze liymot ha-mashiakh ella shi'ibbud malkhuyot bilvad", cioè non vi è differenza fra questo mondo e quello a venire se non che adesso Israele è sottomesso ad altri popoli, come fissò il Maimonide nelle "Hilkhot melakhim" al termine del suo compendio di halakhà Mishnè Torà. In altre parole, l'aspettativa di millenni non è altro che la realizzazione di un centro ebraico indipendente nella Terra di Israele, dopodiché i digiuni fissati dai Maestri non avrebbero più senso di esistere.

Questo si basa su quanto disse il profeta Zaccaria (8,19): "Così ha detto il Signore: il digiuno del quarto mese [17 di Tamuz], e quello del quinto [9 di Av] e quello del settimo [3 di Tishrì, digiuno di Ghedalià] e quello del decimo [10 di Tevet] diventeranno per la casa di Giuda, giorni di gioia ed allegria, e festività".

Non per niente, nella benedizione per lo Stato di Israele, fissata dal rabbinato centrale di Israele su proposta dell'allora rabbino di Petah-Tikva Rav Reuven Katz (detto il Deghel Reuven), e che viene recitata il sabato mattina in tutto il mondo si parla di Israele come "inizio della nostra Redenzione". Quindi che senso avrebbe oggi mantenere i digiuni? Tuttavia, il significato del digiuno può essere interpretato secondo una ulteriore prospettiva. Infatti la maggior parte degli ebrei legati alle mitzvot continuano ad osservare il lutto e a digiunare in questi giorni, perché annullando i digiuni si verrebbe ad annullare un elemento identitario, e verrebbe a diminuire la sostanza del calendario ebraico.
Annullare i digiuni in fin dei conti significherebbe cancellare un pezzo di storia ebraica, impoverendo il passato e la tradizione di secoli. Ecco quindi, che attraverso la problematica inerente i digiuni, emergono tre prospettive diverse di analisi: sia una dimensione religiosa di osservanza a i precetti che esprime la fede in un Creatore, sia il significato teologico dello Stato di Israele, che una prospettiva identitaria.

(fuori dal ghetto, 20 luglio 2010)

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Israele porta a termine test sistema aereo antimissile Iron Dome

A breve la distribuzione dei nuovi razzi intercettori

(WAPA) - Il ministero della difesa israeliano ha annunciato oggi che i test finali del sistema aereo antimissile Iron Dome sono stati portati a termine ieri e che i missili intercettori saranno presto operativi.
Il ministero guidato da Ehud Barak lo ha riferito in un comunicato, indicando come sia da aspettarsi al più presto l'attivazione del programma per i missili intercettori.
Le prove finali del sistema di difesa aerea israeliano - volto ad intercettare razzi a corto raggio e colpi di artiglieria - sono state effettuate con successo lunedì, ha detto il ministero in un comunicato. I primi missili intercettori Iron Dome dovrebbero essere messi all'opera da novembre.
Israele si era trovata a dover sviluppare il sistemadopo anni di combattimenti nella Striscia di Gaza. I Palestinesi hanno sparato migliaia di razzi a corto raggio - i famigerati missili Qassam - su Israele fino a quando l'operazione Piombo Fuso, nel dicembre 2008-gennaio 2009, ha posto fine ai massicci attacchi. La guerra ha causato la morte ufficiale di circa 1500 palestinesi.
Durante un mese di guerra contro il Libano nell'estate del 2006, i militanti di Hezbollah hanno sparato circa 4000 missili a corto raggio sui territori nord di Israele.
Il costo di un singolo lancio di missili Iron Dome è stimato in decine di migliaia di dollari, mentre il singolo lancio di un razzo Qassam è dieci volte più conveniente.

(Avionews, 20 luglio 2010)

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Nei feromoni il segreto per debellare le zanzare

Due composti chimici tengono lontane le zanzare e ne complicano la riproduzione

di Andrea Sperelli

Una sorta di arma finale contro gli insetti più detestati al mondo, le zanzare. Si tratta di una scoperta di un gruppo di ricercatori della Rockefeller University di New York e dell'Università di Haifa, in Israele.
A quanto pare, per tenere lontane le temutissime zanzare, anche quelle tigre, basterebbe spandere nell'atmosfera un certo tipo di feromoni, i cairomoni, ovvero dei composti chimici che potrebbero rendere improvvisamente inutile tutto l'armamentario classico che si appronta nel corso dell'estate, fatto di candele, piastrine, fornelletti, unguenti ecc.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Ecology Letters e potrebbe rivelare all'uomo nuove strategie per il controllo della riproduzione degli insetti senza effetti nocivi a livello ambientale. I cairomoni vengono emessi da alcuni insetti acquatici, le notonette, noti per il fatto di nuotare capovolti e perché predatori di zanzare. Le femmine di zanzara che si avvicinano ai ristagni d'acqua che ospitano le notonette, una volta percepita la loro presenza annunciata dai cairomoni si allontanano immediatamente senza deporre le uova. I composti alla base di questo effetto di repulsione sono l'n-eneicosano e l'n-tricosano.
Sembra quindi arrivata la fine per le zanzare, a meno che non sorgano problemi nella messa in pratica dei concetti esposti nella ricerca pubblicata o a livello politico per la pressione delle lobbies economiche che si occupano della vendita di prodotti per combattere la presenza delle zanzare.

(italiasalute.it, 20 luglio 2010)

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Gaza, Piombo fuso: Israele processa alcuni suoi militari

ROMA, 20 lug - Alcuni militari israeliani sono stati incriminati nell'ambito dell'operazione "Piombo fuso" a Gaza, svoltasi tra il 27 dicembre del 2008 e il 18 gennaio 2009. Lo rende noto un aggiornamento del rapporto del governo israeliano sulle manovre, appena uscito. Nel documento si legge che numerose indagini hanno portato a risultati significativi. Tanto che la divisione criminale investigativa della polizia dello stato ebraico (Mpcid) da gennaio del 2010 ha aperto undici nuove inchieste che, con le precedenti, raggiungono quota 47. Alcune delle quali si sono concluse con incriminazioni e processi: due soldati delle Israeli defense forces (Idf) sono stati recentemente accusati di aver convinto un minore ad assisterli in un modo che lo metteva a rischio; un terzo militare è sospettato di aver ucciso un civile palestinese che camminava insieme ad altri verso una postazione delle Idf; un quarto, invece, è imputato di saccheggio. Ulteriori indagini, inoltre, hanno determinato sanzioni disciplinari per un brigadier generale e un colonnello che hanno usato granate esplosive in violazione delle distanze di sicurezza richieste nelle aree urbane. Un tenente colonnello, invece, è stato accusato di aver permesso a un civile palestinese di entrare in una struttura nella quale si trovavano alcuni terroristi.
Un ufficiale è stato severamente redarguito e altri due sono stati sanzionati per aver mancato di esercitare l'appropriato giudizio durante un incidente nel quale ci sono stati feriti tra i civili presso la moschea di Al-Maqadmah. Allo stesso tempo, però - continua il testo - la procura militare generale (Mag) ha concluso la revisione di alcuni procedimenti senza incriminare o infliggere misure disciplinari agli accusati, in quanto le indagini non hanno stabilito alcuna violazione delle leggi dei conflitti armati o delle procedure delle Idf. Altri casi, infine, sono ancora in fase di studio. Israele - riporta il documento - ha fatto sforzi intensivi per scoprire e sanzionare, attraverso inchieste indipendenti, condotte scorrette da parte delle Idf durante l'operazione a Gaza. A questo proposito è stato sviluppato un meccanismo ad hoc e sono stati ascoltati testimoni civili presenti sui luoghi, nonostante le difficoltà per rintracciarli.
Israele - conclude l'introduzione dell'aggiornamento -, confida nella completezza, nell'imparzialità e nell'indipendenza del suo sistema di investigazione sulle presunte violazioni delle leggi dei conflitti armati, alla luce delle critiche rilanciate da alcuni rapporti. A questo proposito è stato dato mandato a una commissione indipendente di esaminare la conformità del nostro meccanismo di denuncia in relazione alle violazioni delle leggi sui conflitti e agli obblighi delle norme internazionali. La commissione, guidata dal giudice della Corte suprema in pensione, Yaakov Turkel, è composta da tre esperti indipendenti di rilievo e da due osservatori internazionali.

(il Velino, 20 luglio 2010)

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Sotto le ali del talleth il popolo ebraico si racconta

Dieci giorni di iniziative organizzate dal museo di via Valdonica, visite guiidate abbinate a concerti di musica klezmer e jewish jazz

di Chiara Pilati

Nel museo ebraico
BOLOGNA - La kippà e il candelabro a sette braccia, la stella di David e la mezuzah, il talleth (lo scialle da preghiera) e la Torah, gli oggetti della casa e gli arredi della sinagoga. Sono questi i simboli del mondo israelita che fanno da filo conduttore per gli appuntamenti estivi del Museo Ebraico che, da oggi al 29 luglio, accompagnano le serate bolognesi alla scoperta di un popolo e delle sue tradizioni, fra musica e riti.
Questa sera alle 21.30 nel museo di via Valdonica 1/5 la rassegna "Sotto le ali del talleth" si apre con la visita guidata della curatrice del museo Vincenza Maugeri "Simboli e luoghi della tradizione ebraica. Lampade e luci" (ingresso libero). La storia di Israele viene raccontata attraverso i suoi segni come la "menorà", il candelabro sacro a sette braccia che secondo i racconti biblici costituì l'elemento fondamentale del culto ebraico dai tempi del deserto sino alla distruzione del secondo Tempio, il "ner tamid", la luce perpetua che viene sempre mantenuta accesa di fronte all'armadio sacro, i lumi del sabato (shabbath) o la lampada per la festa di channukkà, nota anche come "festa delle luci".
Il tema della visita di mercoledì 28 (alle 21.30), condotta dal direttore del museo Franco Bonilauri, è invece la quotidianità del credente, vissuta tra la casa e la sinagoga con tutti gli oggetti, i libri sacri e le vesti che ne completano la preghiera.
Il programma di quest'anno dà poi molto risalto anche alla musica e prevede alcuni appuntamenti in cui il repertorio popolare e tradizionale del klezmer viene reinterpretato in chiave jazz (sempre alle 21.30 nel cortile del museo, ingresso libero).
Tre i concerti più importanti, con ospiti di livello internazionale come i Keshet Klezmer Ensemble che domani conducono lo spettatore lungo un viaggio musicale in cui brani tradizionali dell'Europa dell'est si alternano a composizioni originali dove i suoni di strumenti antichi e tradizionali si intrecciano alle sonorità del linguaggio jazz.
Il chitarrista Giovanni Cifariello e il suo Klezmer Jazz Quartet offrono invece, il 27 in anteprima, alcune composizioni originali che fondono la tradizione al Jewish Jazz di New York, mentre Gabriele Coen e il suo quintetto chiudono il 29 facendo vivere, ancora una volta, al pubblico bolognese la magia di una notte di puro klezmer jazz con la loro Klezmer Night.

(la Repubblica - Bologna, 20 luglio 2010)

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Il capo di stato maggiore Ashkenazi in Italia: preoccupazione per Hezbollah

Ashkenazi: nel Libano meridionale, nelle zone al di fuori del mandato dell'Unifil, le forze degli Hezbollah si stanno rafforzando.

ROMA, 20-07-2010 - Vivo apprezzamento per le attivita' delle forze armate italiane in vari scenari di crisi al mondo e' stato espresso oggi dal capo di stato maggiore israeliano Gaby Ashkenazi in una intervista a radio Gerusalemme da Roma, dove e' impegnato in una visita ufficiale su invito del suo omologo, il generale Vincenzo Camporini.

"L'Italia e' uno dei Paesi piu' amici di Israele in Europa" ha sottolineato Ashkenazi. "Mantiene la forza principale nell'Unifil (la missione dell'Onu nel Libano meridionale) ed e' schierata con la Nato in Afghanistan. Con l'Italia - ha precisato il generale Ashkenazi - abbiamo eccellenti relazioni in terra, in mare e in cielo".

Sollecitato dall'intervistatore, Ashkenazi ha quindi rilevato che nel Libano meridionale, nelle zone al di fuori del mandato dell'Unifil, le forze degli Hezbollah si stanno rafforzando. Ieri, in una nota diffusa dal portavoce militare, Ashkenazi ha precisato che nei villaggi sciiti del Libano meridionale e in altre zone del Libano gli Hezbollah stanno costruendo una infrastruttura sotterranea di centri di comando e di lanciatori di razzi. "In tutto il Libano, incluso il Libano meridionale - ha proseguito Ashkenazi - villaggi residenziali sono trasformati in 'villaggi per razzi terra-terra' ". Ancora una volta, a suo parere, " la dura realta' e' che gli Hezbollah sfruttano i civili per poter attaccare Israele". Per il momento la situazione e' calma, ma Israele - ha confermato - segue gli sviluppi da vicino.
Il comandante delle milizie Hezbollah nel sud del Libano, sceicco Nabil Koauk, di recente ha affermato che il suo gruppo ha stilato una lista di obiettivi da colpire in territorio israeliano se vi sara' un'altra guerra. Le sue affermazioni, rilanciate dai media israeliani, giungono dopo che nei giorni scorsi l'esercito d'Israele ha diffuso mappe e foto di quella che e' stata descritta come una rete di depositi di armi e centri di comando del partito sciita Hezbollah nel sud del Libano.
In primavera Israele ha accusato la Siria di aver inviato missili Scud alla milizia del partito Hezbollah.

(RaiNews24, 20 luglio 2010)

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Auto solare, tre studenti la costruiscono a basso costo

di Marco Mancini

Chi si dovesse recare in visita nella città cisgiordana di Hebron questa estate potrebbe veder passare un veicolo dall'aspetto strano: la prima auto ad energia solare palestinese. Il prodotto proviene da un progetto ecologico degli studenti di ingegneria della città, e prevede una vettura completamente bianca su cui sono stati installati una serie di pannelli solari. Come prestazioni ovviamente non possiamo di certo aspettarci molto, dato che non può superare i 30 km/h, ma si può comunque apprezzare questo piccolo "miracolo di ingegneria creativa", come l'ha definito il Guardian, che ha dovuto far fronte alle scarse risorse finanziarie disponibili.
"È stato un progetto complesso e i nostri studenti hanno progettato e costruito tutta questa macchina da zero" ha spiegato Zahdi Salhab, direttore del dipartimento di ingegneria meccanica al Politecnico di Palestina a Hebron.
La vettura, per cui ci sono voluti diversi mesi per la progettazione, è equipaggiata con un motore elettrico 2bhp alimentato da una batteria che immagazzina energia assorbita dai pannelli solari. Anche se la regione può vantare un'invidiabile esposizione al sole, la batteria del veicolo può essere ricaricata anche tramite rete elettrica nelle giornate nuvolose.
I tre studenti che hanno ideato e costruito la vettura hanno preso parte ad un progetto di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili per sostituire il gasolio e la benzina nell'alimentazione delle automobili.

(Ecologiae.com, 20 luglio 2010)

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Gaza, donne palestinesi non rinunciano al narghilè

Meritano solidarietà e appoggio ad ogni livello i palestinesi dei Territori. Da 43 anni sono sotto il tallone dell'occupazione militare israeliana. In Cisgiordania devono fare i conti con l'Anp di Abu Mazen che non muove un passo senza l'autorizzazione di Stati Uniti e Israele. A Gaza hanno a che fare con il governo di Hamas che invece di lavorare a misure volte per alleviare le conseguenze dell'assedio israeliano, dedica parte della sua attività ad emanare decreti e divieti talvolta paradossali che, in non pochi casi, prendono di mira le donne. Non è detto però che queste ultime siano pronte a rispettare senza fiatare questi editti. E' questo il caso del divieto per le donne di fumare il narghilè in pubblico, approvato dal ministero dell'interno domenica scorsa.
A due giorni dall'editto, molte donne continuano a fumare il narghilè in ristoranti e caffè, incuranti di poter incorrere in sanzioni. Non lo fanno tanto per perpetrare un costume comunque poco salutare ma per riaffermare la propria libertà personale limitata sempre più spesso a Gaza in base al genere. Fumare fa male, quindi il divieto dovrebbe valere per tutti, anche per gli uomini. La probizione del governo di Hamas però non è mirata a tutelare la salute della popolazione di Gaza. Il portavoce del ministero dell'interno, Ihab al Hussein, ha spiegato che le donne che fumano il narghilè - usanza secolare nel mondo arabo-islamico - «contraddicono le tradizioni e i valori morali della società musulmana». Secondo i solerti funzionari del ministero, il semplice gesto del fumare da parte di una donna «provocherebbe uno stato di eccitazione negli uomini» che potrebbe causare divorzi. In poche parole, osservando i movimenti delle labbra femminili che aspirano il fumo dal bocchino collegato al tubo flessibile del beccuccio erogatore del narghilè, gli uomini sposati di Gaza raggiungerebbero livelli di eccitazione tanto elevati dall'essere tentati di avviare relazioni extraconiugali con le «donne-fumatrici» e di abbandonare mogli e figli. Non c'è dubbio, al ministero dell'interno di Gaza non manca la creatività a sfondo sessuale.
Questa nuova legge è in linea con precedenti misure prese dal governo negli scorsi mesi, come il divieto per le donne di andare in bicicletta e in moto, l'obbligo per le coppie che si presentano in pubblico di esibire dietro richiesta il certificato di matrimonio o le ancora precedenti imposizioni che hanno suscitato tanto scalpore, quali l'ingiunzione per le donne avvocato di portare il velo in tribunale e per le studentesse di indossarlo nelle scuole. Tutte queste misure accettate quasi acriticamente da una buona parte della popolazione, contraddicono la Legge Fondamentale Palestinese, che Hamas non ha mai dichiarato decaduta a Gaza, che afferma l'eguaglianza di tutti gli individui di fronte alla legge.
Secondo una giovane scrittrice di Gaza, che preferisce non rivelare la sua identità, il governo strumentalizzando il discorso religioso, tratta le donne come corpi, coprendoli e nascondendoli per rafforzare quel sistema patriarcale che gli garantisce tutta una serie di privilegi non solo sociali, ma anche politici, e la stabilità nella Striscia di Gaza.
Il premier Ismail Haniyeh e i suoi ministri farebbero molto meglio a lavorare per aiutare la popolazione che ogni giorno, da molti anni, deve fare i conti con il durissimo blocco attuato da Israele.

(DirettaNews.it, 20 luglio 2010)

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La patata batteria: da Gerusalemme, ecco come ottenere energia elettrica da un tubero

di Verdiana Amorosi

Ne sono sempre più convinta: mio nonno aveva ragione quando diceva che una patata fa sempre bene. Lo conferma uno studio fatto dai ricercatori della Hebrew University di Gerusalemme, che hanno scoperto come realizzare delle batterie a base di patate trattate. La trovata geniale del polo tecnologico del centro ricerche di Yissum è in sostanza un dispositivo molto semplice, che fornisce una soluzione immediata ed economica per chi non ha energia elettrica disponibile, ideale quindi per i Paesi in via di sviluppo.
Come riporta il Jerusalem Dispatch - i risultati di questo esperimento sono stati pubblicati sul numero di giugno del Journal of Renewable and Sustainable Energy e nella sezione dedicata alle scoperte importanti del magazine scientifico Nature. Ma che cosa hanno rivelato questi ricercatori esattamente?
In sostanza, hanno scoperto che la forza dei legami tra i sali che si trovano nei tuberi di patata trattati possono generare elettricità attraverso dei mezzi semplici e disponibili nei paesi in via di sviluppo.
Questo strano marchingegno a buon mercato, di facile uso e 100% green ha le potenzialità per migliorare la qualità della vita di oltre un miliardo e seicentomila persone nei paesi più poveri.

"La capacità di costruire batterie efficienti ottenute dai vegetali fornisce un nuovo modo di sfruttare fonti di bio-energia, che attualmente sono usate principalmente come combustibili", ha detto Yaacov Michlin, direttore di Yissum. "La capacità di fornire energia elettrica con mezzi così semplici e naturali potrebbe favorire milioni di persone nello sviluppo economico e sociale - ha continuato - lanciando così le telecomunicazioni, che oggi mancano in molte aree del mondo".

Ma non è tutto, perché gli scienziati hanno scoperto che la semplice patata bollita - solo per il fatto di essere stata lessata - aumenta la potenza elettrica fino a 10 volte rispetto ad una patata non trattata e la batteria permette di lavorare per giorni, talvolta addirittura per settimane.
Chi avrebbe mai pensato che una patata bollita potesse rappresentare una soluzione facile ed economica per soddisfare il fabbisogno di energia elettrica?

(greenMe.it, 19 luglio 2010)

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Cibi Halal, cibi kasher, stili alimentari non solo di natura religiosa

da Massimilla Manetti Ricci

I cibi Halal e la cucina kasher sono in forte aumento e la loro diffusione va oltre il rispetto delle regole religiose alle quali si ispirano, principi del Corano islamico o della Torah ebraica.
Si calcola che nel 2010 l'halal conseguirà un giro di affari pari a 500 miliardi di euro, in Italia la previsione è di 5 miliardi.
Gli alimenti kasher trovano sempre spazio più ampio nei supermercati e sono loro dedicati libri culinari come quello del musicista Moni Ovadia ''Il conto dell'ultima cena'' edito da Einaudi.

Tutto qui? Che c'è allora di strano, vi chiederete?
Niente, tranne il fatto che non sono solo motivi di tradizione religiosa quelli che spingono verso queste modalità alimentari.
Anche i comuni cittadini che non seguono nessuna particolare religione si interessano al kosher e all'halal.
All'insegna dell'Islamismo o dell'Ebraismo anche gli alimenti devono rispettare determinate norme di preparazione, come ad esempio il bando alla carne di maiale o derivati e il divieto al consumo di alcol ponendo attenzione non solo ai drink, ma anche a solventi e sostanze che contengono alcol oppure la proibizione di consumo di sangue, fondamentale nella legge ebraica, che prevede molte altre limitazioni (tra cui il divieto di mangiare alcune parti specifiche dell'animale e il divieto di associare latte e derivati con la carne).
Per evitare di assumere il sangue, ci sono tutta una serie di doveri da osservare prima di consumare la carne, come la salatuara.
Sono gradite queste norme perchè così si rintracciano i passaggi della filiera alimentare che il cibo comune non consente.
Probabilmente molti di noi sono stanchi di mozzarelle blu, formaggi adulterati con polveri varie, sfruttamento delle popolazioni povere e impiego di minori, allevamenti intensivi, additivi dalle sigle criptiche che danneggiano la salute.

E al di là del reale principio salutista di queste tradizioni, forse è la richiesta indiretta di cibi più sani e sicuri e di rispetto globale quello che si cela sotto la ricerca di cibi speciali, compresi anche quelli per celiaci così come commenta il blog 'papille vagabonde'.

(Blogosfere, 19 luglio 2010)

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Le ebree con velo fanno arrabbiare i rabbini

La Setta dei Timorati (Edà Haredit), una frangia estrema dell'ebraismo ortodosso israeliano, è in stato di fibrillazione. La sua istituzione suprema, la "Corte di Giustizia" ha già convocato i suoi rabbini per una seduta straordinaria.
Il pericolo è stato avvistato alle porte del rione di Meà Shearim (a Gerusalemme) e nella vicina cittadella ortodossa di Beit Shemesh: «Va fermato!!», esortano a caratteri cubitali i poster che tappezzano gli angusti vicoli degli zeloti e gli ingressi della sinagoghe.
«Qua abbiamo a che fare con delle Talebane!», spiega un cronista di un foglio ortodosso.
Una stranezza che fino a un anno fa riguardava qualche decine di donne, succubi del fascino discreto di una carismatica signora di Beit Shemesh. A dare visibilità alla donna che voleva a tutti i costi rendersi invisibile fu allora una inchiesta della polizia: era accusata di aver seviziato «per fini educativi» buona parte dei suoi dodici figli. Un tribunale laico la avrebbe quindi condannata a quattro di anni di carcere. Malgrado l'ignominia della sentenza, ha fatto scuola. Donne ortodosse completamente velate sono sempre più frequenti nelle strade di Gerusalemme, nella linea dell'autobus che porta al Muro del Pianto, nei sobborghi ultraortodossi.
La loro ossessione per il pudore ricade anche sulle loro figlie, che pure sono adesso coperte da veli e scialli. In certi casi le ripercussioni sono pesanti. Le bambine si vergognano di presentarsi a scuola, per non essere schernite dalle compagne. Ci sono liti familiari, anche drammi. Alcune bambine - almeno una dozzina, secondo la stampa ortodossa - hanno smesso di studiare. Le loro madri "talebane" sono compiaciute: il sistema scolastico ortodosso, accusano, è troppo «permissivo». Meglio educarle in casa.
La ribellione, a quanto pare, è partita dai nonni, disperati nel vedere le nipotine abbandonate in mani irresponsabili. Sono stati i nonni ad invocare la convocazione straordinaria della Corte di Giustizia della Setta dei Timorati: una istituzione composta da rabbini sussiegosi, maestri riconosciuti di Torah. Che a quanto pare, da nessuna parte, hanno trovato che esista un legame fra la purezza di comportamento e la quantità di veli indossati. Anche se ancora non si sono pronunciati, è dato per scontato che denunceranno il fenomeno con parole inequivocabili.
Negli ambienti ortodossi si afferma che buona parte delle "donne velate" sono ex-laiche che hanno scoperto la religione in età matura e che adesso cercano di superare in ortodossia perfino chi è timorato da generazioni. «Si tratta dunque di stabilire - spiega il cronista ortodosso - il punto preciso in cui il fervore e lo zelo religioso diventano pura stramberia». Un compito non facile per la leadership religiosa ortodossa, in un periodo che comunque è caratterizzato da una crescente radicalizzazione nel confronto con la società laica israeliana circostante.

(Il Secolo XIX, 19 luglio 2010)

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Tisha B’Av

Dal 19 luglio sera al 20 luglio sera (2010) l’ebraismo celebra il Tisha B’Av, un giorno di rimembranza di lutto per l'ebraismo, che cade il nono giorno dell'undicesimo mese di Av (luglio-agosto). La ricorrenza avviene in memoria di numerosi eventi luttuosi per il popolo ebraico:

- distruzione del Primo Tempio da parte delle truppe di Nabuccodonosor (586 a.C.)
- distruzione del Secondo Tempio da parte delle truppe di Tito (70 d.C.)
- sconfitta degli insorti guidati da Bar Kochba (135 d.C.)
- distruzione di Gerusalemme (136 d.C.) e inizio della diaspora

- Contegno nel Tisha B’Av
  In questa giornata di lutto nazionale gli ebrei osservano un digiuno totale di poco più di 24 ore, dal tramonto alle prime stelle della sera successiva. Oltre a ciò, non vengono indossate scarpe di pelle o cuoio, non vengono effettuati festeggiamenti, non si intrattengono rapporti coniugali né si palesano manifestazioni di affetto, non ci si lava (ad esclusione delle falangi delle mani) né si usano unguenti.
Durante la preghiera della sera e del mattino si recita il Libro delle Lamentazioni. È uso non indossare i Tefillin al mattino ma durante la preghiera del pomeriggio; alcuni ebrei mistici usavano però indossarli al mattino come durante gli altri giorni. Ad esclusione del Libro delle Lamentazioni, di alcune pagine del Talmud (in particolare quelle di Ghittin 55-57 che parlano della distruzione del Tempio di Gerusalemme e del terzo capitolo di Moed Kattan che discute i precetti relativi al lutto) e di alcuni passi del Libro di Geremia, non si studia la Torah, il cui studio è una gioia per l'ebreo né altri libri sacri se non hanno a che fare con il lutto. Fino a mezzogiorno è uso, ma non precetto, sedere su sgabelli bassi in modo da essere volutamente scomodi.

(da Wikipedia)



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Israele cattura una cellula di Hamas responsabile dell'omicidio di un agente

Lo scorso 14 giugno in Cisgiordania

GERUSALEMME, 19 lug. - I servizi di sicurezza israeliani hanno catturato una cellula di miliziani di Hamas, responsabile dell'omicidio di un poliziotto dello stato ebraico lo scorso mese in Cisgiordania. Lo ha annunciato lo Shin Bet.
Sono cinque i componenti del movimento integralista palestinese ritenuti responsabili dell'accaduto. Lo Shin Bet ha spiegato che hanno confessato e consegnato le armi utilizzate.
Nella sparatoria del 14 giugno rimase ucciso un agente - e altri due furono feriti - in una recrudescenza delle violenze in Cisgiordania dopo mesi di calma. L'Autorità nazionale palestinese (Anp), sostenuta dalla comunità internazionale, ha scarso controllo sulla Cisgiordania e ha lanciato una sua offensiva contro Hamas.

(Apcom, 19 luglio 2010)

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Borse della domenica: chiusura pesante per Israele

di Giuseppe Di Vittorio

Chiusura in rosso per le borse aperte la domenica. In Israele il rosso è stato pesante, pari all'1,82%, mentre negli Emirati Arabi la perdita è stata più contenuta lo 0,65%. A frenare il listino di Tel Aviv ci hanno pensato i titoli del settore finanziario e quelli del settore biomedico. I primi sono scesi del 2,43%, mentre i secondi hanno perso oltre il 3%. Per quanto riguarda Abu Dhabi forti perdite hanno accusato i titoli delle costruzioni. Le perdite per questo settore sono state sopra il 2%. Forti i guadagni invece per le azioni del settore energetico con guadagni del 2,77%. Quanto all'andamento intraday, la seduta non è stata facile per i trader. Ad Abu Dhabi il General Index ha aperto alto poi si è proiettato verso il basso quindi è entrato all'interno di un trading range. A Tel Aviv il trading range è partito fin dall'apertura ma su livelli molto più bassi rispetto alla chiusura precedente. Sul medio periodo il Ta-25, l'indice principale israeliano è sempre all'interno di un pesante ritracciamento, mentre ad Abu Dhabi il General Index è sui minimi di medio lungo periodo.

(Milano Finanza, 19 luglio 2010)

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Gaza. Inaugurato il primo centro commerciale

Si chiama 'Gaza Mall', all'americana, ed è l'unico centro commerciale della Striscia di Gaza. Aperto al pubblico questa mattina - anche se l'inaugurazione si è svolta nella giornata di sabato scorso -, offre ai clienti tutti i comfort.
Il 'Gaza Mall' ha attirato nel rione di Rimal una piccola folla di curiosi. Per facilitare l'accesso all'edificio, le autorità hanno anche provveduto ad asfaltare appositamente una strada e ad allestire un parcheggio sotterraneo. Il governo di Hamas era rappresentato dal ministro per il lavoro, Abu Osama al-Kurd.
Eretto su due piani, il centro commerciale offre ai visitatori un'atmosfera di relax. E' climatizzato e propone al primo piano una serie di caffè, di gelaterie e un supermercato. Al piano superiore negozi d' abbigliamento, profumerie, negozi di scarpe e di occhiali. I proprietari non hanno trascurato la necessità per i genitori - che spesso hanno al seguito molti figli - di lasciare i bambini custoditi in una zona giochi per potersi dedicare agli acquisti.
A Gaza un altro centro commerciale, al-Sahra, era stato aperto all'inizio degli anni Novanta da un uomo di affari vicino ai vertici dell'Anp, ma aveva avuto breve durata. Molti oggi a Gaza sperano che l'apertura del 'Gaza Mall' sia solo l'inizio di un rilancio più sensibile della attività economica e commerciale.

(l'Occidentale, 19 luglio 2010)

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Israele- Italia: il generale Ashkenazi in visita a Roma

Gaby Ashkenazi
TEL AVIV, 19 lug - Il generale Gaby Ashkenazi, capo di stato maggiore israeliano, è da ieri in Italia da cui proseguirà per la Francia, su invito dei rispettivi omologhi: il generale Vincenzo Camporini e l'ammiraglio Edouard Guillaud. Obiettivo della visita, ha precisato il portavoce militare israeliano, è di rafforzare la cooperazione. In Italia, ha precisato il portavoce, Ashkenazi incontrerà, oltre al generale Camporini, anche responsabili del ministero della difesa e visiterà alcune basi militari. Ashkenazi ha in programma fra l'altro un incontro con la Comunità Ebraica di Roma e una visita all'Arco di Tito: un monumento particolarmente significativo per gli ebrei perché mostra l'imperatore Tito dopo la conquista di Gerusalemme ed una raffigurazione della monorah il candelabro a sette braccia che si trovava nel Tempio. Oltre che dalla moglie, Ashkenazi è accompagnato in questa visita dal portavoce militare Avi Benayahu e dal capo del Dipartimento per la cooperazione militare, colonnello Dan Hefetz.

(Notiziario Ucei, 19 luglio 2010)

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Il mondo deve capire che Israele è un Paese come gli altri

Intervista a Fiamma Nirenstein di Alma Pantaleo

Fin dalla sua nascita, Israele è stata sotto tiro, nel mirino dei suoi nemici e sotto la lente d'ingrandimento della comunità internazionale. La "Friends of Israel Initiative" si pone invece come obiettivo di mostrare che lo Stato ebraico è un Paese normale, una democrazia occidentale. Ne parliamo con Fiamma Nirenstein, vice-presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, e fra i promotori della iniziativa.

- Onorevole, cos'è l'iniziativa "Friends of Israel"?
  L'iniziativa nasce per merito di Aznar che ha riunito un piccolo gruppo di amici che pensano tutti quanti una cosa molto precisa: è l'ora di finirla con le bugie su Israele e sulla sua delegittimazione ed è il caso che il mondo intero si renda conto che Israele è un Paese come gli altri.

- Avete già fatto qualche passo insieme?
  L'editoriale uscito qualche giorno fa sul Wall Street Journal è stato il nostro primo gesto comune e spiega che Israele è un Paese democratico, occidentale, che ha tutto il dovuto rispetto per le minoranze, per la legge, per il libero mercato e soprattutto che viene fuori da una cultura che ha consentito lo sviluppo della democrazia. Una democrazia con un retroterra ricco di valori che appartengono alla tradizione giudaico-cristiana. E' giunto il momento di smetterla con la sua criminalizzazione e la sua delegittimazione.

- Qual era la vostra idea originaria?
  Abbiamo voluto formare un gruppo di personalità di origine, di religioni e di storie personali diverse proprio per far vedere che c'è molta gente con caratteristiche differenti che la pensa allo stesso modo. Non sono solo gli ebrei che difendono Israele, ci sono anche persone che pensano che la cultura giudaico-cristiana sia la madre del diritto, della democrazia e di tutte quelle cose che ci stanno a cuore.

- Facciamo qualche nome
  Per ora siamo un piccolo gruppo di persone ma stiamo facendo firmare la nostra "lettera fondativa" in modo che la cerchia si allarghi ulteriormente. Il gruppo è fatto di ebrei e cristiani, di americani e inglesi, ma c'è anche un sudamericano. Ci sono uomini d'affari importanti come Agostinelli, uomini politici fondamentali per la storia d'Europa come Aznar o come Pera, e ancora, Bolton, ex ambasciatore americano alle Nazioni Unite; Trimble, ex primo ministro dell'Irlanda del Nord, premio Nobel e mediatore della pace tra l'Irlanda e l'Inghilterra; lo storico britannico Roberts; Bustelo, ex ministro dell'Industria in Spagna; Toledo, ex presidente del Perù. Tutti accomunati dall'essere liberali e ispirati dalla cultura giudaico-cristiana.

- Vi siete già incontrati?
  Ci siamo già riuniti una volta a Parigi, ci riuniamo di nuovo oggi a Londra per un'iniziativa con Aznar e Marcello Pera che parleranno di Israele e poi presenteremo il nostro programma a New York a Capitol Hill. Cercherò di portarli a Roma in occasione della manifestazione a favore di Israele. Questo sarebbe un passo importante.

- In quale situazione versa Israele?
  Israele purtroppo si trova nel mezzo di un attacco continuo, un conflitto che la costringe a difendersi e noi pensiamo che abbia il diritto e il dovere di farlo. Per esempio, ci ha fatto orrore il modo in cui è stata raccontata e poi condannata la vicenda della flottilla turca che era chiaramente una provocazione compiuta da un gruppo aggressivo e purtroppo sostenuto da Ankara. Sto parlando dell'IHH, un gruppo terroristico messo fuori legge dalla Germania e che l'America sta cercando di inserire nelle organizzazioni terroriste. Lancio un appello affinché l'Italia faccia lo stesso.

- L'utilizzo di campagne di comunicazione preventive potrebbe essere un modo per evitare forme di criminalizzazione a discapito d'Israele, come avvenuto nel caso della "Freedom Flottilla"?
  Israele non ha bisogno di giustificazioni. È sempre stata aggredita, sin dalla sua fondazione. Ha sempre cercato la pace, ha sempre abbandonato territori, si è solo difesa da aggressioni causate sin dal 1948 dal rifiuto arabo, quando l'Onu stabilì che il territorio doveva essere diviso in due stati. Israele accettò e gli Arabi l'assalirono.

- E come ha reagito Israele?
  Israele cerca un compromesso, l'ultima volta è stata con il ritiro da Gaza, quando lo stato ebraico ha portato via fino all'ultimo uomo, lasciando quel pezzetto di terra completamente in mano ai palestinesi. Ma quello che ne ha avuto in cambio sono stati razzi e aggressioni terroristiche. Sarebbe bene che Israele spiegasse un po' di più e in maniera più aggressiva quello che gli succede, mentre invece ha sempre la tendenza a giustificare il nemico e a dargli credito. Lo si vede in tante situazioni, c'è moltissima gente, per esempio, che oggi come oggi crede che Abu Mazen sia determinato e convinto della necessità di una politica di pace con Israele e che sia pronto al compromesso.

- Invece?
  Soltanto qualche giorno fa, mentre Abu Mazen da una parte diceva in inglese "sì, siamo pronti a una politica di pace", dall'altra, in arabo, ha ricordato con "orgoglio" il capo dell'eccidio di Monaco del 1972, scomparso qualche settimana fa. Monaco fu uno degli avvenimenti più mostruosi della storia dello sport mondiale, quando tutta la squadra olimpionica di Israele fu sterminata. Abu Mazen in occasione della sua scomparsa lo ha lodato pubblicamente definendolo "un grande uomo, un esempio, un martire". Questa è una cosa che succede continuamente: mentre da una parte gli viene riconosciuta una posizione di moderato, dall'altra il capo dell'ANP ne approfitta seguitando a riproporre una cultura dell'odio e dello scontro con lo stato d'Israele.

- Come è andata con la "Freedom Flottilla"?
  Israele non ha spiegato chi fossero gli uomini dell'IHH che erano sulla nave, non ha detto che la Turchia alcuni giorni prima aveva preso posizioni molto dure contro Israele, che già nelle settimane e nei mesi precedenti era d'accordo nel far salire sulla nave quelli dell'IHH, che è un organizzazione con basi terroristiche legatissima a Hamas. Perciò la gente si è ritrovata di fronte a una strana situazione in cui quelli che si spacciavano per nave della pace in realtà erano una banda di provocatori violenti. Questo è un grande errore, il mondo avrebbe dovuto sapere per tempo come stavano le cose e Israele avrebbe dovuto spiegarle senza reticenze.

