Notizie su Israele 128 - 30 settembre 2002


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Così parla il SIGNORE, che ha dato il sole come luce del giorno e le leggi alla luna e alle stelle perchésiano luce alla notte; che solleva il mare in modo che ne mugghiano le onde; colui che ha nome: il SIGNORE degli eserciti. «Se quelle leggi verranno a mancare davanti a me», dice il SIGNORE, «allora anche la discendenza d'Israele cesserà di essere per sempre una nazione in mia presenza». Così parla il SIGNORE: «Se i cieli di sopra possono essere misurati e le fondamenta della terra di sotto, scandagliate, allora anch'io rigetterò tutta la discendenza d'Israele per tutto quello che essi hanno fatto», dice il SIGNORE.

(Geremia 31:35-37)



CONSIDERAZIONI DI UN ARABO SU CAMP DAVID 2000


L'analisi di un intellettuale liberal egiziano sul ruolo dei regimi arabi nel non aver colto l'opportunità di Camp David 2000

In un recente articolo pubblicato sul quotidiano londinese in lingua araba Al-Hayat, lo scrittore liberal egiziano Amin Al-Mahdi (1) ha criticato i regimi arabi per il loro sfruttamento della questione palestinese e per il loro ruolo nel rifiuto palestinese delle proposte di pace del presidente Clinton nel luglio 2000. Ecco alcuni estratti dell'articolo:


Arafat e Camp David 2000

"Di solito i momenti storici spingono i popoli e i loro leader a fare una scelta fatale tra la partecipazione alla costruzione della storia e la caduta sotto le sue ruote. Non c'è alcun dubbio che la seconda metà del 2000 sia stata un momento fatale e pericoloso nella storia del popolo palestinese, e le sue ramificazioni si sono estese attraverso l'intero mondo arabo. I risultati mostrano che la leadership palestinese, e dietro di essa l'atmosfera araba politica e dei mezzi di comunicazione, non è cresciuta al livello richiesto per fare una [corretta storica] scelta".

"Una delle conseguenze è stata che la questione palestinese è ritornata a un punto sotto zero. Non solo i palestinesi hanno perso un'opportunità sincera per una sistemazione ragionevole, che avrebbe loro permesso di integrarsi nell'era moderna, prendendo le redini del cambiamento [nelle loro mani]; essi hanno perso i loro precedenti guadagni: i negoziati di Camp David II".

"Il popolo palestinese aveva uno Stato in formazione che era chiaramente cresciuto. Comprendeva otto grandi città e 400 villaggi, ed erano in corso serie trattative su due villaggi all'interno di Gerusalemme... [Aveva] un porto, un aeroporto, una linea aerea e quartier generali a Gerusalemme... un palazzo parlamentare in costruzione ad Abu Dis; un turismo attivo; entrate fiscali ragionevoli; un'industria in formazione; un ragguardevole commercio con Giordania, Israele ed Unione europea; un'agricoltura che aveva accumulato conoscenze.  Aveva... 127.000 lavoratori in Israele con un reddito medio di 100 dollari [al mese]...; stimate istituzioni didattiche e un'identità; [aveva] polizia e apparati di intelligence e prigioni (più del necessario); istituzioni mediatiche; un'amministrazione di governo; e il sostegno politico ed economico internazionale".

"Ancor più importante, c'era un'entità e un'élite urbana capace di guidare la prima Intifada con raro successo nel mondo arabo. Questa élite era capace di rivolgersi al popolo israeliano e di mobilitare vasti suoi settori a sostegno della causa palestinese. Il presidente Arafat deteneva il record delle visite alla Casa Bianca. L'entità nazionale palestinese nazionale era visitata da molti presidenti, guidati da Clinton e Chirac, e dalla maggior parte dei primi ministri del mondo e dei ministri degli esteri. La dichiarazione dello Stato era a portata di mano o piu' vicina. Le proposte del presidente Clinton delineavano un'apertura per una possibilità di cambiamento e di progresso".

