Così parla il Signore, l'Eterno: Benché io li abbia allontanati fra le nazioni e li abbia dispersi per i paesi, io sarò per loro, per qualche tempo, un santuario nei paesi dove sono andati. Perciò di': Così parla il Signore, l'Eterno: Io vi raccoglierò di fra i popoli, vi radunerò dai paesi dove siete stati dispersi, e vi darò la terra d'Israele.
Ezechiele 11:16-17
 

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כאיל תערג, Come un cervo anela

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Dio con noi
    MATTEO 1
  1. Or la nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe; e prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.
  2. E Giuseppe, suo marito, essendo uomo giusto e non volendo esporla ad infamia, si propose di lasciarla occultamente.
  3. Ma mentre aveva queste cose nell'animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prender con te Maria tua moglie; perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo.
  4. Ed ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati.
  5. Or tutto ciò avvenne, affinché si adempiesse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
  6. Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che, interpretato, vuol dire: «Iddio con noi».
    SALMO 145

  1. Io ti esalterò, o mio Dio, mio Re, e benedirò il tuo nome in eterno.
  2. Ogni giorno ti benedirò e loderò il tuo nome per sempre.
  3. L'Eterno è grande e degno di somma lode, e la sua grandezza non si può investigare.
  4. Un'età dirà all'altra le lodi delle tue opere e farà conoscere le tue gesta.
  5. Io mediterò sul glorioso splendore della tua maestà
    GENESI 2
  1. L’Eterno Iddio formò l'uomo dalla polvere della terra,
  2. gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente
    ISAIA 53
  1. Egli è cresciuto davanti a lui come un germoglio, come una radice che esce da un arido suolo.
    GIOVANNI 20
  1. Allora Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi”.
  2. Detto questo, soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”.
    PROVERBI 8
  1. Quando egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un cerchio sulla superficie dell'abisso,
  2. quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell'abisso,
  3. quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il suo cenno, quando poneva i fondamenti della terra,
  4. io ero presso di lui come un artefice, ero sempre esuberante di gioia, mi rallegravo in ogni tempo nel suo cospetto;
  5. mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, e trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini.
    GENESI 2
  1. E udirono la voce dell'Eterno Iddio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l'uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell'Eterno Iddio fra gli alberi del giardino.
    GIOVANNI 3
  1. Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figlio affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
    1 CORINZI 15
  1. Così anche sta scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente»; l'ultimo Adamo è spirito vivificante”.
    GENESI 3
  1. E io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la sua progenie; questa ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno”.
    ISAIA 7
  1. Perciò il Signore stesso vi darà un segno: ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele.
    GIOVANNI 12
  1. “Se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo, ma, se muore, produce molto frutto" .
    ESODO 3
  1. E l'Eterno disse: “Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; perché conosco i suoi affanni; 
  2. e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani.
    ESODO 29
  1. Sarà un olocausto perenne offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io vi incontrerò per parlare con te.
  2. E là io mi troverò con i figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E dimorerò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per dimorare tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro
    GIOVANNI 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.

Marcello Cicchese
febbraio 2024

Una grande gioia

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.


    Marcello Cicchese
    maggio 2016

L'interesse di Cristo
FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.


Marcello Cicchese
novembre 2006

Salmo 92
Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.

Marcello Cicchese
gennaio 2017

Saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.

Marcello Cicchese
aprile 2009

Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Preghiera sacerdotale 1

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.

    ATTI 10

  1. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: 
  2. vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio l'ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. 
  3. E noi siamo testimoni di tutte le cose ch'egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. 
  4. Esso ha Dio risuscitato il terzo giorno, e ha fatto sì ch'egli si manifestasse 
  5. non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.


Marcello Cicchese
agosto 2017

Preghiera sacerdotale 2

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.


Marcello Cicchese
ottobre 2017

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015




Perché Dio ha creato il mondo? - 21

Un approccio olistico alla rivelazione biblica.

di Marcello Cicchese

Il figlio cresce

    “Così, verso sera, salirono delle quaglie, che ricoprirono il campo e, la mattina, c'era uno strato di rugiada intorno al campo. Quando lo strato di rugiada fu sparito, ecco sulla superficie del deserto una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla terra. E i figli d'Israele, quando la videro, dissero l'uno all'altro: ‘Che cos’è?’, perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: ‘Questo è il pane che l'Eterno vi dà a mangiare’” (Esodo 16:13-15).

Siamo nel deserto di Sin, tra Elim e il Sinai. Dopo aver rimpianto la carne e il pane che in Egitto mangiavano “a sazietà”, i figli d’Israele hanno ricevuto il cibo richiesto: le quaglie come carne e quella cosa minuta e tonda che sarà chiamata “manna” come pane. 
  “Israele è mio figlio”, aveva detto Dio al Faraone, e dar da mangiare a un figlio in fondo è un dovere. Dio si atterrà sempre a questo dovere, ma come saggio Padre, vuole che gli atti stessi con cui si propone di soddisfare i bisogni elementari del figlio siano un modo per far sì che egli impari a conoscere Chi è colui che lo ha tratto fuori dalla morte sociale della schiavitù d’Egitto per donargli la vita e uno scopo di vita al suo servizio. Ed è proprio questo che il Signore si propone di ottenere nel viaggio del popolo tra l’Egitto e Canaan. 
  Mosè e Aaronne, accusati dai figli d’Israele di averli portati a morire nel deserto, si difendono dicendo che non sono loro ad averli fatti uscire dall’Egitto, ma l’Eterno (Esodo 12:51). Poco dopo è Dio stesso che incarica Mosè di dire a tutti: “Al tramonto mangerete della carne, e domattina sarete saziati di pane; e conoscerete che io sono l'Eterno, il vostro Dio'” (Esodo 16:12). “Sarete saziati… e conoscerete”, dunque è anche attraverso un particolare sistema di nutrimento che Dio vuole trasmettere al popolo una più profonda conoscenza di Sé. 
  Nella successiva tappa, quando si accampano a Refidim e non trovano acqua, il popolo non si limita a lamentarsi, ma si rivolge a Mosè in forma intimidatoria: “Dateci dell’acqua da bere” (Esodo 17:2); e di nuovo gli lanciano l’accusa di averli fatti salire dall’Egitto per farli morire tutti nel deserto, uomini, donne, figli e bestiame. E di nuovo Mosè grida all’Eterno, perché se la vede brutta e teme che il popolo passi presto a vie di fatto: “non andrà molto che mi lapiderà” (Esodo 17:4), dice al Signore.
  Non è il caso, a questo punto, di colpevolizzare il popolo parlando di disubbidienza, o mancanza di gratitudine, o mancanza di fede. Non è questo infatti che Dio fa, perché sa che in questo momento il popolo ha bisogno di essere educato: deve imparare a conoscerlo. E la cosa comincia ad avvenire proprio con incidenti come quello della mancanza d’acqua.
  Il Signore infatti coglie l’occasione per proseguire nel suo lavoro educativo. A Refidim non usa il metodo di cui si era servito a Mara: non consegna a Mosè un legno come strumento d’azione, ma gli dice di prendere il bastone con cui aveva fatto prodigi in Egitto e di percuotere la roccia. E vuole che sia fatto “in presenza degli anziani d’Israele”, affinché tutti, dopo aver visto l’acqua scaturire prodigiosamente dalla roccia, possano rendersi conto che Dio è fedele, perché mantiene quello che promette, ed è buono perché con le sue promesse dona al popolo soltanto cose buone. 
  Tornando al deserto di Sin, quella cosa minuta e tonda come la brina che avevano trovato con sorpresa quella mattina era il compimento di una parola che Dio aveva detto a Mosè:

    “Allora l'Eterno disse a Mosè: “Ecco, io vi farò piovere del pane dal cielo; e il popolo uscirà e ne raccoglierà giorno per giorno quanto gliene occorrerà per la giornata, perché io lo metta alla prova per vedere se camminerà o no secondo la mia legge” (Esodo 16:4).

La richiesta di cibo da parte del popolo era legittima, e l’idea di Dio di farlo piovere dal cielo non deve apparire banale. In fondo, per sfamare la carovana in viaggio Dio avrebbe potuto agire anche in altri modi. Per esempio, avrebbe potuto rendere particolarmente ricco e fertile il terreno del percorso e chiedere agli israeliti di trarne i frutti con un lavoro sapientemente organizzato in particolari tappe di approvvigionamento. Sarebbe stato anche un modo per ricordare ai figli d’Israele, e proprio a loro, che il pane si guadagna col sudore della fronte, come aveva detto Dio ad Adamo. 
  Il Signore invece sceglie di far scendere il pane dal cielo. È un fatto che compare una sola volta nella Bibbia, e nel preciso momento storico dei quarant’anni di viaggio di Israele tra l’Egitto e Canaan (Esodo 16:32-36, Giosuè 5:10-12)). Nella storia dei popoli questo è un fatto unico, che mai si era verificato prima e mai più avverrà in seguito: deve dunque occupare un posto di particolare rilievo nel piano redentivo di Dio.

Perché la manna?
  La ricerca del significato della manna nel piano di Dio va fatta cominciando dall’inizio, non partendo dalla fine perché “tanto si sa già come va a finire”. Il popolo che marcia nel deserto ha lasciato dietro di sé una terra che conosceva e si dirige verso una terra che non conosce ancora. È stato liberato dalla schiavitù d’Egitto e non deve più ubbidire al Faraone, ma ora deve pensare a come procurarsi da mangiare. Senza rendersene conto, con le loro sfuriate contro Mosè per la mancanza di acqua e pane, i figli d’Israele hanno messo alla prova Dio, come se dicessero: vediamo se l’Eterno di cui Mosè ci parla è capace di risolvere i nostri scottanti problemi di sopravvivenza. Il Signore provvede al loro bisogno di acqua con interventi miracolosi e fa arrivare una giornaliera provvista di pane direttamente dal cielo, nella strana forma della manna. Qui però vi aggiunge precise norme su come raccoglierla, in quale misura e come conservarla, mettendo così alla prova il popolo per vedere in quale misura avrebbero tenuto in conto le sue parole.
  Se si vuol dire che questa per Israele è una prova di ubbidienza, bisogna aggiungere che si tratta di un’ubbidienza come quella che si aspetta un padre amorevole dal proprio figlio, non come quella che impone un sovrano tirannico ai sudditi. Non è disciplina militare, perché queste prime mosse di Dio mirano tutte a far crescere nel popolo la consapevolezza e la responsabilità di essere “figlio di Dio”. Il modo eccezionale con cui il popolo riceverà giorno per giorno il cibo servirà a fargli capire che la sua sopravvivenza dipende dal cielo, non dalla terra. Non dovranno guardare al cielo per vedere, con animo dubbioso o speranzoso, se arriverà o no la pioggia che permetterà loro di coltivare la terra e trarne il cibo necessario, ma potranno pensare al cielo come il luogo da cui sicuramente scenderà il cibo di cui hanno bisogno per vivere. Dovrà servire inoltre anche agli altri popoli, affinché emerga subito l’aspetto di unicità di Israele, anche se faranno sempre fatica a capire che questo è stato voluto in modo preciso da Dio stesso.
  Qui siamo all’inizio di un viaggio che durerà quarant’anni, ma il senso profondo di questo duro cammino e del posto che ha occupato il nutrimento della manna è ben espresso dalle parole che rivolgerà al popolo Mosè alla fine del percorso, dalle pianure di Moab, poco prima di morire, quando il popolo stava preparandosi a passare il Giordano:

    “Ricordati di tutto il cammino che l'Eterno, il tuo Dio, ti ha fatto fare questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma vive di tutto quello che la bocca dell'Eterno avrà ordinato” (Deuteronomio 8:2-3).

 “Per sapere…” e “per insegnarti”: Dio vuole conoscere quello che è nel cuore del popolo, e a sua volta vuol far conoscere al popolo quello che è nella Sua mente, cioè l’intenzione di allevarlo come un figlio, la cui vita dipende in modo essenziale dall’unione indissolubile di cibo e parola, entrambi provenienti da Dio. 
  Il cibo che arriva gratis dal cielo viene associato alla parola in forma di precise regole di quantità:

    “Ecco quello che l'Eterno ha comandato: 'Ne raccolga ognuno quanto gli basta per il suo nutrimento: un omer a testa, secondo il numero delle vostre persone; ognuno ne prenda per quelli che sono nella sua tenda'” (Esodo 16:16),

e di tempo:

    “Poi Mosè disse loro: ‘Nessuno ne conservi fino a domattina’” (Esodo 16:19).

Il limite quantitativo si può umanamente spiegare come un freno all’ingordigia, e quello temporale come una norma igienica di conservazione degli alimenti, ma indubbiamente c’è molto di più. In ogni caso, a parte alcuni che a loro vergogna provarono a superare i limiti di scadenza del cibo (16:20), i figli d’Israele si adeguarono:

    “Così lo raccoglievano tutte le mattine: ciascuno nella misura che bastava per il suo nutrimento; e quando il sole si faceva caldo, quello si scioglieva” (Esodo 16:21).

Ma arrivati al sesto giorno, Mosè introdusse una regola nuova: ordinò di raccogliere il doppio della misura solita. Poi ne diede la spiegazione:

    “Egli disse loro: “Questo è quello che ha detto l'Eterno: 'Domani è un giorno solenne di riposo: un sabato sacro all'Eterno; fate cuocere oggi ciò che avete da cuocere e fate bollire ciò che avete da bollire; e tutto quello che vi avanza, riponetelo e conservatelo fino a domani'”. Essi dunque lo riposero fino all'indomani, come Mosè aveva ordinato: e quello non imputridì e non generò vermi. Mosè disse: “Mangiatelo oggi, perché oggi è il sabato sacro all'Eterno; oggi non ne troverete per i campi. Raccoglietene durante sei giorni; ma il settimo giorno è il sabato; in quel giorno non ve ne sarà” (Esodo 16:23-26).

Questo è un fatto nuovo: per la prima volta compare nella Bibbia quello strano oggetto che si presenta come “un giorno solenne di riposo: un sabato sacro all'Eterno”. Se volessimo prescindere da tutto quello che ora sappiamo, e decidessimo di attenerci soltanto a quello che abbiamo letto fin qui nella Bibbia, forse potremmo restare attoniti come quei figli d’Israele davanti alla manna, e chiederci: “Che cos’è?” Che cos’è questo sabato sacro all’Eterno, giorno solenne di riposo
  Avvicinarsi con solennità a questa domanda provoca una soggezione inquieta, come se si sentisse una voce dire: “Togliti i calzari dai piedi”. C’è qualcosa di arcano in quest’ordine di Dio. Si ha l’impressione che la risposta a questa domanda sia parte della risposta all’interrogativo che costituisce il titolo di questa trattazione: “Perché Dio ha creato il mondo?”
  Bisognerà dunque riparlarne.

(21. continua)
precedenti 

(Notizie su Israele, 14 dicembre 2025)


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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 40
    La costruzione e la consacrazione del tabernacolo
  • L'Eterno parlò a Mosè, dicendo:  “Il primo giorno del primo mese erigerai il tabernacolo, la tenda di convegno.  Vi porrai l'arca della testimonianza, e stenderai il velo davanti all'arca.  Vi porterai dentro la tavola, e disporrai in ordine le cose che ci sono sopra; vi porterai pure il candelabro e accenderai le sue lampade.  Porrai l'altare d'oro per i profumi davanti all'arca della testimonianza e metterai la portiera all'ingresso del tabernacolo.  Porrai l'altare degli olocausti davanti all'ingresso del tabernacolo, della tenda di convegno.  Metterai la conca fra la tenda di convegno e l'altare, e vi metterai dentro dell'acqua. Stabilirai il cortile tutto intorno, e attaccherai la portiera all'ingresso del cortile. 
  • Poi prenderai l'olio dell'unzione e ungerai il tabernacolo e tutto ciò che c'è dentro, lo consacrerai con tutti i suoi utensili, e sarà santo. Ungerai pure l'altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, consacrerai l'altare, e l'altare sarà santissimo. Ungerai anche la conca con la sua base, e la consacrerai. Poi farai accostare Aaronne e i suoi figli all'ingresso della tenda di convegno, e li laverai con acqua.

    Insediamento di Aaronne e dei suoi figli
  • Rivestirai Aaronne dei paramenti sacri, e lo ungerai e lo consacrerai, perché eserciti per me l'ufficio di sacerdote. Farai accostare pure i suoi figli, li rivestirai di tuniche, e li ungerai come avrai unto il loro padre, perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti; e la loro unzione conferirà loro un sacerdozio perpetuo, di generazione in generazione”. 
  • E Mosè fece così; fece interamente come l'Eterno gli aveva ordinato. 
  • E il primo giorno del primo mese del secondo anno, il tabernacolo fu eretto. Mosè eresse il tabernacolo, ne pose le basi, ne collocò le assi, ne mise le traverse e ne rizzò le colonne. Stese la tenda sul tabernacolo, e sopra la tenda pose la coperta di essa, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Poi prese la testimonianza e la pose dentro l'arca, mise le stanghe all'arca, e collocò il propiziatorio sull'arca; portò l'arca nel tabernacolo, sospese il velo di separazione e coprì con esso l'arca della testimonianza, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. 
  • Pose pure la tavola nella tenda di convegno, dal lato settentrionale del tabernacolo, fuori del velo. Vi dispose sopra in ordine il pane, davanti all'Eterno, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi mise il candelabro nella tenda di convegno, di fronte alla tavola, dal lato meridionale del tabernacolo; e accese le lampade davanti all'Eterno, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi mise l'altare d'oro nella tenda di convegno, davanti al velo, e vi bruciò sopra il profumo fragrante, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Mise pure la portiera all'ingresso del tabernacolo. 
  • Poi collocò l'altare degli olocausti all'ingresso del tabernacolo della tenda di convegno, e vi offrì sopra l'olocausto e l'oblazione, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Pose la conca fra la tenda di convegno e l'altare, e vi pose dentro dell'acqua per le abluzioni. Mosè e Aaronne e i suoi figli si lavarono le mani e i piedi; quando entravano nella tenda di convegno e quando si accostavano all'altare, si lavavano, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Eresse pure il cortile attorno al tabernacolo e all'altare, e sospese la portiera all'ingresso del cortile. Così Mosè completò l'opera.

    La gloria dell'Eterno sul tabernacolo
  • Allora la nuvola coprì la tenda di convegno, e la gloria dell'Eterno riempì il tabernacolo. E Mosè non poté entrare nella tenda di convegno perché la nuvola vi si era posata sopra, e la gloria dell'Eterno riempiva il tabernacolo
  •  Durante tutti i loro viaggi, quando la nuvola si alzava dal tabernacolo, i figli d'Israele partivano; ma se la nuvola non si alzava, non partivano fino al giorno che si alzasse. Poiché la nuvola dell'Eterno stava sul tabernacolo durante il giorno; e di notte vi era un fuoco, a vista di tutta la casa d'Israele durante tutti i loro viaggi.

(Notizie su Israele, 13 dicembre 2025)


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Chanukkah: luce, speranza, Gesù

Chanukkah – la festa delle luci. Per otto giorni nelle case ebraiche brillano le fiamme della Chanukkia. Ogni sera viene accesa una luce in più, fino a quando alla fine tutta la serie di luci è accesa. È una festa di speranza, nata in tempi bui. Quest'anno inizia domenica sera.

di Tobias Krämer

Nel 165 a.C. Israele visse un periodo di oppressione. Il re siriano-greco Antioco IV Epifane aveva occupato Gerusalemme, profanato il tempio e vietato i sacrifici. Voleva distruggere Israele: la sua fede, la sua identità, il suo futuro. Ma un piccolo gruppo di fedeli, guidato da Giuda Maccabeo, osò ribellarsi. Contro ogni previsione, vinsero. Vale quindi la pena leggere i libri dei Maccabei, contenuti in alcune edizioni della Bibbia.
  Quando i Maccabei riconquistarono il tempio, esso era in pessime condizioni. L'altare era stato profanato, la luce del candelabro d'oro si era spenta. In mezzo a questa catastrofe, gli ebrei cercarono dell'olio consacrato per riaccendere la luce. Trovarono una piccola brocca, ma conteneva solo l'olio necessario per un giorno. Troppo poco, secondo le regole del tempio. Ma avvenne il miracolo: il candelabro rimase acceso per otto giorni, fino a quando fu possibile preparare nuovo olio, e il tempio poté essere riconsacrato. Così lo racconta il Talmud (Trattato Shabbat 21b).

Piccoli inizi
  Chanukkah ci ricorda che molte cose iniziano in piccolo. Non con la forza o con grande clamore. In questo caso con una sola fiamma e con la decisione di accenderla, anche se in realtà sembrava inutile. Tali passi possono essere un'espressione di fede: fare qualcosa che dal punto di vista umano non ha alcuna prospettiva. Ma quando Dio “interviene”, i limiti del naturale vengono superati e possono accadere cose sorprendenti. Dio apprezza questo atteggiamento di fede e non di rado lo conferma. La fiamma della Chanukkia si trasformò in otto giorni di luce, cinque pani e due pesci divennero un pasto per migliaia di persone (Marco 6). Un piccolo passo iniziale, fatto con fede, può portare a grandi risultati.
  Anche Dio stesso non ha bisogno di molto per ottenere una svolta. Spesso la sua opera inizia in piccolo. Basti pensare a Elia, che vide una mini nuvola grande come una mano e alla fine riuscì a malapena a salvarsi dai rovesci di pioggia (1 Re 18). Oppure a Gesù, un solo uomo da cui è nato un movimento mondiale di oltre due miliardi di persone, perché Dio era presente in lui. A Chanukkah, bastò una piccola brocca d'olio per avere luce per otto giorni. Allo stesso modo, basta una fede grande come un granello di senape per spostare le montagne (Matteo 17,20). Non si tratta delle condizioni che abbiamo. Si tratta di ciò che ne facciamo con l'aiuto di Dio. O, al contrario, di ciò che Dio ne fa insieme a noi. Dio opera: questo fa la differenza.

Lo Spirito di Dio
  La presenza e l'efficacia di Dio sulla terra hanno un nome: Spirito Santo. Nella Bibbia, l'olio è un'immagine che lo rappresenta. Re, sacerdoti e profeti venivano unti con l'olio e ricevevano così lo Spirito Santo (ad esempio 1 Samuele 16,13). Nel Nuovo Testamento lo Spirito Santo è per tutti coloro che credono in Gesù. Lo Spirito è, per così dire, il dono iniziale che riceve chiunque giunga alla fede in Gesù Cristo. Questo dono offre la fantastica possibilità di non dover condurre la propria vita con le proprie forze: «Non sarà per mezzo dell'esercito né per mezzo della forza, ma sarà per mezzo del mio Spirito, dice il Signore degli eserciti». (Zaccaria 4,6) Se si interpreta Chanukkah in modo profetico-tipologico, si può vedere in esso un riferimento allo Spirito Santo che è venuto a Pentecoste. Come l'olio nella Menorah non si esauriva, così lo Spirito di Dio non si spegne nel suo popolo.

Gesù
  Il profeta Isaia annuncia: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano nella terra dell'ombra della morte una luce ha brillato» (Isaia 9,1). Questa è, interpretata in chiave messianica, una profezia su Gesù. Gesù dice di sé stesso: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Giovanni 8,12). La festa delle luci può essere celebrata, ma l'evento a cui si riferisce (la consacrazione del tempio) risale a un lontano passato. Gesù, invece, è qui. Adesso. È presente. Chi lo segue è nella luce e nessuna tenebra del mondo può impedirlo.
  In Giovanni 10 si racconta che Gesù era a Gerusalemme durante Chanukkah: «Era la festa della dedicazione del tempio a Gerusalemme; era inverno e Gesù passeggiava nel tempio, nel portico di Salomone» (vv. 22+23). Gesù viene esortato a rivelarsi: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se sei il Cristo, dillo apertamente» (v. 24). Gesù fa notare che la risposta è ovvia, poiché le sue opere indicano che egli è stato mandato da Dio. Egli porta il pensiero fino alla dichiarazione finale: «Io e il Padre siamo uno» (v. 30) – e critica: «Ma voi non credete». (v. 25+26) La reazione: «Allora i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo» (v. 31). Non tutti vogliono Gesù, non tutti vogliono la luce. C'è una lotta tra la luce e le tenebre (Giovanni 1,4-5). Chi sta dalla parte della luce viene inevitabilmente coinvolto in questa lotta.

Da Chanukkah a Natale
  Chanukkah cade solitamente nel periodo dell'Avvento o del Natale. Entrambe le festività riguardano la luce nell'oscurità, l'intervento di Dio in situazioni disperate. A Chanukkah si celebra la riconsacrazione del Tempio; a Natale, il fatto che Dio abbia mandato suo Figlio nelle tenebre del mondo per portare la luce di Dio sulla terra. Non sorprende quindi che la luce abbia un ruolo importante nella vita di Gesù fin dall'inizio. I Magi d'Oriente sono guidati da una stella luminosa alla mangiatoia (Matteo 2), ai pastori nei campi davanti a Betlemme appare una grande luce (Luca 2). Già qui la luce squarcia le tenebre, anche se Gesù a quel punto non ha fatto altro che respirare per la prima volta.
  Hanukkah promette ciò che si realizza a Natale: la luce di Dio dimora tra gli uomini. Per sempre. Questo è anche il motivo per cui Gesù può dare ai suoi discepoli una missione così grande: «Voi siete la luce del mondo» (Matteo 5,14). Naturalmente questo vale solo perché Gesù è la luce e la dona ai suoi discepoli. Noi cristiani riflettiamo quindi la sua luce. Per questo vale: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli» (Matteo 5,16). Non può esserci compito più bello. La luce risplende ovunque si professi la fede, si viva l'amore, si pratichi l'obbedienza, si compiano opere buone, si semini speranza, si dia conforto e si crei pace.

La vittoria
  Gesù ha inaugurato la svolta: il regno delle tenebre è stato sconfitto, il regno di Dio è qui. Non nella sua pienezza, certo, ma è qui – e la pienezza sarà portata da Gesù quando tornerà. Per questo alla fine c'è la luce che non si spegne mai: «... e non avranno bisogno della luce di una lampada né della luce del sole, perché il Signore Dio li illuminerà» (Apocalisse 22,5). La luce vincerà completamente su tutte le tenebre. Questa certezza illumina già oggi la nostra vita.

(Christen an der Seite Israels, 13 dicembre 2025)

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Il nuovo asse del bene

La storia d’amore fra Berlino e Gerusalemme: poche parole, tanti carri armati, munizioni e sommergibili.

di Giulio Meotti

Poco meno di due mesi prima del rapimento di Adolf Eichmann in Argentina da parte di agenti israeliani del Mossad accadde un evento storico e epocale: l’incontro al Waldorf Astoria di New York tra David Ben-Gurion e Konrad Adenauer. Quindici anni dopo l’Olocausto, i due statisti tentarono di colmare l’abisso che esisteva tra le loro nazioni, gli eredi del nazismo e gli eredi del popolo deportato nelle camere a gas. Una fotografia mostra il socialista sionista mentre pone la mano sull’avambraccio del cattolico conservatore. Le relazioni diplomatiche tra Germania e Israele saranno stabilite solo cinque anni dopo quell’incontro. Adenauer si sarebbe poi recato in Israele a trovare Ben-Gurion nella sua casa, il kibbutz Sde Boker nel deserto del Negev. Entrambi non erano più in carica. Ben-Gurion voleva che il leader tedesco, che portava con sé il peso di un’intera nazione che cercava di rialzarsi moralmente dopo il baratro nazista, vedesse con i propri occhi cosa significava ricostruire una nazione dalle ceneri, pietra su pietra, albero dopo albero, goccia a goccia. Le pareti erano tappezzate di libri: Platone, Spinoza, la Mishnah, Clausewitz, mappe del Negev con i progetti di irrigazione. Sul tavolo, una brocca d’acqua e due bicchieri. “Dobbiamo sostenere lo stato di Israele come bastione occidentale (westliche bastion) in medio oriente” disse Adenauer a Ben-Gurion, in linea con la rappresentazione di Theodor Herzl dello stato ebraico come “avamposto” occidentale.
   Un anno dopo, Adenauer morì a 91 anni e Ben-Gurion rese omaggio al fondatore della Repubblica federale tedesca e mise piede per la prima volta sul suolo tedesco. Helmut Kohl avrebbe definito i rapporti della Germania con Israele “un vero miracolo”.
   Durante la visita di Kohl in Israele nel 1984, un generale israeliano si avvicinò al cancelliere: “Conosco tua madre e te”. La madre di Kohl continuò a fare la spesa dal suo fornaio a Ludwigshafen anche dopo il boicottaggio nazista delle attività ebraiche. E il generale israeliano era figlio di quel fornaio ebreo.
   Nessun altro paese europeo ha fatto per Israele quanto la Germania: non la Francia che da de Gaulle a Macron mantiene un atteggiamento di cinico sospetto; non l’Inghilterra che ha la sindrome paternalista e antisemita ereditata dal Mandato coloniale; non certo la Spagna o l’Italia, ancorate nella tradizione filo araba.
   Mentre in tutta la Germania si svolgevano eventi commemorativi dell’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, il ministro degli Esteri Johann Wadephul diceva: “Come tedesco, sono il più chiaro difensore di Israele” e “quello che si schiera sempre più chiaramente dalla parte di Israele a Bruxelles”. Nessun altro paese europeo parla così. Nel sito del governo federale tedesco c’è una pagina intitolata: “La Germania sta con Israele”. Ma niente chiacchiere.
   Berlino ha inviato in Israele gli Eurofighter dell’aeronautica militare tedesca per celebrare il 75esimo anniversario della fondazione dello stato ebraico. Aerei tedeschi hanno sorvolato Gerusalemme fianco a fianco con i caccia F-16 israeliani, a dimostrazione del legame tra le forze armate di entrambi i paesi. Il segnale era chiaro: la Germania è al fianco di Israele. Dal 2003, la Germania ha venduto armi a Israele per un valore di 3,3 miliardi di euro, tra cui le corvette Sa’ar utilizzate per imporre un blocco navale a Gaza contro Hamas. Tra il 2019 e il 2023, la Germania ha rappresentato il trenta per cento delle importazioni di armi di Israele, seconda solo agli Stati Uniti. I motori e le trasmissioni del carro armato da combattimento israeliano Merkava 4 sono stati sviluppati in Germania.
   Ma ora la Germania non è più il generoso benefattore di Israele, ora è un rapporto tra pari. Questa settimana la Germania ha dislocato per la prima volta fuori dallo stato ebraico le batterie antimissile israeliane Arrow 3 (il più grande accordo sulle armi nella storia di Israele). Il cancelliere Friedrich Merz domenica era a Gerusalemme dal premier Netanyahu e questa settimana arriva in Israele anche il ministro dell’Economia, Katherina Reiche, che porta con sé i capi della Difesa.
   Architrave della deterrenza israeliana sono oggi sei sottomarini, da Dolphin (delfino) a Leviathan (balena), da Takum (resurrezione) a Tallin (coccodrillo) fino al Dragone. Sono i sottomarini che la Germania ha consegnato a Israele, un terzo dei quali pagati dai contribuenti tedeschi. Sono come un dito medio alzato contro il moralismo europeo, i campus americani, l’Iran e chiunque pensi che lo stato ebraico sia una parentesi storica da chiudere. I sottomarini venduti al governo israeliano sono stati armati con testate nucleari da Gerusalemme. L’allora ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, disse che i tedeschi devono essere orgogliosi per aver “assicurato l’esistenza dello stato di Israele per molti anni”. Nel 2005, fu il cancelliere socialdemocratico Schroeder ad approvare la consegna dei sottomarini. I congegni elettronici nei sottomarini portano nomi come Siemens e Atlas, vanto dell’industria tedesca. Secondo Ami Ayalon, già a capo del servizio segreto interno in Israele, quella di acquistare questi sottomarini è stata “la decisione strategica più importante in Israele”. Fu nel 1991 che l’accordo fra Berlino e Gerusalemme subì una accelerazione. Un gesto di riparazione della Germania verso Israele per aver assistito l’industria bellica del dittatore iracheno Saddam Hussein.
   Nel 1991 Saddam lanciò missili Scud su Tel Aviv, causando morti e feriti, e costringendo gli israeliani a dotare la popolazione delle maschere antigas, per il timore che il dittatore iracheno potesse dotare i missili di armi batteriologiche e chimiche, come antrace, sarin, vx, vaiolo. Hanan Alon, allora ufficiale della Difesa israeliano, disse al cancelliere Kohl: “Saprà bene che le parole gas e Germania non suonano bene insieme”. Così Berlino decise di finanziare massicciamente la difesa dello stato ebraico. Il 30 gennaio 1991 viene siglato un accordo per un miliardo di marchi tedeschi, fra cui due sottomarini. Nel 1994, all’aeroporto militare di Colonia, atterra una delegazione israeliana. A bordo ci sono Yitzhak Rabin (il primo premier israeliano a visitare la Germania) e il capo del Mossad, Shabtai Shavit. Si firma per il sottomarino “Tekumah”, che staziona di fronte alle coste di Haifa. Israele avrebbe modificato i serbatoi per poter raggiungere distanze di diecimila chilometri via mare e trascorrere cinquanta giorni in profondità di fronte alle coste dell’Iran. La difesa di Israele così è diventata “parte della ragion di stato”, come avrebbe riconosciuto Angela Merkel in un discorso alla Knesset nel marzo 2008 (c’è un capitolo tutto dedicato a Israele nelle memorie dell’ex cancelliera, “Libertà”). Per ogni governo tedesco, di centrodestra come di centrosinistra, esiste da allora una “Lex Israel” non scritta, che dura da mezzo secolo ed è sopravvissuta a tutti i cambi di governo, e che Gerhard Schröder ha riassunto nel 2002: “Voglio dire in modo inequivocabile: Israele riceverà ciò di cui ha bisogno per mantenere la sua sicurezza”.
   “Vogliamo che partecipiate allo sviluppo del nostro paese”, esortò Ben-Gurion al cancelliere Adenauer, che rispose: “Posso dirvi fin da ora che vi aiuteremo e non vi deluderemo”. A partire da Adenauer, i capi di governo tedeschi avrebbero aggirato anche il Parlamento in vari accordi militari con Israele. Tra l’ottanta e il cento per cento dell’acciaio e del ferro per la crescente industria meccanica israeliana provenne da risorse tedesche, senza le quali Israele non sarebbe stato in grado di sviluppare la propria base industriale. Gli aiuti tedeschi a Israele superarono di tre volte quelli americani. Le Forze di difesa israeliane ottennero l’accesso a un arsenale di qualità superiore. Ufficiali tedeschi furono inviati in Israele per addestrare i soldati con la stella di Davide, mentre ufficiali israeliani furono inviati in Germania per essere addestrati dalla Bundeswehr, inclusi futuri comandanti come Haim Laskov. Di contro, la Ddr non pagò alcun risarcimento a Israele, poiché si considerava uno “stato antifascista” e quindi non responsabile dell’Olocausto. La dirigenza comunista si schierò con gli stati arabi e, in seguito, con la dirigenza dell’Olp. Nella guerra dello Yom Kippur del 1973, la Ddr sostenne la Siria, che pianificava di distruggere lo stato ebraico. Dotati di armi e denaro tedeschi, i carri armati israeliani furono in grado di invadere il Sinai, le alture del Golan e la Cisgiordania dopo la vittoria nella guerra del 1967 contro Egitto, Giordania e Siria.
   L’eccidio di Monaco nel 1972 e il raid di Entebbe nel 1976 erano stati i due eventi che sconvolsero molti esponenti della “Nuova Sinistra” della Germania Ovest, tra cui Joschka Fischer, figura di spicco di un gruppo di Francoforte chiamato “Lotta Rivoluzionaria”. Fischer conosceva uno dei dirottatori, Winfried Böse, che frequentava la scena di sinistra della città sul Meno. Fischer raccontò in seguito al suo biografo che il dirottamento, e in particolare la separazione dei passeggeri ebrei da quelli non ebrei, gli avevano mostrato “come coloro che si distinguevano nettamente dal nazionalsocialismo e dai suoi crimini avessero ripetuto quasi compulsivamente i crimini dei nazisti.”
   L’allora ministro della Difesa, Franz Josef Strauss, arrivò alla missione israeliana di Colonia in limousine e consegnò a un ufficiale di collegamento del Mossad un oggetto avvolto in un cappotto, “per i ragazzi di Tel Aviv”. Si trattava del nuovo modello di granata anticarro. Oggi sappiamo che le consegne di armi iniziarono non più tardi del 1958. Il ministro della Difesa tedesco fece addirittura rimuovere segretamente armi ed equipaggiamenti dai depositi della Bundeswehr e successivamente denunciò il materiale rubato alla polizia. Che la garanzia di sicurezza tedesca per Israele non fosse una questione di partito divenne chiaro quando il socialdemocratico Willy Brandt era al potere a Bonn e Israele era sull’orlo della sconfitta nella guerra dello Yom Kippur del 1973. Sebbene la Repubblica federale rimanesse ufficialmente neutrale nella guerra, il cancelliere autorizzò personalmente le consegne di armi a Gerusalemme, come riportò il biografo di Brandt, Peter Merseburger. Negli anni Sessanta, Israele non era più interessato esclusivamente alle armi convenzionali. Ben-Gurion aveva già affidato a Shimon Peres l’“Operazione Sansone”, dal nome dell’eroe biblico che visse al tempo in cui gli israeliti erano oppressi dai filistei. L’obiettivo dell’operazione: lo sviluppo della bomba atomica. Gli israeliani dichiararono ai loro alleati di aver bisogno di energia nucleare a basso costo per desalinizzare l’acqua di mare. Intendevano utilizzare l’acqua per rendere fertile il deserto del Negev. E si ritiene che anche la Germania ebbe un ruolo nel programma nucleare israeliano.
   Si arriva così ai giorni nostri, col cancelliere Merz che difende Israele che “fa il lavoro sporco anche per noi” e un ministro degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, che dopo il 7 ottobre dichiara che Israele ha il diritto di attaccare anche gli insediamenti civili a Gaza se usati da Hamas: “Autodifesa non significa solo attaccare i terroristi, ma annientarli. Per questo, ho sempre detto chiaramente che quando i terroristi di Hamas si nascondono dietro le persone, dietro le scuole, ci troviamo di fronte a una situazione molto delicata, ma io non mi vergogno a dirlo, anzi, le abitazioni civili perdono il loro status di protezione perché i terroristi ne fanno un uso illecito. La Germania difende questi valori ed è questo che significa per noi sicurezza di Israele”. Fino al filosofo Jürgen Habermas, che dopo il 7 ottobre scrive: “Reazione di Israele giustificata”. La Merkel dirà: “Vendiamo armi a Israele perché crediamo che Israele debba difendersi e venga attaccato”, disse nel 2015 la cancelliera agli studenti di una scuola di Berlino. “Crediamo anche che la Germania abbia un obbligo speciale di sostenere Israele”. I tedeschi non possono dimenticare il loro passato, ma possono fare tutto il possibile per impedire un altro Olocausto. Israele über alles.

Il Foglio, 13 dicembre 2025)

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Il centro guidato dagli Stati Uniti afferma che oltre 30.000 camion di aiuti sono entrati a Gaza

Nonostante i progressi, i funzionari affermano che permangono sfide importanti, tra cui la rimozione di circa 60 milioni di tonnellate di detriti da tutta la Striscia.

Secondo un articolo del Comando Centrale degli Stati Uniti pubblicato su X, il traguardo raggiunto questa settimana segue cinque settimane consecutive in cui almeno 4.200 camion carichi di aiuti e merci sono entrati nella Striscia di Gaza.
Il centro di coordinamento, istituito il 17 ottobre, ha anche ampliato la sua presenza internazionale, includendo ora rappresentanti di circa 60 nazioni e organizzazioni partner.
Il CMCC è stato creato per sostenere gli sforzi di stabilizzazione a Gaza coordinando l'assistenza umanitaria, logistica e di sicurezza nell'enclave costiera, che è lunga circa 25 miglia e densamente popolata.
“L'approccio integrato del CMCC si è dimostrato essenziale per affrontare sfide complesse”, ha affermato il Maggiore Generale dell'esercito statunitense Brad Hinson, che guida il gruppo di lavoro sull'assistenza umanitaria del centro. “Questa piattaforma centrale consente alle parti interessate di allineare le priorità e risolvere le sfide in tempo reale, aumentando l'efficienza della distribuzione degli aiuti umanitari”.
Il CENTCOM ha affermato che le consegne coordinate hanno incluso cibo, forniture per gli alloggi, abbigliamento invernale, materiali sanitari e attrezzature mediche. I partner umanitari hanno anche fornito attrezzature ai panifici locali di Gaza, consentendo a quasi 20 panifici sostenuti a livello internazionale di produrre più di 160.000 pagnotte di pane al giorno.
Inoltre, secondo la dichiarazione, le mense che distribuiscono pasti caldi forniscono ora circa 1,6 milioni di pasti al giorno, con un aumento del 140% rispetto a settembre.
Nonostante i progressi, i funzionari hanno riconosciuto che permangono sfide importanti, in particolare la rimozione dei detriti in tutta Gaza. Le stime del CMCC suggeriscono che più di 60 milioni di tonnellate di detriti sono sparsi in tutto il territorio.
Il gruppo di lavoro tecnico del centro di coordinamento ha sviluppato un sistema di mappatura per valutare l'entità e la distribuzione dei detriti, aiutando i partner internazionali a stabilire le priorità degli interventi di pulizia. Il personale del CMCC sta inoltre lavorando per rimuovere gli ordigni inesplosi lungo le principali vie logistiche e garantire la continuità delle forniture invernali.
Il CMCC opera da Kiryat Gat, nel sud di Israele, e comprende una sala operativa e spazi di incontro progettati per consentire il monitoraggio in tempo reale e la pianificazione congiunta relativa a Gaza.<

(Shalom, 12 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 39
    Descrizione dei paramenti fatti per i sacerdoti
  • Poi, con le stoffe tinte di violaceo, porporino e scarlatto, fecero dei paramenti cerimoniali ben lavorati per le funzioni nel santuario, e fecero i paramenti sacri per Aaronne, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. 
  • Si fece l'efod, d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto.  Batterono l'oro in lamine e lo tagliarono in fili, per intesserlo nella stoffa violacea, porporina, scarlatta, e nel lino fino, e farne un lavoro artistico.  Gli fecero delle spalline, unite assieme; in modo che l'efod fosse tenuto assieme mediante le sue due estremità.  E la cintura artistica che era sull'efod per fissarlo, era tutta di un pezzo con l'efod, e del medesimo lavoro di esso: cioè, d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè.  Poi lavorarono le pietre di onice, incassate in castoni d'oro, sulle quali incisero i nomi dei figli d'Israele, come si incidono i sigilli.  E le misero sulle spalline dell'efod, come pietre memoriali per i figli d'Israele, nel modo che l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Poi si fece il pettorale, artisticamente lavorato come il lavoro dell'efod: d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto.  Il pettorale era quadrato; e lo fecero doppio; aveva la lunghezza di una spanna e una spanna di larghezza; era doppio. E vi incastonarono quattro ordini di pietre; nel primo ordine c'era un sardonio, un topazio e uno smeraldo; nel secondo ordine, un rubino, uno zaffiro, un calcedonio; nel terzo ordine, un opale, un'agata, un'ametista; nel quarto ordine, un crisolito, un'onice e un diaspro. Queste pietre erano incassate nei loro castoni d'oro. E le pietre corrispondevano ai nomi dei figli d'Israele, ed erano dodici, secondo i loro nomi; erano incise come dei sigilli, ciascuna con il nome di una delle dodici tribù. 
  • Fecero pure sul pettorale delle catenelle d'oro puro, intrecciate come dei cordoni. E fecero due castoni d'oro e due anelli d'oro, e misero i due anelli alle due estremità del pettorale. E fissarono i due cordoni d'oro ai due anelli alle estremità del pettorale; e attaccarono gli altri due capi dei due cordoni d'oro ai due castoni, e li misero sulle due spalline dell'efod, sul davanti. Fecero anche due anelli d'oro e li misero alle altre due estremità del pettorale, sull'orlo interiore rivolto verso l'efod. E fecero altri due anelli d'oro, e li misero alle due spalline dell'efod, in basso, sul davanti, vicino al punto dove avveniva la giuntura, al di sopra della cintura artistica dell'efod. E attaccarono il pettorale mediante i suoi anelli agli anelli dell'efod con un cordone violaceo, affinché il pettorale fosse al di sopra della banda artisticamente lavorata dell'efod, e non si potesse staccare dall'efod; come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Si fece pure il manto dell'efod, di lavoro di tessitura tutto di colore violaceo, e l'apertura, in mezzo al manto, per passarvi il capo: apertura, come quella di una corazza, con un'orlatura tessuta intorno, perché non si strappasse. E all'orlo inferiore del manto fecero delle melagrane di colore violaceo, porporino e scarlatto, di filo ritorto. E fecero dei sonagli d'oro puro; e posero i sonagli in mezzo alle melagrane all'orlo inferiore del manto, tutto intorno, fra le melagrane: un sonaglio e una melagrana, un sonaglio e una melagrana, sull'orlatura del manto, tutto intorno, per fare il servizio, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Si fecero pure le tuniche di lino fino, di lavoro di tessitura, per Aaronne e per i suoi figli, e il turbante di lino fino e le tiare di lino fino da servire come ornamento e i calzoni di lino fino ritorto, e la cintura di lino fino ritorto, di colore violaceo, porporino, scarlatto, un lavoro di ricamo, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Fecero d'oro puro la lamina del sacro diadema, e vi incisero, come si incide sopra un sigillo: SANTO ALL'ETERNO. E vi attaccarono un nastro violaceo per fermarla sul turbante, in alto, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. 
  • Così fu finito tutto il lavoro del tabernacolo e della tenda di convegno. I figli d'Israele fecero interamente come l'Eterno aveva ordinato a Mosè; fecero in quel modo. Poi portarono a Mosè il tabernacolo, la tenda e tutti i suoi utensili, i suoi fermagli, le sue tavole, le sue traverse, le sue colonne, le sue basi; la coperta di pelli di montone tinte in rosso, la coperta di pelli di tasso, e il velo di separazione; l'arca della testimonianza con le sue stanghe, e il propiziatorio; la tavola con tutti i suoi utensili e il pane della presentazione; il candelabro d'oro puro con le sue lampade, le lampade disposte in ordine, tutti i suoi utensili, e l'olio per il candelabro; l'altare d'oro, l'olio dell'unzione, il profumo fragrante, e la portiera per l'ingresso della tenda; l'altare di bronzo, la sua gratella di bronzo, le sue stanghe e tutti i suoi utensili, la conca con la sua base; le cortine del cortile, le sue colonne con le sue basi, la portiera per l'ingresso del cortile, i cordami del cortile, i suoi picchetti e tutti gli utensili per il servizio del tabernacolo, per la tenda di convegno; i paramenti cerimoniali per le funzioni nel santuario, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio. 
  • I figli d'Israele eseguirono tutto il lavoro, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. E Mosè vide tutto il lavoro; ed ecco, essi lo avevano eseguito come l'Eterno aveva ordinato; l'avevano eseguito in quel modo. E Mosè li benedisse.

(Notizie su Israele, 12 dicembre 2025)


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In Turchia i miliziani palestinesi trovano riparo e i soldi degli ayatollah 

Trump pressa Israele affinché dia l'ok all'ingresso dei militari di Erdogan, a Gaza Bibi si oppone con estrema fermezza 

di Mariano Giustino 

Secondo documenti e dichiarazioni rilasciati questa settimana dalle Forze di difesa israeliana (Idi) e dall'Agenzia per la sicurezza (Isa) sarebbe stata smascherata una rete segreta di cambio-valuta di Hamas, operante nella Turchia centrale sotto la direzione dell'Iran. Gli esiliati di Gaza residenti in Turchia utilizzerebbero l'infrastruttura finanziaria del Paese per trasferire ingenti somme di denaro a favore dell'organizzazione palestinese. Il totale dei trasferimenti si aggirerebbero intorno alle centinaia di milioni di dollari. 
Le agenzie affermano che la rete opererebbe in collaborazione con il regime iraniano col trasferimento di fondi ad alti funzionari di Hamas aiutando il gruppo a ricostruire le sue capacità al di fuori di Gaza. I documenti recentemente resi pubblici includono registrazioni di trasferimenti di valuta per un importo di centinaia di migliaia di dollari che, secondo i funzionari, rappresentano solo una piccola parte dell'attività complessiva. La rete dunque riceverebbe e trasferirebbe fondi iraniani dall'interno della Turchia. 
Le Idf e l'Isa hanno identificato tre agenti di Gaza che lavorano in Turchia e che, a loro dire, sarebbero elementi cardinali della rete: Tamer Hassan, un alto funzionario dell'ufficio finanziario di Hamas a Istanbul che opera direttamente sotto la direzione di Khalil al-Hayya, capo dell'ufficio politico di Hamas, e i cambiavalute Khalil Farwana e Farid Abu Dair. Israele afferma che il sostegno dell'Iran all'organizzazione terroristica palestinese non è cessato; l'obiettivo è la ricostruzione della sua capacità operativa oltre i confini della Striscia di Gaza. 
La tempistica di tali rivelazioni arriva nel bel mezzo della pressione che l'amministrazione Trump sta esercitando su Gerusalemme affinché dia il via libera alla partecipazione di Ankara alla forza internazionale di stabilizzazione a Gaza. Israele vi si oppone con estrema fermezza e non vede di buon occhio l'alleanza che la Turchia ha stretto con il presidente ad interim al-Sharaa per il suo passato fondamentalista jihadista e qaidista. 
Istanbul ha ospitato per anni figure di spicco di Hamas e dunque Ankara è poco credibile agli occhi di Israele nella possibile assunzione di un ruolo di primo piano nella Striscia di Gaza del dopoguerra. La presenza di agenti di Hamas con base in Turchia dimostra come questo gruppo terroristico palestinese abbia diversificato la sua presenza finanziaria per eludere sanzioni e controlli alle frontiere. Ciò è un pericoloso segnale di allarme strategico per Gerusalemme che oltretutto sostiene che l'Iran si sta integrando sempre più nell'ecosistema economico turco, consentendo a un'entità regionale di rigenerarsi e di proiettare la sua forza. Se non repressa la rete potrebbe alimentare futuri attacchi ed espandere di nuovo l'influenza di Hamas nella regione, minacciando la sicurezza a lungo termine di Israele. 
L'atteggiamento turco fortemente aggressivo nei confronti dello Stato ebraico è profondamente legato alla sopravvivenza politica interna di Erdogan e al suo sostegno di lunga data ai movimenti islamisti nella regione. Il leader turco si è sempre presentato come l'alfiere della causa palestinese e il suo elettorato più conservatore lo spinge ad assumere una posizione ferma contro Israele. Ma Erdogan è stato finora molto pragmatico nei suoi rapporti con Washington e, dietro le quinte, all'indomani del pogrom del 7 ottobre, ha spinto la leadership di Hamas ad abbandonare la Turchia in silenzio per non irritare l'amministrazione Trump. 
Ankara ora lavora a stretto contatto con Washington nel tentare di persuadere Hamas ad accettare la sua proposta su Gaza e a smilitarizzare l'organizzazione. La Turchia in accordo con gli Usa schiererebbe oltre 2000 soldati per la forza di stabilizzazione che dovrà mettere in sicurezza la Striscia dopo la guerra, ma Israele continua ad opporsi sia al coinvolgimento turco che qatariota. 

(Il Riformista, 12 dicembre 2025)

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Mancini: «Hamas si sta rianimando» La posa conciliante è un bluff 

Lo 007 rivela al Riformista informazioni inedite: i miliziani hanno pronte 5 brigate e 23 battaglioni per colpire Israele anche con 600 droni di nuova fabbricazione nei tunnel.

di Aldo Torchiaro

Marco Mancini, per anni ai vertici dei servizi segreti, conta ancora su informazioni di prima mano che devono mettere in allerta Israele. Anche se una buona notizia c'è, ed è lui a sottolinearla: «Finalmente oggi c'è un rapporto dell'ONU che certifica che Hamas e altri gruppi islamici il 7 ottobre 2023 hanno commesso crimini contro l'umanità. Un dato oggettivo. E il rapporto certifica che oltre cento ostaggi israeliani sono stati violentati. Difficile ora provare a sminuire il 7 ottobre». 

- Stando alle sue fonti, Hamas metterà via le armi? 
«No. Ha sfruttato la tregua per ristrutturare battaglioni, unità e strutture di guerra. Rifiatano, raccolgono soldi e rinforzano gli arsenali». 

- Quindi una finta adesione agli accordi di Sharm el-Sheikh? 
«Al-Hayya, dal suo hotel di lusso in Qatar, ha annunciato collaborazione senza il consenso della struttura militare. In parallelo c'è Ezzedine Al-Dad, il capo militare, che vive nei tunnel ricostituiti: non deporrà un bel niente». 

- Ci sono ancora molti tunnel in mano ai terroristi? 
«Sì. Quelli distrutti sono stati ricostruiti a Khan Younes e Gaza City. Sottoterra operano due comandi generali, con 25-30mila uomini al seguito di Al-Dad, contrario al disarmo». 

- Dicono una cosa in pubblico e ne fanno un'altra in privato? 
«Esattamente. Al-Dad accusa AlHayya: tu in hotel, io nei tunnel con 30mila miliziani. Non ci arrendiamo. E infatti hanno scelto di continuare la guerra». 

- Quindi c'è un conflitto interno? 
«Hamas ha due anime che si sono sempre combattute. Eliminato Sinwar, ora comanda Al-Dad, contrario al disarmo». 

- Stanno reclutando nuove leve? 
«Sì, Hamas continua a pagare bene chi si unisce. Serve addestramento per mantenere la struttura militare. Eppure il 70% dei palestinesi non vuole Hamas. Voterebbero Barghouti, in carcere e in dissidio con Abu Mazen», 

- Gli Stati Uniti si muovono con qualche incertezza ... 
«Gli americani vogliono la scarcerazione di Barghouti, leader riconosciuto dai palestinesi. E vorrebbero una base a Gaza, oltre la linea gialla. Ma è difficile che Hamas accetti». 

- Hamas politica non è disposta a collaborare? 
«No. Al-Hayya e Al-Dad, su questo d'accordo, non si fidano e ritengono inaccettabile la presenza stabile di 200 marines. E infatti tengono le armi». 

- D'altronde vivono di guerra, non possono e non vogliono deporle. 
«Vivono di guerra e la impongono ai palestinesi. Chi si ribella viene giustiziato dal gruppo di Mohamed Rajab». 

- La leadership politica rimane vaga nei proclami. Aprono ma non troppo. 
«Nessuno ha definito cosa significhi disarmo. Per loro avere armi è normale. Nessuno sa quanti missili abbiano, sono migliaia. E Hamas sta preparando da mesi droni costruiti nei tunnel solo per combattere Israele». 

- Sarebbe in grado di quantificarne il numero? 
«Hanno già 600 droni costruiti e armati per missioni kamikaze contro Israele. Se si stanno ristrutturando, vuol dire che si predisponendo alla guerra, che considerano inevitabile. Il loro fine è questo: ci sarà un nuovo attacco, una prossima guerra. Gli analisti parlano apertamente di un nuovo conflitto contro Israele». 

- Tutto questo richiede molti soldi. 
«Hamas continua a ricevere fondi e criptovalute da Iran, Qatar e dalla diaspora palestinese, anche negli Stati Uniti. La struttura militare è ricca e punta tutto sulla distruzione di Israele». 

- Sono ricchi, dice. Ma il Qatar ha interrotto i finanziamenti o no? 
«No. Continua a finanziare Hamas. E quei soldi finiscono nella produzione di nuove armi, droni, tunnel. Si sono aggiunti anche imprenditori palestinesi americani che dopo il 7 ottobre hanno rifinanziato l'organizzazione». 

- I terroristi hanno un loro hub finanziario in Turchia? 
«La Turchia è sempre stata lo sponsor di Hamas militare. Il suo apparato di sicurezza è schierato con Hamas», 

- Anche il vertice turco? 
«Certo. In Turchia non si muove foglia che Erdogan non voglia. Come in Libia sostiene le milizie locali, così sostiene Hamas. Non sta con noi né con l'Europa». 

(Il Riformista, 12 dicembre 2025)

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«I cristiani sono chiamati a sostenere gli ebrei»

Da due anni Karoline Preisler si oppone alle manifestazioni anti-israeliane e antisemite, armata solo di cartelli di cartone e fiori. In un'intervista con Israelnetz racconta le sue motivazioni, le mancanze della politica e i segnali di speranza.

di Martin Schlorke

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Karoline Preisler

Karoline Preisler, nata nel 1971, è madre di quattro figli. La giurista è membro del FDP dal 2013. È diventata nota al grande pubblico grazie al suo “Diario del Coronavirus”. Dal massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, Preisler partecipa alle manifestazioni anti-Israele per richiamare l'attenzione sulle vittime israeliane di violenza sessuale e sugli ostaggi. Al momento dell'intervista, i corpi di quattro ostaggi erano ancora nella Striscia di Gaza. A novembre è stato pubblicato dalla casa editrice Ariella il suo libro “Streit und Straßenkampf” (Controversia e lotta di strada), in cui racconta il suo impegno per la libertà di espressione e il confronto non violento.

- Signora Preisler, da ormai due anni partecipa alle cosiddette manifestazioni filopalestinesi, armata di cartelli di cartone e fiori, per richiamare l'attenzione sul destino degli ostaggi israeliani e sulla violenza sessuale perpetrata da Hamas. Cosa la spinge a farlo?
  Ho sempre combattuto l'antisemitismo. Di recente ho notato che la comunicazione è cambiata. Le persone che partecipano a queste manifestazioni registrano le loro proteste in modo piuttosto professionale con le fotocamere dei loro cellulari e pubblicano i video in rete. Quindi non si tratta più solo di proteste di piazza, ma anche di proteste sui social network. Di conseguenza, anche le controproteste devono cambiare. Quando partecipo alle manifestazioni con i miei cartelli di cartone, i miei messaggi vengono inevitabilmente trasmessi nei video e nelle immagini della manifestazione. Laddove vengono diffuse teorie cospirative antisemite, è assolutamente necessario controbattere.

- Sui suoi cartelli di cartone c'è scritto, ad esempio, “Lo stupro non è resistenza”. Questo messaggio è chiaro. Ma cosa intende ottenere con i fiori?
  Chi porta dei fiori ha intenzioni pacifiche. Sono un segno della mia pacificità. E a differenza delle parole, non provocano. Alle manifestazioni vengo spesso aggredita e spintonata. Il cartello in una mano e i fiori nell'altra mi impediscono di spintonare a mia volta. A volte regalo singoli fiori alle persone con cui parlo sul posto.

- Tuttavia, i fiori provocano le persone.
  Il mio obiettivo non è quello di suscitare una forte reazione contraria. Piuttosto, voglio entrare in contatto con le persone alle manifestazioni. Non voglio lasciare senza risposta l'antisemitismo, le teorie del complotto e le fake news. Quando appaio nei video delle manifestazioni con i miei cartelli, posso fare qualcosa di concreto.

- Anche i media hanno spesso diffuso informazioni false sulla guerra nella Striscia di Gaza, ad esempio sul numero dei morti o sul presunto attacco israeliano all'ospedale Al-Ahli-Arab.
  Sono grata per la nostra diversità mediatica in Germania, anche perché è una sorta di complemento ai nostri media pubblici. E mi auguro che i nostri media seri siano ormai diventati più accorti e non riprendano più senza verificarle le cifre fornite da Hamas. Le cifre errate, ad esempio quelle relative alle vittime, creano un'immagine distorta con due meccanismi. Da un lato, le vittime reali non vengono piante a sufficienza. Dall'altro, i media perdono reputazione diffondendo informazioni false.

- Recentemente, la ZDF ha dovuto ammettere che un dipendente di una società partner di lunga data nella Striscia di Gaza era membro di Hamas. Dopo che questi è stato ucciso in un attacco israeliano, inizialmente l'indignazione dell'emittente è stata grande.
  È deplorevole quando muoiono delle persone. Tuttavia, il contesto cambia se muore un giornalista indipendente o un membro affermato di Hamas. Quando Israele viene demonizzato, quando vengono applicati doppi standard o quando il Paese viene delegittimato, si è in presenza di antisemitismo. Nel caso della cronaca sulla morte di questo membro di Hamas prima che la sua appartenenza all'organizzazione fosse resa nota, tutte e tre le caratteristiche erano presenti. Ciò significa che la cronaca era antisemita.

- Come si può evitare che ciò accada? Felix Klein, incaricato del governo federale tedesco per l'antisemitismo, ha recentemente proposto di istituire incaricati simili per le grandi aziende mediatiche.
  Già solo con una scelta appropriata delle parole, combinata con una buona ricerca, è possibile rappresentare meglio i fatti. Non so se tali incarichi siano realistici nelle aziende mediatiche. Da dove dovrebbero venire?

- Per il suo impegno è stata recentemente insignita del Premio Paul Spiegel dal Consiglio centrale degli ebrei. Durante la cerimonia di premiazione ha affermato di partecipare alle manifestazioni contro Israele con una “sobrietà protestante”. Cosa intende dire con questo?
  Da bambina ho imparato ad essere responsabile nei confronti del prossimo. Questa responsabilità richiede, oltre a una bussola di valori, anche l'impegno a essere una brava persona. E a volte ci vuole il coraggio di dire ciò che è necessario. Non possiamo pretendere che gli ebrei combattano da soli contro l'antisemitismo. Proprio i cristiani sono chiamati ad aiutare le persone e a riconoscere con lucidità dove c'è bisogno di aiuto.

- Lei è cresciuta in una famiglia cristiana. Prima della riunificazione ha lavorato nella Chiesa ed è stato sorvegliata dalla Stasi. Che significato ha per lei la fede cristiana?
  Sono ben radicata in terra e in cielo

- Ci spieghi meglio.
  Il nostro ordinamento liberale e democratico e la nostra Costituzione ci danno una buona base per vivere. Di conseguenza, non ci manca quasi nulla. Si è ben radicati. Poter vivere la mia fede, cioè essere ben radicata, è per me una benedizione. Nella DDR questo non era possibile per me e per molti altri. E anche oggi non dobbiamo darlo per scontato e dobbiamo opporci ai tentativi di distorcere la libertà di religione.

- Ha appena citato la Costituzione. Nel suo preambolo si parla di “responsabilità davanti a Dio e agli uomini”. È ancora attuale, vista la crescente secolarizzazione della società?
  Lo trovo sensato già solo per ragioni storiche, perché i padri e le madri della Costituzione l'hanno scritta sulla base delle esperienze dell'Olocausto e del comportamento altamente anticristiano e antisemita dei nazionalsocialisti.
  Allo stesso tempo, sono convinta che la laicità, ovvero la separazione tra religione e Stato, ci faccia bene. La mia fede è una questione privata che non voglio imporre a nessuno. Inoltre, la nostra società sta diventando sempre più interreligiosa. Chiedo quindi anche alle altre religioni di rimanere una questione privata e di non impormi nulla.

- La lotta contro l'antisemitismo non è esplicitamente menzionata nella Costituzione. Questo dovrebbe essere modificato?
  Con la Costituzione abbiamo una regolamentazione molto buona e definitiva in materia di dignità umana. Per quanto riguarda le leggi che dovrebbero attuare i principi della Costituzione, vedo però la necessità di un adeguamento.

- Per esempio?
  Sono dell'opinione che non dovremmo concedere il permesso di soggiorno permanente in Germania a stranieri che sono antisemiti. Le persone che vengono in Germania dovrebbero considerare la nostra ragion di Stato come un dato di fatto e rifiutare l'antisemitismo. Inoltre, dovremmo classificare come anticostituzionali alcuni simboli che da alcuni anni sono presenti nella scena antisemita e nelle manifestazioni.

- Durante queste manifestazioni viene osteggiata, insultata e picchiata. Questo la rafforza nel suo impegno o le fa sorgere dei dubbi?
  Questo non mi rafforza, perché sono esperienze amare. Tuttavia, non subisco solo violenza, ma ho anche buone conversazioni. Mi incoraggiano i molti riscontri positivi che ricevo per il mio impegno. Inoltre, ormai in tutta la Germania ci sono molte imitatrici che fanno cose simili, persino in altri paesi europei. Abbiamo sviluppato una nuova forma di protesta. Un modo femminile, tranquillo e pacifico per esprimere il nostro desiderio di una vita migliore per gli ebrei, per tutte le minoranze e anche per le donne.

- Ha delle conversazioni costruttive durante le manifestazioni contro Israele?
  Ovviamente non convinco nessuno, ma è importante avviare un dialogo. Sul tema del Medio Oriente ci sono profonde divisioni. Voglio riprendere il filo del discorso. Perché, si spera, un giorno ci sarà la pace in Medio Oriente. Ma le persone che hanno manifestato contro Israele continueranno a essere qui e a diffondere le loro idee.

- Questo mi ricorda molto le proteste contro il coronavirus. La rabbia e la frustrazione nei confronti della politica per determinate decisioni non sono scomparse semplicemente con la fine delle misure. 
  Credo che la delusione dopo la pandemia sia profonda in molte persone. E lo capisco. All'epoca molte cose non erano bianche o nere. Anch'io ho criticato le misure come sproporzionate o ho lamentato la mancanza di dibattito. E sono delusa dal fatto che nessuno dei due governi federali in carica durante la pandemia abbia chiesto scusa e offerto una valutazione.

- Ma cosa significa questo per le proteste antisemite di oggi? Dopo tutto, quando si parla di antisemitismo, le cose sono bianche o nere.
  Assolutamente. Ma alle manifestazioni partecipano anche persone moderate che rifiutano la violenza e l'antisemitismo. Io le accuso di partecipare a eventi antisemiti e ostili a Israele. Ma questo non le rende automaticamente antisemite. Svaluta solo ogni giusta causa.

- Signora Preisler, per due anni ha richiamato l'attenzione sul destino degli ostaggi israeliani. Come ha vissuto il loro rilascio il 13 ottobre?
  Per me è stato un giorno molto emozionante, che non dimenticherò mai. Tuttavia, i corpi di Meny Godard, Ran Gvili, Dror Or e Sudthisak Rinthalak si trovano ancora nella Striscia di Gaza. Spero che i corpi possano tornare alle loro famiglie e essere sepolti. (Al momento dell'intervista, i corpi dei quattro ostaggi erano ancora nella Striscia di Gaza. Attualmente i terroristi trattengono ancora il corpo di Ran Gvili, ndr). Questo è importante dal punto di vista religioso, ma anche per i familiari delle vittime. A mio avviso, il rapimento di persone vive o morte è blasfemo e haram nel senso islamico del termine.

- Tra i rapiti c'erano anche diversi cittadini tedeschi. Come valuta l'impegno del governo federale per il rilascio degli ostaggi?
  Trovo scioccante che il nostro governo abbia fatto così poco per i cittadini tedeschi rapiti. E pensate solo a Sonja Nientiet, rapita dai terroristi somali dal 2018. Mi auguro che in ogni discorso natalizio del Cancelliere si ricordi di lei e che si faccia tutto il possibile per il suo rilascio, proprio quell'impegno che è mancato anche per gli ostaggi tedeschi nella Striscia di Gaza. Ma so anche che ogni persona ha il potere di cambiare le cose. Per questo continuerò anche in futuro a impegnarmi visibilmente a favore delle persone tenute prigioniere dagli islamisti.

- Grazie mille per l'intervista, signora Preisler. (Israelnetz, 12 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 38
    Costruzione dell'altare degli olocausti
  • Poi fece l'altare degli olocausti, di legno di acacia; la sua lunghezza era di cinque cubiti; e la sua larghezza di cinque cubiti; era quadrato, e aveva un'altezza di tre cubiti. E ai quattro angoli gli fece dei corni, che spuntavano da esso, e lo rivestì di bronzo. Fece pure tutti gli utensili dell'altare: i vasi per le ceneri, le palette, i bacini, i forchettoni, i bracieri; fece di bronzo tutti i suoi utensili. E fece per l'altare una gratella di bronzo in forma di rete, sotto la cornice nella parte inferiore; in modo che la rete raggiungesse la metà dell'altezza dell'altare. E fuse quattro anelli per i quattro angoli della gratella di bronzo, per farvi passare le stanghe.  Poi fece le stanghe di legno di acacia, e lo rivestì di bronzo.  E fece passare le stanghe per gli anelli, ai lati dell'altare, le quali dovevano servire a portarlo; e lo fece di tavole, vuoto.

    La conca di bronzo
  • Poi fece la conca di bronzo, e la sua base di bronzo, servendosi degli specchi delle donne che venivano a gruppi a fare il servizio all'ingresso della tenda di convegno.

    Il cortile
  • Poi fece il cortile; dal lato meridionale, vi erano, per formare il cortile, cento cubiti di cortine di lino fino ritorto, con le loro venti colonne e le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d'argento. Dal lato di settentrione, vi erano cento cubiti di cortine con le loro venti colonne e le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d'argento. Dal lato d'occidente, vi erano cinquanta cubiti di cortine con le loro dieci colonne e le loro dieci basi; i chiodi e le aste delle colonne erano d'argento. E sulla parte davanti, dal lato orientale, vi erano cinquanta cubiti: da uno dei lati dell'ingresso vi erano quindici cubiti di cortine, con tre colonne e le loro tre basi; e dall'altro lato (tanto da una parte quanto dall'altra dell'ingresso del cortile) vi erano quindici cubiti di cortine, con le loro tre colonne e le loro tre basi. Tutte le cortine che formavano il recinto del cortile erano di lino fino ritorto; e le basi per le colonne erano di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d'argento, e i capitelli delle colonne erano rivestiti d'argento, e tutte le colonne del cortile erano congiunte con delle aste d'argento. La portiera per l'ingresso del cortile era un lavoro di ricamo, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto; aveva una lunghezza di venti cubiti, un'altezza di cinque cubiti, corrispondente alla larghezza delle cortine del cortile. Le colonne erano quattro, e quattro le loro basi, di bronzo; i loro chiodi erano d'argento, e i loro capitelli e le loro aste erano rivestiti d'argento. Tutti i picchetti del tabernacolo e del recinto del cortile erano di bronzo.

    Costo complessivo del tabernacolo
  • Questi sono i conti del tabernacolo, del tabernacolo della testimonianza, che furono fatti per ordine di Mosè, a cura dei Leviti, sotto la direzione di Itamar, figlio del sacerdote Aaronne. Besaleel, figlio di Uri, figlio di Cur della tribù di Giuda, fece tutto quello che l'Eterno aveva ordinato a Mosè, avendo con sé Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan, scultore, disegnatore, e ricamatore di stoffe violacee, porporine, scarlatte e di lino fino. 
  • Tutto l'oro che fu impiegato nell'opera per tutti i lavori del santuario, oro delle offerte, fu ventinove talenti e settecentotrenta sicli, secondo il siclo del santuario. L'argento di quelli della comunità dei quali si fece il censimento, fu cento talenti e millesettecentosettantacinque sicli, secondo il siclo del santuario: un beca a testa, vale a dire un mezzo siclo, secondo il siclo del santuario, per ogni uomo compreso nel censimento, dall'età di vent'anni in su: cioè, per seicentotremilacinquecentocinquanta uomini. I cento talenti d'argento servirono a fondere le basi del santuario e le basi del velo: cento basi per i cento talenti, un talento per base. E con i millesettecentosettantacinque sicli si fecero dei chiodi per le colonne, si rivestirono i capitelli, e si fecero le aste delle colonne. Il bronzo delle offerte ammontava a settanta talenti e a duemilaquattrocento sicli. Con questi si fecero le basi dell'ingresso della tenda di convegno, l'altare di bronzo con la sua gratella di bronzo, e tutti gli utensili dell'altare, le basi del cortile tutto intorno, le basi dell'ingresso del cortile, tutti i picchetti del tabernacolo e tutti i picchetti del recinto del cortile.

(Notizie su Israele, 11 dicembre 2025)


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Una voce araba di speranza da Israele

“Il sionismo non è né colonialismo né occupazione. Il sionismo è il grido di un popolo oppresso che dice: ‘Basta, vogliamo tornare a casa’”.

di Ryan Jones

GERUSALEMME - Il produttore musicale Ali Shaa'ban è diventato una sorta di portavoce dell'opinione della maggioranza arabo-israeliana durante l'attuale conflitto. In una serie di post sui social media, Shaa'ban ha spiegato perché, nonostante la dura realtà della guerra di Gaza, come arabo sostiene Israele e si oppone ai nemici dello Stato ebraico.

Risonanza
  Il fatto che gran parte di ciò che dice Shaa'ban trovi risonanza tra gli arabi locali è dimostrato non solo dall'alto numero di accessi e dalle reazioni positive ai suoi post sui social media, ma anche dal fatto che Hamas non è riuscita affatto a conquistare la popolazione arabo-israeliana alla sua “ondata Al-Aqsa” contro lo Stato ebraico.
Nei suoi social media e nel suo podcast “Voice of Hope”, Shaa'ban esorta i suoi concittadini arabi a scegliere la vita e la pace, sottolineando però che ciò è possibile solo se si riconoscono verità che il suo popolo ha a lungo negato.
“Sono un figlio di questa terra”, dice in un recente video. "Figlio della Galilea, del Carmelo, di Jaffa e di Nazareth. Sono un figlio dello Stato che ho deciso di amare: Israele. Quando ho deciso di sostenere apertamente il mio Paese, non è stato un tradimento della mia identità, ma una forma di lealtà verso la mia coscienza. Quando mi guardo intorno, non vedo alcuna ‘occupazione’, come la descrivono loro. Vedo una legge che tutela i miei diritti, uno Stato che mi difende e una società che mi permette di essere chi voglio essere. E quando guardo al mondo arabo, cosa vedo? Oppressione, corruzione, società che uccidono i propri figli in nome dell'onore, della religione e della politica. Cosa c'è di vergognoso nel preferire la luce all'oscurità? Nello scegliere uno Stato che mi rispetta invece di seguire le illusioni di una nazione che marcia all'indietro? Il mio obiettivo è vivere e crescere i miei figli con speranza invece che con odio. Non ho bisogno di maledire Israele ogni mattina per essere un vero arabo".