- Quanto tempo ci vorrà, secondo lei, per riuscire a scardinare tutti questi pregiudizi che ci sono nei confronti di Israele?
  Penso che ci vorrà del tempo, non so quanto, ma che stiamo lavorando per raggiungere questo obiettivo. Credo che questa volta il mondo si sia reso conto che le stupidaggini che sono state sparate su Israele da parte dell'informazione internazionale, dopo la nave Marmara, sono state troppe. Se ne son dette altrettante sulla guerra a Gaza, sulla condizione dei Palestinesi nella Striscia, quando invece è stato dimostrato che non c'è alcuna emergenza umanitaria.

- Che ruolo giocano le ong e le organizzazioni internazionali?
  Berstein, fondatore di Human Right Watch, forse insieme ad Amnesty International la più importante ong per l'affermazione dei diritti umani, si è dimesso disgustato dicendo che si trattava ormai di un'organizzazione antisemita, tutta protesa soltanto a criminalizzare Israele. All'Onu, il Consiglio per i Diritti Umani era stato rifondato proprio per evitare di seguitare a occuparsi sempre di Israele, ma nonostante ciò, attualmente, si trova nella condizione in cui tre quarti delle sue risoluzioni sono dedicate a Israele.

- Per concludere…
  La gente di buonsenso inizia a capire che questa persecuzione nei confronti di Israele è una follia antisemita promossa da una propaganda molto vasta e accurata di cui fanno parte i Paesi arabi e parecchi Paesi non allineati, e che questo sta portando il mondo alla distruzione. Tutto è crollato sulla base di questa orribile propaganda islamista che criminalizza gli ebrei, Israele e tutta la civiltà giudaico-cristiana.

(l'Occidentale, 19 luglio 2010)

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Vietare il burqa. E' sensato e non è illiberale

Con il primo voto favorevole dell'Assemblea Nazionale la Francia, sulla scia del percorso già iniziato dal Belgio, si avvia a vietare completamente l'uso pubblico del burqa. La decisione francese è oggetto di un acceso dibattito che inevitabilmente travalica i confini dell'esagono, dato che ormai tutti i paesi dell'Europa occidentale si trovano a dover "gestire" una presenza musulmana numericamente sempre più rilevante.
Tra i fautori del divieto del velo integrale c'è in primo luogo chi considera tale indumento uno strumento di oppressione della libertà della donna e di perpetuazione di uno stato di minorità sociale. Si ritiene, infatti, che il più delle volte la donna porti il burqa non per una libera scelta, ma perché costretta o comunque pesantemente condizionata dalla propria famiglia e dalla propria comunità.
Questa argomentazione è senz'altro importante per chi abbia a cuore i diritti umani, ma con essa si scontra talora l'affermazione da parte delle stesse donne che indossano il velo che la loro è una scelta libera e consapevole....

(libertiamo, 19 luglio 2010)

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Hamas vieta il narghilè alle donne

A Gaza giro di vite per garantire la "pubblica decenza". Si potrà fumare in casa, all'interno degli alberghi o in caffé recintati. Per ora invece nessun divieto per le sigarette nei luoghi pubblici

GAZA - Nuovo giro di vite "islamico" di Hamas nei confronti della donne di Gaza e dei minorenni, ai quali, da adesso, viene vietato di fumare in pubblico il narghilé. Molte donne provavano piacere a concedersi abbondanti boccate durante le ore di relax in spiaggia, o sotto le tende. Ma ora, nel nome della pubblica decenza, non potranno più farlo. Volendo egualmente coltivare ancora quella abitudine, dovranno cercare posti più appartati: ad esempio all'interno degli alberghi o in caffé ben recintati.
L'iniziativa di Hamas e' stata subito denunciata da una organizzazione umanitaria locale, a-Damir, che l'ha trovata arbitraria ed ingiustificata. Il divieto - viene precisato da Gaza - non riguarda per il momento le sigarette, che restano lecite. Qualcuno ha osservato, con toni beffardi, che le donne di Gaza potrebbero forse protestare per la privazione del narghilé passando in massa al fumo in pubblico di sigari o pipe, che per il momento nella Striscia non hanno molti estimatori e verso i quali di conseguenza non sono stati ancora elaborati divieti.

(il Giornale, 18 luglio 2010)

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L'etica della responsabilità

di Ugo Volli

Ma è giusto sentirsi in lutto a Tishà be Av, che ricorda le due cadute di Gerusalemme, ancora oggi, sessantadue anni dopo la fondazione dello Stato di Israele e quarantatre dopo la riconquista della città? Difficile negare che questa ricorrenza abbia perso per molti la sua base emotiva, una volta così forte. La tradizione rabbinica insegna però che vi sono molte ragioni per rispettarla. Le nostre ricorrenze hanno sempre molti aspetti: in questo caso non solo la caduta del Tempio, ma una serie di altri eventi negativi che cadono in questa data e le loro radici nel comportamento collettivo. Non intendo entrare qui in quest'ordine di discorso, ma sono d'accordo, per ragioni tutte civili e politiche.
Mi concentrerò solo su un paio di ragioni puramente storico-nazionali per riflettere su questa giornata. La prima ragione per mantenere vivo il ricordo della caduta di Gerusalemme è ovvia: non vi è oggi intorno a Israele né pace né riconoscimento generale; la restaurazione del nostro popolo sulla sua terra non è né stabilizzata né completata né appare probabile che possa esserlo in tempi prevedibili. Anzi, è forte il rischio di altre guerre, di altri lutti e non manca certo chi, fuori ma anche dentro il mondo ebraico, lavora instancabilmente per distruggere, demonizzare, delegittimare lo stato di Israele anche nei suoi limiti attuali. Vi è dunque ancora ragione se non di lutto, di angoscia e di preoccupazione. Tishà be Av è una buona occasione per esprimerli e riflettervi.
La seconda ragione è più specifica: Tishà be Av parla innanzitutto del pericolo della scissione di Israele in sette e fazioni che caratterizzò gli ultimi secoli della sua antica autonomia. Proprio per la divisione nel popolo ebraico cadde il Secondo Tempio, ci suggerisce infatti il Talmud (Yomà 9b). Leggiamo, oltre che da accenni talmudici, anche dalle fonti storiche di cui disponiamo (Giuseppe Flavio, "Guerra Giudaica" II, "Antichità giudaiche" XIII e XVIII, ecc.) che in quel periodo in Israele si combattevano fazioni accanitamente nemiche: saddiucei, farisei, esseni, zeloti, i primi cristiani, altri gruppi di cui ignoriamo tutto salvo una vaga denominazione (per esempio "la quarta filosofia" - ancora G. Flavio). Ciascuno convinto di essere il vero erede della tradizione di Israel e intollerante nei confronti degli altri. I documenti di Qumran, per esempio, come le apocalittiche di altra fonte che ci sono arrivate da quel periodo, sono piene di immagini belliche, di profezie di distruzione, di maledizioni e diffamazioni e intolleranza e del rifiuto del riconoscimento degli avversari come membri dello stesso popolo. Il rischio è che questa situazione si stia ripetendo oggi. Laici e religiosi, destra e sinistra, haredim e modernisti, ebrei di Israele e della diaspora soprattutto americana, sionisti e "post" non sono più differenze che arricchiscono, ma contrapposizioni che separano e indeboliscono: il motore della divisione ha ripreso oggi la sua piena attività. Da Tishà be Av dobbiamo proporci la necessità di un discrimine per non affogare oggi nelle lotte intestine.
Chi è lucido non può farsi troppe illusioni sulla possibilità di superare questi conflitti oggi come ieri attraverso la semplice buona volontà. Non possiamo attendercela certo da parte di quegli ultraortodossi che vanno a far visita a Ahamadinedjad con la bandiera dell'Olp al petto, per condividere la sua delegittimazione di Israele, né da quei docenti universitari "postsionisti" delle università israeliane che pretendono di aver diritto, per via della libertà della scienza, a organizzare il boicottaggio di Israele e delle loro stesse università da cui ricevono lo stipendio. In nome di che cosa giudicheremo queste posizioni?
A me sembra chiaro che il solo criterio possibile sia quello che si trova già nella Torà e che è alla base della democrazia: il rispetto delle scelte della maggioranza: dunque non solo della cornice istituzionale dello Stato di Israele - che è la forma attuale che si è dato il nostro popolo -, ma anche delle scelte politiche che vengono fatte da Governo e Parlamento, cioè dei contenuti di questa cornice. E' di fronte a questo criterio fondamentale - l'adesione al destino storico dell'Israele concreta, non di un'idea astratta e non impegnativa - che tutti gli ebrei devono sentirsi chiamati a esercitare quella che Hans Jonas ha chiamato "etica della responsabilità" in contrapposizione all'"etica della convinzione" o ai semplici interessi di parte. La responsabilità unisce, la convinzione divide. E' facile dare per scontato che esseni, zeloti, cristiani, ecc. fossero perfettamente convinti di fare il giusto con le loro posizioni settarie. Più difficile, ma non impossibile, capire che anche oggi tutti gli estremisti più distruttivi siano in buona fede. Il problema è che la buona fede non basta e neppure la convinzione di avere dalla propria la Torà o la ragione, occorre molto umilmente tener conto dei vincoli e dei dati di fatto per assicurare la sopravvivenza collettiva. Chi non lo fa, chi non rispetta questi limiti, per quanto possa nutrire la fede più grande e l'etica più ferma, rischia di lavorare per un nuovo Tisha be Av, per una nuova caduta di Gerusalemme e per una nuova Shoà. Lo sappia o meno. Su questo rischio la ricorrenza ci chiama a riflettere tutti. Ma soprattutto devono pensarci quelli che si proclamano giudici severi del loro popolo, coloro che hanno la pretesa di indicargli la fede o la giustizia smarrita.

(Notiziario Ucei, 18 luglio 2010)

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Il governo di Israele nel caos, tensioni Lieberman-Netanyahu

I ministri di Yisrael Beytenu si sentono danneggiati dal premier

GERUSALEMME, 18 lug. - Non si placano i conflitti in seno al governo israeliano. Un nuovo braccio di ferro ha visto protagonisti - secondo la stampa dello stato ebraico - il ministro degli Affari esteri Avigdor Lieberman, turbolento leader della destra nazionalistica, e il primo ministro Benjamin Netanyahu.
La crisi nella coalizione di governo, sulle prime pagine di tutti i quotidiani, è scoppiata due giorni fa dopo l'adozione da parte del governo di una bozza di bilancio che danneggia, secondo Lieberman, i cinque ministeri controllati dal suo partito Yisrael Beytenu (ultranazionalista).
I cinque ministri di Yisrael Beytenu hanno votato all'unanimità contro questo progetto di bilancio biennale sostenuto dal ministro delle Finanze Youval Steinitz, esponente del Likud (destra) e vicino a Netanyahu. La bozza deve ancora passare alla Knesset (parlamento).
Secondo il quotidiano Maariv, uno dei ministri di Yisrael Beytenu, Stas Misezhnikov (Turismo), ha accusato Steinitz di "tradimento" durante una riunione di governo caratterizzata da molti insulti.
Lieberman avrebbe manifestato la sua insoddisfazione nominando venerdì di sua iniziativa un nuovo rappresentante di Israele alle Nazioni Unite, l'attuale ambasciatore israeliano a Bogotà Meron Reuven, senza il via libera del primo ministro. A inizio luglio, Lieberman aveva già espresso la sua rabbia e aveva fatto aleggiare la minaccia di una crisi di governo a seguito di una riunione segreta organizzata a sua insaputa tra il ministro del Commercio e dell'Industria, Binyamin Ben Eliezer, e il capo della diplomazia turca Ahmet Davutoglu.
Decisamente a destra sullo scacchiere politico, Yisrael Beytenu è il principale alleato della coalizione di Netanyahu, con 15 deputati. I contrasti tra i due dirigenti si sono moltiplicate ultimamente: si contrappongono anche sull'opportunità di esaminare alla Knesset questa settimana una controversa proposta di legge sulle conversioni al giudaismo, un'iniziativa che suscita le proteste nella comunità ebraica e a cui è contrario Netanyahu.
Lieberman ha inoltre messo a punto un "piano di separazione totale" di Israele e della Striscia di Gaza, un progetto non ufficiale rivelato da fughe di stampa che non è stato approvato dal governo. Citato oggi dal quotidiano Haaretz, Miseznikov ha sottolineato che Yisrael Beytenu "non vuole né rovesciare la coalizione governativa, né lasciare il governo". Lieberman e Netanyahu hanno avuto un colloquio telefonico e hanno deciso di incontrarsi domani per tentare di appianare le loro divergenze, ha precisato la radio pubblica. In realtà, Lieberman ha le mani legate perché il procuratore generale dello stato deve pronunciarsi su eventuali procedimenti giudiziari a suo carico a proposito di un caso di corruzione che si trascina da anni. Ha promesso di dimettersi se incriminato.

(Apcom, 18 luglio 2010)

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Record di aiuti militari americani a Israele

di A.Terenzi

Un articolo dell'autorevole quotidiano Haaretz del 16 luglio dà notizia delle importanti dichiarazioni dell'assistente ministro degli esteri americano, Andrew J. Shapiro, in occasione di un discorso al think thank pro-israeliano Brookings Saban Center for Middle East Policy di Washington.
L'alto funzionario americano ha rivelato l'intenzione dell'amministrazione Obama di aumentare l'annuale aiuto militare a Israele fino al livello di 2775 milioni di dollari, il più alto mai raggiunto nella storia degli aiuti americani allo Stato ebraico.
L'amministrazione americana cercherà di collegare questo enorme finanziamento militare alla riapertura delle trattative israelo-palestinesi, sostenendo, secondo il diplomatico, che "la speranza che un accresciuto impegno dell'amministrazione americana nella sicurezza di Israele farà avanzare il processo di pace, aiutando Israele a cogliere l'opportunità di adottare le forti decisioni necessarie per una pace soddifacente".
"Israele è un alleato vitale ed un elemento portante nel nostro impegno per la sicurezza della regione", ha dichiarato Shapiro, aggiungendo che "il sostegno americano alla sicurezza di Israele è molto di più di un atto di amicizia. Noi siamo completamente impegnati per la sicurezza di Israele perché essa potenzia la nostra sicurezza nazionale e perché aiuta Israele a fare i passi necessari per la pace"(1).
L'assistente ministro degli esteri americano ha poi ovviamente fatto riferimento alle minacce cui sarebbe esposto lo Stato ebraico, citando, oltre all'Iran, la Siria e le milizie di Hezbollah e Hamas, a fronte delle quali gli Usa hanno inserito, nel programma di aiuti militari di cui si è detto, la vendita di cacciabombardieri F-35, il sistema d'arma più avanzato dell'aviazione Usa, e il finanziamento del sistema antimissile Iron Dome, sviluppato autonomamente da Israele ma per il quale risulta fondamentale l'apparato di copertura aerea americano installato nella base israeliana di Nevatim(2), e che, secondo lo stesso quotidiano, dovrebbe diventare completamente operativo proprio nel corso di questa estate.
Lo stesso funzionario ha precisato che nel corso degli ultimi quindici mesi si sarebbero svolti oltre 75 incontri ad alto livello politico militare fra rappresentanti statunitensi ed israeliani, a dimostrazione dell'intensità dell'impegno americano e della continua consultazione sulla situazione strategica della regione.
Del resto, nell'incontro di oltre trentasei rappresentanti ebraici del Congresso degli Stati Uniti con Obama, lo scorso 18 maggio maggio, il deputato repubblicano Steve Rothman aveva dichiarato che "dal punto di vista militare e della condivisione dell'intelligence, l'amministrazione Obama è nei confronti di Israele la migliore amministrazione americana di sempre"(3), a conferma del fatto che, nonostante le grandi aspettative suscitate in un primo momento fra i non addetti ai lavori, il governo Obama sia in realtà fortemente sbilanciato a favore dello Stato ebraico.
Ma, in ambito statunitense, vi sono ulteriori supporti alle posizioni israeliane, anche quelle più estremistiche. Lo dimostra un recente documentato servizio del New York Times secondo il quale oltre 200 milioni di dollari arriverebbero agli insediamenti israeliani di Cisgiordania e Gerusalemme da organizzazioni filo-israeliane americane, con il beneplacito e qualche imbarazzo del ministero delle finanze Usa, trattandosi di somme spesso destinate all'acquisto di materiali di uso militare e oltretutto esentasse per il fisco Usa, in quanto appunto oggetto di donazioni "benefiche".
E' il caso di notare che molte di queste organizzazioni appartengono all'area dei "cristiani sionisti" che, come spiega il quotidiano, "credono che l'aiuto dei cristiani agli ebrei qui nella Cisgiordania occupata preannunci il secondo avvento di Cristo"(4), una prospettiva escatologica che, come ha evidenziato Colonna in un recente volume(5), è stata finora poco studiata e che aiuta molto a comprendere sia le origini del problema israelo-palestinese sia le ragioni profonde del coinvolgimento anglo-sassone nel sostegno allo Stato ebraico fin dalle sue origini.

1) N. Mozgovaya, "U.S. official: More U.S. aid will help Israel make 'tough' decisions", Haaretz, 16 luglio 2010.
2) A. Terenzi (a cura di), "Israele, l'Iran, Obama e i 60 anni della Nato",
3) citato in G. Colonna, "Medio Oriente: momenti cruciali", Antimafia Duemila, Anno Xo o Numero 2 - 2010, No o65; anche su
4) J. Rutenberg, M. McIntir, E. Bronner, "Tax-Exempt Funds Aiding West Bank Settlements", The New York Times, 6 luglio 2010.
5) G. Colonna, Medio Oriente senza pace, Edilibri, Milano, 2009.

(Clarissa.it, 18 luglio 2010)

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A Gerusalemme si progetta un parco divertimenti

A tema biblico, dedicato al Re Davide

A Gerusalemme sorgerà un parco divertimenti a tema biblico. E' quanto si legge su fonti di stampa. Il nome dovrebbe essere "Parco archeologico di Re Davide", in costruzione nel quartiere Silwan. Oltre al parco, che nelle intenzioni dovrebbe diventare un nuovo punto di riferimento per il target famiglie, dovrebbe sorgere anche un complesso turistico su una superficie di 100mila mq.

(Guida Viaggi, 17 luglio 2010)

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La kefiah cinese fa dimenticare Arafat

Un solo operaio nell'azienda di Hebron, ispirata al leader palestinese

di Davide Frattini

Yasser Hirbawi nella sua fabbrica
HEBRON — Le macchine sono immobili sotto la polvere, paralizzate come i negoziati di pace. Il simbolo della causa palestinese sta sulla testa stropicciata di Yasser Arafat, i suoi poster a colori foderano la fabbrica di Yasser Hirbawi. Che al leader morto nel 2004 deve l'ispirazione per queste diciassette filatrici, marca giapponese, comprate a partire dal 1961, «perché volevo che in Cisgiordania smettessero di comprare le kefiah all'estero, in Siria». A quei tempi, Arafat vagheggiava dall'esilio in Kuwait uno Stato per il suo popolo e Hirbawi vendeva l'orgoglio di indossare un prodotto locale, con quel disegno in bianco e nero, ancora ispirato alle reti da pesca e alle spighe di grano, come alle origini in Mesopotamia.

La crisi per Yasser l'uomo d'affari è iniziata proprio quando quello Stato è sembrato più vicino a realizzarsi. Gli accordi di Oslo nel 1993 hanno aperto l'economia dei territori al mondo e alla concorrenza. I foulard degli Hirbawi, 100 per cento cotone, costano il doppio di quelli importati, soprattutto dalla Cina. Da trentamila kefiah all'anno, la produzione è scesa a poco più di 1800, cinque al giorno, filate sull'unica macchina che resta in funzione. Abdel Aziz ripete gli stessi gesti da quarantatré anni. E' l'ultimo operaio rimasto («senza di lui avremmo già chiuso»), accarezza il tessuto con rispetto, come un cucciolo in via d'estinzione. «L'Autorità palestinese non ci ha aiutato», spiega Izzat, uno dei figli che hanno scelto di lavorare nella fabbrica. «Anche i nostri leader comprano all'estero e i non indossano più la kefiah. Così ci siamo messi a produrre le sciarpe bianche e nere che distribuiscono alle manifestazioni pubbliche. Abbiamo detto al ministero della Gioventù "usate le nostre", non quelle che arrivano da fuori. Non siamo riusciti a trovare un accordo».

Yasser Arafat non ha mai visitato la manifattura, ogni tanto mandava i suoi emissari a comprare un foulard, che il presidente esibiva appoggiato sulla fronte in modo da riprodurre la forma della Palestina storica, dal fiume Giordano al Mediterraneo. Quando i fondamentalisti di Hamas hanno deciso di contrastare, alla fine degli anni Ottanta, il potere dei laici di Fatah, hanno adottato il copricapo tradizionale, ma con il rosso e il bianco. Gli stessi colori usati ancora oggi dai marxisti del Fronte popolare, anche se nelle università della Cisgiordania i gruppi non si fronteggiano più con il fervore dei tempi impegnati. Sugli scaffali impolverati, i cappelli da tifoso con il rosso, verde, bianco e nero delle bandiera palestinese hanno sostituito stendardi più politici. I foulard sgargianti rimaneggiano la tradizione per conquistare il gusto dei turisti. «Da Ramallah, ci hanno criticato perché dicono che le usanze vanno rispettate. Noi che cosa possiamo fare? Stiamo fallendo», continua Izzat. I burocrati dei ministeri hanno fermato anche il progetto di entrare nel Guinness dei primati con una kefiah di 18 metri per 18. «Hanno bloccato tutto, secondo loro offendeva la causa palestinese. Abbiamo venduto al governo il fazzoletto gigante, non ci hanno mai pagato». Non lontano dal magazzino semibuio, i turchi dovrebbero costruire una zona industriale voluta da Tony Blair, inviato del quartetto per il Medio Oriente e sponsor internazionale per il rilancio dell'economia in Cisgiordania. «Le mie macchine sono in buone condizioni — dice Yasser, 79 anni —, ho solo bisogno di un mercato e possono ripartire». Prima del tracollo, il frastuono degli aghi metallici andava avanti ininterrotto per diciotto ore al giorno.

La famiglia ha tentato di convincerlo a cambiare strategia, diventare importatori invece che produttori. Un altro figlio aveva stabilito i contatti in Cina, il padre non ha voluto. «I nostri tessuti sono migliori, tutti naturali, senza poliestere». Fino al 2000, nei territori esistevano 120 fabbriche tessili, adesso resta solo questa a Hebron e il patriarca non vuole cedere.

(Corriere della Sera, 17 luglio 2010)

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C'è il governo turco dietro la «flottiglia per Gaza»

di Roberto Fabbri

Il «New York Times» denuncia: l'organizzazione IHH, che ha finanziato il vaiggio della nave «Marmara», è direttamente collegata al partito del premier Erdogan

Brutte notizie per il governo Erdogan e la fonte è il «New York Times». Secondo il quotidiano americano, l'IHH - l'organizzazione che ha finanziato il viaggio della nave Mavi Marmara nella Freedom Flottilla verso Gaza - sarebbe direttamente collegata con il suo esecutivo e sarebbe pronta a sostenerlo nelle prossime elezioni politiche che si terranno nel 2011 e che saranno particolarmente critiche per il partito islamico moderato del premier. La fonte è un dirigente vicino al governo di maggioranza che ha parlato in condizioni di assoluto anonimato, vista la materia particolarmente delicata.
La Mavi Marmara era carica di aiuti umanitari diretti proprio agli abitanti della Striscia. All'alba del 31 maggio, dopo aver rifiutato l'ispezione da parte delle autorità competenti è stata attaccata in acque internazionali dalla marina israeliana. Il bilancio degli scontri a bordo (con i "pacifisti" che hanno usato bastoni e coltelli) è stato di 9 morti, tutti da parte turca. L'IHH era schedata dal 2008 dal Mossad e dalla Cia come organizzazione che finanziava Hamas. Per questo in molti avevano parlato di provocazione da parte dell'IHH e automaticamente anche di Ankara. Le reazioni del governo turco e del popolo della Mezzaluna all'accaduto sono state molto dure e ora i rapporti fra Ankara e Gerusalemme sono in profonda crisi.
Sempre secondo il «New York Times», c'erano anche 10 parlamentari dell'Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo che guida la maggioranza nel Parlamento turco, che erano pronti a salire sulla nave al momento della sua partenza da Istanbul a fine maggio, ma sono stati fermati all'ultimo momento dal ministero degli Esteri, perché la loro presenza avrebbe potuto fare salire troppo la tensione. Inoltre, almeno 21 delle persone a bordo della Mavi Marmara avrebbero legami molto stretti con la formazione di Erdogan.
Nel board dell'IHH inoltre ci sarebbero persone che hanno addirittura ricoperto incarichi ufficiali nel partito, anche quello di parlamentare.

(il Giornale, 17 luglio 2010)

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Iran - Attentato alla moschea, l'Iran accusa l'Occidente ed Israele

La polizia ha effettuato una quarantina di arresti

TEHERAN, 17 lug. - L'Iran ha accusato i Paesi occidentali e Israele di esser responsabili del doppio attentato suicida contro una moschea sciita costato la vita giovedì a 27 persone, rivendicato dal gruppo armato di opposizione sunnita, Jundallah. "I responsabili di questo crimine sono stati addestrati ed equipaggiati fuori dal Paese per poi entrare in Iran: questo cieco atto terroristico è stato perpetrato da dei mercenari del 'mondo arrogante'", ha affermato il vice-ministro degli Interni iraniano, Ali Abdollahi, le cui dichiarazioni sono state riportare dalla televisione di Stato iraniana. Il titolare del dicastero, Mostafa Najjar, ha da parte sua puntato il dito contro Israele: "Gli atti terroristici dei sionisti hanno un certo numero di obbiettivi, fra i quali quello di causare divisioni fra sciiti e sunniti". La polizia iraniana ha reso noto di aver effettuato una quarantina di arresti nell'ambito delle indagini sull'attentato, avvenuto nella località di Zahedan. Teheran accusa regolarmente l'Occidente - ma anche i servizi pachistani - di armare ed addestrare Jundallah, gruppo sunnita del Belucistan da dieci anni in lotta contro il governo centrale; l'organizzazione estremista ha reso noto di avere voluto vendicare la morte del proprio leader storico, Abdolhamid Rigi, giustiziato il mese scorso.

(Apcom, 17 luglio 2010)

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Israele: lasciamo Gaza ad Hamas

Cedere Gaza ad Hamas con l'assistenza della Ue: alla vigilia della visita del ministro degli Esteri europeo Catherine Ashton, Israele lancia una proposta radicale, quasi una provocazione, per sganciarsi dalla situazione della Striscia che non riesce a tenere sotto controllo, con la crescente pressione internazionale e le navi di aiuti che vogliono raggiungere il territorio.
Ma Hamas ha gia' respinto l'idea-choc al mittente, facendo sapere che il destino di Gaza e' "inseparabile" da quello della Cisgiordania.
La proposta, secondo quanto anticipa il quotidiano Yediot Ahronot, e' stata messa a punto dal ministro degli esteri Avigdor Liberman, che vuole vedere la Ue sempre piu' coinvolta nella Striscia. Ovvero: con l'assistenza economica dell'Unione europea, la Striscia potrebbe diventare indipendente. Inoltre, la Ue si farebbe carico anche della gestione degli aiuti, e quindi del controllo dei valichi, visto che gia' da tempo Bruxelles parla di voler riaprire quello di Rafah.
Per avviare l'inclusione della Ue nel problema di Gaza, Israele vuole chiedere fin da subito dei passi importanti: in particolare, la costruzione di un impianto per la produzione di energia elettrica e di altri due per la desalinizzazione e la depurazione dell'acqua. La comunita' internazionale dovrebbe anche provvedere a un massiccio piano di costruzione di nuove abitazioni.
Lo Stato ebraico, secondo la strategia di Lieberman, chiuderebbe completamente i suoi confini con la Striscia, alla quale si accederebbe solo via mare.
Ma Hamas ha rigettato l'idea in toto: per Sami Abu-Zuhri, portavoce del movimento islamico, "Gaza e' parte della terra palestinese e respingiamo ogni tentativo di staccarla dal resto dei territori". Hamas, ha proseguito il portavoce, "non permettera' che chi occupa la terra palestinese evada dalle sue responsabilita"'.
Intanto, il capo della diplomazia italiana, Franco Frattini, ha annunciato che l'attesa missione dei ministri degli Esteri Ue a Gaza - affidata all'Italia proprio da Lieberman - si svolgera' a settembre. "Andremo a Gaza con un gruppo di ministri europei che condividono con me la necessita' di vedere e di aiutare il popolo che vive a Gaza, un popolo che soffre, ma senza che questo possa legittimare, o rilegittimare, l'organizzazione di Hamas", ha detto Frattini.

(RaiNews24, 16 luglio 2010)

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La maggioranza degli americani: Sì ad un attacco israeliano contro l'Iran

Lo rivela un sondaggio

ROMA, 16 lug. - La maggioranza degli americani appoggerebbe un attacco israeliano contro l'Iran. Lo rivela un sondaggio realizzato da TIPP (TechnoMetrica Market Intelligence) in un istituto di ricerca americano, secondo quanto riporta il sito web del quotidiano Haaretz. Secondo il sondaggio, il 56 per cento degli americani è favorevole a un attacco militare da parte di Israele contro gli impianti nucleari iraniani, mentre il 30 per cento è contrario. Risultati simili si riscontrano anche in un sondaggio realizzato dal Pew Research, con il 66 per cento degli americani a favore dell'attacco e il 24 per cento contrario. La scorsa settimana il senatore americano John McCain, dopo un incontro con il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, ha comunque detto di non credere che Israele stia pensando di attaccare l'Iran.

(Apcom, 16 luglio 2010)

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Gheddafi vuol rubare Gaza ad Ahmadinejad. Per soldi

di Gian Micalessin

L'ultima mossa del Colonnello: Tripoli si aggiudica attraverso la mediazione egiziana il via libera per la ricostruzione di parte della Striscia palestinese

Dopo l'iraniano Mahmoud Ahmadinejad e il turco Recep Tayyp Erdogan i palestinesi di Gaza possono vantare un terzo padrino eccellente. Lui si chiama Gheddafi e anche se di nome fa soltanto Saif Al Islam la sua volontà non si scosta molto da quella di papà Muhammar. Dietro la tranquilla navigazione del cargo Amalthea - approdato giovedì nel porto egiziano di Al Arish senza neppure sfidare le motovedette israeliane dispiegate davanti a Gaza - si nasconde un gioco assai complesso. Un gioco grazie al quale la Libia punta a trasformarsi nel terzo incomodo della Striscia per contrastare l'influenza dell'Iran e imporsi come nuovo influente interlocutore di Hamas.
Saif Al Islam Gheddafi
Il primo a farlo capire è lo stesso figlio di Gheddafi regalando ad al-Sharq Al Awsat, quotidiano in lingua araba pubblicato a Londra, un'intervista in cui svela obiettivi e retroscena della missione sponsorizzata dalla sua fondazione. Una missione studiata per trasformare la Libia nel principale sponsor della ricostruzione di Gaza d'intesa con Egitto e Israele. Per capirlo basta far attenzione alla battuta con cui Saif Al Islam Gheddafi ricorda che «per portar via l'uva dalla vigna non serve uccidere il guardiano». Nel caso specifico i palestinesi sono l'uva da conquistare mentre Israele è il guardiano con cui raggiungere un compromesso soddisfacente. Ma Saif Gheddafi non si ferma lì. Nell'intervista ammette l'esistenza di un accordo segreto con Israele e con l'Egitto, negoziato dal ministro della difesa israeliano Ehud Barak e dal capo dei servizi segreti del Cairo Omar Suleiman. Un accordo favorito anche dalla mediazione dello spregiudicato Martin Schlaff, un uomo d'affari austriaco di religione ebraica in ottimi rapporti sia con il leader libico Muhammar Gheddafi sia con il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Liebermann. Grazie a quelle contrattazioni le 2.000 tonnellate di cibo e medicinali trasportate dal cargo Amalthea e scaricate nel porto egiziano di Al Arish arriveranno a Gaza attraverso il valico egiziano di Rafah.
Dietro la teatrale messa in scena dell'Amalthea, studiata per dare l'impressione di una sfida a Israele simile a quella organizzata dalla Turchia a fine maggio, si nasconde, come svela lo stesso Saif Al Islam, un piano molto più ricco finanziariamente e molto più complesso dal punto di vista politico e strategico. «Ben presto invieremo 50 milioni di dollari in coordinamento con le Nazioni Unite per ricostruire Gaza, e trasferire aiuti umanitari senza la minima obiezione del governo israeliano» spiega Saif. La disponibilità israeliana è stata ottenuta dal generale Omar Suleiman, l'onnipotente capo dei servizi egiziani protagonista - mentre l'Amalthea concludeva la sua rotta - dell'ennesima trattativa segreta con Israele. «Il ministro della difesa Ehud Barak - racconta Saif Gheddafi - ha telefonato al generale Suleiman e subito dopo noi abbiamo ricevuto una lettera con cui loro (gli israeliani) si dichiaravano pronti ad acconsentire al primo stanziamento di 50 milioni di dollari per Gaza».
L'Iran, grande finanziatore di Hamas e dei palestinesi di Gaza, rischia di trovare pane per i propri denti. Anche perché i petroldollari di un «colonnello» sgravato da sanzioni e controlli internazionali appaiono molto più sicuri di quelli di un Iran impegnato in uno sforzo colossale per imporsi come potenza egemone e al tempo stesso a garantire i fabbisogni di 70 milioni di cittadini sempre più scontenti.

(il Giornale, 16 luglio 2010)

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Lieberman chiede all'Europa di occuparsi di Gaza

TEL AVIV, 16 lug - In occasione dell'imminente visita in Israele e a Gaza di Catherine Ashton, responsabile della politica estera europea, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ha messo a punto un piano che prevede un forte coinvolgimento nella Striscia da parte dell'Unione europea. Secondo il giornale Yedioth Ahronot, Israele incoraggerà l'Unione europea a realizzare a Gaza importanti progetti fra cui: la costruzione di centrali elettriche, di desalinatori di acqua marina, di impianti di depurazione per il sistema fognario nonché l'avvio di progetti di edilizia popolare, nella fiducia che in prospettiva esso serva ad Israele a "distaccarsi" definitivamente dalla sorte di Gaza, a cinque anni dal ritiro unilaterale voluto dal premier Ariel Sharon. Lieberman, prosegue Yediot Ahronot, vorrebbe anche vedere forze europee (fra cui la Legione straniera francese ed unità di commando) impegnate nella lotta al contrabbando di armi verso Gaza. Israele non si opporrebbe più all'ingresso di navi a Gaza se esse fossero preventivamente sottoposte a ispezioni a Cipro o in Grecia.

(Notiziario Ucei, 16 luglio 2010)

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Per il 46% degli israeliani Obama è piu' filo-palestinesi

Per il 46% degli israeliani, Barack Obama e' piu' filo-palestinese che non filo-israeliano: lo rileva un sondaggio pubblicato oggi da Jerusalem Post. Appena il 10% ritiene che il presidente Usa sia piu' pro-israeliano, il 34% lo ritiene neutrale e il 10% e' "senza opinione".
Stando al sondaggio, il positivo incontro del 6 luglio alla Casa Bianca fra il premier Benjamin Netanyahu e Obama non avrebbe prodotto sostanziali cambiamenti nella percezione degli israeliani riguardo al presidente Usa. Infatti, il precedente sondaggio, in marzo, aveva visto il 48% degli israeliani ritenere Obama filopalestinese e il 9% filoisraeliano.

(Clandestinoweb, 16 luglio 2010)

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Kafka, i manoscritti segreti escono dalle casseforti

Manoscritti e disegni dello scrittore Franz Kafka saranno tirati fuori dalle cassaforti della banca svizzera Ubs, la prossima settimana, nell'ambito di una controversia giudiziaria tra gli eredi dei documenti e le autorità israeliane

Franz Kafka
ZURIGO - Manoscritti e disegni dello scrittore Franz Kafka saranno tirati fuori dalle cassaforti della banca svizzera Ubs, la prossima settimana, nell'ambito di una controversia giudiziaria tra gli eredi dei documenti e le autorità israeliane. Stando a quanto scrive oggi il quotidiano svizzero Neue Zuercher Zeitung, lunedì prossimo verranno aperti quattro compartimenti delle casseforti di Ubs, dove da oltre 50 anni sono depositati manoscritti e disegni dell'autore del Processo, morto di tubercolosi nel 1924 in Austria. Contattata dalla France presse, l'Ubs non ha voluto commentare la notizia, sottolineando che è prassi non rivelare informazioni sulle "attività della clientela".

PROCESSO A TEL AVIV. L'apertura delle casseforti a Zurigo avverrà in contemporanea con un'operazione simile in due banche a Tel Aviv, su ordine di un tribunale israeliano. Il professore di letteratura Itta Shedletzky sarà la prima persona ad avere accesso a questi documenti e a farne l'inventario. Nato nel 1883 a Praga, Kafka avevano incaricato il suo amico Max Brod di bruciare la sua opera alla sua morte, ma, venendo meno alla volontà dello scrittore, Brod, emigrato a Tel-Aviv nel 1939 per sfuggire al nazismo, pubblicò i testi. Prima di morire designò il suo segretario, Esther Hoffe, come suo erede che, a sua volta, ha lasciato tutti i suoi beni alle figlie. Alla morte della madre, tre anni fa, queste ultime hanno voluto farsi confermare l'eredità dalle autorità israeliane. A Tel Aviv è quindi in corso un processo per stabilire se le eredi possano disporre liberamente di questo patrimonio. La Biblioteca nazionale di Israele a Gerusalemme ha colto l'occasione per tentare, secondo il direttore Shmouel Har-Noì, di "recuperare i manoscritti di Kafka".

(il Giornale, 16 luglio 2010)

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Israele - La polizia arresta 17 attivisti di Greenpeace

Si erano infiltrati in una centrale elettrica di Hadera

GERUSALEMME, 16 lug. - La polizia israeliana ha arrestato 17 attivisti di Greenpeace che si erano infiltrati nella centrale elettrica di Hadera per protestare contro l'utilizzo del carbone come combustibile per gli impianti di generazione: lo ha reso noto la stessa organizzazione ambientalista. Gli attivisti si sono avvicinati alla centrale - situata sulla costa - a bordo di alcuni gommoni per poi arrampicarsi con delle funi su una banchina per lo scarico del carbone; sei sono stati arrestati immediatamente mentre altri nove sono stati fermati quando la nave madre "Rainbow warrior" ha raggiunto il porto israeliano di Haifa.

(Apcom, 16 luglio 2010)

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Cittadinanza dei palestinesi, si giurerà fedeltà allo stato ebraico

GERUSALEMME, 16 lug. - Per i palestinesi sara' piu' difficile diventare cittadini israeliani. Domenica il governo Netanyahu dovrebbe approvare un provvedimento che richiede loro di giurare "fedelta' allo Stato ebraico e democratico" per ottenere la cittadinanza. La nuova normativa, anticipata da Haaretz, riguarda in particolare uomini e donne che sposano un cittadino israeliano e poi chiedono la cittadinanza o la residenza in Israele in base alla riunificazione familiare. Il centro legale per la difesa dei diritti della minoranza araba in Israele Adalah ha definito "grave" la decisione di imporre una dichiarazione di fedelta' perche' "impone ai non ebrei di identificarsi con il sionismo e il giudaismo". Le altre restrizioni non dovrebbero prevedere novita' rispetto alla normativa che e' stata prorogata di anno in anno in base a una legge del 2005.

