Notizie su Israele 140 - 28 novembre 2002


<- precedente    seguente ->                                                                                                                                                 indice
In quel tempo, io agirò contro tutti quelli che ti opprimono; salverò la pecora che zoppica, raccoglierò quella che è stata cacciata via, e li renderò gloriosi e famosi, in tutti i paesi dove sono stati nella vergogna. In quel tempo, io vi ricondurrò; in quel tempo, vi raccoglierò; perché vi renderò famosi e gloriosi fra tutti i popoli della terra, quando farò tornare, sotto i vostri occhi, quelli che sono in esilio», dice il SIGNORE.

(Sofonia 3:19-20)



UN DOCUMENTO SUL TRAFFICO D'ARMI FIRMATO DA ARAFAT


Il giornalista Amit Cohen riferisce che questa mattina [28 novembre] le forze dell'esercito israeliano, nella loro irruzione nei locali dei servizi della sicurezza preventiva palestinese dalla striscia di Gaza, hanno trovato un documento altamente compromettente per il capo dell'Autorità Palestinese. Il testo, scritto a mano da Arafat stesso, ratifica un accordo segreto riguardante l'acquisto di armi da trasferire all'Autorità Palestinese, in flagrante violazione degli accordi di Oslo. Questo documento, presentato come "altamente confidenziale e urgente", rivela quindi il coinvolgimento personale di Arafat nel traffico di armi. Con questa transazione i palestinesi sono entrati in possesso di 250 fucili d'assalto di tipo Kalaschnikov, utilizzati dai Tanzim nei loro attacchi. In una lettera datata 15 dicembre 2001, scritta su carta ufficiale dell'Autorità Palestinese, si dice che la procedura sarà realizzata in un luogo segreto attraverso l'opera di un mediatore.
    I responsabili dell'esercito israeliano ritengono che questa lettera sia stata scritta negli uffici di Yasser Arafat a Ramallah e consegnata attraverso Dahlan e Dyabali. Arafat, che ha confermato questo contratto, ha dato l'ordine al suo consigliere finanziario, Fuad Shubaki, di procedere al trasferimento dei fondi. Questo procedimento è avvenuto alla vigilia del cessate il fuoco proclamato da Arafat e nel momento in cui la nave Karine A, che aveva lasciato le coste iraniane, navigava in direzione della striscia di Gaza.

(Maariv, 28.11.02 - ripreso da Proche.Orient.info)



ISRAELE VI TRADIRA' COME GIUDA HA TRADITO GESU'


"Siete prevenuti e fuorviati da Israele, e Israele vi tradira' come Giuda ha tradito Gesu'." Lo ha detto il presidente del parlamento siriano Abdul Khader Kaddoura a Francois Zimeray, membro francese del parlamento europeo, che gli aveva fatto una domanda circa le condizioni della liberta' di espressione e dei diritti umani in Siria.
    Kaddoura, alla guida di una delegazione di parlamentari siriani in visita la settimana scorsa al Parlamento europeo per la prima volta in venti anni, ha continuato sostenendo che in Siria c'e' "sia liberta' di parola che diritti umani" e che la Siria e' un paese democratico anche se la democrazia siriana e' "diversa" da quella occidentale.
    Rispondendo alla domanda perche' la Siria non faccia chiudere gli uffici di organizzazioni terroristiche che operano a Damasco alla luce del sole, Kaddoura ha detto che lui "capisce" gli attentatori suicidi e gli attacchi contro Israele.
    Secondo Zimeray, Kaddoura ha usato i termini "massacro e genocidio" in riferimento alla battaglia di Jenin della scorsa primavera, ignorando le conclusioni della stessa inchiesta dell'Onu.

(israele.net, 27.11.02 - dalla stampa israeliana)



GIORNALISTA LIBERAL LICENZIATO DALL'AL-HAYAT


Il giornalista tunisino Lafif Lakhdhar è stato licenziato recentemente dal quotidiano arabo-londinese Al-Hayat, per le sue posizioni progressiste. Il giornale è di proprietà del principe saudita Khaled bin Sultan. Lakhdar scriveva un articolo settimanale per l'edizione domenicale dell'Al-Hayat, sezione Madarat per giornalisti progressisti. E' un personaggio autorevole nel cammino per l'aggiornamento e la laicizzazione del mondo arabo, e le sue posizioni avevano a lungo irritato il management saudita del giornale, visto che precedentemente era stato sospeso per due mesi. In seguito alle sue dichiarazioni, il 17 ottobre 2002, in uno show della televisione del Qatar, Al-Jazeera, è stato immediatamente licenziato dalla proprietà saudita dell'Al-Hayat. Ecco alcuni passaggi dell'apparizione di Lakhdar su Al-Jazeera (1):