Accuse
  In un altro video, risponde alle accuse secondo cui il conflitto sarebbe iniziato molto prima del 7 ottobre, che secondo i critici di Israele sarebbe stata solo un'altra “reazione naturale” all'occupazione israeliana. Shaa'ban ricorda agli spettatori che gli attacchi arabi contro gli ebrei in Terra Santa sono iniziati molto prima del 1948 e della fondazione dello Stato di Israele. “Non sono stati gli ebrei a iniziare questo conflitto”. Piuttosto, ammette Shaa'ban, sono stati i jihadisti arabi palestinesi, alleati dei nazisti e desiderosi di sterminare completamente il popolo ebraico, a scatenare lo spargimento di sangue. “Questi fatti storici non sono una mia invenzione”, sottolinea. “Sono ben documentati sia negli archivi britannici che in quelli arabi. Se guardiamo alla storia con occhi onesti, ci rendiamo conto che lo spargimento di sangue è iniziato quando noi [arabi] abbiamo rifiutato la presenza ebraica tra noi, e non a causa dell'occupazione”.
Shaa'ban ha anche un problema con coloro che sostengono che gli attuali “sionisti” non siano gli ebrei della Bibbia, ma convertiti all'ebraismo provenienti dall'Europa orientale. “Queste persone non capiscono cosa significhi essere ebrei”, sottolinea. "Il popolo ebraico ha migliaia di anni. Nonostante lo sradicamento e l'espulsione, non hanno dimenticato, tradito o modificato la loro identità. Sono rimasti fedeli al loro patrimonio. E ovunque andassero, sognavano: ‘L'anno prossimo a Gerusalemme’. Il sionismo non è né colonialismo né occupazione. Il sionismo è il grido di un popolo oppresso che dice: ‘Basta, vogliamo tornare a casa’". Chi vuole davvero riconciliarsi e porre fine al conflitto deve riconoscere questa storia e accettare gli ebrei così come sono, con il loro legame con questa terra, conclude Shaa'ban.

Commenti pro-israeliani
  Chi pubblica commenti filoisraeliani sui social media si trova spesso di fronte a una valanga di risposte provocatorie che chiedono attenzione per le sofferenze dei “bambini di Gaza”. Indubbiamente Shaa'ban, come altre voci arabe filoisraeliane, riceve più della sua giusta dose di reazioni di questo tipo. Come può, in quanto arabo, stare dalla parte di Israele mentre i bambini palestinesi soffrono e muoiono? Questo serve a distogliere l'attenzione da ciò che è realmente in gioco, e Shaa'ban lo affronta con grande sicurezza.
“Non ho mai negato che i bambini di Gaza soffrano”, esordisce in un recente videomessaggio. "Sono innocenti e non hanno alcuna responsabilità per il massacro del 7 ottobre. Ma non dimentico nemmeno che i bambini di Gaza non soffrono solo a causa della guerra. Dal giorno della loro nascita soffrono per le restrizioni imposte loro da Hamas. Soffrono nelle scuole trasformate in depositi di razzi e nelle case trasformate in scudi umani. Soffrono per un'educazione che insegna loro che la morte da martiri è più importante dell'infanzia e che uccidere porta al paradiso. Soffrono a causa dei media che li convincono che tutti gli ebrei sono mostri e che l'unica risposta è il sangue.
Se la comunità internazionale si preoccupasse davvero dei bambini di Gaza, nei 15 anni di governo di Hamas avrebbe dimostrato che questi bambini sono stati sistematicamente sfruttati e maltrattati.
È vero che «i bambini di Gaza non hanno un riparo e non hanno speranza», continua Shaa'ban, ma «non perché Israele lo voglia. [È] perché [la leadership di Gaza] ha deciso di dare la priorità ai razzi rispetto alle infrastrutture e alla costruzione di tunnel rispetto agli ospedali e alle scuole. Mi accusate di non parlare delle sofferenze dei bambini di Gaza? Ne parlo. Ma la verità a volte fa male, e voi sembrate non essere interessati ad ascoltarla. Perché quando parlo dei bambini di Gaza, parlo del loro diritto di vivere, non di morire. Del loro diritto di imparare, di amare, non di odiare. E del loro diritto ad avere una leadership che li protegga, non che li sfrutti".
Molti arabi forse non hanno riflettuto su queste questioni in modo così approfondito come Ali Shaa'ban, ma le sue posizioni non sono insolite e probabilmente rappresentano la maggioranza degli arabi in questo Paese. Tuttavia, può essere rischioso e richiede molto coraggio esprimerle così apertamente in pubblico.

(Israel Heute, 11 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Ha il coraggio di prendere decisioni”

La nomina del maggiore generale Roman Gofman, il primo capo del Mossad da decenni proveniente dal Corpo corazzato dell'IDF, potrebbe segnalare un cambiamento verso un'agenzia di spionaggio più aggressiva e orientata al campo.

di Yaakov Lappin

FOTO
Roman Gofman

La decisione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di nominare il maggiore generale Roman Gofman come prossimo direttore del Mossad ha suscitato grande scalpore negli ambienti della difesa e dell'intelligence israeliani, segnando un cambiamento radicale nel profilo della leadership della rinomata agenzia di intelligence.
L'annuncio, fatto durante una riunione di gabinetto l'8 dicembre, pone un generale temprato dal combattimento – gravemente ferito mentre combatteva i terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023 – alla guida di un'organizzazione tradizionalmente, anche se non esclusivamente, guidata da spie di carriera.
Gofman è il classico comandante sul campo, che ha scalato i ranghi del Corpo Corazzato. Ha comandato il 75° Battaglione della 7° Brigata Corazzata, la Brigata Regionale “Etzion”, la stessa 7° Brigata e la 210° Divisione “Bashan” del Golan al confine con la Siria, ed è stato a capo del Centro Nazionale di Addestramento delle Forze di Terra a Tze'elim, dove si trovava il 7 ottobre 2023, prima di precipitarsi nella zona di Gaza dopo aver appreso la notizia dell'invasione di Hamas.
È stato nominato capo del quartier generale dell'Unità di coordinamento delle attività governative nei territori più tardi nel 2023, prima di diventare segretario militare del primo ministro nel maggio 2024.
Gofman è anche laureato alla yeshiva militare Bnei David di El, a nord di Ramallah, un'istituzione di punta del campo sionista religioso.
La nomina arriva in un momento critico per il Mossad, che rimane impegnato in una guerra segreta con l'Iran e i suoi rappresentanti. Secondo una dichiarazione dell'ufficio del primo ministro, Gofman sostituirà l'attuale direttore del Mossad David Barnea nel giugno 2026, consentendo un periodo di passaggio di consegne di circa sei mesi. Questa transizione prolungata è ampiamente vista come un riconoscimento della ripida curva di apprendimento che deve affrontare un “outsider” che ha trascorso anni al comando di carri armati sul campo di battaglia.
Netanyahu ha sottolineato la combinazione unica di audacia operativa ed esperienza strategica di Gofman, affermando: “Roman è un comandante di grande successo nell'IDF. Mi ha accompagnato l'anno scorso nella ‘Guerra della Rinascita’, nell'operazione ‘Rising Lion’ [la guerra di 12 giorni contro l'Iran] ha operato a livello dell'intero IDF e con particolare attenzione al Mossad”.
“Ha dimostrato qualità di leadership, creatività, sofisticatezza e astuzia su scala globale. Ha altre due qualità molto forti: iniziativa e ricerca del contatto”, ha continuato Netanyahu. “Il 7 ottobre era l'ufficiale più anziano dell'IDF che si è recato sul campo di battaglia. Lì è stato ferito, si è ripreso e sta facendo un lavoro straordinario per la sicurezza di Israele”.
Yossi Amrusi, ex alto funzionario dell'Agenzia di sicurezza israeliana (Shin Bet) e attualmente ricercatore associato presso il Misgav Institute for National Security and Strategy, ha dichiarato recentemente a JNS che, sebbene la nomina di un candidato esterno sia controversa visti i recenti successi del Mossad, Gofman possiede le caratteristiche fondamentali richieste per ricoprire tale incarico.
“Nell'ultima guerra, il Mossad ha operato in modo fenomenale. I suoi successi in Libano con l'operazione dei cercapersone e i successi a Teheran e in Iran in generale con le informazioni riservate che è riuscito a ottenere sui più alti funzionari delle Guardie Rivoluzionarie, gli scienziati iraniani, sono un lavoro fenomenale che verrà insegnato nelle scuole di spionaggio e intelligence per decenni", ha detto Amrusi.
Dati questi risultati, Amrusi ha sostenuto che una promozione interna sarebbe stata la scelta naturale. “Era giusto per l'organizzazione che fosse scelto proprio uno dei suoi membri senior, anche come segno di apprezzamento per questa organizzazione che ha svolto un lavoro eccellente”, ha affermato.
Allo stesso tempo, ha sostenuto Amrusi, e nonostante il divario professionale che Gofman dovrà colmare in termini di intelligence sul campo, la decisione più critica, la capacità di prendere decisioni audaci, è già saldamente nelle mani di Gofman.
"Alla fine, le operazioni e le idee per realizzarle, così come l'attività di intelligence in corso, saranno portate avanti dagli agenti sul campo, dai manager junior, dai manager senior e dai capi divisione. Le idee arriveranno alla fine sulla scrivania del direttore del Mossad, che dovrà prendere una decisione: realizziamo l'operazione o no? Portiamo avanti questa idea o no? Ciò che serve è coraggio, e Roman Gofman ha coraggio", ha affermato Amrusi.
Ha citato due eventi distinti che, secondo lui, dimostrano che Gofman possiede questa qualità: le battaglie del 7 ottobre e una conferenza del 2019 dell'intero Stato Maggiore dell'IDF, dove Gofman è salito sul palco e ha contestato la posizione difensiva dell'IDF pur avendo solo il grado di colonnello.
“Un colonnello non è un grado particolarmente alto... eppure si trova in una sala con 300-400 ufficiali, tra i più alti in grado dell'IDF, e dice ciò che pensa senza vergognarsi. Ai miei occhi questo dimostra carattere e coraggio”, ha detto Amrusi. “Cosa ha visto che tutte quelle 300 persone [alla riunione dello Stato Maggiore] non hanno visto? Ha una visione diversa”.
Amrusi ha anche citato un video di Gofman, in cui, in qualità di comandante di una brigata corazzata, si rivolgeva alle nuove reclute. “La cosa più importante è essere rigorosi sui piccoli dettagli... alla fine tutto dipende dai piccoli dettagli. È stato un discorso di leadership molto autentico”, ha detto Amrusi.
Nel frattempo, il 10 dicembre il Mossad ha annunciato che “A”, un agente veterano, era stato nominato prossimo vicedirettore dell'agenzia. “A”, che era lui stesso candidato alla carica più alta, ha prestato servizio nell'organizzazione per oltre due decenni e ha comandato due divisioni operative.
Il generale di brigata (riserva) Yossi Kuperwasser, capo dell'Istituto di Gerusalemme per la sicurezza e la strategia ed ex capo della divisione Ricerca e valutazione dell'intelligence militare israeliana, ha dichiarato a JNS che “come per tutte le nomine, e in particolare per quelle esterne, è difficile sapere in anticipo quanto riuscirà a esprimere le sue capacità e i suoi punti di forza e a colmare le lacune in termini di conoscenze ed esperienze operative”.
“L'osservazione della sua carriera insegna che si tratta di un ufficiale dotato di leadership, carisma e una notevole capacità di apprendimento, che nel suo ultimo incarico ha imparato a conoscere bene l'attività del Mossad, e quindi le sue possibilità di successo sono elevate”, ha continuato.
Kuperwasser ha anche osservato che il dibattito “interno contro esterno” non è sempre predittivo del successo.
“A volte le nomine di persone meritevoli all'interno delle organizzazioni non hanno portato ai risultati sperati e sono persino finite in dolorosi fallimenti. Non ci sono regole in questo campo, e non resta che augurare successo a Roman Gofman e sperare che lo spirito del Mossad, che è senza dubbio una delle migliori organizzazioni di intelligence al mondo, lo assista”, ha aggiunto Kuperwasser.
La nomina di Gofman ha ricevuto anche il sostegno pubblico della leadership dell'IDF. Il capo di Stato Maggiore, il tenente generale Eyal Zamir, ha incontrato Gofman il 4 dicembre per congratularsi con lui. “Roman e io ci conosciamo da molti anni, dai suoi vari incarichi nel Corpo Corazzato ai ruoli che ha ricoperto negli ultimi anni. Roman è un ufficiale coraggioso, professionale ed esperto”, ha detto Zamir.
Il capo di Stato Maggiore ha sottolineato che “la cooperazione tra le organizzazioni [IDF e Mossad] è fondamentale per la sicurezza dello Stato e che l'IDF lo sosterrà e fornirà tutta l'assistenza necessaria per il successo del suo ruolo”.

(JNS, 11 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Gaza: la scena del crimine

Dopo più di 20 anni dall'attentato alle torri gemelle ci sono più di mille corpi da identificare. Hamas da Gaza distribuiva liste di vittime un'ora dopo il bombardamento e tutti gli credevano

di Fabio Fineschi

A Gaza i 70.000 cadaveri prodotti dal “genocidio” israeliano non si trovano. Sono state scoperte solo poche fosse comuni ma con un numero di cadaveri che non va oltre le centinaia, così da informazioni provenienti dall’International Committee of the Red Cross e presso la Mezza Luna Rossa1.
Bene, meno morti ci sono stati e più ne siamo felici ma questo, per altri versi, dovrebbe aumentare la nostra inquietudine. Da subito dopo il tragico 7 ottobre 2023 le piazze europee si sono riempite di gente che gridava al genocidio: quello dell’esercito israeliano contro i civili palestinesi.
Ad ogni raid aereo israeliano il Ministero della sanità di Hamas comunicava al mondo il numero esatto degli innocenti morti sotto le bombe. Eppure, sappiamo che a più di vent’anni dagli attentati alle torri gemelle vi sono ancora circa 1.000 corpi da identificare. Sotto quelle macerie era difficilissimo distinguere tra i resti di un uomo, una donna o un bambino.
A Gaza, invece, un’ora dopo sapevano già tutto e, soprattutto, nessuno ha mai dubitato di quei dati sparati via etere alla comunità mondiale che mentre si disperava, in parte, gioiva perché si rendeva evidente la crudeltà dello Stato colonialista di Israele.
Quei dati, mai verificati da enti internazionali, costituivano la “gradita” conferma di una convinzione generalizzata fra i cittadini anti-occidentali e anti-semiti: lo Stato di Israele è ladro di terre altrui e assassino.
Qui non si tratta di tifare per una delle due fazioni in lotta ma si tratta di tifare per la verità, per la salvaguardia del rispetto e della lucidità mentale di tutti noi: se per due anni si è gridato al genocidio, stabilendo a livello planetario che vi è un mostro, Israele, e una vittima indifesa, i civili palestinesi, ebbene di ciò si devono esibire le prove.
Tutto questo deve diventare, adesso, un argomento prioritario, il principe degli argomenti. Invece no, nessuno dice niente, salvo pochi, come in questo sito, ora c’è la tregua e non interessa a nessuno quello che c’è o non c’è sulla scena del crimine: a Gaza.
Come mai i macchiettistici leader della nostra sinistra non hanno niente da dire? Dove sono i 70.000 cadaveri dei morti sotto le bombe? E quelli morti di stenti per la carestia, ovviamente sempre causata da Israele, dove sono? Migliaia e migliaia di corpi smembrati e dilaniati sotto le macerie dovrebbero emettere odori nauseabondi che appestano l’aria di tutta la striscia, per non parlare delle infezioni.

L’Occidente e la verità
  Quando l’Europa disconosce le proprie radici culturali si macchia, più o meno consapevolmente, di apostasia2. In sostanza, Essa rifiuta i contenuti profondi della propria matrice esistenziale che si formò dall’incontro fra la religione giudaico-cristiana di Gerusalemme, il diritto romano e la sapienza ateniese. Da quella triplice alleanza è iniziato il lungo cammino che ci ha portati alla scienza galileiana e ai diritti umani, anche Maximilien de Robespierre3 ha studiato dai preti: i padri Oratoriani.
Se ci viene narrato di un genocidio che ha causato ben 70.000 morti (ripeto il dato perché merita) ma i cadaveri non si trovano a noi che ce ne importa? Siamo troppo presi dal caso Garlasco. Che cosa ce ne facciamo noi, occidentali, dell’oggettività fattuale dei dati se ci stiamo convincendo che i generi sessuali non sono due, uomo e donna, ma una settantina e più LGBTQIA+4? Qualcuno sa se esiste una qualche rigorosa e riconosciuta ricerca scientifica che avvalora e certifica tale affermazione?
Mandiamo pure alle ortiche anche 500 anni di scienza galileiana ed epistemologia scientifica, l’oggettività dei fatti e il rigore del pensiero costituiscono un ostacolo al nostro desiderio di perdita dell’identità. I terroristi di Hamas, o di qualunque altra genia, possono raccontarci quello che vogliono a dispetto di qualunque prova oggettiva.
Se l’UE e l’intero Occidente, sono disposti a digerire qualunque tipo di narrazione indipendentemente dai fatti, dalla storia e dal diritto in nome del politicamente corretto (secondo la sinistra) e l’inclusione (secondo la sinistra) siamo destinati al naufragio culturale.
Su questa china Papa Francesco è riuscito a far passare Gesù, Giuseppe e Maria per emigranti quando, nei Vangeli, Essi si erano solo diretti a Gerusalemme per registrare Giuseppe al censimento indetto dai romani.
L’Occidente rischia la propria dissoluzione nel folle multiculturalismo di stampo arabo-musulmano, una sorta di Titanic che affonda mentre si suona, si balla e si canta l’inno del politicamente corretto.
Il Cardinale Pizzaballa si stracciò le vesti per una cannonata tirata per sbaglio da un carro israeliano su una chiesa di Gaza, errore militare di cui lo stesso Netanyahu si è scusato, ma sulle centinaia di chiese cristiane date alle fiamme dai musulmani in Sudan e in Nigeria non ha niente da dire.
Pur di negare il diritto dello Stato di Israele ad esistere siamo disposti a berci qualunque falsità: i territori rubati, l’occupazione della Cisgiordania, il genocidio e le scempiaggini della signora Albanese.
L’ONU, dal canto suo, si appresta ad essere il curatore fallimentare dell’Occidente e dell’occidentalità mentre gli avvoltoi: Hamas, i Fratelli musulmani, Putin, l’Iran, la Cina e il resto del BRICS se ne stanno appollaiati ad aspettare di gustare le nostre spoglie identitarie.
La sinistra italiana, ad esempio, gode di una tale prospettiva perché con il crollo dell’URSS ella ha già perduto da un pezzo la sua identità e non tollera quella di altre visioni del mondo. La nostra sinistra vive solo di antifascismo, ha bisogno dei fascisti, anche immaginari, come controfigura di un passato che non c’è più ma le consente un residuo di parvenza identitaria. Tuttavia, come ebbe a dire il comunista Bordiga5:- Il peggior prodotto del fascismo fu l’antifascismo-.
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1 Franco Londei, Rights Reporter, Qualche legittima domanda sul genocidio di Gaza, 7 dicembre 2025 
2 Rifiuto del proprio credo.
3 Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre, detto l’Incorruttibile (Arras6 maggio 1758 – Parigi28 luglio 1794) è stato un politicoavvocato e rivoluzionario francese.
4 è un acronimo che indica le persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer/interrogative, Intersessuali e Asessuali. Il simbolo “+” rappresenta tutte le altre identità di genere e orientamenti sessuali non inclusi esplicitamente nelle lettere, e la sigla nel suo complesso simboleggia una comunità ampia e diversificata.
5 Amadeo Bordiga  (Ercolano13 giugno 1889 – Formia25 luglio 1970) è stato un politicogiornalista e co-fondatore e primo segretario del Partito Comunista d’Italia, fu famoso soprattutto per i suoi contributi alle posizioni ideologiche della sinistra comunista, che lo resero uno dei capi storici della Sinistra Comunista Italiana, corrente anche detta bordighismo.

(Rights Reporter, 11 dicembre 2025)

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Israele: “La Jihad islamica sa dov’è il corpo di Ran Gvili”

di Luca Spizzichino

Israele ha respinto con fermezza l’affermazione della Jihad islamica palestinese secondo cui il gruppo non sarebbe più in possesso di ostaggi, sostenendo che l’organizzazione dispone di informazioni decisive sulla sorte di Ran Gvili, l’ultimo ostaggio israeliano morto ancora trattenuto nella Striscia di Gaza. Martedì la Jihad islamica, responsabile della detenzione di diversi ostaggi, ha dichiarato in un comunicato di non avere più alcun prigioniero. Una versione immediatamente smentita da fonti israeliane, che, secondo i media ebraici, hanno reagito con durezza, affermando che membri del gruppo terroristico conoscono l’ubicazione dei resti di Gvili. Secondo Channel 12, funzionari israeliani hanno definito l’annuncio della Jihad islamica “inaccettabile”, riferendo di nuove informazioni d’intelligence condivise da Gal Hirsch, coordinatore governativo per la questione degli ostaggi, che indicherebbero possibili luoghi in cui si troverebbe il corpo del poliziotto.
“Consideriamo le dichiarazioni della Jihad islamica con estrema gravità e non le accettiamo in alcun modo”, avrebbe detto Hirsch ai Paesi mediatori del cessate il fuoco a Gaza. “Qualcuno all’interno della Jihad islamica sa dov’è Ran”.
Il ritorno delle sue spoglie è considerato un passaggio chiave per consentire il passaggio alla seconda fase della tregua, che dovrebbe aprire a un nuovo assetto di sicurezza e governance a Gaza. In base agli accordi entrati in vigore due mesi fa, infatti, Hamas è tenuto a restituire tutti gli ostaggi. Israele sostiene che l’organizzazione possa fare di più per localizzare il corpo di Gvili e, secondo Ynet, Hirsch ha fornito ai mediatori fotografie aeree, oltre ai nomi di funzionari che potrebbero essere a conoscenza della sua posizione. “Non ci fermeremo finché non verrà riportato indietro per una sepoltura ebraica”, ha dichiarato Hirsch secondo Channel 12. “Il ritorno di Rani non è una questione tattica, ma un elemento centrale per l’attuazione e il progresso dell’accordo”. Le difficoltà nel recupero dei resti di Gvili rappresentano uno dei principali ostacoli all’avvio della seconda fase della tregua. Secondo il piano in 20 punti proposto dal presidente statunitense Donald Trump, questa fase prevedrebbe il dispiegamento di una forza multinazionale a Gaza, affiancata da un comitato palestinese a carattere tecnocratico, il ritiro graduale dell’IDF e il disarmo di Hamas.
Intanto, le ricerche del corpo di Gvili proseguono. Nitzan Alon, generale di divisione in riserva e già responsabile militare dei negoziati sugli ostaggi, ha dichiarato a Ynet che Hamas sta affrontando “difficoltà oggettive” nel localizzare i resti, ma che il recupero rimane possibile.
“Crediamo che sia possibile riportarlo a casa”, ha affermato. “C’è un legame diretto tra la pressione esercitata su Hamas e i risultati. Non possiamo arrenderci”. Le operazioni di ricerca condotte lunedì nel quartiere di Zeitoun, nel nord di Gaza City, non hanno però dato esito, e secondo Maariv le attività sono state sospese mercoledì a causa delle forti piogge.
La famiglia Gvili continua a chiedere che gli sforzi non vengano interrotti. “Siamo all’ultimo tratto e dobbiamo essere forti, per Rani, per noi e per Israele”, ha detto la madre Talik Gvili. “Senza Rani, il nostro Paese non può guarire”. Alla domanda se Israele potesse procedere comunque con i colloqui sul futuro di Gaza, la risposta della madre è stata netta: “In nessun modo. Non lo permetteremo”. E alla dichiarazione della Jihad islamica, il padre di Ran, Itzik Gvili, ha risposto senza esitazioni: “No. Non ci credo”.

(Shalom, 11 dicembre 2025)
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“Senza Rani, il nostro Paese non può guarire”. Perfetto. Suggerimento per Hamas: continuate a trattenere il corpo di Rani e impedirete a Israele di guarire. Se non è così, siamo alle solite: le famiglie degli uccisi da Hamas reagiscono attaccando il governo di Israele. M.C.

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 37
    Costruzione dell'arca
  • Poi Besaleel fece l'arca di legno di acacia; la sua lunghezza era di due cubiti e mezzo, la sua larghezza di un cubito e mezzo, e la sua altezza di un cubito e mezzo. E la rivestì d'oro puro di dentro e di fuori, e le fece una ghirlanda d'oro che le girava attorno. E fuse per essa quattro anelli d'oro, che mise ai suoi quattro piedi: due anelli da un lato e due anelli dall'altro lato. Fece anche delle stanghe di legno di acacia, e le rivestì d'oro. E fece passare le stanghe per gli anelli ai lati dell'arca per portare l'arca.

    Il propiziatorio
  • Fece anche un propiziatorio di oro puro; la sua lunghezza era di due cubiti e mezzo, e la sua larghezza di un cubito e mezzo. E fece due cherubini d'oro; li fece lavorati al martello, alle due estremità del propiziatorio: un cherubino a una delle estremità, e un cherubino all'altra; fece in modo che questi cherubini uscissero dal propiziatorio alle due estremità. E i cherubini avevano le ali spiegate in alto, in modo da coprire il propiziatorio con le ali; avevano la faccia rivolta l'uno verso l'altro; le facce dei cherubini erano rivolte verso il propiziatorio.

    La tavola
  • Fece anche la tavola di legno di acacia; la sua lunghezza era di due cubiti, la sua larghezza di un cubito, e la sua altezza di un cubito e mezzo.  La rivestì d'oro puro e le fece una ghirlanda d'oro che le girava attorno.  E le fece intorno una cornice alta quattro dita; e a questa cornice fece tutto intorno una ghirlanda d'oro. E fuse per essa quattro anelli d'oro; e mise gli anelli ai quattro angoli, ai quattro piedi della tavola. Gli anelli erano vicinissimi alla cornice per farci passare le stanghe destinate a portare la tavola. E fece le stanghe di legno di acacia, e le rivestì d'oro; esse dovevano servire a portare la tavola. Fece anche, d'oro puro, gli utensili da mettere sulla tavola: i suoi piatti, le sue coppe, le sue tazze e i suoi calici da servire per le libazioni.

    Il candelabro
  • Fece anche il candelabro d'oro puro; fece il candelabro lavorato al martello, con il suo piede e il suo tronco; i suoi calici, i suoi pomi e i suoi fiori erano tutti di un pezzo con il candelabro. Gli uscivano sei bracci dai lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall'altro; su uno dei bracci vi erano tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore; e sull'altro braccio, tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore. Lo stesso per i sei bracci uscenti dal candelabro. E nel tronco del candelabro vi erano quattro calici in forma di mandorla, con i loro pomi e i loro fiori. E c'era un pomo sotto i due primi bracci che partivano dal candelabro; un pomo sotto i due seguenti bracci che partivano dal candelabro, e un pomo sotto i due ultimi bracci che partivano dal candelabro; così per i sei rami che uscivano dal candelabro. Questi pomi e questi bracci erano tutti di un pezzo con il candelabro; il tutto era di oro puro lavorato al martello. Fece pure le sue lampade, in numero di sette, i suoi smoccolatoi e i suoi porta smoccolatoi, d'oro puro. Per fare il candelabro con tutti i suoi utensili impiegò un talento d'oro puro.

    L'altare dei profumi
  • Poi fece l'altare dei profumi, di legno di acacia; la sua lunghezza era di un cubito; e la sua larghezza di un cubito; era quadrato, e aveva un'altezza di due cubiti; i suoi corni erano tutti di un pezzo con esso. E lo rivestì d'oro puro: la parte di sopra, i suoi lati tutto intorno, i suoi corni; e gli fece una ghirlanda d'oro che gli girava attorno. Gli fece pure due anelli d'oro, sotto la ghirlanda, ai suoi due lati; li mise ai suoi due lati per passarvi le stanghe che servivano a portarlo. E fece le stanghe di legno di acacia, e le rivestì d'oro.

    L'olio santo e il profumo
    Poi fece l'olio santo per l'unzione e il profumo fragrante, puro, secondo l'arte del profumiere.

    (Notizie su Israele, 10 dicembre 2025)


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“La guerra con la Siria è inevitabile”, afferma Amichai Chikli

La sua dichiarazione accompagnava un video che mostrava soldati dell'esercito siriano che cantavano: “Gaza, Gaza, il nostro grido di battaglia, vittoria e determinazione, notte e giorno”

Il ministro israeliano della Diaspora e della Lotta contro l'antisemitismo, Amichai Chikli, ha pubblicato martedì sera su X che una guerra con la Siria è “inevitabile”. La sua dichiarazione era accompagnata da un video che mostrava soldati dell'esercito siriano che cantavano durante le celebrazioni per un anno dalla caduta di Assad: “Gaza, Gaza, il nostro grido di battaglia, vittoria e determinazione, notte e giorno”.
Questa dichiarazione arriva dopo che il quotidiano saudita ASharq Al-Awsat ha riportato che il primo ministro Netanyahu avrebbe rifiutato di firmare un accordo di sicurezza con la Siria a margine dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre. L'ufficio del primo ministro ha smentito, affermando che ci sono stati contatti sotto l'egida degli Stati Uniti, ma che non è mai stato concluso alcun accordo con la Siria.
Tuttavia, una fonte damascena coinvolta nei dettagli ha confidato a N12 che “la versione finale dell'accordo è quasi pronta” e si trova nelle sue fasi finali. “È solo questione di tempo prima che si possa arrivare a una svolta. La forma concreta che assumerà l'accordo è attualmente all'ordine del giorno”, ha precisato.
A Damasco, la caduta di Assad è stata celebrata con parate militari, elicotteri che sorvolavano la capitale e convogli di soldati per le strade. Ma dietro i festeggiamenti del regime di Al-Sharaa, le minoranze siriane esprimono profonde preoccupazioni per il futuro.
Una residente alauita della regione costiera siriana ha dichiarato a N12: "Oggi, a mio avviso, le relazioni con Israele nella Siria attuale sono solo un modo per guadagnare tempo, in tutta onestà. È un tentativo di rimandare il confronto, reclutare sostenitori estremisti e preparare il terreno per eventi tragici, simili a quelli del 7 ottobre".
Una settimana fa, il presidente americano Donald Trump ha messo in guardia Israele da azioni che potrebbero danneggiare lo sviluppo della Siria, invitandolo a promuovere il dialogo con il governo di Ahmed Al-Sharaa. Questa dichiarazione su Truth Social è stato il primo messaggio pubblico americano a Israele dopo l'incidente avvenuto due settimane fa in Siria, durante il quale venti siriani sono stati uccisi in un bombardamento dell'esercito israeliano. Secondo un alto funzionario americano, la condotta israeliana in Siria danneggia gli sforzi americani per promuovere un accordo di sicurezza tra i due paesi.

(i24, 10 dicembre 2025)

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Voci dal Medio Oriente per un futuro di pace

Il convegno dell’Associazione Cristiani per Israele

di Emanuel Segre Amar 

L’Associazione Cristiani per Israele, guidata da Edda Fogarollo, ha organizzato lunedì a Roma uno straordinario convegno intitolato “Voci – Dal Medio Oriente per un futuro di pace”; moderati da Ruben Della Rocca, hanno parlato importanti oratori, molti dei quali purtroppo poco conosciuti in Italia.
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Dopo i saluti dell’Ambasciatore di Israele Jonathan Peled e di alcuni parlamentari, Fiamma Nirenstein ha ricordato che a Betlemme – città abbandonata dalla maggioranza della popolazione cristiana da quando Israele si è ritirata – è ricominciata la celebrazione del Natale che era stata interrotta da due anni per volontà di Hamas. Gesù era ebreo, e l’antisemitismo non riguarda solo noi ebrei. “Fate dire ai vostri preti e pastori che l’antisemitismo è un crimine”, ha esclamato. È difficile immaginare il prossimo futuro con Qatar e Turchia che “giocano sporco”, ma solo Israele potrà disarmare Hamas. E dopo aver ringraziato Trump che ha aiutato a riportare i rapiti a casa, Fiamma ha chiuso affermando che “la Resistenza siamo noi, non Hamas”.
Per Mordechai Kedar, “alla base di qualsiasi accordo politico ci deve essere il riconoscimento reciproco; Israele non può riconoscere Hamas, Hezbollah, gli Houthi e l’Iran dopo il 7 ottobre, così come nessuno di questi riconoscerebbe mai il diritto di esistere di Israele”. Il suo pensiero è stato subito messo in chiaro.
La guerra dell’informazione è perduta perché il Qatar, nemico dell’Occidente e non solo di Israele, supporta i Fratelli Musulmani con le armi, con lo Jihad e attraverso il BDS, lo spettacolo, lo sport, gli incendi nelle chiese e l’immigrazione. Soltanto a Washington 120 giornalisti lavorano per Al Jazeera: sono tutti veri giornalisti? si chiede. E lo erano forse tutti quelli che Israele ha ucciso a Gaza?
Il Qatar col denaro ha acquistato il diritto di organizzare i Mondiali FIFA. Nonostante i numerosi casi di corruzione accertati e i tanti lavoratori morti nei cantieri, è riuscito a bloccare qualsiasi inchiesta sul suo conto.
Quella di genocidio non è neppure l’accusa peggiore rivolta a Israele; si torna anche “all’accusa del sangue per festeggiare la Pasqua”. Tutto iniziò con la Primavera Araba, che incendiò molte nazioni arabe: “L’Islam è venuto per cancellare le altre due religioni”, e cristiani ed ebrei sono tollerati solo dietro il pagamento di una tassa speciale, la jizya. Ma gli ebrei, che non sono considerati un popolo, non hanno diritto a uno Stato. Lo stesso riconoscimento trumpiano di Gerusalemme come Capitale è visto come una “minaccia teologica”.
Il 9 aprile 2023 Kedar previde in un suo noto articolo, come ha ricordato il moderatore Della Rocca, l’attacco voluto dall’Iran, e ha spiegato che questo avrebbe dovuto essere scatenato da tutti i proxy insieme, ma fu poi anticipato da Hamas. Per lo Jihad, però, c’è sempre tempo per colpire di nuovo: l’Oceano Atlantico è stretto, e un giorno tutti, europei e americani, comprenderanno che non è la “bella vita” che ai palestinesi, arricchiti dal Qatar, interessava, pur riconoscendo che non tutti i musulmani, e gli Emirati Arabi Uniti in particolare, ragionano così.
Per l’Ambasciatore israeliano Bahia Mansour, di etnia drusa, l’ONU poté cancellare la risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo 16 anni dopo averla approvata; oggi ciò sarebbe impossibile con il Qatar che controlla tutto grazie alle sue enormi disponibilità finanziarie.
Pochi giorni fa il Papa è andato in Turchia a parlare di pace alle minoranze, ma queste sono in pericolo ovunque. Al-Jawlani, che ha ucciso milioni di cristiani e alawiti e costretto molti drusi a fuggire dopo i recenti massacri, riceve aiuti dall’Occidente che invece dovrebbe guardarsi dal pericolo jihadista che ha al suo interno. Anche per Mansour, il pericolo viene da Qatar e Turchia (lui stesso non poté parlare a Harvard, dove alcuni studenti furono pagati per impedirgli di entrare nell’Università).
Molti drusi sono caduti per difendere Israele – il pericolo per loro è lo stesso che portò suo nonno ad essere ucciso dagli arabi nel 1936, appena arrivato nel nord di Israele – ma nelle città da loro guidate le diverse credenze convivono senza problemi.
Il giornalista Ben-Dror Yemini ha ricordato il lavaggio del cervello operato da Hamas che diffonde bugie da oltre 10 anni e ha anticipato che in un suo prossimo articolo ne parlerà nei dettagli. Ha spiegato che rimprovera gli studenti che incontra nelle università per l’applicazione di un “doppio standard” quando parlano di Israele “in quanto è antidemocratico”.
Israele si sta riprendendo dal trauma subìto; ovviamente tutte le critiche sono lecite, ma non è lecito negare il diritto di Israele a esistere. La gente ignora quasi tutto dello Jihad, del mondo musulmano – le cui vittime sono al 90% causate da loro stessi – e del desiderio di conquistare Roma. Eppure, quando si critica Israele, l’Occidente, ignorante, rimane bendato di fronte al pericolo.
Lion Udler si è soffermato sul rischio del terrorismo iraniano in Occidente parlando degli attentati sventati con l’aiuto del Mossad, ed ha spiegato come dall’Iran vengono reclutati e utilizzati musulmani e simpatizzanti di sinistra.
Questo convegno, davvero utile, si è concluso con l’intervento del reverendo Willem Glashouwer, che ha tenuto un discorso di grande interesse teologico, parzialmente confrontandosi col reverendo Jules Gomes. Ha ricordato che gli ebrei ricevettero una promessa eterna dal Signore che nessun uomo può cancellare: non possono cancellarla i musulmani, che si sono appropriati del Monte del Tempio, e nemmeno la Chiesa cattolica che dimentica che lo stesso Vangelo fu scritto da ebrei, e che sono solo loro che hanno pieno diritto sul Monte del Tempio. Entrambi si augurano che anche la Chiesa cattolica faccia quel passo necessario per poter arrivare davvero, un giorno, alla pace. Noi ebrei non possiamo che ringraziare il mondo evangelico per questa grande vicinanza a Israele e a noi tutti

(HaKol, 10 dicembre 2025)

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Cresce l’arruolamento tra drusi, beduini e cristiani arabi in Tzahal

di Nina Prenda

Negli ultimi mesi, l’esercito israeliano ha registrato un aumento significativo dell’arruolamento tra le comunità minoritarie del Paese, in particolare drusibeduini e cristiani arabi. Un fenomeno che riflette mutamenti profondi nella percezione dello Stato da parte di queste comunità e una crescente volontà di partecipare alla difesa nazionale.
Il colonnello Safi Ibrahim, ufficiale druso dell’esercito israeliano, racconta come i tragici eventi dello scorso luglio a Sweida, nel sud della Siria, abbiano avuto un effetto immediato e personale. Quando le milizie beduine e druse si sono scontrate, alcuni membri della comunità drusa israeliana hanno attraversato il confine per proteggere i parenti rimasti coinvolti. Per Ibrahim, quella missione militare ha rappresentato una fusione tra servizio e identità: “Proteggere le vite e difendere la tua gente ti fa sentire come se avessi fatto qualcosa di veramente importante e prezioso. È un grande orgoglio”, racconta al Times Of Israel.
L’esperienza di Sweida, unita al trauma nazionale del massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, ha accelerato un cambiamento culturale significativo. Tra i drusi delle alture del Golan l’arruolamento nell’IDF è aumentato in maniera impressionante. Secondo Ibrahim, la motivazione attuale è sei volte superiore rispetto al passato.
“Poco dopo l’inizio della guerra, abbiamo visto una volontà tra la popolazione locale di difendersi e unirsi alle riserve. Ora li vedi in uniformi IDF nei loro villaggi – qualcosa che erano riluttanti a fare in precedenza”, spiega il colonnello, ricordando anche l’attacco missilistico di agosto 2024 a Majdal Shams, che costò la vita a 12 bambini.
Il fenomeno non riguarda solo i drusi. L’arruolamento tra i beduini rimane alto, con oltre il 60% dei giovani in ruoli di combattimento, mentre tra i cristiani arabi si registra un aumento triplo rispetto all’anno precedente. Tra i musulmani non beduini, pur essendo numericamente ancora limitato, si osserva un interesse crescente da città come NazarethRamla e Sakhnin.
Ibrahim sottolinea come gli eventi recenti abbiano trasversale impatto su tutte le comunità: “Non importa da quale gruppo minoritario vieni, tutti hanno visto la crudeltà del 7 ottobre e si sono resi conto che al nemico non importava se fosse una donna beduina con un velo o un ebreo da un kibbutz”.
Nonostante la crescita, il numero complessivo di minoranze arruolate resta basso. Si ritiene che i musulmani abbiano solo poche dozzine di soldati e i cristiani poche centinaia.
Negli ultimi due anni, Ibrahim ha guidato la creazione di cinque accademie militari dedicate a preparare i giovani drusi a un “servizio significativo”, con particolare attenzione ai ruoli di combattimento e alle unità speciali. Una missione che affonda le radici nella tradizione familiare: tutti e cinque i fratelli di Ibrahim hanno prestato servizio attivo, quattro dei quali come comandanti, incluso il fratello maggiore, Brig. Gen. Hisham Ibrahim, capo dell’amministrazione civile in Giudea e Samaria.
“Abbiamo preso forza da nostra madre. Ci ha sempre dato fiducia che ciò che deve accadere, accade”, ricorda. E conclude: “La nostra fede come druso ci spinge ad assumere il servizio di combattimento”.

(Bet Magazine Mosaico, 10 dicembre 2025)

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La sua debolezza è la sua forza

Come Gedeone divenne un eroe e continua ancora oggi a influenzare l'esercito israeliano.

di Anat Schneider

Nel centro di addestramento per ufficiali vicino a Mitzpe Ramon c'è un enorme cartello con la scritta: “Guardate me e fate quello che faccio” (Giudici 7,17). Sotto questo motto di Gedeone, gli ufficiali dell'IDF giurano fedeltà all'esercito e allo Stato di Israele.
  E in effetti vediamo che Gedeone ha ancora oggi una grande influenza e ispirazione per il progetto sionista e le lotte del nostro tempo:

  • 1913 L'organizzazione clandestina N.I.L.I. all'inizio si chiamava “Gideoniti”.
  • 1938 I commando notturni furono chiamati “truppe di Gedeone”.
  • 1948 Il battaglione Golani fu chiamato “battaglione di Gedeone”.
  • 1990 L'unità di polizia sotto copertura è chiamata “unità Gideonim”.
  • 2025 L'operazione a Gaza è stata chiamata “il carro di Gedeone”.

Anche coloro che vivevano ai tempi di Gedeone lo consideravano un grande giudice. Era l'unico che i suoi contemporanei volevano eleggere re (Giudici 8:22). Gedeone è un personaggio affascinante che attraversa una trasformazione per diventare un guerriero e un modello fino ai giorni nostri. Attraversa anche un processo mentale che solleva interrogativi e in questo articolo cercheremo di ripercorrere il suo viaggio.
  La valle di Jesreel era una zona molto importante. Separava le tribù settentrionali e meridionali di Israele. Se i nemici avessero preso il controllo della valle, l'unità tra le tribù sarebbe stata distrutta. Pertanto, la zona aveva una grande importanza strategica. Durante il periodo dei giudici, in questa valle si svolsero tre grandi battaglie: Debora contro Sisera sul monte Tabor, Gedeone contro Madian a Givat Hamorah e il re Saul a Gilboa. Tutte avevano lo scopo di proteggere la valle adiacente e unire le tribù di Israele.

Una guerra strana
   La guerra di Gedeone contro i Madianiti è molto strana, poiché egli porta con sé solo 300 guerrieri. I Madianiti erano così numerosi che Giudici 7,12 li paragona a uno sciame di locuste e avevano innumerevoli cammelli. A tarda notte, i trecento circondano l'accampamento, rompono le brocche, suonano i corni e alzano le torce accese. Funziona perfettamente. I Madianiti sono presi dal panico e non sanno chi sia amico e chi nemico. Molti si uccidono a vicenda, l'intero esercito fugge. Così Gedeone ottiene una delle più grandi vittorie del popolo d'Israele. Cosa gli aveva fatto credere che quel piccolo numero di guerrieri e quella strana azione con le torce e i corni avrebbero sconfitto il potente esercito?
  Le parole paura, preoccupazione e inquietudine sono parole chiave nella storia di Gedeone e descrivono lo stato degli Israeliti ai suoi tempi.
  Il popolo d'Israele è in difficoltà e teme i suoi nemici. Grida a Dio. Dio lo ascolta e sceglie Gedeone della tribù di Manasse come giudice. Ci si potrebbe aspettare di incontrare un guerriero dalla forte volontà, pronto a combattere contro i Madianiti e a sconfiggerli. Invece incontriamo un semplice contadino che mette alla prova l'angelo di Dio più volte per assicurarsi che questa sia davvero la sua vocazione. Nel corso della storia, Gedeone si rivela un uomo timoroso. Allo stesso tempo, però, impariamo a conoscere la sua personalità. È sensibile a ciò che il popolo ha nel cuore.
  Gedeone mette alla prova l'angelo di Dio, dimostrando la sua grande paura. Anche dopo aver accettato di assumere la guida, poco prima della battaglia mette alla prova anche Dio stesso in modo molto strano: «Metterò un vello di lana sull'aia. Se durante la notte la rugiada cadrà sul vello e lo bagnerà, ma tutto il terreno rimarrà asciutto, allora saprò che Dio è con me».
  Dio fa proprio questo. Al mattino Gedeone strizza il vello, mentre il resto del terreno è asciutto. La prova è superata. Ma questo non gli basta. Chiede a Dio un altro segno e lo mette nuovamente alla prova. Questa volta vuole che la rugiada bagni tutto il terreno, ma che il vello rimanga asciutto. E così avviene.
  Poi arriva il momento della battaglia. Al culmine della storia, Gedeone si trova a Ein Harod, dove la paura, l'inquietudine e la preoccupazione sono ancora presenti. Anche il nome del luogo suggerisce paura. Ein Harod significa “fonte di paura e inquietudine”. E qui c'è un'altra prova affascinante prima di andare in battaglia. Dio dice a Gedeone che ha troppi guerrieri al suo fianco e che, se la situazione rimane così, i guerrieri si vanteranno della loro vittoria e dimenticheranno che la vittoria viene da Dio. Ordina a Gedeone di ridurre il numero dei soldati. Come? Gedeone dice ai suoi soldati che chiunque abbia paura della battaglia deve andare sul monte Gilead e osservare la battaglia dall'alto. Riuscite a immaginare una situazione del genere oggi? Che poco prima di una battaglia decisiva in Israele arrivi il capo di stato maggiore e congedi dalla battaglia tutti coloro che non sono in grado di combattere? Cosa sta succedendo qui?

Paura
   Dio, che conosce i cuori, parla a Gedeone nello stesso linguaggio emotivo a lui familiare. Gli ordina di dire a tutti coloro che «hanno paura e sono spaventati» (Giudici 7:3) di lasciare il campo di battaglia e di limitarsi a guardarlo. Essendo egli stesso un uomo timoroso e spaventato, Gedeone è in grado di immedesimarsi nei cuori delle persone e di comprenderle.
  Vediamo che le parole “paura” e “timore” sono parole chiave in questa storia: gli Israeliti hanno paura e si rifugiano nelle caverne; Gedeone trebbia il grano nel torchio e teme Madian; Gedeone ha paura della missione e chiede all'angelo un segno; Gedeone ha paura degli uomini della sua città; la prima prova con il vello; la seconda prova con il vello; il licenziamento dei soldati timorosi a Ein Harod.
  La paura permea l'intera storia. La paura è un sentimento molto umano e naturale. Ma la paura può degenerare in terrore, e questo è molto peggio. Qual è la differenza tra paura e terrore? La paura non è qualcosa di negativo; è come un segnale di allarme che ci protegge, ci rende cauti e ci fa vedere chiaramente la realtà. In ebraico, le parole paura e impulso hanno le stesse lettere, il che significa che la paura può diventare un impulso e spingerci avanti.
  Per paura intendo un timore che domina la nostra vita e ci rende incapaci di agire. Una sensazione esistenziale di essere vicini alla morte. Gedeone, che capisce cos'è la paura, congeda il popolo dalla battaglia. E il modo in cui lo fa lo rende degno di essere preso a modello dall'esercito israeliano ancora oggi. Non dice ai soldati di tornare a casa. Dice loro: “Lasciate andare il popolo, ognuno al proprio posto”, come se dicesse loro: “Ho bisogno di voi, ma per un altro compito”.
  Una delle misure adottate oggi dall'esercito israeliano in combattimento è che anche se qualcuno soffre di shock da combattimento o di un trauma, non viene congedato dal servizio, ma gli viene assegnato un altro compito, in modo che continui a sentirsi importante e parte integrante del gruppo. Gli viene offerta una via d'uscita onorevole, affinché non rimanga con un senso di vergogna o umiliazione. Questo fa parte del processo di guarigione della persona.

La prova dell’acqua
   Anche dopo che Gedeone ha mandato via i soldati timorosi, sono ancora troppi. Dio gli ordina di effettuare un'altra prova a Ein Harod, la “prova dell'acqua”. I guerrieri scendono alla fonte. Lì devono bere l'acqua. La stragrande maggioranza dei guerrieri si inginocchia e beve dalla fonte. Al contrario, c'è una minoranza che si limita a leccare l'acqua dalla mano senza inginocchiarsi.
  Coloro che leccano senza inginocchiarsi vengono scelti da Dio e Gedeone per la battaglia. 300 soldati. Perché proprio loro? Il secondo capo di stato maggiore dello Stato di Israele, Yigal Yadin, disse che queste persone si erano dimostrate più diffidenti e caute. Coloro che si inginocchiavano dovevano mettere da parte le armi ed esporsi al pericolo di un incontro con il nemico, mentre coloro che leccavano si comportavano come un uccello che beve e guarda continuamente a destra e a sinistra. Anche Gedeone è diffidente e cauto; e poiché conosce se stesso, decide di portare con sé quelli che sono come lui, quelli che secondo lui hanno il potenziale per trasformare la debolezza in forza.
  Poi arriva la notte della battaglia. Dio sa che Gedeone è ancora preoccupato. Per questo gli dà un'altra possibilità di superare i suoi timori e gli dice che, se vuole, può scendere di nascosto nell'accampamento dei Madianiti per ascoltare di cosa parlano. È la nona (e ultima) volta che la paura e la preoccupazione compaiono nella sua storia.

La prova del sogno
   Gedeone entra coraggiosamente nell'accampamento nemico, si nasconde e sente un madianita raccontare al suo amico un sogno in cui una pagnotta rotola attraverso l'accampamento dei Madianiti e rovescia la tenda. L'amico gli interpreta il sogno e dice che il pane è Gedeone (il contadino). E i Madianiti sono i pastori, simboleggiati dalla tenda. Il pane rotola giù e distrugge la tenda.
  Gedeone capisce che l'accampamento dei Madianiti ha paura della battaglia, ed è proprio questo che deve sentire per superare la sua paura e agire. In quel momento capisce profondamente il nemico e sa che, così come la paura è la sua debolezza, lo è anche quella dei suoi nemici.
  L'uomo con la grande paura, Gedeone, che comprende la paralisi causata dalla paura, ora sa cosa fare. Così la debolezza di Gedeone diventa la sua forza.
  Attraverso questa storia vengono rivelate le sue altre qualità: sa come spiare. Ma ancora più importante è che sa cosa fare con le informazioni che ha ottenuto; e da ciò nasce l'idea geniale delle brocche vuote, delle torce e dei corni. Da quel momento in poi, Gedeone agisce con grande fiducia nel fatto che Dio ha consegnato i Madianiti nelle loro mani, e le sue paure e preoccupazioni scompaiono.

La battaglia
   Gedeone divide il suo esercito in tre gruppi di 100 soldati ciascuno. C'è una via di fuga aperta per scacciare i Madianiti. Nell'antichità, il corno e la torcia erano in possesso del comandante (cfr. il libro di Neemia). In altre parole: quando il nemico sentì lo shofar e vide la torcia, concluse che si trattava del comandante con lo shofar e che dietro di lui c'erano migliaia di guerrieri.
  La genialità del piano di Gedeone era che quando i Madianiti si svegliarono nel cuore della notte per il forte rumore delle brocche che si rompevano, non videro 300 uomini davanti a loro. Dal loro punto di vista, videro 300 torce e furono certi di essere circondati da migliaia di nemici. Presi dal panico e dalla confusione, cominciarono a pugnalarsi a vicenda con le spade. E così 300 soldati israeliani sconfissero 135.000 nemici (Giudici 8:10).
  Gedeone, che trasformò il suo svantaggio in un vantaggio, è ancora oggi una figura venerata. Più impariamo a conoscere Gedeone e più scopriamo le sfaccettature del suo carattere, più riconosciamo chiaramente le qualità che contraddistinguono ogni grande leader. Gedeone è attento alle esigenze del suo popolo. È il padre delle battaglie notturne. Ha una grande forza morale. Ha sviluppato la strategia militare dei pochi contro i molti. È un modello da seguire. È equilibrato e cauto. Si prende cura dei suoi soldati e dei loro sentimenti. Si prende cura di se stesso. Conosce e accetta le sue paure e impara a controllarle e a superarle. Ma la cosa più importante è che segue la voce di Dio.
  Nel corso del suo viaggio, Gedeone incontra persone che lo accompagnano e gli sono fedeli. Parte del suo superamento della paura consiste nel sapere di far parte di qualcosa di molto più grande di lui.

Eroi tra il popolo
   Questo si può osservare ancora oggi tra i combattenti in Israele. Si pensi al 7 ottobre 2023. Gli eroi si sono levati come mai prima d'ora nella storia del popolo. Hanno capito che la vita della popolazione civile era in pericolo mortale e che era della massima importanza proteggerla. Molti hanno deciso di partecipare al salvataggio delle persone e hanno trovato in se stessi la forza di superare la paura e la preoccupazione. Alcuni hanno persino agito di propria iniziativa nel caos che regnava quel giorno.
  L'ultima operazione a Gaza porta il nome di “Gideon's Chariot”, che sottolinea l'influenza di Gideon sulla leadership politica e militare. Basta guardare come opera l'aviazione israeliana per capire che i nostri leader, i vecchi combattenti, continuano a influenzarci ancora oggi.
  “Guardate me e fate quello che faccio” è da generazioni un motto dello Stato di Israele e delle forze armate israeliane. Con questo slogan, l'IDF forma i grandi guerrieri del popolo di Israele, rendendo Gedeone un comandante rilevante ancora oggi.

(Israel Heute, 10 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 36
  • Besaleel e Ooliab e tutti gli uomini abili, nei quali l'Eterno ha messo sapienza e intelligenza per saper eseguire tutti i lavori per il servizio del santuario, faranno ogni cosa secondo quanto l'Eterno ha ordinato”.

    Generosità del popolo
  • Mosè chiamò dunque Besaleel e Ooliab e tutti gli uomini abili nei quali l'Eterno aveva messo intelligenza, tutti quelli che il cuore spingeva ad applicarsi al lavoro per eseguirlo; ed essi presero da Mosè tutte le offerte portate dai figli d'Israele per i lavori destinati al servizio del santuario, per eseguirli. Ma ogni mattina i figli d'Israele continuavano a portare a Mosè delle offerte volontarie. Allora tutti gli uomini abili che erano occupati in tutti i lavori del santuario, lasciato ognuno il lavoro che faceva, vennero a dire a Mosè: “ Il popolo porta molto più di quello che occorre per eseguire i lavori che l'Eterno ha comandato di fare”. Allora Mosè diede quest'ordine, che fu bandito per il campo: “Né uomo né donna faccia più nessun lavoro come offerta per il santuario”. Così si impedì che il popolo portasse altro. Poiché la roba già pronta bastava a fare tutto il lavoro, e ve n'era di avanzo.

    Costruzione del tabernacolo
  • Tutti gli uomini abili, fra quelli che eseguivano il lavoro, fecero dunque il tabernacolo di dieci teli, di lino fino ritorto, e di filo color violaceo, porporino e scarlatto, con dei cherubini artisticamente lavorati. La lunghezza di un telo era di ventotto cubiti; e la larghezza, di quattro cubiti; tutti i teli erano della stessa misura. Cinque teli furono uniti assieme, e gli altri cinque furono pure uniti assieme.
  • Si fecero dei nastri di colore violaceo all'orlo del telo che era all'estremità della prima serie di teli; e lo stesso si fece all'orlo del telo che era all'estremità della seconda serie. Si misero cinquanta nastri al primo telo, e cinquanta nastri all'orlo del telo che era all'estremità della seconda serie: i nastri corrispondevano l'uno all'altro. Si fecero pure cinquanta fermagli d'oro, e si unirono i teli l'uno all'altro mediante i fermagli; e così il tabernacolo formò un tutto unico.
  • Si fecero inoltre dei teli di pelo di capra, che servivano da tenda per coprire il tabernacolo: di questi teli se ne fecero undici. La lunghezza di ogni telo era di trenta cubiti; e la larghezza, di quattro cubiti; gli undici teli avevano la stessa misura. E si unirono insieme, da una parte, cinque teli, e si unirono insieme, dall'altra parte, gli altri sei. E si misero cinquanta nastri all'orlo del telo che era all'estremità della prima serie di teli, e cinquanta nastri all'orlo del telo che era all'estremità della seconda serie. E si fecero cinquanta fermagli di bronzo per unire assieme la tenda, in modo che formasse un tutto unico.
  • Si fece pure per la tenda una coperta di pelli di montone tinte di rosso e, sopra questa, un'altra di pelli di tasso. Poi si fecero per il tabernacolo le assi di legno di acacia, messe per diritto. La lunghezza di un'asse era di dieci cubiti, e la larghezza di un'asse, di un cubito e mezzo. Ogni asse aveva due incastri paralleli; così fu fatto per tutte le assi del tabernacolo.
  • Si fecero dunque le assi per il tabernacolo: venti assi dal lato meridionale, verso il sud; e si fecero quaranta basi d'argento sotto le venti assi: due basi sotto ogni asse per i suoi due incastri. E per il secondo lato del tabernacolo, il lato di nord, si fecero venti assi, con le loro quaranta basi d'argento: due basi sotto ogni asse.  E per la parte posteriore del tabernacolo, verso occidente, si fecero sei assi. Si fecero pure due assi per gli angoli del tabernacolo, dalla parte posteriore. Queste erano appaiate dal basso in alto e, al tempo stesso, formavano un tutto unico fino in cima, fino al primo anello. Così fu fatto per entrambe le assi, che erano ai due angoli. Vi erano dunque otto assi, con le loro basi d'argento: sedici basi: due basi sotto ogni asse.
  • E si fecero delle traverse di legno di acacia: cinque, per le assi di un lato del tabernacolo; cinque traverse per le assi dell'altro lato del tabernacolo, e cinque traverse per le assi della parte posteriore del tabernacolo, a occidente. E si fece la traversa di mezzo, in mezzo alle assi, per farla passare da una parte all'altra. E le assi furono rivestite d'oro, e furono fatti d'oro gli anelli per i quali dovevano passare le traverse, e le traverse furono rivestite d'oro.
  • Fu fatto pure il velo, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto con dei cherubini artisticamente lavorati; e si fecero per esso quattro colonne di acacia e si rivestirono d'oro; i loro chiodi erano d'oro; e per le colonne si fusero quattro basi d'argento.
  • Si fece anche per l'ingresso della tenda una portiera, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, un lavoro di ricamo. E si fecero le sue cinque colonne con i loro chiodi; si rivestirono d'oro i loro capitelli e le loro aste; e le loro cinque basi erano di bronzo.

(Notizie su Israele, 9 dicembre 2025)


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Attacchi aerei israeliani nel sud del Libano.

Colpiti obiettivi di Hezbollah

di Sarah G. Frankl

Martedì l’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito infrastrutture appartenenti a Hezbollah in diverse zone del Libano meridionale, tra cui quello che ha descritto come un campo di addestramento utilizzato dalle forze Radwan del gruppo armato.
Nell’attacco sono state colpite anche strutture militari e una base di lancio appartenenti a Hezbollah, ha aggiunto l’esercito in una dichiarazione.
Gli attacchi sono avvenuti meno di una settimana dopo che Israele e Libano hanno inviato entrambi delegati civili a una commissione militare incaricata di monitorare il cessate il fuoco, un passo avanti verso la richiesta avanzata mesi fa dagli Stati Uniti affinché i due paesi amplino i colloqui in linea con l’agenda di pace in Medio Oriente del presidente Donald Trump.
Israele e Libano hanno concordato un cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti nel 2024 che ha posto fine a più di un anno di combattimenti tra Israele e Hezbollah. Da allora, si sono scambiati accuse di violazioni.
L’agenzia di stampa statale libanese NNA ha riferito che aerei da guerra israeliani hanno effettuato una serie di attacchi aerei contro diversi luoghi nel sud del Paese.

(Rights Reporter, 9 dicembre 2025)

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Servizio militare obbligatorio: dibattito sulla pace o dibattito sulla sopravvivenza?

Perché Israele e Germania discutono della stessa questione, ma su realtà completamente diverse.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Negli ultimi giorni mi sono occupato più volte dello sciopero scolastico dei giovani tedeschi contro un possibile servizio militare obbligatorio in Germania. Da una prospettiva israeliana, questo fenomeno sembra in un primo momento strano. Ma sapete una cosa? Anche da noi c'è un gruppo che, a modo suo, sta attuando uno sciopero scolastico simile contro il servizio militare: gli studenti ortodossi della yeshiva e della Torah. Per motivi religiosi, essi rifiutano di prestare servizio nell'esercito, mentre i loro fratelli dello stesso popolo sono in guerra. Su incarico dei loro rabbini, protestano contro la legge in progetto che dovrebbe porre fine a questa posizione speciale e includere anche gli studenti ortodossi nel servizio militare obbligatorio. Sui loro cartelloni si leggono slogan come:

  • “Preferiamo morire piuttosto che essere reclutati”,
  • “Preferisco che Hamas mi uccida piuttosto che diventare laico”,
  • “Non crediamo nel dominio dei miscredenti e non ci presentiamo nei loro uffici”,
  • “Meglio morire ultraortodossi che arruolarsi nell'esercito come israeliani laici” e persino:
  • “Stalin è qui”.

Se si confrontano questi slogan con quelli delle manifestazioni nelle città tedesche, anche lì emergono chiare linee ideologiche:

  • “Non siamo carne da cannone”,
  • “Il mio futuro mi appartiene”,
  • “Il vostro dovere – la nostra morte” e persino:
  • “Meglio vivere sotto il dominio di Putin che combattere”.

È interessante notare che in entrambi i casi viene utilizzato lo spettro di un russo, qui Stalin, là Putin.
A prima vista, i dibattiti sull'obiezione di coscienza in Israele e in Germania sembrano simili. In entrambi i paesi, alcuni gruppi invocano la propria coscienza per rifiutare il servizio militare. Ma la differenza fondamentale è più profonda: in Israele il servizio militare obbligatorio è una realtà, in Germania finora no. Soprattutto, però, non si tratta solo di posizioni politiche, ma di due categorie completamente diverse, l'esistenza contro l'ideale, la sopravvivenza contro la visione. Ed è proprio qui che per me sta il punto cruciale, anche se so che con questa affermazione potrei urtare la sensibilità di qualcuno. A mio avviso, entrambi i gruppi hanno torto. I giovani ortodossi invocano i comandamenti divini, i giovani tedeschi gli ideali umanistici. Entrambi agiscono per convinzione e, a mio avviso, entrambi sottovalutano la dura realtà del mondo in cui vivono. So che questa valutazione non è obiettiva. E so che con essa irriterò nuovamente alcuni.
In Israele, parte della società ultraortodossa rifiuta il servizio militare per convinzione religiosa. Essi non considerano lo studio della Torah come una forma di devozione privata, ma come uno scudo spirituale che protegge l'intero popolo. Nella loro teologia, non è l'esercito, ma Dio a proteggere Israele. Questo atteggiamento è però in drammatico contrasto con la realtà dello Stato, poiché Israele vive sotto una costante minaccia militare. Il servizio militare qui non è un dovere teorico, ma il presupposto concreto per la sopravvivenza fisica del Paese. Chi non presta servizio è comunque protetto da coloro che lo prestano; da ciò deriva la profonda frattura interna della società israeliana.
In Germania, invece, la protesta contro un possibile ritorno alla coscrizione obbligatoria nasce da una realtà completamente diversa. La Germania non è soggetta a una minaccia esistenziale immediata. La resistenza dei giovani si nutre di motivi pacifisti, etici e storici, del desiderio di superare fondamentalmente la violenza militare. Qui non si difende la propria esistenza, ma si formula un ideale morale, la pace come modello politico. Così come gli ebrei ortodossi credono che sia Dio a difendere il Paese e non l'esercito, i giovani tedeschi pensano che la pace e l'amore siano la difesa più efficace per la patria tedesca. La differenza è che Israele ha un esercito funzionante, mentre in Germania non ne sono così sicuro.
Da un punto di vista teologico, si scontrano due mondi di coscienza. In Israele l'argomento religioso è che il servizio a Dio protegge il popolo. In Germania l'argomento etico è che la rinuncia alla violenza protegge l'umanità. Entrambe sono convinzioni forti, ma si collocano in contesti storici completamente diversi. Il pacifismo tedesco è la voce di una distanza sicura, mentre l'obiezione di coscienza ortodossa in Israele è una decisione presa nel mezzo di una tempesta esistenziale. Entrambi gli atteggiamenti hanno qualcosa di decisivo in comune: rimangono passivi nel loro nucleo. Ma la fede che non agisce rimane inefficace. La fede in qualcosa deve essere attiva, altrimenti non si realizza. È proprio così che è nato lo Stato di Israele: gli ebrei non solo hanno creduto, ma hanno trasformato questa fede in storia, l'hanno organizzata, difesa, costruita, mettendo a rischio la propria vita. E questa fede attiva dovrebbe valere oggi per entrambi i gruppi, sia in Israele che in Germania. Perché con la preghiera e lo studio della Bibbia da soli non si vince una guerra. E con il pacifismo e l'umanesimo da soli non si difende un Paese. Per quanto nobili possano sembrare questi ideali, le guerre si vincono sul campo di battaglia.
È proprio qui che si manifesta la frattura politica: mentre in Germania nessuno si chiede seriamente chi dovrà difendere militarmente il Paese domani mattina, in Israele questa domanda è una realtà quotidiana. Per questo motivo, l'obiezione di coscienza non è percepita come una decisione individuale di coscienza, ma come una potenziale minaccia alla comunità. La categoria religiosa della fiducia in Dio si scontra direttamente con il dovere dello Stato di difendersi.
Ne consegue che in Germania il dibattito sul servizio militare obbligatorio è un dibattito sulla pace, mentre in Israele è un dibattito sulla sopravvivenza. Entrambi toccano la coscienza, ma non la stessa realtà. Ed è proprio qui che risiede la profonda tragicità del conflitto israeliano: la fede nella protezione divina e la responsabilità politica per la protezione umana non si completano a vicenda, ma sono in contrasto tra loro.

(Israel Heute, 9 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Cuori aperti: incontri commoventi con i sopravvissuti all'Olocausto ad Amburgo

I sopravvissuti alla Shoah non si trovano solo in Israele o in Ucraina. Vivono anche qui, proprio davanti alla nostra porta di casa. Molti hanno iniziato una nuova vita in Germania dopo la guerra. Dopo Francoforte, l'iniziativa “Bouquet di fiori” di “Christen an der Seite Israels” (CSI - Cristiani dalla parte di Israele) per i sopravvissuti all'Olocausto arriva ora anche nel nord, ad Amburgo.

di Raquel Schwärzler

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Nell'ambito della campagna di donazione di mazzi di fiori per i sopravvissuti all'Olocausto, i membri dello staff del CSI si sono recati ad Amburgo.

“Dobbiamo trasmettere le nostre storie alle giovani generazioni finché siamo ancora qui!” Marat, nato nel 1938 nella Moldavia settentrionale, indossa un elegante abito decorato con numerose medaglie sul petto. Una di queste gli è stata conferita come “eroe del lavoro”, le altre gli sono state assegnate ogni cinque anni dopo la fine della guerra. È uno dei sette sopravvissuti all'Olocausto che all'inizio di dicembre hanno trascorso con noi una mattinata speciale nella comunità ebraica di Amburgo.
Vivo ad Amburgo da molti anni e purtroppo finora non ho avuto molti contatti con la comunità ebraica. Grazie alla mia collaborazione con Christen an der Seite Israels (CSI), che coltiva un'amicizia crescente con l'ente centrale di assistenza sociale degli ebrei in Germania (ZWST), ho potuto conoscere per la prima volta più da vicino la vita ebraica nella mia città. Il luogo d'incontro nel cuore di Amburgo è una delle 27 strutture dello ZWST in cui gli anziani ebrei si riuniscono una volta al mese.
Per questa speciale prima volta ho subito invitato la mia rete locale. All'ultimo minuto abbiamo imparato alcune canzoni popolari ebraiche con la chitarra per regalare ai sopravvissuti un contributo musicale. Per i sopravvissuti all'Olocausto è stato molto significativo incontrare di persona dei giovani che dimostrano solidarietà e apprezzamento.
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Una dipendente del CSI, consegna un saluto floreale ad Anatoli.

Davanti a un caffè e a panini imbottiti, ognuno ha poi condiviso la propria storia personale in questo intimo circolo. Così anche Michail, 92 anni. Lui e la sua famiglia fuggirono da Kremenchug. Ricorda che i parenti più anziani all'epoca dicevano ancora che “i tedeschi erano brave persone” e che non c'era da aver paura di loro. Molti dei suoi parenti furono poi fucilati. Nel 1944 Michail tornò nella sua città natale, che era stata quasi completamente distrutta. La sua famiglia visse per un certo periodo con ben dodici persone in una sola stanza. Negli anni dopo la guerra scrisse poesie sull'Olocausto e tradusse poesie tedesche in russo. Ha ricevuto diversi premi per la sua opera letteraria.
Dopo il nostro incontro abbiamo organizzato una visita a domicilio. Mi ha commosso particolarmente il fatto che si sia svolta proprio nel quartiere in cui vivo da molti anni. A pochi minuti da casa mia vive Anatoli, un sopravvissuto al campo di sterminio di Pechora. Pechora era uno dei peggiori campi di sterminio della Transnistria occupata, dove furono deportati migliaia di ebrei e dove la maggior parte di loro morì di fame, freddo e malattie. Solo pochi sopravvissero. Una donna tedesca della Russia fece uscire clandestinamente dal campo Anatoli, sua madre e altre 20 donne ebree. In seguito fu tradita e fucilata.
Un collaboratore della comunità ebraica ci ha raccontato in seguito di essere rimasto sorpreso: alcuni dei sopravvissuti, che di solito parlano poco, quel giorno si sono espressi in modo insolitamente aperto. Che onore che ci abbiano aperto il loro cuore.

(Christen an der Seite Israels, 8 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Come viene riempito il lago di Tiberiade

Il coraggioso esperimento di Israele per la sicurezza idrica.

di Dov Eilon

Per decenni il lago di Tiberiade è stato il principale fornitore di acqua potabile per moltissime famiglie e utenti industriali. Il fabbisogno idrico è diventato sempre più elevato. Solo una generazione fa il lago era motivo di preoccupazione nel Paese. Il suo livello veniva costantemente monitorato con indicatori di allerta rossi, il cui superamento al ribasso rischiava di provocare un collasso ecologico. La siccità e lo sfruttamento eccessivo hanno messo a nudo la zona costiera. Campagne come “Israele si sta prosciugando” hanno sensibilizzato la popolazione. “Siamo scesi al di sotto della linea rossa inferiore e ci siamo avvicinati alla linea nera”, ricorda Firas Talhami, capo della divisione nord dell'Autorità per le risorse idriche, in un'intervista con Ynet.

Impianti di desalinizzazione
  Nel frattempo, gli impianti di desalinizzazione israeliani hanno in gran parte eliminato la minaccia della carenza idrica. Un nuovo progetto denominato “Reverse Carrier” mira ora a riempire nuovamente il lago di Tiberiade. Si tratta di un progetto unico al mondo, guidato da considerazioni strategiche, ecologiche e culturali di ampio respiro. “Invece di convogliare l'acqua da nord a sud, ora la prendiamo da sud a nord e invertiamo il flusso verso il lago di Tiberiade”, ha spiegato Lior Gutman, portavoce della società nazionale di approvvigionamento idrico Mekorot, a Israel Innovation News.
Il sistema nazionale di condutture idriche, costruito negli anni '60, in passato trasportava l'acqua dal nord al Negev e per decenni ha garantito l'approvvigionamento alle città e all'agricoltura. Ora una rete simile scorre nella direzione opposta: l'acqua desalinizzata in eccesso viene pompata nel lago già dal 2022, soprattutto nei mesi invernali, quando il consumo è basso. Il progetto, del costo di quasi un miliardo di shekel (circa 300 milioni di euro), segna un cambiamento radicale: da un sistema che preleva acqua a uno che la conserva.
Il cambiamento è iniziato nel 2005 con la desalinizzazione su larga scala della costa mediterranea. I nuovi impianti hanno reso il Paese in gran parte indipendente dalla pioggia e hanno portato a un surplus idrico. “Oggi Israele è un Paese completamente diverso rispetto a 20 anni fa in termini di sicurezza idrica”, ha dichiarato un portavoce del Ministero dell'Energia a JNS.
La crisi idrica degli anni 2000 ha comunque influenzato la politica. La siccità dal 2013 al 2018, la più grave degli ultimi decenni, ha suscitato nuovi timori e ha portato all'idea di invertire il sistema nazionale di condutture.