"Benché il presidente Arafat abbia ammesso di essersi sbagliato nel respingere le proposte di Clinton (Haaretz, 21 giugno 2002), le sue parole sono inutili. Avrebbe dovuto spiegare onestamente perché rifiutò quelle proposte, perché fu un errore e perché per ammettere l'errore ci sia voluto così tanto. Io penso che la situazione sia deteriorata al punto da superare l'errore del rifiuto della proposta di pace di Clinton. Quel rifiuto è stato un legame nella tragica catena di errori che includeva il volgersi alla violenza (come è scritto nel Rapporto Mitchell, accettato da tutte le parti), la formazione di un'alleanza diretta e organica con le fazioni dell'Islam politico prima delle trattative e del trasferimento della leadership della strada palestinese ai 'punk della repubblica Al-Fakahani' (2). Così, il principio delle trattative di pace è stato sconfitto completamente. Questo ha significativamente aiutato la caduta della sinistra israeliana - il centro di gravità [del sostegno israeliano] ad una soluzione pacifica -  e con essa è caduto il campo della pace.

"Nel clamore della battaglia mondiale contro il terrorismo, la violenza con una natura religiosa - in particolare, quella alimentata da giovani uomini e donne che vengono dalla povertà, dall'oppressione e dalla disperazione, ai quali è stato lavato il cervello per fargli compiere attacchi suicidi contro i civili, con risultati criminali - è diventata un rifacimento degli eventi dell'11 settembre, e un ricordo permanente per il mondo che il terrore è arabo e islamico. Perciò, il peso morale della questione palestinese ha cominciato a erodersi; la differenza fra la violenza di Sharon e la violenza palestinese è svanita;  e il terzo trasferimento palestinese, cioè la soluzione giordana, è diventato più imminente che mai, specialmente se consideriamo il vuoto politico che si creerebbe se il regime iracheno fosse sostituito con la forza".
  
"…Il danno esterno [palestinese] è anche peggiore. La nuova amministrazione americana è costituita di neo-conservatori... secondo la cui mentalità la leadership palestinese è incapace di scegliere il sentiero della pace. Quando [l'amministrazione] ha richiesto che il  presidente Arafat combattesse il 'terrore', ha  chiesto l'impossibile, perché [Arafat] è già andato molto lontano giù per un percorso dal quale non c'è ritorno…".


I regimi arabi e Camp David II

"Quando Arafat è tornato da Camp David, le sue masse l'hanno portato in spalla come un simbolo di rispetto per non aver ottenuto niente. Gli apparati di propaganda arabi e le dichiarazioni degli alti funzionari in alcuni paesi arabi hanno avuto un ruolo significativo in questi strani festeggiamenti. Era il momento giusto per aggiungere condizioni che rendessero il problema irrisolvibile, come l'adesione al diritto dei rifugiati di ritorno in Israele, che significa, semplicemente, l'istituzione di due stati palestinesi. Inoltre, un attacco demagogico privo di qualsiasi base oggettiva [è stato lanciato] contro Clinton e contro la politica americana (ci sono molte ragioni per criticare la politica americana, ma non penso che il piano di pace di Clinton fosse una di queste)".

"Tutto questo è stata la prova della direzione retrograda in cui era andato il processo di pace...In questa direzione c'era l'esaltazione eccessiva della vittoria Hizbullah [in Libano meridionale], che ha assunto proporzioni quasi mitiche, mentre è stata una vittoria meramente tattica, che non ha cambiato niente nella bilancia del potere. Ciò è continuato per sei mesi miserabili, finché tutta la speranza di preservare il principio dei negoziati di pace è stata persa quando Sharon è salito al potere, dato che Sharon è il miglior partner possibile per questa danza di morte".

"…A mio personale giudizio, qualunque proposta di pace Clinton avesse presentato alla parte araba, sarebbe stata sicuramente respinta. Questo perché  la questione palestinese è sempre stata la fonte principale di legittimazione per i regimi rivoluzionari [arabi] che hanno stabilito repubbliche militari rurali o tribali. La questione palestinese è sempre stata l'argomento dell''Annuncio n. 1' di tutti questi [colpi di stato militari arabi]. Ancor di piu', è stata il sostegno per la guerra dichiarata alla democrazia e alla modernizzazione [da parte dei regimi arabi], un eterno pretesto per il progetto di divorzio dal mondo libero e per imporre diverse leggi, da quelle di emergenza a quelle militari ".