(AGI, 16 luglio 2010)

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Turchia - La crisi con Israele investe l'economia del Mar Nero

Prenotazioni turistiche in calo del 70%

ISTANBUL, 15 lug. - Non lo avrebbe mai detto nessuno, ma, mentre tutti erano presi a vedere quali fossero le conseguenze della crisi turco-israeliana nella regione mediterranea, nessuno ha guardato al Mar Nero e invece i risultati sono drammatici.
Un report pubblicato dal quotidiano Hurriyet mostra come nella zona di Artvin i due terzi delle prenotazioni per quest'estate siano stati cancellati. In Turchia era un segreto un po' per tutti, ma in questa regione verde e di confine il 70% del flusso turistico fino a prima della crisi dei rapporti era rappresentato da ebrei.
Il risultato ora è che a decine di famiglie è stata tolta l'unica fonte di reddito che avevano oltre a quella del trasporto merci con i muli. Le cancellazioni nei villaggi intorno ad Artvin sono state circa 5.000, a queste vanno contate le 100mila nella zona costiera mediterranea. Ma mentre ad Antalya i buchi possono essere riempiti da turisti di altra provenienza ad Artvin no.
Secondo gli abitanti della zona il declino è iniziato dopo il famoso discorso a Davos del premier Erdogan che attaccò il presidente israeliano Simon Peres per l'operazione Piombo Fuso condotta sulla Striscia di Gaza da Tel Aviv in reazione agli attacchi di Hamas. A fare poi degenerare la situazione è arrivata la faccenda della Freedom Flottiglia, con la nave turca Mavi Marmara attaccata in acque internazionali e nove cittadini della Mezzaluna uccisi dal fuoco della marina israeliana.
Un'altra faccia della crisi internazionale fra i due Stati, che impatta su circa 300 persone, senza fonti di reddito alternative.

(PeaceReporter, 15 luglio 2010)

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Il green di Cesarea tra i migliori al mondo


Il Caesarea Golf Club

A poca distanza dalle rovine romane che affascinano centinaia di migliaia di turisti ogni anno, la città di Cesarea propone al viaggiatore danaroso e di classe una meta meno culturale ma di grande suggestione: il Caesarea Golf Club Israel. Parte di un comprensorio che include una vasta scelta di ristoranti, caffè e negozi di qualità, il club è immerso nel verde e a due passi dal mare. Un gioiello di efficienza e bellezza paesaggistica che vede crescere ogni anno il suo prestigio: se ne sono accorti anche alla Rolex, che ha appena pubblicato una guida ai migliori campi da gioco al mondo. 362 si trovano negli Stati Uniti, 282 in Europa, 237 in Asia e Australia, 118 tra Africa e Sudamerica. Uno solo in Israele: quello del Caesarea Golf Club. "Non siamo sorpresi di essere nella guida Rolex perché il nostro è un club di livello assoluto", hanno fatto sapere dalla direzione. Progettato da alcuni nomi di spicco del panorama golfistico internazionale tra cui il grande Peter Dye, il campo di Cesarea è teatro di vari eventi e rassegne. Nel 2009 ha ospitato alcune gare delle Maccabiadi, i Giochi Olimpici per atleti ebrei.

(Notiziario Ucei, 15 luglio 2010)

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Hamas deluso, la nave libica va in Egitto

di Gian Micalessin

Nonostante le insistenze dell'ex premier integralista Haniyeh, la "Amalthea", giunta a poche miglia da Gaza, rinuncia a forzare il blocco. Incursori israeliani pronti a intervenire ma un nuovo arrembaggio pare escluso

Gaza è ad un tiro di schioppo, ma gli unici a sperare in una nuova puntata di sangue, sparatorie e arrembaggi son quelli di Hamas. Da ieri mattina radio e televisioni della Striscia diffondono i proclami del leader fondamentalista Ismail Haniyeh che esorta la fondazione libica guidata dal figlio di Gheddafi Seif Al Islam a portare alle estreme conseguenze la sfida con Israele e puntare su Gaza il timone del cargo Amalthea. «I convogli devono continuare, le nazioni islamiche devono aiutarci a metter fine al blocco», ripete l'ex primo ministro di Hamas. Fuori da Gaza non ci crede nessuno. Antonio - l'ufficiale cubano al comando del cargo con bandiera moldava sponsorizzato dai libici - ha già fatto capire, sostengono i portavoce militari israeliani, di non aver intenzione di rischiar la pellaccia e di esser pronto a deviare verso il porto egiziano di El Arish. Anche le dichiarazioni di Youssef Sawani, portavoce della fondazione organizzatrice della spedizione, non sembravano far temere una ripetizione dell'arrembaggio del 30 maggio costato la vita - dopo duri scontri con gli incursori israeliani - a nove militanti turchi. E così ieri sera si è arrivati al logico epilogo, con l'ingresso della Amalthea nel porto di El Arish.
«Innanzitutto e prima d'ogni altra cosa vogliamo arrivare a Gaza - ripeteva Sawani ad Al Jazeera - ma se sarà impossibile non faremo correre rischi a nessuno». Come dire: se gli israeliani ci fanno passare bene, altrimenti tanti saluti. Più la meta s'avvicina dunque più le duemila e passa tonnellate di aiuti in cibo e medicinali pagate dalla fondazione del figlio di Gheddafi sembran destinate a sbarcare in Egitto per poi arrivare a destinazione finale attraverso il valico di Rafah. I libici non hanno, del resto, nessuna intenzione di far guerra a Israele. A papà Gheddafi e al figlio, basta la soddisfazione di tenere il mondo con il fiato sospeso mentre un convoglio con la bandiera di famiglia simula una sfida al «nemico sionista» e suona la grancassa della solidarietà con i «fratelli» della Striscia. Per il resto Gaza o Egitto che sia poco importa. Al governo israeliano di Bibì Netanyahu - uscito politicamente distrutto dalla querelle internazionale seguita all'uccisione dei nove militanti turchi - va benissimo risolvere la questione nella maniera più tranquilla possibile. Non a caso il governo Netanyahu ha accettato di buon grado la mediazione di Martin Schlaff, uno spregiudicato uomo d'affari austriaco di religione ebraica famoso per gli ottimi rapporti intrattenuti sia con il leader libico Muhammar Gheddafi, sia con il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Liebermann.
Così mentre ieri pomeriggio il cargo navigava a 25 chilometri dalle coste egiziane di El Arish, una serie di telefonate sul triangolo Gerusalemme-Tripoli-Vienna metteva a punto i dettagli per una soluzione concordata della questione. Il rischio di un'improvvisa involuzione è però sempre presente e le motovedette israeliane cariche di incursori mantengono il massimo stato d'allerta. L'eventualità peggiore resta quella di un ammutinamento dei 9 «volontari» filo palestinesi imbarcati sull'Amalthea, seguito da un tentativo di forzare il blocco. Visto il rigido controllo imposto dalla fondazione libica l'ipotesi sembra aleatoria, ma gli israeliani tengono alta la guardia. «Per ora non ci aspettiamo resistenza - ripetevano ieri i portavoce militari - ma se dovesse succedere non esiteremo a intervenire».

(il Giornale, 15 luglio 2010)

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I "belli" del Knesset

di Maria Luisa L. Fortuna

In Israele, se un deputato vuole andare in televisione per diffondere le proprie proposte politiche, cosa deve fare? Prima di tutto deve essere maschio, attraente e aver raggiunto un alto rango nell'Esercito. Questo è quello che emerge da una ricerca fatta dall'Università di Haifa, che dimostra che la bellezza di un politico ha un'influenza diretta nell'apparire alla televisione israeliana.
Lo studio, pubblicato di recente nell' 'International Journal of Press/Politics' e diretto dal professore Yariv Tsfati, esperto in Comunicazione, si concentra nell'analizzare la relazione tra l'avvenenza fisica dei parlamentari israeliani con il numero delle loro apparizioni televisive e consta che, anche nell'arena politica, la bellezza conquista le telecamere.
I ricercatori hanno utilizzato le foto ufficiali dei membri del 'Knesset', il loro Parlamento tra il 2003 e 2006, per valutare i 'gradi di bellezza'. Per evitare di dare una ulteriore inclinazione politica, hanno portato le foto in Olanda, dove un gruppo di studenti ha stabilito il più attraente in una scala da uno a dieci. Più tardi, si è fatto un monitoraggio del numero di apparizioni dei legislatori nei canali 1, 2 e 10 della televisione pubblica israeliana nei tre anni di legislatura.
L'autore dello studio ha segnalato che: "Dopo aver controllato le altre variabili che influenzano la copertura mediatica, come ad esempio l'età, la posizione politica oppure la gerarchia, si controlla chiaramente che l'essere attraente ha un'influenza diretta su quante volte appare in televisione". Secondo Tsfati, nella scala della bellezza, il numero di apparizioni in televisione s'incrementa con un 27%.
Inoltre lo studio ha sottolineato che le deputate sono molto meno desiderate dalle telecamere che i loro colleghi maschi, dal momento che, di fronte ad una media di 104 apparizioni di deputati durante la legislatura, l'immagine delle deputate femmine appariva in media soltanto 18 volte.
Ha dimostrato che l'aspetto è un fattore più rilevante per le donne piuttosto che per gli uomini ciò è correlato tra l'essere di bell'aspetto e l'andare più spesso in televisione.
In altre parole: se il 'deputato bruttino' ha la possibilità di intrufolarsi in televisione, per la 'deputata bruttina' questo è più difficile. Se poi non si è fatta una bella carriera nell'Esercito, allora la situazione si complica ulteriormente sia per gli uomini che per le donne.
Tsfati spiega che: "Un altro aspetto che è venuto fuori è che, quanto più alto è il rango militare, tanto più appaiono i membri della Knesset in televisione": questo si spiega per il fatto che nello Stato Israeliano il problema della sicurezza è costantemente in agenda.
L'autore dell studio afferma che anche nell' ambito giornalistico il pubblico preferisce vedere persone più attraenti alle quali attribuiscono caratteristiche come carisma, credibilità e fiducia.

(NewsNotizie.it, 15 luglio 2010)

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Accordo tra Egitto e Israele per aiuti libici a Gaza

La Fondazione Gheddafi avvierà un progetto per la ricostruzione nella Striscia

ROMA, 15 lug. - Il cargo libico Amalthea, carico di aiuti umanitari per la Striscia di Gaza, ha potuto attraccare ieri sera al porto egiziano di El Arish grazie a un accordo tra Israele ed Egitto. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz, che rilancia una notizia pubblicata dal quotidiano arabo A-Sharq al-Awsat, pubblicato a Londra.
Secondo A-Sharq al-Awsat, per convincere gli attivisti a bordo del cargo battente bandiera moldava a rinunciare al loro piano di dirigersi verso Gaza per forzare il blocco israeliano, Israele avrebbe concesso alla Fondazione Gheddafi - che sponsorizzava la missione - la possibilità di avviare un progetto per la ricostruzione delle infrastrutture della Striscia. L'accordo sarebbe stato raggiunto dal ministro della Difesa israeliano Ehud Barak e dal capo dell'intelligence egiziana Omar Suleiman.
La Amalthea, partita sabato scorso dalla Grecia, è giunta ieri sera al porto di El Arish. Il suo carico - 2.000 tonnellate di aiuti per i residenti della Striscia - sarà trasferito nel territorio palestinese attraverso il valico di Rafah.
Israele ha imposto un blocco alla Striscia di Gaza tre anni, dopo che il gruppo integralista Hamas ha preso con la forza il controllo del territorio estromettendo le forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese.

(Apcom, 15 luglio 2010)

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Forlì, è la serata di Noa. Note magiche da Israele

Noa
FORLI' - L'attesa è quasi finita. Giovedì sera sbarca in Piazzetta della Misura il fascino eclettico di Noa. La cantante israeliana con la sua voce conturbante sarà accompagnata dai suoi storici musicisti, Gil Dor alle chitarre, Gil Zohar alle tastiere e basso elettrico e Gadi Seri alla batteria e percussioni. Le sue canzoni sono fortemente influenzate dall'ambiente israeliano, con le sue contraddizioni, dalle radici ai due lati del mare, sia nel paese della diaspora, sia in
Nata a Tel Aviv il 23 giugno 1969, da una famiglia di ebrei yemeniti costretti a fuggire dal loro paese a causa dell'ostilità seguente alla proclamazione dello stato d'Israele, Achinoam Nini (questo il suo vero nome), a due anni si trasferisce a New York dove il padre, docente universitario, si è trasferito per lavoro. È un'artista profondamente impegnata nell'utilizzo della musica come strumento di riavvicinamento fra popoli in conflitto, con particolare riguardo alla tragica questione mediorientale.
Forse per questa ragione è stata scelta da Roberto Benigni per cantare il pezzo principale della colonna sonora del suo film La vita è bella, scritta da Nicola Piovani.

(RomagnaOggi.it, 15 luglio 2010)

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Da un sito pro Hamas

Lo shaykh al-Qaradawi: "Visite e pellegrinaggi a Gerusalemme precetti religiosi per tutti i musulmani nel mondo"

IL CAIRO - Nel corso di un convegno pubblico sugli Studi gerosolimitani promosso dall'Unione dei medici arabi del Cairo, lo shaykh Yusuf al-Qaradawi, presidente dell'Unione Internazionale degli Sapienti [gli ulema, ndr] Musulmani (Iums), martedì 13 luglio ha rivolto un invito alla comunità religiosa islamica.
"Non solo i palestinesi, ma tutti i musulmani nel mondo devono considerare le visite e i pellegrinaggi ad al-Quds (Gerusalemme) occupata come un precetto religioso. Questa prescrizione è da considerarsi tale fino a che la Palestina resterà sotto occupazione. I musulmani devono considerarsi derubati della città santa e devono quindi mobilitarsi in sua difesa".
Nel convegno è stata affrontata l'importanza di un processo di divulgazione di una 'cultura di al-Quds' nel resto dei Paesi arabi e musulmani.
Lo shaykh al-Qaradawi ha accusato i regimi arabi che - con le loro decisioni politiche - contribuiscono alla persistenza della "Entità Sionista" nella regione, e non ha risparmiato critiche verso quei media nel mondo arabo che, al servizio degli stessi regimi, diffondono un'idea di convivenza con il sionismo.
Muhammad Subeih, assistente del segretario generale della Lega degli Stati Arabi, ha definito la colonizzazione e la giudeizzazione in corso come "il più pericoloso progetto che grava sul destino della città, volto a fare piazza pulita del patrimonio storico, culturale e religioso palestinese e musulmano".

(Infopal, 15 luglio 2010)


Fa parte della "cultura di al-Quds" la convinzione dichiarata che non è mai esistito un Tempio ebraico a Gerusalemme. Ci si chiede come è possibile che degli intellettuali, indipendentemente dalle loro convinzioni politiche e religiose, possano seriamente dialogare con chi dice simili sciocchezze. Ma esiste una "cultura della menzogna" che trova una sua rispondenza nella "cultura della stupidità".

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Un attacco israeliano a Iran porterebbe a una lunga guerra, dice uno studio

LONDRA - Un attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani farebbe iniziare una lunga guerra e probabilmente non riuscirebbe a evitare che l'Iran arrivi a disporre di armi nucleari, ha detto oggi un gruppo di esperti.
L'Oxford Research Group, che promuove soluzioni non violente al conflitto, ha detto che si dovrebbe evitare un'azione militare in risposta alle presunte ambizioni nucleari iraniane.
"Un attacco israeliano all'Iran farebbe iniziare un lungo conflitto che verosimilmente non riuscirebbe a prevenire l'acquisizione di armi nucleari da parte dell'Iran e, anzi, potrebbe incoraggiarla", si legge nel rapporto.
Un'azione militare creerebbe inoltre ulteriore instabilità, con conseguenze imprevedibili per la sicurezza della regione e del mondo intero.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto il mese scorso una quarta tornata di sanzioni contro l'Iran, sospettando che la Repubblica Islamica stia sviluppando segretamente armi nucleari.

(Reuters, 15 luglio 2010)

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Israele: fare i conti con la carenza di marijuana...

di David Brinn

Quando le IDF, le forze armate israeliane, decidono di far qualcosa, tendono a farlo bene. E fra i compiti affidati ai soldati di stanza lungo il confine meridionale con l'Egitto c'è quello di catturare i trafficanti di droga che attraversano la frontiera. Di solito sono beduini che contrabbandano l'hashish o la marijuana per rispondere alla crescente domanda del mercato israeliano.
Secondo le autorità antidroga israeliane, qualcosa come 110 tonnellate di marijuana e hashish entrano ogni anno in Israele in gran parte per gentile concessione di Egitto, Libano e Giordania. Tuttavia, lo schieramento di tre unità speciali di polizia lungo i confini a nord e a sud del Paese e all'interno dell'aeroporto internazionale hanno consentito un aumento del 30% nei maxi blitz antidroga.
Un servizio pubblicato di recente dal quotidiano Ma'ariv spiega che i militari hanno fatto un gran buon lavoro nel bloccare il traffico di questi stupefacenti, talmente buono che il prezzo della marijuana comprata per strada - sempre che si riesca a trovarla - è andato alle stelle. Molti sono disposti a spendere tre o quattro volte di più per procurarsi la marijuana da laboratorio per uso medico.
Ho deciso così di fare delle ricerche in prima persona per appurare se è davvero così difficile reperire allucinogeni come l'hashish. Attraverso una fitta rete di contatti ho trovato delle persone note per i loro agganci nel contrabbando di stupefacenti. Effettivamente mi hanno confermato che, per la prima volta in tanti anni, sono a secco.
Tutto quadra. Da qualche settimana noto che la gente è più tesa e irritabile. Pensavo fosse il caldo. Ora so perché.

(La Stampa, 15 luglio 2010 - trad. M.G. Pozzi)

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La spunta Israele: fa rotta sull'Egitto la nave libica con gli aiuti per Gaza

Il mercantile con gli aiuti noleggiato dalla Fondazione Gheddafi ha ripreso il suo viaggo verso la Striscia di Gaza dopo un'avaria al motore.

GERUSALEMME, 14 luglio 2010 - La nave con gli aiuti libici per Gaza «Amalthea» ha fatto rotta sull'Egitto, dopo che la Marina israeliana aveva minacciato di intervenire per impedirle di violare il blocco navale attorno alla Striscia. I radar israeliani hanno mostrato che l'Amalthea di sta avvicinando da sud-est al porto di El-Erish, l'approdo suggerito dai mediatori, dove dovrebbe arrivare intorno alle 16 ora italiana.
La Fondazione Gheddafi, che aveva insistito di voler portare gli aiuti direttamente a Gaza e non in un altr porto, non ha ancora confermato il cambiamento di rotta. La radio israeliana ha riferito che l'uomo d'affari ebreo e austriaco Martin Schlaff sta mediando tra il governo israeliano e la Fondazione.
Finisce così l'"odissea" di "Amalthea", che in mattinata aveva ripreso il suo viaggo verso la Striscia di Gaza ma che procedeva "con difficoltà", perchè le unità della Marina israeliana "stanno tentando di farle modificare la rotta", indirizzandola verso l'Egitto. Nella notte la Amalthea si era fermata per un guasto a un motore.

(Quotidiano.net, 14 luglio 2010)

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Israele, rabbini contro vacanze peccaminose: permessi solo hotel con marchio kosher

di Leonard Berberi

La crociata dei rabbini si arricchisce di un nuovo capitolo. Questa volta tutta in salsa estiva. In assenza del marchio "kosher" - scrivono i religiosi - vanno vietate le vacanze in hotel di cui non sia certificato il rispetto dei principi della fede ebraica, essendo contrarie ai principi di «santità e pudore».
L' avviso è stato diffuso da un gruppo di rabbini israeliani ultraortodossi. Che hanno anche invitato la stampa "haredi" (ultraortodossa) a non pubblicare le pubblicità di alberghi e luoghi di vacanza senza il certificato "kosher".
«Le vacanze negli hotel sparsi per il paese e all'estero pongono ostacoli alla santità e al pudore - continuano i rabbini - perché la gente trascorre le vacanze in un'atmosfera di promiscuità e frivolezza. Per questo chiediamo alla stampa "haredi" di non pubblicizzare questi alberghi e, al contrario, rivolgere appelli contro di loro, migliorando così la purezza di Israele».
Come se non bastasse, i rabbini precisano che «trascorrere le vacanze in hotel della Terra Santa o all'estero è una delle infrazioni più gravi dei nostri tempi, di cui molti sono caduti vittima». Per questo si rivolgono agli editori: «Non dovreste nemmeno fare pubblicità (agli alberghi) perché così spingete al peccato». Tra le altre tentazioni presenti negli alberghi? La tv - nazionale e satellitare - e il collegamento Internet in camera.

(DirettaNews.it, 14 luglio 2010)

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Gaza, bloccato ad Atene volo El Al

In segno di solidarieta' al popolo palestinese

ATENE, 14 lug - Il sindacato comunista Pame ha bloccato all'aeroporto di Atene il cancello di imbarco di un volo della compagnia aerea israeliana El Al. Un portavoce ha detto che l'azione contro il volo per Tel Aviv, in corso, e' volta ad ''esprimere solidarieta' al popolo di Gaza'' sottoposto ad un ingiusto blocco.

(ANSA, 14 luglio 2010)

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Era sulla flottiglia, la Knesset revoca privilegi a deputata araba

La deputata araba israeliana Hanin Zuabi è stata privata ieri dalla Knesset di tre importanti privilegi parlamentari. La sua 'colpa'? Era a bordo della nave turca Mavi Marmara, teatro lo scorso maggio di un sanguinoso blitz israeliano.
Con 34 voti a favore e 16 contrari, una commissione della Knesset, al termine di un infuocato dibattito, ha revocato alla Zuabi - del partito nazionalista Balad - il diritto di uscire dal Paese, anche in caso sia implicata in un crimine, le ha tolto il passaporto diplomatico e il diritto di poter disporre degli appositi fondi della Knesset per coprire eventuali spese legali.
"Mi state punendo per vendetta - ha detto Zuabi - io ho il diritto e il dovere di lottare per i miei diritti e i valori" in cui credo. "Non sorprende - ha aggiunto - che un Paese che priva dei diritti fondamentali i suoi cittadini arabi, revochi i privilegi a un membro del Parlamento che rappresenta lealmente il suo elettorato".
"Lei non ha posto in seno alla Knesset israeliana - le ha ribattuto il parlamentare del Likud Yariv Levin, presidente della commissione che ha deciso per la revoca dei privilegi - lei è indegna di possedere la cittadinanza israeliana e mette in imbarazzo i cittadini di Israele, il Parlamento, la popolazione araba e la sua famiglia". Una deputata di Israel Beitenu (destra radicale) ha consigliato alla Zuabi di rivolgersi al presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad e "chiedergli un passaporto diplomatico iraniano". Il partito Balad ha condannato la decisione, definendola "razzista e anti-democratica".

(Blitz quotidiano, 14 luglio 2010)

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Libano, una spia di Israele condannata a morte

Il libanese Hassan Mintash può ancora appellarsi alla Corte militare in secondo grado. La sentenza arriva a pochi giorni dalla dichiarazione del presidente Suleiman, che aveva definito "inaccettabile" il reato di spionaggio a danno della propria patria.

BEIRUT - Il tribunale militare di Beirut ha condannato a morte il libanese Hassan Mintash per spionaggio a favore di Israele. Il presidente della Corte avrebbe deciso l'esecuzione per aver "fornito a Israele informazioni su alcuni degli obiettivi sfruttati durante l'aggressione armata contro il Libano nel luglio 2006", tra cui dati sul personale e sui funzionari di partito e le coordinate geografiche di alcuni edifici in uso a Hezbollah.

L'INDAGINE. Mintash era stato arrestato nell'aprile del 2009 durante una retata messa in atto dalle autorità libanesi al termine di un'indagine su un'ampia rete di controspionaggio. Il libanese condannato potrà comunque presentare ricorso in secondo grado, alla Corte d'Appello militare.

IL PRESIDENTE. La condanna si inserisce nel solco tracciato dal presidente del Libano Michel Suleiman, che pochi giorni fa aveva definito "inaccettabile" lo spionaggio ai danni della propria patria, aggiungendo che avrebbe firmato "ogni condanna a morte" contro chi fosse riconosciuto colpevole per questo reato.

IL PRECEDENTE. La dichiarazione del presidente Suleiman era arrivata dopo un clamoroso caso di sospetto spionaggio in favore di Israele da parte di un alto dirigente della compagnia pubblica di telefonia mobile "Alpha". Per Charbel Azzi, arrestato nel giugno scorso, il procuratore generale dello stesso tribunale aveva chiesto la condanna e l'impiccagione per aver "trattato con il nemico israeliano e fornito informazioni che hanno aiutato l'esercito di Tel Aviv nella guerra contro il Libano". Secondo l'accusa, Azzi avrebbe installato apparecchiature israeliane all'interno della rete di comunicazione libanese che avrebbero permesso per ben 14 anni a Tel Aviv di ricevere informazioni riservate.

(Tg1, 14 luglio 2010)

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Shalit, presentata nella Regione Lazio una mozione di solidarietà

Impegnare il presidente della Regione Lazio "ad esprimere vicinanza e piena solidarietà alla famiglia di Gilad Shalit, a rinnovare allo Stato d'Israele gli antichi ed incrollabili sentimenti di amicizia, ad attivarsi per promuovere la più ferma condanna del movimento terrorista Hamas; a prendere ogni utile iniziativa affinché Gilad Shalid possa essere rapidamente liberato e restituito all'affetto della sua famiglia". È quanto ha scritto in una mozione il consigliere regionale del Pdl Pier Ernesto Irmici che è all'ordine del giorno dei lavori d'aula della Pisana

(la Repubblica - Roma, 14 luglio 2010)

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Crescono le tensioni fra Hezbollah e Israele

di Mel Frykberg

RAMALLAH, 13 luglio 2010 (IPS) - L'intelligence israeliana ha avanzato l'ipotesi di un nuovo conflitto con Hezbollah al nord di Israele, al confine con il Libano, in considerazione anche dell'aumento delle tensioni tra le forze di pace delle Nazioni Unite e i sostenitori di Hezbollah.

"Israele deve essere pronto a qualsiasi provocazione improvvisa o scoppio di ostilità", riferisce all'IPS Dan Diker, dal Centro per gli Affari Pubblici di Gerusalemme: "Così, allo stesso modo, iniziò il precedente conflitto del 2006 tra Israele e Libano, con la cattura di soldati israeliani da parte del partito sciita".
Nel 2006, i guerriglieri di Hezbollah catturarono numerosi soldati israeliani durante un'imboscata lungo il confine. Questo portò allo scoppio del secondo conflitto tra Israele e Libano che durò per oltre un mese finché la Risoluzione Onu 1701 portò alla fine delle ostilità....

(IPS - Inter Press Service News Agensy, 13 luglio 2010)

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Gaza, ultimatum d'Israele alla nave di aiuti libica

Le autorità israeliane hanno dato tempo fino alla mezzanotte per cambiare rotta e navigare verso il porto egiziano di El-Arish, altrimenti invieranno le navi da guerra e scortaranno l'imbarcazione nel porto israeliano di Ashdod.

Ultimatum di Israele alla nave libica che intende trasportare aiuti umanitari a Gaza. Gli organizzatori della spedizione hanno riferito che le autorita' israeliane hanno dato loro tempo fino alle 24 per cambiare rotta.
"Le autorità israeliane ci hanno dato tempo fino alla mezzanotte di oggi per cambiare rotta e dirigerci verso il porto egiziano di El-Arish, altrimenti invieranno le loro navi da guerra per fermare la nostra nave e scortarla nel porto israeliano di Ashdod", ha detto Mashallah Zwei, membro della Fondazione del figlio di Muammar Gheddafi Seif al-Islam, che ha noleggiato la Amalthea. "Abbiamo spiegato alle autorità israeliane che la nostra destinazione d'origine era Gaza e che non siamo qui per provocare perche', abbiamo spiegato, trasportiamo solo cibo e medicinali", ha aggiunto Zwei.

(Il Tempo, 13 luglio 2010)

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Gerusalemme, scoperto il più antico documento scritto

di Daniele Bagnoli

Un piccolo frammento di argilla, datato al XIVo secolo a.C., è stato ritrovato negli schiavi nei pressi delle antiche mura di Gerusalemme. Contiene il più vecchio documento scritto mai ritrovato a Gerusalemme, e testimonia l'importanza della città nella tarda Età del Bronzo, molto prima di Re Davide.
Il frammento è stato scoperto sotto uno strato risalente al Xo secolo a.C., datato al periodo del Re Salomone, nell'area di Ophel, tra la Città di Davide e il muro sud della Città Vecchia di Gerusalemme.
E' grosso 2 x 2,8 centimetri, e spesso un centimetro. E' parte di una tavoletta contenente simboli cuneiformi in Accadico. Le cose più straordinarie sono lo stile e la realizzazione del documento, che sembra essere stato scritto da uno scriba di altissimo livello che preparò le tavolette all'interno della casa reale del tempo.
Tavolette contenenti messaggi diplomatici erano spesso scambiate tra i re dell'antico Medio Oriente, come sostiene Wayne Horowitz, dell' Hebrew University Institute of Archaeology. Ed è questo il caso della tavoletta appena ritrovata: si tratta di una lettera ad Akhenaton, il "faraone eretico" che governò l'Egitto durante il XIVo secolo a.C.
Dal frammento è possibile distinguere parole come "tu", "tu eri", "più tardi", "da fare" e "loro".
Si ritiene che il frammento sia contemporaneo alle 380 tavolette scoperte nel XVIIo secolo ad amarna, in Egitto, negli archivi di Akhenaton.
Akhenaton, padre di Tutankhamun e figlio di Amenhotep II, è noto come il faraone eretico per aver introdotto una religione monoteista dominante, cercando di far dimenticare il pantheon egizio attraverso il culto di Aton, il dio solare.
Gli archivi di Amarna includono tavolette inviate ad Akenaton dai re sottomessi di Canaan e Siria, e mostrano le complesse relazioni diplomatiche tra i regni.
Il frammento più vecchio, prima della scoperta di questo pezzo di argilla, era considerato essere un reperto ritrovato in un tunnel nella stessa area, e che venne datato all' VIIIo secolo a.C.
Daniele Bagnoli

(DirettaNews.it, 13 luglio 2010)

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La flottilla carica di italiani

di Dimitri Buffa

Ha ricevuto oltre novemila richieste da tutta Europa l'iniziativa di organizzare una nuova spedizione diretta a Gaza dai "pacifinti" che rischiano di mettere in pericolo le relazioni diplomatiche fra i paesi
L'incidente diplomatico è la loro vocazione primaria. E il movimento che sta allestendo la nuova flottilla per Gaza (ha ricevuto già 9 mila richieste di partecipazione un po' da tutta Europa) ha infatti avuto incontri segreti con i diplomatici turchi qui in Italia e incontri pubblici con i simpatizzanti pro hamas in Brasile. A darne notizia nel loro sito Infopal sono gli stessi due militanti "pacifinti" che furono prigionieri nelle galere israeliane alcuni giorni a fine maggio in seguito alle tragiche provocazioni della Navi Marmara e alla successiva sparatoria che si verificò a bordo con dieci militanti turchi uccisi dalle forze armate israeliane: Angela Lano e Manolo Luppichini. Scrive proprio la Lano, da Brasilia, che "le delegazioni della European Campaign to end the siege on Gaza e della Freedom Flotilla sono state ricevute alla Camera dei Deputati e al Senato Federale del Brasile." Il deputato federale Nilson Mourãoo, che ha accolto il gruppo europeo in visita al Congresso nazionale brasiliano, è il presidente della Commissione parlamentare per le relazioni con i paesi arabi. Si tratta di una sorta lobby, "la cui missione - ha spiegato Mourãoo durante la conferenza stampa con parlamentari, giornalisti e operatori di Ong organizzata alla Camera dei Deputati il 7 luglio - è di appoggiare i diritti del popolo palestinese". "La nostra commissione promuove molte attività di solidarietà con la Palestina e sostiene diverse iniziative legislative - si legge nel pezzo di Angela Lano - come la donazione di un vasto appezzamento di terreno per l'edificazione dell'Ambasciata palestinese e lo stanziamento di fondi destinati alla ricostruzione di Gaza." Da parte sua, durante la conferenza stampa a Brasilia, Mohammad Hannoun, rappresentante della Campagna Europea, ha illustrato la missione delle Freedom Flotille e le ragioni del viaggio in Brasile: "La European Campaign, organizzazione promotrice delle Flotille, è nata dopo che Israele ha messo sotto assedio la popolazione di Gaza, punendola, insieme al resto dei palestinesi, per aver dato la vittoria al movimento di Hamas, nel gennaio del 2006."
"Come flottiglie della libertà - continua Hannoun - siamo partiti due anni fa con piccole imbarcazioni da pesca dirette nella Striscia di Gaza assediata, ma a maggio di quest'anno siamo arrivati ad allestire una flotta di nove navi cariche di aiuti umanitari. La prossima, che salperà a fine settembre, ne avrà 20, con a bordo politici e giornalisti di tutto il mondo, attivisti, Ong e cargo. Il nostro obiettivo, infatti, è di rompere definitivamente l'embargo". "Lo scopo del nostro viaggio in Brasile - ha aggiunto Hannoun - è di invitare i parlamentari brasiliani a prendere parte alla Freedom Flotilla II, di incontrare le comunità arabe e palestinesi e raccogliere da tutti quanti sostegno morale, politico ed economico, perché l'embargo è una vergogna per tutta l'umanità." "Noi vogliamo andare a Gaza - minaccia Hannoun - con una flotta di navi con bandiere di tutte il mondo, per denunciare un assedio che affama un milione e mezzo di persone. La solidarietà, infatti, non ha colore, razza, religione o partito. È dovere di tutti. In questo momento storico, abbiamo bisogno che la gente si schieri, prenda posizione a favore del diritto e della giustizia, e che non chiuda gli occhi di fronte ai crimini israeliani. Non si può essere con i palestinesi e con il terrorismo israeliano allo stesso tempo. Bisogna scegliere da che parte stare". Insomma ancora una volta gli amici italiani di Hamas, quelli di Infopal, sono in prima linea nel preparare un'altra pericolosa provocazione a senso unico che si spera non si risolva anch'essa in un bagno di sangue. Come si accennava prima, pare che la Lano e il suo compagno siano stati ricevuti in gran segreto nei giorni scorsi a Roma dall'ambasciata di Turchia. Insieme a loro questo Hannoun che è un po' la mente di tutte le iniziative. Hannoun è il fondatore dell'Associazione Benefica di Solidarietà con il popolo palestinese (Abspp) con sede a Genova, già sotto indagine per sospetti di finanziamento ad Hamas. Sul sito della onlus si raccolgono fondi per la nuova flotta, da depositare presso la Banca popolare etica. Il 5 luglio i filo-palestinesi hanno comprato la loro barca per Gaza, ma "ora ci tocca pagare la prima rata del 15% e tra due settimane il resto", si lamentano sempre sul loro sito. Sia some sia, i soldi per questi "pacifinti" anti-Israele purtroppo non sono mai stati un problema. Adesso ci riprovano, e questo dopo aver incontrato Semih Lütfü Turgut, consigliere turco facente funzione dell'ambasciatore. Sottinteso che queste manovre potrebbero anche creare seri problemi alle relazioni diplomatiche tra Roma e Ankara.

(l'Opinione, 13 luglio 2010)

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Israele chiede megarisarcimento ad Al-Jazeera: "Ha aiutato i terroristi Hezbollah"

di Leonard Berberi

Una causa legale insidiosa. E dispendiosa. Perché chiama la Giustizia a mettere sulla bilancia il diritto d' informazione con quello alla difesa personale. Lunedì 12 luglio, nel quarto anniversario dello scoppio della Seconda Guerra del Libano, un gruppo di 91 cittadini israeliani e sotto le bombe di Hezbollah in quei giorni, ha presentato una causa da 1,2 miliardi di dollari in una corte federale statunitense contro l'emittente all news araba "Al-Jazeera".
L' accusa: aver aiutato il gruppo terroristico libanese Hezbollah nel lancio di missili sul territorio israeliano. Come? Trasmettendo in diretta video e grazie a un inviato le zone di confine tra i due Paesi. In questo modo - c'è scritto nella causa - i militanti potevano lanciare i razzi con sicurezza, essendo aggiornati costantemente dalla tv qatariota.
«Al-Jazeera ha intenzionalmente coperto con lunghe dirette i luoghi colpiti dai missili libanesi», hanno detto gli avvocati, «in violazione delle regole militari che impongono la censura, con lo scopo di consentire a Hezbollah di puntare i missili con più precisione».
L'avvocato Nitsana Darshan-Leitner ha detto allo Yedioth Ahronoth che «senza gli inviati di Al-Jazeera sul suolo israeliano, i militanti di Hezbollah non sarebbero stati in grado di colpire con precisione gli interessi dello Stato ebraico».
«Abbiamo soltanto fatto il nostro lavoro», hanno replicato dalla sede di Al-Jazeera, che ha uffici di corrispondenza anche a New York.
Ora tocca ai giudici federali Usa stabilire se prevale di più il diritto di cronaca o quello di difesa. Una sentenza che potrebbe cambiare molte cose. Non solo in Medio Oriente.