Risorsa nazionale
  Secondo Mekorot, il progetto mira a preservare l'equilibrio ecologico del lago e a mantenerlo come risorsa strategica nazionale. Oggi il lago di Tiberiade funge principalmente da serbatoio di emergenza. “Se terremoti, guerre o altre emergenze dovessero causare il malfunzionamento degli impianti di desalinizzazione, potremmo utilizzare il lago di Tiberiade come fonte principale di acqua potabile e industriale”, ha spiegato Gutman.
Israele ha poche fonti d'acqua naturali. Inoltre, il lago di Tiberiade ha un profondo significato culturale. È una parte centrale del paesaggio israeliano e un'attrazione per i visitatori, in particolare per i pellegrini cristiani. “Durante i mesi estivi, il lago perde un centimetro al giorno a causa dell'evaporazione”, ha spiegato Greenbaum, presidente dell'associazione delle città Kinneret. “Speriamo che l'acqua desalinizzata possa garantire un livello elevato per gli israeliani e i turisti”.
Anche gli aspetti ecologici giocano un ruolo importante. Talhami ha spiegato che il progetto rivitalizzerà il torrente Zalmon e rafforzerà la flora e la fauna. L'acqua desalinizzata ha proprietà chimiche diverse dall'acqua del lago, ma come assicura Yechezkel Lifshitz, direttore generale dell'Autorità per le risorse idriche, l'acqua trattata in Israele è di qualità migliore e non causerà danni.
“Questo progetto è stato sviluppato con una prospettiva a lungo termine”, ha affermato Lifshitz. “Prevediamo un calo delle precipitazioni in Medio Oriente. Pertanto, dobbiamo mantenere alto il livello del Kinneret a lungo termine”. Il piano generale di Israele arriva già fino al 2075.

Capolavoro
  Il progetto “Reverse Carrier” è un capolavoro tecnico. Condutture sotterranee, stazioni di pompaggio e serbatoi convogliano l'acqua nel lago con la semplice pressione di un pulsante. L'acqua proviene dagli impianti di desalinizzazione di Ashdod, Hadera e lungo la costa. Durante l'inverno è possibile pompare fino a 5.000 metri cubi all'ora, mentre in seguito si potrà arrivare fino a 15.000.
Il ruolo di leader di Israele nella tecnologia idrica è oggi importante anche dal punto di vista diplomatico. Nel 2021 Israele e Giordania hanno firmato un accordo “acqua in cambio di energia”, mediato dagli Emirati Arabi Uniti: la Giordania fornisce energia solare, Israele fornisce acqua.
Israele fornisce acqua non solo alla Giordania, ma anche all'Autorità Palestinese, in base agli accordi degli anni '90. Anche negli anni di siccità, la quota è rimasta stabile e recentemente la fornitura alla Giordania è stata addirittura raddoppiata, raggiungendo i 100 milioni di metri cubi all'anno. “In Israele vivono 10 milioni di persone, ma noi forniamo acqua a 14 milioni”, ha affermato Gutman.
Il lago di Tiberiade rimane una parte centrale di questo sistema, anche come condotto per l'esportazione verso la Giordania. In futuro, una nuova sezione di condutture trasporterà l'acqua direttamente dal sud di Israele. Insieme al sistema Kinneret, si prevede che scorreranno 200 milioni di metri cubi all'anno, circa il 40% del fabbisogno totale della Giordania.

Crescita economica
L'innovazione idrica di Israele non si basa solo sulla desalinizzazione, ma su un sistema integrato altamente efficiente: solo il 3% dell'acqua viene perso a causa di perdite (a titolo di confronto: Regno Unito 20%, Bulgaria 50%, Romania 70%). Inoltre, il 90% delle acque reflue viene riutilizzato per l'agricoltura, un risultato che potrebbe essere un record mondiale. Ciò ha permesso a Israele di stabilizzare il proprio approvvigionamento e di crescere economicamente nonostante diversi anni di siccità.

(Israel Heute, 9 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 35
    La legge del sabato
  • Mosè convocò tutta la comunità dei figli d'Israele, e disse loro: “Queste sono le cose che l'Eterno ha ordinato di fare.  Sei giorni si dovrà lavorare, ma il settimo giorno sarà per voi un giorno santo, un sabato di solenne riposo, consacrato all'Eterno. Chiunque farà qualche lavoro in esso sarà messo a morte.  Non accenderete fuoco in alcuna delle vostre abitazioni il giorno del sabato”.

    Le offerte per la costruzione del tabernacolo
  • Poi Mosè parlò a tutta la comunità dei figli d'Israele, e disse: “Questo è quello che l'Eterno ha ordinato:  'Prelevate da quello che avete, un'offerta all'Eterno; chiunque è di cuore volenteroso porterà un'offerta all'Eterno: oro, argento, bronzo;  stoffe di colore violaceo, porporino, scarlatto, lino fino, pelo di capra,  pelli di montone tinte di rosso, pelli di tasso, legno di acacia,  olio per il candelabro, aromi per l'olio dell'unzione e per il profumo fragrante,  pietre di onice, pietre da incastonare per l'efod e per il pettorale.  Chiunque tra voi ha delle abilità venga ed esegua tutto quello che l'Eterno ha ordinato:  il tabernacolo, la sua tenda e la sua coperta, i suoi fermagli, le sue assi, le sue traverse, le sue colonne e le sue basi,  l'arca, le sue stanghe, il propiziatorio e il velo da stendere davanti all'arca, la tavola e le sue stanghe,  tutti i suoi utensili, e il pane della presentazione;  il candelabro per la luce e i suoi utensili, le sue lampade e l'olio per il candelabro;  l'altare dei profumi e le sue stanghe, l'olio dell'unzione e il profumo fragrante, la portiera dell'ingresso per l'entrata del tabernacolo,  l'altare degli olocausti con la sua gratella di bronzo, le sue stanghe e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base,  le cortine del cortile, le sue colonne e le loro basi e la portiera all'ingresso del cortile;  i picchetti del tabernacolo e i picchetti del cortile e le loro funi;  i paramenti per le cerimonie per fare il servizio nel luogo santo, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne, e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio'”. 
  • Allora tutta la comunità dei figli d'Israele partì dalla presenza di Mosè.  E tutti quelli che il loro cuore spingeva e tutti quelli che il loro spirito rendeva volenterosi, vennero a portare l'offerta all'Eterno per l'opera della tenda di convegno, per tutto il suo servizio e per i paramenti sacri.  Vennero uomini e donne; quanti erano di cuore volenteroso portarono fermagli, orecchini, anelli da sigillare e braccialetti, ogni sorta di gioielli d'oro; ognuno portò qualche offerta d'oro all'Eterno.  E chiunque aveva delle stoffe tinte di violaceo, porporino, scarlatto, o lino fino, o pelo di capra, o pelli di montone tinte in rosso, o pelli di tasso, portava ogni cosa.  Chiunque poteva fare un'offerta d'argento e di bronzo, portò l'offerta consacrata all'Eterno; e chiunque aveva del legno di acacia per qualunque lavoro destinato al servizio, lo portò.  E tutte le donne abili filarono con le proprie mani e portarono i loro filati in colore violaceo, porporino, scarlatto, e del lino fino.  E tutte le donne che il cuore spinse a usare la loro abilità, filarono del pelo di capra.  E i capi del popolo portarono pietre d'onice e pietre da incastonare per l'efod e per il pettorale,  aromi e olio per il candelabro, per l'olio dell'unzione e per il profumo fragrante.  Tutti i figli d'Israele, uomini e donne, che il cuore mosse a portare volenterosamente il necessario per tutta l'opera che l'Eterno aveva ordinata per mezzo di Mosè, portarono all'Eterno delle offerte volontarie.

    Besaleel e Ooliab
  • Mosè disse ai figli d'Israele: “Vedete, l'Eterno ha chiamato per nome Besaleel figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda;  e lo ha riempito dello Spirito di Dio, di abilità, di intelligenza e di sapienza per ogni sorta di lavori,  per concepire opere d'arte, per lavorare l'oro, l'argento e il bronzo,  per incidere pietre da incastonare, per scolpire il legno, per eseguire ogni sorta di lavori d'arte.  E gli ha comunicato il dono d'insegnare: a lui e a Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan.  Li ha riempiti di intelligenza per eseguire ogni sorta di lavori di artigiano e di disegnatore, di ricamatore e di tessitore in colori svariati: violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino, per eseguire qualunque lavoro e per concepire lavori d'arte.

(Notizie su Israele, 8 dicembre 2025)


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Sondaggio: i libanesi favorevoli al monopolio della forza da parte dell'esercito

WASHINGTON – La grande maggioranza dei libanesi è favorevole al disarmo della milizia sciita Hezbollah. Secondo un sondaggio pubblicato giovedì dall'istituto americano Gallup, il 79% degli intervistati ha affermato che l'esercito dovrebbe essere l'unico gruppo a detenere armi.
  Solo tra gli sciiti si registra invece un'opinione opposta: solo il 27% ritiene che solo l'esercito dovrebbe detenere armi, mentre circa il 69% è di parere contrario. Il maggior consenso per il controllo esclusivo delle armi da parte dell'esercito si riscontra tra i cristiani (92%), seguiti dai drusi (89%) e dai sunniti (87%).

La metà è favorevole agli aiuti economici ai palestinesi
Il sondaggio ha inoltre rivelato che solo pochi sono favorevoli a un intervento militare a favore della “Palestina”: il 14% dei libanesi è favorevole al sostegno militare, il 10% sarebbe disposto ad affrontare un confronto con Israele. Circa la metà ha dichiarato di voler fornire aiuti economici ai palestinesi e di sostenerli politicamente. Solo il 31% si è detto favorevole agli aiuti economici ai palestinesi in Libano.
  Gallup ha condotto il sondaggio nei mesi di giugno e luglio attraverso interviste personali. L'istituto ha precisato che circa il 10% della popolazione è rimasto escluso: alcune zone controllate da Hezbollah nel sud del Paese e nella periferia meridionale della capitale Beirut non erano accessibili per il sondaggio.

Una minaccia di lunga data
Hezbollah è indebolito in particolare dall'operazione israeliana Pager e dall'uccisione del suo leader di lunga data Hassan Nasrallah nel settembre 2024. La milizia sostenuta dall'Iran minaccia Israele dall'inizio degli anni '80. Nel corso degli anni ha accumulato un vasto arsenale di armi e missili. Nel periodo successivo al massacro terroristico del 7 ottobre, ha attaccato lo Stato ebraico quasi ogni giorno.
  Nel novembre 2024, il Libano e Israele hanno concordato una tregua. Tra le altre cose, essa prevede il ritiro di Hezbollah dal sud del Libano. Tuttavia, l'esercito israeliano ha recentemente accusato il gruppo di non rispettare l'accordo e, al contrario, di riarmarsi. Nelle ultime settimane ha intensificato i colpi contro le infrastrutture terroristiche. Inoltre, l'esercito rimane schierato in cinque località nel sud del Libano a causa della presenza di Hezbollah.

Prima i negoziati diretti
Mercoledì, per la prima volta da decenni, si sono tenuti negoziati diretti tra rappresentanti israeliani e libanesi. Le due parti si sono incontrate mercoledì presso la sede dell'UNIFIL a Nakura, alla presenza di rappresentanti degli Stati Uniti e della Francia.
  Prima dell'incontro, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Likud) aveva suggerito che si sarebbe discusso anche delle “basi delle relazioni”. Il suo omologo libanese Nawaf Salam (senza partito) ha però contraddetto questa affermazione, sottolineando che uno Stato palestinese è un prerequisito per la normalizzazione con Israele. Tra il Libano e Israele esiste formalmente uno stato di guerra dalla guerra d'indipendenza israeliana del 1948/49.
  Dopo l'incontro, il governo israeliano ha parlato di un'«atmosfera positiva». I partecipanti al colloquio avrebbero concordato di «promuovere una possibile cooperazione economica». Giovedì il presidente libanese Joseph Aun ha dichiarato che i colloqui proseguiranno il 19 dicembre. (df)

(Israelnetz, 8 dicembre 2025)

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Ashkelon presenta il più grande parco giochi di Israele a forma di leone

di Nicole Nahum

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Ashkelon inaugura la sua nuova attrazione urbana: un parco giochi monumentale a forma di leone, tra i più grandi del suo genere in Israele, nonché tra i più imponenti al mondo. L’opera, inaugurata all’Eco Park, ambisce a diventare un nuovo simbolo cittadino e a trasformarsi in un polo di richiamo per famiglie e visitatori.
Esteso su circa 1000 metri quadrati e alto 13 metri, il grande leone ospita al suo interno un articolato percorso di gioco ideato dalla società israeliana Elu Et Nitzan. La struttura integra una torre centrale per l’arrampicata collegata a sette tunnel che riproducono la criniera dell’animale, affiancata da scivoli, altalene ed elementi dinamici pensati per il gioco attivo.
Il parco offre dispositivi sensoriali, aree fruibili da bambini con disabilità motorie e un sistema audio-luminoso che accompagna l’esperienza con effetti sonori e giochi di luce. Dalla cima della torre si apre una vista panoramica sul lago e sull’area verde, mentre diversi ingressi permettono ai bambini di muoversi liberamente al suo interno.
Le sezioni del parco sono state progettate per target di età differenti: i tunnel della criniera ospitano corde, reti inclinate e superfici per l’arrampicata, mentre le zampe anteriori sono dedicate ai più piccoli, con scivoli bassi e pannelli sensoriali che favoriscono l’equilibrio e la coordinazione.
Durante la presentazione ufficiale, il sindaco Tomer Glam ha sottolineato la portata innovativa del progetto, definendolo un motivo di grande orgoglio per la città. Anche Helen Roet-Nitzan, fondatrice e amministratrice di Elu Et Nitzan, ha evidenziato l’intento artistico alla base del parco, pensato per offrire ai bambini un’esperienza di gioco indimenticabile. 

(Shalom, 8 dicembre 2025)

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Elezioni israeliane 2026: MK Michal Woldiger

La parlamentare del Sionismo Religioso chiede la sostituzione dell'Autorità Palestinese, che secondo lei continua a finanziare e sostenere il terrorismo.

di Amelie Botbol

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Michal Woldiger

La parlamentare israeliana Michal Woldiger al parlamento israeliano a Gerusalemme. Foto di Noam Moskowitz/Ufficio del portavoce della Knesset.
La parlamentare del Partito Sionismo Religioso Michal Woldiger concorda pienamente con il leader del suo partito, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, sul fatto che un organismo completamente diverso dovrebbe sostituire l'Autorità Palestinese.
In un'intervista alla Knesset, Woldiger ha dichiarato a JNS che, nella realtà post 7 ottobre 2023, l'Autorità Palestinese continua a finanziare i terroristi e a fornire sostegno a loro e alle loro famiglie. “Chiunque danneggi un ebreo è molto apprezzato nella loro società. Nei loro libri di testo, i terroristi che uccidono, fanno esplodere o violentano gli ebrei sono descritti come eroi. È terribile”, ha detto.
L'anno scorso, Woldiger ha sostenuto il rinnovo di un ordine temporaneo che impedisce ai palestinesi della Giudea, della Samaria e di Gaza di ottenere automaticamente la cittadinanza israeliana attraverso il matrimonio con israeliani, tra le crescenti richieste di una legislazione permanente.
La legge sulla cittadinanza e l'ingresso in Israele (ordinanza temporanea), promulgata nel 2003 dopo la campagna di attentati suicidi della Seconda Intifada per rafforzare la sicurezza di Israele limitando l'immigrazione araba, è stata rinnovata ogni anno dalla sua approvazione. L'ordinanza prevede una vasta gamma di eccezioni, tra cui le famiglie con bambini, i casi umanitari, le esigenze mediche e i permessi di soggiorno temporanei ottenibili attraverso il matrimonio.
“Sta danneggiando il Paese; viola tutte le leggi internazionali. Ci sono dei confini e dobbiamo proteggerli. È legittimo che un Paese sovrano decida chi può entrare e chi no. Chi non è pronto a riconoscere il Paese non dovrebbe poter entrare, tanto meno stabilirsi qui”, ha affermato.
Woldiger, che è presidente della Commissione Lavoro e Welfare della Knesset, l'ha descritta come uno degli organi più importanti del legislatore. Il lavoro della commissione comprende iniziative di riabilitazione sia per i civili che per i soldati colpiti da oltre due anni di guerra.
“Questo non riguarda solo la salute mentale”, ha affermato, sottolineando che ha lavorato per migliorare il calcolo dei benefici finanziari per i riservisti delle Forze di Difesa Israeliane, compresa la base salariale utilizzata durante il loro servizio.
“I riservisti sono quelli che, in fin dei conti, tengono insieme questo Paese. Le loro famiglie soffrono perché le responsabilità quotidiane ricadono sulle mogli e sui figli, che hanno bisogno di assistenza sociale e sostegno emotivo. Questo rientra nelle competenze della mia commissione”, ha affermato.
“Non si tratta solo dei soldati, ma l'attenzione è concentrata su di loro: molti hanno subito un trauma enorme il 7 ottobre. Alcuni soffrono di disturbo da stress post-traumatico e trauma da combattimento, e il Paese non lo ha riconosciuto a causa della mancanza di consapevolezza”, ha continuato.
"Era proibito parlare del dolore, soprattutto del dolore che non si vede, perché l'idea era che se non si vede, non esiste. Oggi stiamo riuscendo a creare un cambiamento importante“, ha affermato.
”La famiglia di un soldato che ha subito lesioni fisiche e deve essere ricoverato in ospedale riceve un aiuto finanziario a causa della sua perdita di capacità lavorativa“, ha spiegato, ma ”la famiglia di un soldato ricoverato in un ospedale psichiatrico non riceveva nulla. Siamo riusciti a cambiare questa situazione, insieme a molte altre questioni relative alla salute mentale".
Il 25 novembre la Knesset ha celebrato la Giornata internazionale della salute mentale. La commemorazione è il risultato di una legge da lei promossa, ha affermato Woldiger. “Si tratta di temi fondamentali per la resilienza del popolo israeliano”, ha dichiarato a JNS.
Woldiger, che si autodefinisce “una donna del popolo”, ha affermato che dopo la sua elezione alla Knesset ha lanciato un sito web per le richieste di informazioni da parte del pubblico. Spesso, preoccupazioni ricorrenti emersero in diverse comunità, spingendola a promuovere una legislazione.
Tra queste, ha sottolineato una legge che vieta la discriminazione nelle professioni che richiedono una licenza. “Per diventare dentista, si può anche eccellere all'università, ma poi si deve superare un comitato del Ministero della Salute per ottenere la licenza. Chiunque abbia mai sofferto di un disturbo mentale o emotivo sarebbe considerato non idoneo, non in base alle capacità, ma a causa di un regolamento”, ha detto.
“Insieme a Yonatan Mishraki [Partito Shas], che presiedeva la Commissione Sanità della Knesset, siamo riusciti a cambiare questa situazione e stiamo cercando di fare lo stesso per i professori universitari”, ha aggiunto.
Woldiger ha anche lavorato per modificare la legge sulla pianificazione e l'edilizia al fine di rendere più comune la costruzione di alloggi per la salute mentale nelle comunità come alternativa al ricovero psichiatrico, sottolineando che un ricovero non necessario può causare danni indiretti.
Per quanto riguarda la legislazione sulla sicurezza nazionale, Woldiger ha affermato che lei e altri legislatori hanno insistito affinché gli educatori insegnassero materie in linea con i valori e la narrativa di Israele. “Abbiamo legiferato per consentire l'allontanamento dal sistema educativo degli insegnanti che sostengono il terrorismo. Tutto inizia e finisce con l'istruzione, e se agli studenti viene instillato l'odio per il Paese e per gli ebrei, abbiamo un problema serio”, ha affermato. Ha sottolineato di aver anche sostenuto una legge che vieta ai docenti universitari di esprimere sostegno al terrorismo.
Per quanto riguarda Gaza, Woldiger ha affermato che Israele deve agire con maggiore determinazione, pur riconoscendo la delicatezza della questione relativa al ritorno dei restanti ostaggi israeliani deceduti. “Non c'è dubbio che Hamas ci stia prendendo in giro, e lo sapevamo fin dall'inizio. Il mio partito ha votato in modo schiacciante contro l'accordo [di cessate il fuoco]”, ha affermato.
Woldiger si è congratulata con il presidente Donald Trump per aver ottenuto il rilascio di 20 ostaggi vivi. “È un miracolo, ma alla fine dei conti stiamo rilasciando dei terroristi [in cambio]. Stiamo insegnando ai nostri nemici che rapire israeliani è vantaggioso, e questo mi crea difficoltà”, ha affermato.
Sebbene Israele “stia lavorando duramente a Gaza”, ha affermato che avrebbe preferito una risposta più decisa alle violazioni del cessate il fuoco. “Spero che non ci saranno altre violazioni, ma se ci saranno, spero che la prossima volta decidiamo di tornare a combattere con tutta la nostra forza, ovviamente in coordinamento con i nostri alleati americani”, ha affermato.
Tuttavia, ha osservato, "dobbiamo ricordare che non siamo il 51° stato degli Stati Uniti. Siamo un paese sovrano e dobbiamo lottare per noi stessi. Non dovremmo mai tornare alla concezione precedente al 7 ottobre. Combatteremo per noi stessi con il sostegno dei nostri buoni amici".
Per quanto riguarda l'aumento del costo della vita nel Paese, Woldiger ha definito la riforma del settore lattiero-caseario di Smotrich, volta ad aprire il mercato alla concorrenza, un passo importante e coraggioso.
“È necessario farlo anche in altri settori dello Stato di Israele. Non viviamo più in epoca bolscevica e comprendiamo che non possiamo vivere basandoci su quote, distruggendo le scorte di qualcuno quando vengono superate, anche se finiamo il latte”, ha affermato.
La riforma dovrebbe incontrare la resistenza delle grandi aziende, tra cui la principale azienda alimentare israeliana, Tnuva. “Questa è diventata la lotta di magnati come Tnuva, controllata in maggioranza dai cinesi, che a loro volta sostengono l'Iran. Non ha alcun senso”, ha affermato.
“Questa riforma consentirà agli allevatori di avere successo, perché quando non c'è concorrenza e tutto si basa sulle quote, nessuno prospera”, ha aggiunto.
Woldiger ha affermato che la riforma rafforzerà la sicurezza alimentare e ridurrà il costo della vita. “Spingerà gli allevatori fuori dalla loro zona di comfort e verso una situazione migliore. Questo è per noi, per le famiglie israeliane che potranno nuovamente acquistare formaggio a prezzi ragionevoli”, ha affermato.
“Abbiamo un ministro delle finanze coraggioso. Lo shekel è forte, l'economia è forte, grazie al ministro e al popolo israeliano, che sa come resistere ai tempi difficili e prosperare”, ha aggiunto.

(JNS, 7 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il leader di Hamas respinge i punti centrali del piano di pace di Trump e invita alla distruzione di Israele

Il sentimento anti-israeliano diffuso in tutto il mondo ha creato le opportunità per «rimuovere questa entità [Israele] dalla nostra patria», ha affermato Khaled Mashaal.

di Akiva Van Koningsveld

Sabato il leader di Hamas Khaled Mashaal ha ribadito il suo appello alla distruzione di Israele e ha respinto le richieste sostenute dagli Stati Uniti e dall'ONU di disarmare il gruppo terroristico sostenuto dall'Iran e di smilitarizzare la Striscia di Gaza.
"È giunto il momento che la Umma [la nazione islamica] si impegni a liberare Gerusalemme come vessillo e simbolo della liberazione della Palestina; alla purificazione della benedetta moschea di Al-Aqsa; e alla riconquista dei santuari islamici e cristiani", ha detto il terrorista di alto rango in un discorso trasmesso in video durante una conferenza filopalestinese nella città turca di Istanbul.
Il sentimento anti-israeliano diffuso in tutto il mondo, sorto dopo il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, ha creato le opportunità per “rimuovere questa entità [Israele] dalla nostra patria ed escluderla dalla scena internazionale”, ha detto Maschal ai partecipanti.
Il terrorista con sede a Doha ha condannato la richiesta che Hamas deponga le armi nell'ambito del piano di cessate il fuoco per la Striscia di Gaza del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dichiarando alla conferenza: “Proteggere il piano di resistenza e le sue armi è il diritto del nostro popolo di difendersi”.
“La resistenza e le sue armi sono l'onore e l'orgoglio della Umma”, ha continuato. “Mille dichiarazioni non valgono quanto un singolo proiettile di ferro”.
Nel suo discorso, Mashaal ha anche respinto “ogni forma di tutela, mandato e rioccupazione della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di tutta la Palestina”, rifiutando così un altro elemento centrale del piano di pace statunitense, approvato il 17 novembre dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
La risoluzione ha dato mandato a Washington e ai suoi partner di istituire una forza internazionale di stabilizzazione e un consiglio di pace che fungano da governo provvisorio per la Striscia di Gaza.
Maschal ha tuttavia affermato: “È il palestinese che governa se stesso e decide per se stesso”. Ha aggiunto: “I tentativi di inserire le nostre richieste, i nostri principi nazionali e i nostri diritti in contesti fuorvianti saranno respinti”, ha affermato.
“Questa è la nostra terra, la nostra patria, questo è il nostro destino e noi siamo un popolo che non si piega”, ha continuato Mashaal. “Sono passati due anni di guerra e tutte le armi che l'entità sionista ha ricevuto da ogni angolo del mondo non sono riuscite a imporre la loro volontà al nostro popolo. Questa è Gaza e questa è la grande Palestina, quella che scaccia gli invasori”.
Nel suo discorso, il leader terrorista ha anche delineato altre priorità di Hamas dopo la guerra, tra cui:

  • impedire la “giudaizzazione” della Giudea e della Samaria,
  • liberare i terroristi incarcerati nelle prigioni israeliane,
  • costruire un'unità araba contro lo Stato ebraico,
  • “perseguire” i leader israeliani in tutto il mondo
  • promuovere un sentimento anti-israeliano nei campus, nei media e nella politica.

Sabato il ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato che Hamas “si sta prendendo gioco del piano di pace del presidente Trump” e che le dichiarazioni di Mashaal sono “in diretta contraddizione con gli elementi fondamentali del piano di pace stesso”.
Nell'ambito dell'accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi mediato dagli Stati Uniti, entrato in vigore il mese scorso, Hamas si è impegnata a restituire tutti i 28 corpi che deteneva il 13 ottobre per la sepoltura.
Tuttavia, l'organizzazione terroristica ha deliberatamente ritardato la restituzione per ritardare il proprio disarmo, che dovrebbe avvenire nella seconda fase dell'accordo, insieme all'invio di forze internazionali.
Il piano di Trump prevede che Hamas e altri terroristi “accettino di non avere alcun ruolo nell'amministrazione della Striscia di Gaza, né direttamente né indirettamente o in qualsiasi altra forma” e che “tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, compresi i tunnel e gli impianti di produzione di armi, siano distrutte e non ricostruite”.
Secondo la risoluzione del Consiglio di sicurezza del 17 novembre, la forza internazionale di stabilizzazione sarà responsabile del processo di smilitarizzazione della Striscia, compresa “la distruzione e la prevenzione della ricostruzione delle infrastrutture militari, terroristiche e offensive, nonché la dismissione permanente delle armi dei gruppi armati non statali”.

(JNS, 7 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dicevo: 'Parleranno i giorni, e il gran numero degli anni insegnerà la saggezza'. Ma quello che rende intelligente l'uomo è lo spirito, è il soffio dell'Onnipotente. Non sono saggi quelli di lunga età, né sono i vecchi quelli che comprendono il giusto (Giobbe 32:7-9).
    Preghiera di una suora del XVII secolo

    Signore, tu sai che gli anni avanzano
    e presto sarò vecchia.
    Fa' ch'io non prenda la brutta abitudine
    di sentirmi obbligata a dire qualcosa
    su ogni argomento e in ogni occasione.
    Liberami dalla smania
    di voler sistemare gli affari di tutti.
    Rendimi servizievole, ma non imbronciata;
    premurosa, ma non autoritaria.
    Con tutta l'esperienza accumulata,
    sarebbe un male non poterla usare,
    ma sai, Signore,
    vorrei che mi restasse qualche amico
    alla fine dei miei giorni.
    Aiutami a perdere l'abitudine
    di elencare innumerevoli dettagli:
    rendimi capace di arrivare al punto.
    Metti un sigillo alla mia bocca
    e impedisci che vada a raccontare
    i miei acciacchi e i miei dolori:
    stanno aumentando, e col passar degli anni
    mi piace sempre di più parlarne.
    Non oso chiederti tanta grazia
    da saper ascoltare con viva partecipazione
    il racconto dei dolori altrui,
    ma aiutami almeno
    ad ascoltarli con pazienza.
    Non ti chiedo di darmi più memoria,
    ma ti chiedo di darmi più umiltà,
    in modo che sia meno sicura
    quando i miei ricordi
    non coincidono con quelli degli altri:
    fa' che impari la grande lezione
    che qualche volta anch'io posso sbagliarmi.
    Rendimi ragionevolmente dolce;
    non voglio essere una santa,
    con certi santi è così duro vivere,
    ma una donna vecchia e amara
    è un capolavoro del diavolo.
    Fa' ch'io sappia vedere il buono
    nei luoghi impensati,
    e le buone qualità
    nelle persone impensate.
    E donami, o Signore,
    la grazia di saperglielo dire. PDF
(Notizie su Israele, 7 dicembre 2025)



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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 34
    Le nuove tavole
  • L'Eterno disse a Mosè: “Taglia due tavole di pietra come le prime; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime tavole che hai spezzato.  Sii pronto domattina, sali al mattino sul monte Sinai, e lì presentati a me sulla vetta del monte.  Nessuno salga con te, e non si veda nessuno per tutto il monte; greggi e armenti non pascolino nei pressi di questo monte”.  Mosè dunque tagliò due tavole di pietra, come le prime; si alzò la mattina di buon'ora, e salì sul monte Sinai come l'Eterno gli aveva comandato, e prese in mano le due tavole di pietra.

    Apparizione dell'Eterno a Mosè
  • Allora l'Eterno discese nella nuvola, si fermò lì con lui e proclamò il nome dell'Eterno. E l'Eterno passò davanti a lui, e gridò: “L'Eterno! l'Eterno! l'Iddio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in benignità e fedeltà, che conserva la sua benignità fino alla millesima generazione, che perdona l'iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente, e che punisce l'iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!”.
  •  E Mosè subito si inchinò fino a terra, e adorò. Poi disse: “Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro; perdona la nostra iniquità e il nostro peccato, e prendici come tua eredità”.

    La nuova alleanza
  • E l'Eterno rispose: “Ecco, io faccio un patto: farò meraviglie davanti a tutto il tuo popolo, come non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; e tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l'opera dell'Eterno, perché quello che io sto per fare per mezzo di te è tremendo. Osserva quello che oggi ti comando: Ecco, io scaccerò davanti a te gli Amorei, i Cananei, gli Ittiti, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. Guardati dal fare alleanza con gli abitanti del paese nel quale stai per andare, affinché non diventino, in mezzo a te, un laccio; ma demolite i loro altari, frantumate le loro colonne, abbattete i loro idoli; poiché tu non adorerai altro dio, perché l'Eterno, che si chiama: “il Geloso”, è un Dio geloso. Guardati dal fare alleanza con gli abitanti del paese, affinché, quando quelli si prostituiranno ai loro dèi, e offriranno sacrifici ai loro dèi, non avvenga che essi ti invitino, e tu mangi dei loro sacrifici, e prenda delle loro figlie per i tuoi figli, e le loro figlie si prostituiscano ai loro dèi, e inducano i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi. 
  • Non ti farai dèi di metallo fuso
  • Osserverai la festa degli azzimi. Sette giorni, al tempo fissato del mese di Abib, mangerai pane senza lievito, come ti ho ordinato; poiché nel mese di Abib tu sei uscito dall'Egitto. 
  • Ogni primogenito è mio; e mio è ogni primo parto maschio di tutto il tuo bestiame: del bestiame grosso e minuto. Ma riscatterai con un agnello il primo nato dell'asino; e, se non lo vorrai riscattare, gli spezzerai il collo. Riscatterai ogni primogenito dei tuoi figli. E nessuno comparirà davanti a me a mani vuote
  • Lavorerai sei giorni; ma il settimo giorno ti riposerai: ti riposerai anche al tempo dell'aratura e della mietitura
  • Celebrerai la festa delle settimane: cioè delle primizie della mietitura del frumento, e la festa della raccolta alla fine dell'anno. 
  • Tre volte all'anno comparirà ogni vostro maschio alla presenza del Signore, dell'Eterno, che è l'Iddio d'Israele. Poiché io scaccerò davanti a te delle nazioni, e allargherò i tuoi confini; nessuno desidererà il tuo paese, quando salirai, tre volte all'anno, per comparire alla presenza dell'Eterno, che è il tuo Dio. 
  • Non offrirai con pane lievitato il sangue della vittima immolata a me; e il sacrificio della festa di Pasqua non sarà serbato fino al mattino. 
  • Porterai alla casa dell'Eterno Iddio tuo le primizie dei primi frutti della tua terra. 
  • Non cuocerai il capretto nel latte di sua madre”. 
  • Poi l'Eterno disse a Mosè: “Scrivi queste parole; perché sul fondamento di queste parole io ho contratto alleanza con te e con Israele”. 
  • E Mosè rimase lì con l'Eterno quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua. E l'Eterno scrisse sulle tavole le parole del patto, i dieci comandamenti.

    Mosè torna al campo e porta le nuove tavole della legge
  • Mosè, quando scese dal monte Sinai - scendendo dal monte Mosè aveva in mano le due tavole della testimonianza - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata tutta raggiante mentre parlava con l'Eterno; e quando Aaronne e tutti i figli d'Israele videro Mosè, ecco che la pelle del suo viso era tutta raggiante, ed essi temettero di avvicinarsi a lui. Ma Mosè li chiamò, e Aaronne e tutti i capi della comunità tornarono a lui, e Mosè parlò loro. Dopo questo, tutti i figli d'Israele si accostarono, ed egli ordinò loro tutto quello che l'Eterno gli aveva detto sul monte Sinai. 
  • E quando Mosè ebbe finito di parlare con loro, si mise un velo sulla faccia. Ma quando Mosè entrava alla presenza dell'Eterno per parlare con lui, si toglieva il velo, finché non tornava fuori; poi tornava fuori, e diceva ai figli d'Israele quello che gli era stato comandato. I figli d'Israele, guardando la faccia di Mosè, vedevano la pelle tutta raggiante; e Mosè si rimetteva il velo sulla faccia, finché non entrava a parlare con l'Eterno.

(Notizie su Israele, 6 dicembre 2025)


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Zamir chiede un’indagine “esterna” sulle mancanze del 7-ottobre

Il capo di stato maggiore afferma che se l'esercito ha condotto una propria indagine, non è l'unico responsabile; tuttavia, evita di chiedere esplicitamente una commissione nazionale

di Emanuel Fabian 

Il capo di stato maggiore dell’IDF, il tenente generale Eyal Zamir, ha ribadito venerdì che mentre i militari hanno pienamente assunto la loro parte di responsabilità per i fallimenti del 7 ottobre 2023, l’istituzione di conclusioni definitive ha richiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta “esterna”.
“L’IDF si è assunto la responsabilità e ha condotto la propria indagine, ma non è l’unico responsabile di questo evento, e non sarebbe opportuno concentrare tutta l’attenzione su di esso”, ha scritto Zamir in una lettera agli ufficiali, riassumendo i risultati di un gruppo di ex alti funzionari incaricati di esaminare le indagini interne dell’esercito sui fallimenti del 7 ottobre.
“Per stabilire la verità e trarre conclusioni globali a livello nazionale, deve essere istituita una commissione d’inchiesta esterna e oggettiva, come è avvenuto dopo la guerra dello Yom Kippur [nel 1973]”.
In particolare, il Capo di Stato Maggiore sottolinea che “l’articolazione tra il livello politico e quello militare, così come le concezioni politiche e di sicurezza che hanno preceduto la guerra devono essere esaminate”.
Zamir, tuttavia, si astiene dal chiedere esplicitamente la creazione di una commissione d'inchiesta nazionale, un approccio a cui il governo si oppone, nonostante i sondaggi indichino che

(The Times of Israel, 6 dicembre 2025)

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Il sud della Siria sta per diventare il nuovo fronte contro Israele

di Yoni Ben Menachem

Secondo fonti di alto livello della sicurezza israeliana, elementi terroristici si stanno radunando nel sud della Siria e stanno pianificando attacchi contro Israele.

Ciò ha spinto le forze armate israeliane a lanciare un'operazione il 28 novembre nel villaggio di Beit Jinn, a sud di Damasco.

Le forze armate israeliane hanno fatto irruzione nel villaggio e arrestato tre membri dell'organizzazione Al-Jamaa al-Islamiya che, secondo informazioni dei servizi segreti, stavano pianificando attacchi contro Israele, tra cui attacchi missilistici sulle alture del Golan.

Durante l'interrogatorio, gli arrestati avrebbero ammesso che la loro organizzazione è collegata ad attività terroristiche in relazione con l'Iran, Hezbollah e Hamas.

Durante il raid, le forze armate israeliane hanno incontrato resistenza e sono state bersagliate da colpi d'arma da fuoco, che hanno ferito sei soldati. Secondo i media siriani, nello scontro sono stati uccisi 20 abitanti del villaggio, alcuni dei quali armati.

Fonti politiche di alto livello hanno riferito che, dopo l'incidente, Israele ha inviato messaggi severi al regime siriano di Ahmad al-Sharaa attraverso gli Stati Uniti, dichiarando che non tollererà la creazione di organizzazioni terroristiche nel sud della Siria e che è responsabilità di Damasco fermare tali gruppi, altrimenti Israele agirà.

Le fonti hanno aggiunto che il consolidamento di elementi terroristici nel sud della Siria compromette le prospettive di un accordo di sicurezza tra Israele e Siria e dimostra chiaramente che al-Sharaa non controlla efficacemente tutte le parti del Paese.

Il ministero degli Esteri siriano ha condannato l'attacco israeliano a Beit Jinn come “un crimine di guerra a tutti gli effetti” e ha avvertito che “il proseguimento di questa aggressione criminale mette a rischio la sicurezza e la stabilità nella regione”.

Fonti di alto livello nel settore della sicurezza nel sud della Siria hanno riferito che tra i gruppi terroristici presenti nella regione figurano il Jihad Islamico Palestinese, elementi dell'Ansar Allah yemenita alleati degli Houthi, l'ISIS e fazioni dell'Al-Jamaa al-Islamiya.

Inoltre, diverse tribù beduine sunnite con ideologia jihadista sono attive nel sud della Siria e partecipano al contrabbando di armi e droga.

Alcune di queste tribù hanno partecipato, insieme alle forze fedeli ad al-Sharaa, al massacro dei membri della comunità drusa a Sweida.

Al-Jamaa al-Islamiya è un'organizzazione libanese che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ordinato al suo segretario di Stato e al suo segretario al Tesoro di inserire nell'elenco delle “organizzazioni terroristiche straniere legate alla Fratellanza Musulmana”.

Il gruppo è stato fondato nel 1964 come ramo dei Fratelli Musulmani in Libano e successivamente si è espanso in Siria. La sua ala militare è stata fondata negli anni '80 e da allora collabora con altre organizzazioni terroristiche contro Israele, tra cui Hamas in Libano e Siria e Hezbollah in Libano.

Il parlamentare libanese Amad al-Kout, membro di Al-Jamaa al-Islamiya, ha respinto le accuse israeliane relative all'arresto di membri della sua organizzazione a Beit Jinn. Il 28 novembre ha dichiarato ad Al-Quds Al-Arabi: “Le informazioni diffuse da Israele sono false. La nostra organizzazione non è attiva al di fuori del territorio libanese”.

Riguardo alla decisione di Israele di accusare l'organizzazione per le sue attività in Siria, ha affermato: “Questo avviene per giustificare la decisione degli Stati Uniti di classificare la Fratellanza Musulmana come organizzazione terroristica, una decisione che è esclusivamente motivata da ragioni politiche e giuridicamente infondata”.

Le attività militari di Israele nel sud della Siria hanno ulteriormente aggravato la situazione della sicurezza nella regione. Israele sostiene inoltre che il regime di al-Sharaa non impedisce il contrabbando di armi dall'Iran a Hezbollah in Libano attraverso questa zona. Per questo motivo, alti funzionari della sicurezza hanno dichiarato che Israele non si fida di al-Sharaa in materia di lotta al terrorismo.

Ritengono che Israele debba ora agire per rafforzare il proprio controllo militare nel sud della Siria e creare un corridoio terrestre per i propri alleati drusi a Sweida.

(Israel Heute, 5 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele consegna l’Arrow 3 alla Germania: la nuova frontiera di difesa europea passa dal cielo

L’Arrow 3 è stato progettato per bloccare i missili balistici mentre sono ancora al di fuori dell’atmosfera. Il sistema ha abbattuto centinaia di missili balistici lanciati contro Israele dall’Iran e dagli Houthi con un tasso di intercettazione dell’86% a giugno. È la prima volta che il sistema è distribuito oltre i confini di Israele e Usa e che è stato gestito in modo indipendente da un altro Paese. 

di Nina Prenda

Mercoledì 3 dicembre 2025, Israele ha consegnato il suo sistema di difesa missilistico a lungo raggio Arrow 3 all’aeronautica tedesca durante una cerimonia in una base aerea a sud di Berlino. La vendita è stata di 4 miliardi di euro (4,6 miliardi di dollari): è il più grande accordo di esportazione della difesa nella storia di Israele.
Il completamento della vendita, che è stata formalmente firmata nel settembre 2023, ha segnato la prima volta che il sistema Arrow 3 è stato distribuito oltre i confini di Israele e degli Stati Uniti e la prima volta che il sistema avanzato è stato gestito in modo indipendente da un altro Paese. Il sistema è stato implementato presso la base aerea di Holzdorf nella Germania orientale, a circa 120 chilometri a sud di Berlino; altri siti entreranno in funzione successivamente.
Alla cerimonia hanno partecipato il direttore generale del Ministero della Difesa israeliano Amir Baram, il capo della Direzione Ricerca e Sviluppo Danny Gold, il CEO di Israel Aerospace Industries Boaz Levy, il direttore dell’Organizzazione israeliana per la difesa missilistica Moshe Patel e vari altri funzionari. Secondo i media tedeschi, né il ministro della Difesa Boris Pistorius né il cancelliere Friedrich Merz erano presenti, ma la rappresentanza militare e governativa tedesca era comunque significativa.
“Come figlio di seconda generazione di sopravvissuti alla Shoah, sono qui profondamente commosso perché un sistema di difesa missilistica balistica, sviluppato dalle migliori menti ebraiche nell’industria aerospaziale israeliana, ora aiuterà a difendere la Germania”, ha detto Baram alla cerimonia, secondo le osservazioni fornite dal Ministero della Difesa. “Noi israeliani, discendenti dei sopravvissuti all’Olocausto, vogliamo vedere la Germania forte e prospera, orgogliosa e leader in Europa e in tutto il mondo. Apprezziamo profondamente che i sistemi israeliani siano parte del rinnovato accumulo di forze della Germania. Il passaggio di consegne di oggi segna solo l’inizio per Israele e Germania. La nostra cooperazione si rafforzerà e si approfondirà, sia nell’aria che a terra o nello spazio”, ha continuato.
Baram ha detto di aver elogiato la decisione della Germania di revocare un embargo sulle armi su Israele. “Tale embargo non avrebbe mai dovuto essere imposto contro l’alleato della Germania che sta combattendo il terrorismo islamista omicida, sia che venga dal regime teocratico iraniano o da Hamas a Gaza. Quando Israele agisce contro le minacce nucleari, i missili balistici e il terrorismo, non stiamo solo difendendo noi stessi, stiamo proteggendo l’intero mondo occidentale. Stiamo facendo il duro lavoro, a volte il “lavoro sporco”, che il mondo intero dovrebbe fare”, ha aggiunto.
Parlando alla cerimonia, l’ambasciatore israeliano in Germania, Ron Prosor, ha ricordato che quest’anno ha segnato i 60 anni di relazioni diplomatiche tra i due Paesi: “La nostra partnership è strategica e la Germania è l’alleato più importante di Israele in Europa. Oggi segniamo un’altra pietra miliare in questa relazione. Chi avrebbe potuto immaginare che solo 80 anni dopo la liberazione di Auschwitz, lo Stato ebraico, attraverso le tecnologie che sviluppa, avrebbe contribuito a difendere non solo la Germania ma tutta l’Europa. La mia famiglia, fuggita dalla Germania alla vigilia dell’Olocausto, non avrebbe mai potuto prevederlo”, ha detto Prosor.
L’Arrow 3 è stato progettato per bloccare i missili balistici mentre sono ancora al di fuori dell’atmosfera. Il sistema ha abbattuto centinaia di missili balistici lanciati contro Israele dall’Iran e dal gruppo terroristico Houthi sostenuto dall’Iran nello Yemen, con un tasso di intercettazione dell’86 per cento durante la Guerra dei 12 giorni contro la Repubblica islamica a giugno.
La vendita ha rappresentato parte della European Sky Shield Initiative guidata dalla Germania per rafforzare le difese aeree dell’Europa continentale in risposta all’invasione russa dell’Ucraina.
Prima della cerimonia, il ministro della Difesa tedesco Pistorius ha detto all’agenzia di stampa Deutsche Presse-Agentur: “Per la prima volta, questo ci dà la capacità di allerta precoce per proteggere la nostra popolazione e le infrastrutture contro i missili balistici a lungo raggio. Con questa capacità strategica, che è unica tra i nostri partner europei, assicuriamo il nostro ruolo centrale nel cuore dell’Europa”, ha detto.
Israele e Germania hanno presentato la vendita come un ulteriore segnale della crescente cooperazione bilaterale. Negli ultimi mesi sono entrati in servizio anche i primi carri armati Leopard 2 dotati del sistema di protezione attiva israeliano Trophy, destinati sia all’esercito tedesco sia alle forze armate norvegesi.

(Bet Magazine Mosaico, 5 dicembre 2025)

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Mille pastori americani a Gerusalemme

GERUSALEMME – Una delegazione di circa 1.000 pastori americani si trova in Israele in segno di solidarietà. Partecipano all'evento “Ambassador Summit – 1.000 Pastors United” (Vertice degli ambasciatori – 1.000 pastori uniti) a Gerusalemme.
  Secondo il quotidiano “Yediot Aharanot”, si tratta della più grande delegazione cristiana che Israele abbia mai ospitato . Il viaggio è stato organizzato dal museo cristiano e centro culturale “Amici di Sion” e dal Ministero degli Esteri israeliano. Il museo è stato fondato da Mike Evans, che ha anche dato vita ad altre organizzazioni filoisraeliane.
  L'obiettivo è quello di prepararli come “ambasciatori” per Israele, in modo che siano in grado di combattere “la più grande guerra ideologica contro il popolo ebraico”, ha scritto Evans martedì sul portale di notizie cristiano “Churchleaders”.

Sa'ar: i pastori sono alleati nella lotta contro la propaganda
  Mercoledì sera ha avuto inizio il vertice. Il ministro degli Esteri Gideon Sa'ar (Nuova Speranza) ha dato il benvenuto ai religiosi e li ha definiti “ambasciatori della verità”, pronti a combattere la propaganda anti-israeliana. “Negli ultimi due difficili anni abbiamo visto chi sono i nostri veri amici. Gli amici cristiani di Israele sono i nostri amici più importanti e influenti”.
  L'incontro è stato definito un'“alleanza di credenti” che lotta contro coloro che vogliono distruggere Israele. Sa'ar ha inoltre sottolineato il rapporto “indistruttibile” tra Israele e gli Stati Uniti e ha parlato di valori comuni. Mike Evans ha dichiarato che nel mondo ci sono più di 700 milioni di sionisti cristiani. “Credono in un libro, ed è un libro ebraico. È un'alleanza basata sulla fede e sull'impegno verso valori comuni”.

Raccontare la verità su Israele
  L'ambasciatore americano in Israele, Mike Huckabee (repubblicano), ha esortato i pastori a usare la loro influenza per combattere le critiche anti-israeliane con la verità e la Bibbia. “I pulpiti americani devono ardere per la verità”, ha detto ai pastori. “Spero che torniate negli Stati Uniti con il fuoco di Dio nelle vostre ossa e diciate che è ora di difendere la Bibbia, perché allora troverete la vostra voce per Israele”.
  Huckabee ha anche parlato della guerra di Gaza, durata due anni. Considerando che Israele ha dovuto combattere una guerra casa per casa contro Hamas, il numero delle vittime civili è rimasto basso, il più basso nella storia della guerra casa per casa. L'ambasciatore statunitense ha elogiato la determinazione di Israele a lottare per il ritorno di ogni singolo ostaggio.
  Al termine della serata inaugurale, l'ex ostaggio Omer Schem-Tov ha cantato in ebraico il Salmo 121 davanti agli ospiti americani. Il salmo inizia con le parole: “Alzo gli occhi verso i monti. Da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra”. Schem Tov ha recitato questo salmo più volte durante la sua prigionia, scrive il sito di notizie JNS.
  Durante il suo soggiorno, la delegazione incontrerà sopravvissuti ed ex ostaggi. Inoltre, i pastori visiteranno i luoghi del massacro di Hamas. L'Ambassador Summit si concluderà domenica.

(Israelnetz, 6 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 33
  • Punizione divina e umiliazione del popolo
    L'Eterno disse a Mosè: “Va', sali di qui, tu con il popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, verso il paese che promisi con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: 'Io lo darò alla tua progenie'. Manderò un angelo davanti a te e scaccerò i Cananei, gli Amorei, gli Ittiti, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. Egli vi condurrà in un paese dove scorre il latte e il miele; poiché io non salirò in mezzo a te, così che non debba sterminarti lungo la via, perché sei un popolo dal collo duro”. Quando il popolo udì queste funeste parole, fece cordoglio, e nessuno indossò i propri ornamenti. Infatti l'Eterno aveva detto a Mosè: “Di' ai figli d'Israele: 'Voi siete un popolo dal collo duro; se io salissi per un solo momento in mezzo a te, ti consumerei! Perciò, ora togliti i tuoi ornamenti, e vedrò come ti debba trattare'”. E i figli d'Israele si spogliarono dei loro ornamenti, dalla partenza dal monte Oreb in poi.

    Costruzione della tenda di convegno fuori dall'accampamento
  • E Mosè prese la tenda, e la piantò per sé fuori dall'accampamento, a una certa distanza dall'accampamento, e la chiamò la tenda di convegno; e chiunque cercava l'Eterno, usciva verso la tenda di convegno, che era fuori dall'accampamento. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava, e ognuno se ne stava in piedi all'ingresso della propria tenda, e seguiva con lo sguardo Mosè, finché egli fosse entrato nella tenda.  E quando Mosè era entrato nella tenda, la colonna di nuvola scendeva, si fermava all'ingresso della tenda, e l'Eterno parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nuvola ferma all'ingresso della tenda; e tutto il popolo si alzava, e ciascuno si prostrava all'ingresso della propria tenda. 
  • L'Eterno parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con il proprio amico; poi Mosè tornava al campo; ma Giosuè, figlio di Nun, suo giovane ministro, non si allontanava dalla tenda.

    Mosè intercede per il popolo e chiede di vedere Dio nella Sua gloria
  • Poi Mosè disse all'Eterno: “Vedi, tu mi dici: 'Fa' salire questo popolo!', e non mi fai conoscere chi manderai con me. Eppure hai detto: 'Io ti conosco personalmente e anche hai trovato grazia agli occhi miei'. Ora, dunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, ti prego, fammi conoscere le tue vie, affinché io ti conosca e possa trovare grazia agli occhi tuoi. E considera che questa nazione è popolo tuo”. E l'Eterno rispose: “La mia presenza andrà con te, e io ti darò riposo”. Mosè allora gli disse: “Se la tua presenza non viene, non farci partire di qui. Poiché, come si farà ora a conoscere che io e il tuo popolo abbiamo trovato grazia agli occhi tuoi? Non sarà dal fatto che tu vieni con noi? Questo distinguerà me e il tuo popolo da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra”. 
  • E l'Eterno disse a Mosè: “Farò anche questo che tu chiedi, perché hai trovato grazia agli occhi miei, e ti conosco personalmente”. Mosè disse: “Ti prego, fammi vedere la tua gloria!”. E l'Eterno gli rispose: “Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, e proclamerò il nome dell'Eterno davanti a te; e farò grazia a chi vorrò fare grazia, e avrò pietà di chi vorrò avere pietà”. Disse ancora: “Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non mi può vedere e vivere”. E l'Eterno disse: “Ecco qui un luogo vicino a me; tu starai su quel masso; e mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una buca del masso, e ti coprirò con la mia mano, finché io sia passato; poi ritirerò la mano, e mi vedrai da dietro; ma il mio volto non si può vedere”.

    (Notizie su Israele, 5 dicembre 2025)


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«I cristiani lasceranno la Siria»

Un anno fa gli islamisti hanno preso il potere con la forza in Siria. In un'intervista con Israelnetz, Kamal Sido, esperto di Medio Oriente della Società per i popoli minacciati, dipinge un quadro cupo. Tuttavia, Israele gli dà speranza.

di Martin Schlorke

- Israelnetz: Signor Sido, un anno fa Ahmed al-Schar’a ha preso il potere in Siria. Da allora, come è cambiata la situazione dei cristiani nel Paese?
  Kamal Sido: La situazione dei cristiani è cambiata radicalmente, perché ora il potere nel Paese è nelle mani di islamisti, jihadisti e salafiti. I cristiani siriani hanno quindi tutte le ragioni per avere paura, anche se Al-Schar'a a volte incontra dignitari cristiani. Gli islamisti hanno l'obiettivo di islamizzare ulteriormente la Siria. A un certo punto, i cristiani non avranno più posto in una Siria del genere.

- Questi incontri possono avere un effetto?
  È necessario cercare di avviare dialoghi di questo tipo, perché è in gioco il futuro dei cristiani in Siria. Senza questi colloqui ci sarebbero ancora più problemi e i radicali agirebbero ancora più duramente contro i cristiani. I patriarchi devono formulare chiaramente la richiesta che la Siria non diventi una repubblica islamica: Al-Shara'a deve prendere le distanze dall'Islam radicale ed essere un presidente di tutti i siriani, comprese le minoranze.

- L'organizzazione umanitaria cristiana “Open Doors” riferisce che le minacce contro i cristiani sono in aumento.
  Al-Schar'a si mostra moderato. Tuttavia, il suo entourage, i ministri, i sindaci, i poliziotti e i suoi normali sostenitori continuano ad essere radicali e rappresentano una minaccia costante per i cristiani, perché gli islamisti non tollerano il cristianesimo in sé. I cristiani sono considerati persone di terza o quarta classe.

- Presto arriveranno le festività natalizie, che comportano una maggiore visibilità dei cristiani. C'è ora un pericolo ancora maggiore per i cristiani?
  Il pericolo c'è. C'è un proverbio che dice: “Prima bisogna stare saldamente in sella e poi si può colpire”. È così che hanno agito (il presidente Recep Tayyip) Erdoğan in Turchia, (l'ex presidente Mohammed) Mursi in Egitto e anche i mullah in Iran. Il mondo guarda ancora alla Siria e il regime deve ancora stabilizzarsi. Tuttavia, i cristiani sentono già di non essere i benvenuti in Siria.

- I cristiani siriani lasceranno il loro Paese per questo motivo?
  Sì, i cristiani lasceranno la Siria.

- E i cristiani che sono fuggiti durante la guerra non torneranno più?
  Assolutamente no. Anche i musulmani non vogliono tornare perché il futuro politico è così incerto. Ma anche in Germania la situazione è pericolosa per i siriani. Anche qui vivono siriani radicali che minacciano cristiani, drusi o alawiti. 

- Il ministro degli Esteri Johann Wadephul ha avviato un dibattito sulla situazione in Siria. Dopo la sua visita a Damasco, ha affermato che in Siria è quasi impossibile vivere dignitosamente.
  Ci sono infatti regioni completamente distrutte. Non si può espellere nessuno in quei luoghi. Ma ho un altro problema con il ministro.

- Quale?
  Lui, ma anche la sua predecessora Annalena Baerbock, minimizzano il regime islamista, ad esempio con le loro visite. La Germania dovrebbe invece impegnarsi affinché in Siria si instauri una democrazia in cui anche i cristiani godano di piena libertà di culto. In cui anche io, come musulmano, non debba avere paura degli islamisti.

- Sebbene tutto ciò non avvenga, l'Occidente ha allentato le sanzioni e promesso aiuti finanziari.
  Sarò sincero: non ho alcuna stima dei politici occidentali al riguardo. I diritti umani diventano rilevanti solo quando servono interessi geopolitici. È sempre stato così e non cambierà. Per questo l'Occidente accetta il regime. Per questo è compito delle organizzazioni per i diritti umani, dei giornalisti e della società civile richiamare l'attenzione sugli abusi. Anche le chiese devono alzare la voce.

- Si tratta di cristiani perseguitati. Perché le chiese non alzano la voce? La geopolitica non dovrebbe essere un motivo valido per le chiese.
  In realtà la politica ha un ruolo importante. Quando il Papa ha visitato la Turchia, si è comportato in modo molto diplomatico, invece di esprimersi in modo critico. L'approccio è quello di cercare di conquistare o convincere gli islamisti. Ma questo non funzionerà.

- Al-Schar'a ha promesso di proteggere tutte le minoranze religiose del Paese. Lo vuole davvero e può farlo?
  Non credo a questa sua affermazione. Nelle sue parole, nei suoi occhi e nelle sue espressioni facciali non vedo alcuna credibilità. Questo mi spaventa.

- Come valuta la situazione delle altre minoranze nel Paese?
  Ancora peggiore di quella dei cristiani. Ogni giorno gli alawiti vengono violentati e uccisi. Stanno vivendo uno dei periodi più bui della loro storia. I drusi avrebbero subito un massacro inimmaginabile se l'aviazione israeliana non fosse intervenuta. Senza Israele, decine di migliaia di persone avrebbero trovato la morte. Ciononostante, decine di villaggi sono stati distrutti. Se gli alawiti e i drusi continueranno a essere indeboliti e massacrati, i cristiani rischiano di subire lo stesso destino.

- E i curdi?
  I curdi oppongono resistenza e sono la punta di diamante della democrazia in Siria. Drusi e alawiti ripongono grandi speranze nei curdi. Tuttavia, i curdi sono minacciati non solo dai nuovi detentori del potere siriani, ma anche dalla Turchia di Erdoğan. Grazie al sostegno degli americani, i curdi possono ancora difendersi. Ma se Trump interromperà il suo sostegno, anche qui si profila il rischio di un massacro.

- C'è qualcosa che le dà speranza per il futuro della Siria?
  Non bisogna perdere la speranza. Perché chi si arrende ha già perso. Mi dà speranza la resistenza degli alawiti, dei drusi e dei curdi contro l'Islam radicale. E la mia speranza è Israele. Israele sa per propria dolorosa esperienza che gli islamisti sono un pericolo.

- Signor Sido, grazie mille per l'intervista.

(Israelnetz, 5 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Contro l’antisemitismo, un libro prezioso

di Davide Cavaliere

In questi tempi di antiebraismo diffuso e montante, è davvero un piacere poter leggere libri come Gli ebrei e la cultura di Paolo Agnoli, fisico nucleare e filosofo, nonché appassionato di cultura ebraica, che nel suo agile saggio riflette sugli ebrei senza mai accostarli a presunti misfatti e crimini a loro inopinatamente attribuiti.
  La domanda di partenza, che è anche il sottotitolo del libro, «perché ci sono così tanti Nobel di origine ebraica?», non è affatto peregrina. Gli ebrei, infatti, sebbene rappresentino solamente lo 0,2 percento della popolazione mondiale, hanno ottenuto oltre il 20 percento dei premi Nobel assegnati. Nel caso delle discipline scientifiche, come ricorda Agnoli, questo dato diventa ancora più impressionante: circa il 35 percento dei Nobel scientifici è stato assegnato a studiosi ebrei. «Con una larga predominanza – scrive l’autore – in quella che veniva definita “la regina delle scienze”»: la Fisica.
  Esiste certamente un «mito dell’intelligenza ebraica» – così come analizzato da Sander L. Gilman – ma Agnoli è troppo intelligente e accorto per cadere preda di un qualunque pregiudizio, ancorché positivo. Resta comunque da spiegare questa clamorosa vivacità intellettuale del popolo ebraico.
  L’autore, evitando qualsiasi spiegazione di tipo «razzista», ossia che tracci una correlazione tra fenotipi e intelligenza, ricerca, ben più saggiamente, nella storia culturale del popolo ebraico e nelle sue vicissitudini, le cause dell’eclatante successo degli ebrei in ogni ambito dello scibile umano.
  Senza voler svelare troppo ai lettori – che speriamo siano molti – possiamo anticipare che le cause individuate da Agnoli sono, all’incirca, le seguenti: il culto per lo studio, indissolubilmente legato allo studio della Torah; l’erranza, indotta dalle innumerevoli persecuzioni, che ha costretto gli ebrei ad «adattarsi a diverse culture, lingue, sistemi legali e sociali. Questa mobilità ha permesso loro di entrare in contatto con molte tradizioni e civiltà, di assimilarle, e talvolta, ritengo anche di innovarle» (dopotutto, come ha scritto Emil Cioran, «senza di loro le città sarebbero irrespirabili; essi vi mantengono uno stato febbrile, senza il quale ogni centro urbano diventa provincia: una città morta è una città senza ebrei»); vengono poi il ruolo d’importanza attribuito alle donne, la costante interazione tra religione e scienza (quella che spinse Einstein a formulare sorprendenti affermazioni su Dio) e l’amore per la democrazia.
  Su quest’ultimo fattore vorrei soffermare un po’ più a lungo la mia attenzione, dato che il monoteismo ebraico, oggi, è sistematicamente accusato di aver costituito la matrice di ogni potere autocratico e «razzista», così come di aver dato origine a Israele, da molti considerato lo Stato «colonialista» per eccellenza. Agnoli, in opposizione alla giudeofobia contemporanea, ha il merito di ricordare che «il valore dell’analisi critica e quello della discussione razionale sono sempre stati alla base del confronto, nel mondo ebraico».
  L’ebraismo, così come il sionismo, è alieno per natura al dogmatismo, alle rigidità dottrinali, all’intolleranza esercitata in nome di un’idée fixe. Gli ebrei tendono così, per educazione, al pluralismo, al razionalismo critico e alla discussione. Non è un caso che, tra i filosofi politici, alcuni dei più innovativi promotori della libertà e della tolleranza siano ebrei: da Maimonide a Spinoza, da Leo Strauss a Emmanuel Lévinas.
  Ma è bene fermarsi qua: al lettore il compito di scoprire le altre riflessioni contenute in Gli ebrei e la cultura. Un libro breve, da cui emergono anche le vaste letture dell’autore: sono citati Elie Wiesel, Giorgio Israel, Simon Wiesenthal, Isaac B. Singer, Niels Bohr, Thorstein Veblen… citazioni che sono lì non per riempire «vuoti» argomentativi, ma per impreziosire e rafforzare, proprio come le numerose barzellette ebraiche riportate, il pensiero dell’autore.
  Come si diceva in apertura, in questi dark times – per usare un’espressione dell’ebrea Hannah Arendt –, il libro di Paolo Agnoli è un’ammirevole scheggia (o particella, come forse preferirebbe l’autore) di luce.

(L'informale, 4 dicembre 2025)

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Riflessioni sullo Shabbat

Alcuni “pensieri sullo Shabbat”. Nei cinque libri di Mosè viene raccontata la storia del popolo d'Israele, dalla creazione del mondo alla redenzione nella Terra Promessa che Dio aveva promesso ad Abramo. Questi cinque libri sono suddivisi in letture settimanali. 25 anni fa mio suocero Ludwig Schneider ha scritto il libro “Chiave per la Torah” sulle 54 letture settimanali. Un filo conduttore messianico che attraversa la Torah. La Torah ha 70 volti, si dice in ebraico. Vorrei illustrare alcune di queste sfaccettature per ampliare ulteriormente la visione. Le letture settimanali della Torah aprono i nostri occhi e il nostro cuore all'intera Parola di Dio, la Bibbia. La Torah getta luce sull'intero testo biblico e così ogni volta scopriamo qualcosa di nuovo che ci stimola a riflettere e rende la Bibbia attuale e viva. 

di Anat Schneider

Lettura settimanale – וַיִּשְׁלַח– Wajischlach – E lui mandò Genesi 32,43 - Abdia 1,1-21

Hai mai sentito di trovarti interiormente a un punto di svolta? Che la vita ti spinge a non continuare più come prima? Che la persona che eri non corrisponde più a quella che sei diventato? È proprio qui che inizia la storia di Giacobbe ed è proprio qui che inizia anche con noi. Questa è la lettura settimanale che leggiamo nel popolo d'Israele in questo Shabbat. Venite a leggerla con noi!

“Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele”. Ci sono momenti nella vita in cui il nostro nome improvvisamente ci sembra troppo limitante. Non perché non sia bello, ma perché non ci rappresenta più. Perché sentiamo di essere diventati qualcun altro. È il momento in cui una persona affronta la propria storia e capisce che è giunto il momento di cambiare.

Così Giacobbe se ne sta lì, solo, sulla riva del Jabbok. Ha già mandato la sua famiglia dall'altra parte del fiume. Un momento in cui la sua vita sta per cambiare. Il confronto notturno non è solo una lotta con un angelo. È una lotta per l'identità. Giacobbe capisce che tutta la sua vita è stata caratterizzata dalla fuga, da Esaù, da Labano e soprattutto dalla sua verità interiore. Eppure, proprio nell'oscurità, nell'ora della paura, scopre in sé una forza che non conosceva. Combatte. Resiste. Viene ferito, ma non spezzato. Questo diventa il momento della sua rinascita.

Insieme a questa consapevolezza, riceve anche una nuova benedizione. Un segno che la verità di questo momento è autentica: «Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, perché hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto». Il cambio di nome non è un dettaglio, ma il nucleo del risveglio interiore che Giacobbe sta vivendo. Israele (ישראל), dalla radice jaschar (ישר), dritto. Al contrario di Giacobbe, dalla parola akev (עקב), tallone, storto, contorto. «E ciò che è storto diventerà dritto», si legge in Isaia 40,4.

Israele è l'uomo che aspira alla rettitudine. Che è pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Che non cerca scorciatoie. Israele è colui che non fugge più, non si infila nelle fessure, ma sta in piedi: davanti alla sua vita, davanti alla sua verità e davanti a Dio. Il nuovo nome non è un'etichetta, ma l'essenza. Un'identità che vuole essere accettata.

Giacobbe, invece, porta i segni di una vita piena di deviazioni, lotte per la sopravvivenza, fughe e abili adattamenti. È nato mentre teneva il tallone di suo fratello. Ha vissuto tra Esaù e Labano e ha sempre saputo “cavarsela”. Ma a un certo punto Dio lo chiama a crescere.

E allora si manifesta un profondo paradosso: proprio quando riceve il nome “Israele”, il nome della rettitudine, lascia la lotta zoppicando, cioè ‘storto’. La ferita non è una punizione, ma un sigillo. Una testimonianza che la lotta è stata vera. È la cicatrice di una nuova nascita e allo stesso tempo un ricordo: la “Jakob-Haftigkeit”, i vecchi schemi non scompaiono semplicemente.

Anche chi si rialza porta con sé le tracce del proprio passato. A volte i vecchi schemi rialzano la testa e allora è necessario decidere di intraprendere la nuova strada, ancora e ancora. Finché il vecchio svanisce e il nuovo è saldamente radicato in noi. Finché Giacobbe diventa sempre più Israele. E infatti, nelle letture settimanali successive, a volte compare “Giacobbe” e a volte “Israele”, a volte anche nello stesso brano. Come se la Bibbia volesse dirci che il nuovo uomo vive già in lui, ma quello vecchio è ancora lì.

E Israele deve scegliere continuamente chi vuole essere ora. Più spesso sceglie Israele, più Giacobbe scompare. Le sue vie diventano più diritte, la sua vita più completa. Il cambiamento non è mai completo, mai facile, mai senza tracce. Il nuovo nome segna il passaggio: da ciò che era a ciò che è possibile. A volte questo momento arriva nel confronto con una grande paura, a volte nel mezzo di una crisi, a volte in una lunga notte in cui siamo soli con noi stessi. Ma quando una persona ha il coraggio di non nascondersi più, ma vuole crescere da questo momento, allora ne esce come una persona nuova. Con un nuovo capitolo. Con un nuovo modo di essere.

E così la storia non racconta solo di Giacobbe e Israele, ma anche di noi. Vale la pena chiedersi: quale parte di noi risponde ancora al nome di Giacobbe? E quale parte desidera già essere chiamata Israele?

Shabbat Shalom!

(Israel Heute, 5 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 32
    Il vitello d'oro
  • Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, si radunò intorno ad Aaronne e gli disse: “Facci un dio che vada davanti a noi; poiché, quanto a Mosè, a quest'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa gli sia accaduto”. E Aaronne rispose loro: “Togliete gli anelli d'oro che sono agli orecchi delle vostre mogli, dei vostri figli e delle vostre figlie, e portatemeli”. E tutto il popolo si tolse dagli orecchi gli anelli d'oro e li portò ad Aaronne, il quale li prese dalle loro mani, e, dopo averne cesellato il modello, ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: “O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!”. Quando Aaronne vide questo, costruì un altare davanti ad esso, e fece un annuncio che diceva: “Domani sarà festa in onore dell'Eterno!”. Il giorno dopo, quelli si alzarono di buon'ora, offrirono olocausti e portarono dei sacrifici di ringraziamento; e il popolo si adagiò per mangiare e bere, e poi si alzò per divertirsi. Allora l'Eterno disse a Mosè: “Va', scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è corrotto; si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si sono fatti un vitello di metallo fuso, lo hanno adorato, gli hanno offerto sacrifici, e hanno detto: 'O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto'”. L'Eterno disse ancora a Mosè: “Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro. Ora dunque, lascia che la mia ira si infiammi contro di loro, e che io li consumi! ma di te io farò una grande nazione”. Allora Mosè supplicò l'Eterno, il suo Dio, e disse: “Perché, o Eterno, la tua ira si infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande potenza e con mano forte? Perché direbbero gli Egiziani: 'Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per eliminarli dalla faccia della terra'? Calma l'ardore della tua ira e pèntiti del male di cui minacci il tuo popolo. Ricordati di Abraamo, di Isacco e d'Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: 'Io moltiplicherò la vostra progenie come le stelle dei cieli; darò alla vostra progenie tutto questo paese di cui vi ho parlato, ed essa lo possederà per sempre'”. E l'Eterno si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo.

    Mosè spezza le tavole della legge
  • Allora Mosè si voltò e scese dal monte con le due tavole della testimonianza nelle mani: tavole scritte su entrambi i lati, da una parte e dall'altra. Le tavole erano opera di Dio, e la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavole. Giosuè, udendo il clamore del popolo che gridava, disse a Mosè: “Si ode un fragore di battaglia nell'accampamento”. E Mosè rispose: “Questo non è né grido di vittoria, né grido di vinti; il clamore che odo è di gente che canta”. Come fu vicino al campo, vide il vitello e le danze e l'ira di Mosè si infiammò, ed egli gettò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi del monte.  Poi prese il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò con il fuoco, lo ridusse in polvere, sparse la polvere sull'acqua, e la fece bere ai figli d'Israele. E Mosè disse ad Aaronne: “Che ti ha fatto questo popolo, che gli hai attirato addosso un così grande peccato?”. Aaronne rispose: “L'ira del mio signore non si infiammi; tu conosci questo popolo, e sai che è incline al male. Essi mi hanno detto: 'Facci un dio che vada davanti a noi; poiché, quanto a Mosè, a quest'uomo che ci ha tratti fuori dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa gli sia accaduto'. E io ho detto loro: 'Chi ha dell'oro se lo tolga di dosso!'. Essi me lo hanno dato; io l'ho gettato nel fuoco, e ne è venuto fuori questo vitello”.

    Strage del popolo per ordine di Mosè
  • Quando Mosè vide che il popolo era senza freno e che Aaronne lo aveva lasciato sfrenarsi esponendolo all'obbrobrio dei suoi nemici, si fermò all'ingresso del campo, e disse: “Chiunque è per l'Eterno, venga a me!”. E tutti i figli di Levi si radunarono presso di lui. Ed egli disse loro: “Così dice l'Eterno, l'Iddio d'Israele: 'Ognuno di voi si metta la spada al fianco; passate e ripassate nell'accampamento, da una porta all'altra di esso, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l'amico, ciascuno il vicino!'”. I figli di Levi eseguirono l'ordine di Mosè, e in quel giorno caddero circa tremila uomini. Mosè aveva detto: “Consacratevi oggi all'Eterno, anzi ciascuno si consacri a prezzo del proprio figlio e del proprio fratello, affinché l'Eterno vi conceda una benedizione”.

    Mosè intercede per Israele
  • Il giorno dopo Mosè disse al popolo: “Voi avete commesso un grande peccato; ma ora io salirò all'Eterno; forse otterrò che il vostro peccato vi sia perdonato”. Mosè dunque tornò all'Eterno e disse: “Ahimè, questo popolo ha commesso un grande peccato, e si è fatto un dio d'oro; tuttavia, perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!”. E l'Eterno rispose a Mosè: “Colui che ha peccato contro di me, quello cancellerò dal mio libro! Ora va', conduci il popolo dove ti ho detto. Ecco, il mio angelo andrà davanti a te; ma nel giorno che verrò a punire, io li punirò del loro peccato”. E l'Eterno percosse il popolo, perché esso era l'autore del vitello che Aaronne aveva fatto.