"La cultura occidentale, una richiesta interna"

"I paesi [africani] non hanno avuto alcuna élite fino a quando la Francia non è venuta a crearne una. E' stata l'élite francofona a reclamare l'indipendenza di quei paesi. Il primo ministro del primo governo provvisorio dell'Algeria, Farhat Abbas, non sapeva una parola in arabo; tutti i suoi discorsi erano in francese. Bourgiba conosceva l'arabo e il francese... e i membri del suo partito e del Movimento nazionale conoscevano il francese e l'arabo, ma c'erano circostanze speciali in Tunisia. In Africa, l'élite è emersa con il colonialismo francese... Quando l'Occidente è entrato nel mondo islamico, ha incontrato resistenza verso la sua cultura; adesso, la situazione è diversa. E' la gioventù araba e musulmana che cerca la cultura [occidentale]. La cultura occidentale è divenuta una richiesta interna".

"In Iran, i giovani lottano con la Guardia Rivoluzionaria che cerca di portar via le parabole satellitari per impedire di guardare i canali occidentali, soprattutto americani. Questo vuol dire che da una parte c'è paura di culture esterne, di culture occidentali, e dall'altra c'è la sollecitazione a chiudere [la società], che è una sollecitazione per la morte. Questa sollecitazione non è nuova; è risuonata anche nei giorni di Al-Hanabilah, perché la nostra cultura è stata fondata su traduzioni. Se non fosse stato per i cristiani, che hanno tradotto il greco antico, l'indiano e la letteratura assira, non ci sarebbe stata alcuna civiltà o monoteismo... La filosofia greca era una filosofia pagana, eppure i musulmani l'hanno presa...".


"Noi siamo barbari"

"La Turchia è oggi nella sua situazione migliore. Quando Ataturk proclamò il laicismo nel 1924 ed abolì il califfato, la Turchia era alfabetizzata solo per il 4%; oggi, il 95% dei turchi sono alfabetizzati. La Turchia diventerà un paese effettivamente civilizzato ed effettivamente democratico unendosi all'Unione europea (Ue). Tuttavia, non abbiamo lasciato la barbarie dietro di noi. Noi siamo barbari. Saddam Hussein dichiara di aver vinto [le elezioni] con il 100% dei voti: cioè, quel giorno nessuno è morto, nessuno ha avuto l'influenza [e non è stato in grado di votare]. Questo è uno scandalo. Voi dovete sbarazzarvi di questa sporcizia…".

"L'attuale repressione delle minoranze in Turchia è un residuo del periodo ottomano; non è un'invenzione del laicismo. La Spagna era un paese fascista ed è diventata una democrazia entrando a far parte dell'Unione europea. La Grecia era un paese fascista ed è diventata un paese democratico unendosi all'Ue. E' stata l'Ue ad indurre la Turchia a riconoscere la lingua curda e l'ha forzata ad abolire la pena di morte…".

"L'appartenenza all'Ue ci allontana dal nostro aspetto barbarico. Nel nostro passato, c'è di tutto: amputazione di mani, lapidazione, un califfo che può essere rimosso dalla sua posizione solo per morte, [una regola] che chiunque beva un bicchiere di birra subisce 40 o 80 frustate, e così via. Io dico che dobbiamo preservare la nostra eredità, ma svilupparne gli aspetti illuminati, quelli che ci aiutano ad adattarci alle necessità della nostra generazione. Ad esempio, il lasciare la donna a casa, la resistenza alla libertà delle donne, l'opposizione all'uguaglianza tra donne e uomini, il considerare la testimonianza di due donne come pari alla testimonianza di un uomo, le disuguaglianze nell'eredità: dobbiamo abbandonare tutte queste cose, perché non sono più adatte alla nostra generazione".


"Voglio che le donne musulmane siano simili a quelle europee, americane e russe"

A questo punto, l'ospite Sami Hadad ha accusato Lakhdhar di volere che le donne escano nude per strada, o in bikini. E Lakhdhar ha replicato: "Le donne nel mondo non vanno nude per strada. Io voglio che la donna musulmana sia simile alla donna cinese, alla donna indiana, a quella senegalese, europea, americana e russa. Perché ci comportiamo in modo razzistico contro noi stessi e dichiariamo che questo è appropriato per loro ma non per noi? Sono stato recentemente in Egitto e gli studenti mi hanno detto che io promuovo il laicismo, e che il laicismo è molto buono per l'Europa, ma non per noi. Io ho detto loro che questo è auto-razzismo…".

"La lapidazione non esiste nel Corano. I religiosi musulmani l'hanno presa dalla Torah. La punizione [capitale] per un eretico che abbia rinunciato alla religione dell'Islam non si trova nel Corano... perché non riconosciamo la lingua berbera? Dobbiamo riconoscere tutte le lingue, la curda e la berbera. Dobbiamo riconoscere i diritti delle minoranze…".