(DirettaNews.it, 13 luglio 2010)

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La Chiesa metodista inglese boicotta i prodotti israeliani

di Andrea Carancini

LONDON - La Chiesa metodista inglese ha votato mercoledì in favore del boicottahhio dei beni e dei servizi di produzione israeliana provenienti dalla Cisgiordania, a causa della "occupazione illegale delle terre palestinesi" da parte di Israele.
"La maggior parte dei governi considera illegittima, in base al diritto internazionale, l'occupazione israeliana dei territori palestinesi", ha detto il collegio ecclesiale nel suo congresso annuale di Portsmouth.
Il collegio ecclesiale incoraggerà ora i metodisti inglesi a seguire la decisione.
La mozione dichiara che il boicottaggio dei beni provenienti "dagli insediamenti israeliani illegali" giunge in risposta ad un appello del Consiglio Mondiale delle Chiese[2] - che auspica una politica di disinvestimento da Israele - della società civile palestinese e di un "numero crescente di associazioni ebraiche in Israele e nel mondo".
"Il Congresso metodista prende atto dell'appello del 2009 del Consiglio Mondiale delle Chiese al boicottaggio internazionale dei prodotti e dei servizi provenienti dagli insediamenti, e del sostegno dato a tale boicottaggio dai leader cristiani della Palestina nel documento Kairos[3], dalla società civile palestinese e da un crescente numero di associazioni ebraiche sia all'interno di Israele che nel mondo, e fa appello al popolo metodista affinché sostenga e si unisca al boicottaggio dei beni israeliani provenienti dagli insediamenti illegali", ha detto la chiesa.
L'anno scorso, la Chiesa metodista ha costituito un gruppo di lavoro per "lavorare per la fine dell'occupazione, per la fine del blocco di Gaza, per il rispetto del diritto internazionale di tutte le parti in causa, e per una giusta pace per tutti nella regione".
Il conseguente rapporto di 54 pagine promosso dal collegio ecclesiale, intitolato "Justice for Palestine and Israel", ha provocato l'aspra condanna del Board of Deputies of British Jews [Consiglio dei Rappresentanti degli Ebrei Inglesi][4], del Council of Christians and Jews[5], e del rabbino capo inglese Jonathan Sacks.
In una dichiarazione diffusa dopo il voto di Mercoledì, il collegio ecclesiale ha detto che la decisione, votata all'unanimità, ha lo scopo di far cessare "l'attuale ingiustizia".
"Questa decisione non è stata presa alla leggera, ma dopo mesi di approfondimenti, attente considerazioni e, infine, dopo il dibattito odierno in assemblea", ha detto Christine Elliott, responsabile delle relazioni esterne. "Lo scopo del boicottaggio è di porre fine all'attuale ingiustizia. Risponde alla sfida posta dagli insediamenti ad una pace durevole nella regione".
La leadership delle comunità ebraiche ha reagito con costernazione. In una dichiarazione congiunta, il Board of Deputies of British Jews e il Jewish Leadership Council hanno detto che "questo è un giorno molto triste, sia per le relazioni ebraico-metodiste che per chiunque auspichi un approccio positivo alla complessa questione delle relazioni israelo-palestinesi. Il Congresso metodista ha preso per buono un rapporto pieno di basilari inesattezze storiche - e di deliberati travisamenti e distorsioni - sulla teologia ebraica e la politica israeliana".
"Questo rapporto decisamente difettoso è sintomatico di un procedimento fazioso: il gruppo di lavoro che ha scritto il rapporto aveva già raggiunto le proprie conclusioni all'inizio. I lettori esterni sono stati convolti per dare al procedimento una vernice di imparzialità, ma le loro critiche sono state respinte. Gli autori del rapporto hanno abusato della fiducia dei membri ordinari della Chiesa metodista - che pensavano di leggere e di votare un documento imparziale ed esaustivo - e hanno abusato della disponibilità della comunità ebraica, che ha cercato di impegnarsi in questa questione solo per scoprire che i nostri sforzi sono stati trattati come una sgradita distrazione", recita la dichiarazione.
David Gifford, amministratore del Council of Christians and Jews, si è detto deluso che il punto di vista degli israeliani non sia stato sentito durante il dibattito.
"Sono molto deluso per la natura emotiva del dibattito, che ancora una volta non ha ascoltato il dolore e il grido degli israeliani", ha detto Gifford. "Era giusto prestare ascolto al dolore dei palestinesi ma alla fine il voto del Congresso metodista ha deciso per il boicottaggio dei beni e dei servizi provenienti dalla Cisgiordania. Vedremo come tutto ciò influenzerà i rapporti della Chiesa metodista con altre chiese, con i CCJ [il Council of Christians and Jews] e con la comunità ebraica inglese".
Il Board of Deputies ha detto che il congresso dovrebbe "stare a capo chino dalla vergogna".
"Questo risultato è estremamente serio e grave, come sia noi che altri abbiamo ripetutamente spiegato nel corso delle ultime settimane. Israele sta alla base dell'identità degli ebrei e del giudaismo, ed è l'espressione delle aspirazioni spirituali, nazionali ed emotive ebraiche. Il sionismo non può essere semplicemente considerato illegittimo, nel modo in cui il congresso ha inteso fare. Tutto ciò puzza di insensibilità da mozzare il fiato, tanto grossolana quanto disinformata. Che tale posizione funga ora da fondamento per la politica della Chiesa metodista dovrebbe indurre il congresso a stare a capo chino dalla vergogna, esattamente come indurrà i nemici della pace e della riconciliazione ad esultare dalle retrovie".
Gli attivisti antisionisti e anti-israeliani, che chiedono un boicottaggio globale di Israele, sono stati le fonti principali del documento. Tra costoro figurano gli accademici di origine israeliana Ilan Pappe e Avi Shlaim; Jeff Halper, dell'Israeli Committee against House Demolitions [Comitato Israeliano contro la Demolizione delle Case]; il vicario anglicano Stephen Seizer; e il giornalista residente a Beirut Robert Fisk.

(DirettaNews.it, 13 luglio 2010)

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Benayoun, prime parole da giocatore del Chelsea

Yossi Benayoun
Yossi Benayoun, capitano e giocatore di maggior estro della nazionale di calcio israeliana, a distanza di alcuni giorni dal suo trasferimento al Chelsea campione di Inghilterra, parla e si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Il motivo del passaggio al dream team di Abramovich che ha fatto inferocire i tifosi del Liverpool? "Tutta colpa di Rafa Benitez", spiega Yossi. Che attacca senza giri di parole il suo vecchio allenatore: "Non mi ha mai trattato con rispetto. Quando giocavo bene non mi mostrava mai fiducia e anche quando segnavo mi aspettavo sempre di restare fuori alla partita successiva. Quando poi i tifosi invocavano il mio ingresso in campo, mi diceva che non capiva perché lo facessero". Un rapporto teso quello tra i due, che in questa sessione di mercato è sfociato in una separazione inevitabile: Benitez ha preso un aereo per Milano, il Benayoun furioso, quando la scelta italiana di Rafa non era ancora ufficiale, è volato a Londra. Con la casacca dei Blues insegue obiettivi ormai irraggiungibili per il flaccido Liverpool degli ultimi tempi. Yossi vuole vincere campionato e Champions League ("we can do it") e far parte dei Carletto Boys, i fedelissimi di Carletto Ancelotti. Anche se non chiede garanzie tattiche quanto umane. "Per me è importante sapere che sarò trattato con rispetto, non sono così stupido da pensare che giocherò ogni settimana". La tappa londinese è il punto più alto di una carriera in crescita costante. Dal deserto del Negev al prato di Stamford Bridge, quello che è comunemente chiamato il bimbo di Dimona (sua città di nascita), a 30 anni suonati ha la possibilità concreta di scrivere il proprio nome nella leggenda diventando il primo israeliano ad alzare la coppa con le orecchie. Il suo connazionale Avraham Grant, tecnico pro tempore del Chelsea un paio di stagioni fa, c'era andato vicinissimo. Solo un disgraziato rigore, l'ultimo della serie, calciato in malo modo da John Terry nella finale col Manchester United del maggio 2008 aveva servito su un piatto di argento l'ennesimo trofeo continentale ai Red Devils.

(Notiziario Ucei, 13 luglio 2010)

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Israele ammette "errori" nell'assalto alla Mavi Marmara

L'inchiesta parla di "errori" ma assolve la Marina da colpe e responsabilità precise.
Ora si aspetta il verdetto della commissione d'inchiesta turca, i cui poteri potrebbero presto aumentare.

La commissione d'inchiesta della difesa israeliana riguardo il raid sulla Mavi Marmara ha concluso i suoi lavori, affermando che gli incidenti a bordo - che hanno portato alla morte di nove attivisti turchi - sono stati causati dal fallimento delle operazioni di intelligence e dalla mancanza di un'adeguata preparazione all'operazione.
La commissione, guidata dal generale Giora Eiland, ha diffuso un rapporto nel quale comunque considera le cose che non hanno funzionato come degli "errori", evitando quindi di parlare apertamente di responsabilità o colpe precise. Il rapporto inoltre chiarisce uno dei principali dubbi sull'intera operazione: perché la marina israeliana ha deciso di calare dei soldati sul ponte della nave - con tutti i rischi e le conseguenze che questo ha comportato - piuttosto che tentare di sabotare la nave, per impedirle di raggiungere Gaza. Secondo il rapporto, qualsiasi tentativo di sabotaggio avrebbe avuto danneggiato seriamente la nave e per questo a Israele non sarebbe rimasta altra scelta. Nel preparare lo sbarco sulla nave, però, la marina israeliano non avrebbe considerato a sufficienza la possibilità di dover affrontare un attacco violento una volta a bordo. Anche per questa ragione il rapporto accusa i vertici della marina di non aver comunicato adeguatamente con il Mossad, che avrebbe potuto dare loro informazioni preziose a riguardo.
In ogni caso, il rapporto non chiede che sia presa alcuna azione disciplinare nei confronti di nessuna delle persone implicate nell'attacco.
"Con mio grande sollievo", ha detto Eliand, "l'inchiesta non ha mostrato negligenze o colpe su nessuna questione significativa: sono stati commessi degli errori a livelli piuttosto alti, e a questi dobbiamo il risultato dell'operazione, certamente diverso da quello che era stato pianificato"
Naturalmente quella israeliana non è l'unica commissione d'inchiesta a occuparsi di quanto accaduto lo scorso 31 maggio al largo di Gaza. La commissione promossa dal governo turco ha appena iniziato a occuparsi dell'inchiesta, ma con poteri piuttosto limitati: in questo momento infatti i cinque membri della commissione hanno soltanto il compito di investigare sulla conformità alle leggi internazionali del raid che ha portato alla morte di nove persone. Non hanno il potere di ascoltare testimoni né può trarre alcuna conclusione riguardo i soggetti coinvolti nel raid.
Nei giorni scorsi è stata presentata una richiesta all'Alta corte di giustizia di dare alla commissione turca un mandato più ampio e oggi i giudici si sono detti possibilisti. Qualora la richiesta dovesse andare a buon fine, la commissione turca avrebbe la possibilità di acquisire documenti, ascoltare testimoni - magari anche gli stessi soldati israeliani - avvertendoli che quello che diranno potrà usato contro di loro e avvalersi delle consulenze di esperti in vari settori.

(il Post, 12 luglio 2010)

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Aiuti per Gaza, Israele non cede

Non consentirà l'attracco alla Amalthea

TEL AVIV / GAZA - Israele resta inflessibile nella propria determinazione di impedire l'attracco al porto di Gaza della nave Amalthea, salpata giorni fa dalla Grecia con aiuti umanitari offerti dalla Libia alla popolazione palestinese della Striscia.
In un'intervista alla radio militare il ministro degli esteri Avigdor Lieberman ha ribadito anche oggi che Israele non consentirà di forzare il blocco marino. Alla nave libica Lieberman ha dunque consigliato di raggiungere il porto egiziano di el-Arish, a poche decine di chilometri da Gaza, da dove le merci saranno inoltrate verso la Striscia.
Al porto di Gaza ancora non si nota alcun preparativo particolare di benvenuto. Secondo fonti locali in ogni caso la nave - che era ieri segnalata a largo di Creta - non arriverà nella zona prima di domani.

(ANSA, 12 luglio 2010)

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Gemania, fuori legge una ong: "Troppo vicina ad Hamas"

Berlino ritiene che la "Internationale Humanitaere Hilfsorganisation" (Ihh), che ha sede a Francoforte, fornisca aiuti finanziari a Hamas, che controlla la Striscia di Gaza ed è nelle liste Ue e Usa delle organizzazioni terroristiche

Thomas de Maiziere
BERLINO - Le autorità tedesche hanno messo fuori legge un'organizzazione umanitaria per presunti legami con il gruppo palestinese Hamas. Lo riferisce l'agenzia Dpa, spiegando che la notizia è stata data dal ministro tedesco degli Interni, Thomas de Maiziere. Berlino ritiene che la "Internationale Humanitaere Hilfsorganisation" (Ihh), che ha sede a Francoforte, fornisca aiuti finanziari a Hamas, che controlla la Striscia di Gaza ed è nelle liste Ue e Usa delle organizzazioni terroristiche. "La Ihh, sotto la copertura degli aiuti umanitari, ha fornito supporto a così dette associazioni con fini sociali con sede nella Striscia di Gaza e che sono riconducibili a Hamas per un lungo periodo di tempo e per somme ingenti", ha detto de Maiziere. "Hamas fa ricorso ad atti di violenza contro Israele e i suoi cittadini e per questo compromette un accordo tra israeliani e palestinesi".
Una sentenza del 2004 emessa dalla Corte amministrativa federale tedesca, ha ricordato de Maiziere, ha stabilito che le attività di Hamas nel settore sociale non possono essere separate dalle sue azioni terroristiche e politiche. Per questo, ha commentato, associazioni come la Ihh "in realtà" appoggiano Hamas «nel suo complesso» e quindi la Ihh "serve a rafforzare ulteriormente l'influenza di Hamas in seguito al suo presunto impegno sociale", In questo modo, secondo il ministero dell'Interno tedesco, il budget di Hamas non viene appesantito e l'organizzazione "ha a disposizione maggiori mezzi per le attività terroristiche". Risultato: "La Ihh favorisce il regime di terrore e la violenza nelle aree palestinesi". Il ministro ha inoltre definito "addirittura cinico" il comportamento della Ihh, sottolineando che essa "abusa dell'aiuto di donatori in buona fede per sostenere un'organizzazione terroristica con i fondi ricevuti per presunte opere di bene.

(il Giornale, 12 luglio 2010)

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Israele: il leisure per ringiovanire il turismo

L'ente conferma l'obiettivo di 150mila italiani nel 2010

Basta con l'immagine di un Paese legato unicamente a Terra Santa e pellegrini: "Vogliamo ringiovanire il nostro turismo". E' quanto ribadisce Tzvi Lotan, direttore dell'Ente del turismo israeliano. E la strategia passa anche attraverso gli eventi, sportivi e non. A luglio, ad esempio, sono in programma i Campionati europei di mountain bike e i Mondiali di vela, a Tel Aviv si prepara la Notte Bianca.
I primi quattro mesi sono stati positivi: gli arrivi sono stati 1.063.000, +44% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e del 13% rispetto al 2008, considerato anno record. Benissimo anche gli italiani. L'Ente sembra dunque sulla buona strada per raggiungere (e magari superare) l'obiettivo annunciato: 150mila italiani alla fine del 2010.

(Guida Viaggi, 12 luglio 2010)

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Tra Egitto e Gaza le auto viaggiano... sottoterra

Aggirando il divieto, 48 auto rubate in Egitto sono state portate clandestinamente nella striscia di Gaza attraverso un tunnel

di Andrea Barbieri Carones

Alcuni contrabbandieri hanno portato 48 veicoli dall'Egitto alla striscia di Gaza utilizzando un passaggio sotterraneo. I veicoli non erano piccole auto per bambini, naturalmente, ma automobili "vere" da utilizzare oltre frontiera nei territori contesi tra Israele ed Egitto.
Il punto è che da quando attraverso questa frontiera hanno iniziato a transitare armi per i gruppi terroristici di Hamas, Israele ha stretto i cordoni dei controlli e ha vietato il passaggio delle auto. Misura analoga attuata dai doganieri egiziani, nel timore che i nemici sionisti fossero riforniti di armi. Ma, anche in Medio Oriente, fatta la legge trovato l'inganno: con il tempo, contrabbandieri di generi leciti e illeciti hanno scavato vari tunnel sotto la frontiera dove fanno passare di tutto. In questo caso, sono riusciti a convincere le autorità egiziane di stare organizzando un matrimonio, e che le auto facevano parte di una specie di marcia nuziale con 50 auto al seguito.
I trafficanti, accompagnati da mogli e bambini, sono passati a bordo delle loro auto tutte decorate, cantando e suonando i tamburi, e inducendo in questo modo gli uomini della sicurezza egiziani a credere che si trattasse davvero di un matrimonio. A nessuno sono stati chiesti i documenti e le auto non sono state perquisite, riuscendo così a raggiungere la frontiera con Gaza.
Poco dopo, la polizia e la sicurezza hanno notato un movimento insolito di mezzi nell'area di confine di ad-Dahniyya. L'attacco che ne è seguito è riuscito però a recuperare solo due automobili, mentre altre 48 sono entrate con successo nella Striscia.
Le due auto sequestrate, una Bmw e una Hyundai, erano state rubate tempo fa in Egitto. Le auto sfuggite ai controlli, di marche diverse, saranno probabilmente vendute a Gaza da alcuni palestinesi.
In primavera, invece, fu fatta transitare in un tunnel ad hoc un'auto nuova, da vendere in un concessionario palestinese, che avrà suscitato l'invidia e l'ammirazione degli abitanti molti dei quali nella loro vita hanno visto solamente esemplari di seconda mano.

(Motori.it, 12 luglio 2010)

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Ritratti: Storia dell'Ebraismo Romano e Israeliano. Mostra Collettiva

A cura di: Giorgia Calò

Artisti: Stéphane Zerbib, dan.rec

Inaugurazione: domenica 5 settembre ore 18.00
Periodo: 05/09/10 - 12/09/10

Usando la memoria, il mezzo fotografico e la loro personale visione artistica, Stéphane Zerbib e dan.rec creano immagini isolandole in un contesto che stimola lo spettatore a soffermarsi sulle opere e a catalizzare l'attenzione sugli scorci di realtà selezionati.
In occasione di questo evento gli artisti si confrontano sulle tematiche del ritratto e delle architetture, quelle Bauhaus di Tel Aviv (Zerbib) e quelle storiche che caratterizzano l'immagine di Roma (dan.rec). Fotografie di edifici o parti di essi, persone e volti che si combinano tra loro, dando luogo ad una storia che racconta la nascita dello stato d'Israele e le vicende dell'ex ghetto ebraico di Roma. Un incontro di due realtà diverse, alla ricerca di un dialogo possibile grazie all'arte che non ha tempo e non ha luogo.
Da qui si evincono le percezioni degli artisti che riflettono, attraverso i loro personali sguardi, due città cariche di un passato imponente, visioni significative del presente, e costantemente proiettate verso il futuro.

Durante il giorno dell'inaugurazione la mostra proseguirà fuori la galleria. Alcune opere di Stéphane Zerbib, realizzate con la tecnica che lo contraddistingue dello stickers in vinile, saranno posizionate lungo le pareti del Palazzo della Cultura in Via del Portico d'Ottavia, coinvolgendo così il pubblico in un "racconto" fatto di volti e presenze; un percorso che si farà memoria e testimonianza.

Stéphane Zerbib, nato a Parigi, dal 2008 vive e lavora a Tel Aviv. L'artista realizza opere parietali e tele dal taglio fotografico. In pochi tratti Zerbib riesce a sintetizzare e riportare sul piano bidimensionale volti e architetture.
Dan.rec, vive e lavora a Roma. L'artista realizza opere pittoriche che fissano dettagli della realtà con una straordinaria capacità narrativa nel descrivere scenari e personaggi.

ERMANNO TEDESCHI GALLERY
Via del Portico d'Ottavia 7
00186 sRoma

Tel. 06 45551063
E-Mail: info.roma@etgallery.it
Web: http://www.etgallery.it/etg_content.html

Riferimenti e Note:
Mostra in occasione della Giornata della Cultura Ebraica
Patrocinio: Dipartimento Cultura Comunità Ebraica di Roma

(Arte.go, 12 luglio 2010)

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Oggi rapporto Idf sulla Freedom Flottilla, attese accuse alla Marina

GERUSALEMME, 12 lug. - E' atteso per oggi il rapporto delle forze di difesa israeliane (Idf) realizzato in seguito a un'indagine interna sull'attacco alla Freedom Flottilla per Gaza, avvenuto a maggio. Il documento, anticipa il sito del quotidiano Haaretz, accusa la Marina di non aver preso sufficientemente in considerazione la possibilita' che il commando inviato sulle navi di pacifisti potesse confrontarsi con una resistenza violenta.

(Adnkronos, 12 luglio 2010)

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Iran - Religiosi nelle scuole per contrastare l'influenza occidentale

Mille clerici impegnati a Teheran in una guerra ideologica

ROMA, 12 lug. - Le autorità di Teheran hanno deciso di inviare mille religiosi nelle scuole iraniane della capitale per contrastare l'influenza occidentale e combattere l'opposizione interna. Lo ha annunciato Mohammed Boniadi, vice direttore del dipartimento dell'Istruzione di Teheran sottolineando che i religiosi, "ufficiali" in una guerra ideologica, informeranno gli studenti "sull'arroganza e le trame dell'opposizione".
La decisione del governo di impiegare i religiosi nelle scuole della capitale rientra tra le misure per prevenire manifestazioni di protesta, come quelle dello scorso anno, contro la rielezione del presidente Ahmadinejad.

(Apcom, 12 luglio 2010)

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Amos Luzzato, il corpo come espressione

di Fabio Larovere

Amos Luzzato
Dopo la lectio magistralis di Salvatore Natoli, che ha fatto registrare il tutto esaurito con la presenza di molti giovani e di un pubblico attento e appassionato, prosegue la V edizione del Festival Filosofi lungo l‘Oglio, che si spinge nella sponda opposta del grande fiume.
Stasera, a partire dalle 21.15, nel cortile della Sinagoga di Ostiano (Cr) - in caso di maltempo Teatro Gonzaga - è atteso l‘intervento di Amos Luzzatto, figura chiave dell‘ebraismo italiano, che parlerà del corpo come espressione individuale.
Amos Luzzatto, che ha confermato la sua presenza, sino ad ora soltanto probabile, sarà protagonista assoluto di questo sesto incontro della Kermesse.
Massimo Giuliani, con un nobile gesto di stima nei confronti del Maestro, ha scelto di lasciare a Luzzatto la regia e la scena dell‘incontro, certo della comprensione di quanti lo avrebbero voluto presente a Ostiano.
Dalle 20.30 alle 21 è pure possibile partecipare, in piccoli gruppi, alla visita della Sinagoga in fase di restauro.

(Bresciaoggi, 12 luglio 2010)

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"Prodotti 20 kg di uranio arricchito"

Iran sfida la comunità internazionale

L'Iran ha affermato di aver già prodotto circa 20 chili di uranio arricchito al 20%, sfidando la comunità internazionale che cerca di mettere fine al controverso programma nucleare iraniano. "Abbiamo prodotto circa 20 chili di uranio arricchito al 20% e lavoriamo per produrne barre di combustibile", ha detto il capo del programma nucleare, Ali Akbar Salehi, secondo l'agenzia Isna.

(TGCOM.it, 12 luglio 2010)

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Indichiamo un esempio di classico antisemitismo. Non manca neppure la consueta precisazione: “Io non sono un antisemita”.

Israele, fuori da Israele

Uno dei problemi connessi all'esistenza dello Stato di Israele, a questa modalità di esistenza perlomeno, è quello della cosiddetta "doppia fedeltà" degli ebrei. La domanda è questa: gli ebrei fuori da Israele come si comportano quando gli interessi dello Stato di cui sono cittadini non coincidono con quelli isrealiani? Riescono ad essere davvero statunitensi, ad esempio, prima che sionisti? Oppure non sono così chiari nell'ordine delle loro priorità…
Sono note le accuse di coloro che imputano agli ebrei di fare lobbie e condizionare segretamente la politica estera americana, così come note sono le risposte, arrabbiatissime, con le quali gli stessi ebrei additano questi accusatori a squallidi antisemiti...

(MondoRaro.com, 12 luglio 2010)

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Hezbollah, abbiamo una lista di obiettivi da attaccare in Israele

BEIRUT, 11 lug. - Il comandante delle milizie Hezbollah nel sud del Libano, sceicco Nabil Koauk, ha affermato oggi che il suo gruppo ha stilato una lista di obiettivi da colpire in territorio israeliano se vi sara' un'altra guerra. Le sue affermazioni, rilanciate dai media israeliani, giungono dopo che nei giorni scorsi l'esercito d'Israele ha diffuso mappe e foto di quella che e' stata descritta come una rete di depositi di armi e centri di comando del partito sciita Hezbollah nel sud del Libano.

(Adnkronos, 11 luglio 2010)

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Siracusa: si rafforza la presenza ebraica ad oltre 500 anni dall'espulsione

Rabbi Isaac Ben Avraham  
SIRACUSA, 11 lug. - "Da poco piu' di due anni la nostra sinagoga a Siracusa, che riesce ad ospitare circa 70 unita', testimonia la nostra presenza attiva in Sicilia dopo 500 anni. Questo e' un fatto di notevole importanza. Nel capoluogo aretuseo la tradizione ebraica era molto forte sin dai tempi della Magna Grecia. Fino alla cacciata del 1492 da parte dei sovrani spagnoli, la comunita' ebraica a Siracusa era molto rilevante. A testimonianza di cio', basti ricordare che sul finire del XV secolo, la nostra popolazione in Sicilia si aggirava ben oltre le 35.000 presenze distribuite in sei citta'. A Palermo e Siracusa si toccavano le punte piu' alte con circa 5.000 persone". Cosi' Isaac Ben Avraham, al secolo Stefano Di Mauro, rabbino capo della sinagoga della citta' siciliana di Siracusa e gia' fondatore della Jewish Congrecation of America, cappellano per la fondazione ebraica di Miami e capo rabbino sino al 2007 della Congregazione OrtodossB'Nai Isaac in North Miami Beach in Florida, negli Usa.
Contattato dall'ADNKRONOS, Di Mauro ricorda di essere "venuto dagli Stati Uniti di America poco piu' di due anni fa. Sono tornato a Siracusa, dove sono nato 72 anni orsono, sotto la pressione di mia moglie- racconta - che voleva stabilirsi in Sicilia dopo aver ammirato insieme l'Isola in viaggio di nozze". "I miei piani erano diversi - rivela con una punta ironia- avrei infatti trascorso sei mesi l'anno in Israele, a Gerusalemme, e gli altri sei mesi a North Miami Beach in Florida dove ero a capo di una sinagoga". "Anche se sono trascorsi quasi tre anni, devo dire che a Siracusa siamo ancora alle prime fasi. Il processo di 'penetrazione' nel territorio e nel sociale, infatti, ha subito forti rallentamenti a causa di miei gravi problemi di salute appena ritornato in Sicilia. Si puo' dunque parlare di un solo anno di attivita' effettiva".
Dalla fine del marzo scorso, proprio da Siracusa, ha preso il via la 'Federazione delle Comunita' ebraiche del bacino del Mediterraneo'. La citta' sud orientale dell'Isola, va ricordato, e' una delle poche in Italia ad avere avuto la giudecca. Il quartiere, una sorta di grande quadrilatero percorso nella sua lunghezza dalla via della giudecca, era idealmente rivolto verso Gerusalemme ed autosufficiente con le sinagoghe, il macello, le botteghe, il mercato, i bagni, l'ospedale e anche i cancelli di accesso che venivano chiusi al tramonto.
"Con la federazione - ammette il rabbino - riusciamo a farci sentire di piu' con gli Stati ed incrementare il rapporto con Israele". "Si riuniscono cosi' gli ebrei dell'Italia meridionale e di Malta -prosegue- Sono tante le persone che dal resto della Sicilia e della Calabria vengono a Siracusa. Mi contatta molta gente - evidenzia Di Mauro- che riscopre le proprie radici, le proprie origini ebraiche e cosi' la nostra comunita' aumenta". "Tutto questo - ammonisce- non viene pubblicizzato. Il nostro e' un movimento, per cosi dire, spontaneo ed autonomo. Scegliamo di volta in volta un giorno al mese - spiega - per riunirci dal venerdi pomeriggio al sabato ed essere una grande famiglia. In base poi alle possibilita' di ciascuno riusciamo ad essere anche trenta, quaranta persone".
"Cio' che a me interessa come rabbino - sottolinea Isaac Ben Avraham- e' che si possa riprendere la vita ebraico-ortodossa. Auspico che nel tempo si possa costituire in questa terra una comunita' forte, rigogliosa e capace". Parlando poi di 'integrazione' fra diverse culture, il rabbino della sinagoga siracusana denuncia che "in Sicilia c'e' stato tanto antisemitismo e la 'dominazione' monolitica della chiesa cattolica ha creato tanti problemi. Spero che ci sempre piu' rispetto, non tolleranza ma rispetto, tra le diverse correnti religiose che vanno stabilendosi nell'Isola".
Allargando, infine, gli 'orizzonti' internazionali, Stefano di Mauro si augura che nel rapporto tra israeliani e palestinesi "ci possa essere la pace. Gli ebrei che hanno sofferto tanto nerl corso della storia sanno bene cosa significa. Per quanto si voglia fare la pace bisogna essere in due. Se una parte vuole distruggere l'altra, se nelle scuole si insegna l'odio invece del senso della pace e dell'amore verso il prossimo, e' chiaro che la pace - conclude amaramente- non si potra' mai raggiungere ed e' un grosso problema da risolvere. I due popoli devono veramente essere convinti di volerla fare...".

(Adnkronos, 11 luglio 2010)

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David Harris: due popoli due stati, ma Israele ha il diritto di esistere

Missione dell'American Jewish Committee

di Valeria Pannuti

Il direttore esecutivo dell'Ajc: "L'informazione e' come addormentata, rispetto alle tragedie mondiali, si dimentica delle violazioni dei diritti umani. Il mondo abbandona il suo silenzio, pero', quando si parla di Israele". "Mai visto nessuno organizzare una Freedom Flotilla verso l'Iran".

David Harris
ROMA, 10-07-2010 - Si e' appena conclusa, con la visita in Russia, la missione della delegazione dell'American Jewish Committee, che ha attraversato Giordania, Israele, Italia, Azerbaijan e Ucraina.
A Roma, il direttore dell'Ajc David Harris, all'interno dei tre giorni di visita nella capitale insieme al presidente Robert Helman, e' intervenuto in una conferenza sul processo di pace in Medio Oriente, insieme all'Onorevole Furio Colombo e a Maurizio Caprara, del Corriere della Sera.
C'e' una specie di "nebbia morale", sul mondo democratico, ha detto Harris, a proposito dell'immagine di Israele nello scenario internazionale, "che impedisce di distinguere tra democrazia e dispotismo".
Non si tratta di difendere tutte le decisioni di Israele, spiega il direttore dell'Ajc, ma rimane il fatto che Israele "e' una democrazia, con elezioni trasparenti, democratiche, con tribunali indipendenti ed una stampa libera".
Ma l'informazione e' come addormentata, rispetto alle tragedie mondiali, si dimentica delle violazioni dei diritti umani in Iran, o nel Myanmar, dei massacri in Congo, delle migliaia di morti provocate dal conflitto in Darfur, o dalle violenze in Zimbabwe, degli oltre 20mila morti in Sri Lanka. Tutte vittime in gran parte civili.
"Il mondo abbandona il suo silenzio, pero', quando si parla di Israele, diventa ipercritica", dice Harris. Che parla di reazione quasi pavloviana. "Non ho mai visto nessuno organizzare una Freedom Flotilla verso l'Iran...", dice Harris, "eppure li' le persone vengono uccise, imprigionate, ricevono intimidazioni, perche', allora, soltanto Israele?".
Quanto al processo di pace in Medio Oriente, la soluzione e' "due Stati per due popoli". Ma c'e' una difficolta' del mondo arabo a riconoscere al popolo ebraico "i suoi diritti umani, e civili ad esistere".
Non si puo' dimenticare, ad esempio, che la forza al potere a Gaza e' Hamas, inserita anche dall'Unione Europea tra i gruppi terroristici. David Harris in articoli e interviste piu' volte ha ricordato che Hamas ha proclamato, nella sua Carta fondativa del 1988, la volonta' di distruggere Israele. Una carta che ha anche accolto le classiche teorie cospirazioniste antisemite, predicando il genocidio degli ebrei.
La delegazione, insieme alla rappresentante dell'Ajc a Roma e presso il Vaticano, Lisa Palmieri Billig, ha avuto diversi incontri nella capitale: il ministro degli Esteri Franco Frattini, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, il ministro per le Politiche europee Andrea Ronchi, l'ambasciatore israliano in Italia Gideon Meir e quello americano David Thorne, parlamentari dei diversi schieramenti politici, e i rappresentanti della comunita' ebraica.
Nella sua tappa in Russia, David Harris ha ricordato che le relazioni dell'AJC "con quella parte del mondo risalgono al 1906, quando l'organizzazione venne fondata dagli ebrei americani, preoccupati dei pogroms, che si diffondevano nella regione". "Alla luce di questa tragica storia - ha concluso il direttore dell'Ajc - per non parlare degli eventi riguardanti la Seconda guerra mondiale, e le condizioni degli ebrei sovietici, e' semplicemente stupefacente venire a Mosca e vedere il progresso che e' stato fatto qui per ricostruire una vita per la popolazione ebraica."

(RaiNews24, 11 luglio 2010)

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Novità in libreria

Ruth Halimi e Émilie Frèche, 24 giorni. La verità sulla morte di Ilan Halimi, Salomone Belforte & C., 2010, p. 144, € 14

È entrata in un negozio di telefonia nel centro di Parigi. Ha fatto finta di interessarsi ai nuovi cellulari, ha ottenuto il numero del venditore e se n'è andata. Il giorno dopo lo ha richiamato, gli ha detto che voleva rivederlo. Ilan non si è insospettito. Aveva ventitré anni, la vita davanti a sé... Come poteva immaginare che l'incontro con questa bella ragazza in un caffè sarebbe stato un appuntamento con la morte?
Venerdì 20 gennaio 2006, Ilan Halimi, scelto dalla banda dei Barbari perché ebreo, viene rapito e condotto in un appartamento in periferia. Vi rimarrà sequestrato e torturato per tre settimane prima di essere buttato in un bosco dai suoi carnefici. Ritrovato nudo lungo un binario della ferrovia appena fuori Parigi, non sopravvivrà al suo calvario.
In questo straziante resoconto, Ruth Halimi, la madre di Ilan, ritorna su quei 24 giorni di incubo. 24 giorni nel corso dei quali ha ricevuto più di seicento chiamate, richieste di riscatto il cui ammontare cambierà in continuazione, insulti, minacce, foto di suo figlio torturato... 24 giorni che dovrà trascorrere in ufficio, senza dire niente a nessuno, comportandosi come se tutto andasse bene per lasciar lavorare la Polizia Criminale. Ma la polizia non sa con che razza di individui ha a che fare. Non considera l'odio antisemita che domina i rapitori e non immagina che Ilan potrebbe perdere la vita...

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Arte: si rinnova il museo d'Israele

Dietro la mega risistemazione, l'uomo che cambiò faccia al Moma

GERUSALEMME, 11 lug - Il Museo d'Israele di Gerusalemme si ripropone al pubblico in veste rinnovata, dopo un imponente restyling durato tre anni. Il progetto, costato 100 milioni di dollari, comprende la creazione di un nuovo ingresso, nuova utilizzazione degli spazi, ridefinizione del percorso di visita e l'incremento da 50.000 a oltre 58.000 metri quadrati delle superfici espositive. Regista dell'operazione il direttore James Snyder, gia' protagonista del restyling anni fa del Moma di New York.

(ANSA, 11 luglio 2010)

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Israele: "La flottiglia Amalthea non raggiungerà Gaza"

Il cargo con aiuti umanitari libici dovrà fare scalo nel porto egiziano di el-Arish, pena l'intervento della marina militare

La nave Amalthea, prima di salpare dal porto di Lavro   
TRIPOLI - Non sono trascorsi nemmeno due mesi da quando la Freedom Flottiglia è stata attaccata dalle truppe isrealiane mentre cercava di portare aiuti umanitari sulla Striscia di Gaza, che un nuovo empasse si sta ripresentando a largo delle coste di Israele. E' salpato ieri dal porto greco di Lavrio "Amalthea", il cargo con oltre duemila tonnellate di prodotti alimentari e medicinali allestito dalla Fondazione presieduta da Seif Al-Islam Gheddafi, figlio del leader libico Muammar. La destinazione iniziale della nave, che batte bandiera moldava, doveva essere Gaza, ma mentre la flottiglia sta ancora navigando nel Mediterraneo, regna l'incertezza sul suo approdo finale.
Dichiarazioni contrastanti giungono infatti da Atene e dalla Fondazione Gheddafi. Dopo una giornata di intenso lavoro diplomatico, Israele era convinto di aver impedito che il cargo cercasse di forzare il blocco imposto alla Striscia, come pareva essere l'intenzione iniziale della flottiglia. Da Atene, il ministero degli Esteri aveva affermato di «aver ricevuto assicurazioni da parte dell'ambasciatore libico» che l'Amalthea, ribattezzata per l'occasione "Hope" (Speranza), «raggiungerà El Arish», sulla costa egiziana. «I documenti di bordo indicano come destinazione il porto di El Arish», aveva dichiarato anche l'agente marittimo dell'imbarcazione, Petros Arvanitis. Ma poco dopo, Yussef Sawan, direttore esecutivo della Fondazione libica, aveva ribadito che il cargo «fa rotta verso Gaza, come previsto». «È una missione puramente umanitaria - ha aggiunto - non provocatoria nè ostile».
L'ultimo atto si è avuto questa mattina quando i dirigenti israeliani hanno ribadito che alla nave Amalthea non sarà consentito forzare il blocco marittimo e raggiungere la striscia di Gaza. La nave potrà invece raggiungere indisturbata il porto egiziano di el-Arish, nel Sinai settentrionale, per scaricare gli aiuti destinati alla popolazione palestinese. «Se la Amalthea cercasse di raggiungere egualmente Gaza - ha avvertito Israele - sarà ordinato alla marina militare di intercettarla e di condurla al porto israeliano di Ashdod, a sud di Tel Aviv».
Il deputato israeliano in contatto con gli organizzatori della spedizione, Ahmed Tibi, ha smentito inoltre informazioni stampa secondo cui sulla nave potrebbe trovarsi anche il figlio del presidente libico, Seif al-Islam Gheddafi. Tibi ha aggiunto che l'equipaggio della Amalthea non ha alcuna intenzione di opporre resistenza ai membri del commando israeliano, se fosse intercettata in alto mare, ed è anche disposta a consentire alle forze israeliane di ispezionare la nave. Una volta concluse le ispezioni, però, esige di poter concludere il viaggio fino a Gaza.
A bordo dell'Amalthea, secondo l'agente marittimo Arvanitis, vi sono 12 membri dell'equipaggio di diverse nazionalità e altre nove persone, sei libici, un nigeriano, un marocchino e un algerino.