(Notizie su Israele, 4 dicembre 2025)


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Le promesse infrante dall’AP

Bambini palestinesi ancora educati all’odio per gli ebrei e i terroristi pagati

di Nina Prenda

Per anni l’Autorità Palestinese (AP) ha assicurato di voler riformare a fondo il proprio sistema educativo e porre fine alle ricompense finanziarie sponsorizzate dallo Stato per il terrorismo. Promesse che, nelle intenzioni dichiarate, avrebbero dovuto segnare un percorso di moderazione e preparare il terreno a una futura convivenza tra israeliani e palestinesi. Secondo una lunga serie di rapporti indipendenti e revisioni, quelle riforme non si sarebbero tradotte in un cambiamento sostanziale. Le analisi dei materiali scolastici continuano a rilevare elementi ricorrenti: contenuti antisemiti, la glorificazione di figure coinvolte in attentati e un linguaggio che presenta la violenza come opzione legittima. Una distanza evidente tra ciò che viene promesso e ciò che viene effettivamente insegnato.
Da oltre dieci anni i principali donatori occidentali chiedono all’AP di rimuovere l’incitamento alla violenza dai programmi scolastici. Le autorità palestinesi, a loro volta, hanno più volte assicurato che una revisione seria fosse in corso. Le verifiche periodiche sui libri di testo però continuano a restituire lo stesso quadro: mappe che ignorano l’esistenza d’Israele, figure di terroristi presentate come modelli, riferimenti alla lotta armata come strada da perseguire. Molte scuole, osservano i ricercatori, continuano a intitolare aule e sezioni a figure coinvolte in attacchi, trasformandole in esempi per gli studenti. Un pattern che si ripete anno dopo anno e che mette in discussione la credibilità degli impegni presi.
Come riporta anche il Times of Israel, è stato di recente pubblicato un rapporto dall’organismo di controllo IMPACT-SE, con sede in Israele e nel Regno Unito, che monitora i contenuti educativi intitolato “Revisione del 2025-2026, Autorità palestinese, Curriculum scolastico, Gradi 1-12”. Lo studio parla di un impianto narrativo che, più che aprire a una dialettica pacifica, consolida un senso di ostilità verso gli ebrei e verso Israele.
Le rappresentazioni degli ebrei sono spesso negative, mentre esercizi di grammatica o matematica includono riferimenti al martirio o alla resistenza armata. Questi elementi non sarebbero frutto di disattenzione editoriale, ma parte di un impianto educativo che orienta i bambini palestinesi verso una visione univoca del conflitto, riducendo lo spazio per un approccio critico o per una prospettiva di convivenza.
Per riportare alcuni esempi, un esercizio di lettura in un testo di prima elementare introduce la parola “shaheed“, martire, per insegnare una lettera. Nella società palestinese, la parola martire si riferisce tipicamente a qualcuno che viene ucciso in un conflitto con Israele.
In un testo in arabo di seconda elementare, viene presentata una poesia agli studenti, che recita: “Diamo le nostre anime per la rivoluzione. Portiamo la fiamma della rivoluzione – ad Haifa, a Jaffa, ad Al-Aqsa e alla Cupola della Roccia”. Haifa e Jaffa si trovano all’interno dei confini riconosciuti a livello internazionale di Israele, e Israele ha annesso Gerusalemme Est, che contiene la Cupola della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa, più di quattro decenni fa. La poesia appare con un’illustrazione di un ragazzo e di una ragazza in uniformi scout palestinesi che guardano verso Gerusalemme.
In un libro di educazione islamica delle medie, gli ebrei sono presentati come manipolatori e bugiardi attraverso un racconto tradizionale islamico. I personaggi, esplicitamente etichettati come “Ebrei”, sono ritratti come immorali e ostili all’Islam. Inoltre, secondo lo studio, i riferimenti alla storia ebraica e agli sforzi diplomatici arabo-israeliani, che sono apparsi nelle edizioni precedenti, sono stati rimossi. Le menzioni dei processi di pace di Camp David e Annapolis – così come qualsiasi contenuto che promuova la non violenza o il compromesso – rimangono assenti nei libri di testo 2025-2026. In effetti, qualsiasi riconoscimento della storia ebraica è assente, la Shoah è ignorata.
Allo stesso modo, la persecuzione e l’espulsione subite dalle comunità ebraiche nei Paesi arabi dopo l’istituzione di Israele sono del tutto assenti. Anche in campi non legati a Israele, i libri di testo non sono all’altezza degli standard educativi delle Nazioni Unite, ha rilevato il rapporto, dicendo che i libri sull’istruzione islamica continuano a presentare le donne come deboli e subordinate agli uomini. Secondo lo studio, in alcuni casi, gli israeliani sono ritratti come figure demoniache, accusate di atrocità e ritratti come intrinsecamente malvagi. Poesie e canzoni conferiscono legittimità alla violenza e insegnano che l’esistenza stessa di Israele è illegittima.
Per citare altri esempi, in un libro di testo di educazione islamica delle medie, i versetti del Corano sono usati per insegnare che “i Figli di Israele” sono corrotti, destinati alla distruzione e puniti divinamente. Passando al tempo futuro, si interpreta il Corano come una profezia catastrofica per gli ebrei: gli israeliti riacquisteranno brevemente il potere ma troveranno la loro fine nell’umiliazione e nella sconfitta per mano dei “servi di Dio”.
Un libro di studi sociali delle medie liquida la storia ebraica in Palestina come irrilevante ed etichetta la presenza storica ebraica a Gerusalemme come una “fabbricazione” destinata a cancellare l’eredità arabo-islamica. L’analisi dei libri di testo mostra un continuo incoraggiamento della violenza e del terrorismo, anche attraverso un inquadramento religioso esplicitamente islamico del concetto di jihad. In un libro di testo di educazione islamica delle medie, agli studenti viene chiesto: “In quali circostanze la jihad per liberare la Palestina è considerata un dovere personale per ogni musulmano?”
Secondo il rapporto, questa formulazione rappresenta un’intensificazione dei contenuti precedenti: l’edizione 2019 si riferiva alla jihad come un dovere per tutti i musulmani, ma non la collegava esplicitamente alla “liberazione della Palestina”. In un libro di testo delle medie, la jihad è presentata come un percorso verso il paradiso, mentre in un altro testo di educazione islamica si loda la jihad armata, definita come combattere per conto dell’Islam. L’inquadratura religiosa è rafforzata con esempi concreti di attacchi terroristici palestinesi. In un libro di storia delle medie, il massacro delle Olimpiadi di Monaco del 1972, in cui 11 atleti israeliani e membri della delegazione olimpica sono stati uccisi, è presentato come una forma legittima di resistenza palestinese. Un libro di matematica di terza elementare insegna a fare calcoli attraverso il “numero di martiri” uccisi a Gaza. Una guida per insegnanti di storia delle elementari istruisce gli educatori a respingere le risoluzioni delle Nazioni Unite, anche quelle che chiedono la pace, se sono percepite come minanti i diritti nazionali palestinesi.
Per queste ragioni, i funzionari europei e americani sono diventati sempre più scettici sulle affermazioni dell’AP riguardanti le riforme. Le risoluzioni parlamentari in Europa hanno citato la presenza continua di incitamento alla violenza nei libri di testo e hanno chiesto un congelamento di alcuni fondi fino a quando le modifiche non saranno verificate. Gli esperti dell’istruzione che hanno esaminato i materiali nei mesi successivi a queste promesse hanno scoperto che nulla era cambiato nelle aule. Gli studenti che tornavano in aula nel 2025 erano ancora esposti agli stessi messaggi violenti che i donatori internazionali avevano cercato di eliminare.

Finanziamenti ai terroristi
  La pressione internazionale ha preso di mira anche la politica di lunga data dell’AP di fornire stipendi mensili ai terroristi imprigionati e pagamenti alle famiglie di coloro che hanno commesso attacchi. L’AP ha annunciato che il Fondo per i martiri sarebbe stato gradualmente eliminato e sostituito con un sistema di welfare basato sui bisogni. Questa mossa è stata ampiamente considerata come un segno di cambiamento. Tuttavia, le indagini successive hanno rilevato che i pagamenti sono continuati attraverso dipartimenti ristrutturati che hanno preservato le stesse categorie di beneficiari. La terminologia è cambiata, ma gli incentivi finanziari sono rimasti.
Questi pagamenti comunicano che la violenza contro gli israeliani è un atto onorato. Molte famiglie di aggressori ricevono più compensi rispetto agli insegnanti, ai dipendenti pubblici o ai professionisti. Questo crea una gerarchia sociale che premia coloro che commettono omicidi rispetto a coloro che contribuiscono alla società.
Questa erosione della fiducia colpisce più degli aiuti finanziari e danneggia la credibilità dell’AP come partner per qualsiasi accordo di pace. Una leadership che non può o non vuole riformare il proprio sistema educativo solleva serie domande sulle sue intenzioni e sulla sua capacità di preparare le generazioni future alla convivenza.
I primi a subire le conseguenze di questa mancata riforma non sono soltanto i civili israeliani colpiti dalla violenza, ma gli stessi studenti palestinesi. Crescere in un sistema che privilegia la narrativa del conflitto limita la visione del mondo, riduce le opportunità economiche future e lascia spazio a narrative estremiste che prosperano laddove l’istruzione non propone alternative.
Un ambiente educativo incapace di offrire modelli costruttivi finisce per soffocare l’iniziativa individuale e il dialogo, impoverendo l’intera società e compromettendo ogni prospettiva di progresso.
Il continuo fallimento dell’AP nel riformare i libri di testo e porre fine alle ricompense finanziarie per la violenza espone un profondo divario tra le sue promesse pubbliche e la sua condotta effettiva. Nonostante i ripetuti impegni, l’incitamento alla violenza rimane incorporato nelle aule e i pagamenti continuano in pratica con etichette riviste. Queste promesse non mantenute ingannano la comunità internazionale e privano i bambini palestinesi dell’istruzione che meritano. Il progresso reale richiede più delle dichiarazioni pubbliche. Richiede una rimozione completa del materiale di odio, una vera fine dei pagamenti del terrore e un impegno per preparare la prossima generazione per un futuro costruito sulla responsabilità piuttosto che sulla violenza.

(Bet Magazine Mosaico, 4 dicembre 2025)

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L’arabo cristiano che combatte per Israele

Nel Kibbutz Sasa: «Qui le sirene della contraerea scattano dopo l’esplosione dei razzi. Hezbolla è a meno di un chilometro. Abbiamo 7 secondi per entrare nel bunker».

di Costanza Cavalli

Ci sono due modi di vivere nel nord di Israele e, che si sia chiamati all’uno o all’altro, bisogna essere pronti. «La questione non è se arriverà la guerra, ma quando», dice un ufficiale militare delle Forze di Difesa israeliane in forza al Comando settentrionale. Niente foto e tutto fuori taccuino, Hezbollah ha messo una taglia sulla sua testa: sul monte Adir, nell’Alta Galilea, a mille metri di altezza, si vive così. Di fronte, si sdipana il confine, segnato da un muro. Non ce ne sarebbe bisogno: di qua è tutto verde, ci sono le querce e gli arbusti della macchia mediterranea, di là è spoglio, rasato e terroso. «Le nostre montagne sono una riserva naturale», spiega l’ufficiale, «i libanesi invece lasciano pascolare le pecore». La cima della montagna è chiusa ai visitatori: c’è una base delle Idf, si vedono le antenne. A est si trovano le Alture del Golan, spostando lo sguardo verso nord c’è il Monte Hermon, al limitare tra Israele, Siria e Libano. Il Mediterraneo è a ovest. Da qui parte il fronte unico che, secondo gli ultimi report, Gerusalemme sta cercando di costruire per collegare il Libano meridionale al sud della Siria. Due teatri, un unico arco offensivo.
   L’ufficiale lo dice sul campo: «Se Hezbollah se ne andasse non avremmo più niente da fare qui, raggiungeremmo la pace nel giro di un’ora. Non abbiamo interesse a invadere o occupare il Libano, vogliamo solo che questa area diventi tranquilla. Ma Hezbollah è e rimarrà una minaccia». Sul fronte diplomatico, l’inviato speciale americano per la Siria, Tom Barrack, durante una visita in Iraq, ha avvertito di un’imminente operazione israeliana in Libano contro la milizia sciita filo-iraniana per disarmarla. Si avvicina la scadenza dell’ultimatum fissato dagli Stati Uniti e Israele perché il Libano presenti passi concreti sull’abbandono degli armamenti da parte dei miliziani e Washington è stata chiara: ogni futuro sostegno finanziario e militare a Beirut è legato alla smilitarizzazione di Hezbollah.
   Gli intoppi, però, sono tre. Il primo è che il nucleo dell’ideologia di Hezbollah sta nella “resistenza armata” contro Israele. La lotta non è un mezzo, ma l’identità. Il partito, cioè, per essere considerato un interlocutore affidabile, dovrebbe essere ricostruito dalle fondamenta. Il secondo, spiega la fonte, è che «le forze armate libanesi e Hezbollah fanno parte della stessa famiglia. In una famiglia libanese capita che un fratello si arruoli nell’esercito e un altro imbracci un mitra per il Partito di Dio». A disarmare Hezbollah si corre quindi il rischio di provocare una guerra civile. Il terzo è che a un anno dall’entrata in vigore del cessate il fuoco i miliziani stanno ricostruendo le proprie capacità, contrabbandando missili oltre il confine siriano e ripristinando posizioni e basi.
   Come? Oltre ai metodi di finanziamento tradizionali - traffico di droga, diamanti e riciclaggio di denaro - grazie ai soldi dell’Iran. La Forza Quds della Repubblica Islamica dell’Iran ha contrabbandato oltre un miliardo di dollari verso Hezbollah attraverso gli Emirati Arabi Uniti da gennaio di quest’anno, ha riportato giovedì il Wall Street Journal, citando il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. La maggior parte dei denari arrivano dai guadagni delle vendite di petrolio iraniano e passano attraverso negozi di cambio, aziende, corrieri in stanza a Dubai. Da lì arrivano ai contrabbandieri in Libano. Altri fondi passano da Turchia e Iraq.
   E l’Onu? «Ci siamo fidati, ma a vent’anni di distanza (dalla seconda guerra del Libano, scoppiata nell’estate 2006, ndr), possiamo constatare che i Caschi blu, che dovranno abbandonare il Paese dei cedri l’anno prossimo, non hanno compiuto la loro missione. Le ostilità non sono cessate».
   L’ufficiale non è l’unico che non si fida. Jerry (sic.) saluta, chiacchiera, mangia, sorride, tutto con un M16 a tracolla: nel kibbutz Sasa, all’estremo nord dell’Alta Galilea, si vive così. È arabo, cristiano melchita, gestisce un pub irlandese, difende gli israeliani.
   Arriva dall’unico centro cristiano del Medio Oriente, Fassuta. Si vede dall’autostrada, su una collina, segnalato da una croce tutta lucine che potrebbe star bene a Las Vegas. A Sasa il 7 ottobre i missili Kornet di Hezbollah hanno danneggiato la biblioteca, una parte del liceo e l’Auditorium. Il confine con il Libano è distante poco più di un chilometro. «Le sirene della contraerea scattano dopo l’esplosione dei razzi, tanto i miliziani sono vicini», ha raccontato Angelica Edna Calò Livne, «In caso di attacco diretto avremmo sette secondi per entrare nel bunker: è come non averlo». È nata nel quartiere Testaccio, ma casa sua è qui da cinquant’anni, ha quattro figli, tre dispiegati nella Striscia, insegna Teatro all’università di Tel Hai a Kiryat Shmona. «Prima della guerra eravamo 450 abitanti, adesso siamo una cinquantina, tra responsabili della sicurezza e chi non se ne vuole andare». Lei è rimasta per suo marito Yehuda, un figlio del kibbutz, a capo della squadra di emergenza. La comunità ha una cassa comune in cui finiscono gli stipendi e i proventi delle attività, le decisioni sono prese dall’assemblea degli abitanti. La mensa, in cui si mangia a colazione e a pranzo, è gratuita. Le utenze vengono pagate attraverso il fondo. Tutti possono studiare fino al dottorato. Socialisti e collettivisti.
   «Non rinuncio a credere nella pace», ha detto Edna, «e non me ne vado». Ha le mele da raccogliere, «le pink lady, le più buone del mondo», e i kiwi. La frutta è la principale entrata del bilancio del kibbutz: 90 ettari, in media tremila tonnellate l’anno. La seconda voce è la Plasan, azienda leader mondiale nella progettazione, sviluppo e produzione di blindature per veicoli terrestri, aerei e navi delle forze armate.

Libero, 4 dicembre 2025)

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Talitha Kumi – Giovinetta, alzati!

Alcuni luoghi sono più di un semplice edificio o incrocio. Ci sono luoghi che sono come porte verso una storia più profonda, verso una vita che ci aspetta, ci sfida e ci trasforma. Per me, "Talitha Kumi è proprio un luogo del genere. La storia che segue accompagna il mio percorso e mostra come un luogo famoso nel cuore di Gerusalemme sia diventato una porta personale verso la speranza, la fede e la resurrezione. A.S.

di Anat Schneider

GERUSALEMME - Originariamente, il “Talitha Kumi”, costruito nel XIX secolo da Konrad Schick, era un orfanotrofio per ragazze cristiane. La storia biblica del miracolo è stata fonte di ispirazione per la fondazione dell'orfanotrofio, poiché il convento si considerava seguace di Gesù, donando vita a sua volta.
Dopo la fondazione dello Stato di Israele, lo Stato ha acquistato il terreno. Qui sono stati costruiti il grande magazzino “Hamashbir” e la torre della città. La casa fu demolita, ma una parte del suo aspetto originale fu conservata. La facciata del secondo piano, compreso l'orologio e l'insegna dell'orfanotrofio, fu lasciata al livello della strada. Con il tempo, questo divenne uno dei monumenti più famosi di Gerusalemme.
Molto prima che Talitha Kumi diventasse il punto d'incontro centrale, il nome era un ricordo delle parole di Gesù quando risuscitò la figlia del capo della sinagoga Giair: “Talitha Kumi!” - “Alzati, giovinetta!” Fu la prima resurrezione di un morto da parte di Gesù riportata nel Vangelo.
Ho conosciuto questa storia quando avevo vent'anni, quando ho iniziato a interessarmi a Gesù. Tuttavia, conoscevo il nome “Talitha Kumi” già da molto tempo prima e, anche se non ne capivo il significato, mi era familiare, come molte altre parole aramaiche che sono state adottate nella lingua ebraica. All'epoca non riflettevo sul loro significato più profondo.
Dio, però, ha i suoi piani. Mi ha fatto usare innumerevoli volte l'espressione “Talitha Kumi” fino a quando non mi è diventata completamente familiare. Quando poi sono stata pronta, mi ha fatto conoscere il miracolo compiuto da Gesù.
L'incontro con Gesù non è stato facile per me. Sono cresciuta in una famiglia ebraica tradizionale con profonde radici religiose. Conoscere Gesù e poi parlarne in famiglia è stata una grande sfida. È stato un processo lungo, un cammino di fede continuo. La mia esperienza mi dice che questo cammino continua, è un processo che dura fino alla fine dei tempi.
Torniamo al luogo in cui si trova, nella King George Street a Gerusalemme. Il fatto che questo monumento si trovi in una strada così vivace ha un significato simbolico. Gerusalemme è piena di religiosità. È piena di ebrei ortodossi. Tutti conoscono “Talitha Kumi”, ma la maggior parte non lo associa ancora a Gesù o alla resurrezione dei morti.
Credo tuttavia che Dio abbia un piano per avvicinare il popolo d'Israele a questo Gesù. Immagino che abbia il suo modo unico di mostrare a ciascuno le storie, finché non saremo pronti a riconoscerne la verità. E in effetti, il superamento della morte è il nucleo di ciò che il popolo ebraico desidera ogni giorno nelle sue preghiere per il Messia. “Credo fermamente nella venuta del Messia”, pregano gli ebrei. Il canto continua in modo un po' paradossale: “Anche se tarda, aspetto ogni giorno la sua venuta”. Il popolo ebraico crede che il Messia stia tardando, ma che arriverà sicuramente.
I modi in cui Dio ci avvicina alla verità sono miracolosi. Non sono sempre facili, certamente non rapidi, ma la verità rimane la verità e alla fine verrà alla luce. Attraverso il nome di questo monumento nel cuore della Città Santa, tutti gli abitanti di Gerusalemme commemorano il miracolo di Gesù, anche se molti di loro non lo sanno.

Anat davanti al cancello di Talitha Kumi in King George Street
Il grande miracolo avverrà quando il popolo ebraico, proprio come la bambina, si alzerà e riconoscerà la verità che gli è stata rivelata, la vera resurrezione dei morti. Il Messia è già qui. La prossima volta che visiterete Gerusalemme, visitate Talitha Kumi, una delle tante prove che dietro ogni pietra di Gerusalemme si nasconde una storia affascinante.

(Israel Heute, 4 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 31
    Gli artefici incaricati di fare gli oggetti per il culto
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Vedi, io ho chiamato per nome Besaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda; e l'ho riempito dello Spirito di Dio, di abilità, di intelligenza e di conoscenza per ogni sorta di lavori, per concepire opere d'arte, per lavorare l'oro, l'argento e il bronzo, per incidere pietre da incastonare, per scolpire il legno, per eseguire ogni sorta di lavori.  Ed ecco, gli ho dato come compagno Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan; e ho messo sapienza nella mente di tutti gli uomini abili, perché possano fare tutto quello che ti ho ordinato: la tenda di convegno, l'arca per la testimonianza, il propiziatorio che dovrà esserci sopra, e tutti gli arredi della tenda; la tavola e i suoi utensili, il candelabro d'oro puro e tutti i suoi utensili, l'altare dei profumi, l'altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base, i paramenti per le cerimonie, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio, l'olio dell'unzione e il profumo fragrante per il luogo santo. Faranno tutto conformemente a quello che ho ordinato”.

    La legge del sabato
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: 'Badate bene di osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica. Osserverete dunque il sabato, perché per voi è un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà eliminato dal suo popolo. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà essere messo a morte. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perenne. Esso è un segno perenne fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'”. 
  • Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte con il dito di Dio.

(Notizie su Israele, 3 dicembre 2025)


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Non è ancora finita

Gli ultimi ostaggi vivi sono stati liberati, la vita sta tornando alla normalità, ma per noi la guerra non è ancora finita.

di Dov Eìlon

Il 16 ottobre 2025 gli ultimi 20 ostaggi israeliani vivi sono tornati a casa. Due anni dopo il sabato nero. Per la prima volta da allora non ci sono più ostaggi vivi nella Striscia di Gaza. È un grande sollievo, ma non è ancora la fine.
  Ci sono ancora diversi ostaggi morti nelle mani di Hamas nella Striscia di Gaza (due persone al momento della chiusura della redazione). Le loro famiglie continuano ad aspettare, senza una tomba, senza una conclusione. Hamas sostiene di non sapere dove si trovino. Una bugia cinica. Ovviamente lo sanno. Trattengono i corpi perché così esercitano il loro potere.
  Dopo l'inizio della tregua, finora sono stati uccisi tre soldati israeliani, dai terroristi di Hamas, con RPG e cecchini. Due di loro venivano dalla mia città, Modi'in. Un amico di mia figlia conosceva uno dei caduti. Ricordo il corteo funebre che ha attraversato la nostra strada. La gente era in piedi sul ciglio della strada, molti con bandiere israeliane in mano. Nessuno parlava. Solo silenzio, mentre il convoglio passava sulla strada per Gerusalemme per la sepoltura sul Monte Herzl. È stato uno di quei momenti in cui si percepisce che il dolore può zittire un'intera città.

Tregua?
  Il 28 ottobre, durante la tregua, un soldato israeliano è stato ucciso a Rafah. Israele ha reagito con attacchi nella Striscia di Gaza. Hamas ha immediatamente sfruttato questo episodio come pretesto, dichiarando che Israele aveva violato la tregua. Ma è stato Hamas a sparare per primo, come spesso accade.
  Poco prima si era verificato un altro caso raccapricciante: invece di consegnare il cadavere, Hamas ha restituito solo alcuni resti di un corpo già sepolto. La famiglia ha dovuto riaprire la tomba del figlio per seppellire i nuovi resti. Un funerale a rate. Le parole non bastano.
  Finché Hamas trattiene i nostri morti, si sente al sicuro. Gioca con i sentimenti delle famiglie. E il mondo sta a guardare. Nessuna protesta, nessuna pressione. Israele viene esortato a trattenersi, a rimanere umano, mentre Hamas mercanteggia sui morti e usa la sofferenza delle famiglie come mezzo di pressione.
  Per noi israeliani è di fondamentale importanza seppellire i nostri morti. Questo non ha solo a che fare con il lutto, ma con una fede profondamente radicata. Nel giudaismo, il funerale è considerato un dovere sacro, un ultimo atto di misericordia verso il defunto. Il corpo deve riposare il prima possibile, «perché sei polvere e in polvere tornerai» (Genesi 3,19). Per questo lottiamo per riportare a casa i corpi dei nostri caduti e degli ostaggi assassinati: è un'espressione di dignità, amore e responsabilità.
  Hamas sta cercando di consolidare il proprio potere a Gaza. Abbiamo combattuto invano per due anni? Non dobbiamo crederci, ma osserviamo come si sta riorganizzando, come sta esercitando il controllo. Israele deve costantemente tenere conto della comunità internazionale, degli stessi paesi che ci criticano e aiutano così il nemico.
  Anche nel nord la situazione rimane tesa. Nelle ultime settimane Hezbollah ha ribadito chiaramente di non essere disposto a separarsi dalle proprie armi. Mentre i mediatori internazionali spingono per la smilitarizzazione del Libano meridionale, l'organizzazione terroristica mantiene il proprio arsenale e minaccia di rafforzare ulteriormente la propria “resistenza”. L'esercito israeliano reagisce con attacchi mirati che eliminano i combattenti di Hezbollah. Il pericolo di un'escalation è quindi tutt'altro che scongiurato.
  Anche l'Iran non ha rinunciato al suo obiettivo di distruggere Israele. Dobbiamo aspettarci che, in qualsiasi momento, possa scoppiare un nuovo conflitto con Teheran.

Atmosfera
  Nonostante tutto, l'atmosfera nel Paese è diversa rispetto a qualche mese fa. È tornata la calma, sì, si avverte persino una sorta di sollievo. Dall'inizio della tregua, nella Striscia di Gaza non si combatte più ogni giorno come prima. L'esercito rimane comunque presente lungo la cosiddetta “linea gialla”, il confine tra Israele e la Striscia di Gaza che è stato tracciato dopo il ritiro delle truppe di terra. Lì, le unità israeliane proteggono il territorio per impedire nuovi attacchi da parte di Hamas.
  I genitori tirano un sospiro di sollievo, ma nessuno crede davvero alla sicurezza. Il pericolo rimane – e lo abbiamo visto: anche durante la tregua sono caduti soldati israeliani. Questo dimostra quanto sia fragile questa calma.
  Eppure la vita sta tornando alla normalità. Nostro figlio ha iniziato il suo anno di studi alla scuola di musica Rimon, nostra figlia lavora nel suo nuovo posto di lavoro e nel Paese si respira di nuovo un'aria di normalità. Si sentono i bambini ridere, si vedono caffè affollati, persone che tornano a parlare e a incontrarsi – tutto ciò che è mancato così tanto negli ultimi due anni. Si prova sollievo. Ci si concede di essere di nuovo un po' più allegri. Si può tornare a augurarsi il buongiorno senza avere la coscienza sporca.
  Anche il turismo si sta lentamente risvegliando. Sempre più compagnie aeree stanno riprendendo i loro collegamenti con Israele. Alla fine di ottobre ho potuto accogliere un gruppo dalla Germania nel nostro ufficio e parlare con loro della situazione attuale. È stato bello avere questo incontro – tranquillo, aperto, onesto. Speriamo che presto tornino molti visitatori. Che le persone tornino qui per vivere la vera Israele, non solo quella che conoscono dai notiziari.

Racconti degli ostaggi
  I media riportano quasi quotidianamente notizie sugli ostaggi liberati. Molti di loro vengono invitati a rilasciare interviste, raccontano delle lunghe settimane di prigionia, dell'oscurità, della paura e del tentativo di conservare la propria umanità. Uno di loro, Yosef-Haim Ohana, ha raccontato in televisione come ha convinto le sue guardie a non ucciderlo. Ha parlato senza odio, ma con una calma che dice più della forza di mille parole.
  E poi c'è stato quel momento a Tel Aviv: all'inaugurazione della Fashion Week, Eli Sharabi, che ha trascorso 491 giorni in ostaggio, ha sfilato come modello in passerella. Non è stato un evento di moda, ma un segno silenzioso: che la vita è di nuovo possibile, che la dignità e l'orgoglio tornano, anche dopo tutto quello che è successo.
  Vogliamo semplicemente vivere. Ridere di nuovo, respirare di nuovo, essere di nuovo normali. Le sirene al momento sono silenziose, ma sappiamo che possono suonare di nuovo in qualsiasi momento. Questa calma fa bene, ma allo stesso tempo è fragile.
  La guerra non è finita. Ha solo un aspetto diverso. Non siamo ancora fuori pericolo, né con Gaza, né con Hamas, né con noi stessi. E a volte vorrei che riuscissimo a ritrovare l'armonia anche tra di noi. Che questa eterna disputa nel nostro Paese, tra opinioni, fazioni, visioni del mondo, finisse finalmente.
  Perché alla fine vale come sempre: solo insieme siamo forti.

(Israel Heute, 3 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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L'esercito israeliano forma la sua prima classe di comandanti nella brigata ortodossa Hashmonaim

La nuova brigata Hashmonaim dell'esercito israeliano, destinata ai soldati ortodossi, ha completato il suo primo corso di formazione per comandanti di unità, ha annunciato l'esercito israeliano. Secondo l'esercito israeliano, questa tappa segna “le basi della futura generazione di comandanti Haredi nell'esercito”.
Circa 70 soldati hanno completato la formazione. Il loro addestramento comprendeva esercitazioni di combattimento in ambiente urbano e in campo aperto, esercitazioni di navigazione attraverso il paese e una breve partecipazione alle operazioni a Gaza.
Martedì sera è stata organizzata una cerimonia per celebrare la fine della formazione. Tsahal ha sottolineato che questo programma «fa parte di un importante sforzo volto a integrare i giovani ortodossi nell'esercito».
La creazione di questa brigata è avvenuta poco più di un anno fa, in un contesto di forti tensioni politiche e sociali sull'arruolamento dei soldati Haredi in Israele. Essa rientra nella strategia dell'esercito israeliano, volta ad aumentare il reclutamento di questa comunità, che deve affrontare una carenza di personale aggravata dall'ultimo conflitto. L'iniziativa intende anche dimostrare, nonostante l'opposizione di alcuni rabbini influenti, che il servizio militare può essere compatibile con la pratica ortodossa.

(i24, 3 dicembre 2025)

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Bennett prepara la corsa per il 2026

Sì alla grazia per Netanyahu, a patto che poi si ritiri dalla politica. Vuole approfittare del forte consenso popolare, magari insieme al già Capo di Stato maggiore.

di Giuseppe Kalowski

TEL AVIV –  Naftali Bennett, già premier di Israele prima dell’attuale governo Netanyahu, ha appoggiato la richiesta di grazia di Bibi, condizionandola però al suo ritiro dalla politica. Una posizione che appare più come una mossa di apertura della campagna elettorale che come una reale volontà di accordo politico e costituzionale, soprattutto considerando che Netanyahu ha già dichiarato di volersi ricandidare alle prossime elezioni, previste entro ottobre 2026.
Bennett, uomo religioso e di destra – il suo partito, sciolto prima delle ultime elezioni, si chiamava Yamina, che in ebraico significa “destra” – è oggi l’unico, dopo il declino di Gantz, a riscuotere un forte consenso nei sondaggi. È anche l’unico che, secondo le rilevazioni, potrebbe ottenere un numero di seggi simile al Likud, formando una nuova lista insieme all’ex Capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot, figura molto rispettata nel Paese dopo la perdita del figlio in battaglia a Gaza, e uscito dal partito Blue and White di Gantz. Un’opposizione guidata da Bennett potrebbe realisticamente ambire a guidare Israele nella prossima legislatura.
Nel frattempo, sono già iniziati i primi sit-in davanti alla residenza del Presidente Herzog da parte di chi si oppone fermamente alla grazia. Il Paese sembra avviarsi verso un nuovo “autunno caldo”, simile a quello delle grandi proteste contro la riforma della giustizia, prima del 7 ottobre 2023. Per ora, la richiesta di Netanyahu ha avuto l’effetto di aumentare la polarizzazione dell’opinione pubblica, piuttosto che avviare quel processo di riconciliazione che il premier dichiarava di auspicare. Il Presidente Herzog, che dovrà decidere se concedere o meno la grazia, ha già trasmesso la richiesta al Dipartimento per le Grazie del Ministero della Giustizia, competente per queste procedure. Ha inoltre fatto sapere che la decisione – qualunque essa sia – non arriverà prima di alcuni mesi.
Sul fronte esterno, la tregua si trova in una fase di stallo, con un concreto rischio di una ripresa delle ostilità. L’Iran sta aumentando la pressione su Hamas ed Hezbollah affinché tornino al conflitto. In questo contesto si inserisce anche il colloquio telefonico tra Trump e Netanyahu: il Presidente americano ha invitato il premier israeliano alla Casa Bianca, senza però indicare una data. In Siria, l’Iran tenta di destabilizzare al-Jolani per ampliare la propria influenza, con l’appoggio della Russia. Per Israele, ciò rende ancora più strategica la presenza della zona cuscinetto in Siria, fondamentale per la sicurezza del Golan.
Nella notte tra il 28 e il 29 novembre, l’Idf ha compiuto un blitz nel villaggio di Beit Jinn, nel sud della Siria, a circa 40 chilometri da Damasco, arrestando due miliziani di al-Jamaa al-Islamiyya, una filiale dei Fratelli Musulmani. Durante il ritiro, le forze israeliane sono state colpite da un’imboscata che non ha compromesso l’operazione ma ha provocato il ferimento di sei soldati riservisti, due dei quali in condizioni gravi, e l’uccisione di almeno 14 miliziani. La situazione nel triangolo Israele-Siria-Libano rimane in continua evoluzione e, per essere risolta pacificamente, potrebbe richiedere un’altra “magia diplomatica” del Presidente Trump.

(Il Riformista, 3 dicembre 2025)

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L'allenatore che è rimasto

A Naharia cadevano i razzi, ma Roni Gechtberg ha continuato a tenere le lezioni di karate. Un ritratto di coraggio, routine e responsabilità.

di Neli Shoifer

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Roni Gechtberg

Quando suonavano le sirene dell'allarme aereo, i bambini del corso di karate di Roni Gechtberg sapevano esattamente cosa fare. Interrompevano gli esercizi, correvano nel rifugio e aspettavano – a volte pochi minuti, a volte più a lungo – mentre i razzi provenienti dal Libano colpivano il nord di Israele. Gli attacchi, che le autorità israeliane hanno classificato come bombardamenti ingiustificati e mirati contro zone residenziali, hanno caratterizzato per mesi la vita quotidiana della città costiera di Naharia.
  Con l'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, durante il quale i terroristi hanno fatto irruzione in Israele uccidendo e rapendo civili e soldati, è iniziata una nuova fase del conflitto anche al confine settentrionale. Poco dopo, Hezbollah ha aperto il fuoco, bombardando città e villaggi nel nord di Israele con razzi e droni. Naharia è stata sottoposta a bombardamenti regolari per settimane; le scuole sono rimaste chiuse, le famiglie hanno cercato rifugio o hanno lasciato la regione.
  In mezzo a questa situazione, Roni Gechtberg, 27 anni e radicato a Naharia fin dall'infanzia, ha continuato il suo allenamento, prima in normali palestre, poi in rifugi e infine online.
  “I bambini avevano paura”, dice Gechtberg. “Ma l'allenamento dava loro una struttura, qualcosa su cui poter contare”.

Successi sportivi
  Gechtberg è ancora oggi il primo e unico israeliano ad aver vinto una medaglia ai Campionati Europei nella disciplina riconosciuta dalle Olimpiadi dalla World Karate Federation (WKF). È stato anche il primo israeliano a partecipare ai Giochi Olimpici Europei. Dodici titoli nazionali consecutivi e anni di allenamenti all'estero testimoniano una carriera eccezionale nel suo sport.
  Ma tutto questo è passato in secondo piano: “All'inizio della guerra l'unica cosa importante era essere presente per i bambini”, dice. “Dovevo mostrare loro che la vita continuava”.
  Oltre alla sua attività di allenatore, Gechtberg rimane un atleta agonista attivo. Si allena una o due volte al giorno, sette giorni su sette. La mattina il programma prevede forza e resistenza, la sera tecnica, velocità e sparring. “Se vuoi competere a livello internazionale, devi allenarti ogni giorno”, dice. Molti fine settimana va a Wingate o Modi'in per seguire corsi di formazione e lavorare con altri atleti della squadra nazionale.

Allenarsi in Marocco mentre il mondo va in pezzi
  Quando ha ricevuto le prime notizie del 7 ottobre, Gechtberg era in Marocco per prepararsi ai campionati mondiali in un campo di allenamento di alto livello. Fuori decine di migliaia di persone manifestavano, dentro allenatori e atleti discutevano di sicurezza e possibili ritorni a casa.
  “Mi ha colpito mentalmente molto più di quanto mi aspettassi”, dice. “Improvvisamente ho sentito un'enorme responsabilità nel rappresentare Israele e questo ha compromesso la mia concentrazione”.

Professionalità e protezione – lontano da casa
  I funzionari marocchini hanno reagito con calma ed estrema lealtà. “Mi hanno detto: ‘Qui sei un membro della famiglia. Sei al sicuro’”, ricorda Gechtberg. La politica non ha avuto alcun ruolo nel campo di allenamento. “Si trattava solo di professionalità”.
  Ha vinto due incontri, ma si è subito reso conto di non essere al meglio della forma. “Non ero completamente me stesso”, racconta.

Ritorno a Naharia e alla realtà
  Dopo il suo ritorno, Gechtberg ha dovuto prima ritrovare il suo equilibrio: “Niente allenamenti, niente lavoro... solo sirene. Non si sa come sarà il giorno dopo. Questo ha un impatto sulla psiche”.
  Dopo due giorni, si è imposto una routine: allenamento con esercizi video, esercizi di karate in salotto, poi lezioni online per i suoi allievi. Quando il comune ha messo a disposizione dei rifugi, ha ripreso l'allenamento in presenza.
  “Per un mese ci siamo allenati esclusivamente nel rifugio”, racconta. “Questo insegna una forma di disciplina completamente diversa, sia interiormente che esteriormente”.

La politica sullo sfondo dello sport
  Anche sul tatami (il tappeto da karate) la guerra era palpabile. Le amicizie internazionali sono cambiate; alcune sono quasi svanite nel nulla. “Un atleta ucraino che consideravo un caro amico ha preso le distanze a causa di ciò che ha visto online”, racconta Gechtberg.
  Durante le competizioni, i simboli politici erano evidenti: atleti del Kuwait con sciarpe dell'OLP, silenzio teso ai bordi del tatami. Una volta è persino scomparsa la sua borsa sportiva, che è ricomparsa solo dopo che i funzionari hanno fatto notare alle squadre che le telecamere di sorveglianza registravano tutto.
  Anche al di fuori delle competizioni, la reazione è stata mista. Molti allenatori e atleti internazionali si sono subito fatti vivi, offrendo sostegno e informandosi sulla sua sicurezza. Altri, invece, hanno reagito con riserbo o distacco, influenzati dai titoli dei giornali e dai media sensazionalistici. “Si capisce molto rapidamente chi ti sta davvero vicino”, dice Gechtberg. Ha ricevuto una solidarietà tangibile soprattutto dalle comunità ebraiche di tutto il mondo.

La decisione di restare
  Durante la guerra, Gechtberg ha ricevuto offerte da due paesi per gareggiare per loro o trasferire la sua carriera all'estero. Ha rifiutato.
  “Io rappresento Israele”, dice. “Per me è un compito”. All'estero sarebbe stato “uno dei milioni”, mentre in Israele il suo successo ha un significato che va ben oltre lo sport.
  “Proprio in quel momento non volevo andarmene”, aggiunge. “Il mio posto è qui, con i miei allievi”.

Una professione senza doppia sicurezza
  Il karate non è uno degli sport che garantiscono una sicurezza finanziaria in Israele. “Anche una medaglia europea difficilmente ti assicura un sostegno”, osserva. “Si guadagna di più in una stazione di servizio”.
  Il suo reddito proviene principalmente dalla sua attività di allenatore. La sua associazione, Gechtberg Karate, si occupa di bambini e adulti di età compresa tra i tre anni e mezzo e i sessant'anni.
  “Mi è stato detto che una persona come me non avrebbe mai potuto arrivare ai vertici europei”, dice. “Ho dimostrato il contrario. E non ho ancora intenzione di smettere”.

(Israel Heute, 3 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 30
  • Modello dell'altare dei profumi
    Farai pure un altare per bruciarvi su il profumo: lo farai di legno di acacia. La sua lunghezza sarà di un cubito; e la sua larghezza, di un cubito; sarà quadrato, e avrà un'altezza di due cubiti; i suoi corni saranno tutti di un pezzo con esso. Lo rivestirai d'oro puro: il disopra, i suoi lati tutto intorno, i suoi corni; e gli farai una ghirlanda d'oro che gli giri attorno. E gli farai due anelli d'oro, sotto la ghirlanda, ai suoi due lati; li metterai ai suoi due lati, per passarvi le stanghe che serviranno a portarlo. Farai le stanghe di legno di acacia, e le rivestirai d'oro. Collocherai l'altare davanti al velo che è davanti all'arca della testimonianza, di fronte al propiziatorio che sta sopra la testimonianza, dove io mi ritroverò con te. Aaronne brucerà su di esso del profumo fragrante; lo brucerà ogni mattina, quando riordinerà le lampade; e quando Aaronne accenderà le lampade al tramonto, lo farà bruciare come un profumo perenne davanti all'Eterno, di generazione in generazione. Non offrirete su di esso né profumo estraneo, né olocausto, né oblazione; e non vi farete libazione. Aaronne farà una volta all'anno l'espiazione sui corni di esso; con il sangue del sacrificio di espiazione per il peccato vi farà l'espiazione una volta l'anno, di generazione in generazione. Sarà cosa santissima, sacra all'Eterno”

    Offerta per il riscatto.
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Quando farai il conto dei figli d'Israele, facendone il censimento, ognuno di essi darà all'Eterno il riscatto della propria persona, quando saranno contati; affinché non siano colpiti da qualche piaga, quando farai il loro censimento. Daranno questo: chiunque sarà compreso nel censimento darà un mezzo siclo, secondo il siclo del santuario, che è di venti ghere: un mezzo siclo sarà l'offerta da fare all'Eterno. Ognuno che sarà compreso nel censimento, dai vent'anni in su, darà questa offerta all'Eterno. Il ricco non darà di più, né il povero darà meno del mezzo siclo, quando si farà questa offerta all'Eterno per il riscatto delle vostre vite. Prenderai dunque dai figli d'Israele questo denaro del riscatto e lo adopererai per il servizio della tenda di convegno: sarà per i figli d'Israele un memoriale davanti all'Eterno per fare il riscatto delle vostre vite”.

    La conca di bronzo
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Farai pure una conca di bronzo, con la sua base di bronzo, per le abluzioni; la porrai fra la tenda di convegno e l'altare, e ci metterai dell'acqua. Aaronne e i suoi figli vi si laveranno le mani e i piedi. Quando entreranno nella tenda di convegno, si laveranno con acqua, perché non muoiano; così pure quando si accosteranno all'altare per fare il servizio, per far bruciare un'offerta fatta all'Eterno mediante il fuoco. Si laveranno le mani e i piedi, perché non muoiano. Questa sarà una norma perenne per loro, per Aaronne e per la sua progenie, di generazione in generazione”.

    L'olio santo
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Prenditi anche i migliori aromi: di mirra vergine, cinquecento sicli; di cinnamomo aromatico, la metà, cioè duecentocinquanta; di canna aromatica, pure duecentocinquanta: di cassia, cinquecento, secondo il siclo del santuario; e un hin di olio di oliva. E ne farai un olio per l'unzione sacra, un profumo composto con l'arte del profumiere: sarà l'olio per l'unzione sacra. E con esso ungerai la tenda di convegno e l'arca della testimonianza, la tavola e tutti i suoi utensili, il candelabro e i suoi utensili, l'altare dei profumi, l'altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base. Consacrerai così queste cose, e saranno santissime; tutto quello che le toccherà, sarà santo. E ungerai Aaronne e i suoi figli, e li consacrerai perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti. E parlerai ai figli d'Israele, dicendo: 'Quest'olio sarà per me un olio di sacra unzione, di generazione in generazione. Non lo si verserà su carne di uomo, e non ne farete altro simile, della stessa composizione; esso è cosa santa, e sarà per voi cosa santa. Chiunque ne comporrà uno simile, o chiunque ne metterà sopra un estraneo, sarà eliminato dal suo popolo'”.

    Il profumo
  • L'Eterno disse ancora a Mosè: “Prenditi degli aromi, della resina, della conchiglia profumata, del galbano, degli aromi con incenso puro, in dosi uguali; e ne farai un profumo composto secondo l'arte del profumiere, salato, puro, santo; ne ridurrai una parte in polvere minutissima, e ne porrai davanti alla testimonianza nella tenda di convegno, dove io mi incontrerò con te: esso sarà per voi cosa santissima. E del profumo che farai, non ne farete altro della stessa composizione per uso vostro; sarà per te cosa santa, consacrata all'Eterno. Chiunque ne farà di simile per odorarlo, sarà eliminato dal suo popolo”.
(Notizie su Israele, 2 dicembre 2025)


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La farsa del cessate il fuoco: perché Israele non partecipa più al gioco senza speranza dell'Occidente

Mentre Hezbollah si riarma sotto gli occhi del Libano e della comunità internazionale, Israele si prepara ad agire, perché nessun altro lo fa.

di Ryan Jones

GERUSAòEMME - Il copione è fin troppo familiare. Scoppia un conflitto, gli Stati occidentali si precipitano per organizzare un cessate il fuoco e strette di mano diplomatiche accompagnano promesse di pace. La sceneggiatura prevede osservatori internazionali, risoluzioni formulate in modo incisivo e, cosa più importante, l'aspettativa che attori non statali, spesso organizzazioni terroristiche ben armate, si disarmino volontariamente in cambio di una normalizzazione politica.
È sempre la stessa storia. E ogni volta fallisce.
L'accordo di cessate il fuoco tra Israele e Libano ne è l'ultima prova. L'inchiostro è ancora fresco, eppure Hezbollah non si sta disarmando. Al contrario: il rappresentante iraniano si sta visibilmente riarmando, in modo aperto, aggressivo e con la piena consapevolezza del governo libanese. Inoltre, lo fa nonostante l'enorme pressione internazionale e persino le operazioni militari israeliane mirate che hanno eliminato figure di alto rango, tra cui il capo di stato maggiore di Hezbollah, Ali Tabatabai.
Per Israele questo non è solo un frustrante fallimento diplomatico, ma una questione di sopravvivenza nazionale. Dopo gli orrori del 7 ottobre, nessun governo israeliano può permettersi di tollerare un Hezbollah pesantemente armato appena oltre il confine settentrionale, che potrebbe scatenare in qualsiasi momento un altro massacro in Galilea. Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno espresso chiaramente la loro valutazione: l'attuale meccanismo che dovrebbe chiamare Hezbollah a rispondere delle sue azioni è una tigre di carta. Le violazioni rimangono impunite. Le armi affluiscono. Le rampe di lancio si moltiplicano. I terroristi si addestrano e si trincerano.
Eppure i paesi occidentali continuano ad aggrapparsi allo stesso modello fallimentare: proporre un cessate il fuoco, esigere il disarmo, fidarsi che i terroristi mantengano la parola data e lasciare l'applicazione di misure inefficaci a istituzioni internazionali come l'UNIFIL. Non ha funzionato in passato. Non funzionerà adesso. Ma fa bella figura, finché tutto non crolla di nuovo e la colpa può essere attribuita a Israele perché si difende.
Ma questa volta Israele non sta al gioco. L'IDF continua a sferrare attacchi preventivi contro le postazioni di Hezbollah, tra cui rampe di lancio e depositi di armi, mentre prepara operazioni più ampie. Come ha affermato un funzionario americano: “Un'operazione israeliana in Libano si avvicina”.
Deve avvicinarsi. Perché mentre il mondo spera che i terroristi che giurano di distruggere Israele si smilitarizzino volontariamente, Israele comprende la realtà: la pace non può essere negoziata con i rappresentanti armati dell'Iran, che considerano ogni cessate il fuoco come un'opportunità per riarmarsi.
L'Occidente può accontentarsi di illusioni diplomatiche. Ma per Israele le illusioni sono un lusso che non può più permettersi.

(Israel Heute, 2 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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«Vigliacchi antisemiti, sconfiggeremo pure voi»

di Fiamma Nirenstein

Quando ancora speravamo di poter rivedere a casa i bambini Kfir e Ariel Bibas, testoline rosse, con la loro mamma Shiri, ho visto una donna strappare dal muro la loro fotografia, farne a pezzi con le unghie la faccina; qualcuno, nella realtà dei fatti intanto li strangolava a Gaza. Adesso, ieri i vandali che hanno assalito la sinagoga Beit Michael a Monteverde hanno insozzato la lapide di Stefano Gaj Tachè, il bambino ucciso a due anni da terroristi antisemiti mentre usciva dal Tempio maggiore. Nella Shoah sono morti un milione e mezzo di bambini ebrei. Così le 4 sorelline di mio padre, e il ragazzo Moshe, suo adorato fratello. Il 4 ottobre del 1943 a Poznan il Reichsfuhrer Heinrich Himmler spiegò agli ufficiali nazisti che avrebbero dovuto uccidere anche tutti i bambini così da terminare per sempre l'esistenza del popolo ebraico e da evitare vendette.
  Yahya Sinwar, nei suoi ordini scritti a mano per i carnefici del 7 ottobre, ordinava alle Nukbe di Hamas di fare a pezzi, violentare, bruciare e rapire anche i bambini in braccio alle mamme e alle nonne, e così fecero. Adesso a Roma vediamo i loro parenti, animali antisemiti che minacciano la civiltà, la morale, la nostra pelle e quella di tutto il mondo democratico e libero, dove le donne, i gay, i dissidenti, non vengono perseguitati come in Iran, o a Gaza, ma onorati.
  Dopo la guerra... Gli ebrei sono tornati a casa, in Israele o dove volevano, contro ogni previsione hanno resuscitato una vita di comunità ovunque, hanno uno dei tassi di natalità più alti del mondo fra le democrazie, i bambini percorrono felici le vie di Gerusalemme e di Tel Aviv e della Piazza di Roma. I nazisti sono stati sconfitti.
  Dopo Sinwar, Hamas è a pezzi rintanato in quel che resta nelle gallerie, gli ebrei non sono mai stati così forti. Abbiamo pianto nel ricostruire la nostra difesa, nel ritrovare noi stessi dopo che ci hanno toccato i bambini, abbiamo puntato i piedi e fatto del nostro meglio, dal ghetto di Roma a Kfar Aza. Se voi, vigliacchi nazisti, comunisti, jihadisti pensate di poter distruggere il Popolo ebraico, di spaventarci, se immaginate "Palestina libera" (libera di uccidere, naturalmente) e "gli ebrei in America" come cantavate attaccando il Tempio, se fantasticate che la vostra negazione della conoscenza, dei pensieri, dei diritti umani, della libertà in nome dell'odio antisemita e antioccidentale terrorizzi il popolo ebraico, lo metta in fuga, bene, sappiate che state solo risvegliando tutta la potenza del pensiero e del sentimento di identità che da 2.700 anni, nato e cresciuto in Israele, tiene insieme il popolo più antico, insegna ai suoi bambini la libertà e l'eguaglianza.
  E anche, come difendere la propria identità e la propria casa, con le unghie e coi denti, e con la benedizione internazionale di chi capisce che quelle frange rabbiose sono parte di una guerra geopolitica che vede da una parte le democrazie, dall'altra i tiranni. In una parola: vigliacchi, sarete sconfitti.

(il Giornale, 2 dicembre 2025)

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Grave scandalo di corruzione a Gerusalemme

GERUSALEMME – La polizia è coinvolta in un grave scandalo: indagini interne hanno rivelato che alcuni agenti hanno permesso l'attraversamento illegale del confine da parte di palestinesi provenienti dalla Cisgiordania in cambio di tangenti. Lunedì gli investigatori hanno presentato un atto d'accusa al tribunale distrettuale di Gerusalemme, secondo quanto riportato dal sito di notizie israeliano “Arutz Scheva”.
I tre imputati appartengono all'unità ultraortodossa “Avnet”. Secondo l'atto di accusa, essi avrebbero approfittato della loro posizione al posto di controllo “Ras Bidu” per far entrare illegalmente immigrati e merci nel territorio israeliano senza alcun controllo. A tal fine avrebbero collaborato segretamente con gli abitanti dei villaggi palestinesi di confine Beit Iksa e Bidu.
Come parte dell'accordo, gli arabi pagavano ai poliziotti centinaia di shekel per ogni attraversamento non autorizzato del confine”, scrive “Aruz Scheva”. Il gruppo avrebbe anche chiuso un occhio sui sospetti di contrabbando di armi. In totale, i tre poliziotti avrebbero accettato decine di migliaia di shekel in tangenti. Parte dell'atto d'accusa riguarda anche la relazione personale di uno dei poliziotti con una donna del villaggio di Beit Iksa. Il poliziotto avrebbe accettato regali da lei e possedeva foto di lei nuda. Ciò costituisce un caso di grave abuso di fiducia.

Dei sospetti erano già stati arrestati a novembre
  Lo scandalo di corruzione era già venuto alla luce a novembre. Il quotidiano “Yediot Aharonot” aveva riportato che cinque poliziotti di frontiera dell'unità “Avnet” erano stati arrestati in relazione al caso. Uno dei poliziotti avrebbe confessato i fatti contestati e fornito informazioni sul modus operandi: secondo quanto riferito, avrebbero lavorato con un “listino prezzi” fisso e ricevuto 100 shekel (circa 26 euro) per ogni persona contrabbandata. Avrebbe anche ammesso di aver venduto granate stordenti ai palestinesi.
Oltre ai tre poliziotti, sono stati incriminati anche i cospiratori palestinesi di Beit Iksa. Sono accusati di corruzione, possesso illegale di armi, ingresso in Israele senza permesso e traffico di esseri umani.

(Israelnetz, 2 dicembre 2025)

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La mia opinione sulla grazia concessa a Netanyahu

Prima ancora di parlare della richiesta di grazia di Benjamin Netanyahu, bisogna capire una cosa: la Bibbia è il documento politico più antico del mondo e insegna un unico messaggio incrollabile.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Lo dico chiaramente e a voce alta: sono favorevole alla grazia per Benjamin Netanyahu. Perché se la sua richiesta di grazia fallisce, il suo processo si protrarrà per anni, gettando un'ombra infinita sul Paese che continuerà a logorare e dividere il nostro popolo. La gente vuole finalmente liberarsi da questo flagello. Questo processo è stata la scintilla che ha innescato la rivoluzione giuridica, che ha precipitato il Paese in un tumulto costituzionale e ha aperto una delle più profonde fratture sociali della nostra storia. Questo deve finire. Su questo punto Netanyahu ha ragione: il suo processo ha diviso Israele e lo sta lacerando ancora oggi. Ma l'amara ironia è che proprio lui, insieme al suo entourage politico, ha continuato ad approfondire questa frattura. Non solo “l'altra parte”, come sostiene lui. Tuttavia, chi si aspetta il perdono dallo Stato deve prima assumersi le proprie responsabilità. Se Netanyahu vuole davvero l'unità, deve prima dimostrare di essere disposto ad assumersi le proprie responsabilità, non solo a richiederle retoricamente.
I suoi alleati di governo presentano la grazia come un “passo nazionale verso l'unità” e accusano la magistratura di persecuzione politica. L'opposizione, invece, parla di ricatto, manipolazione politica e chiede: “La grazia solo in cambio del ritiro di Netanyahu dalla politica”. Il presidente Isaac Herzog si trova ora al centro di una decisione dalle conseguenze storiche, ed è del tutto incerto se la grazia porterà effettivamente all'unità o approfondirà ulteriormente la divisione del Paese. Sono scettico!
Benjamin Netanyahu presenta la sua richiesta di grazia come un atto patriottico, una misura necessaria per la “riconciliazione nazionale”. Egli sostiene che il processo a suo carico sta dividendo il Paese e che solo la sua immediata conclusione potrà salvare l'unità di Israele. Quello che Netanyahu presenta come un processo di guarigione è in realtà un salvagente politicamente perfetto, per lui stesso, non per il Paese. Da anni dipinge un quadro coerente: la giustizia è politicizzata, i media sono ostili, l'apparato di sicurezza è sleale e chiunque lo critichi fa parte di una cospirazione. Solo lui è la roccia nella tempesta, il vero protettore di Israele. Questo è esattamente il messaggio della sua richiesta di grazia. Se solo lui venisse scagionato, la frattura nel Paese sarebbe sanata. Chi accetta questa narrativa deve anche accettare la logica conseguenza: non è Netanyahu il responsabile della divisione sociale, ma tutti gli altri.
Il 7 ottobre dimostra però il contrario. Dopo la catastrofe nazionale, generali, capi dei servizi segreti e responsabili sono stati licenziati o si sono dimessi, come Herzi Halevi, Ronen Bar, Aharon Haliva, i comandanti del sud e altri. Anche il ministro della Difesa Yoav Galant è stato licenziato. Tutti si sono assunti la responsabilità e hanno pagato un prezzo. Netanyahu ha fatto il contrario. Si è dichiarato innocente al 100%. Ancora una volta la colpa è degli altri: l'esercito, i servizi segreti, il sistema giudiziario, il movimento di protesta, i media. Lo stesso schema si ripete ora nella sua richiesta di grazia. La divisione non è opera sua, la lunghezza del processo non è sua responsabilità e la crisi nazionale giustifica il motivo per cui deve essere risparmiato.
Il punto è questo: con questa narrazione Netanyahu convince forse i suoi elettori e la sua famiglia, ma non il popolo, che dopo il 7 ottobre ha urgente bisogno di guarigione. Chi vuole davvero guarire la nazione non inizia assolvendosi dalla responsabilità. La guarigione senza responsabilità non esiste né in politica né nella Bibbia. Ed è proprio questa responsabilità, presupposto di ogni vero rinnovamento, che Netanyahu non vuole assumersi. Netanyahu chiede una completa assoluzione giuridica, senza una parola sulla responsabilità. Questo è senza precedenti. Non è un ponte, è una destituzione dei giudici.
Ho la sensazione che Netanyahu non voglia guarire Israele, ma prima di tutto garantire la propria sopravvivenza politica. Israele ha davvero bisogno di guarigione – una guarigione profonda, onesta, nazionale. Ma per questo il primo ministro dovrebbe prima di tutto fare ciò che ogni soldato, ogni funzionario e ogni comandante deve fare: assumersi la responsabilità. Un primo ministro che dice: “Io sono innocente, ma tutti gli altri hanno fallito” non è un guaritore. È parte della ferita. Un primo ministro che dice: “Chiudete il mio processo, è meglio per il Paese”, non allontana la divisione, ma la approfondisce, ignorando la realtà di un Paese traumatizzato.
Israele si trova a un punto di svolta storico. Le ferite del 7 ottobre sono profonde, la frattura sociale è pericolosa, la fiducia nella leadership è scossa. Quando un primo ministro vende la sua salvezza personale come un servizio nazionale, è necessario usare cautela. La vera unità non nasce dalla sospensione dei procedimenti giudiziari, anche se controversi, ma dalla divulgazione degli errori, dall'apprendimento dalle catastrofi e dal coraggio di mettere in discussione il proprio ruolo. La guarigione inizia dove la responsabilità non viene elusa, ma assunta.
La Bibbia conosce un modello che si snoda come un filo rosso attraverso la storia di Israele: il potere senza responsabilità non porta all'unità, ma alla disgregazione. Nessun re, nessun giudice, nessun leader poteva sottrarsi alla prova, e ogni volta che qualcuno cercava di scrollarsi di dosso le responsabilità, la comunità si frantumava. Davide non fu accusato dai suoi avversari politici, ma dal profeta Natan, in modo aperto, diretto e davanti a tutto il popolo. La sua grandezza non sta nell'aver evitato gli errori, ma nell'aver ammesso le sue colpe. Solo allora iniziò la guarigione. Se persino il re Davide, il più grande sovrano della Bibbia, è stato chiamato a rispondere dei suoi errori, perché Benjamin Netanyahu dovrebbe essere intoccabile? I suoi sostenitori amano paragonarlo a Davide o addirittura a un salvatore, ma allo stesso tempo si aspettano che sia esente da ogni critica, ogni indagine e ogni conseguenza. Si tratta di una contraddizione che contraddice il pensiero biblico.
Saul, invece, si è sottratto a ogni responsabilità, ha cercato scuse, ha accusato gli altri e ha perso la sua legittimità. Ezechia è stato messo alla prova e ha imparato che l'umiltà è più forte della retorica. E Manasse, il peggiore di tutti i re, ha trovato la strada del ritorno solo dopo la punizione e un sincero pentimento. La Bibbia non conosce il perdono senza comprensione, l'unità senza verità e la guarigione senza responsabilità.
Ma la Bibbia non si concentra solo sui re, ma esamina anche i giudici, i custodi della giustizia. Perché un re fallimentare è una crisi, ma un sistema giudiziario ingiusto è un terremoto nazionale. I figli di Eli e Samuele accettarono tangenti e violarono la legge, e Dio li destituì dalla loro carica. Isaia denuncia i giudici di Gerusalemme, «che amano le tangenti e voltano le spalle alla giustizia», e Dio risponde non con un ammonimento, ma con l'annuncio di una purificazione della giustizia.
Per questo i profeti dicono: quando la giustizia diventa amarezza (Amos 5,7) e quando i giudici calpestano la giustizia (Michea 3,9), non è solo un singolo giudice a essere in torto, ma l'intero popolo finisce sotto il giudizio di Dio. Perché? Perché l'ingiustizia non rimane isolata. Si insinua nella società, corrode la morale, la fiducia e la coesione. La corruzione porta all'abuso di potere, l'abuso di potere porta all'oppressione e alla fine l'ordine sociale crolla. I profeti vedono chiaramente: dove crolla la giustizia, inizia il marciume dell'intera comunità.
In questo modo la Bibbia stabilisce un criterio rivoluzionario: sia il re che il giudice sono sotto Dio e sotto la legge, nessuno può elevarsi al di sopra di essi. Non è il re l'autorità suprema, ma la giustizia. Questo principio biblico fondamentale è oggi messo in discussione quando la leadership politica cerca di relativizzare la responsabilità o di aggirare la legge. Mentre gli antichi sovrani di altre culture erano essi stessi la fonte della legge, la Bibbia (Deuteronomio 17) obbliga il re a scrivere il proprio rotolo della Torah e a leggerlo ogni giorno, «affinché il suo cuore non si innalzi sopra i suoi fratelli». Un primo ministro che si presenta come vittima, mentre attribuisce tutta la colpa agli altri, non segue i grandi leader delle Scritture; assomiglia piuttosto a quelle figure che hanno guidato il popolo in tempi di crisi e divisione. La logica biblica è chiara: la guarigione nazionale nasce dalla disponibilità ad assumersi le proprie responsabilità, anche quando sono dolorose.
La storia biblica ci mostra quindi due cose: quando i re falliscono, il popolo ha bisogno della verità. Quando i giudici falliscono, il popolo ha bisogno di purificazione. E solo dove entrambi rimangono sotto la legge biblica, dove il potere è limitato dalla responsabilità, un popolo può sopravvivere. Israele è sopravvissuto a questo principio perché non ha mai smesso di misurarsi con esso. Ed è proprio qui che si decide anche oggi se il popolo può davvero guarire: non attraverso manovre politiche, ma attraverso la verità, il pentimento e il rinnovamento morale.
Il governo e la magistratura possono litigare giorno dopo giorno, ma alla fine sono i cittadini a soffrire. Ciò che mi sta a cuore, in primo luogo e in ultima analisi, non è il destino personale di un primo ministro né l'ego ferito di un sistema giudiziario, ma il bene del popolo di Israele. Il popolo è in difficoltà, il popolo manda i propri figli al fronte, il popolo porta il peso degli errori della leadership. Israele non ha bisogno delle vittorie politiche dei singoli, ma della forza morale della leadership. Se le decisioni non servono il popolo, ma l'autoconservazione degli attori politici, allora la leadership ha perso la sua priorità. Il popolo di Israele merita verità, chiarezza e guarigione, non lotte di potere per le grazie o battaglie di prestigio giuridico. Non mi interessa chi vince. Mi interessa che Israele guarisca di nuovo.

(Israel Heute, 1 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 29
    Consacrazione dei sacerdoti
  • Questo è quello che farai per consacrarli perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti. Prendi un giovenco e due montoni senza difetto, dei pani senza lievito, delle focacce senza lievito impastate con olio, e delle gallette senza lievito unte d'olio; farai tutte queste cose di fior di farina di grano. Le metterai in un paniere, e le offrirai nel paniere al tempo stesso del giovenco e dei due montoni. 
  • Farai avvicinare Aaronne e i suoi figli all'ingresso della tenda di convegno, e li laverai con acqua. Poi prenderai i paramenti, e vestirai Aaronne della tunica, del manto dell'efod, dell'efod e del pettorale, e lo cingerai della cintura artistica dell'efod. Gli porrai in capo il turbante e metterai sul turbante il santo diadema. Poi prenderai l'olio dell'unzione, glielo verserai sul capo, e l'ungerai. Farai quindi accostare i suoi figli, e li vestirai delle tuniche. Cingerai Aaronne e i suoi figli con delle cinture, e assicurerai sul loro capo delle tiare; e il sacerdozio apparterrà loro per legge perenne. Così consacrerai Aaronne e i suoi figli. 
  • Poi farai accostare il giovenco davanti alla tenda di convegno; e Aaronne e i suoi figli poseranno le mani sul capo del giovenco. E scannerai il giovenco davanti all'Eterno, all'ingresso della tenda di convegno. Prenderai del sangue del giovenco, e ne metterai con il dito sui corni dell'altare, e spanderai tutto il sangue ai piedi dell'altare. Prenderai pure tutto il grasso che copre le interiora, la rete che è sopra il fegato, i due reni e il grasso che c'è sopra, e farai bruciare tutto sull'altare. Ma la carne del giovenco, la sua pelle e i suoi escrementi li brucerai con il fuoco fuori dall'accampamento: è un sacrificio per il peccato. 
  • Poi prenderai uno dei montoni; e Aaronne e i suoi figli poseranno le loro mani sul capo del montone. E sgozzerai il montone, ne prenderai il sangue, e lo spargerai sull'altare, tutto intorno. Poi farai a pezzi il montone, laverai le sue interiora e le sue gambe, e le metterai sui pezzi e sulla sua testa. E farai bruciare tutto il montone sull'altare: è un olocausto all'Eterno; è un sacrificio di odore soave fatto mediante il fuoco all'Eterno. 
  • Poi prenderai l'altro montone, e Aaronne e i suoi figli poseranno le loro mani sul capo del montone. Sgozzerai il montone, prenderai del suo sangue e lo metterai sull'estremità dell'orecchio destro di Aaronne e sull'estremità dell'orecchio destro dei suoi figli, e sul pollice della loro mano destra e sull'alluce del loro piede destro, e spargerai il sangue sull'altare, tutto intorno. Prenderai del sangue che è sull'altare, e dell'olio dell'unzione, e ne aspergerai Aaronne e i suoi paramenti, e i suoi figli e i paramenti dei suoi figli con lui. Così saranno consacrati lui, i suoi paramenti, i suoi figli e i loro paramenti con lui. 
  • Prenderai pure il grasso del montone, la coda, il grasso che copre le interiora, la rete del fegato, i due reni e il grasso che c'è sopra e la coscia destra, perché è un montone di consacrazione; prenderai anche un pane, una focaccia oliata e una galletta dal paniere degli azzimi che è davanti all'Eterno; e porrai tutte queste cose sulle palme delle mani di Aaronne e sulle palme delle mani dei suoi figli, e le agiterai come offerta agitata davanti all'Eterno. Poi le prenderai dalle loro mani e le farai bruciare sull'altare sopra l'olocausto, come un profumo soave davanti all'Eterno; è un sacrificio fatto mediante il fuoco all'Eterno. E prenderai il petto del montone che sarà servito alla consacrazione di Aaronne, e lo agiterai come offerta agitata davanti all'Eterno; e questa sarà la tua parte. E consacrerai, di ciò che spetta ad Aaronne e ai suoi figli, il petto dell'offerta agitata e la coscia dell'offerta elevata: vale a dire ciò che del montone della consacrazione sarà stato agitato ed elevato; esso apparterrà ad Aaronne e ai suoi figli, come legge perenne da osservare dai figli d'Israele: poiché è un'offerta fatta per elevazione. Sarà un'offerta fatta per elevazione dai figli d'Israele nei loro sacrifici di ringraziamento: la loro offerta per elevazione sarà per l'Eterno. 
  • E i paramenti sacri di Aaronne saranno, dopo di lui, per i suoi figli, che se li metteranno all'atto della loro unzione e della loro consacrazione. Quello dei suoi figli che gli succederà nel sacerdozio, li indosserà per sette giorni quando entrerà nella tenda di convegno per fare il servizio nel luogo santo. Poi prenderai il montone della consacrazione, e ne farai cuocere la carne in un luogo santo; e Aaronne, e i suoi figli mangeranno, all'ingresso della tenda di convegno, la carne del montone e il pane che sarà nel paniere. Mangeranno le cose che saranno servite a fare l'espiazione per consacrarli e santificarli; ma nessun estraneo ne mangerà, perché sono cose sante. E se rimarrà della carne della consacrazione o del pane fino al mattino dopo, brucerai quell'avanzo con il fuoco; non lo si mangerà, perché è cosa santa. 
  • Eseguirai dunque, riguardo ad Aaronne e ai suoi figli, tutto quello che ti ho ordinato: li consacrerai durante sette giorni. E ogni giorno offrirai un giovenco, come sacrificio per il peccato, per fare l'espiazione; purificherai l'altare mediante questa tua espiazione, e lo ungerai per consacrarlo. Per sette giorni farai l'espiazione dell'altare, e lo santificherai; e l'altare sarà santissimo: tutto ciò che toccherà l'altare sarà santo.

    Il sacrificio perenne
  • Questo è ciò che offrirai sull'altare: due agnelli di un anno, ogni giorno, per sempre. Uno degli agnelli lo offrirai la mattina; e l'altro lo offrirai sull'imbrunire. Con il primo agnello offrirai la decima parte di un efa di fior di farina impastata con la quarta parte di un hin di olio vergine, e una libazione di un quarto di hin di vino. Il secondo agnello lo offrirai sull'imbrunire; lo accompagnerai con la stessa oblazione e con la stessa libazione del mattino; è un sacrificio di profumo soave, offerto mediante il fuoco all'Eterno. Sarà un olocausto perenne offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io vi incontrerò per parlare con te. E là io mi troverò con i figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria. Santificherò la tenda di convegno e l'altare; santificherò anche Aaronne e i suoi figli, perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti. E dimorerò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, il loro Dio, che li ho tratti fuori dal paese d'Egitto per dimorare tra loro. Io sono l'Eterno, il loro Dio.

    (Notizie su Israele, 1 dicembre 2025)


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Netanyahu presenta una richiesta di grazia

GERUSALEMME – Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Likud) ha presentato domenica una richiesta formale di grazia al presidente Yitzhak Herzog, senza tuttavia ammettere alcuna colpa. Herzog ha dichiarato che esaminerà la richiesta. Il Ministero della Giustizia raccoglierà le opinioni di tutte le autorità competenti.
  Dal 2020 è in corso un processo contro il primo ministro israeliano per frode, corruzione e appropriazione indebita. Le prime accuse sono state mosse già nel 2017. Netanyahu ha respinto ogni accusa sin dall'inizio e ha ripetutamente definito il processo una caccia alle streghe motivata politicamente. L'opposizione, invece, ha chiesto le sue dimissioni a causa della gravità delle accuse.