"Poiché le tensioni regionali, compreso il conflitto arabo-israeliano, erano uno dei fronti della Guerra Fredda, quando è cominciata la riorganizzazione del mondo... le democrazie militari (ex-rivoluzionarie) arabe hanno sofferto per la pressione causata da questa riorganizzazione: ad esempio, con l'erosione della sovranità nazionale, il libero mercato, la globalizzazione dei diritti umani, l'[istituzione] di corti internazionali, e la crescita dell'èra dei popoli. Il regime arabo ha cercato di creare una specie di nuova Guerra Fredda, formando un'alleanza con il fondamentalismo islamico ed istituendo un nuovo impero ombra in Asia centrale".

"I centri di tensione, come la questione palestinese, [la guerra in] Sudan meridionale e l'attrito nel Golfo, hanno preso il posto della Cortina di Ferro e del Muro di Berlino, rendendo possibile all'uomo di barricarsi, di isolarsi e di creare una polarizzazione con l'intero mondo... La situazione è diventata così estrema che queste repubbliche militari hanno consentito a se stesse di diventare case reali, dove è stata permessa la clonazione politica attraverso la prole".

"La proposta di Clinton non era niente più che un'offensiva di pace contro questo regime arabo e contro la sua cortina di ferro in Palestina e in Sudan meridionale. Lo scopo [di questa offensiva] era di aprire la regione ai cambiamenti dell'èra post-Guerra Fredda. Era un perfetto successo americano ed ha perciò incontrato una resistenza crudele, senza un esame di ciò che era buono per il popolo palestinese. Quando il presidente Clinton ha lasciato la Casa Bianca, ha portato le sue proposte con sé, lasciandole a nuovi inquilini che non credono [nella sua linea]… ".

"Perciò, Abu Ammar [Arafat] ha di nuovo trasformato il popolo palestinese in uno scudo umano che protegge il regime arabo dall'aggressione del modernismo e dalla libertà. Cioè, egli ha in effetti fatto in modo che la questione palestinese tornasse ad essere [una questione] araba. Se solo si fosse accontentato di questo…, ma ha compensato l'Islam politico per la sua umiliante sconfitta in Afghanistan e nel sud-est asiatico, per la sua cattiva reputazione e per la sua persecuzione per tutto il mondo intero..."(3).

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Note:
   (1) Per leggere altri articoli scritti da Amin Al-Mahdi, vedi il Servizio speciale MEMRI n. 104: Quando abbiamo cominciato a combattere Israele abbiamo perso la democrazia: un profilo culturale di un attivista per la pace egiziano; e il Servizio speciale n. 169: Un intellettuale egiziano in appoggio alla pace.
(2) Un riferimento alla regola dell'OLP a Beirut ovest durante gli anni '80.
(3) Al-Hayat (Londra), 9 settembre 2002.

(The Middle East Media Research Institute, 27.09.02)



PARLAMENTARE EUROPEO VUOLE FAR LUCE SULL'USO PALESTINESE DEI FONDI UE


    "Se i palestinesi hanno usato un solo euro per acquistare attrezzature usate in operazioni militari o attentati suicidi, allora l'Unione Europea deve fermare immediatamente i finanziamenti all'Autorita' Palestinese". Lo ha dichiarato mercoledi' Francois Zimeray, francese di Rouen (Normandia), deputato socialista al parlamento europeo. Zimeray sta cercando di raccogliere fra i parlamentari europei le 157 firme necessarie per avviare una commissione d'inchiesta sui finanziamenti della UE all'Autorita' Palestinese, ma pare che numerosi membri di un parlamento che Zimeray definisce "molto anti-israeliano" non siano nemmeno disposti ad accettare che si faccia luce sulla questione. "Penso che l'Europa abbia una enorme responsabilita' per cio' che sta accadendo in Israele da due anni a questa parte - ha spiegato Zimeray - giacche' una gran parte dei fondi europei [ai palestinesi] e' stata usata per finanziare corruzione, sostegno al terrorismo e educazione all'odio. E' stato un crimine aver lasciato che i palestinesi spendessero i nostri soldi senza alcun controllo - conclude il parlamentare europeo - Ed e'stato un crimine aver finanziato l'insegnamento dell'odio nei territori sotto giurisdizione palestinese senza monitorare minimamente cosa venisse insegnato. E' stato un crimine contro le vittime, contro i valori dell'Europa e contro la pace".