(La Stampa, 11 luglio 2010)

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La guerra senza eserciti

di Ugo Volli

L'opinione pubblica sul Medio Oriente, e in particolare il mondo ebraico, si divide oggi fra quelli che capiscono che è in atto una guerra contro Israele e quelli che non l'hanno compreso o preferiscono calare la testa sotto la sabbia per non vederlo. Affermare che è in corso una guerra e non una semplice serie di campagne di opinione e di azioni dimostrative richiede di capire che guerra oggi non è semplicemente lo scontro fra due eserciti ben definiti e inquadrati, ma un fenomeno molto più complesso e frammentato che dissemina "l'uso della violenza il cui obiettivo è costringere l'avversario a eseguire la nostra volontà" (Carl Von Klausewitz) in una serie di episodi separati nello spazio e nel tempo, in cui ha larga parte l'uso della simulazione e della dissimulazione, la persuasione e la conquista di alleanze nell'opinione pubblica. Per fortuna negli anni '80 non si è combattuta una guerra frontale fra "campo socialista" e mondo occidentale (altri scontri nella periferia dei rispettivi imperi, in Asia, Africa e America Latina si sono svolti prima), ma si può ben dire che quest'ultimo abbia vinto la "guerra fredda".
Una guerra è in corso in Medio Oriente da quasi un secolo, con forme e alleanze diverse, con diversa intensità e diversi strumenti. Israele finora ha vinto tutte le battaglie principali, come si vede dalla sua esistenza, dato che la posta in gioco è proprio questa. Ma oggi la situazione è profondamente cambiata: parte delle condizioni che hanno consentito a Israele una superiorità tecnologica e politica negli ultimi cinquant'anni (l'appoggio del mondo occidentale, il sottosviluppo tecnologico e militare dei suoi avversari, la prevalenza tecnica dei mezzi offensivi su quelli difensivi) si sono dissolti. E però Israele conserva un vantaggio sul terreno che i suoi nemici hanno ancora paura a sfidare. Lo scontro si è dunque spostato per il momento su un terreno più politico e propagandistico si è sminuzzato in mille episodi di logoramento e di delegittimazione e ha assunto le forme di una guerra d'attrito spirituale, di un duello infinito. Ancora Clausewitz: "La guerra non è che un duello su vasta scala. La moltitudine di duelli particolari di cui si compone, considerata nel suo insieme, può rappresentarsi con l'azione di due lottatori. Ciascuno di essi vuole, a mezzo della propria forza fisica, costringere l'avversario a piegarsi alla propria volontà; suo scopo immediato è di abbatterlo e, con ciò, rendergli impossibile ogni ulteriore resistenza... [Le teorie tradizionali della guerra] rivolgono l'attenzione solo alle grandezze materiali, mentre tutta l'attività bellica è compenetrata di influenze e forze spirituali." Per difendersi efficacemente bisogna saper individuare queste influenze come parti della guerra, individuarne il disegno generale.
Nell'età di Internet gli effetti della globalizzazione e dell'espolosione comunicativa rendono spesso più importanti gli effetti propagandistici di quelli concreti - almeno fuori dallo scontro diretto in cui alla fine la guerra ritrova le sue forme tradizionali. E' importante che chi appoggia Israele cerchi di pensare tutta la situazione mediorientale (la vicenda delle trattative, l'azione delle organizzazioni internazionali e della Ong, la propaganda della stampa, gli atteggiamenti degli stati terzi, le posizioni "pacifiste") come una trama di azioni che si svolgono all'interno di questo quadro di guerra non convenzionale e ridefinisca di conseguenza le nozioni di tattica e strategia, di vittoria e sconfitta, di alleanza e di tradimento, di resistenza e di resa. La difesa di Israele non può non essere oggi un sofisticato esercizio di intelligenza, una lucida capacità di entrare in questo gioco e di vincerlo, ben lontano dalle giaculatorie delle "persone di buona volontà" che rifiutando il discorso della guerra finiscono solo per subirlo.

(Notiziario Ucei, 11 luglio 2010)

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Israele, male oscuro tra i soldati: 19 suicidi nel 2010

di Leonard Berberi

Ci sono soldati che ballano per le vie di Hebron. Scherzano, si divertono, ridono. Sfogano così tutto lo stress che il ruolo comporta. Soprattutto nei territori a loro ostili come la Cisgiordania.
Poi ci sono altri soldati che non reggono il peso. E la fanno finita. Nei primi sei mesi dell'anno 19 soldati giovanissimi si sono tolti la vita. Chi con un colpo di pistola alla testa. Chi buttandosi da un terrazzo.
Un dato che preoccupa. Perché nell'intero 2009 a suicidarsi erano stati in 21. Se continua così, il record negativo del 2005 - 35 morti - rischia di essere battuto. E di non poco.
A fare luce sull'alto numero dei suicidi tra le file dell'esercito israeliano è il quotidiano Yedioth Ahronoth. Citando fonti militari, il giornale scrive che secondo le indagini compiute in passato su ogni singolo caso di soldato che s'è tolto la vita non ci sarebbero «connessioni dirette» con la vita di caserma e le attività belliche.
Una risposta che non basta allo stato maggiore. Che ha già iniziato a dare maggior peso alla componente psicologica dell'addestramento, a organizzare nuovi corsi per ufficiali destinati a individuare in anticipo situazioni di disagio fra i sottoposti e a disporre una riduzione del numero dei militari autorizzati a detenere regolarmente armi.
Nel 2008, per la prima volta, due ufficiali furono condannati per non essere riusciti a evitare il suicidio di un soldato che mostrava - a detta degli specialisti - evidenti segni di disturbo mentale. Nello stesso caso, anche uno psichiatra fu sottoposto a processo disciplinare per non aver curato il soldato.

(DirettaNews.it, 11 luglio 2010)

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Diplomazia israeliana: sventato l'arrivo di una nave libica

Ieri la fondazione guidata da Seif Al-Islam Gheddafi, il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, aveva annunciato la sua intenzione di far partire una nave con aiuti dalla Grecia per rompere il blocco israeliano a Gaza.

ROMA, 10-07-2010 - La diplomazia israeliana sarebbe riuscita a sventare l'arrivo a Gaza di una nave libica che era pronta a sfidare il blocco per portare aiuti umanitari nell'enclave palestinese. Il ministero degli Esteri dello Stato ebraico ha riferito che, negli ultimi giorni, ci sono stati diversi contatti tra Avigdor Lieberman e i colleghi di Grecia e Moldova che hanno mediato con le autorita' di Tripoli.
"Il ministero degli Esteri ha fiducia che, dopo questi colloqui, la nave non raggiungera' Gaza", si legge in un comunicato.
L'organizzazione che fa capo al figlio di Muammar Gheddafi, Seif al-Islam, considerato l'erede del Colonnello, aveva fatto sapere venerdi' che avrebbe inviato dalla Grecia nella Striscia una nave con prodotti alimentari e medicinali. Il cargo libico sarebbe dovuto partire dal porto di Lavrio, 60 chilometri a sudest di Atene, ma, secondo quanto riferito da ufficiali israeliani, le autorita' moldave hanno contattato il comandante che ha concordato di deviare verso il porto egiziano di El-Arish.
Secondo i media israeliani, l'ambasciatore all'Onu, Gabriela Shalev, ha inviato una lettera al segretario generale Ban Ki-moon chiedendogli di intervenire per impedire l'arrivo della nave libica a Gaza . A bordo della nave libica - secondo quanto riferito dall'organizzazione di Seif al-Islam - viaggiano anche diversi attivisti che "vogliono esprimere solidarieta' al popolo palestinese sotto assedio a Gaza".

(RaiNews24, 10 luglio 2010)

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Il senso della Libia per i diritti umani

di Valeria Pannuti

Una nave libica per Gaza in nome dei ''valori umanitari e morali''. Proprio di recente l'ultimo rapporto di Amnesty International ha tracciato un quadro assai fosco dei diritti umani in Libia. E la Libia e' anche nella lista nera di Human Rights Watch, tra i paesi che compiono abusi e sopraffazioni.

ROMA, 10-07-2010 - Non ha firmato la Convenzione di Ginevra per i rifugiati, ma vuole mandare una nave di aiuti a Gaza. E' ancora forte l'eco delle condanne per il trattamento disumano riservato a oltre 200 rifiugiati eritrei, maltrattati e torturati in un centro di detenzione, e la Libia di Gheddafi annuncia una missione ''umanitaria''.
Una iniziativa con "intenti provocatori", quella libica, aveva commentato l'ambasciatrice di Israele Gabriela Shalev, in un incontro con il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
L'annuncio dell'intenzione di far partire la nave con aiuti dalla Grecia, un cargo battente bandiera moldava, era stato dato dalla fondazione guidata da Seif Al-Islam Gheddafi, il figlio del leader libico Muammar Gheddafi.
Israele aveva chiesto alle Nazioni Unite di intervenire. Secondo quanto riporta il sito web del quotidiano Haaretz, l'ambasciatrice di Israele al Palazzo di Vetro, Gabriela Shalev, aveva inviato una lettera al segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, per chiedere "alla comunita' internazionale di esercitare la sua influenza sul governo libico, affinche' questo dimostri la sua responsabilita'", impedendo e impedisca la partenza della nave verso la Striscia di Gaza.
Qualora l'impegno diplomatico di bloccare la nave non avesse avuto effetto, l'unita' d'elite della marina militare avrebbe intercettato l'imbarcazione, per condurla verso il porto israeliano di Ashdod, a sud di Tel Aviv. Secondo Israele, gli aiuti possono essere inoltrati a Gaza via terra, senza forzare il blocco marino. Un blocco che, ribadisce Israele, resta necessario per impedire possibili forniture di armi ad Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, ed e' elencata nelle organizzazioni terroristiche da vari stati, compresa l'Unione Europea.
L'iniziativa della nave libica, spiega in una nota la Fondazione Gheddafi, e' "puramente umanitaria, espressione di solidarieta' e di rifiuto delle pratiche di occupazione, della politica di sottomissione delle persone alla fame, dell'ignoranza del diritto internazionale e di tutti i valori umanitari e morali, pratiche frutto di politiche basate sull'ostilita"'.
Un'afflato umanitario che pero' la Libia non si sente di promuovere ne' per i suoi stessi cittadini, ne' per i rifugliati.
L'iniziativa libica arriva infatti a pochi giorni dalla violazione dei piu' elementari diritti umani perpetrata dalle autorita' libiche nei confronti degli oltre 200 rifugiati eritrei. Ancora e' viva la disperazione delle voci dall'inferno dal deserto libico: "Ci torturano, ci insultano, ci picchiano". Sms e telefonate che documentano l'orrore. Donne e bambini tenuti peggio in container infuocati. "Posso dire che la maggioranza delle donne ha raccontato di essere stata fatta oggetto di violenza", aveva detto ai microfoni di CNRmedia Massimo Barra, presidente della Commissione Permanente della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale.
Anche secondo i numerosi rapporti ricevuti dal commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa Hammarberg , "il gruppo sarebbe stato sottoposto a maltrattamenti da parte della polizia libica, e molte delle persone detenute sarebbero rimaste gravemente ferite". Dopo le forti pressioni internazionali, e' arrivato un "Accordo di liberazione e residenza in cambio di lavoro".
Ma rischierebbero i lavori forzati i rifugiati eritrei secondo l'opinione del giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell'università di Palermo. ''L'accordo di liberazione e residenza in cambio di lavoro'' annunciato dal ministro della Pubblica Sicurezza libico, il generale Younis Al Obedi, che prevede '' lavoro socialmente utile in diverse shabie (comuni) della Libia'' nasconde, secondo Paleologo, una forma diversa di detenzione nei campi di lavoro libici. Paleologo denuncia che '' una parte soltanto dei detenuti di Sebha ha accettato'' e che questa condizione ''non permettera' loro alcuna libertà di circolazione, come spetterebbe a qualunque titolare del diritto di asilo, e li consegnerà ad una rigida catena gerarchica che esigera' da loro un vero e proprio lavoro forzato''.
Un episodio, quello degli eritrei, che si e' verificato in un consolidato contesto di violazione dei diritti umani. Proprio di recente l'ultimo rapporto di Amnesty International, ha tracciato un quadro assai fosco dei diritti umani in Libia.
E la Libia, e' anche nella lista nera di Human Rights Watch, tra i paesi che compiono abusi e sopraffazioni. E' alla luce di questa latitanza sul rispetto dei diritti umani piu' elementari all'interno dei propri confini, che l'organizzazione di una nave ''umanitaria'' libica assume il tono di una provocazione.
"La libertà di espressione, di associazione e di riunione ha continuato a essere gravemente limitata", dice il rapporto di Amnesty International. Che denuncia punizioni nei confronti di coloro che hanno criticato l'atteggiamento del governo in materia di diritti umani. dissidenti detenuti che non hanno diritto ad un avvocato. Per non parlare delle centinaia di casi di sparizioni irrisolte. In un regime dove, oltretutto, regna l'impunita' per i responsabili degli abusi.
"Cittadini straneri sospettati di soggiornare illegalmente nel paese, compresi rifugiati e richiedenti asilo, sono stati detenuti e maltrattati", continua il rapporto. La repressione del dissenso e' all'ordine del giorno, cosi' come la discriminazione contro le donne.
Molti i reati, infine, per cui si prevede la pena di morte, "compreso il pacifico esercizio del diritto alla libertà di espressione e di associazione".

(RaiNews24, 10 luglio 2010)

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Ritorna il cibo della Bibbia

La nuova moda ha prodotto un giro d'affari che arriva ormai a 200 miliardi di dollari. «Gli americani comprano questi alimenti perché sono sinonimo di purezza»

Hot dog «Hebrew National» nel Dolphin Stadium del Super Bowl, corsi sulla macellazione rituale per i futuri agricoltori all'Università del Mississippi, bevande Gatorade autorizzate dal rabbinato e un mercato di prodotti da 200 miliardi di dollari: il cibo kosher dilaga nei supermercati e nelle case degli americani grazie al fatto che a consumarlo sono soprattutto i non-ebrei, ritenendolo ancora più salutare di quello organico.
A descrivere l'entità della nuova moda alimentare sono i numeri. Se in America le vendite di cibo annuali sommano a 500 miliardi di dollari la quota di prodotti confezionati secondo le norme alimentari ebraiche (kosher significa «permesso») vanno da un terzo alla metà, con un considerevole balzo in avanti rispetto a quanto avveniva nel 1993 quando le vendite si fermavano a 32 miliardi. Se a ciò si aggiunge che gli ebrei compongono meno del 2 per cento dei 300 milioni di americani, e che in maggioranza non mangiano kosher, si arriva al boom di acquisti da parte dei non ebrei che, secondo Sue Fishkoff autrice del nuovo «Kosher Nation», scoprirono questo tipo di cibo grazie a uno spot tv del 1972 nel quale si vedeva lo Zio Sam divorare un «Hebrew National» hot dog - di manzo e non di maiale - mentre una voce sullo sfondo diceva «Rispondiamo ad un'Autorità superiore, fidatevi di noi, siamo kosher». Nell'America di Nixon attraversata da proteste e sfiducia fu un messaggio che funzionò per sdoganare un tipo di prodotti fino ad allora con una clientela soprattutto ebraica. Ma il vero salto di qualità nella grande distribuzione è avvenuto negli ultimi dieci anni a seguito del dilagante timore su contaminazione di cibi, allergie e ingredienti che ha trasformato il «kosher food» in un prodotto sicuro perché arriva in vendita dopo una miriade di minsuziosi controlli. L'indagine condotta dal centro di ricerche «Mintel» attesta che «solo il 15 per cento» degli acquirenti sono spinti da «motivi religiosi», mentre per il resto, come spiega Larry Finkel della società di analisi di mercato «Packaged Facts», «il motivo dell'acquisto è la sicurezza alimentare e il timore dei consumatori perché kosher è sinonimo di purezza». E ciò si spiega con il fatto che le leggi alimentari ebraiche includono l'estrazione di tutto il sangue dalle carne, il divieto di mischiare carne e latte, la proibizione totale dei frutti di mare, l'assenza di maiale e lo scrupoloso controllo di ogni tipo di grassi offrendo ai consumatori una garanzia di qualità superiore anche ai cibi organici.
Uno studio della Cornell University attesta che circa il 40 per cento di tutti i cibi in circolazione sono kosher e ciò spiega la scelta delle maggiori catene di supermercati - Wal-Mart, Costco e Trade Joe's - di offrire questi prodotti sugli scaffali, mentre a New York il popolare servizio di consegne a domicilio FreshDirect afferma che nel 2009 ben il 30 per cento degli acquisti sono stati kosher. Le conseguenze sono a pioggia: si moltiplicano i produttori che vogliono kosherizzare i cibi come anche i rabbini e i controllori specializzati nell'eseguire le verifiche. E all'ateneo del Mississippi i docenti di «scienza del pollame» hanno iniziato a insegnare ai futuri agricoltori le tecniche della macellazione rituale, ebraica e islamica. La tendenza di massa ha resistito anche allo scandalo di Agriprocessors, il maggiore centro di trattamento di carne kosher in America, che nel 2008 è stato chiuso perché impiegava lavoratori clandestini. La decisione di molti clienti di boicottarne i prodotti è stata infatti seguita da un aumento di offerta dei concorrenti.

(La Stampa, 10 luglio 2010)

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Antisemitismo, il mostro che ritorna

di Alfredo Sgarlato

Cercando in rete materiale sul Festival di Cannes mi sono imbattuto in un articolo, di rara stupidità, su Woody Allen. Ma ancor più che l'articolo a colpirmi è stato un commento che diceva: "da uno che non crede in Gesù cosa ci si poteva aspettare". Uno che non crede in Gesù… cioè un ebreo.
Come ebreo è Polanski, altro grande regista contro cui si è scagliata una clamorosa ondata giustizialista, specie da quella parte della stampa che fa continua professione di garantismo, specialmente quanto più potente è l'accusato (ricordiamo che Polanski è accusato di atti sessuali illeciti, puniti negli USA con 2/3 anni di reclusione, non di stupro o pedofilia come normalmente riportano i giornali).
E non sono rari commenti di questo tenore su un quotidiano che pure è politicamente filoisraeliano.
Come notizia recente è quella dell'apparizione su un muro di Roma di una scritta ingiuriosa verso Anna Frank, pochi mesi dopo la bislacca richiesta di un insegnante di censurare alcune parti del diario riputate scabrose.
Questi e mille altri piccoli fenomeni sono la spia del riemergere di un mostro che sembrava sconfitto e invece sta risorgendo, l'antisemitismo.
Oddio, non sempre "piccoli": pensiamo al clamoroso caso del reverendo Williamson, con le sue dichiarazioni negazioniste poi ripetute da un ecclesiastico di Treviso (non ricordo il nome, ma non vale la pena citarlo), uno scandalo la cui portata non è stata compresa fino in fondo. Ma l'aspetto più orribile della questione è che spesso l'antisemitismo è mascherato e va letto tra le righe.
Prendiamo alcune formazioni neofasciste come Casapound o Forza nuova: nei primi posti del loro programma c'è la lotta all'usura.
Per carità, l'usura è uno dei reati più odiosi, ma perché non si parla anche di lotta alla mafia o all'evasione fiscale, problemi che in Italia sono ben più gravi? Perché storicamente l'usura era praticata dagli ebrei.
O prendiamo i siti che riportano le teorie cospirazioniste: sebbene siano tutti basati sui libelli antisemiti, i "cattivi", di volta in volta diventano i massoni, gli atei, gli illuministi (termine che usa anche Bossi), i banchieri ma tutti questi termini scava scava rimandano agli ebrei (e anche ai comunisti, anche quando ciò è in palese contraddizione).
La più divertente è il club che riunisce i 300 uomini più potenti del mondo (in tutti i miti, le leggende e le bufale i protagonisti o sono sette o sono trecento, fateci caso), che ovviamente ha un nome che suona ebraico (inutile dire che la lista segretissima dei partecipanti si trova in qualunque sito internet, e sapete chi rappresenta l'Italia? Veltroni. Ma per favoreeee!!!!).
Ma questi sono casi umani di cui volendo si può anche sorridere: purtroppo il mostro antisemita si incontra sempre più spesso.
Mi è capitato di essere al cinema e alla battuta "non esiste un ebreo buono" sentir rispondere ad alta voce "questo è vero".
Mi è capitato di conoscere un angelico ragazzino, quotidiano governativo sotto il braccio, che mi diceva di aver scoperto dove procurarsi (cioè nella sede di AN) libri che non si trovano, come quelli di Evola e Codreanu, i più spietati antisemiti e quelli più pericolosi, quelli che travestono l'antisemitismo da difesa della tradizione cristiana o della spiritualità occidentale.
Libelli che è sempre più facile trovare, anche sul pratone di Pontida, magari con le prefazioni di opinionisti di insuccesso come Blondet o Paragone.
Il mostro alza sempre di più la testa. Bisognerebbe tagliarla prima che sia troppo tardi.

(Savona e ponente, 10 luglio 2010)

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Israele, più voli internazionali

Nel primo trimestre del 2010, l'Israel Airports Authority ha registrato oltre 2.3 milioni di passeggeri in arrivo e in partenza da Israele, contro 1.9 milioni di passeggeri del periodo gennaio-marzo 2009. In aumento (+8,5%) anche il numero dei voli.
Alitalia è la compagnia che ha registrato il maggiore incremento (+77%), seguita da Turkish Airlines (+68%), Brussels Airlines (+55%), Lufthansa (+42%), British Airways e Austrian Airlines (entrambe +19%). La compagnia aerea israeliana El Al ha registrato un aumento del 12%.

(Agenzia di Viaggi, 9 luglio 2010)

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L'ambasciatore degli Emirati vuole che gli Usa fermino la bomba iraniana con la forza

di Christian Rocca

Yousef al-Otaiba
Bombardate l'Iran nucleare, per favore. A chiederlo, quasi a implolarlo, non è un neoconservatore americano, non è un esponente della destra israeliana. Non è nemmeno un militare o un colono. Non è un crociato né un ebreo sionista. La richiesta di fermare i programmi atomici degli ayatollah islamici di Teheran è di un arabo, di un musulmano, di un rappresentante ufficiale di uno dei paesi del Golfo.
Ad Aspen, in Colorado, durante l'annuale festival delle idee organizzato dall'Atlantic Monthly, l'ambasciatore a Washington degli Emirati Arabi Uniti, Yousef al-Otaiba, ha detto che i benefici di un bombardamento contro le strutture nucleari iraniane sarebbero maggiori rispetto ai costi di breve periodo che un attacco di questo tipo certamente causerebbe. Intervistato da Jeffrey Goldberg dell'Atlantic, l'ambasciatore degli Emirati ha detto apertamente quello che i governi arabi del Golfo dicono da tempo riservatamente agli americani e agli occidentali: un Iran dotato di bomba atomica fa paura, è una minaccia seria, i programmi nucleari vanno fermati, anche con l'uso della forza. La domanda di Goldberg è stata diretta: «Vuole che gli Stati Uniti fermino il programma nucleare iraniano con la forza?». Inequivoca la risposta, malgrado il tentativo del giorno successivo di attenuare la portata della dichiarazione: «Assolutamente, assolutamente sì. Credo che noi rischiamo molto più di voi».

A nome del suo paese, Yousef al-Otaiba ha detto inoltre che «gli Emirati non possono vivere con un Iran nucleare. L'America magari sì. Noi no. I paesi della regione avvertono la minaccia iraniana in modo differente. A settemila miglia di distanza, e con due oceani a fare da confine, la minaccia nucleare iraniana non sembra così credibile per il continente americano. Può minacciare i vostri interessi nella regione, il processo di pace, il bilanciamento dei poteri, qualsiasi cosa, ma non vi minaccia direttamente. Il nostro esercito, invece, si sveglia, sogna, respira, mangia e dorme con la minaccia iraniana. E l'unica preoccupazione conventzionale per cui il nostro apparato militare si prepara e si addestra. Non ce ne sono altre. Non ci sono altri paesi che ci minacciano. C'è solo l'Iran. E' davvero nel nostro interesse che l'Iran non acquisisca la tecnologia militare».

Se l'America decidesse di non fermare i piani nucleari di Teheran, ha aggiunto l'ambasciatore arabo, gli stati del Golfo abbandoneranno Washington e cercheranno copertura sotto l'ombrello atomico degli ayatollah e scatenerebbero a loro volta una corsa al nucleare. Saranno molti i paesi arabi del Golfo - ha detto al-Otaiba a un pubblico di analisti e specialisti mediorientali rimasto senza parole per la franchezza delle espressioni dell'ambasciatore - pronti ad allearsi con l'Iran se a un certo punto si accorgeranno che l'America non ha nessuna intenzione di fermare la corsa al nucleare. «Parlare di deterrenza e di contenimento - ha detto l'ambasciatore criticando la linea più di moda tra le cancellerie occidentali - mi preoccupa e mi rende nervoso». Il concetto espresso ad Aspen è semplice: non siamo stati capaci di convincere un Iran privo dell'atomica a fermare il sostegno ad Hamas e a Hezbollah, figuriamoci una volta che disporrà della Bomba: «Per quale motivo dovrei convincermi che deterrenza e contenimento questa volta funzioneranno?».

Al Washington Times, l'ex ambasciatore di George W. Bush alle Nazioni Unite, John Bolton, ha rilasciato un commento pessimista: «Gli stati del Golfo Persico riconoscono la grave minaccia di un Iran nucleare, purtroppo sanno anche, e ne sono molto preoccupati, che le politiche dell'Amministrazione Obama non fermeranno gli ayatollah».

(Il Sole 24 Ore, 9 luglio 2010)

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Israele e Palestina continuano il dialogo senza guardarsi

Pressioni da Usa e Russia per i colloqui di pace

di Gennaro Esposito

L'attenzione del mondo intero pare essersi focalizzata nuovamente sul Medio Oriente, regione che sta attraversando l'ennesimo momento di profonda conflittualità dovuta, inutile dirlo, al delicato rapporto tra lo Stato di Israele e l'Anp. L'amministrazione Usa, che da sempre tenta di risolvere la crisi israelo-palestinese vista come la principale fonte di destabilizzazione della regione (basti pensare che anche il tanto temuto programma nucleare iraniano è per molti versi legato al continuo conflitto contro lo Stato d'Israele), ha dato una notevole accelerata al processo che dovrebbe condurre al confronto pacifico tra le parti, trovando in Netanyahu ed Abbas due interlocutori disponibili al dialogo. Ma mentre Obama spinge in questa direzione tentando di utilizzare toni concilianti c'è chi, pur spingendo nella stessa direzione, ricorre ad un linguaggio più duro. E' il caso dell'ambasciatore russo in Giordania Alexander Kalugin il quale, in un'intervista rilasciata al Jordan Times, non solo ha bocciato la strategia di dialogo americana affermando che la migliore via possibile per una pace duratura sia la riattivazione degli accordi "Movement and Access", mediati nel 2005 dall'Unione Europea e rimasti in vigore fino al conflitto scoppiato a Gaza a fine 2008, ma ha anche attaccato Israele ed Anp che, secondo Kalugin, non si trovano nella posizione ideale per poter dialogare tra loro. Prima si è rivolto ad Israele affermando che "i piani israeliani di espansione delle colonie nei territori palestinesi devono essere abbandonati, in quanto questo tipo di misure unilaterali non permette di costruire una fiducia reciproca". E' stato poi il turno dei palestinesi che, secondo l'ambasciatore russo, "devono superare le rivalità interne tra fazioni per poter essere credibili agli occhi degli israeliani e del mondo". Kalugin ha poi proseguito l'intervista concentrandosi sui rapporti commerciali tra Russia e Giordania. Paese, quest'ultimo, che è finito sotto osservazione a causa della propria ambizione di dotarsi di centrali nucleari per la produzione di energia. Washington e Gerusalemme si sono infatti dette contrarie al programma nucleare giordano nonostante Amman sia storicamente vicino all'Occidente e goda di un rapporto privilegiato con Israele.
Nel frattempo Netanyahu, in visita negli USA, ha incontrato, così come aveva fatto qualche settimana fa il suo "rivale" Abbas, la lobby ebraica americana. Il Primo Ministro israeliano ha affermato che "i negoziati israelo-palestinesi riprenderanno molto presto", ma ha anche aggiunto che quella con i palestinesi "sarà una trattativa molto dura". E proprio mentre Netanyahu pronunciava queste parole, il Presidente palestinese Abbas, in visita in Etiopia, rendeva noto attraverso una nota ufficiale che i palestinesi "sono pronti ad avviare il confronto diretto a patto che Israele dia segnali chiari sui confini e la sicurezza dei due Stati", lasciando di fatto la decisione nelle mani del Governo di Gerusalemme. Ma le minacce maggiori ad Israele paiono venire da Nord, dove Hezbollah sta riprendendo posizione sul confine libanese pronta a lanciare una nuova offensiva, come dimostrato dal massiccio dislocamento dei mujaheddin che nei giorni scorsi ha condotto allo scontro armato con le forze di pace Onu della missione Unifil. Secondo fonti militari israeliane, Hezbollah sarebbe in possesso di circa 40.000 missili a corto e medio raggio di fabbricazione siriana ed iraniana pronti a colpire Israele dai piccoli villaggi a sud del fiume Litani. Inoltre gran parte dei circa 20.000 miliziani di Hezbollah avrebbero ricevuto addestramento proprio in Iran, storico sponsor del movimento sciita libanese. Intanto il Presidente dell'Assemblea Generale dell'Onu Ali Abdussalam Treki ha reso noto che la sessione prevista per discutere dell'incidente avvenuto a largo delle coste di Gaza lo scorso 31 maggio è stata cancellata, probabilmente proprio per gettare acqua sul fuoco in un momento così delicato per le sorti della regione. Il pubblico che si interessa delle sorti del Medio Oriente continua a domandarsi se si troverà una soluzione pacifica alla crisi latente, ma questa è una domanda che al momento non può avere una risposta.

(l'Opinione, 9 luglio 2010)

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Nuovo video di minaccia agli Usa dal talebano home made Adam Gadhan

di Dimitri Buffa

Adam Gadahn
"Ogni lode è dovuta ad Allah, Creatore dei cieli e della terra, e preghiere e pace vadano verso il Messaggero di Allah ed i suoi Compagni, famiglia e sostenitori fino al Giorno del Giudizio. Barack: so che stai strisciando come un serpente verso il secondo anno del tuo regno, come uno che pretende di essere il presidente del cambiamento. Adesso, tu ti ritrovi ad essere occupato negli affari di un impero in declino e sotto assedio e nel farlo dimostri di essere niente di più che un altro presidente di guerra americano ingannevole, assetato di sangue e mentalità ristretta."
Il talebano americano, Adam Gadahn, già noto per i propri clip da bullo della jihad globale, inizia così la propria ennesima lettera video di minaccia di altri attacchi terroristici contro l'America. Tutto pubblicato da uno dei tanti siti jihadisti che spesso proprio in America vengono registrati legalmente sebbene trasmettano le prioprie nefandezze da tutta altra parte del globo. Adam Gadhan in questo suo personale messaggio al presidente Obama conclude così: "la prossima volta potremmo non mostrare la stessa moderazione ed auto-controllo".
Nel messaggio video sono contenuti anche precisi riferimenti alle prigioni per terroristi che di fatto hanno iniziato a sostituire Guantanamo e la poltica delle "renditions": "tu stai supervisionando in modo affrettato la riparazione del cordone di sicurezza attorno all'America e la tua sfacciata escalation dell'aggressione americana verso Afghanistan, Pakistan, Yemen e Somalia. Hai anche tolto i nostri fratelli imprigionati dai luoghi di detenzione sparsi in tutto il mondo per metterli in campi di concentramento per soli mussulmani in Illinois, Bagram ed altri luoghi. Ed hai fatto tutto questo nel nome della protezione del popolo americano dalle minacce della vendetta mussulmana per i crimini americani o di quello che tu insisti a chiamare la minaccia di Al-Qaeda o del terrorismo ispirato da Al-Qaeda."
Poi ci sono altre minacce di vario tipo e il messaggio si chiiude con questa allusione che farebbe pensare che ci siano in America degli operativi "in sonno " della jihad globale di cui Al Qaeda è il marchio in merchandising, pronti a colpire quando qualcuno glielo ordienerà, magari con messaggi in codice e usando i social network e la rete: "E, onestamente, Barack, come presidente che si è dimostrato incapace di tenere degli intrusi fuori dalla propria residenza ufficiale, ti aspetti che ci sia qualcuno che creda che tu possa avere successo nei tuoi tentativi di tenere i mujahiddin fuori dall'intero continente?"

(l'Opinione, 9 luglio 2010)

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Islam, il salto nel buio degli intellettuali laici

di Matteo Sacchi

In Occidente va di moda minimizzare le minacce della Mezzaluna. Ma c'è qualcuno che non ci sta. Un saggio di Paul Berman smaschera i metodi e la doppiezza dei Fratelli Musulmani

Dove sono finiti gli intellettuali del mondo Occidentale? Sono volati via, persi nel cielo dell'orientalismo «senza se e senza ma». Si sono smarriti nelle enormi distese, prive di nuvole e tutte uguali, del multiculturalismo e del politicamente corretto. Venduti al vangelo secondo cui quelli che hanno ragione sono sempre gli altri. A partire da Tariq Ramadan, sul quale, a partire dal 2001, si è focalizzata l'attenzione di chi, in Europa o in America, voleva un dialogo con l'Islam.
Ecco in sintesi la tesi esposta da Paul Berman nel suo nuovo libro The flight of the intellectuals, edito negli Stati Uniti da Melville House (pagg. 299, dollari 26): uno degli atti d'accusa più decisi verso quella che potremmo definire l'ignavia dei dotti della post modernità. A trasformare il libro in una bomba non è soltanto il fatto che l'autore sia uno dei pensatori più influenti d'America, ma anche la constatazione che sia un «cervellone» left wing e una delle penne di punta di New Republic, vero tempio dei liberal. Insomma l'accusa non è lanciata in nome della «crociata» dei conservatori ma in nome del laicismo. Non è caratterizzata da prese di posizione astratte, quanto da accuse corredate di nomi e cognomi.
Il punto di partenza di Berman è il caso Salman Rushdie. Quando, ormai vent'anni fa, l'ayatollah Khomeini lanciò la sua fatwa contro lo scrittore anglo-indiano, nessuno a nord e a ovest della Mezzaluna ebbe dubbi: la libertà di parola andava difesa: si mobilitarono tutti gli intellettuali - il che non impedì l'uccisione del traduttore giapponese del romanzo, Hitoshi Igari, il ferimento del traduttore italiano, Ettore Capriolo, e dell'editore norvegese del libro. Ora, invece, i pochi scrittori o pensatori che parlano in termini critici della religione e della cultura islamica vengono lasciati soli. Anzi: spesso vengono accusati di essere loro stessi dei fanatici.
Buona parte delle penne «nobili» d'Occidente è, infatti, impegnata nello sposare la causa di un islam moderato che forse c'è e forse non c'è. Per questo Berman insiste molto sul caso Ramadan. Alcuni dei più influenti opinion maker - come l'orientalista britannico-olandese Ian Buruma e Timothy Garton Ash, professore amatissimo dal Guardian e dalla New York Review of books - si sono lasciati blandire dalle aperture dello scrittore arabo-svizzero. Hanno, invece, accusato chi, come Ayaan Hirsi Alì, ha posizioni critiche sul mondo musulmano, di essere dei «fondamentalisti dell'illuminismo». E Buruma e Garton Ash per molti americani rappresentano l'Europa che pensa, quella da ascoltare.
Insomma liberal e progressisti che sino a dieci anni fa combattevano per la laicità, adesso applaudono quel Ramadan che impedì la messa in scena di un'opera teatrale di Voltaire (è accaduto in Svizzera), trovano normale che alle sue conferenze gli uomini siedano da una parte e le donne dall'altra (meglio se velate), o che lo stesso Ramadan accusi buona parte dei filosofi francesi di essere dei cripto sionisti.
Come è potuto accadere? In parte la colpa è della vena carsica del terzomondismo. «Per gli intellettuali occidentali i poverissimi esseri umani nelle poverissime regioni del mondo appaiono essere migliori degli altri esseri umani. Sono dei nobili selvaggi...». Queste fantasie hanno provocato un razzismo alla rovescia difficile da cancellare. Ecco perché se la Alì o Magdi Allam prendono posizione contro l'infibulazione è lecito gridare che vanno bene i diritti delle donne ma non si possono fraintendere così le culture «altre». Un doppiopesismo pericoloso. Tanto più che Berman ricostruisce con dovizia di particolari la storia di Ramadan e dei Fratelli Musulmani: una storia che difficilmente può essere messa sotto il tappeto.
Il professore arabo ginevrino è legatissimo, a partire dai motivi familiari, a questa associazione. Un'associazione considerata ai limiti della legge anche in moltissimi Paesi arabi (ogni tanto cooperano all'omicidio di un presidente egiziano), un'associazione che sposò le posizioni dei nazisti allo scopo di debellare gli ebrei dalla Palestina sotto mandato inglese (il loro motto è «Allah è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihad è la nostra via. Morire nella via di Allah è la nostra suprema speranza»). Su questa vicinanza in moltissimi minimizzano, quando semplicemente non fanno finta di essersela dimenticata (fingono anche di dimenticare che Hamas è nata da una costola dei Fratelli).
Eppure non occorre aver fatto studi specialistici per sapere che una delle opere più note di Tariq Ramadan è Alle origini del rinnovamento musulmano: da al-afghani a Hassan al-Banna un secolo di riformismo islamico. Nel saggio, contestatissimo persino nelle università svizzere dove Ramadan insegna, l'autore fa apparire Al Banna (suo nonno, nonché fondatore dei Fratelli) come una specie di Gandhi del mondo musulmano. Peccato che i suoi metodi fossero decisamente più violenti, cosa su cui Ramadan glissa.
Abbastanza per far arrabbiare il laico Berman, il quale si ricorda benissimo che nell'Islam esiste la taquiyya, ovvero la possibilità riconosciuta di usare un doppio linguaggio con l'infedele.
La sua domanda è: possibile che gli intellettuali liberali non fiatino proprio ora che «il fenomeno Rushdie si è metastatizzato in un'intera categoria di potenziali vittime?». E se in America il suo grido d'allarme ha almeno prodotto un bel clamore, l'Europa nicchia. Nel lungo percorso che porta dagli illuministi, con tutti i loro difetti, ai loro epigoni, che quei difetti li hanno esasperati, qualcosa si è comunque smarrito. Potrebbe essere il coraggio.

(il Giornale, 9 luglio 2010)

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Hamas prepara terza Intifada, in 200 pagine le direttive di guerra

GERUSALEMME, 8 lug. - La scelta accurata dell'ostaggio, meglio se ha moglie e figli. I metodi per acquisire razzi, ma senza destare sospetti. L'importanza di 'arruolare' cittadini arabo israeliani e di rimanere vigili nell'uso di Internet. Fino all'adozione di un modello, quello di al-Qaeda.
Sono questi i punti salienti contenuti nelle duecento pagine redatte da Mohammed Arman, un alto rappresentante di Hamas che, dalla sua cella del carcere israeliano di Hadarim, ha preparato il testo operativo per la terza Intifada. Ducento pagine di documento segreto intitolato 'Resistenza. Una visione dall'interno', che ha superato i controlli della sicurezza carceraria e raggiunto i leader di Hamas. L'obiettivo e' quello di preparare il terreno alla ''prossima fase'' della guerra del movimento islamico contro Israele.
Non essendo un teorico militare, ma un ''attivista sul campo'' tra i piu' attivi fino al suo arresto nel 2002, Arman ha quindi redatto un testo che appare piu' come una guida pratica per i militanti di Hamas che un'analisi sulle attivita' del gruppo. Un documento dettagliato, impressionante e soprattutto che fa paura, come scrive 'Ynet', il sito del quotidiano Yediot Ahronot, anche per la sua profonda compressione della natura della societa' israeliana e dalla sua leadership.

(Adnkronos, 8 luglio 2010)

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Natan Sharansky incontra i giovani ebrei italiani

ROMA - Natan Sharansky, Presidente dell'AgeNzia ebraica per Israele è da questa mattina in visita ufficiale a Roma dove ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini e subito dopo un gruppo di giornalisti. Nel pomeriggio vedrà i giovani ebrei italiani in un incontro - dibattito dal titolo "Il futuro è nelle nostre mani" e, più tardi, il ministro degli Esteri Franco Frattini. Questa sera Sharansky, che è accompagnato dalla vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e presidente dell'Agenzia ebraica in Italia Claudia De Benedetti, sarà ospite d'onore di una serata organizzata dal Keren Hayesod.