Netanyahu invoca l'unità nazionale
  In una dichiarazione pubblicata domenica su X, Netanyahu ha nuovamente negato le accuse mosse contro di lui e ha messo in dubbio la legittimità del procedimento a suo carico. Ha motivato la sua richiesta di grazia con l'inaccettabile richiesta del tribunale che lo obbligava a testimoniare tre giorni alla settimana.
  Ha anche menzionato la richiesta di Donald Trump di porre immediatamente fine al processo contro il primo ministro israeliano, affinché gli Stati Uniti e Israele possano continuare a collaborare senza ostacoli e sulla base di interessi comuni. Durante il suo discorso alla Knesset il 13 ottobre, il presidente repubblicano degli Stati Uniti si era rivolto direttamente a Yitzhak Herzog esclamando: “Signor Presidente, perché non lo grazia?”.
  Nel suo discorso, Netanyahu ha inoltre sottolineato che è nell'interesse del Paese porre fine al processo per corruzione a suo carico. Israele si trova ad affrontare sfide enormi e “per affrontare le minacce e cogliere le opportunità, l'unità nazionale è essenziale”. Ha poi aggiunto: “Il processo in corso ci sta lacerando dall'interno, alimentando aspre divisioni e approfondendo le fratture”. La sua immediata conclusione “ridurrebbe le tensioni e promuoverebbe una riconciliazione globale di

Critiche alla richiesta di grazia da parte dell'opposizione
  Dopo l'annuncio della visita di grazia, davanti alla casa di Herzog a Tel Aviv sono scoppiate proteste. I manifestanti si sono espressi contro la grazia, perché Netanyahu sfuggirebbe così alle sue responsabilità.
  L'opposizione ha invitato Herzog a respingere la richiesta di grazia. Il leader dell'opposizione Yair Lapid (Yesh Atid) ha dichiarato in una dichiarazione che la grazia presuppone l'ammissione di colpa e il pentimento. Inoltre, Netanyahu dovrebbe dimettersi immediatamente dalla sua carica.
  Tuttavia, un think tank dell'Istituto israeliano per la democrazia contraddice questa affermazione. Già a novembre, l'istituto aveva pubblicato un articolo sul suo sito web in cui affermava che non esiste alcuna legge che prescriva l'ammissione di colpa come condizione per una richiesta di grazia, scrive il sito di notizie “Times of Israel”.
  Altri critici sostengono che una grazia durante un procedimento in corso minerebbe lo Stato di diritto e violerebbe il principio di uguaglianza davanti alla legge.
  Il compito che Herzog deve affrontare non è facile: sia i sostenitori che gli oppositori di Netanyahu lo stanno mettendo sotto pressione affinché prenda una decisione in loro favore. Nel frattempo, il suo ufficio ha dichiarato in un comunicato che Herzog è consapevole “che si tratta di una richiesta straordinaria, che comporta conseguenze significative”. Il comunicato prosegue: “Dopo aver ricevuto tutte le opinioni pertinenti, il presidente esaminerà la richiesta in modo responsabile e sincero”.

(Israelnetz, 1 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Analisi – La richiesta di grazia di Netanyahu

Il corrispondente di Israel Heute illustra i fondamenti giuridici, le motivazioni politiche e le implicazioni regionali della richiesta di grazia di Netanyahu.

dI Itamar Eichner

GERUSALEMME - La presentazione della richiesta di grazia da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu al presidente Isaac Herzog rappresenta un terremoto giuridico, politico e statale in Israele – e forse anche in tutto il Medio Oriente.
La richiesta, presentata dal suo avvocato Amit Hadad, non contiene alcuna ammissione di colpa né assunzione di responsabilità per i reati contestati a Netanyahu. Al contrario, la richiesta sottolinea che l'interesse personale di Netanyahu sarebbe stato quello di portare avanti il procedimento giudiziario fino alla fine. Tuttavia, l'interesse nazionale prevarrebbe su quello personale e renderebbe necessaria la chiusura del procedimento penale mediante la grazia, per consentire a Netanyahu di dedicare tutte le sue energie alle grandi sfide politiche in Medio Oriente e di sanare le fratture nella società israeliana.
La richiesta di grazia rivela un paradosso fondamentale: Netanyahu, che molti considerano uno dei principali responsabili della polarizzazione sociale e della divisione del popolo, sostiene ora che proprio la conclusione del procedimento con la grazia gli consentirà di sanare queste fratture. La richiesta presenta il procedimento giudiziario come fonte centrale di conflitti tra diverse parti del popolo e tra i poteri dello Stato, nonché come fattore che distoglie l'attenzione dell'opinione pubblica dalle questioni veramente importanti dell'agenda nazionale.
Secondo la mozione, il proseguimento del processo – che attualmente si svolge tre giorni alla settimana – grava in modo inaccettabile sul primo ministro e compromette la sua capacità di concentrarsi su compiti nazionali critici.

Netanyahu nell'aula del tribunale distrettuale di Tel Aviv durante il processo a suo carico il 15 ottobre 2025
Questo paradosso solleva questioni fondamentali: come può proprio colui che è considerato l'artefice della divisione essere colui che la risolve con una grazia? La mozione non fornisce una risposta diretta, ma si concentra sulla necessità pratica: la conclusione del procedimento giudiziario consentirebbe a Netanyahu di agire liberamente in settori in cui attualmente è limitato.
La mozione attribuisce grande importanza all'interesse nazionale, in particolare alle opportunità strategiche che si presentano a Israele in Medio Oriente. Secondo l'argomentazione, Netanyahu dovrebbe dedicare tutto il suo tempo e le sue energie al proseguimento e all'estensione degli accordi di Abramo, che consentono un riassetto fondamentale della mappa delle alleanze regionali. La mozione sottolinea che negli ultimi anni sotto la sua guida sono stati raggiunti risultati significativi:

  • grave danneggiamento del programma nucleare iraniano,
  • eliminazione di alti funzionari di Hamas e Hezbollah,
  • crollo del regime di Assad in Siria 
  • rimpatrio di ostaggi da Gaza.

Ora, sullo sfondo dei colloqui per un accordo internazionale che ponga fine alla guerra a Gaza, disarmi Hamas e consenta la smilitarizzazione della Striscia di Gaza, vi è un'urgente necessità di sollevare Netanyahu dalla pressione del procedimento penale.
La mozione sostiene che il proseguimento del processo, che richiede a Netanyahu di testimoniare tre giorni alla settimana, compromette la sua capacità di affrontare queste sfide. I negoziati, che dovrebbero durare fino al 2026 e oltre, gli lascerebbero meno tempo per i compiti diplomatici e di sicurezza che richiedono un impegno continuo e ininterrotto. La conclusione del processo con la grazia consentirebbe a Netanyahu di concentrare tutte le sue risorse su queste opportunità, rafforzando così la posizione strategica di Israele.
Il suggerimento è chiaro e si inserisce bene nel programma di Trump: normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita e, successivamente, con altri Stati musulmani e arabi come Indonesia, Malesia, Oman, Mauritania, Siria, Libano e altri.
Nella sua lettera personale, Netanyahu riconosce che il procedimento giudiziario a suo carico è diventato un punto centrale di aspre controversie tra parti della popolazione e tra i poteri dello Stato. Egli dichiara espressamente: “Ho un'ampia responsabilità pubblica e morale, nella comprensione delle conseguenze di tutti gli eventi”. Questa formulazione, sebbene non contenga un'ammissione di colpa penale, rappresenta un riconoscimento dell'importanza complessiva del procedimento giudiziario come fattore che aggrava la divisione sociale. Netanyahu sostiene che l'interesse pubblico richieda la chiusura del procedimento, poiché «la chiusura del processo contribuirà ad attenuare le fiamme del conflitto che si è creato attorno ad esso». La richiesta non presenta quindi la grazia come una fuga dal processo, ma come un passo responsabile che deriva dalla consapevolezza delle ripercussioni del procedimento sulla sicurezza sociale e nazionale.
Dal punto di vista giuridico, la richiesta si basa sul potere costituzionale del presidente, ai sensi dell'articolo 11 della Legge fondamentale, di concedere la grazia anche prima di una condanna. La giurisprudenza, in particolare la sentenza Barzilai, stabilisce che tale potere è ampio e non soggetto a revisione giudiziaria e consente al presidente di tenere conto di interessi pubblici generali che non possono essere presi in considerazione nel normale procedimento penale. L'istituzione della grazia dovrebbe fungere da “valvola di sicurezza” quando il proseguimento di un procedimento penale potrebbe mettere a rischio interessi nazionali fondamentali.
La richiesta di grazia si basa sul precedente dell'affare Linea 300, un caso in cui il presidente Chaim Herzog (padre dell'attuale presidente) ha concesso la grazia ad alti funzionari dello Shin Bet accusati di aver ucciso dei terroristi che avevano dirottato un autobus pieno di passeggeri e che erano stati catturati vivi. Questi funzionari dello Shin Bet hanno presentato la richiesta di grazia prima ancora che fosse formulata l'accusa contro di loro e hanno ottenuto la grazia. Nella loro richiesta hanno menzionato le accuse mosse contro di loro, ma non le hanno ammesse. Il tribunale ha tuttavia stabilito che si trattava di fatto di un'ammissione e il presidente Herzog ha concesso loro la grazia.
Nel caso di Netanyahu, invece, egli non menziona nemmeno che siano state mosse accuse contro di lui. In altre parole, nella sua richiesta non c'è alcuna espressione di pentimento, nessuna ammissione di fatti e nessuna scusa. Netanyahu chiede semplicemente al presidente di graziarlo, in modo da poter sanare le divisioni all'interno del popolo e affrontare le grandi sfide nazionali dello Stato. In un video pubblicato, Netanyahu ha sottolineato che c'è una breve finestra diplomatica che deve essere sfruttata, sempre in relazione all'estensione degli accordi di Abramo e al piano di Trump.
Il presidente Herzog dovrà consultarsi con il dipartimento per la grazia del ministero della Giustizia e con il procuratore generale Gali Baharav-Miara, che probabilmente si opporrà alla richiesta. Tuttavia, il presidente non è vincolato da questi pareri e la sua discrezionalità è esclusiva. La richiesta sottolinea che la concessione della grazia non implica un'ammissione di colpa, come è avvenuto anche nel caso delle grazie concesse negli Stati Uniti, compresa quella del presidente Ford al presidente Nixon.
L'accoglimento della richiesta libererebbe Netanyahu completamente dall'ombra del processo. Potrebbe continuare ad agire politicamente, compresa una possibile partecipazione alle future elezioni, senza alcuna ombra giuridica. Se invece la richiesta venisse respinta, Netanyahu rimarrebbe esposto al peso del processo in corso, il che potrebbe compromettere la sua capacità di concentrarsi sui compiti nazionali.
La richiesta di grazia non risolve la tensione fondamentale tra la necessità dell'unità nazionale e il principio dello Stato di diritto. Tuttavia, presenta la grazia come uno strumento statale legittimo per ripristinare l'unità, soprattutto alla luce delle gravi sfide strategiche. La decisione che prenderà il presidente Herzog segnerà una svolta: valuterà se lo Stato è in grado di trovare un equilibrio tra il proseguimento dei procedimenti giudiziari e la salvaguardia della resilienza nazionale, soprattutto in una fase di opportunità storiche e cambiamenti geopolitici in Medio Oriente.
In definitiva, la richiesta pone al presidente la domanda fondamentale: l'interesse pubblico generale, compresa la guarigione delle fratture sociali e la concentrazione sulle opportunità storiche, prevale sul proseguimento del procedimento giudiziario, anche senza un'ammissione di colpa? La risposta a questa domanda potrebbe essere la chiave per comprendere la portata della richiesta di grazia e le sue conseguenze per il futuro di Israele.
La richiesta di grazia potrebbe inoltre accelerare i processi politici nella regione, in particolare la normalizzazione con l'Arabia Saudita. Netanyahu avrà interesse a dimostrare al presidente che Israele si trova nel mezzo di un processo storico e che sarebbe saggio non ostacolarlo ulteriormente. D'altra parte, Netanyahu avrà più difficoltà a dire “no” a Trump e alle sue richieste. Per conquistare l'Arabia Saudita, Netanyahu dovrebbe muoversi sulla questione palestinese, il che potrebbe mettere a dura prova la sua coalizione. E se il primo ministro puntasse su un passo storico come la grazia, la normalizzazione con l'Arabia Saudita potrebbe effettivamente portare al crollo del governo e a nuove elezioni.
Ma allora Netanyahu potrebbe affrontare queste elezioni senza i vincoli del processo e sventolare il successo storico di una normalizzazione con l'Arabia Saudita.

(Israel Heute, 30 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Sondaggio BIG DATA: i giovani americani abbandonano Israele

La falsa narrativa palestinese sembra aver attecchito in profondità tra i giovani americani

di Sarah G. Frankl

I giovani americani stanno abbandonando Israele in percentuali sorprendenti, secondo un nuovo sondaggio che rivela come i giovani repubblicani e democratici ora favoriscono in modo evidente la Palestina, in quello che sembra un importante crollo del tradizionale consenso sulla politica estera degli Stati Uniti.
  Il sondaggio BIG DATA POLL condotto il 20-21 novembre mostra che solo il 29,1% degli elettori statunitensi è attualmente dalla parte di Israele, un calo sorprendente rispetto al picco di simpatia del 54% registrato dopo il 7 ottobre, mentre il cambiamento generazionale sta ridefinendo la posizione americana in Medio Oriente.

Ribellione giovanile contro la politica tradizionale
  Il risultato più esplosivo mostra che i giovani repubblicani di età compresa tra i 18 e i 29 anni ora preferiscono la Palestina (33,4%) a Israele (27,9%), segnando una rottura storica con l’establishment del loro partito. La rottura è ancora più pronunciata tra la base “America First” del presidente Donald Trump, dove il 40,8% dei giovani tra i 25 e i 29 anni esprime simpatia per la Palestina. Ciò rappresenta un rifiuto fondamentale di decenni di sostegno bipartisan a Israele, con i giovani conservatori che si chiedono perché le risorse americane dovrebbero finanziare conflitti all’estero piuttosto che affrontare le priorità interne.

I democratici scelgono in modo schiacciante la Palestina
  La trasformazione si estende oltre i confini di partito, con gli elettori democratici che ora favoriscono la Palestina con un rapporto di quasi due a uno (31,9% contro 17,1%). Il cambiamento riflette le crescenti preoccupazioni umanitarie per le vittime civili di Gaza e rappresenta un drastico allontanamento dalle tradizionali posizioni della leadership democratica. Anche gli elettori indipendenti mostrano una divisione quasi equa tra le due parti, indicando che il consenso filoisraeliano che ha dominato Washington per generazioni si è completamente frantumato in tutto lo spettro politico americano.

L’etichetta “genocidio” ottiene l’approvazione della maggioranza
  Forse ancora più significativo è il fatto che il 52,9% dei repubblicani America First di età compresa tra i 18 e i 29 anni ora descrive le operazioni di Israele a Gaza come “genocidio”, mentre solo il 29,2% rifiuta questa caratterizzazione. Questo cambiamento terminologico indica quanto profondamente la falsa narrativa palestinese sia penetrata nel discorso mainstream americano, in particolare tra i giovani che consumano notizie attraverso i social media piuttosto che attraverso i canali tradizionali.

(Rights Reporter, 1 dicembre 2025)

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Scandalo Wikipedia: ecco come si manipola l’attualità e si riscrive la storia degli ebrei e di Israele

Una battaglia per la verità sulla enciclopedia online. Le informazioni e la conoscenza possono diventare un terreno di guerra? Sì, eccome. Con oltre 18 miliardi di visite al mese, Wikipedia non è più una fonte neutrale per centinaia di milioni di utenti sul Pianeta. Negli ultimi anni è diventata un’arena ideologica per tutto ciò che riguarda Israele, la Shoah e il terrorismo. Una guerra sotterranea iniziata ben prima del 7 ottobre, che crea disinformazione, rafforzando i pregiudizi. E che stravolge (e riscrive) la storia, la realtà, i fatti

di Anna Balestrieri

Wikipedia è una zona di guerra”. Così la definisce un editore e contributore di lunga data della piattaforma, che chiede di restare anonimo per motivi di sicurezza. È una voce autorevole, attiva da anni nel monitoraggio delle manipolazioni sistematiche delle voci riguardanti Israele e il Medio Oriente. «Ogni articolo è un campo di battaglia cognitivo – racconta, – dove gruppi organizzati competono per controllare il racconto del conflitto in corso. E non sempre è la verità a vincere: spesso vince la persistenza».
  Negli ultimi mesi, quella che per anni era rimasta una tensione sotterranea è esplosa sulla scena pubblica. Il 27 agosto 2025, il Comitato per la Supervisione e la Riforma del Governo del Congresso degli Stati Uniti ha inviato una lettera ufficiale alla CEO della Wikimedia Foundation, Maryana Iskander, chiedendo di consegnare documenti e comunicazioni interne riguardo a “volontari” e operazioni coordinate che avrebbero violato la neutralità della piattaforma. L’iniziativa, firmata dai parlamentari repubblicani James Comer e Nancy Mace, nasce dopo due inchieste che hanno scosso la fiducia nella grande enciclopedia online: il rapporto Editing for Hate dell’Anti-Defamation League (ADL) e l’indagine del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council. Entrambe documentano campagne di disinformazione organizzata: la prima di matrice anti-israeliana e antisemita, la seconda legata a reti filo-Cremlino. In un nostro articolo su Mosaico, avevamo già messo in luce questa deriva: la neutralità di Wikipedia non è più garantita, soprattutto quando si parla di Israele. Ed è delle ultime settimane la scomparsa, su Wikipedia, della responsabilità di Hamas nei massacri del 7 ottobre: sparisce magicamente la dicitura “attacchi perpetrati da Hamas”. Chi allora? Wikipedia non fornisce a oggi (21 novembre 2025) risposte sugli autori dei massacri.

Editing for Hate”: l’allarme dell’ADL
  Il rapporto dell’ADL, pubblicato nel marzo 2025, denuncia una manipolazione sistematica del linguaggio nelle voci riguardanti Israele, l’Olocausto e il terrorismo. Ma secondo l’informatore interno di Wikipedia, oggi la direzione della distorsione si è rovesciata: «Sono gli attivisti pro-palestinesi più aggressivi a usare il lessico dei diritti umani come arma semantica – afferma. – Non si tratta più solo di Wikipedia, ma di un’ampia offensiva culturale, che ha permesso in sede istituzionale di ampliare le maglie e i confini di parole come genocidio e pulizia etnica, riuscendo a spostare l’asse morale del discorso pubblico. Quando la definizione di genocidio cambia, cambia la storia stessa».
  «Ogni mese, – spiega l’informatore – la voce Israel viene letta da oltre un milione di persone. Cambiare una parola in quella sede significa cambiare la percezione collettiva del conflitto».
  Secondo i dati raccolti per anni assieme ai propri collaboratori, ha appreso come dietro le modifiche agiscano gruppi che ricevono una formazione mirata: «Ci sono workshop in arabo, polacco, russo, perfino in farsi, dedicati a sabotare le voci sull’Olocausto. È una guerra sotterranea cominciata molto prima del 7 ottobre: un’operazione politica, non solo digitale». Una guerra ideologica.
  Il fenomeno non è isolato, bensì parte di una campagna strutturata. Abbiamo già raccontato su Mosaico della decisione del board di Wikipedia di declassare l’ADL come fonte “generally unreliable”, cioè “generalmente inaffidabile”, delegittimando l’autorevolezza centennale della ONG americana e privando così l’enciclopedia di un riferimento essenziale nella lotta contro l’odio online.

Shlomit Aharoni Lir: “La storia riscritta pixel per pixel”
  A dare fondamento accademico a queste denunce è la ricercatrice israeliana Shlomit Aharoni Lir dell’Università di Haifa, ricercatrice esperta di media digitali.
  Nel marzo 2024 Lir ha presentato alle Nazioni Unite, per conto del World Jewish Congress, il rapporto Bias Against Israel on English Wikipedia, che analizza centinaia di voci e discussioni tra utenti e la “deriva ideologica” del sito.
  «Se non riesci a gestire i fatti, cancellali», ha scritto Lir in un commento su X, sintetizzando la logica dei manipolatori. «La propaganda su Wikipedia mira a demonizzare Israele e a cancellare verità scomode: dai risultati delle guerre alle invenzioni israeliane, fino all’eliminazione dei riferimenti agli attentati suicidi palestinesi». Insomma, uno sbiancamento-candeggiamento sistematico di tutto ciò che non serva a alimentare una narrazione buonista e vittimista dei palestinesi.
  Dopo il 7 ottobre 2023, racconta a Mosaico, «ho iniziato a notare un modello inquietante: le voci su Israele e perfino sull’ebraismo venivano modificate in modo aggressivo da utenti apertamente ostili. Le informazioni verificate sugli eccidi di Hamas venivano cancellate o ridimensionate. Alcune pagine sono state persino rinominate: da massacri a attacchi, per attenuare il peso morale di quanto accaduto».
  Secondo Aharoni Lir, non si tratta di errori isolati, ma di una strategia coordinata. «È un’azione organizzata e ideologicamente motivata. Gli utenti che tentano di correggere il tiro vengono attaccati, intimiditi, o sospesi».
  La studiosa documenta come molte voci proiettino a ritroso la parola “Palestina”, in epoche in cui non esisteva: «Nel periodo ellenistico, – spiega – la regione era chiamata Terra d’Israele, Giudea o Coele-Syria. Applicare ‘Palestina’ retroattivamente distorce la realtà storica».
  In un suo progetto, Manipulated History Exhibition, Lir mostra come la voce Zionism sia passata, dopo il 7 ottobre 2023, da “movimento nazionale ebraico per la creazione di una patria” a “movimento di colonizzazione fuori dall’Europa”. «È un rovesciamento semantico, – afferma. Trasforma l’autodeterminazione ebraica in una conquista coloniale».
  Storici come Eric Mechoulan e Adi Schwartz confermano: «Non si può colonizzare senza una metropoli –  ricorda Mechoulan. – Non esisteva uno Stato ebraico da cui inviare coloni». Insomma, colonizza solo chi ha alle spalle una patria, delle città; ma gli ebrei fuggiaschi e perseguitati non avevano nessuna patria alle spalle.
  È la “Wikipedia warzone”, come l’ha definita una fonte interna alla piattaforma: il luogo in cui si combatte per decidere che cosa milioni di persone, ogni giorno, crederanno sia la verità.
  L’informazione non è mai stata tanto fragile. E quando l’enciclopedia più letta al mondo – oltre 18 miliardi di visite al mese – diventa un campo di battaglia ideologico, le conseguenze travalicano Internet.

La riscrittura del Sionismo
  Uno dei casi più emblematici riguarda la voce su Sionismo, che la studiosa definisce «una delle più distorte di tutto Wikipedia. L’etimologia ebraica del termine, i riferimenti al legame millenario con Gerusalemme e alla continuità storica del popolo ebraico sono stati sistematicamente rimossi –  spiega. – Al loro posto è stata introdotta una narrazione che descrive il sionismo come un movimento coloniale, separandolo dalla sua radice culturale e religiosa».
  La frase “i sionisti volevano creare uno Stato ebraico con quanta più terra possibile e il minor numero di arabi” – bloccata dagli amministratori fino al 2026 – resta uno dei simboli di questa deriva. «Congelare un pregiudizio per due anni –  commenta Aharoni Lir – significa istituzionalizzare la disinformazione».
  «Wikipedia è diventata un campo minato – afferma l’informatore. – Ufficialmente vige la regola del consenso, ma in pratica il consenso è manipolato da pochi utenti veterani che agiscono in gruppo: chi tenta di introdurre un punto di vista alternativo viene accusato di ‘non neutralità’, e le modifiche vengono immediatamente annullate. È una guerra di logoramento intellettuale».
  Dietro molte di queste dinamiche, continua la fonte, «si intravede un coordinamento ideologico organizzato. Gli stessi nomi compaiono su più pagine legate a Israele, dalla voce sul Sionismo a quella sulla guerra del 1948, fino a Genocidio nella Striscia di Gaza».

La voce sul “Genocidio”
  Proprio la pagina dedicata al presunto “genocidio a Gaza” è diventata un caso simbolico. L’articolo presenta l’accusa come fatto assodato, ignorando che si tratta di una questione ancora controversa nel diritto internazionale. Persino Jimmy Wales, cofondatore di Wikipedia, è intervenuto nella pagina di discussione per chiedere un linguaggio più neutro, ricevendo però risposte ostili.
  «L’articolo è stato classificato come voce di ‘classe B’, cioè senza problemi significativi – denuncia Aharoni Lir. – È apparso per settimane nella sezione degli ‘eventi in corso’, anche dopo la fine delle operazioni militari. È un uso manipolativo dello spazio pubblico, che dà l’impressione di una realtà consolidata dove invece esiste una controversia». La studiosa propone un esperimento rivelatore: «Provate a riscrivere la voce Palestinians con lo stesso tipo di pregiudizi, e vedrete quanto suonerebbe inaccettabile».
  La studiosa parla di “doppio standard sistemico”: se la manipolazione avvantaggia una parte, passa inosservata; se avvantaggia Israele, scatta subito la censura.
  Il nostro contributore anonimo conferma: «Quando un editor corregge un’informazione in base a una fonte accademica israeliana, viene accusato di canvassing (campagna di gruppo) e rischia la sospensione. Mentre chi diffonde propaganda anti-israeliana viene raramente fermato».

Scudi intellettuali
  L’informatore parla di un movimento di resistenza etica dentro Wikipedia, composto da volontari che cercano di ristabilire la neutralità: «Li chiamo intellectual shields (scudi intellettuali) – spiega. – Persone formate, capaci di usare fonti solide e verificabili, che difendono la conoscenza con rigore. Non vandalizzano, ma riparano».
  Molti di loro, però, sono stati bannati o limitati per presunte violazioni di gruppo.
  «È paradossale – aggiunge. – Chi cerca equilibrio viene censurato, mentre chi manipola resta impunito». In un precedente articolo su Mosaico, avevamo già denunciato la reazione selettiva del sistema: un apparente giro di vite che non risolve il problema di fondo.

L’economia della disinformazione
  A corroborare il quadro entra anche l’analisi dell’economista Enrique Presburger, conferenziere internazionale specializzato nell’“economia del terrorismo” e nelle dinamiche di propaganda contemporanea. Presburger evidenzia come la rete di finanziamenti che sostiene ONG, gruppi di pressione e infrastrutture digitali filo-palestinesi operi su scala transnazionale – dall’Europa agli Stati Uniti, fino a Qatar e Iran – contribuendo a modellare narrazioni e contenuti anche negli ecosistemi informativi più consultati, come Wikipedia. The economics of terrorism, “l’economia del terrorismo”, quindi, sostiene la propaganda digitale come forma di guerra ibrida.
  «Qatar, Iran e alcune ONG occidentali finanziano campagne d’influenza travestite da attivismo – spiega. – Ogni modifica su Wikipedia è un investimento narrativo: un click che costa poco ma produce effetti enormi. Wikipedia e piattaforme simili generano un ritorno economico per i produttori di odio, perché ogni click rafforza la loro visibilità. L’antisemitismo digitale non è solo ideologia: è anche business, basato sulla monetizzazione del risentimento». Presburger propone di mappare i flussi finanziari che collegano think tank, reti accademiche e media alternativi: «Dobbiamo chiederci quanto l’Occidente stia pagando, direttamente o indirettamente, per alimentare la propria delegittimazione».

La risposta (parziale) di Wikimedia
  La lettera del Congresso americano a Maryana Iskander ha spinto la Wikimedia Foundation a istituire un gruppo di revisione etica, ma le risposte del board restano evasive.
  Secondo indiscrezioni raccolte dall’informatore, «si parla di un nuovo protocollo di trasparenza sulle modifiche legate a temi geopolitici», ma finora nulla è stato pubblicato.
  Un gruppo di studiosi israeliani ha inviato a sua volta una lettera aperta alla presidente della Foundation, chiedendo che si introducano fact-checkers indipendenti per le voci su Israele. Aharoni Lir ha aderito all’appello, sottolineando che «Wikipedia deve tornare a essere un’enciclopedia, non un’arena ideologica».
  Sotto la pressione pubblica, la Wikimedia Foundation ha annunciato nel marzo 2025 la creazione di un “Gruppo di lavoro sulla neutralità”, incaricato di rivedere il principio del Neutral Point of View (NPOV). L’iniziativa è stata presentata come una svolta, ma secondo Aharoni Lir «si tratta di una manovra di contenimento più che di riforma. Il gruppo è chiuso, autoreferenziale, e non consente la partecipazione di ricercatori esterni. Procedono come se il problema non fosse urgente, mentre milioni di lettori vengono quotidianamente esposti a contenuti distorti».

Un parricidio  digitale
  Aharoni Lir ha scritto una lettera alla presidente della Wikimedia Foundation chiedendo trasparenza e collaborazione con esperti indipendenti. La risposta, arrivata settimane dopo, è stata definita da lei “evasiva e burocratica”: il Board ha riconosciuto la necessità di “monitorare la qualità dei contenuti” ma ha respinto l’ipotesi di un audit esterno.
  Oggi persino i fondatori di Wikipedia denunciano il tradimento dello spirito originario. Larry Sanger parla da anni di “deriva propagandistica”, e Jimmy Wales, dopo anni di difese, ha ammesso pubblicamente che “la piattaforma non è più ideologicamente neutra”. «È come un parricidio digitale, – commenta Aharoni Lir. – L’idea di un’enciclopedia libera e pluralista è stata rovesciata da un’élite interna che usa procedure e linguaggio per imporre un’unica visione del mondo».
  «Wikipedia non è solo un sito, – conclude la nostra fonte, – ma un’infrastruttura cognitiva globale: forma ciò che crediamo di sapere. Quando questa struttura si piega a un’agenda ideologica, non è solo la storia di Israele a essere riscritta, ma la stessa idea di verità condivisa».
  Aharoni Lir, dal canto suo, vede in questa battaglia un pericolo che va oltre la politica: «Quando la conoscenza viene manipolata, non si distrugge solo la memoria, si distrugge la capacità stessa di pensare in modo indipendente». La “Wikipedia warzone” non è fatta di carri armati, ma di parole. Eppure, come ogni guerra di propaganda, il suo esito determinerà come le generazioni future comprenderanno il passato.

La guerra dei significati
   Dalle denunce dell’ADL alle ricerche accademiche di Shlomit Aharoni Lir, passando per le testimonianze dei contributori indipendenti e le analisi economiche di Zion Presburger, emerge un quadro coerente: Wikipedia non è più un campo neutro. È diventata il terreno di una battaglia globale per la “verità”, dove l’informazione è un’arma e la storia si riscrive pixel per pixel. Come conclude l’informatore, «l’unico modo per vincere è educare. Insegnare alle persone a leggere le versioni precedenti, a usare i talk pages, a riconoscere il bias. È un lavoro lungo, ma necessario. La guerra dell’informazione non si combatte con gli algoritmi, ma con la coscienza critica».

(Bet Magazine Mosaico, 1 dicembre 2025)

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Perché Dio ha creato il mondo? - 20

Un approccio olistico alla rivelazione biblica.

di Marcello Cicchese

In viaggio verso la maggiore età
   Rotti definitivamente i legami con l’Egitto, comincia la vita di Israele come nuovo popolo destinato a formare la grande nazione che Dio aveva promesso ad Abramo (Genesi 12:2). Esce da una terra in cui Dio aveva depositato il seme di Abramo affinché si sviluppasse fino a provocare il parto del popolo a cui Dio stesso aveva già dato il nome.
  Il neonato non è figlio di ignoti: il Padre lo ha riconosciuto fin da quando era nel grembo egiziano. Per il monarca di quella nazione è stato molto difficile accettare quella paternità, e questo ha reso difficile il parto ma, come si è visto, non ha potuto impedirlo. E ora al legittimo Padre, responsabile della sua nascita, compete il compito di allevarlo ed educarlo. Cosa che Egli comincia a fare subito: li mette in marcia verso la terra appartenente di diritto alla grande nazione di cui dovevano costituire il popolo: Canaan.

    “Mosè fece partire gli israeliti dal Mar Rosso, ed essi si diressero verso il deserto di Sur; camminarono tre giorni nel deserto, e non trovarono acqua (Esodo 15:22).

Come inizio del viaggio, agli israeliti non sarà sembrato molto promettente. Ma proseguono:

    E quando giunsero a Mara, non poterono bere le acque di Mara, perché erano amare; perciò quel luogo fu chiamato Mara (Esodo 15:23).

La cosa comincia ad essere preoccupante:

    Allora il popolo mormorò contro Mosè, dicendo: ‘Che berremo?’” (Esodo 15:24).

La domanda è più che lecita, ed è diretta precisamente a Mosè, perché è lui che guida il cammino per preciso ordine di Dio, dunque è lui che deve rispondere. A qualcuno sarà sorto il dubbio: ma non è che abbia sbagliato strada? che abbia interpretato male le indicazioni di Dio? E probabilmente molti avranno espresso questi dubbi direttamente a lui, e non sempre in tono cordiale.
  Mosè non prova neppure a rispondere, perché del resto non avrebbe nemmeno saputo cosa dire. Si rivolge allora direttamente al suo Superiore:

    “Ed egli gridò all'Eterno; e l'Eterno gli mostrò un legno che egli gettò nelle acque, e le acque divennero dolci. Lì l'Eterno diede al popolo una legge e una prescrizione, e lo mise alla prova, e disse: “Se ascolti attentamente la voce dell'Eterno tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi e porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti manderò addosso nessuna delle malattie che ho mandate addosso agli Egiziani, perché io sono l'Eterno che ti guarisce” (Esodo 15:25-26)

Mosè grida all’Eterno. Non gli rivolge una cortese richiesta di spiegazioni, ma gli lancia un’invocazione d’aiuto, perché per lui la situazione è nuova e non sa cosa fare. L’Eterno interviene e l’acqua arriva: il caso è risolto. Ma che brutto momento ha passato Mosè!
  Il gioco di provocare incidenti, ascoltare lamentele, per poi spiegare e agire, è un modo che Dio usa “sistematicamente” per farsi conoscere. Bisogna tener presente che da quando Israele ha lasciato l’Egitto e si è messo in viaggio per Canaan tutto è nuovo, sia per il popolo che per Mosè. L’unico ad avere le idee chiare naturalmente è Dio, che però deve trovare il modo di convincere, o se necessario obbligare, i due soggetti popolo e Mosè a fare la loro parte per il raggiungimento del buon fine del viaggio.
  Esaminiamo allora questa prima crisi che sorge dopo che sono usciti dall’Egitto.
  Dio dirige la carovana lungo un percorso in cui dopo un po’ non trovano più l’acqua. Il popolo chiede minacciosamente a Mosè: che berremo? Bella domanda. “E io che faccio?” chiede a se stesso Mosè. Altra bella domanda. Due apprensive, comprensibili domande. Chi può dare la risposta? Soltanto Dio. Mosè lo sa, il popolo non ancora: è un bambino, che ha rapporti col Padre soltanto tramite il pedagogo da Lui nominato. Tocca dunque a Mosè esercitare la sua fede e rivolgere la sua domanda a Dio, che risponde mostrandogli quello che deve fare affinché arrivi al popolo la soluzione del problema.
  Il Signore dunque si preoccupa anzitutto di addestrare Mosè ad essere un efficace intermediario. Deve fargli capire che è suo compito trasmettere i Suoi ordini al popolo, ed è suo carico subire e gestire le loro prevedibili recriminazioni quando questi non sono ben accolti, esercitando la sua propria fede.
  Anche per il popolo l’incidente della mancanza d’acqua avrebbe dovuto essere una possibilità di esercitare la sua fede, perché aveva visto le opere potenti che Dio aveva fatto per farli uscire dall’Egitto, ma i fatti miracolosi, per quanto prodigiosi, possono confermare la fede, ma non la producono. Il Signore, facendo trovare l’acqua dopo un’ansiosa attesa, vuole far crescere un rapporto di fiducia tra Lui e il popolo. Allora oltre all’acqua gli esprime il suo amore facendogli la promessa di preservarlo dalle malattie che hanno colpito gli egiziani.
  Gli dà poi “una legge e una prescrizione” per “metterlo alla prova” (Esodo 15:25). Che significa? È forse l’inizio di quella che si pensa essere la dura legge mosaica piena di severi ordini da osservare altrimenti sono botte? Leggendo attentamente, si vede che in sostanza sono raccomandazioni, cioè norme di comportamento all’interno di una famiglia, fatte per mantenere e far crescere un rapporto d’amore fra i componenti, non articoli di una legislazione civile.
  In questo periodo iniziale della storia del popolo d’Israele, fino all’arrivo nel Sinai e alla stipulazione del patto, il popolo Dio non assume mai un atteggiamento corrucciato. Il Signore ode i mormorii del popolo, con i quali “tentano l’Eterno” (Esodo 17:3,7), ma non reagisce con provvedimenti punitivi. Ne parla invece con Mosè, per dirgli quello che deve fare per togliere le cause che hanno provocato i mormorii. In questo modo il Signore continua ad avere con il popolo lo stesso atteggiamento che ha avuto in precedenza con tutti i patriarchi, nessuno escluso, ai quali non ha mai rivolto alcun rimprovero, alcuna punizione, alcuna minaccia. A un certo punto della storia di Israele questa situazione cambierà, e sarà interessante vedere quando e perché.

Un viaggio di istruzione e crescita
   Il cammino da poco iniziato sarà dunque un difficile viaggio di istruzione. La marcia di tre giorni nel deserto senza trovare acqua, con la delusione dell’acqua trovata ma che non si può bere, è stata certamente provocata ad arte dal Signore a scopi pedagogici. Israele, figlio di Dio fin da quando è stato concepito, ora è nato e si è distaccato dal grembo egiziano, ma non è diventato adulto tutto di un tratto: è ancora un bambino. E un bambino, per sua naturale posizione, è irresponsabile fino alla maggiore età. E come tale Dio lo tratterà fino all’arrivo nel Sinai.
  In una famiglia la crescita di un bambino è accompagnata da una crescita di conoscenza tra genitore e figlio che avviene in un reciproco scambio di richieste e osservazioni. Il bambino, con capricci o con parole, chiede qualcosa al genitore e osserva come risponde per vedere se ottiene da lui quello che vuole. Il genitore, a sua volta, con buone o con cattive maniere, dà ordini di comportamento al bambino e osserva se ottiene da lui ubbidienza. Dopo un po’ di questi scambi, è certo che i due arrivano a conoscersi un po’ meglio.
  Qualcosa di questo tipo avviene in questo inizio del viaggio verso Canaan tra l’Eterno (genitore) e il popolo (bambino), con la complicazione della presenza di Mosè e Aaronne che fungono da interfaccia che assorbe i contraccolpi dall’una e dall’altra parte.
  Se il primo incidente di viaggio, dopo soli tre giorni di marcia dalla partenza dal mar Rosso, è avvenuto per la paura di morire di sete, dopo circa un mese e mezzo, quando si trovano nel deserto di Sin, fra Elim e il Sinai, se ne presenta un altro, ancora più grave, provocato dalla paura di morire di fame:

    “E tutta la comunità dei figli d'Israele mormorò contro Mosè e contro Aaronne nel deserto. I figli d'Israele dissero loro: “Oh, fossimo pur morti per mano dell'Eterno nel paese d'Egitto, quando sedevamo presso le pentole della carne e mangiavamo del pane a sazietà! Poiché voi ci avete condotti in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine” (Esodo 16:2-3).

Il popolo dunque, come un bambino, si lamenta perché ha fame e piange ad alta voce perché vuole la carne e il pane che in Egitto aveva “a sazietà”. Non si rivolge a Dio, perché non ha con Lui un rapporto diretto: è suo figlio, ma non lo conosce. Conosce Mosè, che gli parla di Dio e gli ha mostrato la potenza delle sue azioni con fatti potenti, ma i figli d’Israele non si rivolgono direttamente a Dio in preghiera, perché forse non sanno nemmeno che cosa significa pregare.
  L’Eterno ascolta i mormorii e non risponde al popolo, che in realtà non si è rivolto a Lui, ma informa Mosè di quello che intende fare:

    E l'Eterno disse a Mosè: 'Ecco, io vi farò piovere del pane dal cielo ; e il popolo uscirà e ne raccoglierà giorno per giorno quanto gliene occorrerà per la giornata, perché io lo metta alla prova per vedere se camminerà o no secondo la mia legge. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che avran portato a casa, esso sarà il doppio di quello che avranno raccolto ogni altro giorno’” (Esodo 16:4-5).

Questo è ciò che Dio dice a Mosè, ma il popolo non ne è informato, e il minaccioso mormorio aumenta di volume. Mosè e Aaronne avvertono la gravità della situazione: la comunità dei figli d’Israele li sta accusando di averli portati fuori dall’Egitto per farli morire di fame nel deserto. E chissà quali malevoli ragioni avranno trovato per spiegare questo atteggiamento.
  Mosè e Aaronne pensano allora che sia arrivato il momento di distinguere le responsabilità e sottolineare che non sono stati loro a farli uscire dall’Egitto:

    “Mosè e Aaronne dissero a tutti i figli d'Israele: ‘Questa sera voi conoscerete che l'Eterno è colui che vi ha fatto uscire dal paese d'Egitto e domattina vedrete la gloria dell'Eterno; poiché egli ha udito i vostri mormorii contro l'Eterno; quanto a noi, che cosa siamo perché mormoriate contro di noi?’” (Esodo 16:6-7).

È dunque assolutamente necessario che il popolo cominci ad avere una conoscenza più diretta di Colui che lo ha fatto uscire dal paese d’Egitto;

    “Mosè disse: ‘ Vedrete la gloria dell'Eterno quando stasera egli vi darà della carne da mangiare e domattina del pane a sazietà; poiché l'Eterno ha udito i vostri mormorii che proferite contro di lui; quanto a noi, che cosa siamo? i vostri mormorii non sono contro di noi, ma contro l'Eterno’ . Poi Mosè disse ad Aaronne: ‘Di' a tutta la comunità dei figli d'Israele: Avvicinatevi alla presenza dell'Eterno , perché egli ha udito i vostri mormorii'. Mentre Aaronne parlava a tutta la comunità dei figli d'Israele, questi volsero gli occhi verso il deserto; ed ecco che la gloria dell'Eterno apparve nella nuvola” (Esodo 16:8-10)

Mosè annuncia al popolo che presto vedranno la gloria dell’Eterno, ma è ad Aaronne che egli ordina di dire “ Avvicinatevi alla presenza dell’Eterno ”, ed è mentre lui parla che la gloria di Dio appare. Con questo significativo gesto, Dio legittima colui che sarà il futuro sommo sacerdote; e con questa parola Aaronne compie il primo atto sacerdotale con cui Dio fa avvicinare il popolo a Sé.
  La parola di Mosè ha fatto distinzione fra Eterno e servitori; la parola di Aaronne ha prodotto avvicinamento fra Eterno e popolo.
  Dopo di che Dio si rivolge di nuovo a Mosè:

    “E l'Eterno parlò a Mosè, dicendo:  ‘Io ho udito i mormorii dei figli d'Israele; parla loro, dicendo: Al tramonto mangerete della carne, e domattina sarete saziati di pane; e conoscerete che io sono l'Eterno, il vostro Dio (Esodo 16:11-12).

I mormorii dei figli di Israele, che avevano spaventato Mosè e Aaronne, sono stati considerati dal Signore come capricci di un bambino, del suo bambino, che certamente ha bisogno di mangiare, e il Padre lo sa, e per questo provvede. Ma sa anche che il bambino deve crescere. Ha bisogno di crescere in conoscenza, affinché un giorno arrivi a conoscere da vicino, e in profondità, Colui che gli dà carne e pane a sazietà.
  “E conoscerete che io sono l'Eterno il vostro Dio" (Esodo 16:12).

(20. continua)
precedenti 

(Notizie su Israele, 30 novembre 2025)


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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 28
    Aaronne e i suoi figli chiamati al sacerdozio. I paramenti sacerdotali
  • Tu fa' accostare a te, tra i figli d'Israele, Aaronne tuo fratello e i suoi figli con lui perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti: Aaronne, Nadab, Abiu, Eleazar e Itamar, figli di Aaronne.
  • E farai ad Aaronne, tuo fratello, dei paramenti sacri, come segno della loro dignità e come ornamento.  Parlerai a tutti gli uomini intelligenti, che io ho riempito di spirito di sapienza, ed essi faranno i paramenti di Aaronne per consacrarlo, perché eserciti per me l'ufficio di sacerdote. Questi sono i paramenti che faranno: un pettorale, un efod, un manto, una tunica lavorata a maglia, un turbante e una cintura. Faranno dunque dei paramenti sacri per Aaronne tuo fratello e per i suoi figli, affinché esercitino l'ufficio di sacerdoti; e si serviranno d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino.
  • Faranno l'efod d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto e di lino fino ritorto, lavorato artisticamente. Esso avrà alle due estremità due spalline, che si uniranno, in modo che sia tenuto bene insieme. E la cintura artistica, che è sull'efod per fissarlo, sarà dello stesso lavoro dell'efod, tutto di un pezzo con esso; sarà d'oro, di filo color violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto. E prenderai due pietre di onice e vi inciderai sopra i nomi dei figli d'Israele: sei dei loro nomi sopra una pietra, e gli altri sei nomi sopra la seconda pietra, secondo il loro ordine di nascita.  Inciderai su queste due pietre i nomi dei figli d'Israele come fa l'incisore, come si incide un sigillo; le incasserai in castoni d'oro. Metterai le due pietre sulle spalline dell'efod, come testimonianza per i figli d'Israele; e Aaronne porterà i loro nomi davanti all'Eterno sulle sue due spalle, come memoriale. E farai dei castoni d'oro, e due catenelle d'oro puro che intreccerai come un cordone, e metterai nei castoni le catenelle così intrecciate.
  • Farai pure il pettorale del giudizio, artisticamente lavorato; lo farai come il lavoro dell'efod: d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto. Sarà quadrato e doppio; avrà la lunghezza di una spanna, e una spanna di larghezza. E vi incastonerai una serie di pietre: quattro ordini di pietre; nel primo ordine sarà un sardonio, un topazio e uno smeraldo; nel secondo ordine, un rubino, uno zaffiro, un calcedonio; nel terzo ordine, un opale, un'agata, un'ametista; nel quarto ordine, un crisolito, un'onice e un diaspro. Queste pietre saranno incassate nei loro castoni d'oro. E le pietre corrisponderanno ai nomi dei figli d'Israele, e saranno dodici, secondo i loro nomi; saranno incise come dei sigilli, ciascuna con il nome di una delle tribù d'Israele. Farai pure sul pettorale delle catenelle d'oro puro, intrecciate come dei cordoni. Poi farai sul pettorale due anelli d'oro, e metterai i due anelli alle due estremità del pettorale. Fisserai i due cordoni d'oro ai due anelli alle estremità del pettorale; e attaccherai gli altri due capi dei due cordoni ai due castoni, e li metterai sulle due spalline dell'efod, davanti. E farai due anelli d'oro, e li metterai alle altre due estremità del pettorale, sull'orlo interiore rivolto verso l'efod. Farai due altri anelli d'oro, e li metterai alle due spalline dell'efod, in basso, davanti, vicino al punto dove avviene la giuntura, sopra la cintura artistica dell'efod. E si fisserà il pettorale mediante i suoi anelli agli anelli dell'efod con un cordone violaceo, affinché il pettorale sia al di sopra della cintura artistica dell'efod, e non si possa staccare dall'efod. Così Aaronne porterà i nomi dei figli d'Israele incisi nel pettorale del giudizio, sul suo cuore, quando entrerà nel santuario, per conservarne sempre il ricordo davanti all'Eterno.
  • Metterai sul pettorale del giudizio l' Urim e il Tummim; e staranno sul cuore di Aaronne quando egli si presenterà davanti all'Eterno. Così Aaronne porterà il giudizio dei figli d'Israele sul suo cuore, davanti all'Eterno, per sempre.
  • Farai anche il manto dell'efod, tutto di colore violaceo. Esso avrà, in mezzo, un'apertura per passarvi il capo; e l'apertura avrà un'orlatura tessuta intorno, come l'apertura di una corazza, perché non si strappi. All'orlo inferiore del manto, tutto intorno, farai delle melagrane di color violaceo, porporino e scarlatto; e, in mezzo ad esse, tutto intorno, porrai dei sonagli d'oro: un sonaglio d'oro e una melagrana, un sonaglio d'oro e una melagrana, sull'orlatura del manto, tutto intorno. Aaronne se lo metterà per fare il servizio; quando egli entrerà nel luogo santo davanti all'Eterno e quando ne uscirà, se ne udrà il suono, ed egli non morirà.
  • Farai anche una lamina d'oro puro, e su di essa inciderai, come si incide sopra un sigillo: Santo All'Eterno. La fisserai a un nastro violaceo sul turbante, e starà sulla parte davanti del turbante. Starà sulla fronte di Aaronne, e Aaronne porterà le iniquità commesse dai figli d'Israele nelle cose sante che consacreranno, in ogni genere di offerte sante; ed essa starà continuamente sulla sua fronte, per renderli graditi alla presenza dell'Eterno.
  • Farai pure la tunica di lino fino, lavorata a maglia; farai un turbante di lino fino, e farai una cintura, un lavoro di ricamo.
  • Per i figli di Aaronne farai delle tuniche, farai delle cinture, e farai dei copricapi, come segno della loro dignità e come ornamento. E ne vestirai Aaronne, tuo fratello, e i suoi figli con lui; e li ungerai, li consacrerai e li santificherai perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti. Farai anche loro dei calzoni di lino per coprire la loro nudità; esse andranno dai fianchi fino alle cosce. Aaronne e i suoi figli le porteranno quando entreranno nella tenda di convegno, o quando si accosteranno all'altare per fare il servizio nel luogo santo, affinché non si rendano colpevoli e non muoiano. Questa è una regola perenne per lui e per la sua discendenza dopo di lui.
(Notizie su Israele, 29 novembre 2025)


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Hezbollah non è morto

Da Dubai i finanziamenti con i soldi del petrolio di Teheran

di Lorenzo Vita

Hezbollah non è morto. E questo, Israele e l’intelligence americana lo dicono da molto tempo. La decimazione delle alte sfere militari ha assestato un colpo durissimo al Partito di Dio. Ma dopo un anno di “cessate il fuoco” (che ha visto però continui raid delle Israel defense forces per evitare qualsiasi rinascita del movimento mietendo 370 vittime), Hezbollah continua a rappresentare una minaccia.

Hezbollah, il disarmo utopistico
  La questione è stata più volte segnalata al governo di Beirut, che sa benissimo che il rischio di escalation è dietro l’angolo. Tuttavia, l’esecutivo guidato da Nawaf Salam, insieme al lavoro del presidente Joseph Aoun, non può adempiere al disarmo della milizia. Quantomeno non nei tempi richiesti da Israele e dagli Stati Uniti. Pensare che Hezbollah venga disarmato entro la fine di quest’anno appare a dir poco utopistico. I bombardamenti israeliani mietono vittime tra le forze sciite ma rischiano anche di ottenere un irrigidimento di tutta la politica libanese, che non può mostrare di coordinarsi apertamente con lo Stato ebraico mentre quest’ultimo colpisce sul territorio del Paese dei cedri. E in tutto questo, Hezbollah continua a essere un enorme punto interrogativo strategico. Meno forte di prima ma ancora vivo, il movimento sciita ora sa di non avere le stesse capacità di rifornimento di prima. Però, nonostante la fine del regime di Bashar al Assad in Siria e con un Iran indebolito e fiaccato dalle sanzioni, la milizia continua a ricevere aiuti. Il Wall Street Journal ha rivelato che un canale di questo finanziamento arriverebbe anche tramite gli Emirati Arabi Uniti. Una triangolazione che vede Dubai come il centro di un nuovo e imponente flusso di denaro.

I finanziamenti da Dubai
  Secondo le fonti dell’intelligence sentite dal quotidiano americano, l’Iran, solo nell’ultimo anno, ha inviato a Hezbollah centinaia di milioni di dollari tramite varie attività finanziarie con sede nella città sul Golfo Persico. E tra la chiusura delle rotte siriane e il controllo israeliano sui voli per l’aeroporto di Beirut, Teheran ha dovuto ampliare la sua rete di finanziamenti anche attraverso altri Paesi. Uno è proprio Dubai, che per molto tempo è stato usato dagli iraniani come centro di riciclaggio di denaro e come valvola per spedire soldi al Partito di Dio. E in gran parte, ha spiegato il Wsj, questo denaro proveniva dai profitti dell’esportazione di petrolio e veniva spedito in Libano attraverso la Hawala, il sistema utilizzato nei Paesi islamici per spedire soldi su base fiduciaria e senza usare le banche come intermediarie. Gli Emirati sono in prima linea nella lotta a questo tipo di transazioni.

Il grattacapo politico e militare
  Questo è quello che hanno spiegato i funzionari locali al quotidiano statunitense. Ma questa nuova rivelazione è il segnale di come gli occhi israeliani e statunitensi siano sempre più concentrati sulle attività di Hezbollah. In Libano, dove è atteso l’arrivo di Papa Leone XIV per una visita che ha un enorme valore spirituale e politico, l’incubo di una nuova guerra è dietro l’angolo. I bombardamenti dell’Idf si sono intensificati, soprattutto nel sud, ma hanno raggiunto di recente di nuovo Beirut. E per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, la questione settentrionale continua a essere un grattacapo politico e militare. Il nord ha subito lo sfollamento di decine di migliaia di persone durante la guerra con Hezbollah. L’esercito continua a esercitarsi anche su quel fronte nonostante si stia incendiando di nuovo anche la Cisgiordania. E poco più a est, al di là delle Alture del Golan, si temono anche nuove fiammate sul lato siriano.
Nell’ultima operazione israeliana nella zona di Beit Jinn, poco più a sud di Damasco, sono morte 13 persone, tra cui diversi civili. Il raid è avvenuto con un’incursione di terra unita a bombardamenti di artiglieria e aerei. Sei soldati dell’Idf sono rimasti feriti. E a quasi un anno dal rovesciamento di Assad, l’operazione israeliana in Siria conferma che la partita non è ancora chiusa. Ed è stato un avvertimento anche per il nuovo leader, Ahmed al-Sharaa, accolto di recente a Washington ma non apprezzato dagli strateghi israeliani.

(Il Riformista, 29 novembre 2025)

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Perché la Fratellanza Musulmana è una minaccia per Israele e l'Europa
 
La questione non è più se l'organizzazione sia pericolosa. La questione è se le società libere troveranno il coraggio di difendersi.
 
di Ayoob Kara
 
Per anni, i politici in Israele e in tutta Europa hanno cercato di separare la facciata politica della Fratellanza Musulmana dalle sue fondamenta estremiste. Speravano che interagire con il vocabolario “moderato” della Fratellanza potesse favorire la stabilità, integrare le comunità musulmane e fungere da barriera contro il radicalismo violento.
Ma gli eventi che si stanno verificando in Europa, supportati da numerose relazioni dei servizi segreti francesi, belgi e del Parlamento europeo, dimostrano ora che questa strategia è pericolosamente errata. La Fratellanza non è un'alternativa all'estremismo. È il motore ideologico che lo alimenta.
Il 23 novembre, più di 70 esperti europei e internazionali si sono riuniti davanti alla Corte penale internazionale dell'Aia per lanciare un messaggio unificato: la Fratellanza Musulmana rappresenta una minaccia globale alla pace e alla sicurezza. Il loro avvertimento non si basava su speculazioni, ma su informazioni di intelligence concrete e sull'esperienza delle città europee che hanno affrontato ondate di radicalizzazione, antisemitismo e terrorismo.
Sia per Israele che per l'Europa, il pericolo non è teorico, ma urgente e in continua evoluzione. Per comprendere la minaccia, è necessario prima comprendere la visione del mondo della Fratellanza.
Essa si basa su un unico presupposto: l'Islam non è solo una religione, ma un sistema politico destinato a sostituire tutti gli altri. Il suo obiettivo a lungo termine, articolato apertamente da alti funzionari e documentato in promemoria dei servizi segreti europei, è quello di rimodellare le società dall'interno attraverso un “processo di jihad civilizzatore”, come osservato dall'ex politico olandese Henry Van Bommel.
Questo processo non è né violento né spettacolare. È lento, burocratico e strategico. Opera attraverso organizzazioni comunitarie, gruppi studenteschi, istituzioni religiose, ONG e reti di lobbying politico.
Il genio della Fratellanza – e la sua pericolosità – risiede nella sua capacità di utilizzare strumenti democratici per promuovere un'ideologia antidemocratica. Come ha sottolineato Ramon Rahangmetan all'Aia: "Non si tratta dell'Islam o delle comunità musulmane. Si tratta di un movimento politico identificato come una minaccia strutturale e ideologica alla coesione democratica".
La lotta dell'Europa contro le società parallele, le enclavi estremiste e i giovani radicalizzati è inseparabile dall'influenza della Fratellanza. Per Israele, la minaccia è ancora più diretta. Hamas, responsabile di massacri, stupri di massa, torture, mutilazioni, incendi, rapimenti e guerre con razzi, è il ramo palestinese della Fratellanza Musulmana.
La Fratellanza non si limita a giustificare la violenza di Hamas, ma fornisce la legittimità ideologica che la sostiene. Dai libri di testo e dai sermoni alla propaganda online e alle narrazioni diplomatiche, la Fratellanza lavora instancabilmente per demonizzare Israele, delegittimare l'autodeterminazione ebraica e mobilitare il sostegno alla “resistenza”, un eufemismo per indicare il terrorismo.
Le atrocità del 7 ottobre non sono state un'aberrazione. Sono state l'espressione fisica di una dottrina che la Fratellanza ha contribuito a elaborare nel corso di decenni. Questa ideologia si diffonde anche in Europa, attraverso manifestazioni in cui le comunità ebraiche sono minacciate, slogan che glorificano il terrore e i confini tra protesta politica e incitamento antisemita scompaiono. Le stesse autorità europee hanno confermato che le organizzazioni legate alla Fratellanza stanno diffondendo messaggi radicali che alimentano i disordini di piazza e la divisione sociale.
Il pericolo rappresentato dalla Fratellanza non risiede solo nell'ideologia, ma anche nelle infrastrutture. Le agenzie di intelligence europee avvertono che l'organizzazione riceve finanziamenti stranieri attraverso enti di beneficenza e ONG; utilizza sovvenzioni finanziate dai contribuenti per promuovere l'Islam politico; recluta giovani per conflitti all'estero (Nigeria, Pakistan, Bangladesh); mina le politiche di integrazione; intimidisce i dissidenti all'interno delle comunità musulmane; e si infiltra nei sistemi politici municipali e nazionali.
All'Aia, Julio Levit Koldorf ha descritto senza mezzi termini il paradosso che attanaglia l'Europa: gli attivisti di sinistra, ignari delle radici totalitarie della Fratellanza, “difendono ciecamente un movimento che si oppone alla democrazia, ai diritti umani, all'uguaglianza di genere, ai diritti LGBTQ+ e al governo laico”.
In altre parole, la Fratellanza si maschera da vittima del razzismo mentre promuove un'ideologia che cerca di smantellare proprio quelle libertà che proteggono le minoranze. L'Europa non può permettersi questa contraddizione. E nemmeno Israele.
È importante sottolineare che gli appelli a contrastare la Fratellanza non sono attacchi all'Islam. Tutti i relatori all'Aia hanno sottolineato questa distinzione. Come ha affermato l'attivista iraniana belga Fahimeh Il Ghami: “Il nostro obiettivo non è quello di prendere di mira alcuna comunità o fede. Ma quando un'organizzazione si dedica al finanziamento occulto, all'intimidazione o all'estremismo, la legge deve reagire”.
Si tratta di una difesa delle comunità musulmane, non di un attacco contro di esse. Le prime vittime della Fratellanza Musulmana sono spesso gli stessi musulmani: donne, dissidenti, riformatori laici, minoranze e chiunque rifiuti l'Islam politico.
Per Israele, il modo in cui l'Europa gestirà la Fratellanza Musulmana determinerà la sicurezza futura del continente. Un'Europa infiltrata dalle reti islamiste diventa un'Europa meno sicura per i suoi cittadini ebrei, più ostile verso Israele e più vulnerabile alle manipolazioni straniere da parte di Iran, Qatar e Turchia, Stati che storicamente sostengono le filiali dei Fratelli Musulmani per ottenere un vantaggio geopolitico.
Per l'Europa, l'esperienza di Israele offre un monito: ignorare le radici ideologiche dell'estremismo non è tolleranza, è negligenza. La minaccia dei Fratelli Musulmani è transnazionale. Anche la risposta deve esserlo.
I governi europei stanno ora iniziando ad agire. Austria, Francia e Belgio hanno adottato misure per limitare le attività legate alla Fratellanza. L'ultimo rapporto del Parlamento europeo svela i modelli di finanziamento del movimento. Le coalizioni della società civile chiedono che la Fratellanza sia designata come organizzazione terroristica, allineandosi con Stati Uniti, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein.
Ma l'azione rimane frammentaria. La Fratellanza prospera nelle lacune. A meno che l'Europa e Israele non coordinino la loro politica – condividendo le informazioni di intelligence, limitando i canali di finanziamento, monitorando le organizzazioni di facciata e trattando il movimento come una minaccia ideologica alla sicurezza – la Fratellanza continuerà a sfruttare i sistemi democratici per minarli.
La questione non è più se la Fratellanza Musulmana sia pericolosa. È se le società libere troveranno il coraggio di difendersi.

(JNS, 29 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Una società che difende i "diritti LGBTQ+" è una società corrotta nel midollo e spiritualmente marcia. Si erge superba contro l’ordine creazionale di Dio. Finché Israele continuerà a farsi vanto della difesa di questo suo “valore”, non speri in una “soluzione laica” della questione ebraica. M.C.

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 27
    Modello dell'altare degli olocausti
  • Farai anche un altare di legno di acacia, lungo cinque cubiti e largo cinque cubiti; l'altare sarà quadrato, e avrà tre cubiti di altezza. Farai ai quattro angoli dei corni che spuntino dall'altare, che rivestirai di bronzo. Farai pure i suoi vasi per raccogliere le ceneri, le sue palette, i suoi bacini, i suoi forchettoni e i suoi bracieri; tutti i suoi utensili li farai di bronzo. E gli farai una graticola di bronzo a forma di rete; e sopra la rete, ai suoi quattro angoli, farai quattro anelli di bronzo; e la porrai sotto la cornice dell'altare, nella parte inferiore, in modo che la rete raggiunga la metà dell'altezza dell'altare. Farai anche delle stanghe per l'altare: delle stanghe di legno di acacia, e le rivestirai di bronzo. E si faranno passare le stanghe per gli anelli; e le stanghe saranno ai due lati dell'altare, quando lo si dovrà portare. Lo farai di tavole, vuoto; dovrà essere fatto, come ti è stato mostrato sul monte.

    Il cortile
  • Farai anche il cortile del tabernacolo; dal lato meridionale, ci saranno, per formare il cortile, delle cortine di lino fino ritorto, per una lunghezza di cento cubiti, per un lato. Questo lato avrà venti colonne con le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne saranno d'argento. Così pure per il lato di settentrione, per lungo, ci saranno delle cortine lunghe cento cubiti, con venti colonne e le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne saranno d'argento. E per largo, dal lato di occidente, il cortile avrà cinquanta cubiti di cortine, con dieci colonne e le loro dieci basi. E per largo, davanti, dal lato orientale il cortile avrà cinquanta cubiti. Da uno dei lati dell'ingresso ci saranno quindici cubiti di cortine, con tre colonne e le loro tre basi; e dall'altro lato pure ci saranno quindici cubiti di cortine, con tre colonne e le loro tre basi. Per l'ingresso del cortile ci sarà una portiera di venti cubiti, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, un lavoro di ricamo, con quattro colonne e le loro quattro basi. Tutte le colonne attorno al cortile saranno congiunte con delle aste d'argento; i loro chiodi saranno d'argento, e le loro basi di bronzo. La lunghezza del cortile sarà di cento cubiti; la larghezza, di cinquanta da ciascun lato; e l'altezza, di cinque cubiti; le cortine saranno di lino fino ritorto, e le basi delle colonne, di bronzo. Tutti gli utensili destinati al servizio del tabernacolo, tutti i suoi picchetti e tutti i picchetti del cortile saranno di bronzo.

    L'olio per le lampade
  • Ordinerai ai figli d'Israele che ti portino dell'olio puro, di olive schiacciate, per il candelabro, per tenere le lampade continuamente accese. Nella tenda di convegno, fuori del velo che sta davanti alla testimonianza, Aaronne e i suoi figli lo prepareranno perché le lampade ardano dalla sera al mattino davanti all'Eterno. Questa sarà una regola perenne per i loro discendenti, da essere osservata dai figli d'Israele.

    (Notizie su Israele, 28 novembre 2025)


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Gruppi armati in Siria insieme agli Houthi

Rumors da fonti di Intelligence: “Stanno valutando l’invasione del Golan”

di Aldo Torchiaro

ISRAELE DEL NORD L’aereo israeliano sgancia una prima, poi una seconda bomba. Trema la terra, in Libano: ci troviamo a una manciata di chilometri. Quello che succede oltre confine lo apprendiamo dalla radio dell’esercito che una gentile soldatessa traduce per noi. Il mezzo militare con il quale ci arrampichiamo ad Har Adir si ferma. La salita è scoscesa e il terreno, brullo: neanche il fuoristrada può inerpicarsi a pieno carico. Dunque si scende e si prosegue a piedi. Siamo sulla collina da cui si guarda a sinistra al Libano mentre a destra si tocca la Siria.
Israele è notorio per l’alta tecnologia, ma qui bastano i binocoli. Perché i miliziani di Hezbollah si vedono a occhio nudo, vestiti di nero tra la vegetazione che si fa montuosa. Le incursioni armate dei proxy iraniani sono frequenti. E non ci sono solo loro. Anche Hamas ha una presenza nella zona. Poca roba, ma ci sono. Se il piano di invasione e carneficina dei kibbutz in origine portava il marchio di fabbrica di Hezbollah, non è escluso che averglielo copiato per realizzare il 7 ottobre – sul versante Sud – sia stato possibile per Hamas, data la coesistenza con il «partito di Dio». Hezbollah deve dimostrare di non essere troppo da meno rispetto ai concorrenti sunniti di Hamas, ma in un anno e mezzo, dal colpo dei cercapersone al raid di sei giorni fa, l’organizzazione sciita è decimata. E il confine con il Libano presidiato.
Israele mantiene cinque postazioni in territorio libanese. I militari dell’IDF tengono a precisare che sono avamposti di osservazione. Non si conquista e non si annette niente. Ma il pericolo rimane alto.
«Massima allerta». Lo dimostrano i raid di ieri sui villaggi di Jarmaq e Mahmoudiyeh. La partita è aperta verso Hezbollah e gli altri proxy, anche in Siria. In questo fazzoletto di terra, il triangolo Israele-Libano-Siria è come il triangolo d’emergenza, che ci segnala un rumors che da fonti di intelligence arriva fino a noi: gruppi armati in Siria, con il supporto operativo di miliziani del movimento sciita yemenita filo-Iran Houthi «stanno valutando l’invasione delle alture del Golan». Ecco perché Israel Katz, ministro della Difesa israeliano, ha autorizzato il «preventive strike» a un anno esatto dalla firma della tregua in Libano, a due giorni dall’arrivo del Pontefice a Beirut e a una settimana dal raid costato la vita al capo di stato maggiore di Hezbollah, Haytam Ali Tabatabai. Katz, ieri alla Knesset, è andato oltre dicendo che Israele «non è sulla buona strada» per un accordo di sicurezza o normalizzazione con Damasco, aggiungendo che Tel Aviv si sta preparando a scenari in cui milizie siriane poco inclini ad ascoltare le direttive del presidente siriano Ahmed al Sharaa possano sferrare attacchi contro le comunità israeliane o nuovamente contro gruppi drusi in Siria.
Il ministro della Difesa ha quindi affermato che gli Houthi sono attualmente una «tra le forze operative presenti in Siria» e starebbero valutando un’invasione via terra delle alture del Golan. Dalla caduta del regime di Bashar al Assad lo scorso dicembre, le Forze di difesa d’Israele hanno occupato nove postazioni nel sud della Siria, inclusi due avamposti sul crinale siriano del monte Hermon. Le Forze armate di Tel Aviv sono tornate ad operare sul fronte Nord. Al compiersi degli ultimi bombardamenti vediamo alzarsi una alta colonna di fumo, vicina al confine. Speriamo non vada in fumo anche l’accordo per Gaza.

(Il Riformista, 28 novembre 2025)

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Sondaggio: il partito Otzma Yehudit guadagna terreno

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Un recente sondaggio condotto dal Midgam Institute per il canale israeliano N12 rivela un panorama politico israeliano in piena trasformazione. Se le elezioni si tenessero oggi, il partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu rimarrebbe in testa con 27 seggi, seguito da vicino dal partito di Naftali Bennett con 22 seggi.Ma è Otzma Yehudit ad attirare l'attenzione: otterrebbe 9 seggi, un risultato solido che riflette una rinascita della popolarità dell'estrema destra. Tra gli altri partiti, i Democratici otterrebbero 11 seggi, Yisrael Beytenu 10, Shas 9, Yesh Atid 8 e Yahadout HaTorah 7.
Il sondaggio traccia un quadro politico chiaro: l'opposizione nel suo complesso otterrebbe 58 seggi, contro i 52 dei partiti della coalizione, mentre i partiti arabi otterrebbero 10 seggi. Questi risultati suggeriscono che i partiti centristi e di sinistra non potrebbero formare un governo senza il sostegno dei partiti arabi.
Per quanto riguarda la leadership del Paese, Benjamin Netanyahu continua a dominare. Il 42% degli intervistati lo ritiene il più adatto a guidare il Paese, molto più avanti di Yair Lapid (24%). Rispetto a Naftali Bennett, ottiene anche un maggiore sostegno (40% contro 36%), così come rispetto a Gadi Eisenkot (41% contro 24%).

(i24, 28 novembre 2025)

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Il cavallo di Troia degli islamisti

Le due cause gemelle del palestinianismo e dei diritti umani hanno distrutto la bussola morale dell'Occidente.

di Melanie Phillips

Il mondo “progressista” è definito dalla sua incondizionata adesione a due cause: il palestinianismo e il diritto internazionale dei diritti umani. Le due sono legate in modo simbiotico.
I “progressisti” credono che esse rappresentino la coscienza, la moralità e il miglioramento del genere umano. In realtà, entrambe hanno distrutto completamente la bussola morale dell'Occidente.
Sono le principali cause dello tsunami di demonizzazione di Israele e di persecuzione degli ebrei che ha travolto il mondo ebraico dopo le atrocità commesse da Hamas in Israele il 7 ottobre 2023.
Questo asse infernale è perfettamente incarnato nella persona del sindaco eletto di New York, Zohran Mamdani.
Dopo l'attacco della folla alla sinagoga Park East nell'Upper East Side di New York City durante l'incontro organizzato da Nefesh B'Nefesh per fornire informazioni sull'aliyah, ovvero l'immigrazione in Israele, Mamdani ha dichiarato: “Questi luoghi sacri non dovrebbero essere utilizzati per promuovere attività che violano il diritto internazionale”.
Questo era chiaramente ridicolo. Trasferirsi in Israele non è una violazione del diritto internazionale, né lo è qualsiasi incontro volto a fornire informazioni su come farlo. Trasferirsi lì non è più illegale che trasferirsi negli Stati Uniti, come hanno fatto i genitori di Mamdani.
L'ufficio del sindaco eletto ha poi affermato che Mamdani intendeva dire che “l'attività di insediamento oltre la Linea Verde” era una violazione del diritto internazionale. Ciò è di per sé falso, ma non è ciò che ha detto e travisa l'evento che ha denunciato.
È abbastanza chiaro che egli ritiene illegittima tutta l'immigrazione in Israele perché ritiene illegittima l'esistenza stessa di Israele, come era evidente dalle sue performance pre-elettorali di agitatore di piazza che gridava alla distruzione dell'unico Stato ebraico al mondo.
Mamdani ha fatto questa osservazione sulla “violazione” con un unico scopo malefico: delegittimare il diritto degli ebrei di vivere nella loro patria ancestrale. Questo perché vuole delegittimare Israele stesso con ogni mezzo possibile.
Questa è la seconda volta che fa un commento degno di nota che riguarda il diritto internazionale. Alcune settimane fa, ha affermato che se il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avesse messo piede a New York, Mamdani lo avrebbe fatto arrestare in base al mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale.
Ma anche questo era assurdo. Non avrebbe alcun potere per farlo. Un arresto del genere potrebbe essere eseguito solo dalle autorità federali. E nemmeno loro potrebbero procedere a un arresto del genere, perché gli Stati Uniti non sono firmatari della Corte penale internazionale.
Perché, allora, Mamdani è così desideroso di citare il diritto internazionale, che non ha nulla a che vedere con New York?
Perché il diritto internazionale è un'arma fondamentale utilizzata dall'«ottavo fronte» della guerra contro Israele. Questo ottavo fronte (gli altri sette sono i paesi che circondano Israele in un “anello di fuoco”) è la guerra della mente. È condotta attraverso l'intero apparato globale del diritto internazionale dei diritti umani e dell'establishment umanitario, e riciclata dai media per demonizzare e delegittimare Israele in Occidente e spingere le persone a premere per lo sterminio di Israele.
Le Nazioni Unite, i tribunali internazionali e le grandi ONG come Human Rights Watch e Amnesty International costituiscono un'infrastruttura globale per promuovere la causa palestinese, dare alle menzogne dell'“occupazione” e ai diritti dei palestinesi sulla terra una giustificazione spuria nel diritto internazionale e isolare Israele nel tribunale dell'opinione pubblica.
Per gli arabi palestinesi, il diritto internazionale dei diritti umani è un'arma fondamentale per distruggere Israele. Negli anni '60, quando si resero conto che non potevano raggiungere questo obiettivo con la guerra, il leader terrorista palestinese Yasser Arafat e i suoi alleati nell'ex Unione Sovietica inventarono la falsa identità di un popolo palestinese e rivendicarono così il diritto all'autodeterminazione.
Questo ha attirato i progressisti occidentali per i quali, come ben comprendevano gli arabi palestinesi e i loro strateghi sovietici, i diritti umani universali sono diventati la cosa più vicina a una religione. Per questi liberali, fare campagna per i palestinesi significava fare campagna per la giustizia e i diritti degli oppressi.
Tutto ciò che gli arabi palestinesi dovevano fare era colpire Israele con false accuse di violazioni dei diritti umani, e i liberali occidentali sarebbero diventati un'arma per portare alla distruzione di Israele. Questo è stato fatto alla lettera, trasformando la giustizia in guerra legale e organismi come la Corte internazionale di giustizia o la Corte penale internazionale in tribunali farsa conquistati dai nemici di Israele.
La causa palestinese ha avuto un effetto ancora più profondo. Ha semplicemente corrotto il discorso e la moralità in Occidente. Adottando il palestinianismo come segno distintivo del proprio valore morale, le persone hanno aderito a un programma di menzogne che ritengono essere verità incontrovertibili.
Convinti che i palestinesi siano i dannati della terra, i liberali occidentali rifiutano di vedere che in realtà stanno sostenendo un programma genocida. Interiorizzando l'odio palestinese verso gli ebrei, ora non vedono nulla di sbagliato nel vomitare feroci tropi antisemiti.
Demonizzando Israele in nome dell'antirazzismo, hanno capovolto la moralità, invertendo vittima e aggressore. Ecco perché, dopo gli attacchi terroristici del 7 ottobre, molti di loro hanno negato la vittimizzazione israeliana e hanno invece grottescamente accusato Israele di abusi come crimini di guerra o genocidio, di cui Israele era innocente ma di cui i palestinesi erano colpevoli.
Questa proiezione patologica da parte degli aggressori delle proprie azioni malvagie sulle loro vittime è profondamente radicata nella causa palestinese e in effetti nel mondo islamista.
Gli islamisti lo fanno perché credono che l'Islam sia la perfezione e che tutto ciò che va oltre sia opera del diavolo. L'aggressione islamista contro l'Occidente è quindi falsamente presentata come una difesa contro gli attacchi occidentali all'Islam.
Questo è il motivo per cui i musulmani britannici di Birmingham hanno giustificato l'esclusione dei tifosi del Maccabi Tel Aviv dalla partita del club contro l'Aston Villa in ottobre, sostenendo che i tifosi israeliani avevano precedenti di violenza.
Si sono basati su un'affermazione del tutto falsa, secondo cui una violenta “caccia agli ebrei” araba premeditata contro i tifosi del Maccabi durante una partita ad Amsterdam lo scorso anno, in cui gli israeliani sono stati inseguiti per la città, picchiati e uno di loro è stato gettato in un canale, era in realtà un grave attacco da parte di “teppisti” israeliani contro i musulmani locali.
Permettendo alla causa palestinese di sovvertire la loro capacità di distinguere la verità dalla menzogna e il bene dal male, i progressisti occidentali hanno danneggiato qualcosa di molto più vicino a casa loro rispetto alla verità sull'impasse israelo-araba. Ciò significa che non riescono a vedere come la loro stessa società stia diventando islamizzata.
Ecco perché la reazione istintiva dopo qualsiasi atrocità islamista in Occidente è quella di preoccuparsi degli attacchi contro i musulmani. Ecco perché in Gran Bretagna qualsiasi critica alla polizia che applica una “giustizia a due livelli” trattando i musulmani con meno severità rispetto agli altri, o qualsiasi preoccupazione sui tentativi di islamizzare i programmi scolastici di alcune scuole statali, o qualsiasi riferimento all'identità prevalentemente musulmana delle bande di stupratori e adescatori viene denunciata come “islamofobia” e messa a tacere.
Il palestinianismo è il cavallo di Troia dell'islamizzazione dell'Occidente.
Mamdani è motivato, soprattutto, dalla sua passione per la causa palestinese e dal suo odio per Israele.
È chiaro dal suo team di transizione – un insieme da incubo di persone che odiano Israele, nichilisti e ultra-sinistroidi – che intende creare una frattura al centro della comunità ebraica utilizzando gli ebrei antisionisti come scudi umani per proteggersi dalle accuse di antisemitismo mentre persegue la sua vendetta contro Israele.
Gli ebrei di New York che denunciano Israele riceveranno protezione e favori; gli ebrei che si presume sostengano Israele saranno gettati in pasto ai lupi.
E tutto questo sarà fatto nel nome dei diritti umani, della giustizia e del diritto internazionale.