(israele.net, 26.09.02, dalla stampa israeliana)



GUERRA E PACE: PENSIERI, PAROLE E RIFLESSIONI


Venerdì , 20 settembre 2002, ore 11

Pensiero mattutino

Di solito non scrivo mail "di massa". E la politica mi interessa poco. Poi sono anche molto ignorante. Ma sentire le parole di Bush, e vedere nei suoi occhi la violenza. Percepire che la Pace non e' piu' una possibilità ricercata ma quasi un lusso da signorine e vedere la faccia sorridente del nostro premier, cioe', volenti o nolenti, di noi tutti italiani, li' di fianco a sottolineare il suo consenso...
    E poi penso a me, che faccio? Sto forse nutrendo, inconsciamente, lo stesso Leviatano? Sono forse i miei pensieri, le mie parole, a portarmi distrattamente la' dove la violenza si compie? Come vedo il mio prossimo? C'è ancora possibilita' di pace, dentro di me? E come la incarno nei miei gesti quotidiani?
    Il mio silenzio e' un marchio a fuoco.
    Posso veramente non ritenermi responsabile di cio' che accade la' fuori?
    Grazie dei 2 minuti di attenzione.

Stefano B.

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Caro Stefano,

    ritengo sempre utile riflettere, specialmente di primo mattino, quando si e' piu' freschi, riposati, calmi.
    La riflessione si chiama cosi' perche' consiste di una serie approfondita di ragionamenti e pensieri elaborati e rielaborati, dunque e' bene riflettere proprio quando le capacita' intellettive sono al massimo delle potenzialita'. Quando si parla di guerra si parla inevitabilmente di morti, tragedie, sofferenze immediate e "a lunga cessione": l'Europa e' ancora ben giovane per aver dimenticato gli orrori di ben due guerre (e mezza) del secolo passato. Una riflessione sulla guerra dunque dovrebbe impegnare piu' di un solo mattino. Perche' la guerra non e' uno scherzo, ma il male in assoluto che come Umanita' dobbiamo cercare di impedire ad ogni costo.
    Nel caso specifico dell'Iraq guidato dalla dittatura di Saddam Hussein occorre ricordare -durante la riflessione- cio' che accadde il 7 Giugno 1981 a Tammuz, vicino Baghdad: con un'azione di "legittima difesa preventiva" l'aviazione militare israeliana bombardo' e distrusse il reattore nucleare di Osiraq.
    Quella data segna un importante stop al programma iracheno volto alla costruzione della bomba atomica. Quella fu un'azione di guerra o, se si preferisce, una "illegittima azione di pirateria internazionale", ma a seguito di quell'azione il dittatore Saddam Hussein non possedeva piu' la capacita' tecnologica per dotarsi di armamenti nucleari. E' da ricordare che il 1981 fu un anno terribile per il Medio Oriente: la guerra civile in Libano, gli attacchi militari dal Libano contro Israele, la guerra Iran-Iraq, l'attentato al presidente egiziano Anwar El Sadat... Era insomma in corso l'inferno o giu' di li' e TUTTO poteva accadere. Dopo il 7 Giugno pero' da quel "tutto" si poteva togliere -almeno per un lungo periodo di tempo- la capacita' di un conflitto atomico in Medio Oriente.
    Ricordando questo antefatto si deve tener conto di un altro episodio, un'altra pagina buia per l'Umanita': il bombardamento con armi chimiche sulla popolazione civile irachena di etnia curda nel nord dell'Iraq da parte della aviazione militare di Saddam Hussein nel 1988. Piu' di 5000 -cinquemila- morti, uomini, donne, vecchi, bambini, uccisi dal gas nervino. Cio' che rende piu' amara quella pagina buia dell'Umanita' e' che l'Umanita' era stata avvertita dallo Stato di Israele circa la minaccia crescente del rais di Baghdad, ma l'Umanita' rispose che era troppo furba per cadere nella trappola del Primo Ministro israeliano Shamir di "deviare l'attenzione" del mondo dall'Intifada in corso nei Territori