(Notiziario Ucei, 8 luglio 2010)

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Israele svela: "Armi e miliziani di Hezbollah nel sud del Libano"

La bandiera di Hezbollah
Nel quarto anniversario della guerra contro gli Hezbollah nel sud del Libano l'esercito israeliano ha svelato oggi parte delle informazioni in suo possesso sullo spiegamento militare di questa milizia islamica sciita nei villaggi sud libanesi e sul suo arsenale militare.
Dalla fine del conflitto, afferma il portavoce militare, gli Hezbollah hanno trasferito i loro depositi di munizioni dalle aree aperte in sud Libano dentro circa 160 villaggi densamente abitati, accanto a scuole, moschee e ambulatori, adottando così su larga scala "la tattica di usarli come scudi umani".
Secondo Israele gli Hezbollah hanno trasferito in questi villaggi almeno 40 mila razzi, di raggio e calibri diversi, in grado di colpire non solo il nord di Israele ma anche la stessa area metropolitana di Tel Aviv.
Centinaia di consigliere militari iraniani hanno inoltre aiutato gli Hezbollah a stabilire una vasta rete di comunicazioni, a scavare tunnel e a costruire depositi di armi e esplosivi. In sud Libano gli Hezbollah possono contare su una forza di 20 mila miliziani, dispersi in gruppi di alcune decine per ciascun villaggio.

(Blitz quotidiano, 8 luglio 2010)

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Usa, editor Cnn loda ayatollah Fadlallah su Twitter: licenziata

WASHINGTON - La Cnn ha licenziato Octavia Nasr, senior editor per il Medio Oriente, rea di aver pubblicato su Twitter un messaggio in cui esprimeva rispetto per uno scomparso religioso libanese sciita considerato un terrorista dagli Stati Uniti. Lo riportano oggi i media americani e britannici.
Il grande ayatollah Mohammed Hussein Fadlallah, una delle più alte autorità religiose dell'Islam sciita nonché mentore della prima ora del gruppo militante Hezbollah, è morto a Beirut domenica scorsa.
Nasr, che lavorava ad Atlanta ed era alla Cnn da vent'anni, ha scritto su Twitter: "Apprendo con tristezza della morte di Sayyed Mohammed Hussein Fadlallah ... Uno dei giganti di Hezbollah che rispetto moltissimo", riporta il New York Times.
Alcuni sostenitori di Israele, continua il quotidiano, hanno visto quasi subito il post su Twitter, disapprovandolo. Non è stato al momento possibile contattare la dirigenza della Cnn per avere un commento.
Secondo quanto riporta il Times, Parisa Khosravi, vicepresidente senior di Cnn International Newsgathering, ha scritto in un memorandum interno alla compagnia di aver "fatto una chiacchierata" con Nasr, e che "abbiamo deciso che lascerà la compagnia".
Fadlallah era un sostenitore della Rivoluzione Islamica iraniana e del partito iracheno Dawa del premier Nuri al-Maliki. Era anche leader spirituale e mentore di Hezbollah dopo la sua costituzione seguita all'invasione del Libano ad opera di Israele nel 1982, anche se più tardi ha preso le distanze dall'Iran.
I dirigenti della Cnn, scrive il Times, hanno saputo lunedì del messaggio di Nasr, e il giorno successivo un portavoce lo ha definito un "errore di giudizio" da parte di Nasr.

(Reuters, 8 luglio 2010)

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Mondiali 2010 - Tifo e memoria in un sondaggio


Doveva essere il mondiale di Brasile e Argentina e invece la tanto bistrattata scuola europea è tornata in auge. A contendersi la coppa saranno Olanda e Spagna, che daranno vita a una finale inedita. Poco più di settantadue ore e non saremo più campioni del mondo in carica. In attesa di rimarginare la ferita sudafricana e programmare lariconquista dello scettro, verso quale delle due squadre saranno rivolte le simpatie degli italiani? Molti tiferanno perchè domenica sera il cielo sia sereno: meglio farsi una bella passeggiata e non guardare scene di esultanza altrui. E gli ebrei per quale squadra parteggeranno? Un sondaggio pubblicato dal Jerusalem Post ci illustra la ripartizione del tifo in Israele, paese che pur non rappresentando la totalità degli ebrei è comunque un campione rappresentativo. Il sondaggio è stato realizzato alla vigilia delle semifinali, quindi le possibili scelte sono quattro (Olanda, Spagna, Germania, Uruguay), ma dà risposte chiare anche per la finale. Il cuore degli israeliani batterà per l'Olanda, che ottiene il 31,1% dei consensi. La Spagna ha un buon seguito ma si attesta a un più modesto 23%. Viva gli Orange dunque, ma se invece degli iberici fossero passati i tedeschi? Il tifo israeliano si sarebbe letteralmente spaccato in due: la Germania ottiene infatti un sorprendente 30.5%. Il sondaggio, i cui risultati travalicano i confini calcistici e ci parlano del rapporto con un passato ancora prossimo, può prestarsi a varie interpretazioni. Forse che gli ebrei askenaziti sono riusciti a superare il trauma di nazismo e Shoah meglio di quanto gli ebrei sefarditi abbiano fatto con le inquisizioni e il marranesimo?

(Notiziario Ucei, 8 luglio 2010)

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Norvegia: Cosa vedere a Essen?

Antica Sinagoga di Essen
Essen è la quarta città della Norvegia ed il suo "Complesso industriale e minerario" è entrato a far parte del Patrimonio dell'Umanità grazie all'Unesco ed è oggi utilizzato per scopi culturali. La costruzione della miniera a pozzo, risalente al 1932, ha dato vita a quella che oggi un importante monumento industriale. Da qui è possibile ammirare gli impianti più interessanti della storia dell'industria mineraria, dall'impianto di estrazione alla sala delle caldaie.
Altra piccola tappa impedibile è il Doumo di Essen, che comprende elementi della basilica di epoca medievale della badessa Theophanu e capolavori come la Madonna d'oro, la più antica statua della Vergine dell'intero Occidente.
In parallelo è possibile visitare l'antica sinagoga della città, inaugurata nel 1913 dalla comunità ebraica di Essen. Quest'edificio a cupola, progettato dall'architetto Edmund Körner, può contenere fino a 1400 persone. Data alle fiamme nel 1938 è riuscita a superare la grande guerra praticamente illesa ed è oggi stata restaurata e restituita a tutti gli abitanti e turisti che ne hanno fatto la propria meta di interesse. Oggi la sinagoga è un vero e proprio monumento commemorativo e moltissime sono le mostre e le collezioni ospitate al suo interno.

(Girando il Mondo, 8 luglio 2010)

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Nuova flotta anti-Israele pronta a salpare dall'Italia

L'operazione è stata preparata in gran segreto dai militanti filo Hamas in una riunione all'ambasciata turca di Roma. Gli israeliani, che parlano di una "nuova flottiglia della guerra santa", puntano il dito contro gli organizzatori italiani

di Fausto Biloslavo

I «pacifisti» a senso unico ci riprovano a mettere in piedi una nuova flottiglia per sbarcare a Gaza. Gli amici italiani di Hamas sono in prima linea. Si incontrano con i diplomatici turchi dell'ambasciata a Roma e annunciano che sono già pronte sei navi delle 20 previste. L'istituto israeliano per l'antiterrorismo di Herzilya denuncia che si tratta di «una nuova flottiglia della guerra santa» pronta a salpare in settembre e punta il dito contro gli organizzatori italiani.
Il 7 giugno l'ambasciata della Repubblica turca a Roma apre le porte ad una variegata delegazione. Ne fanno parte Mohammad Hannoun, dell'Associazione palestinesi in Italia, Izzeddin el-Zir, presidente dell'Unione delle comunità islamiche in Italia, e rappresentanti di centri musulmani vari. All'incontro ci sono anche Angela Lano e Manolo Luppichini, giornalisti militanti fermati dagli israeliani a bordo della flottiglia che il 31 maggio aveva cercato di rompere l'embargo attorno a Gaza. L'intervento dei corpi speciali israeliani e la violenta reazione di militanti turchi mascherati da umanitari provocò nove morti.
Adesso ci riprovano, dopo aver incontrato Semih Lütfü Turgut, consigliere turco che viene presentato come facente funzione dell'ambasciatore. Secondo il resoconto del sito Infopal, filo palestinese, il diplomatico di Ankara avrebbe dichiarato agli ospiti che «togliere l'assedio (a Gaza, nda ) è l'obiettivo principale della Freedom Flotilla. Un altro obiettivo era quello di rivelare il vero volto di Israele, che è venuto fuori durante e dopo l'attacco alla flotta umanitaria».
Hannoun, palestinese con cittadinanza italiana, ha ringraziato il governo turco per il sostegno e annunciato «l'allestimento della Freedom Flottilla 2, che si comporrà di circa 20 navi e 5000 passeggeri». Secondo lui «sono già pronte sei navi e si partirà a settembre ». Hannoun è pure fondatore dell'Associazione Benefica di Solidarietà con il popolo palestinese (Abspp) che ha sede a Genova. Sul sito della onlus si raccolgono fondi per la nuova flotta, da depositare presso la Banca popolare etica. Il 5 luglio i filo palestinesi hanno acquistato la loro barca per Gaza, ma «ora ci tocca pagare la prima rata del 15% e tra due settimane il resto», scrivono in rete.
Jonathan Fighel, ricercatore dell'Istituto internazionale per l'antiterrorismo di Herzilya, punta il dito contro «la nuova flottiglia della guerra santa». L'onlus di Genova è affiliata al cartello internazionale «Unione del bene», guidato dal leader della Fratellanza musulmana Youssef Qaradawi. Secondo Fighel i fondi raccolti in beneficenza sono finiti come «compenso sociale» alle famiglie dei terroristi palestinesi. Poco tempo fa la procura di Genova aveva archiviato un'inchiesta nei confronti di Hannoun per associazione con finalità di terrorismo.
Lo stesso italo-palestinese aveva però ammesso: «Fra i nostri assistiti ci sono pure figli di kamikaze, ma questo non è certo un reato». Gli israeliani, invece, hanno sequestrato «lettere, appunti, ricevute bancarie e altro materiale che provano come l'onlus di Genova Abspp abbia garantito donazioni e appoggio finanziario» a organizzazioni caritatevoli, al bando in Israele, che servono da copertura per Hamas. Fighel denuncia che i soldi giunti anche dall'Italia «venivano poi distribuiti in quote mensili alle famiglie degli attentatori suicidi, a quelle dei prigionieri di Hamas (nelle carceri israeliane, nda ) e dei terroristi».

(il Giornale, 8 luglio 2010)

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Dustin Hoffman boicotta il Festival del cinema di Gerusalemme

Il rifiuto è arrivato dopo il raid contro la flottiglia della pace. Dopo di lui rinuncia anche Meg Ryan

di Viviana Mazza

Dustin Hoffman
GERUSALEMME - Una volta, ad una partita di baseball, una donna vide Dustin Hoffman che non portava né il cappello degli Yankees né quello dei Red Sox e gli chiese: «Sei neutrale?». Lui rispose: «No, sono ebreo». Lo ha raccontato l'attore in un'intervista tempo fa. Nella crisi attuale tra Israele e la Turchia, Hoffman ha scelto di stare alla larga dallo Stato ebraico. Non ha spiegato perché. L'aveva invitato il festival del cinema di Gerusalemme, evento di due settimane che inizia l'8 luglio . «Eravamo vicinissimi a giungere ad un accordo con lui», ha raccontato al quotidiano Jerusalem Post uno degli organizzatori, Yigal Molad Hayo. «Poi c'è stata la questione della flottiglia e la corrispondenza s'è interrotta». Molad Hayo è certo che la ragione sia il raid israeliano del 31 maggio contro le navi dirette a Gaza per spezzare l'embargo, nel quale sono stati uccisi 9 turchi.
IMPEGNI E COSCIENZA - Anche l'attrice Meg Ryan, che aveva dato il suo assenso, ci ha ripensato. «Il giorno dopo l'incidente della flottiglia, abbiamo ricevuto un'email che diceva che non sarebbe venuta perché ha troppi impegni, ma è chiaro che la decisione ha a che fare con ciò che è accaduto». Già prima del raid, artisti come Carlos Santana ed Elvis Costello hanno boicottato Israele, l'uno senza spiegazioni, l'altro perché la sua "coscienza" gli impediva di esibirsi a Tel Aviv. Dopo il raid, i Pixies, i Gorillaz, i Klaxons hanno annullato i concerti deludendo i fan e ispirando gli opinionisti di destra israeliani a coniare il termine "terrorismo culturale".
BOICOTTAGGIO ARTISTICO - Molti cantanti in realtà si sono esibiti - Rihanna, i Placebo, Elton John… - ma i gruppi pro-palestinesi sono in azione su internet per spingere altre star al boicottaggio. Azioni che alcuni intellettuali israeliani critici del governo ritengono controprodocenti. «Non sono certo che il premier Netanyahu o il ministro degli Esteri Lieberman siano turbati se viene cancellato un concerto dei Pixies - ha scritto Uri Misgav su Yedioth Ahronoth -. Così si indebolisce e si deprime soltanto il già provato campo della sinistra». «È triste - ha detto Molad Hayo, spiegando che il festival di Gerusalemme punta alla coesistenza tra registi israeliani e palestinesi - perché è ovvio che lo Stato di Israele conta più di noi».

(Corriere della Sera, 8 luglio 2010)

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Sondaggio: due terzi dei palestinesi contro i razzi su Israele

Abu Mazen sarebbe rieletto presidente dell’Anp

Circa il 68% dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania e' contrario alla ripresa del lancio di missili di Hamas contro Israele, mentre il 25,5% ritiene si debba tornare a colpire le comunita' al sud dello Stato ebraico. Lo rivela un sondaggio condotto dall'organizzazione per la Ricerca e lo Sviluppo nel mondo arabo di Ramallah. Tra i 1.200 intervistati, il 35,4% dei palestinesi residenti a Gaza e' favorevole alla ripresa degli attacchi a Israele contro il 19,5% di quelli che vivono in Cisgiordania.
Circa il 66% di tutti i palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania vogliono che Hamas continui ad applicare il cessate il fuoco, mentre il 25,7% si augura che il gruppo islamico violi la tregua.
Stando al sondaggio, se si svolgessero oggi le elezioni per il presidente dell'Autorita' nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen (Mahmoud Abbas) verrebbe rieletto con il 30,9% dei voti, mentre il 14,3% dei palestinesi voterebbe per Marwan Barghouti (attualmente in carcere in Israele), il 10,4% per il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh, mentre il primo ministro palestinese Salam Fayyad riceverebbe solo l'8,4% dei voti.

(Adnkronos, 7 luglio 2010)

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In Calabria una sinagoga aperta dalla prima rabbina riformata d'Italia

Barbara Aiello
Far ritrovare ai calabresi le loro origini ebraiche rimaste nascoste per secoli. E' questo l'obiettivo della sinagoga aperta a Serrastretta dalla prima rabbina riformata d'Italia, Barbara Aiello, americana di origine italiana. Della sinagoga e delle sue attività si parla in un reportage di Ariela Bankier del giornale Hàaretz e ripreso dal settimanale Internazionale. Barbara Aiello proviene da una famiglia di anusim, discendenti degli ebrei costretti a convertirsi al cristianesimo durante l'inquisizione. La rabbina ha aperto la sinagoga Ner Tamid del sud (luce eterna del sud), la prima da 500 anni. E in un'antica casa di famiglia ha fondato il centro per la ricerca e lo studio sugli ebrei in Calabria e Sicilia. "La Calabria - racconta Aiello - è piena di resti archeologici e culturali di antiche comunità ebraiche. Da alcuni studi è emerso che quasi il 40 per cento dei calabresi potrebbero avere origini ebraiche. Molti ebrei costretti a convertirsi al cristianesimo continuarono per centinaia di anni a coltivare la loro fede in segreto. Nella Calabria degli anni venti la famiglia di mio padre mantenne in segreto le tradizioni ebraiche. Prima di accendere le candele dello shabbat mia nonna chiudeva tutte le imposte per non farsi vedere da nessuno". L'apertura della sinagoga e del centro studi ebraici è stata una novità rivoluzionaria per tutte le persone che li frequentano. "Prima, chi era interessato - prosegue la rabbina - a vivere secondo i precetti dell'ebraismo, a riscoprire le tradizioni della sua famiglia o far luce su alcuni lontani ricordi, non sapeva come fare". Attualmente più di ottanta famiglia seguono le attività della rabbina e il loro numero aumenta ogni anno.

(ANSA, 7 luglio 2010)

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Insegnare a Betlemme a riciclare. A Capannori e San Giuliano si può

I due comuni della provincia di Pisa partecipano a un progetto biennale che mira ad aiutare i palestinesi a rafforzare la capacità di gestire i rifiuti

PISA - Insegnare ai palestinesi a gestire e smaltire i rifiuti. E' la soddisfazione che si tolgono i due comuni di Capannori e San Giuliano Terme, in provincia di Pisa, che esportano le loro buone pratiche in materia di gestione dei rifiuti a Betlemme, in Palestina. I due centri lo fanno partecipando ad un progetto che mira a rafforzare la capacità di gestione dei rifiuti e a consolidare finanziariamente le imprese che lo svolgono. Capannori è il comune capofila italiano e il progetto durerà due anni.
L'iniziativa si inserisce nel programma promosso dal Governo per finanziare interventi per il miglioramento delle condizioni di vita per la popolazione palestinese. L'obiettivo è individuare strategie per la riduzione dei costi, il miglioramento dell'efficienza, lo sviluppo di un piano finanziario e di tariffazione nel settore della gestione dei rifiuti, nonchè lo svolgimento di attività di informazione della popolazione nel Governatorato di Betlemme per lo smaltimento. Il tutto sarà realizzato da tecnici toscani che lavoreranno a stretto contatto con il Jscswm, istituzione che si occupa del servizio palestinese di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

(Corriere Fiorentino, 7 luglio 2010)

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Muore il palestinese ideatore della strage alle olimpiadi di Monaco nel 1972

di Dimitri Buffa

 
I due Abu
"Ci mancherà. Era una delle figure più importanti di Fatah e ha speso la sua vita nella resistenza e nel lavoro e sacrificandosi personalmente per le giuste cause del suo popolo". Così il "moderato" Abu Mazen si è espresso in una lettera mandata sabato scorso ai familiari di Abu Daoud, il capo del commando che fece strage di atleti israeliani nel villaggio olimpico di Monaco nel 1972, morto venerdì scorso dopo una lunga malattia. Uno degli atti terroristici più odiosi della storia dell'umanità ancora celebrato dai capoccia palestinesi come se si fosse trattato di un episodio di eroismo. Chiunque abbia visto il capolavoro di Spielberg, "Munich ", sa invece a quali conseguenze quell'atto criminale portò. Ma d'altronde da Abu Mazen, che fu uno dei complici di Daoud in quel crimine, per la parte logistico finanziaria, cosa ci si poteva aspettare di diverso? Ecco la storia: il 5 settembre 1972 un commando di terroristi attaccò il villaggio olimpico a Monaco, in Germania, prendendo in ostaggio diversi atleti della squadra israeliana. La loro azione si concluse con l'assassinio di tutti gli 11 atleti in ostaggio e di un poliziotto tedesco. La polizia uccise invece cinque degli otto terroristi e ne arrestò tre che furono rilasciati due mesi dopo nella trattativa sul dirottamento di un aereo Lufthansa. L'azione fu rivendicata dall'organizzazione "Settembre nero, che prende il nome dalla repressione antipalestinese in Giordania del '70, quando i fratelli giordani per ordine del loro re uccisero almeno 20 mila palestinesi, pari a oltre il doppio di quelli morti nelle varie guerre contro gli israeliani dal 1948 a oggi. Le ritorsioni successive di Israele contro coloro che furono considerati responsabili della strage sono state raccontate nel film "Munich" da Steven Spielberg. È tuttora vivo solo Jamal Al-Gashey, mentre Abu Daoud, che era sopravvissuto a un'aggressione armata a Varsavia nel 1981 in cui venne colpito da cinque proiettili, è l'unico tra quei responsabili a essere morto di morte naturale. Aveva più volte dichiarato di essere l'ideatore del piano di Monaco, sostenendo che la colpa del massacro fosse da attribuire all'indisponibilità alla trattativa degli israeliani e alla polizia tedesca. Poco prima di morire ha consegnato alla propria vicenda umana di professionista del terrorismo una frase spavalda: "Non mi pento di niente. Scordatevi che chieda scusa". Forse anche per questo Abu Mazen ne ha tessuto le lodi.

(l'Opinione, 7 luglio 2010)

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La storia atroce di Ilan Halimi e il nuovo antisemitismo.

"Sono qui per raccontare la storia tragica di mio figlio".

La voce di Ruth Halimi e' ferma, anche se tradisce un dolore indicibile. Riprende fiato, mentre ripercorre ancora una volta il racconto del massacro di suo figlio. E lo fa con coraggio e grande dignita'. Perche' sente di avere una responsabilita'. Testimoniare cio' che non sembrava possibile accadesse nel cuore dell'Europa, a Parigi. E perche' suo figlio Ilan e' stato una vittima dei suoi aguzzini, ma anche di chi non ha voluto ne' vedere ne' sentire.
La mattina del 13 febbraio 2006, il corpo di Ilan Halimi viene trovato lungo una ferrovia. Gettato li' da una banda di islamisti antisemiti che lo hanno rapito, seviziato fino alla morte. Lo hanno preso perche' e' ebreo.
"Giovani per i quali gli ebrei sono inevitabilmente ricchi", ha detto Ruth Halimi degli assassini di suo figlio....

(RaiNews24, 7 luglio 2010)

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Enerqos si espande nel Mediterraneo: nuova jv in Israele

Enerqos Spa sbarca in Israele per cogliere le opportunità offerte dal suo promettente mercato fv: ieri il gruppo italiano, specializzato nella realizzazione e fornitura di impianti fv 'chiavi in mano', ha annunciato la sottoscrizione di un accordo per la costituzione di una joint-venture paritetica nel paese. Si chiama GEM Solar e coinvolge due importanti società locali attive nei settori del fv e dell'impiantistica: Ginergia Ltd e Menorah Ltd.
"Questa iniziativa si inserisce nell'ambito della strategia di internazionalizzazione del Enerqos nei mercati con le più promettenti prospettive di crescita del settore fotovoltaico", si legge in una nota. In particolare, Enerqos scommette sul programma di incentivazione israeliano per l'elettricità solare che prevede un obiettivo nazionale di 350 MW in tre anni e, naturalmente, sull'ottimo livello di irraggiamento del territorio.
L'accordo fa seguito alle recenti iniziative di espansione all'estero del Gruppo Enerqos che hanno già visto la società operare in altri paesi del bacino del Mediterraneo, come Francia e Grecia, dove sono già operative le due sedi locali, e nella Cipro Turca, dove sta realizzando un impianto da 1MW.

(Zeroemission.tv, 7 luglio 2010)

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Hamas arresta presunti collaborazionisti

Lo ha detto un responsabile di Hamas, che ha parlato in condizione di anonimato, affermando che non ci sara' nessuna pieta' per chi spia sugli altri palestinesi.

GAZA, 7-07-2010 - Le forze di sicurezza di Hamas, il gruppo integralista che controlla dal 2007 la Striscia di Gaza, ha arrestato nella notte cinque persone sospettate di essere collaborazionisti di Israele. Lo ha detto un responsabile di Hamas, che ha parlato in condizione di anonimato, affermando che non ci sara' nessuna pieta' per chi spia sugli altri palestinesi.
Lo scorso aprile Hamas ha giustiziato due presunti collaborazionisti. Hamas ha preso con la forza il potere a Gaza nel giugno 2007, estromettendo le forze di sicurezza dell'Autorita' Palestinese.

(RaiNews24, 7 luglio 2010)

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Soldati israeliani ballano a Hebron

Il video impazza su Youtube

Hebron, città palestinese divisa in due dove vivono circa 500 coloni ebrei e quasi 200mila palestinesi. Sei soldati israeliani entrano in scena. Sono in divisa, armati, perlustrano la zona. In sottofondo si sente un muezzin cantare. La voce del religioso si interrompe, i sei si dispongono su due file, si inginocchiano si preparano a un assalto. Improvvisamente parte invece la canzone "Tik tok" di Kessa.
I militari si guardano intorno con aria sorpresa, poi inizano a ballare, fin quando qualcuno non si affaccia da una finestra e riprendono ad avanzare con fare sospetto. Il video, misterioso e bizzarro, in pochi giorni ha fatto il giro della rete, suscitando grande imbarazzo nell'esercito israeliano.
Il quotidiano Haaretz ha annunciato che i soldati potrebbero subire severe punizioni per aver girato e messo online le immagini. Del caso si starebbe occupando anche l'IDF, l'esercito israeliano. Il video ha suscitato grande clamore sui media locali, tanto che le immagini sono state trasmesse anche dalle tv israeliane.
Nel dare la notizia, Haaretz ha ricordato che su Youtube altri video simili, con militari-ballerini, sono stati girati e postati da alcuni soldati americani in Afghanistan. Al fronte ci si annoia, ogni tanto...


(TGCOM.it, 6 luglio 2010)

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Gaza, sì europeo a Israele: la missione si farà presto

di Maurizio Caprara

ROMA - Sembra meno impossibile del previsto una visita di ministri degli Esteri europei nella Striscia di Gaza, uno dei posti più densamente abitati e allo stesso tempo più isolati del Medio Oriente. Dopo che il 24 giugno scorso il capo della diplomazia israeliana Avigdor Lieberman ha chiesto al collega italiano Franco Frattini di cercare adesioni al progetto, ieri sono state rese pubbliche le risposte positive del francese Bernard Kouchner, del tedesco Guido Westerwelle, del britannico William Hague e dello spagnolo Miguel Angel Moratinos.
La Farnesina ha diffuso una nota per informare che i cinque ministri hanno «recepito positivamente l'idea» e che lo hanno scritto al ministro dello Stato ebraico «senza peraltro considerarsi gli unici destinatari della proposta», dunque cercando di allargare la comitiva.
La richiesta di Lieberman, duro della destra di origini russe e poco incline a mezze misure, è stata un altro segno delle difficoltà del governo di Benjamin Netanyahu dopo le tensioni con altri Paesi dovute all'incursione di militari israeliani su una nave turca di filopalestinesi della Freedom Flotilla, terminata con vari morti. Spesso, i governi di Israele percepiscono come invadenze certe ambizioni dell'Unione europea a mediare nel conflitto israelo-palestinese. Che l'idea della visita alla Striscia, chiusa da una barriera israeliana e una egiziana, nascesse nello Stato ebraico non era scontato. Ma non elimina alcuni problemi di fattibilità.
Il ministro al quale Israele ha affidato un mandato esplorativo, Frattini, è colui che nel 2003 convinse l'Ue a inserire Hamas nelle lista delle organizzazioni considerate terroristiche dall'Unione. Oggi Gaza è dominata da quel movimento integralista islamico, e non è facile preparare per la missione degli europei un'agenda di incontri limitata a organizzazioni non governative. Taluni contatti sul posto potrebbero imbarazzare. Non li desiderano parte degli europei né Israele né forse l'Autorità nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen, indebolita da quando nel 2007 Hamas eliminò con le armi suoi emissari. Alla delegazione si affiancherebbe un rappresentante dell'Anp.
Per ulteriori adesioni, Frattini si è rivolto a Norvegia, Olanda e altri. Hillary Clinton lo ha incoraggiato. Il viaggio è ipotizzato per metà o fine luglio. I cinque ministri ieri hanno sollecitato Israele a un «cambiamento di politica» su Gaza e ad allentare, come annunciato, il blocco della Striscia. Si sono impegnati a favorire «progressi nei negoziati» con l'Anp. Tra i punti delicati: quanto farebbe ombra la visita dei ministri all'alto rappresentante dell'Ue per la politica estera Catherine Ashton?

(Corriere della Sera, 6 luglio 2010)

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La Turchia minaccia Israele ma è una crisi solo di facciata

di Rolla Scolari

Ankara: scusatevi o rompiamo le relazioni. Gerusalemme: mai. Gli esperti: i due governi fanno un po' di propaganda a fini interni

GERUSALEMME - I toni continuano a inasprirsi tra Turchia e Israele. Dopo il sanguinoso raid dell'esercito israeliano ai danni della flottiglia di attivisti pro-palestinesi in rotta verso la Striscia di Gaza in cui sono morti nove cittadini turchi, non c'è stata settimana in cui la stampa internazionale non abbia parlato di imminente crisi diplomatica tra i due governi. Eppure, finora, la rottura annunciata non è arrivata. L'ultimo capitolo del deterioramento dei rapporti tra il governo di Benjamin Netanyahu e quello del premier Recep Tayyip Erdogan si è aperto ieri sulle colonne del quotidiano turco Hurriyet. Il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu ha detto, per la prima volta senza usare il condizionale, che Ankara «romperà le relazioni diplomatiche con Israele» se il governo non presenterà le scuse per il raid contro la flottiglia. Il premier israeliano Netanyahu, in un'intervista alla tv nazionale, aveva affermato venerdì che il suo Paese non ha intenzione di scusarsi per l'accaduto.
Nonostante le dichiarazioni forti del ministro turco, per ora la crisi è soltanto di facciata. «Non è nell'interesse di Israele e nemmeno della Turchia il deterioramento di questa relazione», ha detto sempre venerdì Netanyahu. Da Istanbul, Ilter Turan, professore di Scienze politiche all'università Bilgi, spiega al Giornale che «i due Paesi fanno sentire la propria voce senza però avere come obiettivo la distruzione dei rapporti. Ci rimetterebbero entrambi. Sia da una parte sia dall'altra, la questione è legata alla politica interna: in Israele governa una coalizione in cui siedono anche politici dalle visioni più radicali e l'esecutivo turco non vuole apparire debole davanti all'opinione pubblica».
In seguito al raid israeliano contro le navi in rotta verso la Striscia di Gaza sotto embargo israeliano, la Turchia ha richiamato in patria il suo ambasciatore, ha cancellato tre esercitazioni militari congiunte in programma con Israele, e davanti a decine di leader riuniti a Toronto per il G20, Erdogan ha annunciato la settimana scorsa la chiusura dello spazio aereo turco ai voli militari israeliani. Tuttavia, mentre l'attenzione internazionale si concentra sugli strappi di Ankara, una delegazione militare e governativa turca è in Israele in queste ore, scrive il New York Times. La Turchia avrebbe pensato di cancellare alcuni accordi militari con Israele dopo i fatti di fine maggio, ma nulla è ancora successo e un accordo da 190 milioni di dollari per la vendita di droni ad Ankara è ancora attivo. Nonostante la chiusura del suo spazio aereo, la Turchia non sembra essere incline a cancellare i propri rapporti militari e commerciali con Israele (le vendite di tecnologia bellica da Israele ad Ankara sono pari a 2 miliardi di dollari l'anno).
«Non ci sarà una definitiva rottura dei rapporti», spiega al Giornale Ephraim Inbar, esperto in relazioni tra Israele e Turchia e direttore del Begin-Sadat Center for Strategic Studies, secondo il quale Ankara ha grandi ambizioni: vuole fare il mediatore, essere una potenza regionale in Occidente e in Medio Oriente. Non prenderà quindi il rischio di rompere con Israele. Certo, conclude Inbar, «d'ora in avanti i rapporti saranno freddi e gli israeliani esiteranno a vendere tecnologia militare ai turchi per paura che le armi possano finire in Iran».
Ankara, fino all'episodio della flottiglia, è stato uno degli alleati più importanti di Israele nella regione: per il suo ruolo di mediazione tra israeliani e palestinesi e israeliani e siriani, per gli scambi militari e per la cooperazione economica. I rapporti però hanno iniziato a incrinarsi negli ultimi anni, soprattutto in seguito all'operazione israeliana contro Hamas a Gaza nel 2008.
Ora, Erdogan chiede scuse, compensi alle famiglie delle vittime, l'apertura di un'inchiesta internazionale sul raid contro la «Mavi Marmara» (Israele ha istituito una propria commissione) e la fine dell'embargo sulla Striscia.
Nonostante l'attrito tra i due paesi, i governi continuano comunque a parlare e i privati a fare affari. Questa settimana Netanyahu ha mandato in segreto a Bruxelles il suo ministro per il Commercio, Binyamin Ben Eliezer, a discutere con Davutoglu. E mentre i politici si occupano della crisi, per gli imprenditori è «business as usual». «Per quanto riguarda il volume degli affari, import ed export del settore privato, non c'è stato alcun cambiamento - spiega Menashe Carmon, presidente dell'Israel Turkey Business Council -. Certo, chi pensava di aprire una nuova attività in Turchia aspetta di capire cosa succederà politicamente». Ma per ora, l'unica conseguenza concreta della crisi di facciata è stato il cambio di programma dei turisti israeliani: molti hanno cancellato le loro vacanze sulle coste turche.

(il Giornale, 6 luglio 2010)

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Israele: dopo 3500 anni ritrovati intatti in una cava rocciosa più di 100 vasi cultutali

Recenti scavi archeologici eseguiti dalla Israel Antiquities Authority (IAA) in una cava naturale di uno strato roccioso, precedentemente predisposto per l'istallazione di un gasdotto a nord di Tel Qashish, vicino a Yokneam, hanno portato alla luce più di 100 vasi cultuali intatti ed una straordinaria gamma di oggetti che risalgono a 3500 anni fa. Si presume che all'epoca, gli antichi scendessero nella cava, sfruttando larghi scalini scolpiti nella roccia. All'interno della cavità, sono stati ritrovati vasi intatti accatastati uno sopra l'altro e vasi rotti per via del peso di alcuni recipienti sistemati sopra questi vasi. Tra i reperti, sono stati anche recuperati un vaso cultuale che veniva usato per bruciare l'incenso, una scultura raffigurante una faccia di donna, che faceva parte di una coppa destinata a libagione da dedicare ad un dio, coppe, ciotole e altro vasellame per il cibo e il bere. Va segnalato un particolare interessante: sono stati anche ritrovati altri vasi provenienti da Micene in Grecia assieme ad un contenitore di olii preziosi, a riprova che all'epoca esistevano delle relazioni commerciali con la Grecia. Secondo gli archeologi della IAA, Uzi Ad e Dr. Edwin Van den Brink, tale scoperta è di un'estrema rarità, poiché ha riportato alla luce il primo pozzo nel suo genere risalente a 3500 anni fa. In quel periodo - antecedente alla Bibbia - i figli d'Israele si trovavano ancora in Egitto o nel deserto e perciò sembra che i vasi ritrovati fossero utilizzati per un rito pagano dedicato all'adorazione di idoli. Sempre in quel periodo, era una normale consuetudine per ogni città avere il proprio tempio dove veniva utilizzato un vasellame cultuale. Alla fine della Tarda Età del Bronzo (il periodo Cananeo), la regione fu conquistata, inclusa Tel Qashish che fu distrutta da un feroce incendio avvenuto vicino a Tel Yokneam. In base ad una delle ipotesi avanzate dagli archeologi Van den Brink e Ad, si presume che i vasi furono sepolti per proteggerli dall'imminente distruzione di questi luoghi. Un'altra ipotesi sostiene che i vasi usati nel tempio per adempiere ai riti furono sepolti dopo essere stati utilizzati . Dato che tali manufatti facevano parte delle cerimonie rituali, a loro era assegnato un posto speciale per la loro collocazione, e a differenza di altri vasi, non venivano scartati tra i rifiuti Per il prossimo anno, la Israel Antiquities Authority ha in programma l'allestimento di una mostra dove verranno esposti tutto i reperti ritrovati. Tale mostra verrà inserita nel calendario degli eventi dedicati alla celebrazione del 20o anniversario della IAA.www.antiquities.org.il.

(Travelling Interline, 6 luglio 2010)

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Israele, cultura e relax

di Dorina Landi

La nuova sede dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo, a Milano, in via Monteverdi 11, è stata inaugurata con la tradizionale cerimonia della benedizione e della posa del mezuzà sulla porta.
L'apertura dei nuovi uffici è l'occasione per presentare l'offerta turistica e culturale dell'estate israeliano: il mare sulla costa del Mediterraneo, benessere, sport e un fitto calendario di festival ed eventi per tutta l'estate.

- Mediterraneo per tutti
  Si parte dalla costa del Mediterraneo e la capitale Tel Aviv, città giovane e vivace che si estende su 14 km di costa, dal fiume Yarkon a nord fino al fiume Ayalon ad est. Dopo i colori e i suoni della notte bianca del 1o luglio, la capitale offre un ampio calendario di concerti fino a settembre, dal jazz ai Beatles, nel Parco Nazionale di Apollonia, nei pressi di Herzelia al tramonto. Il 29 luglio ha inizio l'appuntamento estivo dell'opera sotto le stelle nel Parco Hayarkon con la Carmen di Bizet ispirata alla famosa sceneggiatura creata da Franco Zeffirelli per il Metropolitan di New York.
Il nuovo Museo del Design è stato inaugurato il 25 giugno a Holon, alle porte di Tel Aviv, con la mostra di arte giapponese Senseweare Tokyo Fiber, aperta fino al 4 settembre. A Gerusalemme, invece, il Festival del Film , dall'8 al 17 luglio, sul Mar Rosso il Red Sea Jazz Festival di Eilat dal 23 al 26 agosto, una maratona musicale di alto livello internazionale nella località balneare, con un'offerta ricettiva di pregio.
Ancora sul Mediterraneo a Cesarea film, musica e colorati aquiloni. Il grandioso Parco Archeologico dell'antico porto tra Tel Aviv e Haifa testimonia lo sviluppo della città dal III secolo a.C fino al XIII con le Crociate. I palazzi moderni e gli hotel si affacciano sul lungomare animato di giovani che da marzo a ottobre prediligono lo snorkeling. Il primo Golf Club 18 buche internazionale di Israele è a Cesarea ed è stato recentemente riaperto completamente rinnovato, con spazi per allenamenti, istruttori e scuola per bimbi di alto livello.
Sempre sulla costa sabbiosa del Mediterraneo, a nord di Tel Aviv ci sono altre interessanti località balneari come Netanya, Herzelia, con lussuosi alberghi e un nuovo porto turistico. Seguendo la costa verso sud si arriva alle dune di sabbia Ashdod e a Ashkelon, dove alla marina e al parco acquatico quest'anno si sono aggiunte gigantesche sculture a forma di balena, con altalene, scivoli e pareti per arrampicate.

- Folclore e ospitalità
  Nella suggestiva cornice del deserto del Neghev le danze folcloristiche nel kibbuz Mashabei Sade uniscono l'esperienza del ballo a quella dell'accoglienza e della condivisione della vita di tutti i giorni.
Per gli amanti della bicicletta la novità è l'apertura del primo tratto (4,5 km) di pista per mountain bike sul lago di Galilea, parte di un sentiero lungo 130 km che lo costeggia e va da Cafarnao al Ponte Arik, sulla sponda nord del lago. Creato per favorire l'accesso alle riserve naturali e alle spiagge che circondano il lago, sarà anche accessibile, in parte, ai disabili.
«Il 2010 è iniziato bene - dice Tzvi Lotan, direttore dell'Ufficio Israeliano del Turismo in Italia - e da gennaio a maggio abbiamo registrato un incremento degli arrivi di oltre il 40% rispetto al 2008, anno record, e del 60% sul 2009, contro rispettivamente, un +7 e +37 a livello mondiale. Confermo il mio obiettivo: raggiungere entro la fine dell'anno 150.000 visitatori dall'Italia. Il ritorno di guide e autisti ebrei e drusi a Betlemme è un passo importante per la collaborazione e la comprensione reciproca».