(JNS, 27 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Terroristi in difficoltà

Le incursioni israeliane a Rafah mettono sotto pressione i terroristi nei tunnel. Tuttavia, finora non hanno accettato alcuna offerta.

RAFAH – Da settimane i terroristi di Hamas sono intrappolati nei tunnel sotto Rafah. Nel frattempo, numerosi combattenti hanno dovuto abbandonare i loro nascondigli a causa della scarsità di cibo. Durante i loro tentativi di fuga sono stati catturati o uccisi dall'esercito israeliano.
Il quotidiano “Yediot Aharonot” parla in questo contesto di una “grande svolta” avvenuta la scorsa settimana. Essa sarebbe la conseguenza delle incursioni dell'esercito nella rete sotterranea. L'esercito tiene la zona sotto stretta sorveglianza.
Mercoledì l'esercito ha comunicato di aver ucciso più di 20 terroristi e arrestato otto persone la settimana precedente, mentre fuggivano dai tunnel.
Mercoledì Hamas ha chiesto per la prima volta alla comunità internazionale di esercitare pressioni su Israele affinché lasci uscire i combattenti dai tunnel. In questo modo ha riconosciuto per la prima volta la loro situazione.

Offerta israeliana
  Secondo un rapporto dei media israeliani, Israele ha già presentato un'offerta a Hamas la scorsa settimana. Secondo tale offerta, Israele garantisce la libertà ai terroristi se si arrendono. Una volta usciti dai tunnel, saranno inizialmente detenuti in Israele. Tuttavia, potranno tornare nella Striscia di Gaza se rinunciano al terrorismo e consegnano le armi.
Secondo il rapporto, finora nessuno ha accettato l'offerta. Non è chiaro nemmeno se la leadership di Hamas abbia effettivamente comunicato l'offerta ai combattenti nei tunnel. Un rappresentante del governo israeliano ha commentato laconicamente: “Sembra che abbiano deciso di diventare martiri”.

Milizia in azione contro Hamas
  Tuttavia, Israele non è l'unico attore che sta combattendo i terroristi. Mercoledì, la milizia Abu Shabab ha annunciato di aver sventato attacchi alla zona umanitaria da parte di Hamas nella parte orientale della città di Rafah. Nel corso dell'operazione, ha arrestato alcuni terroristi. L'azione è stata coordinata con la coalizione internazionale.
Secondo il sito di notizie “Arutz Scheva”, un'emittente locale ha riferito che l'operazione è stata condotta alcuni giorni fa. La milizia avrebbe consegnato i terroristi arrestati all'esercito israeliano.
Nella sua dichiarazione, la milizia ha inoltre affermato che prenderà di mira tutti i terroristi che prendono di mira i civili. Rafah sarà un modello per l'applicazione della sicurezza.
In un'intervista a “Yediot Aharonot”, Jasser Abu Schabab aveva anche criticato duramente Hamas per il massacro terroristico del 7 ottobre. La milizia sta combattendo contro il gruppo terroristico, ha spiegato il beduino, ma non riceve alcun sostegno da Israele. (df)

(Israelnetz, 27 novembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 26
    Modello del tabernacolo
  • Farai poi il tabernacolo di dieci teli di lino fino ritorto, di filo colore violaceo, porporino e scarlatto, con dei cherubini artisticamente lavorati. La lunghezza di ogni telo sarà di ventotto cubiti, e la larghezza di ogni telo di quattro cubiti; tutti i teli saranno della stessa misura. Cinque teli saranno uniti assieme, e gli altri cinque teli saranno pure uniti assieme. 
  • Farai dei nastri di colore violaceo all'orlo del telo che è all'estremità della prima serie; e lo stesso farai all'orlo del telo che è all'estremità della seconda serie. Metterai cinquanta nastri al primo telo, e metterai cinquanta nastri all'orlo del telo che è all'estremità della seconda serie di teli: i nastri si corrisponderanno l'uno all'altro. Farai cinquanta fermagli d'oro, e unirai i teli l'uno all'altro mediante i fermagli, perché il tabernacolo formi un tutto unico.
  • Farai pure dei teli, di pelo di capra, che serviranno da tenda per coprire il tabernacolo: di questi teli ne farai undici. La lunghezza di ogni telo sarà di trenta cubiti, e la larghezza di ogni telo, di quattro cubiti; gli undici teli avranno la stessa misura. Unirai assieme, da sé, cinque di questi teli, e unirai da sé gli altri sei, e ripiegherai il sesto sulla parte anteriore della tenda. 
  • E metterai cinquanta nastri all'orlo del telo che è all'estremità della prima serie, e cinquanta nastri all'orlo del telo che è all'estremità della seconda serie di teli. Farai cinquanta fermagli di bronzo, e farai entrare i fermagli nei nastri e unirai così la tenda, in modo che formi un tutto unico. Quanto alla parte dei teli della tenda in eccedenza, la metà del telo che avanza ricadrà sulla parte posteriore del tabernacolo. Il cubito da una parte e il cubito dall'altra parte in eccedenza nella lunghezza dei teli della tenda, ricadranno sui due lati del tabernacolo, di qua e di là, per coprirlo.
  • Per la tenda farai pure una coperta di pelli di montone tinte di rosso, e sopra questa un'altra coperta di pelli di tasso.
  • Per il tabernacolo farai delle assi di legno di acacia, messe diritte. La lunghezza di un'asse sarà di dieci cubiti, e la larghezza di un'asse, di un cubito e mezzo. Ogni asse avrà due incastri paralleli; farai così per tutte le assi del tabernacolo. Farai dunque le assi per il tabernacolo: venti assi dal lato meridionale, verso il sud. Metterai quaranta basi d'argento sotto le venti assi: due basi sotto ciascuna asse per i suoi due incastri. E farai venti assi per il secondo lato del tabernacolo, il lato nord, e le loro quaranta basi d'argento: due basi sotto ciascuna asse. Per la parte posteriore del tabernacolo, verso occidente, farai sei assi. Farai pure due assi per gli angoli del tabernacolo, dalla parte posteriore. Queste saranno doppie dal basso in su e, al tempo stesso, formeranno un tutto unico fino in cima, fino al primo anello. Così sarà per entrambe le assi, che saranno ai due angoli. Vi saranno dunque otto assi, con le loro basi d'argento: sedici basi, due basi sotto ogni asse. 
  • Farai anche delle traverse di legno di acacia: cinque, per le assi di un lato del tabernacolo; cinque traverse per le assi dell'altro lato del tabernacolo, e cinque traverse per le assi della parte posteriore del tabernacolo, a occidente. La traversa di mezzo, in mezzo alle assi, passerà da una parte all'altra. Rivestirai d'oro le assi, e farai d'oro i loro anelli per i quali passeranno le traverse, e rivestirai d'oro le traverse. Erigerai il tabernacolo secondo la forma esatta che ti è stata mostrata sul monte.
  • Farai un velo di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto con dei cherubini artisticamente lavorati, e lo sospenderai a quattro colonne di acacia, rivestite d'oro, che avranno i chiodi d'oro e poseranno su basi d'argento. Metterai il velo sotto i fermagli; e lì, al di là del velo, introdurrai l'arca della testimonianza; quel velo sarà per voi la separazione del luogo santo dal santissimo. Metterai il propiziatorio sull'arca della testimonianza nel luogo santissimo. Metterai la tavola fuori del velo, e il candelabro di fronte alla tavola dal lato meridionale del tabernacolo; e metterai la tavola dal lato di settentrione.
  • Farai pure per l'ingresso della tenda una portiera di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, un lavoro di ricamo. E farai cinque colonne di acacia per sospendervi la portiera; le rivestirai d'oro, e avranno i chiodi d'oro e tu fonderai per esse cinque basi di bronzo.
(Notizie su Israele, 27 novembre 2025)


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Il passaggio alla seconda fase: sfide e timori

Il corrispondente di Israel Heute Itamar Eichner parla della crescente pressione da parte di Washington, delle condizioni aperte di Israele per la fase B, della formazione stagnante delle ISF e della crescente preoccupazione per la presenza turca a Gaza

di Itamar Eichner

Con la restituzione dell'ostaggio ucciso Dror Or, altri due ostaggi uccisi rimangono nelle mani di Hamas: Ran Gueli e il cittadino thailandese Suttisak Rintlak. Israele continua a esercitare pressioni su Hamas affinché chiarisca dove si trovano. Le ricerche sul posto proseguono, ma non con grande intensità, o come ha affermato una fonte israeliana: “ricerche a fuoco lento”.
Uno dei punti focali di Israele è l'ostaggio di cui si hanno almeno indicazioni generali sulla sua ubicazione. Nel secondo caso, la localizzazione è molto più difficile. A Gerusalemme si spera che Hamas possa restituire almeno uno dei due corpi. Attraverso i mediatori, Israele offrirà di intensificare congiuntamente le ricerche.
Una fonte israeliana ha confermato: “C'è un punto di partenza per entrambi e Hamas potrebbe investire di più: è possibile riportarli indietro”.
Israele non è mai stato così vicino alla seconda fase dell'accordo. Tuttavia, mentre la pressione da Washington aumenta, la posizione israeliana rimane invariata: finché tutti gli ostaggi uccisi non saranno stati riportati indietro, non ci sarà alcun passaggio alla fase B.
Per questo motivo il valico di Rafah rimane chiuso; Israele non amplia gli aiuti umanitari né avvia colloqui su ulteriori ritirate dalla cosiddetta “linea gialla”.
Dietro le quinte, è soprattutto la questione irrisolta degli ostaggi uccisi a creare un senso di stallo. Solo quando sarà chiarita, Israele sarà disposto a discutere della ricostruzione e di ulteriori passi avanti.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dai terroristi di Hamas rimasti, che si sono barricati nei tunnel di Rafah. Alcune decine di loro si trovano ancora lì. Israele avrebbe consentito loro di lasciare il Paese, ma nessuno Stato era disposto ad accoglierli. In diversi casi, i terroristi sono usciti dai tunnel: alcuni si sono arresi, altri sono stati uccisi.
Proprio oggi sono stati uccisi cinque terroristi di Hamas che sono usciti da un tunnel.
Anche gli Stati Uniti stanno lavorando intensamente alla fase B, ma incontrano notevoli difficoltà: la formazione della forza di stabilizzazione internazionale (ISF) è in fase di stallo. Quasi nessuno Stato arabo o musulmano è disposto a inviare migliaia di soldati che saranno di stanza nella Striscia di Gaza e assumeranno la responsabilità dell'IDF.
L'Azerbaigian inizialmente si era mostrato disponibile, ma ora sembra aver cambiato idea, forse a causa delle pressioni turche, poiché Ankara vorrebbe inviare i propri soldati a Gaza.
Israele rifiuta categoricamente le truppe turche e qatariote, ma sarebbe disposto ad accettare soldati azeri o indonesiani. Tuttavia, dopo che Hamas ha annunciato che non coopererà con l'ISF, è chiaro che qualsiasi partecipazione comporterebbe inevitabilmente scontri a fuoco e rischi considerevoli.
Al momento non si registrano progressi nella costituzione dell'ISF. Non è chiaro quando potrebbero arrivare i primi soldati, che avrebbero comunque bisogno di un addestramento completo prima di entrare in azione.
Per Israele è chiaro: se l'ISF non disarma Hamas, Israele dovrà farlo da solo. Hamas, invece, è disposto a consegnare solo le armi pesanti, cosa che per Israele è fuori discussione. Dietro le quinte si stanno valutando modelli alternativi, come l'integrazione di membri di Hamas nelle strutture di sicurezza palestinesi.
Rimane aperta una questione fondamentale: cosa succederebbe se non fosse possibile individuare il luogo in cui si trova l'ultimo ostaggio ucciso? All'interno del gabinetto di sicurezza ci sono posizioni diverse al riguardo. Ma è chiaro a tutti che si sta avvicinando il momento in cui Israele non potrà più fermare il processo.
Allo stesso tempo, a Gerusalemme cresce la frustrazione per il fatto che gli Stati Uniti impediscano di sanzionare Hamas a causa dei ritardi. Hamas sta prendendo tempo, mentre Israele può agire solo in modo limitato.
Hamas, sostenuto dalla Turchia e dal Qatar, sostiene a sua volta che Israele sta violando gli accordi.
La pazienza degli Stati Uniti sta finendo e gli ambienti diplomatici non escludono una maggiore pressione su Israele.
Il futuro dell'ISF rimane incerto. Washington dichiara che gli Stati possono impegnarsi anche senza partecipare con le truppe, ad esempio nella logistica, nel finanziamento o nei quartier generali.
In Israele cresce la preoccupazione che, a causa dei blocchi, gli Stati Uniti possano alla fine puntare sulle truppe turche, uno scenario che a Gerusalemme è considerato estremamente problematico.
Inoltre, da Gaza giungono notizie secondo cui Hamas sta acquisendo sempre più forza nei suoi territori, un ulteriore motivo per cui Israele non accetta compromessi sulla questione del disarmo.
Parallelamente, l'IDF ha avviato i lavori per la costruzione di una nuova città per i gazawi a est di Rafah, in territorio controllato da Israele. Il progetto “Rafah verde” è destinato ad accogliere gli abitanti che non appartengono ad Hamas. I preparativi sono già in corso e la prossima settimana i lavori dovrebbero essere notevolmente ampliati.
Oggi, durante questi lavori, si è verificato uno scontro con dei terroristi provenienti da un tunnel di Rafah: l'area si trova nelle immediate vicinanze del sistema di tunnel.
Recentemente, alcuni ministri del governo avevano criticato il progetto: “Non costruite sulla linea gialla, mettete in pericolo le nostre città”. Tuttavia, gli sviluppi sul posto dimostrano che la leadership politica sta ora portando avanti il progetto.
Il coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT) ha riferito che dall'inizio del cessate il fuoco il 19 ottobre, circa 4.200 camion con aiuti umanitari arrivano ogni settimana a Gaza, per un totale di oltre 16.600 finora.
199 cucine forniscono ogni giorno cibo a circa 1,5 milioni di persone. Il COGAT lavora a stretto contatto con i partner internazionali; i controlli e il coordinamento continuano a essere effettuati da Israele.
Siria: i colloqui su un accordo di sicurezza non procedono. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato al gabinetto di sicurezza che il presidente siriano Ahmed al-Sharaa è tornato “euforico” dall'incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e ha avviato misure che Israele non può accettare, tra cui lo schieramento di forze russe al confine. Il ministro della Difesa Israel Katz ha aggiunto: “È tornato euforico, in entrambi i sensi”.
Arabia Saudita: anche qui i progressi sono minimi. Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha detto al presidente Trump che l'Arabia Saudita vorrebbe aderire in linea di principio agli accordi di Abramo, ma che senza chiare garanzie per la creazione di uno Stato palestinese entro cinque anni non può compiere un passo storico.
In Israele c'è una opposizione quasi unanime a un tale Stato.

(Israel Heute, 27 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il 7 ottobre biblico, noi non abbiamo rapito, stuprato: abbiamo difeso le nostre famiglie"

Il deputato e giornalista israeliano Bismuth: “L’informazione è l’ago della bilancia, molti reporter seguono la moda e non i fatti. Genocidio? A Gaza popolazione cresce”

di Aldo Torchiaro

GERUSALEMME – Deputato del Likud, già ambasciatore d’Israele in Mauritania, giornalista di lungo corso e per anni direttore del più grande quotidiano israeliano, Israel Hayom. Oggi Boaz Bismuth è il presidente della Commissione Esteri e Difesa della Knesset. E, nei corridoi di Gerusalemme, il suo nome circola ormai apertamente come uno dei possibili successori di Benjamin Netanyahu. Lo incontriamo dopo una lunga audizione sulla sicurezza nazionale. Parla con la franchezza di chi ha vissuto guerre, rivoluzioni e dossier d’intelligence sul campo, e con l’urgenza di chi ritiene che l’informazione sia ormai parte integrante della guerra.

- Lei ha alle spalle una vita da reporter. In che modo quell’esperienza condiziona il suo giudizio sui media di oggi?
  «Sono stato un giornalista molto prima di essere parlamentare. Ho coperto tutto: Iraq 1 e 2, Kosovo, Afghanistan, elezioni, catastrofi naturali. Per questo capisco la vostra professione, che è stata anche la mia. Quando dirigevo il più importante giornale israeliano, l’unica cosa che contava erano i fatti. Oggi invece molti giornalisti arrivano in Israele avendo già scritto l’articolo in volo. La percezione ha sostituito la realtà: si deve essere “alla moda”, non fedeli ai fatti. E questo ha un prezzo altissimo per noi».

- Parla spesso di “doppio standard” quando si racconta il conflitto. Che cosa intende?
  «Paghiamo un costo enorme: 600 camion di aiuti al giorno, milioni di tonnellate, i nostri kibbutz massacrati, ostaggi, famiglie distrutte. Diamo al mondo anche il DNA delle vittime. E poi leggiamo che Israele commette un genocidio. È assurdo. È come l’UNRWA: nel 1949 dichiarava duecentomila rifugiati, oggi parla di milioni. Un genocidio in cui la popolazione cresce è una categoria nuova nella storia dell’umanità. Eppure passa come verità».

- Siamo in un periodo di transizione, si sente più in pace o più in guerra?
  «Tutti i sette fronti sono ancora aperti: Gaza, Hezbollah, Houthi, Siria, l’Iraq delle milizie iraniane. Abbiamo vinto battaglie, ma non la guerra. E l’Iran continua a inseguire la bomba nucleare: è un problema per Israele, ma dovrebbe esserlo per tutto il mondo».

- Lei rifiuta l’idea che Hamas abbia un ramo “politico”. Perché?
  «Quando ero ambasciatore in Mauritania e lavoravo tra Iraq, Cairo e Sahel, vedevo Al-Qaida, Boko Haram, ISIS. Qualcuno ha mai parlato di un loro “braccio politico”? È un’assurdità. Solo con Hamas si accetta questa finzione. È un inganno utile ad alcuni governi europei. E danneggia l’onestà dell’informazione sul Medio Oriente».

- Il tema dell’informazione è centrale. Perché Israele non permette l’ingresso dei giornalisti a Gaza?
  «Gaza è ancora un luogo estremamente pericoloso. E non parliamo solo di giornalisti: molti di quelli che sono morti non erano affatto giornalisti, e possiamo provarlo. Si muovevano su mandato di Hamas e costituivano un pericolo per l’incolumità di soccorritori, cooperanti e giornalisti. Ho un elenco che portai anche al Parlamento europeo: persone che postavano contenuti terroristici. Io rispetto la professione, ma non accetto che si confonda chi racconta i fatti con chi collabora a una propaganda di guerra. E voglio proteggere la vita dei veri reporter».

- Si farà la commissione d’inchiesta sul 7 ottobre?
  «Sì, certo. Le famiglie la chiedono, ed è giusto. Ma ricordiamoci che quell’attacco è arrivato dopo mesi di crisi istituzionale interna. Il Paese era diviso e i nostri aggressori contavano molto su questo. Pensavano che il mondo arabo si sarebbe unito dietro di loro e che noi ci saremmo divisi. Invece noi ci siamo uniti e loro si sono divisi. La novità dei Paesi arabi moderati che votano all’Onu per disarmare Hamas va colta nella sua pienezza. L’inchiesta si farà, ma servirà anche capire il contesto politico che ci ha indebolito. E il trauma è immenso: per recuperare dallo shock dello Yom Kippur ci sono voluti cinquant’anni. Il 7 ottobre è peggio, è di una dimensione biblica».

- Dopo il 7 ottobre molti parlano di “risposta sproporzionata”. Che cos’è, per lei, la proporzionalità?
  «Se qualcuno uccide tua moglie, violenta tua figlia, massacra i tuoi figli, qual è la risposta proporzionata? Questa guerra sarebbe finita in due ore se Hamas avesse liberato gli ostaggi e lasciato Gaza. Non l’ha fatto. Noi non abbiamo rapito, non abbiamo stuprato: abbiamo difeso le nostre famiglie. Proporzionalità significa impedire che ciò accada di nuovo. E significa impedire che Hamas governi ancora Gaza».

- Lei ha un rapporto personale con Donald Trump. Cosa rappresenta per Israele?
  «È uno dei migliori amici che Israele abbia mai avuto. Ha sostenuto l’operazione in Gaza, ha permesso gli Accordi di Abramo, ha portato stabilità. In Europa non capirono subito il potenziale di quegli accordi per due motivi: mancava la formula dei “due stati” e la sua personalità era considerata scomoda. Ma oggi è diverso. Trump resterà un amico, ma i nemici di Israele resteranno anche quando lui non sarà più alla Casa Bianca. Per questo servono deterrenza, esercito, e una strategia per colmare i cicli di guerra con cicli più lunghi di pace».

(Il Riformista, 27 novembre 2025)

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Voci palestinesi ricordano la cacciata degli ebrei dai paesi arabi

di Nathan Greppi

“Come palestinese che si rifiuta di ripetere a pappagallo le bugie della nostra leadership, devo dirlo senza mezzi termini: dire agli ebrei mizrachim, agli ebrei provenienti da Iraq, Yemen, Egitto, Marocco, Siria e dal resto del mondo arabo, che stanno compiendo una ‘pulizia etnica’ nei nostri confronti è la manipolazione del secolo”. A pronunciare queste parole, in un tweet apparso su X a ottobre, è stato l’influencer palestinese Ahmed Al-Khalidi.

Ricordare la storia

Dopo il ‘48, sono state centinaia di migliaia gli ebrei che sono stati costretti a lasciare i paesi del Medio Oriente e del Nordafrica, ai quali dopo il 1979 si è aggiunto anche l’esodo di numerosi ebrei persiani. Secondo l’ente Justice for Jews from Arab Countries, nel 1948 vivevano circa 956.000 ebrei nei paesi arabi e in Iran, ma nel 1958 erano scesi a 475.000 e nel 1968 a 76.000. Nel 2025, si stima che ne siano rimasti poco più di 12.000.
Sempre Khalidi ha scritto su X: “Iniziamo dai fatti. Gli ebrei mizrachim non ‘venivano dall’Europa’. Vissero in Medio Oriente per migliaia di anni, molto prima dell’Islam, molto prima della conquista araba, molto prima di qualsiasi Stato moderno. I loro antenati parlavano lo stesso ebraico antico menzionato nelle storie del Corano, pregavano rivolti verso Gerusalemme e le loro comunità a Babilonia, Damasco e Sana’a esistevano da oltre 2.500 anni. Sono autoctone di questa regione come gli ulivi, autoctoni del Medio Oriente quanto noi”.
Ha ricordato che “quando gli stati arabi si sono rivoltati contro di loro nel XX secolo, dopo la fondazione d’Israele, sono stati etnicamente epurati: case saccheggiate, attività sequestrate, cittadinanza revocata, sinagoghe incendiate, persone linciate. Quasi un milione di ebrei fu espulso dalle terre arabe. La maggior parte fuggì in Israele senza nulla”.
Khalidi ha rimarcato che le “stesse famiglie cacciate da Baghdad, Aleppo e Tripoli, che hanno ricostruito la loro vita dai campi profughi in Israele, sono accusati di aver commesso lo stesso crimine che è stato commesso nei loro confronti”. Secondo lui, l’idea che gli ebrei siano dei “colonizzatori” in terra araba “non è solo ipocrisia; è un’amnesia storica. Se vogliamo veramente giustizia, dobbiamo smettere di manipolare i nostri vicini e iniziare a riconoscere che anche la loro storia è mediorientale. La nostra liberazione non nascerà dal negare la loro”.

L’opinione di Nas Daily
  Un altro influencer palestinese ad aver ricordato questo capitolo storico, che in troppi sembrano aver dimenticato, è Nuseir Yassin (più conosciuto con il suo pseudonimo Nas Daily), il quale ha realizzato un video su Instagram con l’intelligenza artificiale che racconta la storia dell’espulsione degli ebrei dai paesi arabi. Ha spiegato che oltre all’espulsione dei palestinesi va ricordata anche quella di quelli che lui chiama “ebrei arabi”, perché “due verità possono esistere allo stesso tempo”.

(Bet Magazine Mosaico, 27 novembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 25

Dio dà a Mosè gli ordini per la costruzione del tabernacolo
L'Eterno parlò a Mosè dicendo: “Di' ai figli d'Israele che mi facciano un'offerta; accetterete l'offerta da ogni uomo che sarà disposto a farmela di cuore. E questa è l'offerta che accetterete da loro: oro, argento e bronzo; stoffe di colore violaceo, porporino, scarlatto; lino fino e pelo di capra; pelli di montone tinte di rosso, pelli di tasso e legno di acacia; olio per il candelabro, aromi per l'olio dell'unzione e per il profumo odoroso; pietre di onice e pietre da incastonare per l'efod e il pettorale. Mi facciano un santuario perché io abiti in mezzo a loro. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.

L'arca
Faranno dunque un'arca di legno di acacia; la sua lunghezza sarà di due cubiti e mezzo, la sua larghezza di un cubito e mezzo, e la sua altezza di un cubito e mezzo. La rivestirai di oro puro; la rivestirai così dentro e fuori; e le farai sopra una ghirlanda d'oro, che giri intorno. Fonderai per essa quattro anelli d'oro, che metterai ai suoi quattro piedi: due anelli da un lato e due anelli dall'altro. Farai anche delle stanghe di legno di acacia, e le rivestirai d'oro. E farai passare le stanghe per gli anelli ai lati dell'arca, perché servano a portarla. Le stanghe rimarranno negli anelli dell'arca; non ne saranno tratte fuori. E nell'arca metterai la testimonianza che ti darò.

Il propiziatorio
Farai anche un propiziatorio d'oro puro; la sua lunghezza sarà di due cubiti e mezzo, e la sua larghezza di un cubito e mezzo. E farai due cherubini d'oro; li farai lavorati al martello, alle due estremità del propiziatorio; fa' un cherubino a una delle estremità e un cherubino all'altra; farete in modo che questi cherubini escano dal propiziatorio alle due estremità. I cherubini avranno le ali spiegate in alto, in modo da coprire il propiziatorio con le loro ali; avranno la faccia rivolta l'uno verso l'altro; le facce dei cherubini saranno rivolte verso il propiziatorio. E metterai il propiziatorio in alto, sopra l'arca; e nell'arca metterai la testimonianza che ti darò. Lì io mi incontrerò con te; dal propiziatorio, tra i due cherubini che sono sull'arca della testimonianza, ti comunicherò tutti gli ordini che avrò da darti per i figli d'Israele.

La tavola
Farai anche una tavola di legno di acacia; la sua lunghezza sarà di due cubiti; la sua larghezza di un cubito, e la sua altezza di un cubito e mezzo. La rivestirai di oro puro, e le farai una ghirlanda d'oro che le giri attorno. Le farai intorno una cornice alta quattro dita; e a questa cornice farai tutto intorno una ghirlanda d'oro. Le farai pure quattro anelli d'oro, e metterai gli anelli ai quattro angoli, ai quattro piedi della tavola. Gli anelli saranno vicinissimi alla cornice per farvi passare le stanghe destinate a portare la tavola. E le stanghe le farai di legno di acacia, le rivestirai d'oro, e serviranno a portare la tavola. Farai pure i suoi piatti, le sue coppe, i suoi calici e le sue tazze da servire per le libazioni; li farai d'oro puro. E metterai sulla tavola il pane della presentazione, che starà sempre alla mia presenza.

Il candelabro
Farai anche un candelabro d'oro puro; il candelabro, il suo piede e il suo tronco saranno lavorati al martello; i suoi calici, i suoi pomi e i suoi fiori saranno tutti di un pezzo con il candelabro. Gli usciranno sei bracci dai lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall'altro; su uno dei bracci saranno tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore; e sull'altro braccio, tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore. Lo stesso per i sei bracci che escono dal candelabro. Nel tronco del candelabro ci saranno poi quattro calici a forma di mandorla, con i loro pomi e i loro fiori. Ci sarà un pomo sotto i due primi bracci che partono dal candelabro; un pomo sotto i due seguenti bracci, e un pomo sotto i due ultimi bracci che partono dal candelabro: così per i sei bracci che escono dal candelabro. Questi pomi e questi bracci saranno tutti di un pezzo con il candelabro; il tutto sarà d'oro fino lavorato al martello. Farai pure le sue lampade, in numero di sette; e le sue lampade si accenderanno in modo che la luce rischiari lo spazio davanti al candelabro. E i suoi smoccolatoi e i suoi porta smoccolatoi saranno d'oro puro. Per fare il candelabro con tutti questi suoi utensili si impiegherà un talento d'oro puro. Vedi di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.

(Notizie su Israele, 26 novembre 2025)


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Il giornalista Toameh: “Dopo due anni di guerra Hamas è ancora in piedi, i palestinesi devono capire che non si può costruire un futuro sulla Jihad”

di Aldo Torchiaro

Khaled Abu Toameh è uno dei più autorevoli giornalisti arabi israeliani. Per venticinque anni è stato una delle firme di punta del Jerusalem Post, diventando il riferimento occidentale più affidabile per comprendere la politica palestinese, le dinamiche interne dell’Autorità Nazionale Palestinese e l’evoluzione di Hamas. Ha lavorato come producer per i grandi network televisivi americani in Medio Oriente — NBC, BBC, 60 Minutes, tra gli altri — accompagnando le principali testate internazionali nei territori palestinesi e offrendo analisi considerate tra le più lucide e coraggiose. È celebre per le sue interviste esclusive ai protagonisti della storia palestinese: da Yasser Arafat ad Abu Mazen, fino al fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin. Il suo lavoro combina conoscenza diretta dei centri di potere palestinesi, rigore giornalistico e un raro coraggio personale nel raccontare ciò che molti evitano di dire apertamente.

- Lei segue la politica palestinese da oltre quarant’anni. Il 7 ottobre l’ha sorpresa oppure no?
  «Mi ha sorpreso il tempismo, non l’ideologia. L’attacco è arrivato mentre Israele allentava il blocco, aumentava i permessi di lavoro, entravano soldi e investimenti a Gaza. Tutti dicevano che Hamas fosse dissuaso da un nuovo conflitto. Se mi avessero chiesto due settimane prima le probabilità di guerra, avrei risposto: zero».

- Che cosa l’ha colpita di più nel modo in cui l’attacco è stato lanciato?
  «La brutalità dei crimini. Ho visto due Intifade, ma il 7 ottobre ho visto cose mai viste. Guardando i video insieme ai colleghi ho capito dall’accento che quegli uomini venivano da Gaza. E in tutto quel materiale non ho trovato un solo palestinese che dica al gruppo: “Fermiamoci, lì c’è una famiglia”».

- Dov’erano l’esercito e l’intelligence israeliana quel giorno?
  «Non ho risposte soddisfacenti. C’erano poche centinaia di soldati, la tecnologia – telecamere, sensori, satelliti – non ha funzionato. Si aspettavano forse una piccola infiltrazione, hanno mandato forze ridotte, finite in imboscate. È il frutto anche di anni di arroganza: per anni ho riportato le minacce di Hamas e molti israeliani mi dicevano che non avrebbero mai osato».

- Perché allora dice che, in fondo, non è rimasto sorpreso?
  «Perché Hamas ha fatto esattamente ciò che promette dal 1987: jihad per sostituire Israele con uno Stato islamico. Ho intervistato quasi tutti i loro leader: sono sempre stati chiari. Rapimenti, omicidi, attentati suicidi, razzi – il 7 ottobre, per loro, è solo una nuova fase, lo stesso “From the river to the sea” che oggi si sente nelle piazze occidentali».

- Quanto pesa l’incitamento religioso e politico dentro la società palestinese?
   «È enorme e dura da decenni. Moschee, media, scuole, social diffondono l’idea che gli ebrei siano malvagi, che profanino moschee e rubino la terra. Non è solo Hamas: nel 2015 Abbas parlò di “piedi sporchi” degli ebrei su al-Aqsa e di sangue “puro” versato per la moschea. Due settimane dopo iniziò un’ondata di accoltellamenti. Intanto la moschea è ancora in piedi».

- Che cosa significa davvero lo slogan “From the river to the sea, Palestine will be free” che sentiamo nelle piazze occidentali?
  «È uno slogan di Hamas. La prima volta l’ho sentito alla fine degli anni Ottanta a Gaza; la seconda su un campus in Canada, gridato da ragazzi che non erano palestinesi. Quando ho chiesto cosa volessero fare degli ebrei non sapevano rispondere. Molti attivisti occidentali non sanno dov’è Gaza né cos’è Hamas: spesso è più odio verso Israele che solidarietà vera con i palestinesi».

- Perché dice che i soldi non bastano a moderare Hamas o la società palestinese?
  «Perché il denaro calma solo per poco. Prima del 7 ottobre Gaza aveva ristoranti di lusso, cantieri, soldi da Qatar, Europa, Israele. Le due Intifade sono esplose in fasi di crescita economica. Ho studiato molti attentatori suicidi: avevano casa di proprietà, erano studenti, professionisti. Il problema è l’educazione: se a casa e in TV ti ripetono che gli ebrei sono demoni, i 10.000 dollari al mese non cambiano il risultato».

- Qual è, alla fine, la vera natura del conflitto israelo-palestinese secondo lei?
  «Non è solo un problema di checkpoint o di insediamenti. Il nodo è che molti nel mondo arabo-musulmano non accettano il diritto di Israele a esistere. Per molti palestinesi Israele è un unico grande “insediamento” da liberare. I due campi interni chiedono entrambi il 100%: o del 1948 o del 1967. Israele realisticamente può offrire meno, ma non vedo un leader palestinese disposto ad accettarlo».

- Che ruolo hanno i regimi arabi in questa radicalizzazione?
  «Per anni molti leader arabi hanno usato l’odio verso Israele come distrazione dalle proprie responsabilità. Hanno incitato le masse e ora la gente è più radicale di loro. Con poche eccezioni – Emirati e Bahrein – nessuno dice ai palestinesi che servono concessioni. Intanto in Cisgiordania e a Gaza la gente è governata da mafie e bande: Hamas è terribile, ma l’Autorità palestinese non è molto meglio, l’OLP si comporta da mafia. E a Gaza non c’è solo Hamas: ci sono almeno una dozzina di gruppi armati».

- Se la minaccia è esistenziale, qual è la risposta legittima di Israele a un attore come Hamas?
  «Se qualcuno si piazza davanti a casa tua dicendo che vuole rapire i tuoi figli e bruciarti vivo, non puoi semplicemente aspettare. Hamas ripete che Israele non ha diritto di esistere: non capisco perché Israele non possa dire lo stesso su Hamas. Allo stesso tempo, dopo due anni di guerra Hamas è ancora in piedi: molte capacità militari sono state distrutte, ma l’organizzazione resta e si negozia ancora con lei sul futuro di Gaza. Per me è un fallimento strategico e politico».

- Che lezione dovrebbero trarre Israele, i palestinesi e l’Occidente?
  «Israele deve smettere di sottovalutare un nemico che dice apertamente cosa vuole fare. I palestinesi devono capire che non si può costruire un futuro su Jihad, martirio e rifiuto assoluto di ogni compromesso. E l’Occidente deve smettere di illudersi che bastino assegni o slogan: senza cambiare l’educazione e senza leader coraggiosi, continueremo a girare in tondo tra nuove illusioni e nuova violenza».

(Il Riformista, 26 novembre 2025)

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L’ottava arena: la nuova funzione di X svela la guerra contro Israele sui social

di Luca Spizzichino

La nuova funzione di trasparenza introdotta da X ha aperto un vaso di Pandora senza precedenti nella comprensione delle campagne di disinformazione che negli ultimi due anni hanno preso di mira Israele. Basta un clic per vedere la presunta posizione geografica reale di un account, la data di creazione e le modifiche al nome. Un dettaglio tecnico che ha fatto luce su un tipo di propaganda – già utilizzata dai russi – basata su bot, profili falsi e reti coordinate di influenza che per anni hanno operato al riparo dell’anonimato.
Decine di migliaia di profili che si presentavano come testimoni diretti da Gaza: infermieri sotto i bombardamenti, padri in fuga dai campi di sfollati, o persino soldati dell’IDF. Tutti improvvisamente smascherati. Le loro posizioni reali non avevano nulla a che fare con Gaza o con Israele, ma risultavano invece in paesi come Pakistan, Russia, Nigeria, Bangladesh e Polonia. Alcuni di questi profili avevano raccolto migliaia di dollari in donazioni; altri erano diventati fonti virali di testimonianze false, costruite per alimentare rabbia e indignazione. E, in alcuni casi, gli utenti hanno continuato a pubblicare come se nulla fosse, ignorando completamente la rivelazione.
La portata del fenomeno è confermata anche dalla società israeliana di intelligence privata, Cyabra, citata da Fox Business: sono stati identificati oltre 40.000 account impegnati nella diffusione di messaggi filo-Hamas su X, Facebook, Instagram e TikTok. Questi profili, che rappresentano circa un quarto dell’intera conversazione globale sui temi legati agli attacchi di Hamas, avrebbero prodotto 312.000 post e commenti, con alcuni account attivi centinaia di volte al giorno. Secondo Cyabra, si tratta di una rete coordinata che sfrutta hashtag e interazioni incrociate per amplificare artificialmente emozioni, narrazioni e punti di vista.
Ma il dettaglio più inquietante è la sofisticazione di questo fenomeno: azioni coordinate di reti di influenza digitali orientate non verso la comunità internazionale, ma verso il pubblico israeliano. Una dimensione che molti esperti definiscono ormai “l’ottava arena” del conflitto: la guerra psicologica e informativa combattuta nel cuore dei social network.
Nelle ultime ventiquattro ore sono emerse prove di come i bot in ebraico abbiano agito negli ultimi due anni per influenzare la percezione della guerra, la questione degli ostaggi, la fiducia nel governo e perfino il morale nazionale. Un tassello fondamentale per capire questa realtà è il report pubblicato alla fine del 2024 dall’INSS, l’Institute for National Security Studies. Lo studio ha analizzato l’attività della rete Isnad (in arabo “supporto”), un’organizzazione gestita dalla Turchia da un cittadino egiziano, Izz al-Din Dwidar. Una rete che, secondo gli analisti, è riuscita a inserirsi nelle conversazioni più sensibili della società israeliana, imitando perfettamente linguaggi, paure e posizioni politiche locali. In altre parole: non parlava agli israeliani, parlava come gli israeliani.
Secondo l’INSS, la strategia di Isnad si basava su un massiccio bombardamento di messaggi: contenuti prodotti da un gruppo ristretto di “manager” che conoscevano in profondità la società israeliana e capaci di reagire quasi in tempo reale agli eventi sul campo. I profili utilizzati erano costruiti in modo estremamente credibile: nomi ebraici, foto apparentemente autentiche, biografie convincenti, un uso dell’ebraico reso possibile da strumenti di intelligenza artificiale in grado di superare la barriera linguistica. Le analisi hanno inoltre identificato una suddivisione strutturata del lavoro: decine di super-operatori capaci di pubblicare fino a seicento post ciascuno, affiancati da centinaia di operatori attivi e oltre un migliaio di operatori occasionali. Una macchina perfettamente oliata.
L’elemento forse più rilevante è la scelta dell’identità politica da adottare. Quasi tutti i profili finti si presentavano come israeliani di centrosinistra, critici del governo, vicini alle famiglie degli ostaggi e favorevoli a un accordo immediato per la loro liberazione. Una scelta tutt’altro che casuale: secondo lo studio, la rete aveva individuato tre “sensori” emotivi della società israeliana sui quali intervenire per massimizzare l’impatto. Il primo era la frattura politica interna e la sfiducia verso il governo. Il secondo era la ferita aperta degli ostaggi, un tema capace di mobilitare sentimenti profondi e spesso divergenti. Il terzo era il dolore per il prezzo della guerra e la paura di un conflitto prolungato su più fronti. Sfruttare questi tre punti significava inserirsi esattamente dove la società israeliana era più vulnerabile.
Uno degli obiettivi della rete era anche far circolare i comunicati del portavoce militare di Hamas, aggirando la censura israeliana e portando direttamente al pubblico messaggi concepiti per alimentare paura, divisione e pressione psicologica. Un esempio concreto di come la guerra ibrida contemporanea operi ormai ben oltre le armi tradizionali: oggi il fronte passa anche attraverso la manipolazione delle emozioni, la distorsione delle informazioni e l’imitazione digitale di comunità e gruppi politici.
L’ottava arena non funziona solo diffondendo menzogne o propaganda: funziona soprattutto sfruttando le crepe interne di una società aperta. E Israele, come ogni democrazia esposta e polarizzata, è un terreno particolarmente fertile per questo tipo di operazioni.

(Shalom, 26 novembre 2025)

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Inondazioni in Israele

FOTO
GERUSALEMME – Dopo un periodo di caldo insolito, nella notte tra lunedì e martedì una tempesta si è abbattuta su Israele. Forti piogge hanno causato inondazioni soprattutto nel nord e nel sud del Paese.
I media israeliani riferiscono che i vigili del fuoco hanno dovuto salvare decine di persone dalle masse d'acqua. Tra questi anche un uomo che stava viaggiando con la sua auto nel deserto del Negev. Per proteggersi, è salito sul tetto dell'auto. In alcuni luoghi l'acqua è salita a oltre un metro, secondo quanto riferito dai vigili del fuoco. Finora non sono stati segnalati feriti.
A Gerusalemme le strade sono allagate. Una residente ha riferito di essere stata svegliata durante la notte dal rombo dei tuoni. Ha parlato di “un temporale con un volume che raramente ho sentito”.
Sono stati colpiti anche gli insediamenti in Cisgiordania. A Elkana, le forze di intervento hanno evacuato dieci residenti dalle loro case allagate. A Neve Zuf, i meteorologi hanno misurato una quantità di precipitazioni di 128 litri per metro quadrato in quattro ore. Si tratta di un nuovo record per la regione.

Crollo di un tratto della barriera di sicurezza
  A causa delle piogge, diverse strade sono attualmente chiuse. Inoltre, secondo quanto riportato dai media israeliani, una parte della barriera di sicurezza vicino a Hebron è crollata a causa delle masse d'acqua. Il crollo della barriera rappresenta un rischio per la sicurezza di Israele. Secondo il Ministero della Difesa, la polizia e le forze armate sono già sul posto per gestire la situazione.

(Israelnetz, 26 novembre 2025)

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60 anni alle spalle, la vita davanti a me

Pochi giorni fa ho festeggiato il mio sessantesimo compleanno insieme alla mia famiglia, Anat, i miei figli e i miei tre nipoti. Il quarto è in arrivo. C'era anche la nonna.

di Aviel Schneider

Abbiamo trascorso la serata in una splendida sala riservata solo per noi. Il cibo era eccellente e, per questa occasione speciale, ho portato alcuni vini rossi selezionati dalla mia collezione personale. Ma la vera sorpresa è arrivata solo più tardi: la mia famiglia mi ha regalato una rivista creata appositamente per me e sulla copertina c'era la mia foto per la prima volta in vita mia. Non ne sapevo nulla. Anat, mia moglie, ci aveva lavorato segretamente per sei settimane.
Tutto in questo numero ruotava intorno a me; i miei figli e mia moglie descrivevano chi sono, con tutti i miei punti di forza e le mie debolezze. I miei fratelli, i miei parenti, i miei amici dell'esercito, i miei colleghi e persino i lettori del nostro giornale dall'estero hanno contribuito con i loro articoli. Dopo 60 anni ho capito una cosa: forse non sono così “cattivo” come a volte pensavo. Mia moglie ha reagito nel nostro gruppo WhatsApp: “Meno male che l'amore per se stessi non fa ingrassare”. In realtà sono un padre che ha lasciato il segno, soprattutto all'interno della mia famiglia. Questa consapevolezza mi ha toccato profondamente ed è per me più preziosa di qualsiasi traccia lasciata altrove e spazzata via dal vento.
Sono rimasto sopraffatto, forse proprio perché so quanto lavoro, amore e pazienza ci siano in un giornale del genere. Lo faccio professionalmente da molti anni e ora sono diventato io stesso il protagonista di un numero. Mi sono anche chiesto perché ne sto scrivendo. Che cosa ve ne importa dei miei 60 anni? Onestamente, non mi sento come se avessi 60 anni. Piuttosto come se ne avessi 30 o 40. Il fatto che il mondo esista ancora oggi è quasi un miracolo per me. Sono cresciuto con voci che annunciavano costantemente che nei prossimi giorni o anni tutto sarebbe finito. Apocalisse! Boom! C'era una volta! Eppure eccomi qui, vivo in questo mondo da 60 anni.
Amo la vita ed è proprio questo che mi caratterizza: come sono, come mi sento, come penso e come scrivo. Molte cose sono cambiate in me. Oggi non mi interessa più il pensiero stereotipato della destra o della sinistra. Per me al centro ci sono le persone, il nostro popolo, la realtà del nostro Paese. Anche nella mia famiglia spesso non siamo d'accordo sulle questioni politiche, a volte siamo addirittura molto distanti. Ma siamo comunque una famiglia, e questo per me è fondamentale. La nostra coesione è più forte di qualsiasi linea politica. È questo ciò di cui ha bisogno il popolo!
Ascoltate: tutto ciò che pubblichiamo sul nostro sito web o sulla nostra rivista sono notizie. E a volte non si tratta solo di analisi politiche, sviluppi in materia di politica di sicurezza o titoli internazionali. A volte sono anche storie di vita molto personali. Perché la vita non è fatta solo di drammi geopolitici, ma anche di momenti tranquilli, di traguardi familiari, di pensieri che ci plasmano. Forse è proprio questa la vera notizia: che nonostante le tempeste del mondo non dovremmo smettere di vedere, apprezzare e condividere la nostra vita. Se scriviamo solo delle grandi crisi, perdiamo le voci silenziose della vita, quelle che spesso ci toccano più profondamente e ci ricordano ciò che conta davvero.
Il versetto “non nella tempesta, non nel fuoco, ma nella voce silenziosa” mostra che Dio non si rivela a Elia solo nelle spettacolari forze della natura o nelle crisi politiche mondiali come quelle odierne, ma nella voce sottile, silenziosa e delicata. La Bibbia insegna così che l'essenziale non avviene nel rumore, ma spesso nella quiete. La presenza di Dio spesso non si manifesta in modo drammatico, ma in modo non spettacolare, in un respiro, in un pensiero, in un momento di silenzio. La vera guida, il conforto e la verità non arrivano con il tuono, ma nel silenzio che il cuore ascolta.
La mia vita è sempre stata dinamica. Ci sono stati momenti davvero difficili, ma io e Anat abbiamo imparato da ogni fase della vita. A proposito, in tutto questo Anat è stata il cuore della nostra famiglia, il centro interiore che ci sostiene e ci tiene uniti. Posso dividere la nostra vita in capitoli, e con ogni capitolo sono in pace. Io e Anat ne parliamo spesso. Ho dei rimpianti? Forse, ma questo resta un mio affare. A un certo punto, all'inizio dei quaranta, ho capito che la nostra vita non è una prova generale. È ora o mai più. Quello che perdiamo oggi, non lo recupereremo più in seguito.
Ho i collaboratori migliori e più leali in Israel Heute. Anche loro compaiono nell'Aviel Journal. Dov Eilon ha persino composto una canzone.
Così, circa 20 anni fa, ho deciso consapevolmente di rallentare il ritmo al lavoro e di dedicarmi completamente alla mia famiglia. Perché dopo 18 anni i nostri figli non sono più bambini. Questa consapevolezza è arrivata silenziosamente, ma mi ha colpito profondamente. Così ho iniziato a non lavorare più solo per loro, ma a vivere con loro. Investire in loro, nel nostro presente comune, nelle conversazioni, nella vicinanza, nel tempo. Ed è proprio questo che i miei figli mi hanno rimproverato quella sera, in un modo che mi ha toccato profondamente. Mi hanno fatto capire che lo avevano notato. Che lo avevano percepito. E che per loro era importante.
Conosco persone che aspettano solo il prossimo passo, il paradiso, e trascurano il presente. Io non sono così. Credo che dovremmo goderci il presente, semplicemente perché la vita è fragile e domani tutto potrebbe essere diverso. Ed è proprio questo che i miei figli hanno imparato da me, ad apprezzare il presente. Questo pensiero ha cambiato molte cose in me. L'ho imparato da Davide, il re Davide:

“Questo è il giorno che il Signore ha fatto; rallegriamoci e gioiamo in esso!”

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La famiglia è seduta attorno al tavolo e mi viene consegnato l'Aviel Journal.

Ogni singolo giorno, non il futuro, non un giorno qualsiasi, ma questo giorno, è un dono celeste. Ci invita a percepire il presente, ad apprezzarlo e a trovare gioia in esso. È un invito a non perdere l'attimo, a non darlo per scontato. Vivere consapevolmente questo giorno è una forma di fede. Ho capito che qui sulla terra possiamo creare il nostro “paradiso limitato”, soprattutto negli ultimi due anni di guerra che, nonostante tutta la paura e il pericolo, ci hanno regalato nuove intuizioni.
Credo che la vita non sia scritta solo nei grandi titoli, ma nelle piccole righe in mezzo. Nelle persone che ci accompagnano. Nei momenti che non rimandiamo. Nel presente che viviamo consapevolmente. Le tempeste politiche continueranno, arriveranno nuovi titoli, le sfide continueranno a metterci alla prova. Questo fa parte della vita, e ne scrivo con passione su Israel Heute. E sapete una cosa? Non sono sicuro che la guerra nella nostra regione sia davvero finita. A volte ho la sensazione che potrebbero aspettarci tempi ancora più difficili. Ma in mezzo a tutto questo rimane la voce flebile e sottile che ci sostiene, che ci ricorda l'essenziale. Ho imparato che non bisogna aspettare che la vita diventi più facile per viverla. Bisogna viverla adesso. Oggi. In questo giorno che l'Eterno ha creato. E se la mia famiglia mi ha insegnato qualcosa questa sera, è che tutto ciò che diamo ci ritorna, spesso in una forma che non avremmo mai immaginato. Questo è il mio ringraziamento. E questa è la mia benedizione.

(Israel Heute, 26 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 24
    Mosè risale sul monte Sinai
  • Poi Dio disse a Mosè: “Sali verso l'Eterno tu e Aaronne, Nadab e Abiu e settanta degli anziani d'Israele, e adorate da lontano; poi Mosè solo si accosterà all'Eterno; ma gli altri non si accosteranno, né salirà il popolo con lui”.
  • Allora Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole dell'Eterno e tutte le leggi. E tutto il popolo rispose a una voce e disse: “Noi faremo tutte le cose che l'Eterno ha detto”.
  • Poi Mosè scrisse tutte le parole dell'Eterno; si alzò di buon mattino ed eresse, ai piedi del monte, un altare e dodici pietre per le dodici tribù d'Israele.
  • Poi mandò dei giovani israeliti a offrire olocausti e a immolare giovenchi come sacrifici di ringraziamento all'Eterno.
  • E Mosè prese la metà del sangue e lo mise in bacini; e l'altra metà la sparse sull'altare. Poi prese il libro del patto e lo lesse alla presenza del popolo, il quale disse: “Noi faremo tutto quello che l'Eterno ha detto, e ubbidiremo”.
  • Allora Mosè prese il sangue, ne asperse il popolo e disse: “Ecco il sangue del patto che l'Eterno ha fatto con voi sul fondamento di tutte queste parole”.
  • Poi Mosè e Aaronne, Nadab e Abiu e settanta degli anziani d'Israele salirono, e videro l'Iddio d'Israele. Sotto i suoi piedi c'era come un pavimento lavorato in trasparente zaffiro, simile, per limpidezza, al cielo stesso. Ed egli non mise la mano addosso a quegli eletti tra i figli d'Israele; ma essi videro Iddio, e mangiarono e bevvero.
  • L'Eterno disse a Mosè: “Sali da me sul monte, e fermati qui; e io ti darò delle tavole di pietra, la legge e i comandamenti che ho scritto, perché siano insegnati ai figli d'Israele”.
  • Mosè dunque si alzò con Giosuè suo ministro; e Mosè salì sul monte di Dio. E disse agli anziani: “Aspettateci qui, finché ritorneremo da voi. Ecco, Aaronne e Cur sono con voi; chiunque abbia qualche affare si rivolga a loro”.
  • Mosè dunque salì sul monte, e la nuvola ricoprì il monte. La gloria dell'Eterno rimase sul monte Sinai e la nuvola lo coprì per sei giorni; e il settimo giorno l'Eterno chiamò Mosè dalla nuvola. L'aspetto della gloria dell'Eterno era agli occhi dei figli d'Israele come un fuoco divorante sulla cima del monte. E Mosè entrò in mezzo alla nuvola e salì sul monte; e Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti.

(Notizie su Israele, 25 novembre 2025)


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L'Autorità Palestinese punta al controllo postbellico di Gaza secondo il piano di Trump

di Shachar Kleiman

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Tony Blair e Hussein al-Sheikh

Una fonte palestinese ha dichiarato a Israel Hayom che gli Stati Uniti e altre forze internazionali comprendono che l'Autorità Palestinese dovrà alla fine assumere il controllo della Striscia di Gaza.
Secondo la fonte, la partecipazione dell'Autorità Palestinese agli accordi postbellici accelererebbe tale processo e contribuirebbe a facilitarlo.
Le dichiarazioni sono state rilasciate dopo il secondo incontro di questa settimana tra al-Sheikh e Blair, che dovrebbe guidare il consiglio internazionale nell'ambito del piano di Trump per il Medio Oriente e la Striscia di Gaza.
All'incontro hanno partecipato anche il capo dei servizi segreti dell'Autorità Palestinese, Majed Faraj, e il consigliere diplomatico di Mahmoud Abbas, Majdi Khaldi.
Il funzionario palestinese ha dichiarato al quotidiano saudita Asharq Al-Awsat che al-Sheikh ha sottolineato a Blair la necessità che l'Autorità Palestinese si assuma la responsabilità della Striscia di Gaza come parte di quello che ha definito lo “Stato” palestinese.
I due hanno discusso del ruolo dell'Autorità Palestinese a Gaza attraverso un comitato tecnocratico e le forze palestinesi che, dal loro punto di vista, dovrebbero essere dispiegate nella Striscia.
Sabato, fonti egiziane hanno affermato che centinaia di “agenti di sicurezza palestinesi” erano pronti a dispiegarsi a Gaza. Migliaia di agenti di polizia dell'Autorità Palestinese stanno seguendo un addestramento in Egitto e Giordania.
Le discussioni hanno anche affrontato la questione del proposto organismo di supervisione internazionale, il cosiddetto Consiglio di Pace, e la questione delle forze internazionali che sarebbero state temporaneamente di stanza nella Striscia di Gaza.

(Israel Hayom, 25 novembre 2025)

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Sito offre taglie per uccidere accademici israeliani

Il sito offre 50.000 dollari per uccidere un accademico israeliano incluso in una lista, e 100.000 per gli “obiettivi speciali”, 1.000 dollari per affiggere dei manifesti davanti alle case dei bersagli e protestare contro i loro presunti “crimini” e 5.000 per fornire informazioni sull’obiettivo. Infine, 20.000 dollari per chi commette incendi dei loro veicoli o case.

di Nathan Greppi

Il sito internet di un gruppo antisionista, che si fa chiamare The Punishment for Justice Movement, ha recentemente messo delle taglie sulle teste di diversi accademici israeliani, con profili e dettagli personali degli obiettivi forniti per potenziali omicidi su commissione. Creato ad agosto e attivo da settembre, il sito avrebbe sede a Drenthe, nei Paesi Bassi.
Come riporta il Jerusalem Post, il sito olandese offre 50.000 dollari di ricompensa per uccidere un accademico israeliano incluso nella lista di proscrizione, e arriva a 100.000 dollari per quelli che vengono classificati come “obiettivi speciali”.
Viene offerta una somma di 1.000 dollari per affiggere dei manifesti davanti alle case dei bersagli e per protestare contro i loro presunti “crimini”, come ad esempio che secondo The Punishment for Justice Movement le loro ricerche servono a rafforzare l’arsenale bellico dell’IDF, e 5.000 dollari vengono offerti per fornire informazioni sull’obiettivo. Un totale di 20.000 dollari è la ricompensa per chi commette incendi dolosi dei loro veicoli o case.
Il sito elenca indirizzi di casa, numeri di telefono, indirizzi e-mail, account sui social network e persino numeri identificativi di centinaia di accademici: molti di questi insegnano in atenei israeliani, quali l’Università Ben-Gurion del Negev, il Technion di Haifa, l’Istituto Weizmann, l’Università Ebraica di Gerusalemme e l’Università di Tel Aviv. Ma nella lista sono inclusi anche accademici israeliani che lavorano all’estero, e in particolare a Harvard, Oxford e presso il CERN di Ginevra.
Tra coloro che vengono classificati come “obiettivi speciali”, figurano ad esempio Daniel Chamowitz, presidente dell’Università Ben-Gurion; Shikma Bressler, fisica e ricercatrice presso l’Istituto Weizmann, nota in Israele per aver guidato diverse proteste contro il governo; e Daniel Zajfman, che del Weizmann è l’ex-presidente. Di alcuni bersagli, vengono riportati persino nomi e informazioni personali sui loro familiari, rendendo anche questi dei potenziali bersagli.

(Bet Magazine Mosaico, 25 novembre 2025)

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Disarmo di Hezbollah: dopo settimane di avvertimenti, Israele si mostra pronto ad agire

Sostenuto dagli Stati Uniti, l'esercito israeliano ha dato seguito alle sue minacce con la forza delle armi, colpendo domenica un importante terrorista; Hezbollah non dovrebbe reagire, ma non rinuncerà alle sue armi

di Lazar Berman e Mannie Fabian

Il clamoroso attacco sferrato domenica dall'esercito israeliano contro Haytham Ali Tabatabai, capo di Stato Maggiore de facto di Hezbollah, nei pressi di Beirut, non è una sorpresa.
L'assassinio ha fatto seguito a una serie di avvertimenti lanciati da Gerusalemme e Washington, che avevano avvertito che l'esercito israeliano avrebbe intensificato la sua campagna aerea se il Libano non avesse adottato misure molto più rapide per garantire il disarmo del gruppo terroristico sciita.
All'inizio del mese, il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva esplicitamente dichiarato che Israele avrebbe fatto tutto il necessario per impedire a Hezbollah di riarmarsi, dopo che il gruppo terroristico era stato profondamente indebolito durante i combattimenti con lo Stato ebraico lo scorso anno.
«Ci aspettiamo che il governo libanese rispetti i suoi impegni, ovvero quelli di disarmare Hezbollah. Ma è chiaro che eserciteremo il nostro diritto all'autodifesa, come previsto dai termini del cessate il fuoco“, ha dichiarato il primo ministro. ”Non permetteremo che il Libano diventi un nuovo teatro di guerra per noi e faremo tutto il necessario per assicurarci che ciò non accada".
Un alto ufficiale dell'esercito israeliano ha recentemente dichiarato davanti alle telecamere del canale di informazione N12 che l'intensificarsi degli attacchi aerei nelle ultime settimane è stato “un assaggio” di ciò che attende il Libano se il Paese non intensificherà la sua campagna di disarmo.
«Se l'esercito libanese non disarma Hezbollah e non soddisfa le condizioni del cessate il fuoco», ha affermato l'ufficiale, «Israele, con il sostegno degli Stati Uniti, attaccherà gli obiettivi di Hezbollah in tutto il Libano, compresa Beirut».
Domenica, Israele sembra aver messo in atto le sue minacce, uccidendo il numero due di Hezbollah – e aggravando le tensioni già in aumento – apparentemente con la benedizione di Washington.
Sebbene Israele e Stati Uniti abbiano divergenze significative sulla questione di Gaza, sembrano essere d'accordo per quanto riguarda il Libano. Entrambi i paesi riconoscono che gli effetti deterrenti della sconfitta militare di Hezbollah dello scorso anno stanno cominciando a svanire e che, per evitare un nuovo conflitto, sia il governo libanese che il gruppo sciita devono prendere sul serio la possibilità di una vasta operazione militare israeliana.
Un alto funzionario americano ha dichiarato domenica al canale di informazione N12 che gli Stati Uniti sono “soddisfatti dell'eliminazione del numero due di Hezbollah”.
“Pensiamo che sia una cosa meravigliosa. Yalla, mazal tov, mabrouk”, ha commentato il funzionario.
Haytham Ali Tabatabai, capo militare di Hezbollah, su un manifesto diffuso dal gruppo terroristico dopo la sua morte il 23 novembre 2025 Ufficio stampa di Hezbollah).
Dopo la fine dei combattimenti, nel novembre 2024, Tabatabai era stato ufficialmente nominato capo di stato maggiore militare del gruppo terroristico, ha riferito Tsahal.
“È stato lui a guidare i nuovi sforzi del gruppo terroristico in materia di riarmo”, ha detto Netanyahu domenica.
“Israele non permetterà a Hezbollah di ricostruire il suo potere”, ha sottolineato. “Mi aspetto che il governo libanese rispetti il suo impegno a disarmare Hezbollah”.

Non completamente disarmato

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Soccorritori cercano sopravvissuti sul luogo di un attacco aereo israeliano contro un edificio residenziale nella periferia sud di Beirut, il 23 novembre 2025

Israele bombarda obiettivi di Hezbollah dal cessate il fuoco concluso nel novembre 2024, con l'obiettivo di porre fine alle minacce imminenti che potrebbero incombere sullo Stato ebraico e di ridurre ulteriormente le scorte di armi del gruppo.
Secondo i termini dell'accordo di cessate il fuoco firmato nel 2024 – a seguito dei combattimenti scoppiati l'8 ottobre 2023, ostilità che un anno dopo si erano trasformate in una guerra totale – Hezbollah è obbligato a lasciare il sud del Libano. Deve essere sostituito dall'esercito libanese.
“Le forze militari e di sicurezza ufficiali del Libano, le loro infrastrutture e i loro armamenti saranno gli unici gruppi armati, con le loro armi e il loro materiale correlato, a essere di stanza nel settore a sud del Litani”, precisa l'accordo di cessate il fuoco.
Israele ha anche ricevuto una “lettera di accompagnamento” che contiene garanzie da parte degli Stati Uniti. In questa lettera, Washington afferma e approfondisce il diritto di Israele all'autodifesa di fronte a nuove minacce.
Il presidente filo-occidentale del Libano, Joseph Aoun, è stato sfidato a trovare il modo di disarmare Hezbollah senza spingere troppo nelle sue trincee il potente gruppo terroristico sostenuto dall'Iran, il che potrebbe comportare il rischio di una guerra civile.
Venerdì, Aoun ha affermato che il monopolio dello Stato sulle armi è inevitabile e ha esortato una commissione incaricata di supervisionare il cessate il fuoco tra lo Stato ebraico e Hezbollah a garantire che l'esercito libanese sia l'unica presenza armata di stanza nel sud del Paese.
Ad agosto, il suo governo aveva chiesto alle forze militari di elaborare un piano per eliminare le armi che sfuggono al controllo dello Stato entro la fine dell'anno. A settembre, il loro comandante, Rodolphe Haykal, ha finalmente presentato un piano di disarmo in cinque fasi che prevede, come primo passo, il lancio di un'operazione di tre mesi a sud del fiume Litani, la parte del Paese che costeggia il confine israeliano.
Non è che l'esercito non abbia lavorato a questa missione. È riuscito a sequestrare al gruppo terroristico quasi 10.000 razzi, circa 400 missili e oltre 205.000 frammenti di ordigni inesplosi negli ultimi dodici mesi, secondo il Comando Centrale americano.
L'esercito libanese ha fatto esplodere un numero così elevato di depositi di armi di Hezbollah che ora è a corto di esplosivi, secondo quanto riferito recentemente da fonti dell'agenzia Reuters.
Ma questa campagna non dovrebbe risolvere il problema delle armi di Hezbollah. Le forze armate libanesi hanno condotto operazioni solo a sud del Litani ed è difficile affermare che la campagna proseguirà più a nord, dove sono immagazzinate le armi strategiche di Hezbollah.
Nel mese di novembre, Hezbollah ha inviato una lettera ad Aoun, al primo ministro Nawaf Salaf e al presidente del Parlamento Nabih Berri, in cui denunciava i potenziali negoziati con Israele e affermava che il disarmo a nord del Litani «non era previsto dalla dichiarazione di cessate il fuoco e non può in alcun caso essere accettato o imposto».
Anche nel sud è difficile dire cosa abbia distrutto esattamente l'esercito, che non ha diffuso alcuna immagine né trasmesso alcun rapporto dettagliato sui suoi raid.
Da parte sua, Hezbollah assicura che non deporrà le armi. Il segretario generale del gruppo terroristico, Naim Qassem, ha accusato il governo Aoun di «servire il progetto israeliano» e ha proferito minacce (poco sottili) di guerra civile, una minaccia da prendere sul serio in un Paese che si sta ancora riprendendo dall'ultimo conflitto interno.

Non solo Hezbollah si rifiuta di rinunciare alle sue attuali scorte, ma sembra anche cercare di ricostituire le sue riserve con grande energia.
Hezbollah “sta ricostruendo il suo arsenale e le sue file decimate”, in particolare ricostituendo le sue scorte di razzi, missili anticarro e artiglieria, ha recentemente riportato il Wall Street Journal.

Hezbollah reagirà?

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Il generale Joseph Aoun (a destra), comandante delle forze armate libanesi, con l'inviato speciale americano Amos Hochstein, nei suoi uffici a Yarze, a est di Beirut, il 6 gen 2025

La domanda ora è se l'eliminazione di Tabatabai significhi che Israele sia sull'orlo di una significativa escalation in Libano.
Tutto dipenderà dalla reazione di Hezbollah, in realtà. Il gruppo terroristico si è mostrato sorprendentemente passivo di fronte a un anno di attacchi israeliani, perdendo più di 300 combattenti dalla firma del cessate il fuoco. Hezbollah non ha reagito nemmeno ai devastanti attacchi sferrati da Israele contro i programmi nucleari e balistici iraniani lo scorso giugno.
Considerata la tiepida reazione del gruppo domenica, quando ha dichiarato che avrebbe “coordinato” una risposta con il governo libanese, non sembra che Hezbollah abbia deciso che sia giunto il momento di cambiare strategia.
Ma a un certo punto, la necessità di salvare la faccia costringerà probabilmente la milizia sciita a reagire in un modo o nell'altro.
Israele potrebbe ancora ampliare la sua campagna e lanciare una vasta ondata di bombardamenti se non si dovesse registrare alcun cambiamento nel comportamento del governo libanese. Lo Stato ebraico non deve affrontare minacce dissuasive da parte dell'Iran o di Gaza e sembra godere di una legittimità sufficiente agli occhi del presidente americano Donald Trump per potersi permettere di intraprendere una simile iniziativa.
Il previsto viaggio in Libano del papa Leone XIV la prossima settimana è probabilmente l'unico fattore importante che attualmente trattiene Israele.
Una campagna di bombardamenti che potrebbe causare sofferenze ai civili prima della visita del pontefice sarebbe un disastro in termini di pubbliche relazioni per Israele in Occidente.
Potrebbe anche minare il sostegno a Israele negli ambienti di Trump, che contano un numero significativo di cattolici conservatori nel quadro del suo secondo mandato.
Ma nemmeno il pontefice ha il potere di fermare le dichiarazioni altisonanti che oggi provengono da Gerusalemme.
«Israele è determinato ad agire per raggiungere i suoi obiettivi, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento», ha affermato Netanyahu domenica.
“Continueremo ad agire con forza per prevenire qualsiasi minaccia contro gli abitanti del nord e contro lo Stato di Israele”, ha assicurato il ministro della Difesa, Israel Katz, dopo l'attacco. “Chiunque alzi la mano contro Israele vedrà quella mano mozzata”.
Katz ha aggiunto che lui e Netanyahu sono “determinati a perseguire la politica della massima applicazione in Libano e ovunque altrove”.

(The Times of Israel, 24 novembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 23
  • Non spargere nessuna voce calunniosa e non prestare la mano all'empio nell'attestare il falso.
  • Non andare dietro alla folla per fare il male; e non deporre in giudizio schierandoti dalla parte della maggioranza per pervertire la giustizia. Così pure non favorire il povero nel suo processo.
  • Se incontri il bue del tuo nemico o il suo asino smarrito, non mancare di riportarglielo. Se vedi l'asino di colui che ti odia steso a terra sotto il carico, guardati bene dall'abbandonarlo, ma aiuta il suo padrone a scaricarlo.
  • Non violare il diritto del povero del tuo popolo nel suo processo.
  • Tieniti lontano da ogni parola bugiarda; e non far morire l'innocente e il giusto; perché io non assolverò il malvagio.  Non accettare regali; perché il regalo acceca quelli che ci vedono chiaro, e corrompe le parole dei giusti.
  • Non opprimere lo straniero; voi lo conoscete l'animo dello straniero, perché siete stati stranieri nel paese d'Egitto.
  • Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai i frutti, ma il settimo anno la lascerai riposare e rimanere incolta; i poveri del tuo popolo ne godranno, e le bestie della campagna mangeranno ciò che rimarrà. Lo stesso farai della tua vigna e dei tuoi ulivi.
  • Per sei giorni farai il tuo lavoro; ma il settimo giorno ti riposerai, affinché il tuo bue e il tuo asino possano riposarsi, e il figlio della tua serva e lo straniero possano riprendere fiato.
  • Farete attenzione a tutte le cose che io vi ho detto, e non pronuncerete il nome di dèi stranieri: non lo si oda uscire dalla vostra bocca.
  • Tre volte l'anno mi celebrerai una festa. Osserverai la festa degli azzimi. Per sette giorni mangerai pane senza lievito, come ti ho ordinato, al tempo stabilito del mese di Abib, perché in quel mese tu uscisti dal paese d'Egitto; e nessuno comparirà davanti a me a mani vuote. Osserverai la festa della mietitura, delle primizie del tuo lavoro, di quello che avrai seminato nei campi; e la festa della raccolta, alla fine dell'anno, quando avrai raccolto dai campi i frutti del tuo lavoro. Tre volte l'anno tutti i maschi compariranno davanti al Signore, l'Eterno.
  • Non offrirai il sangue della mia vittima insieme con pane lievitato; e il grasso dei sacrifici della mia festa non sarà serbato durante la notte fino al mattino. Porterai alla casa dell'Eterno tuo Dio, le primizie dei primi frutti della terra.
  • Non farai cuocere il capretto nel latte di sua madre.
  • Ecco, io mando un angelo davanti a te per proteggerti lungo la via, e per introdurti nel luogo che ho preparato. Sii attento in sua presenza, e ubbidisci alla sua voce; non ti ribellare a lui, perché egli non perdonerà le vostre trasgressioni; poiché il mio nome è in lui. 
  • Ma se ubbidisci fedelmente alla sua voce e fai tutto quello che ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici, l'avversario dei tuoi avversari; poiché il mio angelo andrà davanti a te e ti introdurrà nel paese degli Amorei, degli Ittiti, dei Ferezei, dei Cananei, degli Ivvei e dei Gebusei, e li sterminerò. 
  • Tu non ti prostrerai davanti ai loro dèi, e non li servirai. Non farai quello che essi fanno; ma distruggerai interamente quegli dèi e spezzerai le loro colonne. 
  • Servirete l'Eterno vostro Dio, ed egli benedirà il tuo pane e la tua acqua; e io allontanerò la malattia di mezzo a te. 
  • Nel tuo paese non ci sarà donna che abortisca, né donna sterile. Io ti farò giungere al numero completo dei tuoi giorni. 
  • Io manderò davanti a te il mio terrore, e metterò in rotta ogni popolo presso il quale arriverai, e farò voltare le spalle davanti a te a tutti i tuoi nemici. 
  • Manderò davanti a te i calabroni, che scacceranno gli Ivvei, i Cananei e gli Ittiti dal tuo cospetto. Non li scaccerò dal tuo cospetto in un anno, affinché il paese non diventi un deserto, e le bestie dei campi non si moltiplichino contro di te. 
  • Li scaccerò dal tuo cospetto a poco a poco, finché tu cresca di numero e possa prendere possesso del paese. E fisserò i tuoi confini dal Mar Rosso al mare dei Filistei, e dal deserto fino al fiume; poiché io vi darò nelle mani gli abitanti del paese; e tu li caccerai davanti a te. 
  • Non farai nessuna alleanza con loro, né con i loro dèi. Non dovranno abitare nel tuo paese, perché non ti inducano a peccare contro di me: tu serviresti i loro dèi, e questo sarebbe per te un laccio”.