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palestinesi occupati.
    Le immagini dei Curdi che giacevano a terra dopo aver sofferto indicibilmente catturarono l'attenzione di pochi media nel mondo, attenzione che era spasmodicamente rivolta solo e soltanto alla Intifada palestinese. Allora un Palestinese ferito contava molto piu' di cinquemila Curdi sterminati col gas. Era il 1988 e Saddam stava lentamente preparandosi ad attaccare il Kuwait e l'Arabia Saudita. Questi piani militari erano stati desunti da informazioni dei servizi segreti israeliani e per mesi ed anni Israele tento' invano di attirare l'attenzione sulla minaccia crescente, minaccia che puntualmente si attuo' il 2 Agosto 1990 con l'invasione del Kuwait che dette inizio alla Guerra del Golfo (che tanti erroneamente fanno cominciare solo nel Gennaio 1991 quando una forza multinazionale avallata dall'ONU inizio' le operazioni militari di reazione per liberare il Kuwait). Le azioni di guerra cessarono con l'avvenuta liberazione dello stato arabo (non era Saddam l'obiettivo e dunque Saddam fu lasciato al suo posto: se fosse stato detronizzato si sarebbe trattato di un'azione illegittima di pirateria internazionale). L'inizio e la fine della guerra sono dunque collegate all'invasione e alla liberazione dello Stato del kuwait.
    Le Nazioni Unite, allo scopo di evitare il riarmo dell'Iraq e per garantire le minoranze etniche, istituirono delle sanzioni commerciali e stabilirono due zone semi-autonome a sud e a Nord del paese (dove vivono le minoranze sciite e curde, spietatamente perseguitate come ricordato prima) vietandone il sorvolo da parte dei Jet militari iracheni (sono le famose "no-fly zone).
    Venne inoltre deciso l'invio di ispettori ONU per verificare la presenza e conseguentemente la distruzione di armi convenzionali e di distruzione di massa.
    Gli ispettori non hanno mai avuto il permesso di ispezionare moltissimi siti "sospetti" e dopo essere stati espulsi una prima volta sono stati riammessi ma ancora senza poter svolgere realmente il proprio lavoro. Essi poi sono stati definitivamente riespulsi nel 1998. Quattro anni fa.
    Come Israele lanciava l'allarme nel 1981, 1988 e 1989 e 1990 cosi' sempre Israele (che la trentina di missili Scud iracheni su Tel Aviv ricordano aver ben ragione di temere per la propria sicurezza nonche' per la propria sopravvivenza) ha lanciato piu' volte un piu' accorato -e come al solito inascoltato- allarme Iraq.
    Stavolta la minaccia e' di tipo nucleare.
    Ma a questo punto occorre allungare la riflessione col ricordo dell'11 Settembre 2001: un giorno che insegna all'Umanita' che la barbarie esiste e si puo' scatenare OVUNQUE. Un giorno che sottolinea come i pazzi che vogliono distruggere il mondo esistono e -soprattutto- agiscono davvero.
    Dopo l'11 Settembre e' stato immediatamente chiaro che la nuova minaccia alla sicurezza mondiale non poteva essere sottovalutata e che gli allarmi da Israele dovevano essere presi nella necessaria considerazione.
    Il problema di un Iraq che sarebbe stato in possesso della bomba atomica entro il 2003 (notizia nota da almeno 12 anni) non poteva piu' essere trascurato.
    A questo punto tralascerei "la violenza negli occhi di Bush" (anche perche' il meraviglioso sguardo sorridente di Saddam Hussein mi ricorda quanto sia poco determinante l'espressione del volto) e mi riferirei al concetto espresso da un capo di stato e di governo che ha atteso con pazienza prima di colpire il centro di comando di Al Qaeda in Afghanistan e che ha avuto sangue freddo e conservato la calma per tranquillizzare la propria nazione cosi' tragicamente e storicamente colpita.
    Il concetto e' questo: "non possiamo permetterci il rischio di aspettare di essere colpiti con armi di distruzione di massa".