(Agenzia di Viaggi, 6 luglio 2010)

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Gaza, incriminato soldato israeliano per l'operazione Piombo fuso

Il militare deve rispondere di omicidio durante l'offensiva nella Striscia

ROMA, 6 lug - Sarà incriminato per omicidio un soldato israeliano che durante l'operazione Piombo fuso aprì il fuoco e uccise due donne palestinesi, madre e figlia. Lo ha annunciato il procuratore capo delle Israeli Defence Force, Avihai Mandelblit, che ha anche disposto una procedura disciplinare contro un tenente colonnello e sanzionato un altro ufficiale per aver violato il protocollo stabilito per l'offensiva lanciata nella Striscia nel dicembre 2008. Secondo quanto precisa la stampa israeliana, il primo caso si riferisce a fatti avvenuti il 4 gennaio del 2009, quando alcuni soldati israeliani fermarono un gruppo di civili a Gaza City - composto da una trentina di persone, in maggioranza bambini -, pronti a intervenire in caso ci fossero stati militanti nascosti tra loro.
Uno dei militari, un sergente, ha aperto il fuoco contro le due donne - Raya Salama Abu Hajaj, di 64 anni, e la figlia Majda, di 35 -, poi decedute per le ferite riportate. Dalle ricostruzioni è emerso che nessuno dei suoi superiori gli avesse dato ordine di sparare. Ora, il soldato deve rispondere di omicidio.

(il Velino, 6 luglio 2010)

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Il caso Halimi e il nuovo antisemitismo

di Lucilla Efrati

ROMA - Si è parlato di antisemitismo, al convegno che si è svolto ieri alla Camera dei Deputati a Roma in una sala gremita di gente nonostante il caldo torrido. L'incontro organizzato dall'onorevole Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera ha cercato di individuare le cause dell'antisemitismo attuale indagandone le matrici storiche, così come riferisce il titolo scelto per il convegno "Perché l'antisemitismo: le domande della storia".
In Europa i pregiudizi e i miti relativi agli ebrei sono sempre stati molteplici, talvolta alimentati da documenti falsi come i Protocolli dei Savi di Sion, come ha fatto rilevare durante il suo intervento uno degli studiosi intervenuti, il professor David Meghnagi, psicologo, ideatore e direttore del Master internazionale di secondo livello in Didattica della Shoah presso l'Ateneo di Roma Tre. Gli ebrei sono stati accusati di tutto e il contrario di tutto di corporativismo e di elitarismo religioso, di praticare il prestito ad interesse, di essere troppo potenti, troppo ricchi, fastidiosi.
Il convegno che si è aperto con il saluto degli onorevoli Fiamma Nirenstein e Raffaele Volpi, cui sono seguiti i brevi interventi degli esperti Mario Toscano, Piero Craveri, David Meghnagi e Marcello Pezzetti, è stato anche occasione, di ospitare la testimonianza della signora Ruth Halimi, co-autrice del libro, appena uscito in italiano, "24 giorni. La verità sulla morte di Ilan Halimi" (Ed. Belforte, 2010), nel quale racconta i terribili giorni del sequestro, delle torture e della tragica morte del figlio, ostaggio di una banda antisemita a Parigi nel 2006.
"Molti pensano che l'antisemitismo sia di destra - ha detto David Meghnagi intervenendo subito dopo la tragica testimonianza della signora Halimi - ma non è così, l'antisemitismo ha attraversato tutta l'Europa, è stata una battaglia durissima, ma le battaglie non si vincono una volta per tutte bisogna ancora tornare a combattere e a spiegare".
Esprime preoccupazione lo storico Piero Craveri nel vedere aumentare i documenti che attestano atti di antisemitismo ma "prima erano le tombe, gli edifici ora sono le persone" ad essere presi di mira. "Quando nei popoli dell'Occidente che hanno vissuto il nazismo vediamo queste linee di movimento le preoccupazioni vengono". Analizza il professor Craveri che invita a non allentare le tensioni a non abbassare la guardia perché certe cose sono fondamentali e devono rimanere tali e conclude "Quando certi avvenimenti (come quello di Ilan) cominciano a colpire gli ebrei dobbiamo tutti iniziare a tremare".
Analizza il contesto in cui si è svolto il rapimento di Ilan Halimi lo storico Mario Toscano che lo ricollega al prototipo antisemita dell'ebreo ricco e individua una serie di elementi che hanno caratterizzato l'antisemitismo del periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale fra cui la questione israeliana e il ruolo politico internazionale del mondo sovietico.
Si pone sulla stessa linea Marcello Pezzetti, storico specialista nello studio di Auschwitz che approfondisce alcuni aspetti dell'antisemitismo dell'ultimo ventennio e invita a chiedersi come si possa contrastare l'antisemitismo attuale.
La parola è poi passata a Robert S. Wistrich storico di fama internazionale che, in collegamento telefonico, ha cercato di analizzare il movimento di antisemitismo che ha portato all'assassinio di Ilan Halimi ed il contesto in cui quest'ultimo si è verificato valutando anche quali siano le possibili forme legislative da mettere in atto per frenarlo.

(Notiziario Ucei, 6 luglio 2010)

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Zubin Mehta dirige per Gilad Shalit

Le note si sono levate nei pressi di Sderot, a soli tre chilometri dalla Striscia di Gaza dove da quattro anni il giovane e' nelle mani dei terroristi di Hamas. Presenti migliaia di israeliani da tutto il paese.

GERUSALEMME, 6-07-2010 - Migliaia di israeliani provenienti da tutto il Paese hanno assistito al concerto di solidarieta' diretto da Zubin Mehta in onore del soldato Gilad Shalit, nel parco nazionale di Neguev Eshkol.
Le note si sono levate nei pressi di Sderot, a soli tre chilometri dalla Striscia di Gaza dove da quattro anni il giovane e' nelle mani dei terroristi di Hamas, che impediscono alla Croce Rossa e ai familiari di fargli visita. Violando, la Convenzione di Ginevra sui prigionieri, che garantisce le visite della Croce Rossa.
Il grande maestro indiano ha diretto l'Orchestra Filarmonica di Israele con un programma d'eccezione: Verdi, Mozart, Albinoni e Beethoven.
"Spero che Gilad sa che organizziamo questo concerto e che un giorno, molto presto, sapra' che ciascuna nota che suoniamo e' in suo onore", ha dichiarato Mehta inaugurando la serata. Vestito con una tunica bianca, Mehta ha ricordato che Gilad Shalit non aveva ricevuto una sola visita da giorno della sua cattura, auspicando che questo "grido verso il mondo sara' ascoltato da coloro che possono aiutare la sua liberazione".
Piu' di 10.000 sostenitori di Shalit sono arrivati a questo concerto che e' stato trasmesso in diretta da radio e televisione.
Era presente anche la famiglia di Shalit che da otto giorni e' impegnata in una marcia attraverso Israele per la causa di Gilat. Piu' di 200 autobus decorati con il ritratto di Gilad erano stati noleggiati.
In questa bella serata estiva, la folla, seduta per terra, ha ascoltato religiosamente gli 80 musicisti della Filarmonica. In molti piangevano.
Anche il cantante popolare israeliano Shlomo Artzi, ha partecipato al concerto, cantando uno dei suoi motivi che il pubblico conosce a memoria. Numerose personalita' erano presenti fra cui il ministro del Likud, Michael Eytan, e l'ex ministro della Difesa Shaul Mofaz. Alla fine i genitori del soldato, Aviva e Noam Shalit, sono saliti sul palco e il concerto e' terminato con l'inno nazionale israeliano, la Hatikva: "Speranza" in ebraico.

(RaiNews24, 6 luglio 2010)

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La prima electric car palestinese 'sfreccia' per le strade di Hebron

Un gruppo di studenti di ingegneria del Politecnico dell'Università di Hebron è riuscito a realizzare la prima auto elettrica della Palestina, alimentata con 12 batterie e dall'energia solare prodotta dai moduli fotovoltaici istallati direttamente sulla sua carrozzeria.

Il traguardo è innanzitutto simbolico per una città come Hebron, in Cisgiordania, abituata da tempo a vedere sulle sue strade mezzi di tutti i tipi, compresi i carri armati. Una città che ora dovrà invece abituarsi a vedere circolare tra le sue vie un mezzo del tutto nuovo: la prima auto elettrica palestinese. A rendere possibile questa piccola rivoluzione della mobilità sostenibile della città della Palestina, come ha riportato il canale di informazione Maan News, è stato un gruppo di studenti e ricercatori del Palestine Polytechnic University di Hebron, che hanno prima progettato e poi realizzato sul campo il veicolo. Un mezzo elettrico quasi "artigianale", come si nota dalle foto pubblicate sullo stesso sito di Maan News, che non ha forse molto in comune con i suoi "cugini" più evoluti studiati e testati in diverse parti del mondo ma che rappresenta un segnale positivo per la città e per la Palestina intera.
La prima electric car palestinese è nata come progetto scolastico di alcuni studenti di ingegneria del Politecnico di Hebron e usa 12 batterie per un totale di 24 volt, capaci di alimentare l'auto per un'autonomia di 3-5 ore. La velocità massima dell'auto elettrica è però di 30 chilometri orari e le batterie possono durare solo 100 minuti, ma date le brevi distanze della città l'auto potrebbe comunque garantire una piena autonomia per i piccoli spostamenti, ad esempio, per le commissioni quotidiane. Gli studenti sono riusciti anche a vincere un'altra sfida tutt'altro che scontata, integrando l'energia prodotta attraverso i moduli fotovoltaici istallati direttamente sulla carrozzeria per fornire energia alle batterie. Un'intuizione felice visto che, in Medio Oriente, l'irraggiamento solare è molto intenso per più di 300 giorni l'anno. Ora il team è alla ricerca di finanziatori per sviluppare ulteriormente il progetto, che, in caso contrario rischia di rimanere la prima e unica auto del genere per il momento in circolazione sulle strade di Hebron.

(Rinnovabili.it, 5 luglio 2010)

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Obama si propone di correggere "l'errore storico della creazione dello Stato di Israele"


Il dr. Richard L. Rubenstein, autore di "Jihad e genocidio", Harvard PhD, socio Yale, "Distinguished Professor of the Year", afferma che l'intenzione del Presidente Obama è di correggere "l'errore storico della creazione dello Stato di Israele". Il dr. Rubenstein afferma che il Presidente Obama a causa della sua eredità familiare è estremamente pro-musulmani - fino al punto di "voler vedere la distruzione di Israele".

(New English Review, luglio 2010)

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Turchia-Israele: cresce la tensione dopo il blitz alla flottiglia

Il blitz dello scorso 31 maggio compiuto delle truppe israeliane contro una nave carica di aiuti umanitari per Gaza continua a creare polemiche e divisioni a livello internazionale. Quella notte, tra le vittime, rimasero uccisi nove uomini di nazionalità turca ed oggi il governo di Ankara pretende le scuse ufficiali da parte di Netanyahu (in foto).
Se non dovessero arrivare, come sembra dalle prime dichiarazioni, oltre alla già attiva chiusura dello spazio aereo per i voli militari israeliani sarà la rottura delle relazioni fra i due paesi. Dal canto suo, il premier israeliano pur dicendosi dispiaciuto per la perdita di vite umane, non ammette nemmeno lontanamente l'ipotesi di scuse ufficiali ed anzi, il portavoce del ministro degli Esteri Yigal Palmor rincara la dose gettando benzina sul fuoco: "Non siamo stati noi a cominciare ad usare la violenza. Quando si desidera avere delle scuse non si usano minacce o ultimatum".
Non sembra quindi vicina la conclusione della vicenda e sul piano diplomatico ci si scontra in un muro contro muro. Il capo della diplomazia turca preme anche affinché Israele accetti le conclusioni di un'indagine internazionale su quanto accaduto e dal canto suo apre alla possibilità che la stessa indagine sia svolta direttamente dalla polizia israeliana. Insomma, basta che ci sia un serio accertamento serio ed imparziale dei fatti e se del caso, delle scuse ufficiali da parte israeliana e la situazione di crisi potrebbe anche concludersi.

(Agenzia Radicale, 5 luglio 2010)

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Questa sera al confine di Gaza concerto per Gilad Shalit

GERUSALEMME, 5 lug - La famiglia del soldato israeliano Gilad Shalit, catturato dai militanti di Gaza nel giugno del 2006, assieme a centinaia di sostenitori oggi in occasione di un concerto a sostegno del suo rilascio, visitera' il luogo del suo rapimento lungo la Striscia di Gaza.
Il concerto della Filarmonica di Israele si terra' in prossimita' del confine di Gaza, vicino alla citta' meridionale di Sderot, e sara' diretto dal maestro indiano Zubin Mehta.
''E un gesto per questo giovane e per la sua famiglia per dire al mondo che quattro anni senza una sola visita sono troppo lunghi'', ha detto Mehta ai giornalisti giunti a Tel Aviv.
La famiglia di Shalit da 12 giorni e' in marcia da Israele a Gerusalemme nel tentativo di far pressione sul governo affinche' sia raggiunto un accordo per la sua liberazione.

(ASCA, 5 luglio 2010)

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Coming out: l'Olocausto dopo 70 anni

Old Jewish Man
La città di Lublin si trova in Polonia e - fino al 1939 era uno dei centri abitati dal maggior numero di ebrei nel paese. Poi, potete immaginare ciò che è accaduto. La deportazione nazista non ha risparmiato praticamente nessuno degli abitanti del borgo polacco e quasi nessuno di loro vi ha più fatto ritorno o perché morto o perché poi fuggito altrove. Un destino comune a molte cittadine dell'Europa dell'est in quegli anni inumani.
Dopo oltre 70 anni, Lublin ha deciso di ricordare quella tragedia. E come in altre occasioni, quando si tratta di Olocausto, l'unico mezzo per conservare una memoria accettabile è l'arte. Così, in occasione di "Open City Festival" uno dei più importanti festival polacchi di arte all'aperto (che comprende dalla street-art agli interventi di arte pubblica), gli ebrei scomparsi sette decadi fa, fanno un simbolico ritorno alle loro case attraverso la fotografia e la street-art in una serie di installazioni sparse per la città.
L'opera è di Ronen Dvarim e si intitola Coming Out .
Slideshow di tutti gli interventi artistici di Ronen per Coming Out.

(Artsblog.it, 5 luglio 2010)

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Premio "Telesio d'argento" per l'impegno contro l'antisemitismo alla Prof. Ercolani

COSENZA - Sarà consegnato alla prof.ssa Antonella Ercolani, ordinario di storia dell'Europa orientale alla Luspio V di Roma, il premio Telesio d'argento in occasione della prossima edizione di Gradinate in Scena che si terrà a settembre a Cosenza. La prof.ssa Ercolani ha ospitato nel corso dei seminari didattici tenuti alla Luspio, il deportato di Auschwitz, Samuel Modiano. Per la prima volta un'iniziativa del genere è stata effettuata nell'ambito di un percorso che assegnava crediti universitari. Siamo entusiasti di questa scelta- ha detto Franco Totera, Presidente dell'associazione Le Muse che organizza Gradinate in Scena- voluta dalla giuria presieduta dal sen. Antonio Gentile. Il Telesio d'Argento è realizzato dai maestri orafi della gioeilleria Scintille di Sergio Mazzuca e Sante Naccarato

(Newz.it, 5 luglio 2010)

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"Io ricordo Exodus", un'iniziativa per archiviare la memoria

LA SPEZIA - Per conservare memoria e testimonianza dell'azione degli spezzini nel sostegno e nell'accoglienza ai profughi ebrei, negli anni lontani del secondo dopoguerra, gli Archivi Multimediali del Comune della Spezia promuovono la raccolta di materiali "Io ricordo Exodus" (foto, articoli, documenti, disponibilità dei testimoni ad una videointervista) per la costituzione di un Fondo Exodus, che verrà conservato presso gli Archivi Multimediali .
Chi avesse materiali o volesse raccontare episodi o ricordi di quell'evento, può contattare gli Archivi Multimediali allo 0187 713264 oppure adfm@laspeziacultura.it, che faranno copia digitale dei materiali o registreranno una videointervista a coloro volessero testimoniare la loro esperienza.
Alla fine della seconda guerra mondiale il Golfo della Spezia divenne base di partenza degli scampati ai lager nazisti, che ora guardavano al mare con la speranza di lasciarsi alle spalle l'Europa degli orrori e raggiungere la "Terra promessa", per questo La Spezia è conosciuta come "porta di Sion".
Dall'estate del 1945 alla primavera del 1948 oltre 23.000 ebrei riuscirono a lasciare clandestinamente l'Italia diretti in Palestina. La potenza mandataria della Palestina, la Gran Bretagna, aveva infatti emesso, nel 1939, il Libro Bianco al fine di regolamentare l'afflusso controllato in Palestina, per soli 75.000 ebrei in cinque anni. Una misura che fu messa in crisi dalla drammatica situazione europea e contrastata con ogni mezzo dal Mossad le Aliyà Bet (Istituto per l'emigrazione illegale).
La questione dell'immigrazione ebraica scoppiò come caso internazionale nel maggio 1946: l'epicentro della crisi divenne il porto della Spezia dove erano in allestimento due imbarcazioni, la "Fede" e il motoveliero "Fenice", pronte a trasbordare 1.014 profughi.
Quell'operazione godette dell'aiuto di tutta la città della Spezia, già stremata dalla guerra e distrutta dai bombardamenti. Proprio il sostegno della gente che ospitò e sfamò i profughi, la resistenza di questi ultimi, l'intervento dei giornalisti di tutto il mondo e la visita di Harold Lasky, presidente dell'esecutivo del Partito laburista britannico, costrinsero le autorità londinesi - le cui navi bloccavano l'uscita dal porto della Spezia - a togliere il blocco alle due imbarcazioni che salparono dal Molo Pirelli a Pagliari l'8 maggio 1946.
L'anno successivo nella notte tra il 7 e l'8 maggio 1947 la nave Trade Winds/Tikva, allestita in Portogallo, imbarcò 1.414 profughi a Porto Venere, nelle stesse ore era giunta nelle acque Golfo della Spezia, proveniente da Marsiglia, la nave President Warfield. Essa venne ristrutturata nel cantiere dell'Olivo a Porto Venere per la più grande impresa dell'emigrazione ebraica: trasportare 4.515 profughi, stivati su quattro piani di cuccette, dall'altra parte del Mediterraneo. L'imbarcazione divenne un simbolo, prese il nome di
Exodus, raggiunse le coste della Palestina, venne attaccata dagli Inglesi che impedirono ai profughi lo sbarco, ma avviò la nascita dello Stato di Israele.
Nel nome di Exodus la città della Spezia porta nel Mediterraneo l'idea della pace, della convivenza e del dialogo tra i popoli, ospitando, ormai da dieci edizioni, il Premio Exodus dedicato all'interculturalità.

(Città della Spezia, 4 luglio 2010)

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Israele: domani Zubin Mehta in concerto per il soldato Shalit

Il concerto si tiene simbolicamente a Sderot, vicino Gaza

Zubin Mehta
TEL AVIV, 4 lug. - Il direttore d'orchestra di origine indiane Zubin Mehta dirigerà domani un grande concerto di solidarietà a favore del soldato israeliano Gilad Shalit in Israele, a qualche chilometro dalla Striscia di Gaza dove da quattro anni è tenuto prigioniero il giovane sergente. "Lo faccio per questo giovane uomo e per la sua famiglia e per dire al mondo che quattro anni senza che abbia ricevuto nessuna visita, sono davvero troppi", ha dichiarato il direttore dell'Orchestra Filarmonica di Israele in una conferenza stampa a Tel Aviv. Il maestro indiano dirigerà 80 musicisti in un parco di Sderot, la cittadina israeliana a soli 15 chilometri dal territorio palestinese "in occasione del quarto anniversario della sua prigionia". In programma: Verdi, Mozart, Albinoni, Beethoven. Altra star della serata sarà il cantante popolare israeliano Shlomo Artzi. "Abbiamo il dovere di sognare e vogliamo che Gilad Shalit possa cominciare almeno a ricevere delle visite dalla Croce rossa e che poi sia liberato il più rapidamente possibile", ha detto ancora Zubin Mehta, 74 anni. Più di 10.000 persone sono attese al concerto che sarà trasmesso in diretta alla radio e alla televisione. L'evento, che costerà più di 100.000 dollari, secondo gli organizzatori, è gratuito e finanziato da donatori privati. Assisterà al concerto anche la famiglia del soldato, che una settimana fa per la liberazione di Gilad ha cominciato una marcia di solidarietà attraverso Israele che terminerà alla residenza del Primo ministro Benjamin Netanyahu. Gilad Shalit, 23 anni, è privato di qualsiasi contatto con il mondo esterno dal giorno della sua cattura, avvenuta il 25 giugno 2006 da un commando palestinese nei pressi della frontiera con Gaza. Israele e Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, si accusano reciprocamente del fallimento dei negoziati su uno scambio di prigionieri - il soldato contro un migliaio di detenuti palestinesi - condotti tramite l'Egitto e un mediatore tedesco.

(Apcom, 4 luglio 2010)

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Benjamin Netanyahu: mille prigionieri per Shalit

Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu è disposto a liberare mille detenuti palestinesi in cambio del soldato Gilad Shalit, il caporale israeliano, catturato il 25 giugno 2006 nella Striscia di Gaza. «Nell'accordo presentato dal mediatore tedesco, che io accetto, vi sono mille terroristi, questo è il prezzo che sono pronto ad affrontare per portare Shalit a casa», ha detto ieri Netanyahu. Tuttavia il primo ministro ha aggiunto che non permetterà il ritorno in Cisgiordania dei detenuti liberati. «Rimango attaccato a due principi - ha spiegato - i terroristi non devono tornare in Giudea e Samaria (Cisgiordania) e nessun arciterrorista verrà rilasciato». Immediata la risposta di Hamas. «Netanyahu sta tentando di manipolare l'opinione pubblica israeliana» ha detto il portavoce di Hamas, Ismail Radwan. «Non c'era nulla di nuovo nel discorso di Netanyahu - ha detto l'esponente del movimento islamico -. Se Israele vuole un accordo, deve accettare le richieste delle organizzazioni palestinesi». Fonti palestinesi vicine ai negoziati per lo scambio dei prigionieri, comunque, hanno dichiarato a Ynet (il sito del quotidiano Yediot Ahronot) che sono stati fatti progressi nell'ottica di raggiungere un accordo tra le parti.
Netanyahu, che lunedì parlerà con il presidente Usa Barak Obama delle trattative per il rilascio di Shalit, dà comunque alla famiglia del caporale poche speranze di ottimismo. «Il popolo di Israele è unito nel desiderio di riportare Shalit a casa. Non c'è nessuno che incontrando la famiglia di Shalit non pensa tra sé, "Gilad potrebbe essere mio figlio, o mio fratello, o mio nipote". Per questo è naturale l'atteggiamento della famiglia ed è naturale dar loro sostegno».
In merito al prezzo da pagare per la liberazione del soldato, Netanyahu ha detto che «Israele ha deciso diverse volte di rilasciare terroristi e assassini in cambio di israeliani. Il caso più famoso fu l'accordo Jibril, con il rilascio di 1.150 detenuti palestinesi. Almeno la metà sono tornati al terrorisimo. Hanno ripreso a uccidere e hanno rappresentato il cuore della seconda Intifada. E ci sono stati altri casi, come l'accordo Tenenbaum, nel quale sono stati rilasciati 400 detenuti palestinesi, e uccisi 26 israeliani dal loro rilascio nel 2004». «La decisione di rilasciare dei terroristi è difficile e complessa per ogni governo - ha proseguito Netanyahu -. Per la sua complessità, come leader dell'opposizione mi rifiutai di criticare il governo di Olmert su questa questione. La pressione dell'opinione pubblica e le richieste non devono essere rivolte direttamente contro il governo, ma contro Hamas, un'organizzazione terroristica che non ha mai permesso alla Croce Rossa di visitare Shalit», come prevede la Convenzione di Ginevra.
Contestazioni al discorso di Netanyahu sono arrivate dal padre del soldato Shalit, secondo il quale il premier israeliano avrebbe riciclato il discorso dell'ex primo ministro Ehud Olmert. Nel quinto giorno della marcia diretta a Gerusalemme, per fare pressioni sul governo in vista di un possibile accordo con il movimento islamico, Noam Shalit ha voluto ringraziare tutti i partecipanti all'iniziativa. Shimshon Liebman, capo della campagna per liberare Shalit e organizzatore della "marcia per la libertà", ha detto di aspettarsi di più dal discorso di Netanyahu. Il premier, ha aggiunto, avrebbe dovuto dire che avrebbe fatto di tutto per riportare Shalit a casa.

(Adnkronos, 4 luglio 2010)

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Israele, tagli in politica: Netanyahu ordina ai ministri di dimagrire

Tempo di tagli in politica anche in Israele. Ma mentre in tutto il resto del mondo si risparmia sulle auto blu e sui gettoni di presenza, a Gerusalemme i tagli riguardano solo il peso dei ministri. Il primo ministro Netanyahu ha invitato i suoi colleghi a rimanere in forma con dieta ed esercizio. E, intanto, ha già tagliato i dolcetti e i cibi calorici che un tempo venivano serviti alle riunioni di governo.
Lo stesso premier ha detto di aver perso nelle ultime settimane qualcosa come cinque chili. E nel consiglio dei ministri lo si vede spesso mangiare lattuga e carote. Lo stesso premier che, però, continua a far finta di non sentire le accuse che criticano per l'eccessivo numero dei ministri.
Il quotidiano Yedioth Ahronoth si è divertito a pesare i ministri. E ha scoperto che chi è dimagrito di più è Yisrael Katz, a capo del dicastero dei Trasporti. Katz, secondo il giornale, avrebbe perso trenta chili. Segue il capo della diplomazia, il ministro degli Esteri Lieberman (15 chili) e quello della Difesa, Ehud Barak (6).
Alle riunioni del consiglio dei ministri, scrive sarcastico lo Yedioth Ahronoth, «è tutto un fiorire di complimenti sul rispettivo calo di peso». Ma non tutti hanno raggiunto il loro obiettivo: il ministro dell'Industria Benyamin Ben Eliezer, noto per la sua corporatura imponente, ha iniziato l'ennesima dieta, ma - nota il quotidiano - «i risultati ancora non si vedono».

(DirettaNews.it, 4 luglio 2010)

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Ghajar, un rebus lungo la Linea blu

Quella tra Libano e Israele è la frontiera mediorientale più calda, ma aggirarla è un gioco da ragazzi

di Lorenzo Trombetta

Veduta di Ghajar
Due corrieri. Uno al di qua del confine e l'altro al di là.
Il primo lancia il pacco oltre la barriera elettrificata e il secondo raccoglie il prezioso carico.
Di hashish e, a volte, di cocaina.
È un vero e proprio gioco da ragazzi aggirare la più calda e controllata frontiera del Medio Oriente: la Linea blu di demarcazione tra Libano e Israele, tracciata dall'Onu dieci anni fa in seguito al ritiro israeliano dal sud del paese dei cedri dopo 22 anni di occupazione.
Siamo a Ghajar, località di appena duemila anime, contesa tra Libano, Siria e Israele e valico privilegiato di passaggio dei carichi di droga provenienti dalla valle libanese della Beqaa e diretti verso la Galilea.
Un traffico da decenni gestito da famiglie della regione con il beneplacito di Hezbollah: padrone incontrastato di ampie porzioni della Beqaa, dove si coltivano le piante proibite, il movimento sciita impone i suoi dazi. Ma ad arricchirsi non sono solo le casse della "resistenza" anti-sionista, ma anche quelle di compiacenti israeliani, preferibilmente drusi della Galilea - arabofoni come gli Hezbollah - gli unici palestinesi a esser ammessi nelle file dell'esercito con la stella di David e a svolgere un ambiguo ruolo di ponte tra i due nemici.
Un ufficiale druso dell'esercito israeliano è stato arrestato lo scorso maggio con l'accusa di traffico di stupefacenti e spionaggio in favore di Hezbollah.
La notizia è di questi giorni e l'inchiesta è ancora in corso.
Fonti di stampa israeliane e libanesi hanno rivelato che l'ufficiale arrestato, in servizio proprio lungo il lato israeliano della Linea blu, gestiva un'organizzazione formata da ben 48 persone, tutte residenti in Galilea.
Cinque dei suoi complici, tutti drusi, lo hanno già raggiunto dietro le sbarre nel carcere di Acri.
Non è chiaro se l'accusa di spionaggio in favore di Hezbollah sarà confermata (del caso se ne occupa la polizia e non il servizio segreto interno), ma l'alto graduato avrebbe comunque ammesso di esser entrato in contatto con uomini della milizia sciita «per il passaggio dei carichi». Secondo il quotidiano libanese as-Safir, in cambio di denaro e di merce più a buon mercato l'ufficiale avrebbe indicato a Hezbollah alcuni punti deboli del sistema difensivo israeliano.
La frontiera provvisoria è pattugliata giorno e notte da soldati dell'Unifil, la missione Onu operativa nel sud del Libano dal 1978 e rafforzata (con oltre 12mila uomini, di cui duemila italiani) nell'autunno 2006 dopo l'interruzione delle ostilità tra Israele e Hezbollah. Da tre anni e mezzo, inoltre, a ridosso del confine è tornato dopo quasi mezzo secolo l'esercito libanese, mentre i miliziani di Hezbollah -
residenti dei villaggi frontalieri - sono ancora lì, senza uniformi, a osservare il nemico e a preparare il prossimo round.
In guerra e in pace, Ghajar prospera. Per secoli situato all'incontro dei confini tra tre diverse province ottomane oggi in Siria, Libano e Israele, il villaggio è ancora abitato da alawiti (una frangia dello sciismo a cui appartiene anche la famiglia al-Asad al potere in Siria): rivendicano la loro "sirianità", sono titolari di un documenti d'identità israeliani e si rifiutano di diventare libanesi.
Con l'occupazione israeliana parte del villaggio si è però esteso verso nord, in Libano, e nel 2000 i cartografi dell'Onu hanno pensato bene di far passare la Linea blu proprio in mezzo a Ghajar, dividendolo in una zona "nuova" in Libano e un'altra - siriana - in Israele.
L'Unifil ha proposto due anni fa un progetto di accordo per il ritiro israeliano da Ghajar, che rimarrebbe sotto l'esclusivo controllo dell'Onu. Ma i negoziati sono di fatto fermi. E sopra il filo spinato di Ghajar continuano a volare preziosi carichi proibiti.

(Europa, 4 luglio 2010)

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Un invito da Israele ai ministri degli esteri europei: andate a Gaza

di Angelo Pezzana

Nei suoi rapporti con l'Italia, Israele non ha mai avuto una relazione migliore di quella che ha con il governo Berlusconi. Non lo affermiamo noi, ma le autorità israeliane, dal Presidente dello Stato, al Premier, ai rappresentanti diplomatici, una valutazione che trova conferma a Roma, dove dal Quirinale al governo, le ragioni dello Stato ebraico hanno sempre trovato una amichevole e forte attenzione. Sarà per questo che Avigdor Lieberman, Ministro degli Esteri del governo Netanyahu, ha pensato di rivolgere al suo omologo italiano Franco Frattini, una proposta perlomeno insolita, di sicuro lontana dai canoni della politica tradizionale. Farsi promotore di una visita nella Striscia di Gaza - ha detto Lieberman a Frattini la scorsa settimana - non da solo, ma con altri ministri degli esteri della UE, dopo tanta retorica, menzogne vendute come verità, è bene che vedano con i loro occhi che Gaza non è sottoposta a nessun assedio, nessuno muore di fame e che non vi è alcuna emergenza umanitaria. Lieberman, che la stampa europea non cita mai senza l'attribuzione di falco, è in realtà un realista, molto più vicino alle posizioni laburiste decisioniste degli anni '60, che non a quelle moderate del centro destra di oggi. Rappresenta un elemento di diversità, ma soltanto perchè dice chiaramente ciò che pensa. Venendo dall'Urss comunista ha imparato subito come vanno affrontati i pericoli rappresentati da governi ostili e nemici. E' difficile trovare un aggettivo che descriva la situazione nella quale si trova Israele, soprattutto da quando l'America sembra imporre all'unico vero alleato mediorientale dei comportamenti che non tengono conto dei cambiamenti in atto. La Turchia, che pure nei confronti degli Usa ha mutato atteggiamento - ma Obama sembra non essersene accorto - ha ormai adottato una politica ostile nei confronti di Israele, sino all'ultima provocazione, quando ha organizzato la spedizione della nave "Mavi Marmara" per rompere il blocco navale di Gaza. L'indicazione che arriva da Washington è dialogare, come se questo solo fosse sufficiente. Mentre il governo israeliano ha appena organizzato un incontro segreto a Zurigo tra il Ministro dell'Industria Ben Eliezer ed il Ministro degli Esteri turco, per "riprendere il dialogo", su evidente pressione americana, Lieberman dà più significato all'importanza della comunicazione mediaticata, che viene invocata sempre da tutti, ma messa in pratica da pochi. Nell'attacco mondiale a Israele, Gaza rappresenta il nodo centrale, tutto quello che sappiamo arriva da Hamas e dai suoi portavoce occidentali, sono le tre D, teorizzate da Nathan Sharanski, Doppio standard, Delegittimazione, Demonizzazione. É Gaza lo strumento che i vari Golia, qualunque dimensione abbiano, stanno usando, e con quale successo, contro Davide. Che sembra non avere tempo se non per convincere Golia a comportarsi da persona per bene. Le fonti israeliane o sono ignorate o presentate in modo tale da non sembrare mai convincenti. Frattini ha risposto di sì a Lieberman, accogliendo la sua proposta. Andrà con altri colleghi europei a Gaza, evitando, ci auguriamo, di essere guidato da Hamas. L'invito si basa anche sulla considerazione che è assurdo che Israele continui a fornire acqua ed elettricità nella Striscia, per poi sentirsi accusare di essere la causa dei problemi che l' affliggono. L'invito è accettato, ora tocca a Frattini dargli seguito, convincere i colleghi della bontà della proposta, staccando per qualche giorno la spina della propaganda palestinese.

(Informazione Corretta, 4 luglio 2010)

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Israele vuole bloccare la vendita di F-15 all’Arabia Saudita

GERUSALEMME - Israele vuole bloccare la nuova fornitura di caccia-bombardieri F-15 Usa all'Arabia Saudita. E' quanto scrive l'israeliano Haaretz, secondo cui l'accordo sottoscritto tra Riad e Washington prevede l'aggiornamento della flotta di 'vecchi' 150 F-15 sauditi e la vendita di decine di esemplari di ultima generazione .

(AGI, 4 luglio 2010)

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Le nostre sinagoghe, le nostre ambasciate

di Ugo Volli

Qualche giorno fa, questo sito ha pubblicato un intervento di Rav Di Segni, che come di consueto ha il merito di essere un invito a pensare contro le idee correnti. Rav Di Segni, in sostanza, diceva che i manifestanti contro Israele non hanno tutti i torti a venire a esprimere le loro posizioni davanti alla Sinagoga. Anch'io credo che i manifestanti antisraeliani sbaglino più o meno tutto, ma non indirizzo.
Anche se qualche volta le chiamiamo familiarmente "tempio", le nostre sinagoghe non sono sedi del divino, "case del Signore", com'era il Tempio di Gerusalemme, distrutto in questi giorni quasi due millenni fa, e come intendono essere le chiese cristiane. La sinagoga (dal greco syn-ago, il luogo dove insieme si conduce - il servizio - o si agisce) è innanzitutto beth hamidrash, casa di studio, luoghi in cui si dovrebbe studiare Torah (e infatti le nostre funzioni più che preghiere vere e proprie, come sostanzialmente è solo l'Amidà, contengono brani di Torah; perfino lo Shemà a rigore è uno studio). E poi è un beth haknesset, una casa di riunione, un luogo in cui gli ebrei ritrovano una dimensione comunitaria e di popolo. Anche il minjan richiesto per le azioni religiose in cui il Nome Divino è invocato, si spiega come una rappresentanza minima del popolo ebraico, un atomo di Israele. A imitazione delle chiese noi oggi rischiamo di vederle solo come luoghi sacri, ma nei secoli vi si è studiato, discusso, vi ci si è riuniti, vi si è giudicato, vi si è festeggiato e vi si è pianto assieme. Dunque l'essenza della sinagoga è di non essere un luogo privato, come ha scritto in polemica col rav Di Segni Davide Romano, ma al contrario il luogo pubblico per eccellenza, la radunanza del nostro popolo.
Ora l'espressione storica principale del popolo ebraico nel nostro tempo è lo Stato di Israele. Il rapporto che l'ebraismo ha con Israele non è quello che i cristiani di tutto il mondo possono avere con l'Italia o la Francia e neppure con lo Stato Vaticano. Israele non è uno Stato degli ebrei e neppure quello più importante, perché vi hanno sede i luoghi della nostra storia. Piaccia o meno a certi estremisti ultraortodossi e ad altri estremisti di sinistra, lo stato di Israele è il centro vitale, l'impresa in cui da cent'anni il nostro popolo ha investito se stesso. Senza togliere legittimità all'ebraismo della Diaspora, cioè al nostro ebraismo, Israele è oggi più del "germoglio della nostra redenzione", come diciamo nelle funzioni: è il cuore vivente del popolo ebraico. Per questo ogni sinagoga, ogni minjan, oltre a rappresentare il popolo ebraico nella sua missione e nella sua storia, rappresenta oggi anche Israele, quanto e più dell'ambasciata e delle normali strutture diplomatiche. Per questo è giusto che sulla cancellata della sinagoga di Roma sia esposta una fotografia di Gilad Shalit: perché il suo rapimento ci riguarda tutti come ebrei.
Questo rapporto fra ebraismo e stato di Israele è evidente proprio in coloro che ci prendono come nemici. Gli antisemiti oggi sono per forza antisionisti, non c'è bisogno di molto per dimostrarlo. Ma anche l'antisionismo è tutto tendenzialmente antisemita, nel senso di porsi contro non solo allo Stato di Israele ma al nostro popolo. Lo si vede bene quando gli "antisionisti" prima dicono, com'è accaduto di recente a quella decana dei corrispondenti alla Casa Bianca, che dovremmo andar via dalla "Palestina" che avremmo "rubato" e poi, alla domanda di dove dovremmo "tornare", la risposta è "al diavolo, in Germania o in Polonia", cioè, come ha detto ancora più esplicitamente alla radio di bordo una delle navi della "flottiglia" pro-Hamas in risposta all'intimazione di fermarsi "tornatevene ad Auschwitz".
Ecco, in maniera lucida e consapevole o meno, con comprensione storica o senza intendere quel che fanno, estremisti o "perbene" come i sindacati e dei partiti di sinistra, i manifestanti antistraeliani si mettono su un cammino dove gli ebrei non hanno diritto a uno Stato e devono essere dispersi fra i popoli "come il sale che dà sapore agli altri cibi ma non deve essere mai troppo concentrato" ha scritto un "filosofo" in un intervento recente sul "Pais": magari rinchiusi in ghetti o deportati in luoghi dove chi ha lo stomaco di farlo si prenda cura di loro. Per questa ragione essenzialmente negativa le manifestazioni contro Israele riguardano le sinagoghe. E per questo sono sbagliate in tutto, salvo che nell'indirizzo cui si rivolgono. Perché l'antisionismo è antisemitismo, senza se e senza ma.