(Notizie su Israele, 24 novembre 2025)


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“Red Alert” e la verità che non vogliamo affrontare

Una serie televisiva brutale ci ricorda una verità più profonda: una delle due parti deve essere sconfitta.

di Ryan Jones

La serie “Red Alert” affronta il trauma del 7 ottobre
GERUSALEMME - In realtà non volevo guardare Red Alert, il nome inglese di una serie israeliana prodotta da Keshet (Or Rishon, in italiano: Alba) e distribuita dalla Paramount sull'invasione di Hamas del 7 ottobre. Ero qui quando è successo. Ho visto il filmato – quasi tutto – grazie al mio lavoro. Ho parlato con i sopravvissuti. Ho visto le testimonianze. Non sono scene che si vorrebbero rivivere nel proprio salotto. Ma sono contento di aver visto la serie. Non perché ho imparato qualcosa di nuovo, ma perché mi ha ricordato che da qualche parte là fuori c'è ancora qualcuno che cerca di dire la verità.
Questo è importante, perché al giorno d'oggi la verità è merce rara. Nel mezzo di un'ondata di odio verso Israele e di interpretazioni revisioniste che rasentano l'aperta negazione del 7 ottobre, Red Alert fa breccia nel rumore. La serie non mostra tutto – nessuno potrebbe farlo – ma mostra abbastanza. Abbastanza per ricordare agli spettatori che non si è trattato di uno scontro tra soldati o di un tragico caso di errore di calcolo. È stato un massacro di civili, una campagna di stupri di massa, incendi dolosi, rapimenti e decapitazioni. E la serie fa qualcosa che pochi osano fare: dà alle vittime nomi, volti, relazioni.
Ancora più coraggiosamente, Red Alert mostra qualcosa che gli israeliani sanno da tempo, ma che il mondo ha preferito ignorare: non è stata solo Hamas. Molti degli assassini, saccheggiatori e stupratori erano civili di Gaza. Palestinesi normali, senza uniforme, non presenti in nessuna lista di terroristi. Hanno visto un'opportunità e l'hanno sfruttata. Hanno attraversato il confine con cacciaviti, mannaie, coltelli da cucina. Hanno rubato, profanato, abusato.
Questo punto è importante. Perché spiega perché molti israeliani oggi provano solo una compassione moderata per Gaza. È qualcosa che in realtà non si dovrebbe dire ad alta voce, ma io lo faccio: per la maggior parte degli israeliani, Gaza sta subendo le conseguenze delle proprie azioni. L'amarezza, il disprezzo – non hanno nulla a che vedere con la vendetta. Si tratta di causa ed effetto. Il 7 ottobre non è stato un attacco terroristico isolato compiuto da pochi ribelli. È stata Gaza. Gaza si è trasformata in una piattaforma di lancio per una delle peggiori atrocità della storia ebraica dopo l'Olocausto. E ora Gaza sta raccogliendo la tempesta.
Naturalmente i palestinesi dicono lo stesso di noi. Che Israele ha avuto ciò che si meritava. Che il massacro è il prezzo da pagare per l'“occupazione”, l'‘apartheid’, i peccati storici. Si sbagliano. Ma è inutile cercare di convincerli del contrario. Il loro pensiero è stato plasmato – indottrinato – fin dalla nascita, vedendo gli israeliani come criminali, mostri, stranieri nella “loro terra”.
E qui falliscono anche i migliori piani diplomatici, compreso l'approccio “pace attraverso la forza” di Trump. Perché il conflitto non riguarda gli insediamenti o i confini. Non riguarda i posti di blocco o i dazi doganali. Riguarda due visioni del mondo che non possono coesistere. Due narrazioni incompatibili tra loro.
La diplomazia moderna si aggrappa all'illusione che posizioni inconciliabili possano essere gestibili. Che con sufficienti compromessi e buona volontà si possa dare a tutti una qualche versione di ciò che vogliono. Ma la verità è più semplice e molto più brutale: posizioni inconciliabili coesistono solo fino a quando la parte più forte non sconfigge quella più debole.
I palestinesi sono cresciuti con un mito: che gli ebrei abbiano rubato loro la terra, che gli ebrei siano occupanti crudeli senza alcun diritto di stare qui. Gli israeliani, dal canto loro, hanno una convinzione profondamente radicata: che questa terra sia sempre appartenuta a loro, donata da Dio, dimostrata dalla storia e riconquistata con il sangue. Non sono due facce della stessa medaglia. Sono assoluti contrapposti. E se una delle due parti non viene spezzata – rieducata, sconfitta militarmente o culturalmente – il ciclo di violenza continuerà.
I musulmani lo hanno già capito. E dopo il 7 ottobre anche gli israeliani stanno cominciando a capirlo.
Israele non ha cercato questa guerra. Ma Israele deve porvi fine – e non con un altro cessate il fuoco, né con un'altra risoluzione dell'ONU. Israele deve porvi fine con una vittoria. Perché tutto il resto non fa che rimandare il prossimo massacro.

(Israel Heute, 24 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele elimina il “numero due” di Hezbollah

Svolta a Beirut e messaggio a tutta la regione

di Samuel Capelluto

L’aviazione israeliana ha eliminato a Beirut il capo di stato maggiore di Hezbollah, Haitham Ali Tabatabai, considerato il numero due dell’organizzazione e capo dell’ala militare. L’operazione, denominata “Black Friday”, è la prima condotta nel cuore del quartiere Dahiya da cinque mesi ed è stata autorizzata dopo l’arrivo di “intelligence immediata” che indicava la presenza del dirigente nella sua casa-rifugio.
L’attacco ha colpito i piani alti di un edificio e poche ore dopo, Israele ha confermato l’eliminazione pubblicando le immagini dell’operazione. Anche Hezbollah ne ha riconosciuto la morte, definendola “aggressione traditrice”, ma senza annunciare una ritorsione immediata. A Gerusalemme si preparano comunque a ogni possibilità.
Tabatabai era classificato dagli Stati Uniti come terrorista internazionale dal 2016, con una taglia di 5 milioni di dollari. Aveva comandato forze speciali del movimento in Siria e Yemen, ed era tornato in Libano assumendo il ruolo di capo della struttura militare dopo le eliminazioni di diversi comandanti del gruppo. Con la sua esperienza, era diventato l’architetto principale del tentativo di ricostruire le capacità operative di Hezbollah, violando gli accordi con Israele e rafforzando il dispiegamento nel sud e nella valle della Beqaa.
Per Israele, la sua eliminazione rappresenta un colpo strategico in un momento in cui l’esercito applica un nuovo principio di sicurezza: impedire anche preventivamente la crescita di minacce reali alle comunità del nord, le più esposte al fuoco di Hezbollah. Una linea nata direttamente dalle lezioni del 7 ottobre.
Il governo libanese e diversi rappresentanti politici hanno condannato l’azione, parlando di “linea rossa” superata e accusando Israele di voler far deragliare sforzi diplomatici. Hezbollah prova a presentare l’attacco come un’aggressione all’intero Libano, nel tentativo di ottenere un sostegno interno più ampio.
Dietro le quinte, la dinamica con Washington gioca un ruolo significativo. Secondo fonti israeliane, gli Stati Uniti erano a conoscenza dell’intenzione di intensificare la pressione su Hezbollah, e l’operazione non avrebbe incontrato opposizioni, segno di una convergenza di interessi: indebolire progressivamente l’influenza iraniana in Libano e spingere Beirut verso negoziati diretti con Israele. Il presidente Trump avrebbe addirittura posto un ultimatum al governo libanese per lo smantellamento dell’arsenale di Hezbollah entro la fine dell’anno, collegando il futuro sostegno economico americano al progresso politico e alla riduzione del potere del movimento sciita.
Dal punto di vista operativo, l’eliminazione di Tabatabai è parte di una strategia più ampia. Ogni colpo alla catena di comando provoca – come mostrano gli ultimi due anni – una paralisi temporanea delle capacità militari del gruppo. È un messaggio chiaro: Israele non accetterà un ritorno alla realtà precedente alla guerra e continuerà a colpire chiunque cerchi di ricostruire minacce ai suoi confini.

(Shalom, 24 novembre 2025)

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Hezbollah non rispetta i patti, ma la colpa è di Israele

di Sarah G. Frankl

Allarmi, Israele è tornato a bombardare dalle parti di Beirut. Ha ucciso il numero due di Hezbollah e tutti i media di tutto il mondo, come fossero una voce univoca, lanciano preoccupati segnali di pericolo che Gerusalemme possa riprendere la guerra contro il Partito di Dio armato e finanziato dall’Iran.
L’allarme è che Israele possa riprendere la guerra, non che Hezbollah non ha mai rispettato quanto deciso in sede di cessate il fuoco. L’allarme è che Israele bombarda postazioni di Hezbollah dove si nascondono armi e si pianificano attacchi, non che il Partito di Dio rifiuta di disarmarsi come convenuto nel cessate il fuoco. L’allarme sono gli attacchi israeliani su postazioni di Hezbollah a sud del fiume Litani, non che quelle postazioni non ci dovrebbero essere.
La settimana scorsa sono stata a trovare alcuni parenti nel nord di Israele e siamo andati a vedere la situazione nel kibbutz di Ya’ara. In queste zone la tensione è calata pochissimo rispetto al periodo della guerra. In molti kibbutz di confine la gente è rientrata ma la sicurezza è “pesante”.
Non c’è solo Hezbollah a mettere paura, ci sono anche i palestinesi provenienti dai campi di Rashidieh o da Burj al-Shamali, ambedue vicini a Tiro, dove non ci sono più i controlli che impedivano ai palestinesi di andare in giro per il sud del Libano. Anzi, adesso li invitano a uscire e, se tante volte volessero, a tentare di entrare in qualche kibbutz per innescare il terrore.
Uno dei motivi per i quali Israele mantiene la sua presenza in diversi punti del sud del Libano è proprio per ridurre il rischio che Hezbollah oppure i palestinesi legati ad Hamas o alla Jihad Islamica, possano compiere attacchi contro i kibbutz di confine appena ripopolati.
Però per stampa e consesso mondiale è Israele che non rispetta i patti, è Israele che mantiene i suoi militari a protezione dei civili e non dovrebbe farlo perché è brutto impedire ai terroristi di uccidere ebrei. Non è di tendenza.
Ieri l’IDF ha ucciso il capo di stato maggiore di Hezbollah, Haytham Ali Tabatabai, lo ha fatto con un attacco aereo mirato nella periferia meridionale della capitale libanese, Beirut. Subito le cornacchie hanno iniziato a strepitare: “escalation”, “Israele cattivo”, “free Palestine” che non c’entra niente con Beirut ma fa tendenza. Peccato che il buon samaritano Tabatabai stava riorganizzando Hezbollah, riarmandolo in maniera massiccia proprio sotto gli occhi dei libanesi che invece dovrebbero impedirlo, anzi, dovrebbero disarmare completamente il gruppo terrorista sciita. Ma indovinate di chi è la colpa? Chi sarà il cattivo?

(Rights Reporter, 24 novembre 2025)

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Contrasto al bullismo, le parole della tradizione e degli esperti

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«Chi umilia il prossimo in pubblico è come se versasse sangue». Lo insegna il Talmud e a queste parole ha fatto riferimento il rav Roberto Della Rocca, direttore dell’area Cultura e Formazione Ucei, nel corso dell’evento “Insieme contro il bullismo” organizzato a Roma dall’Unione per proporre strategie condivise. L’ebraismo italiano «non è immune dal flagello del bullismo», ha affermato in apertura di incontro la presidente Ucei Noemi Di Segni. L’obiettivo in questo senso è arrivare alla costituzione di un tavolo di lavoro e di un osservatorio nazionale di prevenzione, hanno annunciato i due assessori Ucei competenti: Livia Ottolenghi (scuole) e Simone Mortara (giovani). Lo psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista Fabrizio Rocchetto e il sociologo Eddy Jamous hanno poi testimoniato la loro esperienza sul campo, mentre Della Rocca ha attinto alle fonti tradizionali ebraiche, soffermandosi sui concetti di Ona’at devarim (il ferire con le parole), Sin’at Chinam (l’odio gratuito) e Kavod ha beriot (la dignità delle creature). Secondo la tradizione ebraica, «Dio si pone come testimone invisibile delle ferite morali» ed è questa la radice biblica del divieto rabbinico di bullismo verbale. Tema ripreso poi nei secoli tra gli altri da Maimonide, «che condanna ogni forma di derisione o presa in giro di chi è debole, povero o diverso». Come stimolo ulteriore di riflessione, il rav ha affrontato la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli. «Dal midrash all’esegesi moderna», ha osservato al riguardo, «emerge un punto comune: l’odio dei fratelli ha più cause, come favoritismo, comunicazione (o spionaggio), percezione di minaccia, sogni che preannunciano dominio e non va per questo ridotta a semplice gelosia».
  «Abbiamo voluto ascoltare alcuni segnali di allarme: non cogliere tali segnali rischia di creare problemi destinati a trascinarsi per anni», ha dichiarato Ottolenghi. L’intento è «lavorare come una comunità educativa allargata che includa le scuole, i movimenti giovanili, i rabbini», ha sottolineato Mortara. «Non dobbiamo chiudere gli occhi e dobbiamo provare a dare una risposta». La parola è poi passata agli esperti. Specializzatosi sulle dipendenze, sul rapporto tra imitazione e comportamenti distruttivi e sulla presenza di manifestazioni di “accidia” nell’adolescenza, Rocchetto ha classificato le diverse forme di bullismo, aprendo il suo ragionamento con quella che ha definito «la fisiologica crudeltà» giovanile. Jamous, fondatore di Kids International, il primo istituto europeo dedicato alla ricerca socioculturale su bambini e ragazzi, ha invitato gli adulti a «calarsi umilmente» nella realtà dei giovani, a sforzarsi di capire il contesto in cui si muovono, i loro pensieri e sentimenti. D’altronde, «come possiamo avvicinarci se abbiamo dei pregiudizi sulla loro musica, su quello che postano, sui loro linguaggi o sulle loro relazioni?».

(moked, 24 novembre 2025)

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Perché Dio ha creato il mondo? - 19

Un approccio olistico alla rivelazione biblica.

di Marcello Cicchese

In cammino

    “I figli d'Israele partirono da Ramses per Succot, in numero di circa seicentomila uomini, a piedi, senza contare i fanciulli” (Esodo 12:37).

Per oltre quattrocento anni i figli d’Israele sono vissuti in Egitto come schiavi, e dopo molte peripezie hanno ottenuto dal Faraone la possibilità, anzi l’ordine, di partire. Ora sono in marcia. Mosè ha comunicato loro una solenne promessa di Dio:

    Vi prenderò per mio popolo, e sarò vostro Dio; e voi conoscerete che io sono l'Eterno, il vostro Dio, che vi sottrae ai duri lavori che vi impongono gli Egiziani. E vi introdurrò nel paese che giurai di dare ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe; e ve lo darò come possesso ereditario: io sono l'Eterno'” (Esodo 6:7-8).

Hanno avuto qualche difficoltà a credere fino in fondo a queste parole, ma alla fine sono partiti.
  Quella che si è messa in movimento è una massa enorme di “uomini, a piedi, senza contare i fanciulli” che, oltre al fatto di essere figli d’Israele, non ha altro elemento identitario che la chiamata di Dio pervenuta loro attraverso Mosè. Dio ha rotto i legami che li tenevano schiavi agli egiziani, non perché potessero godersi la loro libertà nel deserto, ma perché andassero ad occupare, come popolo di Dio, la terra che Egli aveva promessa ai patriarchi Abraamo, Isacco e Giacobbe.
  Per questo il Signore si preoccupa subito di far conoscere loro alcune precise istruzioni da osservare nella terra promessa:

    “Quando l'Eterno ti avrà fatto entrare nel paese dei Cananei, come giurò a te e ai tuoi padri, e te lo avrà dato, consacra all'Eterno ogni fanciullo primogenito e ogni primo parto del bestiame che ti appartiene: i maschi saranno dell'Eterno” (Esodo 13:11-12).

E ordina anche di far sì che i loro figli ricordino sempre quello che era avvenuto “in quella notte”, quando il Signore li fece uscire dall’Egitto (Esodo 13:8,14).
  L’enorme carovana ora in marcia ha una guida eccezionale:

    “E gli israeliti, partiti da Succot, si accamparono a Etam, all'estremità del deserto. L'Eterno andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli per il loro cammino; e di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero camminare giorno e notte. La colonna di nuvola non si ritirava mai dal cospetto del popolo di giorno, né la colonna di fuoco di notte” (Esodo 13:20-22).

Da qui si vede che l’Eterno non si limita a dare istruzioni di viaggio dall’alto, ma si coinvolge “di persona”: la colonna di nuvola di giorno e di fuoco di notte segnala infatti la presenza di Dio, e non solo la sua generica assistenza.
  Quanto all’itinerario da seguire per arrivare in Canaan, il Signore ha idee chiare:

    “Quando il Faraone lasciò andare il popolo, Iddio non lo condusse per la via del paese dei Filistei, perché troppo vicina; poiché Iddio disse: “Bisogna evitare che il popolo, di fronte a una guerra, si penta e torni in Egitto'; ma Iddio fece fare al popolo un giro, per la via del deserto, verso il Mar Rosso” (Esodo 13:17-18).

Il viaggio dunque sarà più lungo dello stretto necessario, perché quella massa confusa di uomini, donne. bambini e animali che è stata fatta uscire dall’Egitto dovrà imparare una cosa nuova: essere il popolo di Dio.
  Nella sua veste di guida e istruttore, poco dopo l’inizio del viaggio il Signore ordina a Mosè di fare dietrofront:

    “Di' ai figli d'Israele che tornino indietro e si accampino di fronte a Pi-Achirot, fra Migdol e il mare, di fronte a Baal-Sefon; accampatevi davanti a quel luogo presso il mare“ (Esodo 14:2).

L’ordine è strano, perché per allungare il percorso e farli andare verso il deserto del Sinai non era necessario farli accampare a ovest del mar Rosso, perché dal punto dove arriveranno, se si vuole lasciare l’Egitto e andare in Arabia bisogna attraversare il mar Rosso, cosa evidentemente impossibile a quella carovana.
  Sembra dunque che si siano infilati in un vicolo cieco. Il Faraone viene informato della cosa, e pensando che abbiano sbagliato strada, si pente di averli lasciati andare e lancia il suo esercito ad inseguirli. Gli ebrei si trovano allora nella scomoda posizione di avere davanti a loro l’insuperabile mare e dietro di loro il minaccioso esercito egiziano pronto a colpirli: “allora ebbero grande paura, e gridarono all'Eterno” (Esodo 14:10).
  Gridano a Dio, ma invece di aspettare la sua risposta passano subito a prendersela con Mosè:

    ”…e dissero a Mosè: «Mancavano forse tombe in Egitto, per portarci a morire nel deserto?» Che cosa hai fatto, facendoci uscire dall'Egitto? Non è forse questo che ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare, che serviamo gli egiziani? Poiché meglio era per noi servire gli egiziani che morire nel deserto" (Esodo 14:11-12).

Sono appena partiti, e già rimpiangono la schiavitù d’Egitto. Se la pigliano con Mosè, mica con Dio, di cui non hanno mai sentito direttamente la voce. E se si esclude Dio, il loro discorso non fa una piega. “Gli avete messo la spada in mano perché ci uccida”, avevano detto a Mosè e Aaronne i sorveglianti dei lavori dopo il clamoroso fallimento del loro primo incontro con il Faraone (Esodo 5:19-21). E adesso, con l’ironico riferimento alla mancanza di tombe in Egitto chiedono a Mosè se voleva che il Faraone li uccidesse fuori del paese, perché forse in Egitto sarebbe stato difficile trovare dove seppellirli tutti. Se non fosse sarcasmo, potrebbe essere il tremendo sospetto che Mosè operi al servizio del Faraone nel suo progetto di sterminio degli ebrei. Alla luce della storia, l’ipotesi non è irrealistica: il deserto avrebbe potuto essere il luogo adatto per smaltire i cadaveri prodotti dalla “soluzione finale” egiziana.
  In ogni caso, è ragionevole pensare che in certi momenti, o in certi parti del popolo, qualcuno ogni tanto abbia posto la seria domanda: ma chi è questo Mosè? chi lo conosce? da dove viene? che cosa vuole? e perché? Mosè non proveniva dal popolo, era stato allevato alla corte del Faraone, e non si può certo pensare che tutti conoscessero bene la sua origine come adesso la conosciamo noi. Quindi in seguito non saranno soltanto le sue decisioni ad essere contestate, ma sarà la sua stessa figura ad essere messa in discussione. Come sempre accade ad ogni autentico servitore di Dio.

Obiettivi intermedi
  Dio invece manda avanti il suo programma, che a questo punto prevede il raggiungimento di due obiettivi a breve termine: prendere gloria dagli egiziani e istruire gli ebrei.
  Primo obiettivo - Il Faraone, che nella contesa con Mosè alla fine si era dichiarato sconfitto e aveva deciso di lasciar partire gli ebrei, nell’ostacolo di viaggio del popolo vede forse un’incapacità d’azione di quel Dio di cui Mosè gli aveva parlato, e quindi un’opportunità per lui. Decide allora di sferrare il suo ultimo colpo: si riprenderà con la forza i suoi schiavi ebrei. Per lui il problema è sempre lo stesso: è una questione di potere. Si deve vedere chi è che comanda.
  Ma contro Dio non si può vincere, né con la forza né con l’astuzia. Non era per benevolenza che il Faraone aveva lasciato partire gli ebrei, ma perché “forzato da una mano potente” (Esodo 6:19). Ma anche se forzato, era stata pur sempre una sua decisione, un atto della sua volontà di cui forse a cose fatte avrebbe anche potuto vantarsi. Ma non era così. Il Signore conosce l’animo del Faraone, e decide di farlo venire alla luce. Gli tende una trappola. Dopo aver dato a Mosè l’ordine di far invertire la direzione di viaggio alla carovana , gliene spiega il motivo:

    Il Faraone dirà dei figli d'Israele: 'Si sono smarriti nel paese; il deserto li tiene rinchiusi'. E io indurirò il cuore del Faraone, ed egli li inseguirà; ma io trarrò gloria dal Faraone e da tutto il suo esercito, e gli egiziani sapranno che io sono l'Eterno”. Ed essi fecero così (Esodo 14:3-4).

Gli egiziani avevano mosso guerra a Dio, e da una guerra chi trae gloria è il vincitore. A Dio dunque va la gloria; agli egiziani resta invece la possibilità di aumentare la loro conoscenza, perché dopo la batosta presa sapranno meglio chi è l’Eterno, e quali sono le sue possibilità.
  Secondo obiettivo - “Chi parte sa quello che lascia, ma non sa quello che trova”, dice un’antica massima. Per secoli gli ebrei erano vissuti in Egitto, ed è umano pensare che le asprezze della vita nel deserto avrebbero presto fatto nascere in loro la nostalgia del passato e la voglia di tornare indietro. Ma ora, con quel minaccioso esercito egiziano che marcia contro di loro, cade ogni speranza di poter tornare a quel passato. In Egitto ormai troverebbero soltanto la morte. Anzi, è proprio da quella parte che arriva ora la morte. Tra gli ebrei e l’Egitto ormai non c’è solo distanza: c’è rottura. Indietro non si torna. È questo che gli ebrei usciti dall’Egitto hanno bisogno di imparare: devono capire che d’ora in poi la loro permanenza in vita come popolo dipende unicamente dall’Eterno.
  I cavalieri egiziani si avvicinano minacciosamente, e senza saperlo spingono gli ebrei ad avvicinarsi a Dio, a cui lanciano il loro grido di paura. E Dio si fa trovare,

    “Mosè disse al popolo: ‘Non temete, state fermi, e vedrete la liberazione che l'Eterno compirà oggi per voi; poiché gli Egiziani che avete visti quest'oggi, non li vedrete mai più. L'Eterno combatterà per voi, e voi ve ne starete tranquilli’ (Esodo 14:13-14).

Perché “liberazione”? Non erano già stati liberati? Sì, ma solo in parte. Ora stanno per essere liberati dal rapporto attrazione-paura che li tiene ancora legati agli egiziani. È questo il senso da dare a quel “non li vedrete mai più”: cioè non guarderete più a loro per averne paura o subire attrazione, ma guarderete con fiduciosa tranquillità all’Eterno che combatte per voi.
  Il passaggio all’asciutto tra le acque del mar Rosso ha un doppio significato di rottura. Per gli egiziani significa che è finito il tempo in cui con la forza potevano tenere gli ebrei in posizione di schiavitù: ora è entrato in gioco l’Eterno, e loro sono costretti a gridare: “Fuggiamo davanti a Israele, perché l'Eterno combatte per loro contro gli egiziani” (Esodo 14:25).
  Per gli ebrei invece è finita la possibilità di ritornare in Egitto: le acque che si sono aperte per lasciarli uscire si sono anche richiuse per impedire loro di rientrare. La rottura tra Egitto e Israele ora è completa, definitiva.
  Abbiamo più volte paragonato la nascita di Israele come figlio di Dio ai vari momenti di un parto: il concepimento avviene nel periodo dei patriarchi; la gravidanza si svolge in forma embrionale nel grembo dell’Egitto; le dieci piaghe sono spinte di travaglio che si susseguono fino alla spinta finale che provoca l’espulsione del corpo ebraico dal corpo egiziano, accompagnata da una perdita di sangue della partoriente rappresentata dal sangue dei primogeniti uccisi. Proseguendo in questa immagine, la strage dei cavalieri egiziani che permette il definitivo allontanamento di Israele dall’Egitto può essere paragonata al momento conclusivo di un parto: il taglio del cordone ombelicale.
  Dopo aver camminato a piedi tra le acque del mar Rosso, e aver visto gli egiziani morti sul lido del mare, qualcosa di veramente nuovo è avvenuto nell’animo del popolo:

    “Israele vide la grande potenza che l'Eterno aveva dispiegata contro gli egiziani; così il popolo temette l'Eterno e credette nell'Eterno e in Mosè suo servo” (Esodo 14:31).

È fatta! “Gli egiziani che avete visti quest'oggi, non li vedrete mai più, aveva detto il Signore per bocca di Mosè. E ora gli ebrei cominciano a capirlo.
  L’Egitto non c’è più. Neppure come ombra. Neppure come memoria. Perché se ricordo ci deve essere, sarà il ricordo di quella notte, quando Israele fu tratto fuori dall’Eterno con mano potente.
  E per la prima volta Mosè e i figli d’Israele cantano insieme un cantico all’Eterno:

    ‘Io canterò all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere. L'Eterno è la mia forza e l'oggetto del mio cantico; egli è stato la mia salvezza. Questo è il mio Dio, io lo glorificherò; è l'Iddio di mio padre, io lo esalterò. L'Eterno è un guerriero, il suo nome è l'Eterno. Egli ha gettato in mare i carri del Faraone e il suo esercito, e i migliori suoi condottieri sono stati sommersi nel Mar Rosso. Gli abissi li coprono; sono andati a fondo come una pietra (Esodo 15:1-3 e seg.).

D’ora in poi, quando i figli d’Israele ripenseranno all’Egitto, sarà solo per ricordare quella notte, e mantenere vive nel pensiero le parole di quell’inno trionfale che insieme a Mosè hanno cantato all’inizio della loro storia come popolo di Dio.

(19. continua)
precedenti 

(Notizie su Israele, 23 novembre 2025)


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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 22
    Leggi relative alla proprietà e ai costumi
  • Se uno ruba un bue o una pecora e li ammazza o li vende, restituirà cinque buoi per il bue e quattro pecore per la pecora. Se il ladro, colto nell'atto di fare una violazione, è percosso e muore, non c'è delitto di omicidio. Se il sole era sorto quando è avvenuto il fatto, ci sarà delitto di omicidio. Il ladro dovrà risarcire il danno; se non ha di che risarcirlo, sarà venduto per ciò che ha rubato. Se il furto, bue o asino o pecora che sia, è trovato vivo nelle mani, restituirà il doppio.
  • Se uno arrecherà dei danni a un campo o a una vigna, lasciando andare le sue bestie a pascolare nel campo altrui, risarcirà il danno con il meglio del suo campo e con il meglio della sua vigna. Se divampa un fuoco e si attacca alle spine così che ne sia distrutto il grano in covoni o il grano in piedi o il campo, chi avrà acceso il fuoco dovrà risarcire il danno.
  • Se uno affida al suo vicino del denaro o degli oggetti da custodire, e questi sono rubati dalla casa di quest'ultimo, se il ladro si trova, restituirà il doppio. Se il ladro non si trova, il padrone della casa comparirà davanti a Dio per giurare che non si è appropriato della roba del suo vicino.
  • In ogni caso di delitto, sia che si tratti di un bue o di un asino o di una pecora o di un vestito o di qualunque oggetto perduto del quale uno dica: 'È questo qui!', la causa di entrambe le parti verrà davanti a Dio; colui che Dio condannerà, restituirà il doppio al suo prossimo.
  • Se uno dà in custodia al suo vicino un asino o un bue o una pecora o qualunque altra bestia, ed essa muore o resta storpiata o è portata via senza che ci siano testimoni, interverrà fra le due parti il giuramento dell'Eterno per sapere se colui che aveva la bestia in custodia non si è appropriato della roba del suo vicino. Il padrone della bestia si accontenterà del giuramento, e l'altro non sarà tenuto al risarcimento dei danni. Ma se la bestia gli è stata rubata, egli dovrà risarcire del danno il padrone. Se la bestia è stata sbranata, la porterà come prova, e non sarà tenuto a risarcimento per la bestia sbranata.
  • Se uno prende in prestito dal suo vicino una bestia, e questa resta storpiata o muore quando è assente il padrone di essa, egli dovrà risarcire il danno. Ma se il padrone è presente, non è tenuto a risarcire i danni; se la bestia è stata presa a nolo, essa è compresa nel prezzo del nolo.
  • Se uno seduce una fanciulla non ancora fidanzata e si unisce a lei, dovrà pagare la sua dote e prenderla per moglie. Ma se il padre di lei rifiuta assolutamente di dargliela, paghi la somma che si usa dare per le vergini.
  • Non lascerai vivere la strega.
  • Chi si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte.
  • Chi offre sacrifici ad altri dèi, anziché soltanto all'Eterno, sarà sterminato come anatema.
  • Non maltratterai lo straniero e non lo opprimerai; perché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto.
  • Non affliggerete nessuna vedova, né nessun orfano. Se in qualche modo li affliggi, ed essi gridano a me, io udrò senza dubbio il loro grido; la mia ira si accenderà, e io vi ucciderò con la spada; e le vostre mogli saranno vedove, e i vostri figli orfani.
  • Se tu presti del denaro a qualcuno del mio popolo, al povero che è con te, non lo tratterai da usuraio; non gli imporrai interesse. Se prendi in pegno il vestito del tuo prossimo, glielo restituirai prima che tramonti il sole; perché è l'unica sua coperta, è la veste con cui si avvolge il corpo. Su che cosa dormirebbe? E se avverrà che egli gridi a me, io l'ascolterò; perché sono misericordioso.
  • Non bestemmierai contro Dio, e non maledirai il principe del tuo popolo.
  • Non indugerai a offrirmi il tributo dell'abbondanza delle tue raccolte e di ciò che cola dai tuoi frantoi. Mi darai il primogenito dei tuoi figli. Lo stesso farai del tuo bestiame grosso e minuto: il loro primo parto rimarrà sette giorni presso la madre; l'ottavo giorno, me lo darai.
  • Voi sarete per me degli uomini santi; non mangerete carne di bestia trovata sbranata nei campi; gettatela ai cani.

(Notizie su Israele, 21 novembre 2025)


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Nella base di Kiryat Gat, dove si studia il futuro della “Gaza verde”

di Sharon Nizza

Kiryat Gat. Posizionata strategicamente a metà strada fra Tel Aviv e la Striscia di Gaza, nata negli anni ‘50 come una “cittadina di sviluppo” per popolare le periferie israeliane, abitata principalmente da classe lavoratrice di immigrati da Marocco, Etiopia ed ex Unione sovietica, nell’ultimo mese l’anonima cittadina di Kiryat Gat si è trasformata nel crocevia della geopolitica mediorientale. E’ qui che il Centcom, il Comando centrale dell’esercito statunitense (con competenza sul medio oriente, e sotto la cui egida è stato posto Israele nella precedente Amministrazione Trump, spostandolo dal Comando Europa), ha stabilito, il 17 ottobre scorso, il Centro di Coordinamento civile-militare (Cmcc), per monitorare l’implementazione della tregua a Gaza e l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. Accolto da un militare americano, il Foglio ha visitato il Centro, collocato in un grande magazzino dismesso nell’area industriale della città. Il soldato a stelle e strisce si scusa per il rumore, ma i lavori sono in corso per rendere la struttura adatta a ospitare gli oltre seicento funzionari arrivati da quaranta paesi. Ventuno di questi (tra cui Inghilterra, Spagna, Francia, Australia, Italia, Germania, Canada, Emirati, Giordania) sono presenti con delegazioni militari, mentre gli altri sono rappresentati da delegazioni di cooperazione internazionale e ong. Ci sono anche la Croce Rossa e l’Onu, ma non nella forma dell’Unrwa, L’Agenzia delle Nazioni Unite per i palestinesi è stata estromessa. “E’ diventata una sussidiaria di Hamas”, ha detto il mese scorso il segretario di stato Marco Rubio visitando il Cmcc.
  Mentre ci apprestiamo a iniziare la visita, le auto nei parcheggi riservati confermano che si trovano in loco anche il generale Patrick Frank e Steven Fagin, fino all’altro ieri ambasciatore in Yemen, responsabili rispettivamente della parte militare e civile delle operazioni per gli Stati Uniti. E’ parcheggiata anche l’auto del generale Yaki Dolf, l’omologo israeliano di Frank, e quella dei vertici del Cogat, l’ente che coordina le attività civili dell’esercito nei Territori palestinesi. Una settimana fa, ci racconta una fonte, è avvenuto un “passaggio di consegne formale dal Cogat al Cmcc”, ma de facto sono ancora principalmente gli israeliani a gestire le operazioni sul campo. Sempre dal parcheggio capiamo che si trova qui anche il Generale di Brigata Sergio Cardea – un passato in servizio, tra gli altri, in ex Jugoslavia, Kosovo e Afghanistan – come responsabile della delegazione militare italiana, che vede ancora un’esigua presenza, destinata a crescere secondo le fonti. La gestione civile è stata invece affidata all’ambasciatore Bruno Archi, inviato speciale dell’Italia per la ricostruzione di Gaza, che pure ha già inviato dei funzionari. La maggior parte dei soldati, duecento, è attualmente americana (cosa che sta facendo fibrillare l’app di conoscenze online Tinder, come ci racconta una ragazza di qui, entusiasta della nuova linfa vitale nella cittadina sonnolente). Il soldato americano che ci guida spiega che i cambiamenti sono dinamici e repentini e che in questo momento al Cmcc sta diminuendo la componente militare rispetto a quella civile.
  Un’informazione lineare con quanto trapelato nei giorni corsi: gli Stati Uniti stanno cercando di stabilire un’altra base, prettamente militare, sempre in territorio israeliano ma più a ridosso della Striscia di Gaza, per cui l’Amministrazione Trump avrebbe allocato mezzo miliardo di dollari.L’approvazione lunedì al Consiglio di Sicurezza dell’Onu della risoluzione 2803 qui è vista come fondamentale: “Fornisce la cornice legale”. Uno dei punti più critici e sibillini riguarda l’istituzione di una “Forza di stabilizzazione internazionale (Isf) temporanea a Gaza, da schierare sotto un comando unificato, con forze fornite dagli stati partecipanti, in stretta cooperazione con Egitto e Israele” si legge nel testo. L’Isf dovrebbe avere un ruolo nella “demilitarizzazione” della Striscia e gradualmente subentrare all’Idf. Tuttavia, dalle conversazioni con i funzionari al Cmcc, non emerge alcun dettaglio in merito al disarmo di Hamas, previsto dall’implementazione della seconda fase del piano dei 20 punti di Trump, che peraltro è stampato nella sua interezza su enormi cartelli posizionati ovunque nella base, una sorta di tavole della legge presidenziali.Un piano del Cmcc è dedicato unicamente ai militari israeliani, un altro a quelli americani. Il piano di mezzo, dove ci è consentito sbirciare, è quello dove si incontrano tutte le delegazioni in un enorme spazio aperto con postazioni di lavoro improvvisate.
  In questa torre di Babele di lingue e divise, si trova un gigante monitor con la mappa della Striscia di Gaza, dove viene monitorato il flusso dei convogli in entrata (900 nella giornata di ieri) Un alto comandante militare con vasta esperienza in complessi scenari di guerra, sussurra che è un “modello assolutamente nuovo: tutti condividono gli stessi spazi. La collaborazione tra la componente militare e gli operatori civili è inedita”. Qui si parla di modelli per la ricostruzione, di sistema scolastico, diritto di proprietà, costituzione di “comunità sicure alternative”, di rimozione dei detriti e di bombe inesplose. Si affronta anche il tema della formazione delle Forze di polizia palestinesi, coordinata da Egitto e Giordania, in cui l’Italia potrebbe avere un ruolo, considerata l’esperienza dei carabinieri nella missione Eubam al valico di Rafah. Quello che emerge dalle conversazioni è che tutti questi aspetti riguardino solo Gaza est – che nel gergo in uso alla base è la “Gaza verde” – ossia l’area ancora sotto l’Idf. Cosa dovrebbe succedere invece nella “Gaza rossa” – o Gaza ovest, il 47 per cento della Striscia ancora sotto Hamas – non è l’argomento di cui ci si occupa qui, non quantomeno al piano di lavoro congiunto. Un funzionario condivide che si sta cercando di testare un modello: accelerare la ricostruzione della “Gaza verde” per consentire agli sfollati di farvi rientro, con l’idea che ciò possa diventare una leva contro Hamas anche da una prospettiva intrapalestinese, specie considerato che l’Autorità nazionale palestinese ha accettato il piano. Questo avviene in parallelo all’applicazione di un modello di “tregua libanese”, che vede l’Idf colpire nel momento in cui si presenta una minaccia alle proprie truppe, previo coordinamento con gli americani, come accaduto solo mercoledì a Khan Yunis. Un approccio su cui al momento Netanyahu segue Trump, ma criticato in casa, compreso dal suo principale rivale politico oggi, Naftali Bennett, secondo cui “Israele non può essere uno stato vassallo degli Stati Uniti”.

Il Foglio, 21 novembre 2025)

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Disarmo di Hezbollah: l'esercito libanese sotto pressione da parte di Israele e Stati Uniti

Secondo Gerusalemme, Hezbollah possiede ancora “missili a lungo raggio” e conserva “tra il 20 e il 30%” delle sue capacità militari.

L'esercito libanese, incaricato del difficile compito di disarmare il movimento terroristico filo-iraniano Hezbollah, è sottoposto a intense pressioni da parte di Israele e Stati Uniti che hanno portato all'annullamento di una visita del suo capo negli Stati Uniti questa settimana, ha riferito un responsabile militare all'AFP.
Dal cessate il fuoco che un anno fa ha posto fine a una sanguinosa guerra tra Israele e Hezbollah, l'esercito ha consolidato la sua presenza nel sud del Libano, dove ha schierato finora 9.000 militari, secondo questa fonte.
In conformità con l'accordo di cessate il fuoco, devono smantellare la presenza militare di Hezbollah tra il confine con Israele e il fiume Litani, una trentina di chilometri più a nord.
L'esercito ha presentato al governo un piano in cui si impegna a portare a termine questo compito titanico entro la fine dell'anno, prima di procedere per gradi nel resto del territorio libanese.
Ma sebbene abbia già requisito armi e scoperto tunnel, si rifiuta di perquisire le case come richiesto da Israele. Hezbollah è noto per nascondere armi nelle case.
“Rispettiamo la scadenza approvata dal governo e concordata da tutte le parti, compresi gli americani”, sottolinea il responsabile, che ha chiesto di rimanere anonimo data la delicatezza delle informazioni.
«Ma ciò che chiedono, il disarmo in tutto il Libano entro la fine dell'anno, è impossibile», aggiunge, esprimendo il timore che «le pressioni americane e israeliane aprano la strada a un'escalation» da parte di Israele.
Gli Stati Uniti esercitano forti pressioni sul governo libanese affinché il movimento filo-iraniano consegni le sue armi all'esercito, cosa che finora ha rifiutato di fare.
Allo stesso tempo, Israele ha intensificato i suoi attacchi nelle ultime settimane nonostante il cessate il fuoco e continua a occupare cinque punti di frontiera in Libano, mentre secondo l'accordo avrebbe dovuto ritirarsi completamente.
Mercoledì l'esercito israeliano ha nuovamente accusato Hezbollah di ricostruire le proprie capacità militari nella zona di confine e ha condotto una serie di attacchi, affermando di mirare al gruppo, che da parte sua dichiara di rispettare la tregua.
Con circa 80.000 membri, l'esercito libanese, che dipende fortemente dagli aiuti americani, è un pilastro della stabilità in un Paese minato dalle crisi.
Il suo ex comandante in capo, Joseph Aoun, è stato eletto presidente a gennaio con il sostegno della comunità internazionale.
Ma la cancellazione all'ultimo minuto questa settimana di una visita del suo successore, Rodolphe Haykal, negli Stati Uniti, ha rivelato la prima crisi di questa portata tra le due parti.
Il generale Haykal ha rinunciato a recarsi negli Stati Uniti dopo che i suoi incontri con i responsabili politici e militari americani sono stati annullati, spiega la fonte militare.
Tra questi figura l'influente senatore repubblicano Lindsey Graham, che ha criticato aspramente l'esercito su X, rimproverandogli di aver definito Israele, in un recente comunicato, un “nemico” e deplorando “il suo sforzo debole, quasi inesistente, per disarmare Hezbollah”.
Il Libano e Israele sono ancora tecnicamente in stato di guerra. La tregua è sorvegliata da un comitato - che tiene riunioni periodiche - composto da Stati Uniti, Francia, ONU, Libano e Israele.
Secondo il responsabile militare, il comitato esercita pressioni anche sull'esercito libanese, al quale ha chiesto di «effettuare perquisizioni nelle case dei villaggi» del sud, alla ricerca di armi o tunnel scavati sotto le abitazioni da Hezbollah, cosa che l'esercito ha rifiutato di fare.
«Si chiede all'esercito libanese di fare ciò che l'esercito israeliano non è riuscito a fare durante la guerra con i suoi missili, i suoi aerei e la sua tecnologia», protesta il responsabile.
Aggiunge che l'esercito «non dispone delle capacità tecniche né del personale sufficiente per ispezionare una regione così vasta» e che vuole evitare qualsiasi conflitto con la popolazione locale favorevole a Hezbollah.
Il responsabile sottolinea che una conferenza sull'aiuto finanziario promesso all'esercito dai donatori internazionali non si è ancora tenuta.
Interrogato dall'ufficio dell'AFP a Gerusalemme, un responsabile militare israeliano ha affermato che il meccanismo di sorveglianza del cessate il fuoco «funziona, ma non così rapidamente come vorremmo e non nei luoghi che vorremmo».
“Hezbollah si sta ricostruendo (...) Non permetteremo che queste minacce crescano”, ha assicurato.
Secondo lui, Hezbollah possiede ancora “missili a lungo raggio” e conserva “tra il 20 e il 30%” delle sue capacità militari.
“Non si può mai arrivare a zero. Non è possibile (...) Per arrivare a zero, bisognerebbe perquisire casa per casa in tutto il Libano, cosa che ci aspettiamo faccia l'esercito libanese, perché noi non possiamo farlo da soli”, ha aggiunto.

(The Times of Israel, 21 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Firenze – La lettera aperta dei docenti universitari: No al boicottaggio di Israele

Nelle stesse ora la nuova giunta regionale annuncia che riconoscerà la Palestina
«Spero di aver la possibilità di continuare a fare il mio lavoro di didatta e di ricercatore senza il timore di persecuzioni legate alla mia ferma posizione in difesa dell’esistenza dello Stato di Israele e delle collaborazioni accademiche con le università israeliane, che sono tra gli atenei più prestigiosi del mondo».
Professore di Meccanica applicata alle macchine del dipartimento di Ingegneria Industriale, Benedetto Allotta è uno di varie decine di docenti dell’Università degli Studi di Firenze firmatari di una lettera aperta alla rettrice Alessandra Petrucci in cui si esorta l’ateneo non solo «a non boicottare» le università israeliane, ma al contrario a «promuovere attivamente spazi di incontro e confronto con e tra israeliani e arabi che credono nella cooperazione». Il tema è di stretta attualità nel capoluogo toscano, perché il Senato accademico si confronterà a breve sugli accordi in essere a partire da un documento consultivo redatto dal Comitato etico per la ricerca. La discussione avrebbe dovuto tenersi ieri, mercoledì 19 novembre, ma è stata rinviata a dicembre.
Nella lettera aperta i firmatari esprimono «crescente preoccupazione riguardo alle recenti delibere del Senato Accademico e di vari Dipartimenti relative alla mappatura e all’eventuale interruzione delle collaborazioni scientifiche con università, ricercatori e istituzioni israeliane». Al riguardo si ritiene che tali iniziative «rischino di vietare nuove collaborazioni e compromettere quelle esistenti, contraddicendo lo Statuto dell’Università che ne afferma il carattere pluralistico, l’indipendenza e la cooperazione internazionale». Nel documento si fa riferimento in particolare a settori come la chimica, le terapie oncologiche, la chirurgia robotica, l’intelligenza artificiale, oltre ad altri «settori cruciali» nelle scienze umane e nelle scienze sociali, dove le relazioni «non possono e non devono essere interrotte, pena l’indebolimento della ricerca italiana e la compromissione di virtuose sinergie». Si ricorda inoltre che «le università israeliane, comprese quelle arabe, sono esempi di coesistenza dove ebrei, musulmani, cristiani e drusi lavorano fianco a fianco» e quindi «l’idea di favorire la pace in Medio Oriente interrompendo il dialogo con i colleghi israeliani solo per la loro nazionalità è una contraddizione inaccettabile che ostacolerebbe la pace anziché promuoverla e impedirebbe il libero dibattito interno». Dibattito che, si legge ancora, «ultimamente è sempre più minacciato da una minoranza rumorosa».
A Firenze giovedì è stato intanto il giorno dell’insediamento della nuova giunta regionale, presieduta da Eugenio Giani. Il confermato presidente del “campo largo” ha annunciato, quale primo atto formale, di aver avviato l’iter per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Sono state anche assegnate le deleghe. La 23enne livornese Mia Diop Bintou, già designata come vicepresidente della giunta, nota per le sue posizioni propal, ha avuto la delega a Pace e Cooperazione internazionale.

(moked, 20 novembre 2025)

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La vittoria di Trump all'ONU porta a una situazione di stallo a Gaza

Sebbene la creazione di uno Stato palestinese continui a essere irrealizzabile, il piano degli Stati Uniti potrebbe portare a lasciare parte della zona costiera nelle mani di Hamas e non inaugurare un'era di pace.

di Jonathan S. Tobin

Lunedì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ottenuto l'approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha approvato il suo piano in 20 punti per il futuro della Striscia di Gaza. La risoluzione ha confermato l'accordo che ha garantito un cessate il fuoco nella guerra seguita agli attacchi terroristici arabo-palestinesi guidati da Hamas in Israele il 7 ottobre 2023. Poiché Russia e Cina si sono astenute dal voto invece di porre il veto, Trump ha ottenuto l'approvazione dell'organizzazione mondiale, tra l'altro, per la creazione di una forza internazionale di stabilizzazione per il monitoraggio della Striscia di Gaza e di un consiglio di pace per la sua amministrazione.
Il presidente ha celebrato il voto con il suo tipico stile esagerato, dichiarando: “Questo passerà alla storia come uno dei più grandi consensi nella storia delle Nazioni Unite, porterà a una maggiore pace in tutto il mondo ed è un momento di importanza veramente storica”.
Trump è anche soddisfatto delle relazioni più strette che ha instaurato con l'Arabia Saudita. Il leader de facto del regno, il principe ereditario Muhammad bin Salman (noto come MBS), è arrivato a Washington il giorno successivo per incontrare Trump in un colloquio amichevole, durante il quale è stata discussa, tra le altre cose, una grande vendita di armi, e per partecipare poi a un banchetto di gala ufficiale, durante il quale sono stati ufficialmente sepolti i ricordi dell'ostilità dell'amministrazione Biden nei confronti di Riad e della sua famiglia reale.
Tuttavia, l'idea che gli sforzi di Trump per porre fine alla guerra a Gaza porteranno i sauditi ad aderire agli accordi di Abramo e a riconoscere Israele potrebbe essere irrealistica quanto le possibilità che il piano di Trump di trasformare Gaza in un luogo prospero e pacifico abbia successo.

Pensiero magico
  Se il Consiglio di sicurezza avesse respinto il piano, avrebbe messo in imbarazzo la Casa Bianca e minato gli sforzi per mantenere l'accordo di cessate il fuoco e di liberazione degli ostaggi, che si è rivelato un trionfo per la diplomazia americana. Tuttavia, l'idea che questo porterà alla pace lì o altrove non è solo eccessivamente ottimistica. È irrealistica.
La verità è che, nonostante l'ottimismo che proviene da Washington riguardo agli sviluppi a Gaza, è già dolorosamente evidente che il piano di Trump, che ora ha l'approvazione dell'ONU, non raggiungerà le due cose che potrebbero dare una possibilità alla pace: il disarmo di Hamas e la sua rinuncia alle parti della Striscia di Gaza che ancora controlla.
Questo non è ciò che sentiamo dire dal governo.
Il presidente e i membri del suo team di politica estera continuano a insistere sul disarmo di Hamas. Affermano che il piano utopico dell'accordo per la ricostruzione di Gaza, che dipende anche dalla creazione di un servizio pubblico completamente mitico composto da tecnocrati palestinesi apolitici, sarà attuato in un modo o nell'altro.
Potrebbe essere prematuro abbandonare il piano. Dopo tutto, il cessate il fuoco è entrato in vigore solo cinque settimane fa. Gli Stati Uniti sono riusciti a convincere l'Indonesia a inviare truppe a sostegno della forza di Gaza, mentre una serie di altre nazioni, tra cui Azerbaigian, Pakistan, Turchia, Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Arabia Saudita, Malesia, Cipro, Australia, Canada e Francia, hanno manifestato interesse a partecipare in qualche modo o a contribuire al finanziamento del progetto.
Tuttavia, è difficile immaginare che uno di questi paesi sia disposto a fare ciò che è necessario per disarmare Hamas e cacciarlo dalla Striscia di Gaza. Nessuno di questi paesi vuole essere accusato di collaborare con lo Stato ebraico. È anche improbabile che siano disposti ad accettare le inevitabili vittime che comporterebbe lo sradicamento dei terroristi dalle loro roccaforti rimanenti nei tunnel. Pensare diversamente sarebbe un pio desiderio.
E lungi dal prepararsi alla resa, Hamas e i suoi alleati terroristi hanno approfittato delle ultime settimane dalla fine dei combattimenti per trincerarsi ancora più profondamente nelle parti della Striscia di Gaza, compresa la città di Gaza, che continuano a controllare.
E questo è il dilemma fondamentale che tutti coloro che festeggiano con Trump devono riconoscere.
Solo Israele ha la volontà o la capacità di sconfiggere Hamas. Trump a volte parla come se fosse disposto a dare il via libera al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per distruggere l'organizzazione terroristica. Tuttavia, ciò vanificherebbe il cessate il fuoco e cancellerebbe il risultato diplomatico ottenuto da Washington, costringendo tutti i paesi che hanno sostenuto il piano per il Medio Oriente a mettersi al riparo. E tra questi c'è anche il suo buon amico MBS. Nonostante tutte le sue parole dure, le minacce di Trump di garantire la resa di Hamas suonano quindi vuote.
Non è nemmeno certo che la vigorosa promessa di Netanyahu che il suo governo continuerà a impegnarsi per la completa sconfitta di Hamas sia credibile. Un fatto fondamentale dell'attuale dilemma di sicurezza di Israele è che Gerusalemme esiterà a scontrarsi con Trump riprendendo la guerra a Gaza senza il suo esplicito permesso.
Se così fosse, cosa succederà dopo?
Lo scenario più probabile è che la cosiddetta “linea gialla”, che separa la parte della Striscia di Gaza occupata da Israele dopo un parziale ritiro dalla linea del fronte al momento del cessate il fuoco dalla parte attualmente controllata da Hamas, potrebbe diventare parte integrante del vocabolario mediorientale.
Da un lato della linea, come già segnalato da Washington, probabilmente inizierà l'attuazione del piano di ricostruzione sostenuto dagli Stati Uniti. Dall'altro lato, Hamas ripristinerà lo Stato terroristico che esisteva in tutta la Striscia di Gaza prima del 7 ottobre.
La buona notizia è che, rispetto alla situazione precedente all'attacco contro Israele, in questo scenario la capacità di Hamas di mantenere le sue promesse di uccidere gli ebrei – per non parlare di ripetere gli attacchi del 7 ottobre – sarà fortemente limitata.
La cattiva notizia è che questo scenario è ben lontano dal raggiungere uno dei due obiettivi della guerra di Israele dopo il 7 ottobre: l'eliminazione di Hamas. Nella migliore delle ipotesi, darà a Israele solo una posizione leggermente più forte quando Hamas sarà di nuovo abbastanza forte da riprendere i combattimenti.
Non dovremmo nemmeno aspettarci che la situazione nella parte della Striscia di Gaza non controllata da Hamas proceda senza intoppi. I palestinesi sono probabilmente stanchi del prezzo che hanno dovuto pagare per sostenere il continuo impegno di Hamas a distruggere Israele. Ma aspettarsi che i civili normali sostengano con entusiasmo un governo non-Hamas e gli sforzi di ricostruzione degli Stati Uniti è un pio desiderio. Saranno anche sottoposti a forti pressioni affinché sostengano una campagna di guerriglia contro gli israeliani e tutti gli altri che saranno inviati lì per mantenere la pace.

“No” a uno Stato palestinese
  Come altri elementi del piano, ad esempio la riforma non meglio specificata dell'Autorità Palestinese che governa la Giudea e la Samaria come condizione per la sua partecipazione alla ricostruzione della Striscia di Gaza, anche l'idea che i governi arabi e musulmani moderati sacrificheranno sangue o denaro per garantire la fine di Hamas rimane una fantasia.
Questa non è una ricetta per la pace, ma piuttosto per una nuova situazione di stallo tra Israele e gli Stati Uniti da un lato e Hamas dall'altro, che può continuare a contare sul sostegno dell'Iran e dei “nemici” americani Turchia e Qatar.
Questo significa, come temono alcuni israeliani, che prima o poi si svilupperà uno scenario in cui uno Stato arabo-palestinese indipendente a Gaza diventerà finalmente realtà? Probabilmente no.
Sia nel piano in 20 punti firmato da Netanyahu alcune settimane fa, su cui si basa la risoluzione del Consiglio di sicurezza, sia nella risoluzione stessa si parla di un futuro teorico in cui potrebbe essere fondato uno Stato palestinese.
Si afferma che, dopo una riforma non meglio specificata dell'Autorità palestinese e dopo che la Striscia di Gaza sarà stata ricostruita e liberata dai terroristi, “potrebbero finalmente esserci le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la statualità dei palestinesi, che riconosciamo come aspirazione del popolo palestinese”.
Questo sarà interpretato da alcuni come un obbligo giuridicamente vincolante di creare un tale Stato. In effetti, gli israeliani di estrema sinistra e gli ebrei americani – come i leader dell'organizzazione di sinistra J Street – stanno già fantasticando che Trump imporrà uno Stato palestinese a Gaza e poi farà lo stesso in Giudea e Samaria, rafforzando proprio quei gruppi che minacciano Israele, come hanno dichiarato al New York Times.
Nulla di tutto ciò accadrà.

Grandi aspettative
  Accettare che Hamas rimanga in una parte della Striscia di Gaza, come prima del 7 ottobre, potrebbe essere il massimo che i palestinesi possano ottenere in termini di sovranità. Nessun governo israeliano – sia esso guidato da Netanyahu o da uno dei suoi avversari politici – accetterà la creazione di un governo sovrano in una parte della Striscia di Gaza che potrebbe essere in grado di minacciare o attaccare lo Stato ebraico, come ha fatto lo Stato di Hamas il 7 ottobre. E il soddisfacimento delle condizioni per uno Stato palestinese stabilite nel piano Trump è una possibilità così remota da essere più fantascienza che proposta politica.
Come le precedenti generazioni di leader palestinesi, i criminali che guidano Hamas e i loro colleghi corrotti che guidano il partito Fatah (che controlla l'Autorità Palestinese) continuano a non essere disposti e incapaci di accettare uno Stato a condizioni diverse dalla distruzione di Israele. Come già nel 1948, nel 1967, nel 1993, nel 2000 e nel 2008, e in ogni altro momento in cui avrebbero potuto scendere a compromessi e ottenere uno Stato, il loro unico obiettivo rimane la distruzione di Israele. Non vogliono uno Stato accanto a Israele. Vogliono uno Stato al posto di Israele – e questo è qualcosa che non potranno mai avere.
Inoltre, americani e israeliani non dovrebbero accettare senza riserve l'ottimismo di Trump riguardo alle relazioni con i sauditi.
Per quanto Trump abbia ragione a coltivare questa alleanza, dovrebbe comunque ascoltare Netanyahu e subordinare qualsiasi aumento significativo della capacità bellica di Riad, come la vendita di un numero maggiore degli stessi jet F-35 ad alta tecnologia di cui dispone Israele, alla disponibilità di Riad a fare pace con Israele.
Tra gli obiettivi di politica estera del governo nell'ambito della sua politica “America First” c'è quello di creare una situazione in cui i sauditi si alleino con gli israeliani per opporsi all'Iran e proteggere gli interessi occidentali in Medio Oriente, mentre gli Stati Uniti si concentrano sull'Asia per affrontare la minaccia della Cina.
Tuttavia, l'ipotesi che MBS sia interessato a scambiare gli attuali stretti e segreti rapporti del suo Paese con Israele con un riconoscimento aperto, una normalizzazione e lo scambio di ambasciatori e ambasciate – come è avvenuto per i firmatari degli Accordi di Abramo del 2020 – è priva di qualsiasi fondamento. Egli vuole che Israele e gli Stati Uniti fungano da contrappeso alla minaccia che l'Iran continua a rappresentare per i sauditi, anche dopo la sconfitta nella guerra di 12 giorni con Israele e gli americani la scorsa estate.
Ma la sua moderazione ha dei limiti. E in qualità di custode delle città sante islamiche della Mecca e di Medina, anche MBS sarà sempre più preoccupato di non irritare i fondamentalisti islamici che fanno parte dell'élite al potere nel suo Paese piuttosto che di soddisfare Trump o gli israeliani.

Né pace né incubo
  Tutto ciò significa che il piano americano non è né una via verso la pace né lo scenario da incubo temuto da alcuni esponenti della destra israeliana. Purtroppo, gli enormi sacrifici compiuti dagli israeliani nei due anni successivi al 7 ottobre non porteranno all'eliminazione della minaccia mortale che grava sul loro Paese, a meno che Trump non ammetta in modo drammatico e inaspettato che il suo piano di pace è fallito.
Tuttavia, con il rilascio degli ultimi ostaggi detenuti da Hamas, Trump si è nuovamente guadagnato la gratitudine degli israeliani. È anche vero che, grazie ai successi delle forze armate israeliane in guerra e all'impegno di Trump per smantellare il programma nucleare iraniano, l'attuale equilibrio strategico a Gaza e nella regione è tale che Israele è uscito rafforzato dal 7 ottobre, mentre i suoi nemici sono indeboliti.
Ma se il presidente non è disposto a permettere una nuova guerra, il suo piano sembra solo un'altra tappa intermedia verso l'inevitabile prossimo round di combattimenti tra l'Israele democratico e gli islamisti palestinesi genocidi.

(JNS, 20 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 21
    Ora queste sono le leggi che tu esporrai davanti a loro:
  • Se compri un servo ebreo, egli ti servirà per sei anni; ma il settimo se ne andrà libero, senza pagare nulla. Se è venuto solo, se ne andrà solo; se aveva moglie, la moglie se ne andrà con lui. Se il suo padrone gli dà moglie e questa gli partorisce figli e figlie, la moglie e i figli di lei saranno del padrone, ed egli se ne andrà solo. Ma se il servo fa questa dichiarazione: 'Io amo il mio padrone, mia moglie e i miei figli; io non voglio andarmene libero', allora il suo padrone lo farà comparire davanti a Dio, e lo farà accostare alla porta o allo stipite, e il suo padrone gli forerà l'orecchio con una lesina; ed egli lo servirà per sempre.
  • Se uno vende la propria figlia come serva, lei non se ne andrà come se ne vanno i servi.  Se lei dispiace al suo padrone, che l'aveva presa come moglie, egli la farà riscattare; ma non avrà il diritto di venderla a gente straniera, dopo esserle stato infedele. E se la dà in sposa a suo figlio, la tratterà secondo il diritto delle figlie. Se prende un'altra moglie, non toglierà alla prima né il vitto, né il vestire, né la coabitazione. Se non le fa queste tre cose, lei se ne andrà senza pagamento di prezzo.
  • Chi colpisce un uomo causandone la morte, deve essere messo a morte. Se non gli ha teso un agguato, ma Dio glielo ha fatto cadere in mano, io stabilirò un luogo dove egli si possa rifugiare. Se qualcuno insidia e uccide con premeditazione il suo prossimo, tu lo strapperai anche dal mio altare, per farlo morire.
  • Chi percuote suo padre o sua madre deve essere messo a morte.
  • Chi ruba un uomo - sia che l'abbia venduto o che gli sia trovato nelle mani - deve essere messo a morte.
  • Chi maledice suo padre o sua madre deve essere messo a morte.
  • Se degli uomini litigano, e uno percuote l'altro con una pietra o con il pugno, e quello non muore, ma deve mettersi a letto, se si rialza e può camminare fuori appoggiato al suo bastone, colui che lo ha percosso sarà assolto; soltanto, lo indennizzerà del tempo che ha perso e lo farà curare fino a guarigione compiuta.
  • Se uno percuote con il bastone il suo servo o la sua serva così che gli muoiano fra le mani, il padrone deve essere punito; ma se sopravvivono un giorno o due, non sarà punito, perché sono denaro suo.
  • Se alcuni hanno una rissa e percuotono una donna incinta e lei partorisce, ma senza che ne segua altro danno, chi l'ha colpita sarà condannato all'ammenda che il marito della donna gli imporrà; e la pagherà come determineranno i giudici; ma se ne seguono danni, darai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione.
  • Se uno colpisce l'occhio del suo servo o l'occhio della sua serva e glielo fa perdere, li lascerà andare liberi in compenso dell'occhio perduto. E se fa cadere un dente al suo servo o un dente alla sua serva, li lascerà andare liberi in compenso del dente perduto.
  • Se un bue colpisce a morte un uomo o una donna, il bue dovrà essere lapidato e non se ne mangerà la carne; ma il padrone del bue sarà assolto. Però, se il bue era già da tempo solito caricare, e il padrone è stato avvertito, ma non lo ha tenuto rinchiuso, e il bue ha ucciso un uomo o una donna, il bue sarà lapidato, e il suo padrone pure sarà messo a morte. Se sarà imposto al padrone un prezzo di riscatto, egli pagherà per il riscatto della propria vita tutto quello che gli sarà imposto.
  • Se il bue colpisce un figlio o una figlia, gli si applicherà questa medesima legge.
  • Se il bue colpisce un servo o una serva, il padrone del bue pagherà al padrone del servo trenta sicli d'argento, e il bue sarà lapidato.
  • Se uno apre una fossa, o se uno scava una fossa e non la copre, e un bue o un asino ci cade dentro, il padrone della fossa riparerà il danno: pagherà in denaro il valore della bestia al padrone, e la bestia morta sarà sua.
  • Se il bue di un uomo ferisce il bue di un altro così che esso muoia, si venderà il bue vivo e se ne dividerà il prezzo; e anche il bue morto sarà diviso fra loro. Se poi è noto che quel bue era già da tempo solito colpire, e il suo padrone non lo ha tenuto rinchiuso, questi dovrà pagare bue per bue, e la bestia morta sarà sua.

(Notizie su Israele, 19 novembre 2025)


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Nuova unità d'élite per interventi rapidi

GERUSALEMME  – L'aeronautica militare israeliana ha creato un'unità d'élite incaricata di proteggere le strutture militari e gli impianti di difesa. In futuro opererà insieme a “Schaldag” (Martin pescatore) e ad altre unità speciali. L'iniziativa è partita dal capo dell'aeronautica militare Tomer Bar. Si tratta di una risposta alle indagini interne sul fallimento dei sistemi di sicurezza il 7 ottobre 2023, secondo quanto riportato giovedì dal quotidiano israeliano “Ma'ariv”.
L'aeronautica militare metterà a punto un programma di addestramento completo per rafforzare le strutture di difesa di tutte le basi, ha dichiarato al quotidiano un portavoce dell'esercito. I diplomati saranno addestrati all'uso di armi e dispositivi di ricerca, nonché all'impiego di sistemi d'arma speciali.

Le misure di sicurezza saranno rafforzate
  La truppa d'élite sarà pronta all'azione 24 ore su 24. Se i terroristi riuscissero a penetrare in una base aerea, la nuova unità potrebbe reagire immediatamente. Allo stesso tempo, i sistemi di allarme e le barriere esistenti saranno modernizzati. L'esercito sta investendo molte energie e risorse in questo programma e prevede costi nell'ordine di decine di milioni (di shekel).
All'origine di queste misure vi è il ritrovamento di mappe nella Striscia di Gaza. Secondo tali mappe, una cellula terroristica coinvolta nel massacro del 7 ottobre 2023 disponeva di informazioni concrete sulle vie di accesso a due basi aeree.
Il portavoce militare Effie Defrin ha dichiarato a “Ma'ariv” che l'aeronautica militare sta collaborando strettamente con l'esercito israeliano e le autorità di sicurezza. “L'aeronautica militare continuerà ad agire con determinazione, responsabilità e professionalità per garantire la sicurezza dello Stato di Israele”. Il reclutamento di soldati per la nuova unità d'élite dovrebbe iniziare presto.

(Israelnetz, 20 novembre 2025)

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Usa: bambini bullizzati perché ebrei. E la scuola li espelle

In una delle migliori scuole elementari degli Stati Uniti, il preside ha ignorato le proteste dei genitori di una studentessa ebrea bullizzata, arrivando a espellerla con i suoi due fratelli “per la mancanza di fiducia della famiglia nella scuola”. Ora la sentenza seguita alla denuncia obbliga l’istituto ad adottare una nuova politica di non discriminazione e ad assumere un supervisore esterno per la discriminazione per almeno cinque anni.

di Maia Principe

Una prestigiosa scuola privata statunitense nel nord della Virginia ha espulso una ragazza ebrea vittima di ripetuti episodi di bullismo antisemita e i suoi due fratelli. Una barzelletta? Assolutamente no. È successo alla Nysmith, considerata una delle migliori scuole elementari degli Stati Uniti, che richiede una retta annuale di oltre 46.000 dollari. Lo riporta il Times of Israel, dando notizia della risoluzione legale della vicenda, dopo che i genitori dei ragazzi in questione avevano sporto denuncia.

I fatti  
  Nel 2024 la classe di storia della figlia undicenne di Brian Vazquez e Ashok Roy crea una grande immagine artistica di Adolf Hitler per rappresentare l’immagine di un “forte leader storico”. I genitori ne parlano quindi con altri, decidendo però di non sporgere denuncia, convinti che si tratti di un caso isolato di scarsa capacità di giudizio.
Nel febbraio 2025, la madre di un compagno di classe informa però Vazquez di “un inquietante schema di molestie e bullismo” nei confronti della figlia che, interrogata dalla madre, scoppia in singhiozzi. “I bambini hanno attaccato adesivi pro-Palestina sui computer portatili e sugli armadietti forniti dalla scuola, indicando i loro adesivi e prendendola in giro perché ‘israeliana’”, riportano i genitori nella denuncia alla scuola.
La madre incontra quindi il proprietario e preside della scuola, Kenneth Nysmith, per discutere del bullismo e della discriminazione, ricevendo rassicurazioni che avrebbe gestito la questione. Non solo, però, non viene intrapresa alcuna azione: nelle settimane successive la scuola annulla il suo incontro annuale con un sopravvissuto alla Shoah, per “evitare di alimentare le tensioni”, secondo quanto sostenuto dal preside. Ciliegina sulla torta: nella palestra della scuola viene appesa una bandiera palestinese. Nel frattempo, le molestie nei confronti della ragazza peggiorano.
Dopo una seconda denuncia alla scuola nel marzo 2025 da parte dei genitori, il preside suggerisce loro di dire alla figlia di “essere più forte”. Ma due giorni dopo, in un’e-mail comunica che tutti e tre i loro figli – un figlio in seconda elementare e due figlie in prima media – sono stati espulsi con effetto immediato.
“Non vedo una via d’uscita senza fiducia, comprensione e cooperazione. Durante il nostro incontro, ho percepito chiaramente che non ritenete la Nysmith la scuola giusta per la vostra famiglia e più a lungo cercheremo di ignorare questa realtà, più dolore causeremo ai vostri figli”, si legge nell’e-mail.
Nell’accordo previsto dalla sentenza conclusiva, la scuola ha accettato di adottare una nuova politica di non discriminazione, istituire un comitato di lavoro per indagare sulla discriminazione, assumere un supervisore esterno per la discriminazione per almeno cinque anni, rendere obbligatoria la formazione sull’antisemitismo per il personale ed educare gli studenti sull’antisemitismo.
Resta l’amarezza – e l’incredulità – davanti a uno sdoganamento inaccettabile dell’antisemitismo da parte di chi, nel contesto scolastico, dovrebbe educare le giovani generazioni al rispetto reciproco.

(Bet Magazine Mosaico, 20 novembre 2025)

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Una rete per prevenire il bullismo

Costruire comunità educanti e inclusive è il proposito dell’incontro “Insieme contro il bullismo” in programma domenica 23 novembre a Roma, a partire dalle 10.30, nella sede della Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano “Tullia Zevi”. L’iniziativa è stata promossa dall’Ucei e sarà aperta dai saluti della presidente dell’ente Noemi Di Segni, dell’assessore alle scuole Livia Ottolenghi e dell’assessore ai giovani Simone Mortara. Sul tema del bullismo e del cyberbullismo interverranno poi il rabbino Roberto Della Rocca, direttore dell’area Cultura e Formazione Ucei, con una ricognizione sulle fonti ebraiche. E poi lo psicologo Fabrizio Rocchetto, membro della Società Psicoanalitica Italiana, che porterà una sua testimonianza professionale. Così come il sociologo infantile Eddy Jamous, che spiegherà come da soli “non si cambia un bullo”. Alla fine della giornata sarà inoltre discussa la costituzione di un tavolo di lavoro per un osservatorio nazionale di prevenzione.
Per informazioni: cultura@ucei.it

(moked, 20 novembre 2025)

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I libri di testo palestinesi continuano a glorificare gli attacchi contro Israele, violando così gli accordi dell'UE

Un nuovo rapporto conclude che “l'antisemitismo virulento, la glorificazione della jihad e l'incitamento alla violenza continuano ad essere profondamente radicati nei libri di testo dell'Autorità Palestinese di tutti i livelli scolastici”.