"Questa discussione [nel talk-show] si svolge alla francese. Ciascuno di noi ha un'opinione, ma nessuno ha maledetto o colpito l'altro. Se l'avessimo svolta in modo arabo-islamico, sarebbe corso sangue [nello studio]...".

"Io chiedo che la Commissione diritti umani dell'Onu e Amnesty International intervengano per proteggere le donne che vengono lapidate in Iran o quelle ovunque oppresse. I musulmani sunniti in Iran non possono costruire una moschea. Questo è oltraggioso. Essi ora chiedono che l'Onu gli costruisca una moschea a Teheran, perché non possono pregare il venerdì, mentre in Francia i musulmani le moschee ce l'hanno e possono tenere le loro cerimonie religiose…".

---------------------
Note:
(1) Al-Jazeera television (Qatar), 18 ottobre 2002.

(The Middle East Media Research Institute N°439, 15.11.02)



I LABURISTI ISRAELIANI SI CANDIDANO ALL'OPPOSIZIONE


da un articolo di Gil Hoffman

    Per venti mesi il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha guidato un governo di unita' nazionale di cui era evidentemente fiero e la cui tenuta considerava uno dei suoi piu' importanti successi politici. L'opposizione a Sharon nella Knesset era composta da un insieme di formazioni minori di estrema destra e di estrema sinistra che non potevano trovare alcun punto di accordo fra loro. [...] La presenza del partito laburista nel governo garantiva a Sharon un freno su cui poteva contare quando la locomotiva dello scontro aperto con i palestinesi iniziava a prendere troppa velocita'. Ora pero', respingendo Ben-Eliezer ed eleggendo come loro leader la colomba Amram Mitzna, gli iscritti al partito laburista hanno verosimilmente condannato il proprio partito a starsene alla finestra dell'opposizione per i prossimi quattro anni a vedere le sorti del paese decise da un governo guidato dal Likud.
A meno di sconvolgimenti imprevedibili, tutti i sondaggi mostrano che il prossimo primo ministro israeliano non sara' deciso nelle elezioni generali del 28 gennaio 2003, bensi' due mesi prima nelle votazioni primarie del partito Likud che il 28 novembre dovra' scegliere fra Sharon e il neo ministro degli esteri Binyamin Netanyahu.
    In un'intervista di martedi', Mitzna ha praticamente escluso la possibilita' di un nuovo governo di unita' nazionale. Ha detto infatti che sara' lieto di entrare a far parte di un governo guidato dal Likud solo se quel governo accettera' il principio di riprendere i negoziati sotto il continuo fuoco degli attacchi e delle aggressioni, se fara' importanti concessioni ai palestinesi e insomma se adottera' tutta la sua piattaforma politica. Parlando con i giornalisti, Mitzna ha chiarito che uno dei suoi primi atti come primo ministro sarebbe quello di ribaltare la politica di Sharon, ritirando unilateralmente soldati e civili israeliani dalla striscia di Gaza. Mitzna era l'unico candidato alla leadership laburista che afferma di essere disposto a negoziare anche con lo stesso Yasser Arafat, screditato da tutti gli altri. "Non c'e' nessuna ragione al mondo perche' dobbiamo stare nella striscia di Gaza - ha detto Mitzna - Piuttosto schiereremo le nostre forze attorno alla striscia di Gaza, lungo la barriera, a protezione di Israele". Ma la nomina di Mitzna a capo del partito laburista assai probabilmente non si tradurra' nella rimozione di un solo colono israeliano dalla striscia di Gaza. Dall'opposizione, egli non potra' fare molto di piu' che protestare quando il governo prendera' decisioni che lui non condivide.
    Quanto a Ben-Eliezer, quando si ritrovera' su un seggio della Knesset accanto a Mitzna e ben lontano dal tavolo del governo, potra' solo prendersela con se stesso. Martedi' sera ha ammesso d'aver sbagliato quando ha accettato di dare battaglia all'interno del suo partito per la terza volta in poco piu' di un anno, dopo che aveva battuto per due volte di stretta misura lo sfidante interno e attuale presidente della Knesset Avraham Burg. Ma quello che Ben-Eliezer non ammettera' e' di aver sbagliato a provocare la caduta del governo Sharon senza una buona ragione. Aveva scommesso sulla possibilita' di trionfare fra i laburisti come il difensore dei poveri e delle politiche sociali. Si ritrova a non essere piu' ne' ministro della difesa, ne' presidente del partito laburista, e con una destra destinata molto probabilmente a governare Israele per parecchi anni a venire, senza alcuna influenza da parte dei laburisti.