    Ho molto semplificato ma il punto centrale e' proprio questo. Non penso sia un "lusso per signorine" ricercare la pace, non lo penso perche' la storia me lo ha insegnato, non lo penso perche' i racconti dei nonni e della mamma me lo hanno insegnato, mi hanno insegnato cosa voglia dire la parola "guerra" e quanto di tragedia essa porti con se'.
    Pero' penso che nel 1938 durante i Patti di Monaco le democrazie occidentali abbiano commesso un grave, orrendo, fatale errore nel sottovalutare la potenza e la volonta' di distruzione, conquista e sterminio della Germania nazista e mi domando quanti milioni di morti si sarebbero potuti evitare dichiarando SUBITO guerra a Hitler e dimostrando in tempo la forza del Diritto e della Democrazia a chi proprio il Diritto e la Democrazia voleva sconfiggere.
    Nel 1945 la Germania nazista e il Giappone erano molto vicini alla costruzione dell'arma atomica.
    Questo significa che se il mondo avesse aspettato ancora pochi anni -se non addirittura mesi- prima di opporsi alla volonta' di guerra delle dittature, gia' sessant'anni fa avremmo avuto un conflitto nucleare.
    Un conflitto nucleare che sarebbe stato scatenato per primo da chi per primo nella storia ha scatenato i conflitti: Hitler nel 1939, Saddam Hussein nel 1990, Milosevich nel 1992 e nel 1999.
    Conflitti che non sono stati fermati dalla volonta' popolare (come potrebbe accadere per gli stati democratici) perche' stati democratici quelli non erano. Quei conflitti sono stati fermati soltanto da cio' che in ultima istanza poteva e puo' fermare una guerra. Non il trattato internazionale meglio conosciuto come "Patti di Monaco" ha fermato -come si erano illuse le democrazie occidentali ed i pacifisti- Hitler, ma gli sbarchi angloamericani in Sicilia, Anzio, Costa Azzurra e Normandia, le avanzate sovietiche in Finlandia, Polonia, Ungheria e Balcani...
    Milioni di vivi hanno aspettato invano la liberazione, milioni di morti sono stati necessari per liberarci.
    Dopo esser stati ciechi di fronte al terrorismo suicida in Israele -credendo si trattasse di un fenomeno isolato e circoscritto, credendo nella spontaneita' di quei "sacrifici" e soprattutto credendo che essi fossero solo il frutto della "disperazione" senza invece approfondire il fenomeno come invano Israele chiede da tempo- in molti hanno visto l'11 Settembre cosa davvero significa "terrorismo suicida" e che cosa puo' comportare tale nuova strategia militare, vincente su Israele, vincente sugli Stati Uniti d'America, in altre parole, VINCENTE punto e basta.
    Se e' vero che la storia deve servire da lezione per non commettere in futuro gli errori passati allora devo cambiare il concetto del presidente Bush ("non possiamo permetterci il rischio di aspettare di essere colpiti con armi di distruzione di massa") in una domanda:
    Possiamo permetterci il rischio di aspettare di essere colpiti con armi di distruzione di massa?
    Possiamo rischiare -ancora nella storia- altri milioni di morti?
    E' una domanda che mi faccio senza avere il magnifico sorriso sul volto. Al mio piu' energico NO, NO ALLA GUERRA NUCLEARE DI SADDAM HUSSEIN, no alla distruzione atomica di Tel Aviv, Londra o Francoforte, non posso avere il magnifico sorriso sul volto, ma la mia piu' ferma determinazione per evitare la catastrofe.
    Che puo' esser interpretata come "violenza negli occhi".
    Milioni di persone avrebbero voluto quell'espressione sul volto di Chamberlain a Monaco di Baviera nel 1938.
    Fermare Bush e Blair. Ma Saddam chi lo ferma? Gli ispettori che arriveranno non potendo ispezionare enormi capannoni denominati "palazzi presidenziali" e "dunque non ispezionabili"?
    Possiamo davvero aspettare quel giorno in cui da Baghdad arrivera' la dichiarazione "abbiamo l'arma atomica" (condito magari da un bel "Grazie per avercelo permesso")?
    Possiamo davvero attendere un lampo accecante da Tel Aviv, Londra, Francoforte, Milano o New York senza fare niente?
    Saddam Hussein sa come rimanere al potere e sa anche che dopo quell'annuncio al mondo ci restera' per sempre. Da quel momento pero' il mondo intero vivra' con la bomba atomica di Damocle.