I libri di testo palestinesi continuano a essere pieni di incitamento all'odio contro gli ebrei e traboccano di antisemitismo e glorificazione del martirio, violando le precedenti promesse di riforma fatte all'Unione Europea, secondo uno studio pubblicato mercoledì.
L'esame del programma scolastico nazionale 2025-2026 dell'Autorità Palestinese da parte dell'istituto di ricerca londinese IMPACT-se ha rivelato che i libri di testo sono rimasti invariati rispetto agli anni precedenti, violando un accordo dell'UE firmato lo scorso anno sul proseguimento dei finanziamenti.
L'analisi di circa 290 libri di testo palestinesi e 71 manuali per insegnanti, utilizzati per l'istruzione di 1,3 milioni di studenti, ha rivelato che l'antisemitismo rimane una “caratteristica centrale” del programma scolastico, in cui gli ebrei sono descritti come nemici dell'Islam disonesti, manipolatori o intrinsecamente corrotti.
Una guida per insegnanti della classe 7 citata nel rapporto descrive come gli israeliani fracassano il cranio dei bambini palestinesi davanti agli occhi delle loro madri e mutilano le donne per rubare loro i gioielli, e invita gli studenti a ricreare visivamente gli eventi con dei disegni.
Secondo i risultati dell'indagine, la violenza e il terrorismo vengono direttamente glorificati, mentre i palestinesi che hanno ucciso israeliani vengono elogiati come “martiri” e modelli per i giovani.
Un libro di testo per la dodicesima classe contiene una poesia che esorta gli studenti a tornare nelle città israeliane, utilizzando versi emotivi che ricordano gli attacchi guidati da Hamas contro il sud di Israele il 7 ottobre 2023.
Persino gli alunni della prima classe imparano la parola araba che significa “martire” come una delle prime parole da scrivere.
Lo studio ha anche rilevato che lo Stato di Israele è stato cancellato sia dalle mappe che dai testi, la sua esistenza è descritta come “incompatibile con la giustizia” e gli israeliani sono regolarmente disumanizzati.
“Anche gli esercizi di scienze, matematica e grammatica utilizzati nel programma scolastico sono progettati per normalizzare la violenza e promuovere la disumanizzazione”, si legge nel rapporto.
L'anno scorso, l'Autorità Palestinese con sede a Ramallah ha firmato un accordo con l'UE – il suo principale finanziatore internazionale – per rimuovere tali contenuti di incitamento all'odio dal suo programma scolastico, mentre il governo degli Stati Uniti avanza da tempo richieste simili.
“Questo rapporto completo rivela una realtà spaventosa e preoccupante: l'antisemitismo virulento, l'esaltazione della jihad e l'incitamento alla violenza sono ancora profondamente radicati nei libri di testo dell'Autorità Palestinese a tutti i livelli scolastici”, ha dichiarato Marcus Sheff, amministratore delegato di IMPACT-se.
“La conclusione ovvia di questo rapporto è che senza un intervento profondo e sostenibile da parte della comunità internazionale, atteso da tempo, l'indottrinamento sistematico dei palestinesi attraverso un'istruzione estremista continuerà”, ha aggiunto.
Nel frattempo, mercoledì il ministero degli Esteri israeliano ha ribadito che l'Autorità Palestinese continua la sua politica di lunga data di sostegno finanziario alle famiglie dei terroristi palestinesi che uccidono israeliani – nota come “Pay for Slay” (pagamento per l'omicidio) – che è diventata oggetto di controversia con diversi paesi europei.
“L'Autorità Palestinese persegue una politica di pagamento dei terroristi che uccidono israeliani”, ha scritto il ministero degli Esteri israeliano su X. “Questa politica è fondamentalmente un incoraggiamento al terrorismo. Questo comportamento moralmente riprovevole deve finire”.

(Israelnetz, 19 novembre 2025)

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Hamas pianifica attentati in Europa: arrestato figlio di Bassem Naim, leader del

di Giovanni Giacalone

Il figlio di Bassem Naim, uno dei leader del cosiddetto “bureau politico” di Hamas, nonché suo portavoce, è tra i soggetti arrestati in Europa con l’accusa di fare parte di una rete dell’organizzazione terrorista pronta per ead effettuare attentati contro target ebraici e israeliani nel Vecchio Continente.
Una lunga indagine condotta dal Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana, insieme a organismi di intelligence e forze dell’ordine in Europa, ha portato alla luce l’infrastruttura terroristica scoprendo, tra le varie cose, che almeno uno dei nascondigli di armi rinvenuti apparteneva proprio a Muhammad Naim, figlio di Bassem Naim. Fonti israeliane parlano anche di un incontro tra padre e figlio in Qatar lo scorso settembre, indicando un possibile coinvolgimento della leadership di Hamas nell’avanzamento delle attività terroristiche in Europa.
Muhammad Naim, cittadino britannico, è stato arrestato a Londra a inizio novembre mentre nel contempo i servizi di sicurezza austriaci hanno scoperto e confiscato armi e materiale esplosivo.
In ottobre, le autorità tedesche avevano arrestato altri tre membri di Hamas, ritenendoli responsabili di pianificare un attacco contro obiettivi ebraici e israeliani a Berlino. I tre sospettati avrebbero acquisito un gran numero di armi e munizioni, tra cui fucili d’assalto Kalashnikov e pistole. Due degli arrestati sono immigrati siriani con cittadinanza tedesca, mentre il terzo era arrivato in Germania dal Libano nell’estate del 2025.
Due anni prima, nel dicembre 2023, le forze di sicurezza tedesche avevano arrestato altri tre operativi di Hamas di origine libanese e da anni residenti in Europa, uno dei quali con residenza a Catania. Nel contempo, le autorità olandesi arrestavano un cittadino con doppia cittadinanza, olandese e libanese, poi estradato in Germania nel febbraio del 2024. Gli inquirenti avevano trovato, tra le varie cose in suo possesso, un dispositivo USB contenente informazioni di intelligence, tra cui fotografie dell’ambasciata israeliana a Berlino, dell’ex complesso aeroportuale di Tempelhof a Berlino e della base aerea americana di Ramstein.
Anche in questo caso, come riportato nell’atto d’accusa, i quattro membri della rete venivano accusati di mantenere contatti diretti con Hamas in Libano e di ricevere istruzioni su come promuovere le attività delle Brigate Izz al-Din al-Qassam in Europa.
E’ plausibile che quanto scoperto fino adesso sia soltanto la punta dell’iceberg di una rete ben più ampia e attiva in Europa. Una cosa è certa, gli arresti effettuati in questi mesi sfatano la versione diffusa per troppo tempo secondo la quale “Hamas non avrebbe mai pianificato di colpire in Europa”.
Hamas è presente, attiva e le autorità europee si stanno muovendo. Attendiamo potenziali sviluppi anche sull’Italia.

(L'informale, 19 novembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 20


Il decalogo
Allora Iddio pronunciò tutte queste parole, dicendo: “Io sono l'Eterno, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di servitù.
  1. Non avere altri dèi di fronte a me.
  2. Non farti scultura, né alcuna immagine delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra; non ti prostrare davanti a tali cose e non le servire, perché io, l'Eterno, il tuo Dio, sono un Dio geloso che punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
  3. Non usare il nome dell'Eterno, tuo Dio, invano; perché l'Eterno non riterrà innocente chi avrà usato il suo nome invano.
  4. Ricordati del giorno del riposo per santificarlo.  Lavora sei giorni e fa' in essi ogni tua opera; ma il settimo è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è il tuo Dio; non fare in esso alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che è dentro alle tue porte;  poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato.
  5. Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che l'Eterno, il tuo Dio, ti dà.
  6. Non uccidere.
  7. Non commettere adulterio.
  8. Non rubare.
  9. Non attestare il falso contro il tuo prossimo.
  10. Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo”.
Ora tutto il popolo udiva i tuoni, il suono della tromba e vedeva i lampi e il monte fumante. A tale visione, tremava e se ne stava lontano. E disse a Mosè: “Parla tu con noi, e noi ti ascolteremo; ma non ci parli Iddio, altrimenti moriremo”. Mosè disse al popolo: “Non temete, poiché Dio è venuto per mettervi alla prova, affinché ci sia in voi timore di Dio, e così non pecchiate”. Il popolo dunque se ne stava lontano; ma Mosè si avvicinò alla fitta nube dove era Dio.

L'altare dei sacrifici
L'Eterno disse a Mosè: “Di' così ai figli d'Israele: 'Voi stessi avete visto che io vi ho parlato dai cieli. Non fate altri dèi accanto a me; non fatevi dèi d'argento, né dèi d'oro. Fammi un altare di terra; e su questo offri i tuoi olocausti, i tuoi sacrifici di ringraziamento, le tue pecore e i tuoi buoi; in qualunque luogo dove farò ricordare il mio nome, io verrò a te e ti benedirò. E se mi fai un altare di pietre, non lo costruire di pietre tagliate; perché, se tu alzassi su di esse lo scalpello, le contamineresti. E non salire al mio altare per mezzo di gradini, affinché la tua nudità non si scopra sopra di esso'.

(Notizie su Israele, 19 novembre 2025)


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Trump muove il mondo, ma chi muove la storia?

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato l'iniziativa americana di schierare una forza internazionale nella Striscia di Gaza. Questa iniziativa degli Stati Uniti preoccupa Gerusalemme. Soprattutto, si dubita che l'organizzazione terroristica Hamas venga effettivamente disarmata, anche se questo è esplicitamente previsto dalla risoluzione. Allo stesso tempo, a Gerusalemme cresce il timore per l'articolo 7, che secondo gli esperti israeliani potrebbe servire come possibile strada per la creazione di uno “Stato palestinese”. Questa proposta è stata presentata al Consiglio di sicurezza dell'ONU dai più stretti alleati di Israele a Washington e quindi Israele ha preferito trattarla con cautela. Per gli Stati Uniti si tratta di una svolta diplomatica, per Hamas di uno shock e per Israele di un possibile momento di speranza, ma anche di incertezza. Gli eventi relativi alla risoluzione dell'ONU hanno implicazioni non solo geopolitiche, ma anche profondamente bibliche. Per molti israeliani, religiosi e laici, è chiaro che la storia del Paese non si svolge nel vuoto, ma nella lunga ombra delle promesse, degli avvertimenti e dei modelli della Bibbia. Innanzitutto, colpisce quanto l'attuale dinamica corrisponda a un modello biblico familiare: le grandi potenze decidono il destino di Israele, spesso con buone intenzioni, ma senza una reale conoscenza della struttura spirituale del Paese e della regione. Già i profeti Isaia, Amos e Geremia mettevano in guardia dal fare affidamento sui “popoli del mondo”, che oggi aiutano e domani cambiano le loro priorità. Israele si trova tra le aspettative delle nazioni e i propri obblighi nei confronti delle sue radici storiche.
Pertanto, la grande maggioranza in Israele rifiuta decisamente uno Stato palestinese, come dimostrano tutti i sondaggi, sia nei media mainstream di sinistra che in quelli di destra. Il 7 ottobre 2023 ha distrutto ogni illusione: uno Stato del genere, nelle circostanze attuali, rappresenterebbe un pericolo esistenziale per Israele. Un nuovo sondaggio ha mostrato che il 70% della popolazione israeliana è contraria alla creazione di uno Stato palestinese. Il rifiuto cresce anche se la proposta fosse collegata a un accordo di pace storico con l'Arabia Saudita. Il sostegno al riconoscimento di uno Stato palestinese è estremamente basso tra il popolo israeliano: solo l'8% lo approva senza condizioni e un altro 13% lo approverebbe solo se lo Stato fosse smilitarizzato e riconoscesse Israele. Il sondaggio è stato condotto dal “Lazar Research Institute” sotto la direzione del dottor Menachem Lazar per il Centro per gli affari pubblici e la sicurezza di Gerusalemme.
L'ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Mike Waltz, ha dichiarato prima del voto al Consiglio di sicurezza dell'ONU che la risoluzione rappresenta un'opportunità per compiere progressi concreti verso la pace. “Si tratta di un piano pragmatico e coraggioso, basato sul programma in 20 punti del presidente Trump”, ha spiegato Waltz. “Chi vota contro questa risoluzione vota per un ritorno alla guerra”. Tredici Stati hanno votato a favore, mentre Russia e Cina si sono astenute.
La reazione di Hamas non si è fatta attendere. L'organizzazione ha dichiarato di rifiutare categoricamente qualsiasi ‘disarmo’ e di voler continuare la “resistenza contro Israele in tutte le sue forme”. Hamas ribadisce così ancora una volta che non conosce altra esistenza se non quella della lotta armata e non mostra alcuna disponibilità a costruire il futuro della Striscia di Gaza senza terrorismo e armi. Di conseguenza, l'organizzazione ha definito l'invio di una forza internazionale come una presa di posizione a favore di Israele e un attacco ai “diritti palestinesi”, una narrativa che sta perdendo sempre più credibilità nel mondo arabo. Molti a Gerusalemme ritengono che Hamas non deporrà le armi nemmeno “se il profeta Maometto scendesse dal cielo e lo pregasse di farlo”.
Mentre Hamas infuria, Washington celebra la decisione come un momento storico. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è andato ancora oltre, annunciando che presiederà personalmente un nuovo “Consiglio di pace per Gaza”, un organo internazionale che, secondo le sue parole, sarà composto dai leader politici mondiali. Trump ha ringraziato una lunga lista di Stati che hanno sostenuto la risoluzione, tra cui Qatar, Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Turchia. Il fatto che i paesi arabi sostengano all'unanimità una proposta americana è una novità politica e dimostra quanto siano profondamente cambiate le dinamiche in Medio Oriente dal 7 ottobre. Ma senza Donald queste dinamiche in Medio Oriente non sarebbero mai state avviate, dobbiamo ammetterlo, che Donald ci piaccia o meno.
Il nucleo della risoluzione risiede in una novità che riveste importanza strategica per Israele: per la prima volta, la smilitarizzazione della Striscia di Gaza non è solo una richiesta israeliana, ma parte di un mandato internazionale delle Nazioni Unite. In questo modo, la comunità internazionale riconosce ufficialmente che la ricostruzione del potere militare di Hamas non è più un'opzione. L'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon è stato il primo a prendere posizione subito dopo la votazione: “Il Consiglio di sicurezza ha approvato la risoluzione degli Stati Uniti sull'invio di forze internazionali a Gaza. La decisione contiene anche una chiara dichiarazione sul disarmo di Hamas”. Danon ha aggiunto: “Così come siamo determinati a riportare a casa tutti gli ostaggi, siamo altrettanto determinati a garantire che Hamas sia completamente disarmato. Non ci daremo pace finché Hamas non smetterà di rappresentare una minaccia per lo Stato di Israele”.
Il testo della risoluzione stabilisce inoltre che l'Autorità palestinese potrà tornare nella Striscia di Gaza solo dopo aver attuato riforme strutturali complete. La coalizione di governo a Gerusalemme ha reagito prontamente e in modo inequivocabile: “Sul suolo della nostra patria non sorgerà mai uno Stato palestinese”. Tuttavia, il governo di Gerusalemme non si è espresso pubblicamente contro il piano complessivo di Trump. Il passaggio sulla soluzione dei due Stati è stato inserito su pressione degli Stati arabi, molti dei quali hanno apertamente sostenuto l'iniziativa. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tuttavia sottolineato che “il suo categorico rifiuto di uno Stato palestinese non è cambiato”.
Il fatto che Indonesia, Arabia Saudita, Qatar, Giordania e altri Stati abbiano apertamente accolto con favore la risoluzione sottolinea un cambiamento tettonico nel mondo arabo e musulmano. Questi Stati vogliono impedire che l'Iran riprenda influenza nella Striscia di Gaza attraverso Hamas. Il loro sostegno non è quindi solo un gesto diplomatico, ma l'espressione di un interesse geopolitico profondamente radicato. Anche la Gran Bretagna ha votato a favore della risoluzione, aggiungendo però una tipica nota a piè di pagina europea, secondo cui il percorso deve portare a lungo termine a una soluzione a due Stati e preservare la sovranità palestinese. Inoltre, dovrebbe essere istituito un nuovo organo, il cosiddetto “Consiglio di pace”, presieduto dal presidente Trump. Questo organo dovrebbe vigilare sul rispetto del cessate il fuoco, coordinare la ricostruzione e accompagnare il percorso verso una futura amministrazione palestinese della Striscia di Gaza.
Per Israele, questa situazione crea un quadro complesso. Per la prima volta da decenni, una struttura internazionale potrebbe contribuire a stabilizzare la Striscia di Gaza, senza l'onere che Israele sia l'unico responsabile della ricostruzione e della sicurezza. Allo stesso tempo, però, la presenza internazionale comporta sempre aspettative politiche, tensioni e imprevedibilità. Molto dipenderà ora dalla capacità del nuovo Consiglio di pace di agire concretamente o se si rivelerà l'ennesimo capitolo di esperimenti falliti delle Nazioni Unite.
Non da ultimo, questo sviluppo pone molti israeliani di fronte alla domanda fondamentale: chi determina il futuro del Paese, le nazioni o il Dio di Israele? La realtà politica costringe Israele a prendere decisioni, a considerare compromessi e ad accettare cooperazioni internazionali. Ma la realtà spirituale ricorda che il futuro del Paese non è mai solo nelle mani della comunità internazionale. In questo contesto di tensione, lo sguardo israeliano sulla risoluzione dell'ONU è grato per ogni sostegno internazionale, ma scettico nei confronti delle costruzioni globali. “Lo Stato di Israele e il primo ministro Netanyahu salutano il presidente Trump e il suo team impegnato”, ha esordito Netanyahu nel suo tweet, lodando Trump per la decisione, ma solo in inglese, non in ebraico. “Il coraggio e il sacrificio dei nostri valorosi soldati, insieme agli sforzi diplomatici del presidente Trump, hanno contribuito a riportare a casa tutti gli ostaggi vivi e la maggior parte dei caduti”.
La storia di Israele segue in definitiva un disegno più ampio e divino, che il governo di Gerusalemme discute 24 ore su 24 e che nessun voto del Consiglio di sicurezza può annullare.
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La cosa forse più interessante di questa risoluzione è l’intenzione di costituire un “Consiglio di pace” presieduto da Ronald Trump. Saranno le nazioni a garantire la pace per Israele e per il mondo? Molti ci sperano. E sarà così anche in futuro, quando il mondo ammirerà l’Anticristo per essere riuscito a fare un patto di pace con Israele. Patto che poi sarà seguito dall’ultimo tentativo di sterminio degli ebrei. M.C.

(Israel Heute, 19 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Netanyahu: Israele determinato a portare a termine la guerra dopo l'ultimo attacco terroristico

Israele rimane impegnato a sconfiggere Hamas e a garantire che Gaza non rappresenti più un pericolo, dichiara il primo ministro poche ore dopo un sanguinoso attacco terroristico

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato martedì che Israele proseguirà per “portare a termine la guerra su tutti i fronti, compreso il disarmo di Hamas e la smilitarizzazione della Striscia di Gaza”, dopo aver preso atto del mortale attacco terroristico palestinese avvenuto nella mattinata all'incrocio di Gush Etzion.
Il premier ha rilasciato queste dichiarazioni durante una cerimonia di dedicazione di un rotolo della Torah in memoria del maggiore (riserva) Dr. Moshe Yedidya Leiter, comandante dell'unità di ricognizione Shaldag ucciso in battaglia nella Striscia di Gaza nel novembre 2023. L'evento ha reso omaggio a Leiter, 39 anni, figlio dell'ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Yechiel Leiter, che prestava servizio come paramedico di riserva ed era padre di sei figli.
Netanyahu ha collegato la sua promessa di continuare la guerra all'attacco combinato con un veicolo e un coltello avvenuto martedì pomeriggio all'incrocio di Gush Etzion in Giudea, che ha ucciso Aharon Cohen, residente a Kiryat Arba, e ferito diverse altre persone. Le forze di difesa israeliane hanno ucciso due terroristi sul posto. Secondo l'esercito, nel veicolo utilizzato dai terroristi sono stati rinvenuti diversi materiali esplosivi. Gli artificieri della polizia hanno lavorato per neutralizzare gli esplosivi.
Netanyahu ha elogiato la “vittoria dello spirito” dimostrata dai soldati israeliani e dalle famiglie in lutto, definendo Moshe Leiter un simbolo di sacrificio “per la nostra esistenza” e per il futuro di Israele. Ha anche lodato il lavoro dell'ambasciatore Leiter a Washington, affermando che egli rappresenta “la giustizia del nostro percorso” e il diritto di Israele alla sua terra “nell'arena più importante tra le nazioni”.
Durante la cerimonia, Netanyahu ha affermato che è stato “un enorme privilegio” dedicare un rotolo della Torah alla memoria di Leiter e ha benedetto coloro che hanno partecipato alla commemorazione dell'ufficiale caduto.

(JNS, 19 novembre 2025)

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Il lato umano di Hamas

di Niram Ferretti

Se non antica come l’umanità stessa, l’arte del baratto o dello scambio, risale ai primordi della civiltà. Per Donald Trump essa, evidentemente, rappresenta “il giroscopio dell’ordine mondiale”, rubando l’espressione a Edward M. House, il grande advisor di Wodrow Wilson, che però la riferiva al ruolo che avrebbero dovuto avere gli Stati Uniti.
  Per Trump e soci, “Io ti dò, tu mi dai” sono le parole magiche che aprono i sesami delle intese, generano stabilità e conciliazione, riportano sul suo asse un mondo pericolosamente inclinato.
  Il clangore delle armi non funziona. Chi crede di potere esercitare la forza militare per sedare il caos e imporre l’ordine è solo un guerrafondaio. Bisogna invece sedersi al tavolo con i peggiori criminali e trovare il punto di intesa, l’aggancio giusto. Steve Witkoff la pensa in questo modo. Lui l’aggancio con il caporione di Hamas, Khalil al-Hayya, per esempio lo ha trovato; entrambi hanno avuto un figlio morto in giovane età. Si tratta del “soft spot” che ha permesso, come ha dichiarato Jared Kushner, di scoprire il “lato umano” di Khalil, quello che Israele non trovava, avendo deciso di eliminarlo nel fallito attentato in Qatar.
  Il “lato umano” esiste sempre. Hitler, è noto, era molto affettuoso con Blondi, il suo cane pastore tedesco, e anche Yahya Sinwar doveva avere il suo. Così, si negozia con Hamas, si cerca una via di uscita per i 200 tagliagole che si trovano sottoterra, anche loro immancabilmente con un lato umano, come preludio di una grande amnistia che comprenderebbe i circa ventimila terroristi che Hamas ha ancora tra le proprie file.
  Il grande vulnus di questo procedere è che, con buona pace di Trump, di Witkoff, immobiliarista del Bronx che si recava agli incontri di affari con una pistola infilata nel calzino sfuggito a un cast di Scorsese, è che con il fanatismo ideologico e religioso, soprattutto il secondo, soprattutto quello islamico, i deals, gli accordi, sono solo funzionali all’attesa, all’interruzione della guerra prima della sua ripresa appena si sarà pronti, come fece il profeta, Maometto, la pace sia su di lui, paradigma per ogni pio e devoto musulmano votato al jihad, quando, nel 622, siglò la cosiddetta pace di Hudaybiyyah con i Meccani. Sarebbe dovuta durare nove anni, nove mesi e nove giorni, durò due anni. Appena Maometto fu pronto attaccò la Mecca, uccise tutti gli uomini, catturò le donne e distrusse tutti gli idoli.
  Ardua impresa fare comprendere ai Trump e agli Witkoff di questo mondo che ci sono interlocutori per i quali “il giroscopio del mondo” non consiste nei negoziati, ma nella conquista, nella sottomissione o distruzione del nemico, nell’imposizione della propria egemonia. Arduo, forse impossibile spiegarlo a chi si mette la mano sul cuore davanti a Putin o pensa che il lutto condiviso per un figlio morto plachi la furente e implacabile determinazione del jihad.

(L'informale, 19 novembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 19
    Arrivo del popolo al deserto di Sinai. Dio parla a Mosè sul monte
  • Nel primo giorno del terzo mese dopo che furono usciti dal paese d'Egitto, i figli d'Israele giunsero al deserto di Sinai. Essendo partiti da Refidim, giunsero al deserto di Sinai e si accamparono nel deserto; qui si accampò Israele, di fronte al monte.
  • Mosè salì verso Dio; e l'Eterno lo chiamò dal monte, dicendo: “Di' così alla casa di Giacobbe, e annuncia questo ai figli d'Israele:  'Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani, e come io vi ho portato sopra ali di aquila e vi ho condotto a me.

    Segni della presenza di Dio sul Sinai
  • Ora dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa'. Queste sono le parole che dirai ai figli d'Israele”.
  • Allora Mosè venne, chiamò gli anziani del popolo, ed espose loro tutte queste parole che l'Eterno gli aveva ordinato di dire. E tutto il popolo rispose concordemente e disse: “Noi faremo tutto quello che l'Eterno ha detto”. E Mosè riferì all'Eterno le parole del popolo. E l'Eterno disse a Mosè: “Ecco, io verrò a te in una fitta nuvola, affinché il popolo oda quando io parlerò con te, e ti presti fede per sempre”. E Mosè riferì all'Eterno le parole del popolo.
  • Allora l'Eterno disse a Mosè: “Va' dal popolo, santificalo oggi e domani, e fa' che si lavi le vesti. E siano pronti per il terzo giorno; perché il terzo giorno l'Eterno scenderà in presenza di tutto il popolo sul monte Sinai. E tu fisserai tutto attorno dei limiti al popolo, e dirai: Guardatevi dal salire sul monte o dal toccarne le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. Nessuna mano tocchi quel tale; ma sia lapidato o trafitto da frecce; che sia animale o uomo, non sia lasciato in vita! Quando il corno suonerà a distesa allora salgano pure sul monte”. E Mosè scese dal monte verso il popolo; santificò il popolo, e quelli si lavarono le vesti. Ed egli disse al popolo: “Siate pronti fra tre giorni; non accostatevi a donna”.
  • Il terzo giorno, quando fu mattino, ci furono dei tuoni, dei lampi, apparve una fitta nuvola sul monte, e si udì un fortissimo suono di tromba; e tutto il popolo che era nell'accampamento, tremò. E Mosè fece uscire il popolo dall'accampamento per condurlo incontro a Dio; e si fermarono ai piedi del monte. Il monte Sinai era tutto fumante, perché l'Eterno era disceso in mezzo al fuoco; e il fumo saliva come il fumo di una fornace, e tutto il monte tremava forte. Il suono della tromba si faceva sempre più forte; Mosè parlava, e Dio gli rispondeva con una voce. L'Eterno dunque scese sul monte Sinai, in vetta al monte; e l'Eterno chiamò Mosè in vetta al monte, e Mosè vi salì.
  • E l'Eterno disse a Mosè: “Scendi, avverti solennemente il popolo affinché non faccia irruzione verso l'Eterno per guardare, e non ne debbano morire molti. E anche i sacerdoti che si avvicinano all'Eterno, si santifichino, affinché l'Eterno non si avventi contro a loro”. Mosè disse all'Eterno: “Il popolo non può salire sul monte Sinai, perché tu ce lo hai vietato dicendo: 'Poni dei limiti attorno al monte, e santificalo'”. Ma l'Eterno gli disse: “Va', scendi giù; poi salirai tu e Aaronne con te; ma i sacerdoti e il popolo non facciano irruzione per salire verso l'Eterno, affinché non si avventi contro di loro”. Mosè scese dal popolo e glielo disse.
(Notizie su Israele, 18 novembre 2025)


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Il "Corridoio di Davide": geopolitica all'ombra dei re biblici

Tra l'Eufrate e il Mediterraneo si allunga sempre più un'ombra, proiettata dalla storia, dalla fede e dagli interessi geostrategici.

di Aviel Schneider

Il Corridoio di Davide
GERUSALEMME - Il mondo è piccolo e breve è il percorso che separa il Davide biblico dalla geopolitica moderna. Il titolo provvisorio “Corridoio di Davide” non è casuale. Il re Davide, che regnò a Gerusalemme nel X secolo a.C., creò un regno che si estendeva da Dan a nord fino a Beersheba a sud e la cui influenza, secondo i testi biblici, arrivava fino all'Eufrate (2 Samuele 8). “Davide nominò governatori in Aram-Damasco, e gli Aramei divennero sudditi di Davide e gli pagarono un tributo, e il Signore aiutò Davide ovunque andasse”.
Così come Davide creò allora un corridoio di sicurezza tra Israele e Aram-Damasco, anche oggi si potrebbe immaginare un corridoio simile, come baluardo protettivo e garanzia di libertà per Israele nel cuore del Medio Oriente. Per molti commentatori arabi, il termine evoca quindi ricordi della narrativa della “Grande Israele”, che presumibilmente mira a un'espansione territoriale lungo i confini biblici.

Alleanza periferica
  In effetti, da decenni nei dibattiti sulla sicurezza israeliana emerge l'idea di una “alleanza periferica”, ovvero alleanze con gruppi non arabi come curdi, drusi, alawiti o maroniti, al fine di aggirare la cintura nemica della maggioranza araba. Storicamente, ciò è stato realizzato negli anni '60 e '70 attraverso i contatti del Mossad con i curdi in Iraq. L'attuale “corridoio di Davide” appare quindi, dal punto di vista arabo, come una riedizione di questa politica, solo che questa volta l'obiettivo è quello di creare un asse strategico dalla costa mediterranea al Tigri.
Il contesto strategico è quello di contrastare insieme la “mezzaluna sciita”, che non minaccia solo Israele. Ma non è tutto. Dal punto di vista geopolitico, un corridoio di questo tipo sarebbe più di una semplice via terrestre. Rappresenterebbe una sfida per i nemici di Israele lungo la rotta controllata dall'Iran Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut. Stabilendo un proprio corridoio insieme ai curdi e ai drusi, Israele potrebbe indebolire massicciamente l'influenza iraniana in Siria e in Libano. Allo stesso tempo, aprirebbe l'accesso economico alle fonti energetiche nella Siria orientale.
Una tale coalizione etnico-politica non minaccerebbe Israele, ma fungerebbe da cuscinetto contro l'Iran, la Turchia e il jihad sunnita. Anche se le aree delle minoranze in Siria sono sparse, sarebbe possibile realizzare un asse strategico che colleghi i drusi di as-Suwayda nel sud con i curdi nel nord-est. Un corridoio di questo tipo creerebbe un blocco autonomo che garantirebbe la sicurezza e la deterrenza di Israele, molto più di qualsiasi pezzo di carta firmato con Damasco. Di fatto, finora ci sono solo interessi strategici, cooperazioni vaghe e presenza militare delle potenze occidentali in punti chiave dell'est come al-Tanf.
Ma nel mondo arabo basta il sospetto di un progetto simbolico di questo tipo per alimentare la paura di una trasformazione della regione. Israele appare come un attore che sfrutta il caos siriano per ottenere vantaggi al suo confine orientale. Il giornalista libanese Ali Mourad ha affermato che l'esercito israeliano sta operando “nel sud della Siria in un modo che non si vedeva dal 1973”. Secondo lui, questa avanzata sarebbe sostenuta in silenzio dall'Occidente, in accordo con i gruppi locali. Sulle reti irachene sono apparsi dei video che mostrano presumibilmente attrezzature israeliane al confine siriano.
Nel mondo arabo questo è considerato un parallelo storico e quindi temono un ritorno del regno di Davide. Qui sta il nucleo più profondo, quasi mitico, di questo dibattito: l'idea che Israele, un tempo piccolo, oppresso e ingannato, ora sopravviva e alla fine estenda addirittura la sua influenza, ricorda a molti arabi la storia biblica di Davide contro Golia. Questo genera il timore che la storia si ripeta, questa volta non con una fionda, ma con alleanze, tecnologia e calcoli strategici.

I media arabi
  I media arabi trattano l'argomento con grande fervore. Si potrebbe pensare che le nazioni arabe prendano più sul serio le promesse bibliche di Israele di qualsiasi governo israeliano.
“Corridoio di Davide: visione strategica o penetrazione reale?”, titolava Qudspress. “Il ricercatore palestinese Ahmad al-Hila ha messo in guardia dal sottovalutare il progetto del Corridoio di Davide. Lo ha definito il ”ponte terrestre“ di Israele, che potrebbe consentire una penetrazione nel Medio Oriente fino al nord dell'Iraq, in preparazione di una possibile espansione di Israele in profondità nella geografia araba, inserita in una strategia per un Grande Israele”.
“La ‘divisione di As-Suwayda’ suscita l'interesse di Israele per il Corridoio di Davide”, secondo il quotidiano arabo Al-Akhbar. "Le discussioni sul ‘corridoio di Davide’ sono aumentate in modo significativo, soprattutto dopo la caduta del regime di Assad alla fine del 2024. Israele ha approfittato del vuoto politico e di sicurezza in Siria per promuovere i suoi obiettivi strategici a lungo termine nella regione.

Il ‘corridoio di Davide’ nell'ideologia israeliana
  Il progetto è strettamente legato al concetto di ‘Grande Israele’, un elemento centrale ed espansionistico del sionismo. Questa visione, spesso attribuita al fondatore del sionismo moderno Theodor Herzl, si basa su una mappa biblica che si estende dal Nilo in Egitto all'Eufrate in Iraq. Il “Grande Israele” comprende diverse definizioni bibliche della terra di Israele, da un'area più ristretta, limitata alla terra delle dodici tribù, a una regione molto più vasta “dal Nilo all'Eufrate”. Il nome “Corridoio di Davide” deriva dall'estensione del dominio del re Davide e successivamente di Salomone fino all'Eufrate. Queste narrazioni bibliche forniscono a Israele una legittimazione storica e religiosa per le ambizioni regionali contemporanee. Mentre nell'Islam Davide è considerato un profeta, gli israeliani lo vedono principalmente come re e fondatore del “Grande Impero di Israele”. Il legame esplicito tra il “corridoio di Davide” e la “Grande Israele” mostra come narrazioni religiose e storiche profondamente radicate vengano utilizzate per legittimare l'espansione geopolitica. Il progetto non è quindi solo una risposta pratica alle preoccupazioni in materia di sicurezza, ma una strategia ideologica a lungo termine per espandere il controllo regionale su parti del territorio palestinese occupato e oltre".
L'Arab Newsroom scrive: “Corridoio di Davide: il progetto israeliano che potrebbe ridisegnare le mappe della regione”. In un recente rapporto dell'agenzia “Special Eurasia”, specializzata in analisi geopolitiche, il progetto israeliano “Corridoio di Davide” è stato descritto come un piano strategico ambizioso che mira a cambiare radicalmente gli equilibri di potere in Medio Oriente. I movimenti delle truppe israeliane indicano che si sta procedendo seriamente alla sua attuazione, anche se finora non c'è stato alcun annuncio ufficiale da Tel Aviv. Il “corridoio di Davide” è più che una questione geografica, è visto come uno strumento multidimensionale, storico, politico, economico, demografico e di sicurezza, con l'obiettivo di rafforzare l'influenza di Israele in una regione caratterizzata da numerosi conflitti regionali e situazioni di concorrenza. Questo progetto fa parte di una visione israeliana più ampia, che comprende anche altri corridoi come “Netzarim” nella Striscia di Gaza o “Philadelphia” al confine con l'Egitto. Insieme, sembrano costituire un progetto di ingegneria geopolitica che mira a ridisegnare le carte del controllo e dell'influenza in Medio Oriente.
L'emittente palestinese Radio Ajeal ritiene che il cosiddetto progetto “Corridoio di Davide” persegua obiettivi strategici e talmudici con cui Israele intende ridisegnare le carte dell'influenza in Siria. Questo corridoio formerebbe un arco protettivo tra Damasco e i suoi confini meridionali e orientali, indebolendo l'autorità centrale e fornendo vantaggi strategici a Tel Aviv. Il progetto “Corridoio di Davide” porterebbe avanti una strategia israeliana volta alla frammentazione della Siria.

Specchio delle paure regionali
  Il “Corridoio di Davide” è meno un progetto confermato che uno specchio delle paure regionali e un simbolo della mutevole geopolitica del Medio Oriente. Finora Israele non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale in merito. Tuttavia, il dibattito arabo nei paesi confinanti con Israele testimonia un forte senso di insicurezza e, per molti, anche la preoccupazione per i profondi cambiamenti nell'equilibrio di potere regionale. Qualsiasi operazione segreta oltre confine potrebbe diventare in futuro un evento pubblico e sconvolgente.
La stampa iraniana ha riportato su Mdeast.News: “Il ‘corridoio di Davide’: un grande pericolo per l'Iran. La nascita di piccole entità politiche in Siria e Iraq isolerebbe l'Iran dai suoi partner all'interno dell'”asse della resistenza" e potrebbe persino significare la fine di tale asse. Inoltre, l'Iran sarebbe esposto a una rete di intelligence e sicurezza formata da forze vicine a Israele. Uno degli elementi centrali di questa strategia è il cosiddetto “corridoio di Davide”, un progetto che negli ultimi dieci anni è stato più volte discusso da analisti turchi e arabi. L'obiettivo di questo corridoio è quello di promuovere l'idea di un “Grande Israele dal Nilo all'Eufrate”. Le conseguenze dirette per l'Iran sarebbero: isolamento strategico dal Mediterraneo e perdita del corridoio terrestre verso la Siria e il Libano, circondato da forze filo-israeliane e separatiste.

(Israel Heute, 18 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Sì, un giorno ci sarà il Grande Israele, anche se non sarà questo governo a introdurlo. Questo spiega l’odio di molti per Israele. È paura. Una subliminale paura di Dio che si esprime in odio per il popolo che ha scelto. M.C.

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“Capitan Ella”, la prima donna musulmana portavoce in arabo dell’IDF

di Nina Prenda

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Il colonnello Ella Waweya

Il colonnello Ella Waweya, conosciuta nel mondo arabo con il suo nome online “Capitan Ella”, dovrebbe sostituire il portavoce arabo dell’IDF Avihai Adraee, che lascia l’esercito israeliano dopo 20 anni di servizio. Con tutte le probabilità, sarà la prima donna araba musulmana a ricoprire questo ruolo.
Ella è cresciuta a Qalansawe e all’età di circa 24 anni ha deciso di arruolarsi nell’IDF. Un gesto che, nella società araba israeliana, resta raro e spesso controverso. Ella ha servito come nuovo funzionario dei media nella sezione delle comunicazioni arabe dell’unità del portavoce dell’IDF. Nel 2018 ha ricevuto un premio di eccellenza dall’allora capo del Comando Centrale, Aharon Haliva. Nel 2021 è stata promossa maggiore: la prima donna musulmana araba a raggiungere quel grado. 
Ha dichiarato a diversi media israeliani che “L’arena dei media è un campo di battaglia. Questa è una guerra che non è meno difficile di quella che avviene in altri luoghi”. “Quando guardiamo oggi al massacro del 7 ottobre, quando Hamas ha invaso Israele, loro sono entrati con le telecamere con l’obiettivo di cambiare le coscienze e costruire un cerchio di odio. Noi alla fine abbiamo mostrato la nostra verità. Abbiamo esposto ciò che l’altra parte sta facendo e abbiamo presentato la nostra verità con coraggio. Questo è molto importante”.
Ella ha descritto le diverse piattaforme mediatiche dove lavora: “Su TikTok c’è l’arena a cui mi rivolgo per parlare alla Giudea e Samaria e a Gaza, su Instagram è mista – anche all’Occidente, a Israele e alla società araba in generale, compresi i libanesi. Il pubblico di destinazione è il pubblico arabo in Medio Oriente”. Il suo volto è già familiare a chi segue i canali dell’IDF in lingua araba: video didattici, spiegazioni sugli eventi di guerra, aggiornamenti ufficiali. Il tutto svolto in uniforme, davanti alla bandiera d’Israele, con fierezza.
Nonostante la sua posizione non sia stata esente da critiche, soprattutto nel mondo arabo, Ella a chi commenta il suo operato con disprezzo risponde con calma: «Io sono dove voglio essere. Nessuno mi ha costretta». «Sono musulmana, sono araba, sono israeliana — e non devo scegliere tra queste identità». Capitan Ella è divisa tra chi la considera un esempio di integrazione e chi la accusa di aver “tradito” le proprie radici, tra chi la ritiene un esempio di cambiamento lento ma reale e chi nient’altro che una straordinaria eccezione.

(Bet Magazine Mosaico, 18 novembre 2025)

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Un’indagine racconta i giovani ebrei italiani

Quali sono le opinioni dei giovani ebrei italiani riguardo alla loro identità, il rapporto con la comunità ebraica e la società civile? È il tema dell’indagine Due ebrei, tre opinioni (Giuntina), curata da Carlotta Jarach e Giulio Piperno. Il lavoro sarà presentato al Centro Ebraico Il Pitigliani di Roma giovedì 20 novembre, alle 21. Assieme ai due curatori interverranno il presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia (Ugei) Luca Spizzichino e il giornalista David Parenzo, che modererà l’incontro.
  Strutturato in due parti, lo studio esamina prima gli aspetti teorici dell’identità ebraica, includendo un confronto con Israele e una panoramica sulla storia dell’Ugei. La seconda parte presenta un’indagine empirica svolta tra il 2021 e il 2024 su un campione di 200 persone tra i 18 e i 35 anni, analizzando le opinioni dei giovani su identità, religiosità, rapporto con Israele, matrimonio e social media. Rispetto al passato, scrive Piperno all’inizio del libro, «è riscontrabile una forte eterogeneità, legata in particolar modo al livello di osservanza religiosa, ma spesso anche al livello socioculturale di provenienza e alla comunità di appartenenza».
  Eterogenee sono ad esempio le risposte alla domanda «L’appartenenza all’ebraismo ha per te a che fare prevalentemente con quale aspetto?». Per il 43% dei partecipanti al sondaggio il principale elemento identitario è la cultura ebraica. A seguire, gli aspetti familiare e religioso ricevono rispettivamente il 23% e il 22% delle scelte. Una minoranza di intervistati riporta l’aspetto affettivo (7%) e un mix delle alternative indicate (4%). Ci sono anche differenze geografiche: a Milano la scelta preponderante è per l’elemento religioso (34%) mentre a Roma e nelle piccole comunità è per quello culturale (44% e 60%). Questo è solo uno degli esempi da cui emerge un gruppo under 35 dinamico, legato alle tradizioni ma aperto al confronto, critico verso le istituzioni ebraiche, ben integrato nel paese ma disposto a trasferirsi per migliori opportunità, con una particolare attenzione a Israele.Dopo il 7 ottobre 2023, il timore dell’antisemitismo è aumentato, portando alcuni a cambiare abitudini e a cercare più supporto nelle comunità ebraiche.

(moked, 18 novembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 18
    Visita di Ietro a Mosè
  • Ietro, sacerdote di Madian, suocero di Mosè, udì tutto quello che Dio aveva fatto in favore di Mosè e d'Israele suo popolo: come l'Eterno aveva tratto Israele fuori dall'Egitto. E Ietro, suocero di Mosè, prese Sefora, moglie di Mosè, che questi aveva rimandata, e i suoi due figli che si chiamavano: l'uno, Ghersom, perché Mosè aveva detto: “Ho soggiornato in terra straniera”; e l'altro Eliezer, perché aveva detto: “L'Iddio del padre mio è stato il mio aiuto, e mi ha liberato dalla spada del Faraone”. Ietro dunque, suocero di Mosè, andò da Mosè, con i figli e la moglie di lui, nel deserto dove egli era accampato, al monte di Dio; e mandò a dire a Mosè: “Io, Ietro, tuo suocero, vengo da te con tua moglie e i suoi due figli con lei”.
  • Mosè uscì a incontrare suo suocero, si inchinò, e lo baciò; si informarono reciprocamente della loro salute, poi entrarono nella tenda. Allora Mosè raccontò a suo suocero tutto quello che l'Eterno aveva fatto al Faraone e agli Egiziani per amore d'Israele, tutte le sofferenze patite durante il viaggio, e come l'Eterno li aveva liberati. E Ietro si rallegrò di tutto il bene che l'Eterno aveva fatto a Israele, liberandolo dalla mano degli Egiziani. Poi Ietro disse: “Benedetto sia l'Eterno, che vi ha liberati dalla mano degli Egiziani e dalla mano del Faraone, e ha liberato il popolo dal giogo degli Egiziani! Ora riconosco che l'Eterno è più grande di tutti gli dèi; tale si è mostrato, quando gli Egiziani hanno agito orgogliosamente contro Israele”. Così Ietro, suocero di Mosè, prese un olocausto e dei sacrifici per offrirli a Dio; e Aaronne e tutti gli anziani d'Israele vennero a mangiare con il suocero di Mosè in presenza di Dio.
  • Il giorno seguente, Mosè si sedette per rendere giustizia al popolo; e il popolo stette intorno a Mosè dal mattino fino alla sera. E quando il suocero di Mosè vide tutto quello che egli faceva per il popolo, disse: “Che cos'è quello che fai con il popolo? Perché siedi solo, e tutto il popolo ti sta attorno dal mattino fino alla sera?”. E Mosè rispose a suo suocero: “Perché il popolo viene da me per consultare Dio. Quando hanno qualche affare, vengono da me, e io giudico fra l'uno e l'altro, e faccio loro conoscere gli ordini di Dio e le sue leggi”. Ma il suocero di Mosè gli disse: “Quello che fai non va bene. Tu ti esaurirai certamente: tu e questo popolo che è con te; poiché questo compito è troppo pesante per te; non puoi farcela da solo. Ora ascoltami; ti darò un consiglio e Dio sia con te: Sii tu il rappresentante del popolo davanti a Dio, e porta a Dio le loro cause. Insegna loro gli ordini e le leggi, e mostra loro la via per la quale devono camminare e quello che devono fare; ma scegli fra tutto il popolo degli uomini capaci che temano Dio: degli uomini fidati, che detestino il guadagno illecito; e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine; e rendano giustizia al popolo in ogni tempo; e riferiscano a te ogni affare di grande importanza, ma ogni piccolo affare lo decidano loro. Allevia così il peso che grava su te, e lo portino loro con te. Se tu fai questo, e se Dio te lo ordina, potrai durare; e anche tutto questo popolo arriverà felicemente al luogo che gli è destinato”.
  • Mosè diede ascolto alla voce di suo suocero, e fece tutto quello che egli aveva detto. Così Mosè scelse fra tutto Israele degli uomini capaci, e li stabilì capi del popolo: capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. E questi rendevano giustizia al popolo in ogni tempo; le cause difficili le portavano a Mosè, ma ogni piccolo affare lo decidevano loro. Poi Mosè congedò suo suocero, il quale se ne tornò al suo paese.

(Notizie su Israele, 16 novembre 2025)


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Rafforzata la sicurezza intorno ai deputati ortodossi dopo le violenze legate al disegno di legge sulla coscrizione

La polizia israeliana ha annunciato il rafforzamento della sicurezza intorno a tre deputati ortodossi nel contesto delle crescenti tensioni intorno alla legge sulla coscrizione. Yoav Ben-Tzur (Shas), Yaakov Asher e Moshe Gafni (Giudaismo Unificato della Torah) sono stati classificati al livello di minaccia 4 dal capo della divisione operazioni di polizia, il commissario David Filo, durante una riunione lunedì mattina.
Questa decisione arriva in un contesto di forti tensioni intorno al progetto di legge sulla coscrizione degli ortodossi, che suscita l'ira di una parte della comunità haredi.
Il livello 4 rappresenta uno dei livelli più alti della scala di minaccia utilizzata dalla polizia israeliana, che arriva fino al livello 6. A questo punto, i deputati interessati sono considerati minacciati, senza che la loro vita sia tuttavia in pericolo immediato.
Concretamente, essi beneficiano ora di un trattamento prioritario: intervento rapido delle pattuglie di polizia in caso di allarme, chiamate prioritarie al centro di comando e valutazioni sistematiche della sicurezza prima di ciascuno dei loro spostamenti nei diversi settori in cui devono recarsi.
Se la minaccia dovesse aggravarsi e passare al livello 5, i deputati dovrebbero installare telecamere di sorveglianza nelle loro abitazioni e nelle zone circostanti, disporre di pulsanti di allarme e adottare misure di sicurezza supplementari. Al livello 6, la Knesset sarebbe costretta ad assegnare loro guardie del corpo a tempo pieno.
Il rafforzamento della sicurezza fa seguito a diverse manifestazioni degenerate negli ultimi giorni. Domenica sera, decine di manifestanti ortodossi si sono radunati davanti alla casa di Yaakov Asher a Bnei Brak per protestare contro il disegno di legge. La polizia e le guardie di frontiera sono dovute intervenire per disperdere la folla.
L'incidente più grave si è verificato sabato sera, quando Yoav Ben-Tzur è sfuggito per un soffio al linciaggio. Mentre circolava nei pressi del quartiere di Mea Shearim, diverse decine di ortodossi hanno circondato il suo veicolo. I manifestanti hanno colpito l'auto, vi si sono aggrappati e sono arrivati persino a rompere i finestrini. Il deputato è uscito illeso grazie all'intervento dei soldati della polizia di frontiera.
Fino a domenica sera, Yoav Ben-Tzur si è tuttavia rifiutato di sporgere denuncia. Nonostante questa riluttanza, la polizia afferma di disporre di video che mostrano la maggior parte delle persone coinvolte e intende individuarle e arrestarle a breve.

(i24, 17 novembre 2025)

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Voci silenziate. I giornalisti sotto attacco dei propal

Aggrediti fisicamente o zittiti in eventi pubblici perché ebrei, israeliani o semplicemente sostenitori di Israele: sono molti i giornalisti del mondo che subiscono episodi di violenza perché non allineati con la narrativa pro-pal. Attacchi che arrivano anche a colpire i loro figli.

di Nathan Greppi

Quando, nel maggio 2021, alcuni manifestanti pro-Palestina le hanno lanciato addosso sassi e petardi a Berlino, la giornalista israeliana Antonia Yamin non era nuova a questo genere di situazioni: inviata in Germania dell’emittente pubblica israeliana KAN, già nel novembre 2018 era stata aggredita sempre a Berlino assieme al suo cameraman da un gruppo di ragazzi arabi, i quali hanno lanciato un petardo verso di loro.

Giornalisti aggrediti
  Dopo il 7 ottobre 2023, episodi come quelli in cui è rimasta coinvolta la Yamin sono diventati sempre più frequenti: in Occidente, si sono verificati diversi attacchi da parte dei propal nei confronti di giornalisti ebrei, israeliani o con posizioni filoisraeliane, che sono avvenuti con modalità diverse. Se in Italia nel 2024 si sono fatti notare soprattutto i casi di David Parenzo e Maurizio Molinari, censurati rispettivamente all’Università La Sapienza di Roma e all’Università Federico II di Napoli, altrove si sono verificate anche vere e proprie aggressioni fisiche.
  È successo ad esempio a Zeev Avrahami, inviato del sito di notizie israeliano Ynet, che nel maggio 2024 stava coprendo una protesta filopalestinese a Malmö, in Svezia, mentre nella stessa città si teneva l’Eurovision Song Contest: “Ho tirato fuori il telefono e ho iniziato a scattare delle foto. Dopo pochi secondi, una donna sui 60 anni, vestita con un abito a tema kefiah, la testa e la bocca coperta da una sciarpa e una maschera palestinesi, mi è saltata addosso e mi ha chiesto di smettere di fotografare. Ho detto che viviamo in una democrazia e in un luogo pubblico, e lei mi ha chiesto di smettere di fotografare e cancellare la foto. I suoi amici mi hanno circondato e lei è andata a chiamare la polizia. L’agente ha detto che avevo il permesso di fotografare”, ha raccontato in seguito Avrahami.
  Dopo che il reporter di Ynet si è addentrato nella manifestazione, dove si urlavano slogan come “dal fiume al mare”, nel giro di pochi minuti la donna “è ricomparsa, accompagna da sette o otto giovani musulmani con tutti gli attributi. Mi hanno chiesto i documenti e di dimostrare che non ero ebreo né israeliano. Ho risposto che sono ebreo e israeliano, e che non gli avrei dato la mia carta d’identità. Mi hanno circondato, e all’improvviso un oggetto affilato mi ha colpito forte in testa. Sono caduto, mi sono messo le mani sulla testa e ho cercato solo un modo per scappare. Gli agenti svedesi hanno protetto solo il perimetro della piazza occupata, e non sono intervenuti”. Dopo esser caduto, ha ricevuto altri pugni e calci da parte dei manifestanti, i quali gridavano “Da Malmö a Jenin, la Palestina sarà libera”.
  Episodi analoghi si sono verificati anche negli Stati Uniti: durante una manifestazione del giugno 2024 a New York, in cui attivisti antisraeliani protestavano contro una mostra sul massacro del Nova Music Festival, la giornalista Olivia Reingold, inviata del sito americano The Free Press, è stata circondata da dozzine di manifestanti, dopo che uno di loro le ha puntato il dito contro gridando: “È una sionista! Buttatela fuori di qui”. Un altro manifestante le ha strappato via il taccuino gridando: “Tu non scrivi proprio niente. Vattene a fanculo!”.

Eventi colpiti
  Ad essere vittime di questo odio non sono stati solo ebrei o israeliani, ma anche non ebrei che difendono le ragioni d’Israele: è il caso della giornalista ed ex-deputata spagnola Pilar Rahola, che nell’ottobre 2024 stava tenendo un convegno a La Garriga, vicino a Barcellona. In tale occasione, manifestanti di estrema sinistra le hanno versato addosso della vernice rossa, gridando: “Sei macchiata di sangue, questo è quello che succede ai sostenitori del genocidio in Palestina” .
  Per tutta risposta, la Rahola non si è scomposta, e ha continuato l’incontro dopo essersi ripulita, dichiarando: “Non mi metteranno a tacere. Non mi nasconderò, e non avrò paura di loro. Sono una libera cittadina in un paese libero. Non sarà il fascismo, né di destra, né di sinistra, che mi impedirà di esercitare la mia libertà. È di questo che avete paura, voi aggressori. Avete paura della libertà”.
  Anche negli Stati Uniti ci sono stati casi di eventi in cui relatori filoisraeliani hanno subito attacchi pesanti da parte del pubblico: nel settembre 2024 Dana Bash, giornalista ebrea della CNN, stava presentando in una libreria di Washington il suo ultimo libro, America’s Deadliest Election. In tale occasione, un manifestante che indossava una maschera l’ha attaccata dicendo che “dovresti stare dietro le sbarre”, e che “sappiamo chi sei, sappiamo cosa stai dicendo. Non è una guerra, non è mai stata una guerra, è una pulizia etnica”.
  Il suo collega della CNN Jake Tapper, anche lui ebreo, ha ritwittato un video dell’accaduto, condannando il fatto. Nel giugno dello stesso anno, manifestanti propal si sono radunati per protestare davanti alla casa dello stesso Tapper, insultando i suoi figli che erano affacciati sul balcone.

Minacce e intimidazioni
  Se alla BBC le voci filopalestinesi possono anche incitare all’odio nei confronti degli ebrei, come ha dimostrato un report scritto dal loro ex-consulente Michael Prescott, al contrario le voci che non si allineano ad una certa narrazione corrono seri rischi. Ne sa qualcosa Raffi Berg, redattore della BBC specializzato sul Medio Oriente, il quale ha ricevuto diverse minacce di morte dopo che nel dicembre 2024 un giornalista filopalestinese, Owen Jones, ha scritto un articolo sul sito Drop Site in cui sosteneva che Berg “gioca un ruolo chiave in una più ampia cultura della BBC di ‘sistematica propaganda israeliana’”. Per questo, nel novembre 2025 Berg ha querelato Jones per diffamazione
  Un altro giornalista inglese, Nicholas Potter, ha ricevuto minacce pesanti dopo che nel marzo 2025 ha confutato l’accusa di genocidio in merito alla guerra a Gaza, in un suo articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Die Tageszeitung. L’articolo ha ricevuto risposte talmente violente che poco dopo la pubblicazione la sezione commenti è stata chiusa. E per le strade di Berlino, sono apparsi dei poster con la sua immagine che dicevano: “Non concediamo a coloro che avallano ideologicamente il genocidio in Palestina un attimo di tregua. Vengono nella nostra città e pensano che nessuno li riterrà responsabili. Sono persone normali che sanguinano come chiunque altro, e possono essere umiliate ed eliminate”.
  Questa non era la prima volta che Potter, già collaboratore di giornali come il Guardian e Haaretz, riceveva attacchi per il suo lavoro. Quando, nell’ottobre 2024, Greta Thunberg è andata a Berlino per prendere parte ad una manifestazione pro-Palestina, ha rilasciato un’intervista ad un sito berlinese di estrema sinistra chiamato Red. Un’inchiesta di Potter ha rivelato che si tratta di una piattaforma legata al Cremlino nata per veicolare propaganda filorussa, e per questo il giornalista ha ricevuto numerose intimidazioni.

Attacchi ai figli dei giornalisti
  Talvolta ad essere presi di mira non sono solo i giornalisti, ma anche i loro figli: è quello che è successo a Edimburgo, in Scozia, al figlio tredicenne della giornalista ebrea scozzese Leah Benoz, come ha rivelato lei stessa in un video su Instagram nell’ottobre 2025.
  “Questa mattina, nell’anniversario degli attentati del 7 ottobre e giorni dopo l’omicidio di due ebrei a Manchester”, ha dichiarato la Benoz, “mio figlio mi ha chiamato dal suo liceo di Edimburgo per dirmi che un altro ragazzo aveva minacciato di accoltellarlo in classe. Ieri, mio figlio era tornato a casa sconvolto dicendo che quest’altro ragazzo gli aveva chiesto di esprimere la sua posizione sul conflitto israelo-palestinese, […] e con tutte le sfumature e la compassione che un ragazzo di 13 anni spaventato era in grado di dare, ha spiegato che la guerra è terribile e che vuole che finisca, ma che sente una profonda connessione con Israele in quanto ebreo”.
  La Benoz ha aggiunto che “questo ragazzo ha poi molestato mio figlio per ore, gli ha detto che tutti gli israeliani sono terroristi, che gli israeliani sparano ai bambini in testa, che lui è un terrorista, e ha detto ad altri ragazzi che mio figlio crede che tutti i palestinesi dovrebbero morire”. Ha inoltre affermato: “Questo è ciò che significa essere ebrei in Scozia in questo momento […]  Questo ragazzo che ha aggredito mio figlio è stato radicalizzato a casa, è il prodotto di un ecosistema d’odio che è stato lasciato proliferare. Non possiamo andare avanti così”.

(Bet Magazine Mosaico, 17 novembre 2025)

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Israele respinge l'iniziativa sostenuta dagli Stati Uniti per un “percorso” verso uno Stato palestinese

Gerusalemme respinge l'appello internazionale – I ministri ribadiscono che non sorgerà uno Stato palestinese né in Giudea e Samaria né nella Striscia di Gaza.

Domenica Gerusalemme ha respinto una dichiarazione coordinata dagli Stati Uniti e firmata da diversi Stati, nella quale si chiedeva un “percorso” – una possibile via – verso l'autodeterminazione e la statualità palestinese. Diversi membri del gabinetto israeliano hanno sottolineato che Israele non permetterà la creazione di uno Stato palestinese né in Giudea e Samaria né nella Striscia di Gaza.
Il ministro degli Esteri Gideon Sa'ar ha dichiarato in ebraico che Israele “non acconsentirà alla creazione di uno Stato palestinese terrorista nel cuore del Paese, nelle immediate vicinanze di tutti i centri abitati e in posizione topografica dominante rispetto ad essi”. Ha inoltre sottolineato che le forze di difesa israeliane stanno attualmente lavorando per smantellare tre strutture terroristiche sostenute dall'Iran: Hamas nella Striscia di Gaza, Hezbollah nel sud del Libano e il movimento Houthi nello Yemen.
Anche il ministro della Difesa Israel Katz ha ribadito domenica che la politica del governo è chiara: “Non ci sarà uno Stato palestinese”. Gaza sarà completamente smilitarizzata, “fino all'ultimo tunnel”, e Hamas sarà disarmato - nella cosiddetta “zona gialla” dall'IDF, nella zona della vecchia Striscia di Gaza da una forza di stabilizzazione internazionale o dall'esercito israeliano stesso. La “zona gialla” comprende poco più della metà del territorio della Striscia di Gaza, da cui l'IDF si era ritirato nell'ambito della tregua mediata dagli Stati Uniti. Katz ha inoltre annunciato che i soldati israeliani rimarranno di stanza sull'Hermon e nella zona di sicurezza in Siria per proteggere il confine settentrionale di Israele dopo la caduta del regime di Assad alla fine del 2024.
La dichiarazione congiunta è stata pubblicata venerdì su iniziativa degli Stati Uniti. Otto paesi – Qatar, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Indonesia, Pakistan, Giordania e Turchia – hanno sostenuto la proposta statunitense di una forza internazionale di stabilizzazione per la Striscia di Gaza. Il processo, secondo il testo, “offre una via verso l'autodeterminazione e la sovranità palestinese”. La formulazione andava oltre il piano di pace in 20 punti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, già approvato da Gerusalemme, poiché non lasciava più aperta la questione della sovranità.
Il presidente dell'Autorità palestinese, Mahmud Abbas, ha accolto con favore la dichiarazione, affermando che essa conferma “il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione e alla creazione di uno Stato palestinese indipendente”.
In Israele, la dichiarazione ha suscitato reazioni significative all'interno del governo. Sabato sera, i principali partner di coalizione di destra hanno esortato il primo ministro Benjamin Netanyahu a chiarire in modo inequivocabile che Gerusalemme non accetterà uno Stato palestinese. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha ricordato che Netanyahu aveva annunciato una “risposta decisa” dopo il riconoscimento unilaterale della “Palestina” da parte di diversi paesi guidati dalla Francia il 21 settembre. Due mesi dopo, tuttavia, è seguito il “silenzio”, il che rende la situazione ‘pericolosa’.
Anche il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha dichiarato che non farà parte di un governo che acconsenta tacitamente a un tale sviluppo. Ha esortato il primo ministro a chiarire inequivocabilmente che Israele “non permetterà in alcun modo la creazione di uno Stato palestinese”. Nel suo intervento ha inoltre ribadito la sua nota posizione sull'identità dei palestinesi e sul futuro della Striscia di Gaza.
Già lo scorso anno la Knesset aveva respinto con 99 voti contro 11 il riconoscimento unilaterale internazionale di uno Stato palestinese. Sia la coalizione che gran parte dei partiti sionisti dell'opposizione si erano allora espressi contro “i diktat internazionali su un accordo definitivo con i palestinesi”. A luglio, una maggioranza di 71 deputati ha votato a favore di una risoluzione non vincolante che sosteneva l'applicazione della sovranità israeliana in Giudea, Samaria e nella Valle del Giordano. Inoltre, il mese scorso il Parlamento ha approvato in prima lettura due progetti di legge che prevedono l'annessione formale di alcuni territori della Giudea e della Samaria. I progetti sono stati deferiti alla commissione Affari esteri e difesa per un'ulteriore discussione.

(Israel Heute, 16 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il doppio gioco di Doha: perché il Qatar non è un mediatore neutrale

E perché l’Europa deve svegliarsi

di Stefano Piazza

Negli ultimi interventi concessi alla CNN, il primo ministro del Qatar ha lodato la presunta “vocazione unica” del suo Paese a porsi come ponte tra fazioni in guerra, ascoltandone rivendicazioni e lamentele. Una narrativa elegante, adatta ai salotti diplomatici occidentali. Ma dietro quella patina di buon senso si nasconde una realtà molto meno innocua, ben ricostruita – dati alla mano da Natalie Ecanow ricercatrice della Foundation for Defense of Democracies (FDD): l’intera capacità di mediazione dell’emirato poggia su una rete costruita in decenni di rapporti con alcune delle organizzazioni terroristiche più pericolose del pianeta. Gli Stati Uniti, non potendo dialogare direttamente con questi gruppi, hanno lasciato che fosse Doha a farlo. Il problema è che il Qatar non si limita a parlare con i terroristi: li ospita, li finanzia, li agevola. Nella migliore delle ipotesi, entra alle trattative con un evidente conflitto d’interessi. Nella peggiore, si muove come un alleato occulto dei gruppi armati con cui dovrebbe fare da arbitro.
La storia dei legami fra Doha e Hamas parte già nel 1999, quando i leader del movimento palestinese cercavano un rifugio dopo l’espulsione dalla Giordania. Hamas inizialmente scelse la Siria, ma non tagliò mai il cordone ombelicale con il Qatar, fino all’apertura dell’ufficio politico a Doha nel 2012. Proprio quell’anno l’allora emiro fu il primo leader straniero a visitare Gaza sotto il controllo di Hamas, promettendo 400 milioni di dollari. Secondo FDD e fonti d’intelligence americane e israeliane, quella cifra è poi cresciuta fino a raggiungere circa 1,8 miliardi di dollari entro il 2023, più trasferimenti aggiuntivi tramite canali riservati. Soldi senza i quali – sostengono gli analisti – il massacro del 7 ottobre, costato la vita a 1.200 civili israeliani, non sarebbe stato possibile. I vertici di Hamas hanno vissuto per anni a Doha accumulando ricchezze colossali, protetti dall’emirato anche dopo l’inizio della guerra. Quando Ismail Haniyeh è stato ucciso nel 2024, l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani ha partecipato al funerale insieme ai capi di Hamas e della Jihad Islamica.

Non solo Hamas: Doha come retrovia di Al Qaeda e Talebani
  La rete del Qatar non si ferma a Gaza. Negli anni ’90, Khalid Sheikh Mohammed – architetto dell’11 settembre – trovò rifugio a Doha grazie all’ospitalità di un ministro qatarino, lavorando persino per il governo. Quando gli Stati Uniti stavano per arrestarlo, funzionari dell’emirato lo avrebbero avvertito, permettendogli di scappare in Pakistan. Nel 2012 Doha aprì le porte anche ai leader del Fronte al-Nusra, branca siriana di Al Qaeda, organizzando incontri con alti funzionari qatarini e pagando riscatti milionari per liberare ostaggi in Siria. Il successivo rebranding del gruppo in Hayat Tahrir al-Sham fu, secondo FDD, poco più di un maquillage richiesto proprio dal Qatar. Dal 2013, infine, Doha ospita l’ufficio politico dei Talebani, una sede che avrebbe dovuto agevolare i negoziati di pace ma che si è trasformata in un centro operativo, logistico e di raccolta fondi. Da lì sono passati gli accordi che hanno portato al ritiro americano del 2021 e sempre lì si sono stabiliti i famigerati “Taliban Five” liberati dagli Stati Uniti nel 2014. Tre di loro, secondo varie testimonianze, avrebbero tentato di riallacciare i legami con le reti jihadiste.
Nonostante le promesse del 2017, il Qatar resta un paradiso per i finanziatori del jihadismo. Appena due settimane dopo il massacro del 7 ottobre, il Tesoro americano ha sanzionato un finanziatore di Hamas residente a Doha, accusato di aver gestito trasferimenti per decine di milioni. La FATF – organismo internazionale contro il riciclaggio – ha certificato nel 2023 che il Qatar non persegue adeguatamente i casi di finanziamento del terrorismo. Nel 2017 Donald Trump aveva indicato chiaramente Doha come sostenitore dell’estremismo, dopo che Arabia Saudita ed Emirati avevano imposto un embargo all’emirato. Nel suo secondo mandato, però, l’ex presidente ha cambiato toni, lasciandosi corteggiare dagli stessi leader che prima criticava. Un errore, sostiene FDD, che Washington non può più permettersi.
L’Europa continua invece a trattare il Qatar come un partner indispensabile, sedotta dalla combinazione di gas naturale, investimenti e relazioni “facili”. Ma la documentazione raccolta da FDD e da molte intelligence occidentali mostra un quadro inequivocabile: Doha non è un mediatore super partes, bensì un attore che ha costruito la sua influenza proprio grazie alla complicità con gruppi armati radicali. Gli emiri non hanno mai pagato un prezzo politico reale per questi rapporti. E finché continueranno a essere accolti come mecenati nei palazzi europei, il Qatar non avrà alcun motivo per cambiare condotta. Il Qatar si presenta come un raffinato facilitatore di crisi. In realtà, è spesso il principale sponsor delle stesse crisi che poi “media”. Se l’Occidente vuole davvero contrastare l’estremismo e ridurre l’instabilità, la prima cosa da fare è disincantarsi. È ora che anche l’Europa e l’Italia smettano di lasciarsi ammaliare dagli emiri di Doha e inizino a guardare il Qatar per ciò che è davvero, non per ciò che racconta di essere.

(L'informale, 16 novembre 2025)

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Quanti credono in Dio? E quanti credono nella venuta del Messia? Che cosa cambia dopo la guerra

Secondo un sondaggio dell’Università Reichman, il 78% dei cittadini israeliani crede in Dio - Il 57% degli ebrei in Israele ritiene di avere diritto alla Terra d’Israele in virtù di una promessa divina - Il 44% degli ebrei crede nell’esistenza del Gan Eden, rispetto al 90% degli arabi

di Asif Efrat

Negli ultimi mesi si è intensificato il dibattito pubblico sul fenomeno del rafforzamento del sentimento religioso degli israeliani a seguito della guerra. L’Istituto per la Libertà e la Responsabilità è stato il primo a evidenziare questo fenomeno attraverso sondaggi d’opinione condotti durante la guerra. In questi sondaggi abbiamo scoperto che quasi un terzo degli israeliani riferisce che l’esperienza della guerra ha rafforzato la loro fede in Dio, e più di un quarto dichiara di essersi avvicinato alla tradizione religiosa. Abbiamo inoltre riscontrato che l’avvicinamento alla religione all’ombra della guerra è particolarmente evidente tra i giovani.
Questi risultati ci hanno portato a cercare di tracciare un quadro più preciso della fede religiosa in Israele. Lo abbiamo fatto attraverso un sondaggio condotto nel luglio 2025 su un campione rappresentativo di 800 israeliani (648 ebrei e 152 arabi).
Abbiamo chiesto ai partecipanti delle loro credenze al momento del sondaggio, senza confrontarle con le credenze che avevano prima della guerra. Pertanto, il sondaggio non misura direttamente l’impatto della guerra sulla fede religiosa dei cittadini israeliani, ma indica una fede forte in ampie fasce del pubblico israeliano, in particolare tra i giovani. Riteniamo che questa fede esprima, almeno in parte, l’impatto della guerra.

Il 59% riferisce che oltre alla fede religiosa, anche le pratiche religiose hanno importanza nelle loro vite.
  Secondo il sondaggio, il 78% dei cittadini israeliani crede in Dio. Si tratta di un’alta percentuale di fede in Dio, riscontrata anche in sondaggi precedenti. Ma abbiamo posto una domanda supplementare: in che misura Dio ha importanza nella tua vita? Il 69% dei partecipanti al sondaggio ha riferito che Dio ha importanza nelle loro vite. Questo significa che la maggior parte degli israeliani non crede in Dio in modo puramente simbolico e superficiale; a loro avviso, Dio svolge un ruolo significativo nelle loro vite. La maggioranza degli israeliani – il 59% – riferisce che oltre alla fede religiosa, anche le pratiche religiose hanno importanza nelle loro vite.
Alti livelli di fede religiosa sono evidenti anche in domande più specifiche. Secondo il sondaggio, il 60% di tutti gli israeliani crede nell’esistenza del Gan Eden, il 54% crede nell’esistenza del Ghehinnom e il 50% crede nella venuta del Messia. Va notato che in queste domande sono emerse grandi differenze tra ebrei e arabi. Ad esempio, il 44% degli ebrei crede nell’esistenza del Gan Eden, rispetto al 90% degli arabi. Ma anche una percentuale di fede del 44% – quasi metà della popolazione ebraica – è elevata.
Abbiamo inoltre riscontrato che molti ebrei credono in una promessa divina o in un intervento divino. La maggioranza degli ebrei in Israele – il 57% – ritiene che gli ebrei abbiano diritto alla Terra d’Israele in virtù di una promessa divina. Secondo molti, l’attacco israeliano all’Iran nel giugno 2025 ha avuto successo non solo grazie all’audacia e alla sofisticazione delle forze di sicurezza – il 39% degli ebrei ritiene che l’attacco sia riuscito grazie a un miracolo divino.
Naturalmente, la forza della fede religiosa varia tra i diversi gruppi in Israele. Come descritto sopra, gli arabi in Israele sono più devoti nella loro fede rispetto agli ebrei. Gli elettori di destra, che includono nazional-religiosi e ultraortodossi, hanno una fede più profonda rispetto agli elettori di centro-sinistra.
Ma il risultato più interessante riguarda la distribuzione per età della fede. I nostri precedenti risultati hanno mostrato che la guerra ha rafforzato la fede religiosa, specialmente tra i giovani. I risultati attuali indicano chiaramente una forte fede religiosa della popolazione giovane in Israele. Ad esempio, il 76% dei 18-34enni riferisce che Dio ha importanza nelle loro vite, rispetto al 51% tra gli over 55. Il 71% dei 18-34enni crede nell’esistenza del Gan Eden, rispetto al 32% tra gli over 55; e il 59% dei 18-34enni crede nella venuta del Messia, rispetto al 27% degli over 55.
La vicinanza della giovane generazione israeliana alla religione è opposta alle tendenze oggi note in molti paesi del mondo, dove la generazione più anziana è più vicina alla religione. La vicinanza dei giovani in Israele alla religione era stata identificata già prima della guerra, e si è rafforzata, a quanto pare, a seguito di due anni di guerra dura e dolorosa. Oggi, la grande maggioranza dei giovani israeliani riferisce dell’importanza di Dio nelle loro vite. Questa realtà riflette, almeno in parte, il trauma di una guerra prolungata.
(Israel Hayom – 27/10/2025)

(Kolòt - Morashà, 16 novembre 2025)

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