(Notiziario Ucei, 4 luglio 2010)

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Hillary Clinton: dagli Usa 15 milioni di dollari per il museo di Auschwitz

CRACOVIA, 3 lug - Gli Stati Uniti stanzieranno 15 milioni di dollari per un fondo destinato al museo di Auschwitz, per contribuire a preservare il campo di concentramento nazista Auschwitz-Birkenau, in Polonia.
Lo ha annunciato oggi il segretario di Stato, Hillary Clinton, a Cracovia. La Clinton ha annunciato lo stanziamento per la Fondazione Auschwitz-Birkenau in un discorso in un museo aperto recentemente in una fabbrica di Cracovia dove, durante la seconda guerra mondiale, l'uomo d'affari tedesco Oskar Schindler riusci' a salvare la vita di circa 1.200 ebrei.
La sovvenzione degli Stati Uniti, ha annunciato il segretario di Stato ''attesta l'importanza del sito Auschwitz-Birkenau, aiuta a commemorare le persone che vi morirono e dimostra l'impegno dell'America al ricordo dell'Olocausto, per insegnare alle nuove generazioni che il mondo non potra' mai piu' permettere una simile odio''.

(ASCA, 3 luglio 2010)

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Cameron chiamato a rivendicare la sua identità ebraica

David Cameron
Il Presidente del Consiglio dei Deputati ebrei britannici (federazione rappresentativa dei principali gruppi ebraici britannici), Vivian Wineman, di passaggio a Tel Aviv, ha denunciato la delegittimazione dello Stato di Israele presso l'opinione pubblica britannica e l'avanzata del boicottaggio.
Per invertire questa tendenza, ha annunciato che la sua organizzazione si augura che un esempio di solidarietà con Israele provenga dall'alto. In questa prospettiva, la commissione dei deputati ebrei britannici ha pregato il nuovo Primo Ministro, David Cameron, di ricordare più spesso la sua origine ebraica.
Durante la sua campagna, era stato chiesto a Cameron se le sue origini non potessero pregiudicare l'obiettività delle sue decisioni sul Medio Oriente. L'aveva respinto, pur esprimendo il suo orgoglio nel contare tra i suoi antenati Elia Levita (1469-1549), un grande scrittore yiddish.

(Red Voltaire, 3 luglio 2010)

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Filopalestinesi o antisraeliani?

Cari amici,

ogni tanto mi meraviglio di quanto poco sono davvero interessati a quel che succede a Gaza i filopalestinesi, pacifisti e flottiglisti vari.
Ciò che gli interessa è polemizzare con Israele, possibilmente mostrarne un aspetto sgradevole e inumano; quel che accade davvero alla popolazione locale non li colpisce affatto se non serve a questo.
Per esempio, probabilmente non sapete che la settimana scorsa la popolazione di Gaza è rimasta senza elettricità tutti i giorni () - i giornali italiani non ne hanno parlato affatto. E sapete perché? Perché la causa non è la cattiveria di Israele che taglierebbe i rifornimenti a Gaza, anzi, ma un ennesimo conflitto fra Hamas e Autorità Palestinese, che essendo la proprietaria della centrale elettrica dovrebbe pagare i conti del gasolio per farla funzionare (riceve un sacco di soldi dalla comunità internazionale a questo scopo).
A questo conflitto, diciamo, non è estranea una certa spregiudicatezza finanziaria di Hamas, che anche l'altro giorno ha mandato le sue milizie a rapinare una banca che non dava i soldi che l'organizzazione voleva. Il risultato di questo esproprio islamico è la molto volontaria elemosina di 16 mila dollari ().
E dato che Abu Mazen e soprattutto il suo figliolo, diventato per puro caso grande e ricchissimo imprenditore da quando il paparino fa il mestiere di presidente, al denaro non sono indifferenti, hanno deciso di bloccare l'importazione di carburante nella Striscia, alla faccia dei poveri gazani oppressi. Inutile dire che "il fronte della pace" questa volta non si è mosso.
Niente flottiglie con petroliere, niente mozioni dell'Onu o della Comunità Europea, niente presidi della Cgil davanti all'"ambasciata" che il comune di Roma ha regalato alla povera autorità palestinese.
Non essendo ebreo, Abu Mazen può bloccare chi gli pare. [...]
Dunque sì, filopalestinesi e giornalisti politicamente corretti non si occupano affatto dei gazani, se non per incolpare Israele.

Ugo Volli

(Informazione Corretta, 3 luglio 2010)

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Libano - Soldati francesi Unifil presi di mira da residenti nel sud

Brevemente disarmati a bastonate e sassate

TOULINE (Libano), 3 lug. - Residenti di un villaggio del sud del Libano hanno attaccato e brevemente disarmato una pattuglia francese della forza delle Nazioni Unite in Libano (Unifil), a bastonate e sassate. Lo ha reso noto l'esercito libanese, che è intervenuto per riportare la calma la situazione.
"Abitanti del villaggio di Touline e alcuni residenti del villaggio vicino di Kabrikha hanno attaccato una pattuglia con bastoni, lanci di pietre e uova", ha affermato un portavoce militare, "I residenti hanno disarmato i soldati e hanno assunto brevemente il controllo del loro veicolo prima che l'esercito intervenisse e li allontanasse dalla pattuglia. Le armi sono state restituite all'Unifil, l'incidente è chiuso".
Secondo il portavoce, i soldati francesi hanno arrestato a Kabrikha un ragazzo che gli aveva chiesto che cosa facessero nel villaggio. Mentre la pattuglia entrava nella vicina località di Touline, gli abitanti l'hanno assalita e hanno recuperato il ragazzo. Testimoni hanno confermato la stessa versione, che Unifil si è rifiutata di commentare.
L'incidente si verifica alcuni giorni dopo le reazioni ostili di residenti del sud contro un'esercitazione ordinaria dell'Unifil, che ha in particolare spinto la Francia a esprimere la sua "preoccupazione". Il rappresentante di Ban Ki-moon in Libano, Michael Williams, ha sottolineato da parte sua che alcuni di questi atti, avvenuti martedì, "erano chiaramente orchestrati". Hezbollah, che una sanguinosa guerra ha opposto a Israele nell'estate 2006, è il partito politico più influente nel sud del Libano. Il suo numero due, Naim Kassem, ha affermato in un'intervista ieri che Unifil dovrebbe "fare attenzione".
Unifil è stata formata nel 1978 per sorvegliare la frontiera con Israele e controllare il ritiro dell'esercito dello stato ebraico che ha occupato una parte del sud del Libano nel 1978 e in seguito nel 1982. Israele si è ritirato nel 2000, ma Unifil è stata mantenuta. E' stata rafforzata dopo la guerra del 2006 e conta circa 13mila soldati.

(Apcom, 3 luglio 2010)

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"Perché l'antisemitismo: le domande della storia". Convegno, 5 luglio, Roma

Cari Amici,

con grande piacere vi invito a partecipare a questo importante convegno che si terrà alla Camera dei Deputati lunedì prossimo (5 luglio), nel corso del quale ospiteremo lo storico di fama internazionale Robert S. Wistrich, che colloquierà insieme ad altri eminenti studiosi sull'annosa e purtroppo sempre attuale questione dell'antisemitismo. Nella stessa occasione, ospiteremo anche la testimonianza di Ruth Halimi, co-autrice del libro, appena uscito in italiano, "24 giorni. La verità sulla morte di Ilan Halimi" (Ed. Belforte, 2010), nel quale racconta i terribili giorni del sequestro, delle torture e della tragica morte del figlio, ostaggio di una banda antisemita a Parigi nel 2006.
Sperando di vedervi lunedì, vi mando un caro saluto.

Fiamma Nirenstein

*

La S.V. è invitata all'incontro promosso dal Comitato di Indagine Conoscitiva sull'antisemitismo
con il Prof. Robert S. Wistrich

"Perché l'antisemitismo: le domande della storia"

che avrà luogo lunedì 5 luglio 2010 alle ore 17.00
nella Sala del Refettorio di Palazzo del Seminario

Interventi introduttivi di Fiamma Nirenstein, Pierangelo Ferrari e Raffaele Volpi

Colloquiano con lo studioso:
Mario Toscano, Piero Craveri, David Meghnagi, Marcello Pezzetti, Giulio Meotti
Con la testimonianza di Ruth Halimi, madre di Ilan, giovane ebreo parigino trucidato nel 2006 da una banda di antisemiti

R.S.V.P. 06-67606805; 393-8058906, nirenstein_f@camera.it
Sala del Refettorio, via del Seminario 76, Roma

(Informazione Corretta, 3 luglio 2010)

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Netanyahu non si scusa, nessun risarcimento

"Israele non puo' scusarsi perche' i nostri soldati sono stati costretti a difendersi da una folla che li ha quasi massacrati"- ha affermato- naturalmente siamo dispiaciuti per la perdita di vite umano. Questo e' chiaro". Netanyhau ha anche smentito l'ipotesi di risarcimento alle persone rimaste ferite nel raid del 31 maggio.

GERUSALEMME - Israele non si scusera' con Ankara per il raid contro la Freedom Flotilla, in cui morirono 9 attivisti turchi. Lo ha ribadito il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu in un'intervista concessa ieri sera alla rete televisiva Channel 1. "Israele non puo' scusarsi perche' i nostri soldati sono stati costretti a difendersi da una folla che li ha quasi massacrati"- ha affermato- naturalmente siamo dispiaciuti per la perdita di vite umano.
Questo e' chiaro". Netanyhau ha anche smentito l'ipotesi di risarcimento alle persone rimaste ferite nel raid del 31 maggio. Le sue dichiarazioni sono giunte dopo la notizia di un incontro segreto fra il ministro degli Esteri turco Ahmet Davotoglu e il ministro israeliano dell'Industria Benyamin ben Eliezer, durante il quale il capo della diplomazia di Ankara ha ripetuto la richiesta di scuse e risarcimento.
Nell'intervista Netanyahu ha riconosciuto di aver fatto un errore nel non mettere al corrente dell'incontro il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, ma ha aggiunto che e' "una buona cosa" che vi siano contatti ad alto livello fra Israele e Turchia per tentare di fermare il deterioramento dei rapporti bilaterali. Nelle ultime settimane, ha detto, varie persone lo hanno avvicinato con proposte di contatto con la Turchia, fra cui Ben Eliezer.

(RaiNews24, 3 luglio 2010)

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Caccia israeliani in Georgia in vista di un blitz sull'Iran?

di Silvio Lora-Lamia

Organi di stampa degli Emirati Arabi Uniti hanno diffuso in questi giorni la notizia secondo la quale Israele starebbe rischierando aeroplani da combattimento e personale su basi aeree dell'Azerbaijan e della Georgia in previsione di un attacco ai siti nucleari dell'Iran, blitz aereo che stando così le cose potrebbe essere imminente. Negli ultimi mesi aliquote di cacciabombardieri F-15 e F-16 della Heyl Ha' Avir avrebbero già preso parte ad esercitazioni partendo da basi georgiane e utilizzando lo spazio aereo turco, che ora però il governo di Ankara ha interdetto al traffico militare di Gerusalemme in risposta all'attacco israeliano alla flottiglia umanitaria inviata dalla Turchia in soccorso di Gaza.
In Azerbaijan stazionerebbero da tempo pure truppe speciali americane e vario materiale militare USA a supporto anche - sostiene la fonte degli Emirati - del contingente aereo israeliano, materiale fatto affluire nei porti georgiani attraverso il Mar Nero con il beneplacito di Mosca. Per Israele la disponibilità di basi aeree nel Caucaso ("sponsorizzata" da Washington, che non sarebbe estranea neppure all'accordo in base al quale i velivoli con la stella di Davide potrebbero impegnare anche lo spazio aereo saudita) sarebbe indispensabile ai fini di un attacco aereo sull'Iran, anche in funzione di rincalzo al limitato dispositivo navale dispiegato al largo delle coste di Teheran dalla marina israeliana, forte di tre sottomarini amati con missili da crociera con testata nucleare.

(Dedalo News, 2 luglio 2010)

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La Turchia presenta le sue richieste ad Israele


(euronews, 2 luglio 2010)

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Ben-Eliezer: Non ho promesso soldi per le vittime della flottiglia

Il ministro israeliano smentisce la notizia diffusa da Hurriyet

ROMA, 2 lug. - Il ministro israeliano del Commercio, Benjamin Ben-Eliezer, ha negato di aver promesso alcun risarcimento ai familiari delle nove vittime turche del blitz del 31 maggio scorso alla 'Freedom flottiglia' diretta verso la Striscia di Gaza con aiuti umanitari. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. Secondo il quotidiano turco Hurriyet, nel corso di un incontro segreto avvenuto mercoledì a Bruxelles (incontro che ha provocato la furiosa reazione del ministro degli Esteri dello Stato ebraico, Avigdor Lieberman, che non era stato preventivamente informato), Ben-Eliezer aveva detto al ministro degli Esteri turco Ahmed Davutoglu che Israele stava riconsiderando il suo iniziale rifiuto a risarcire i familiari delle vittime del blitz. Ma stamane l'ufficio del ministro israeliano ha smentito la notizia: "Non abbiamo alcun piano riguardo ai risarcimenti, il ministro non ha promesso nulla durante l'incontro di due giorni fa".

(Apcom, 2 luglio 2010)

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Israele e Libano alla guerra del gas

di Roberto Bongiorni

Su quel giacimento, inaspettato e potenzialmente ricchissimo, vogliono mettere le mani tutti. A cominciare da Israele, che ne rivendica la proprietà (ha già concesso le licenze) e vede nel suo sfruttamento la soluzione per affrancarsi dal giogo della dipendenza energetica. Ne esige una parte anche il governo del vicino Libano, di fatto ancora in guerra con Israele e affossato da un ingombrante debito pubblico. Più timidamente, anche Cipro vuole entrare nella partita.
In questo angolo del Medio Oriente, dove le dispute sui confini non sono state ancora appianate, un ricco giacimento di gas può rivelarsi un'arma a doppio taglio. E il maxigiacimento di Leviathan - il più grande mai scoperto nel Mediterraneo, 130 chilometri dalle coste di Haifa - potrebbe innescare una pericolosa escalation tra Beirut e Gerusalemme. Le reciproche accuse tra i due governi nell'ultimo mese non sono segnali incoraggianti. Per qualche analista, di questo passo, i giacimenti contesi potrebbero trasformarsi nel casus belli di un nuovo confronto militare con Hezbollah.
La posta in gioco, d'altronde, è altissima. Il valore dei giacimenti di Dalit, Tamar e Leviathan si aggira sui 100 miliardi di dollari. Il governo israeliano è consapevole di un fatto: il fabbisogno energetico registrerà un'impennata verticale nei prossimi anni. Lo ha illustrato bene Shuki Stern il direttore dell'Autorità israeliana del gas, quando, lo scorso 14 giugno, ha diffuso le nuove stime sui consumi: la domanda interna di gas dovrebbe raddoppiare dagli attuali 5 miliardi di metri cubi a 10 nel 2020, per poi salire a 15 nel 2029. Il tallone d'Achille di Israele è proprio l'energia. Già nei primi anni 70 l'allora premier Golda Meir ironizzò sulla peculiarità del territorio dello stato ebraico «Consentitemi di dirvi una cosa che noi israeliani rimproveriamo a Mosé. Impiegò 40 anni per attraversare il deserto e darci alla fine il solo fazzoletto di terra in Medio Oriente che non ha petrolio».
Israele ha dunque fatto di tutto per garantirsi le provvigioni di gas. Facendo dell'Egitto, paese con cui nel 1979 ha firmato un trattato di pace, il maggiore fornitore. Ma l'Egitto è un gigante dai piedi di argilla, al cui interno il risentimento contro Israele, guidato dal movimento dei Fratelli musulmani, è forte. Il gasdotto che attraversa il Sinai, peraltro, è stato spesso minacciato dai gruppi estremisti. Ed ecco che arriva l'imponderabile. Tra gennaio e febbraio del 2009 un consorzio in cui figurano alcune compagnie israeliane e l'americana Noble Energy annuncia la scoperta del giacimento di Tamar (la licenza per l'esplorazione risale al 2000). Si tratta della più grande ritrovamento di gas del 2009 sufficiente a coprire i consumi israeliani di gas per 35 anni.
Beirut comincia ad avanzare qualche pretesa. Ma di gas, in quell'area, sembra esservene di più. Il 3 giugno del 2010 il clamoroso annuncio: Noble Energy calcola in 453 miliardi di metri cubi le riserve del giacimento di Leviathan e 228 miliardi quelle di Tamar (dove è stato ritrovato anche del petrolio). Noble ha una quota del 40%, e tra gli altri azionisti figura l'israeliana Delek. Sull'onda dell'entusiasmo l'ad di Noble, Charles D. Davidson, dichiara: «Crediamo che supereremo quanto richiesto dal mercato interno». Isaac Tshuva, il tycoon israeliano padrone della Delek, è andato oltre: «Questo è un giorno di festa per tutto lo stato di Israele. Energia nostra sufficiente per 100 anni». Forse troppo. Ma non c'è dubbio che, se debitamente sfruttati (la percentuale di successo è del 50%), i giacimenti, che dovrebbero cominciare a produrre entro il 2012, apporteranno un grande cambiamento all'economia israeliana accelerando il processo per ridurre l'uso del carbone, che oggi genera il 60% dell'elettricità.
Libano permettendo. Perché Beirut non vuole sentire ragioni. Tre giorni dopo l'annuncio sulle riserve di Leviathan, Hashem Safieddine, il capo del Consiglio esecutivo del movimento sciita Hezbollah, ribatte: il nostro movimento «non permetterà a Israele di saccheggiare le risorse di gas libanesi». Il giorno dopo il ministro libanese dell'Energia, Gebran Bassil, esce allo scoperto: «Non permetteremo a Israele e a qualsiasi compagnia che lavora per i suoi interessi di estrarre gas che rientra nel nostro territorio». Infine venerdì scorso prende la parola il portavoce del Parlamento, Nabih Berri. Politico scaltro, vicino agli Hezbollah, Berri prima appoggia l'idea di Bassil per approvare urgentemente una legge sugli idrocarburi al fine di concedere le licenze di sfruttamento del gas, poi precisa: «Israele sta ignorando un fatto, cioè che, secondo le mappe, il giacimento si trova anche nelle acque territoriali del Libano». Ma quali mappe? Il ministro israeliano delle infrastrutture Uzi Landau avverte che Gerusalemme difenderà i suoi giacimenti, anche con la forza. «Israele non può fare a meno di minacciare e spaventare i libanesi», ha replicato il premier libanese, Saad Hariri, nel weekend.
Al telefono con il Sole 24 Ore il ministro Landau è irremovibile: «In conformità con le leggi internazionali questi giacimenti si trovano nella zona economica di Israele. Quando abbiamo assegnato le licenze per l'esplorazione (Leviathan fu assegnato nel 2003, ndr) i nostri legali hanno rispettato tutte le procedure. Nessuno si è lamentato. Ma una volta trovato il gas ecco che il Libano rivendica qualcosa che è nostro. Dietro il Libano c'è la Siria. Se minacciati non escludiamo nulla per difendere la nostra sovranità, neanche l'uso della forza. Questi giacimenti sono parte del nostro territorio. Sono un asset strategico».
In mezzo Cipro. Gerusalemme e Nicosia starebbero lavorando su un accordo per definire i confini marittimi fissandoli a circa 200 chilometri dalle rispettive coste. «Stiamo portando avanti il dialogo con Cipro per raggiungere un accordo, basato sulla pratica internazionale e sulle relazioni di buon vicinato», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Yigal Palmor. Una volta fissati i confini, Cipro potrebbe concedere licenze per accertarsi se il giacimento si estende nelle sue acque.
La situazione è tuttavia molto complessa. Israele spesso parla di giacimenti nella sua zona esclusiva economica (che tuttavia, pur avendone diritto, non ha dichiarato) e non di acque territoriali. Le rivendicazioni del Libano sono però complesse perché il suo confine con Israele è molto frastagliato, rendendo difficile, in mare, stabilire dove finisce l'uno e inizia l'altro, ha spiegato a Bloomberg Robbie Sable, professore di diritto internazionale a Gerusalemme.
I timori di Beirut potrebbero avere qualche fondamento. Ancor più del petrolio, i giacimenti di gas non sono compartimenti stagni. Quindi, se un giacimento si estende sul territorio di due stati, chi lo estrae per primo potrebbe "succhiare" parte di quello del secondo. «Un argomento fonte di molti attriti nel passato in diverse aree del mondo - ci spiega Leonidas Drollas, capo economista del Centre for Energy Studies - che risale alle esplorazioni di inizio secolo nel Texas; chi arrivava per primo aveva più possibilità. Il giacimento più grande del mondo, tra Iran e Qatar è un caso emblematico. Il Qatar ha iniziato prima le estrazioni ed ha tecnologie all'avanguardia: sta producendo più gas. La soluzione migliore è un accordo per dividere i profitti». Quello che starebbero facendo Cina e Giappone per sfruttare il grande giacimento delle isole Senkaku. Ma anche se il giacimento di Leviathan si estendesse nelle acque libanesi, è improbabile che Israele e Libano facciano lo stesso. Per Hezbollah, accusato da Israele di aver rafforzato il suo arsenale dotandosi di missili Scud, i pretesti per riaprire le ostilità non mancano. E un giacimento di gas, così ricco, può rappresentare l'ultimo, ottimo pretesto.

(Il Sole 24 Ore, 2 luglio 2010)

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Vita e cultura ebraica nella Padova del '700: la kabbalah secondo il rabbino Ramhal

PADOVA - Il nuovo volume della collana "Toledoth" di studi di cultura ebraica, edita dalla padovana Esedra, è incentrato sulla figura di Ramhal, acronimo di Rabbi Moseh Hayyim Luzzatto, nato a Padova nel 1707, uno dei più celebri rabbini della nostra città. Gadi Luzzatto Voghera e Mauro Perani hanno curato la raccolta di interventi presentati al convegno organizzato tra Padova e Ravenna per i 300 anni dalla nascita. Nonostante le sue poesie e i suoi trattati filosofici, Ramhal fu legato soprattutto al circolo di studi cabalisti che aveva guidato da giovane a Padova e che lo avrebbe poi portato a doversi difendere dall'accusa di eresia. Egli sosteneva infatti di aver udito la voce misteriosa di un "maggid" , entità rivelatrice di segreti celesti, che l'avrebbe guidato nella produzione di numerose opere di kabbalah, messe poi all'indice dalla principali autorità rabbiniche europee. Il libro, che si intitola "Ramhal. Pensiero ebraico e kabbalah tra Padova ed Eretz Israel", si apre con uno scritto di Ariel Viterbo sugli ebrei a Padova nel Settecento, quando a centinaia vivevano nel ghetto. Seguono altri sedici interventi, che spaziano dall'epistolario di Moseh Hayyim Luzzatto e le rivelazioni mistiche alla sua teoria della reincarnazione. La collana di cultura ebraica, curata da Michele Borsa e diretta dal rabbino di Padova Adolfo Locci è stata inaugurata da un volume sulla presenza ebraica da Roma e nel Lazio.

(Il Gazzettino, 2 luglio 2010)

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Israele-Turchia, pranzo kosher a rischio

La crisi diplomatica ha bloccato il flusso di alimenti e ispettori da un Paese all'altro

La crisi tra Israele e Turchia, dopo l'assalto alla nave di aiuti umanitari diretta a Gaza, rischia di far saltare il pranzo kosher. Le principali ditte israeliane che rispettano il kashrut, l'insieme di norme ebraiche che regolano l'alimentazione, hanno smesso di inviare i propri ispettori in Turchia temendo per la loro sicurezza. Allo stesso modo, i produttori turchi che forniscono alimenti con marchi kosher non stanno inviando i loro cibi in Israele.
E la questione non sembra prossima a una soluzione. La Haredi Badatz, la più grande organizzazione israeliana per la supervisione dei prodotti kashrut, ha anzi annunciato che non riprenderà le sue attività fino a quando il ministero degli Esteri turco non garantirà per la sicurezza degli israeliani in Turchia.
"Anche gli ispettori hanno paura di andarci", spiega Moshe Weinstein, vice CEO della fabbrica OK per la cerificazione, sottolineando che i funzionari saranno mandati in Turchia solo se assolutamente necessario. Yehuda Katz, capo dell'organizzazione dei rabbini Landa kashrut, ha detto che nemmeno i suoi ispettori sono più entrati nel Paese: "Riteniamo che la santità della vita superi l'importanza dei pomodori. Abbiamo un sacco di produttori in Turchia, ma nulla è insostituibile".
Prima della crisi diplomatica tra i due Paesi, tra gennaio e maggio di quest'anno, l'esportazione di cibo, bevande e tabacco dalla Turchia a Israele era cresciuta del 10% rispetto allo stesso periodo del 2009, raggiungendo i 43 millioni di dollari, in base ai dati della Camera di Commercio di Israele. Oltre alla pasta, tra i prodotti made in Turchia venduti in Israele anche frutta secca e conserve alimentari.

(Libero-news.it, 1 luglio 2010)

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La Gaza che non fanno vedere. Dove l'Onu lotta contro Hamas

Hotel di lusso e campi sportivi di alto livello distrutti dai terroristi

di Dimitri Buffa

Ma chi è che distrugge le strutture che servono alla sopravvivenza dei cittadini di Gaza? Israele, l"embargo disumano" o per caso gli stessi uomini di Hamas che mal sopportano che l'Onu e l'Unrwa allestiscano ogni estate dei semplici campi estivi, come quelli che un tempo si chiamavano "colonie", per i bambini? In un lungo reportage di Sharon Levi, un cooperatore della ong "Secondo protocollo", corredato da un filmato che purtroppo non si vedrà mai nei tg italiani, pubblici o privati che siano, e che però si può guardare proprio su secondoprotocollo.it, in bella evidenza sulla prima pagina del sito della ong in questione, viene fuori un'immagine diversa di Gaza, "come non l'avete mai vista", così come recita il titolo del reportage. Scrive Levi: "..Dei mercati e dei negozi ricchi di ogni ben di Dio lo sapevamo già, quello che invece non sapevamo era tutto il resto. Per inciso, le immagini le ha diffuse un forum palestinese, quindi nessuna propaganda sionista. Anche le foto delle mega-ville dei boss di Hamas vengono da fonti palestinesi o da altri forum palestinesi. Come si può vedere la situazione non è proprio come ce la descrivono i prodi "inviati speciali". E se siete "operatori umanitari" in viaggio nella Striscia di Gaza per scoprire la terribile situazione dell'area non esitate ad andare al Roots Club in Cairo Street, a Remail, dove troverete un locale di lusso, cucina tipica araba e tanto, tanto altro (imperdibile il video della pubblicità del locale e ricordate che siamo a Gaza). Il locale, a quello che dicono, è sempre pieno di "operatori umanitari", funzionari dell'Onu e non mancano nemmeno le donnine per un buon "dopo cena". Ma in fondo, l'accoglienza araba è rinomata in tutto il mondo, per cui non c'è da meravigliarsi. E poi, non si vorranno mica lasciare gli intrepidi "operatori umanitari" senza un minimo di confort e di "conforto"?"


Altri spezzoni del filmato inquadrano anche il porto, che per yacht di ogni dimensione sembra più Porto Cervo che quell'ammasso di macerie che ci viene fatto vedere nei filmati di repertorio, ma che è relativo a quella che era la situazione in alcuni posti di Gaza subito dopo il conflitto del gennaio 2009. In compenso, se la situazione umanitaria di Gaza non è di certo quella descritta dall'Onu e dai media europei (non imputabile all'embargo e al blocco navale israeliano che servono solo ad evitare l'affluenza di armi e materiali per costruire missili e ordigni) qualcuno che nella Striscia distrugge le strutture destinate alla popolazione, nella fattispecie ai bambini, indubbiamente c'è davvero: però si chiama Hamas. Che nei giorni scorsi, in nome del proprio ideologismo fatto di fondamentalismo islamico, anti semitismo e razzismo nazi fascista, ha distrutto per la seconda volta in due anni la colonia estiva per i bambini di Gaza approntata per conto dell'Onu dall'Unrwa, cioè l'organismo che si occupa dei rifugiati palestinesi da 60 anni a questa parte. Fonte della notizia, ieri, Rainews 24, quindi non l'odiato sistema mediatico sionista. Anche questa volta uomini armati e incappucciati hanno devastato e saccheggiato un campo estivo gestito dalle Nazioni Unite sulla costa mediterranea della Striscia di Gaza, controllata dai terroristi di Hamas. Si tratta del campo estivo di Zawaia a Deir el-Balah. Struttura pensata con lo scopo di offrire un po' di ricreazione, cibo e giochi ai bambini palestinesi. Che però, agli occhi degli estremisti islamici, ha la "colpa" di essere gestito da occidentali. E di far giocare bambini e bambine insieme. Secondo il racconto di chi lavora all'Unrwa, a Gaza, una ventina di uomini armati e incappucciati hanno assalito la struttura, sopraffatto le guardie della sicurezza e poi hanno dato alle fiamme un edificio e distrutto i giochi all'aria aperta e una piscina gonfiabile. Proprio a maggio gli estremisti islamici avevano accusato le Nazioni Unite di corrompere e favorire l'immoralita' tra giovani attraverso i 'summer camp'. Adesso John Ging, direttore delle operazioni UNRWA nella Striscia di Gaza, anche lui non noto per essere un amico di Israele, giura che ricostruirà il tutto appena possibile.

(l'Opinione, 1 luglio 2010)

Per un approfondimento

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I bimbi vittime del nazismo

«La storia dei bambini di Izieu», ovvero quando a cadere nell'abisso dell'Olocausto sono i più piccoli. Siamo a Izieu, nel Sud della Francia, appena al di là delle Alpi, a sole due ore e mezza da Torino. È qui, in una grande casa tra le montagne, che trovano rifugio dei bambini ebrei. Qui il rumore della guerra non arriva; qui la vita scorre tranquilla, ma il destino di questi 44 bambini cambierà, improvvisamente, in una mattina di aprile, quando un gruppo di SS, guidate da Klaus Barbie, farà irruzione in quella casa.

Raidue, ore 23.40

(Corriere della Sera, 1 luglio 2010)

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Ankara conferma l'incontro segreto con un ministro di Israele

Ahmet Davutoglu
ANKARA, 1 lug. - Fonti ufficiali turche confermano che il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha incontrato a Bruxelles il ministro israeliano del Commercio, Benjamin Ben Eliezer. L'incontro "è avvenuto ieri a Bruxelles su richiesta di Israele", riferisce un responsabile turco alla France Presse. Si sarebbe trattato di un colloquio preliminare e riservato per riallacciare i contatti diplomatici fra i due paesi, dopo le forti tensioni causate dall'attacco israeliano alla flottiglia internazionale che trasportava aiuti per Gaza, lo scorso 31 maggio, che ha provocato la morte di nove cittadini turchi. L'incontro avrebbe provocato la furiosa reazione del ministro degli Esteri dello Stato ebraico, Avigdor Lieberman, che non era stato preventivamente informato. Eliezer, esponente alla Knesset del partito Laburista, nelle scorse settimane aveva più volte espresso la sua preoccupazione per il deterioramento delle relazioni bilaterali e diplomatiche tra Israele e Turchia. Il suo incontro con Davutoglu è stato il primo di un ministro israeliano con un esponente del governo di Ankara dal giorno dell'arrembaggio alla flottiglia della pace, a fine maggio. L'ufficio di Netanyahu ha tentato di giustificare la mancata comunicazione dell'incontro a Lieberman con non meglio precisati problemi tecnici, ma ha ammesso che "nelle recenti settimane" c'era stato un approccio informale con Eliezer per sondare la possibilità di una 'discussione informale'. "Nelle scorse settimane ci sono stati numerosi tentativi di contatti con la Turchia, di cui il ministero degli esteri era comunque a conoscenza", è stato spiegato.

(Apcom, 1 luglio 2010)

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Israele, rottura Netanyahu-Lieberman dopo l'incontro segreto con i turchi

ROMA, 1 lug - "Questo è un insulto alle norme di comportamento comunemente accettate e un colpo pesante alla fiducia tra il ministro degli Esteri e il primo ministro". Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman definisce "molto seria" la crisi interna al governo derivata dall'incontro segreto tra il ministro del Lavoro Benjamin Ben-Eliezer e il titolare degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, avvenuto mercoledì a Zurigo. Il colloquio, rivelato dal secondo canale televisiuvo israeliano, è stato confermato anche dalla testata turca Hurriyet, la quale aggiunge che regista dell'operazione è stato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Il premier Benjamin Netanyahu ha insistito con la stampa che si è trattato solo di un misunderstanding, e che Lieberman non è stato avvertito "solo per motivi tecnici". Questa versione appare tuttavia poco convincente: l'amministrazione Usa è infatti molto contrariata dall'atteggiamento del partito di Lieberman nei confronti del processo di pace con i palestinesi, ma soprattutto è preoccupatissima per la svolta costituita dal deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele. Relazioni inasprite nell'ultimo anno da una serie di episodi culminati nell'uccisione di otto cittadini turchi e di uno turco-americano a bordo della Freedom Flotilla diretta a Gaza il 31 maggio scorso.
È dunque tutt'altro che inverosimile un'azione americana volta a riaprire il dialogo tra Ankara e Tel Aviv. E anche la scelta dell'interlocutore va in quella direzione: Ben-Eliezer, ex ministro della Difesa, nelle ultime settimane non aveva nascosto la sua preoccupazione per l'andamento dei rapporti con la Turchia e all'interno del governo era stato il più favorevole all'apertura di un'inchiesta internazionale sugli incidenti della Freedom Flotilla. La rottura tra Lieberman e Netanyahu, secondo Haaretz, potrebbe preludere a una crisi di governo. Il gabinetto di Netanyahu ha infatti molte difficoltà a gestire le relazioni internazionali (mai i rapporti con gli Usa hanno raggiunto un livello così basso) e anche all'interno soffre dell'anomalia di avere un partito al centro dello schieramento politico come Kadima all'opposizione. Per Hurriyet, in ogni caso, l'episodio è la dimostrazione che Netanyahu "sta esautorando Lieberman dalla politica estera".

(il Velino, 1 luglio 2010)

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Otto piani per ricordare la Shoah

L'edificio avrà 4 livelli interrati. Percorsi fotografici racconteranno le persecuzioni

di Alessio Liverziani

Villa Torlonia
Un museo per non dimenticare l'Olocausto. Entro tre anni a Villa Torlonia. Anche Roma avrà il suo luogo della memoria per ricordare i sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti nei campi di concentramento. Ieri, in Campidoglio, è stato messo tutto nero su bianco dal sindaco Gianni Alemanno. La firma è arrivata nel corso della cerimonia di consegna del progetto premilimare per il Museo della Shoah, donato al Comune da Claudio Toti della Lamaro. «Entro il 2013 sarà consegnato alla città - ha dichiarato Alemanno - c'è già uno stanziamento di 13 milioni e 400 mila euro». Nell'area di circa tremila metri quadri, in via Alessandro Torlonia, sorgerà un edificio di otto piani, di cui quattro interrati per limitare l'impatto con gli edifici circostanti. Un parallelepipedo nero, su cui saranno incisi i nomi dei deportati italiani, ospiterà le sale espositive, mentre uno spazio a tronco di cono evocherà i drammatici percorsi dei campi di concentramento. Accanto, una biblioteca con archivio audiovisivo e fotografico e della Fondazione Spielberg, una sala conferenze, un parcheggi pubblico e uno privato, una caffetteria e un bookshop. Alla presentazione nella Sala delle Bandiere, oltre all'assessore ai Lavori pubblici, Fabrizio Ghera, al presidente della Provincia, Nicola Zingaretti e all'architetto progettista, Luca Zevi, c'erano anche il direttore scientifico del Museo della Shoah Marcello Pezzetti, il presidente della Fondazione Museo della Shoah, Leone Paserman e il presidente della Comunità Ebraica Riccardo Pacifici. «L'Italia ha finalmente colmato una lacuna - ha detto Pacifici - non sarà solo il museo di Roma, ma uno spazio con un respiro nazionale». Un luogo di incontro e di confronto, dunque, dedicato in particolar modo alle nuove generazioni, sempre più «povere» di memoria storica. Come ha sottolineato la governatrice del Lazio, Renata Polverini, che contribuirà con fondi regionali alla messa in opera del progetto, in questi anni molti studenti hanno avuto l'opportunità di visitare lo Yad Vashem di Gerusalemme grazie al concorso «Il percorso dei giusti». «Con il Museo della Shoah - ha spiegato la presidente della Regione - i cittadini di ogni Paese avranno un luogo attraverso il quale farsi testimoni della memoria contro ogni forma di intolleranza e di discriminazione». Per il sindaco Alemanno, «adesso non ci sono più impedimenti. Il Comune farà il suo dovere come stazione appaltante, mentre la Fondazione Museo dello Shoah lavorerà dal punto di vista culturale in modo che questa diventi un'istituzione per far crescere la coscienza e la consapevolezza di quanto accaduto negli anni terribili della Shoah».

(Il Tempo, 1 luglio 2010)

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Abu Mazen riceve la stampa israeliana

Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen si è incontrato a Ramallah con un gruppo di inviati dei maggiori media israeliani all'apparente scopo di rivolgersi direttamente all'opinione pubblica israeliana. Il presidente palestinese che ha avuto ospiti a pranzo i giornalisti ha risposto senza esitazioni a tutte le loro domande, svelando anche aneddoti di suoi incontri con ministri di precedenti governi israeliani. In merito al contenzioso israelo-palestinese Abu Mazen ha detto di aver proposto al premier Benyamin Netanyahu che i confini con Israele del costituendo stato palestinese siano quelli del 4 giugno 1967, cioè alla vigilia del conflitto del 1967, includendovi Gerusalemme est, parte del Mar Morto e la Valle del Giordano. Abu Mazen, al tempo stesso, si è detto disposto a rettifiche di confine con scambi di territori di uguale superficie e ha affermato di aver presentato all'allora premier Ehud Olmert una mappa con i confini proposti dai palestinesi. "Un mese fa - ha detto - ho trasmesso per mezzo dell'inviato Usa George Mitchell al primo ministro Netanyahu un documento con le nostre posizioni sui problemi che attendono una soluzione in materia di confini e sicurezza. Sto aspettando la risposta". Abu Mazen ha detto "non ho alcuna difficoltà a incontrarmi con Netanyahu; che mi dia solo un segno incoraggiante di progressi". Il presidente ha detto di essere disposto ad accettare lo stazionamento permanente di forze della Nato e dell' Unifil in Cisgiordania nel quadro di un accordo sulla costituzione dello stato palestinese. Abu Mazen ha inoltre dichiarato di essere disposto ad accontentarsi di un silenzioso impegno di Israele con gli Stati Uniti a congelare l' edilizia ebraica a Gerusalemme est e in Cisgiordania per la durata dei negoziati di pace

(L'Unione Sarda, 1 luglio 2010)

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Notizie archiviate

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