    Saddam ha fatto cadere tante spade: sui Curdi, su Israele, sul proprio popolo. Possiamo davvero rischiare un'altra spada stavolta accecante?
    Rivolgendo l'attenzione ai famosi sporchi interessi, alla famosa frase della "guerra per il petrolio" (come se l'invasione irachena del kuwait non fosse volta proprio ad impossessarsi dell'oro nero kuwaitiano), Saddam ha ultimamente riammassato truppe militari vicino al confine col Kuwait ed inoltre non ha mai smesso di rivendicare la "proprieta'" del Kuwait.
    Davvero possiamo rischiare che un feroce dittatore -che fa a pezzi il poeta di corte perche' non ne aveva gradito la poesia quel giovedi' mattina- possa di nuovo impossessarsi con una guerra del Kuwait e continuare impunemente in Arabia Saudita arrivando cosi' a poter ricattare il mondo con un'altra arma -ben piu' temibile- il controllo pressoche' totale del petrolio?
    L'arma atomica in mano irachena mi fa scrivere quella frase "continuare impunemente in Arabia Saudita": quale paese al mondo infatti si esporrebbe a una rappresaglia nucleare se Saddam Hussein volesse "solo" conquistare qualche milione di chilometri quadrati di deserto?
    Immaginiamoci per un istante -uno solo per carita'!- la potenza di un Hitler con l'arma atomica ed il controllo mondiale sul petrolio.
    Ma non occorre molto sforzo di immaginazione: fermandoci soltanto alla minaccia atomica potremmo ricordare le impunite (perche' impunibili, pena la rappresaglia nucleare) invasioni sovietiche dell'Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968 e dell'Afghanistan nel 1979, o che dire della Cina  -altra potenza nucleare- che si puo' permettere il lusso (da signorine?) di schiacciare con i carri armati migliaia di studenti "colpevoli" di protestare in piazza Tien-an-men... Addirittura sotto gli occhi delle telecamere.
    La stessa cosa pensavano di fare Saddam Hussein nel '90 e Milosevich nel '92, ma per questi ultmi due casi fortunatamente (anche se lentamente) il mondo ha potuto opporsi. Per fortuna non avevano armi di distruzione di massa. Quanto al petrolio, ci ha pensato Saddam a quello kuwaitiano perduto: ordinando in ritirata l'incendio dei pozzi petroliferi che ha oscurato il cielo per mesi. Ma chissa' se di questo hanno qualche notizia o si ricordano piu' coloro che volgono lo sguardo (lo volgono?) sulla storia irachena.
    Spero non ci sia la guerra, spero non ci sia la necessita' della guerra. Ma c'e' sempre quella domanda...
    Possiamo permetterci il rischio di aspettare di essere colpiti con armi di distruzione di massa? Possiamo permetterci di aspettare in silenzio senza fare qualcosa per evitare il peggio, l'irreparabile?
    Uso volentieri le Tue parole: "Il mio silenzio e' un marchio a fuoco. Posso veramente non ritenermi responsabile di cio' che accade la' fuori?"
    La riflessione va fatta di mattina e non di sera perche' altrimenti si rischia di trascorrere una lunga notte insonne.
    Questa mia e' stata una riflessione piu' lunga di due minuti e me ne scuso, ma quando si parla di guerra e' bene riflettere piu' a lungo di soli due minuti. Ti ringrazio per avermi dato la possibilita' di riflettere ancora: quando si parla di guerra nulla deve essere dato per scontato, nemmeno che il passato non ritorni.
    Al riguardo ho sentito un brivido l'altro giorno, al primo anniversario degli attacchi terroristici a New York e Washington: qualcuno ha detto "MAI PIU'"...
    Lo avevano detto anche per Auschwitz, poi sono stati sterminati civili con il gas in Iraq, sono comparsi campi di concentramento in Bosnia, si e' saputo di cadaveri di kossovari fatti sparire nelle fonderie della serbia...
    Si dice "MAI PIU'" ma intanto non si fa niente perche' non riaccada.
    Non mi resta che congedarmi con il saluto piu' adatto, un saluto che e' una profonda speranza,
    SHALOM! (Pace)

Federico

(Federazione Associazioni Italia-Israele, 29.09.02)



NOTIZIE IN BREVE


Ebrei americani aiutano Israele nel servizio di soccorso

Venti volontari dell'organizzazione ebraico-americana "Hazala" (trad. "Salvataggio") sono venuti in Israele per prepararsi ad un impegno di guerra presso il servizio di soccorso Magen David Adom. "Hazala" gestisce delle autoambulanze in cui sono impegnati dei volontari ebrei [ved. foto sotto].

hazala

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Immigrazione in Israele di ebrei discendenti da Manasse

Alla fine di agosto sono arrivati in Israele 95 ebrei discendenti dalla tribù di Manasse . Fino ad ora sono vissuti soprattutto nel Manipur, un piccolo Stato dell'Unione Indiana . "Gli ebrei discendenti dalla tribù di Manasse sono da sempre strettamente collegati con Israele e continuano a venire senza lasciarsi spaventare dai rischi sulla sicurezza. Sono zelanti sionisti, fermamente radicati nell'ebraismo. Abbiamo bisogno di persone come loro. Sono una benedizione per il paese", ha detto il direttore di Amishav (trad. "Il mio popolo torna"). Amishav è un'iniziativa privata che sostiene l'immigrazione di ebrei in Israele. Compresi quelli arrivati alla fine di agosto, oggi vivono in Israele 700 ebrei appartenenti alla tribù di Manasse.

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Famiglia yemenita immigra in Israele

    
yemen



Una famiglia religiosa di ebrei yemeniti è recentemente immigrata in Israele. La famiglia Said-Zabari è la prima famiglia yemenita arrivata nell'anno 2002. Hanno tre figli [ved. foto accanto] e in un primo momento sono stati ospitati nel centro di immigrazione di Ashqelon.




(NAI-Israel heute, settembre 2002)

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La maggioranza dei palestinesi appoggia il terrorismo

Secondo una recente statistica dell'Istituto di ricerche politiche e statistiche, il 90% della popolazione palestinese che vive nei territori dell'Autonomia appoggia gli attacchi terroristici a soldati israeliani e a coloni ebrei. Oltre il 50% dei palestinesi interrogati è favorevole ad attacchi terroristici contro gli israeliani anche al di fuori dei cosiddetti territori occupati.

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Chiuso un locale di culto cristiano

Nella città israeliana Peta Tiqwa una comunità cristiana che teneva riunioni di culto settimanali per lavoratori stranieri ha chiuso il suo locale. I vicini ebrei erano contrari a questo locale di culto cristiano che si trovava nel centro di un quartiere religioso ebraico. Poiché nelle ultime settimane si erano verificate diverse irruzioni con scasso nel locale vuoto, i responsabili della comunità hanno deciso di traslocare da quel quartiere.

(Stimme aus Jerusalem, 29,09,02)


INDIRIZZI INTERNET


Islamic victimization