(israele.net, 20.11.02 - dalla stampa israeliana)



IL FUTURO DEGLI EBREI


Leggiamo il futuro a Israele

di  Angelo Pezzana

   
    "Per due millenni gli ebrei sono stati assenti dalla scena politica internazionale.
    Malgrado questa assenza sono riusciti a sopravvivere in quanto popolo, con una identità che è sostanzialmente rimasta la stessa sino al secolo appena trascorso, quando due eventi hanno segnato profondamente il loro destino: la Shoah (lo sterminio nazista) e la nascita dello Stato di Israele.
    Se nella Shoah è stato sterminato un terzo dell'ebraismo mondiale, la rinascita dello Stato ebraico ha rappresentato la realizzazione degli ideali che il sionismo si era proposto sin dal suo formarsi alla fine dell'ottocento. Di più, l'augurio che Theodor Herzl rivolgeva agli ebrei "se lo vorrete non sarà un sogno" trovava concreta risposta dopo nemmeno cinquant'anni.
    Una volta ricostituito lo Stato, la domanda se lo scopo del sionismo, considerato come uno strumento della storia ebraica, il cui uso non era ormai più necessario dopo il raggiungimento del fine per il quale era nato, fu alla base di un vasto dibattito che dura tuttora. E che permea ogni interpretazione intorno all'identità ebraica. In particolare intorno all'identità israeliana, oltre a quella ebraica in generale della diaspora.
    Si deve parlare ancora di sionismo ? Opure è più corretto riferirsi al tempo presente definendolo post-sionista ?
    A Gerusalemme, in una palazzina appena costruita nell'intellettuale quartiere tedesco, ha la sua sede l'Istituto Shalem, uno dei think-tank neo-conservatori più discussi e influenti di Israele. La cultura che ne scaturisce è quella che maggiormente anima il dibattito delle idee in seno alla società israeliana.
    Per Ofir Haivrì, uno degli intellettuali di maggior rilievo dell'Istituto -in Italia per una serie di conferenze- è più corretto definire l'identità di Israele come neo-sionista. Questa definizione nasce, secondo Haivrì, dal rifiuto palestinese dello Stato ebraico, che ha contrassegnato con un conflitto tuttora aperto la storia del giovane Stato.
    Si sentiva già post-sionista chi invece pensava che gli accordi di Oslo avrebbero portato ad una pace fra israeliani e palestinesi, e negli anni novanta,pur tra alterne vicende, Israele aveva incominciato a sentirsi un paese nornale, nel senso che poteva paragonarsi a qualunque altro stato, senza più vivere in modo drammatico la legittimazione della propria esistenza.
    Post-sionista poteva voler dire il superamento del concetto stesso di sionista, da vivere come una eredità prestigiosa, sì, ma senza più alcuna implicazione con il presente. Ci fu persino chi, nello stupore di sentirsi addirittura anti-sionista, propose l'eliminazione della stella di Davide dalla bandiera, la modifica dell'inno nazionale cancellando quelle parti che potevano risultare non gradite ai concittadini non ebrei. L'ansia di adattare la nuova identità in armonia con gli ex nemici era tale che molti si sentivano

prosegue ->
pronti a qualunque concessione pur di dimostrare l'avvenuta mutazione.
    Una posizione,quella dell'anti-sionismo, non nuova nella storia di Israele, influente soprattutto nei primi decenni del novecento, formata da religiosi ultra-ortodossi, comunisti e rivoluzionari dalle posizioni universalistiche, tutti ugualmente contrari ad uno Stato ebraico caratterizzato solo come tale, e non, ad esempio, binazionale. Posizioni screditate e spazzate via dalla distruzione dell'ebraismo europeo durante la seconda guerra mondiale. L'esistenza, già allora, di uno Stato ebraico sarebbe stata sicuramente la salvezza per i milioni di ebrei che invece si sono trovati senza un paese verso il quale trovare rifugio.
    Il post-sionismo è stato invece accantonato anche grazie al voltafaccia di Arafat e alla seconda intifada con la guerra al terrorismo in corso, che hanno cancellato quelle che si sono purtroppo rivelate solo illusioni. I valori sionisti tradizionali sono rientrati fortemente sulla scena politica e culturale israeliana, a destra come a sinistra.

(Libero, 26.11.02 - ripreso da Informazione corretta)



SANGUE PER L'ALIÀ DALLA RUSSIA


di Arye Bender

L'incrocio sulla strada di Megiddo, il mercato di Natania, l'Hotel Park, l'autobus a Via Allenby, il Dolphinarium, Hadera ed ora Ir Ganim. Come sanguinosi spilli piantati sulla carta topografica dell'immigrazione, sono queste le stazioni di una morte che ha reciso per sempre le speranze di una nuova vita in una nuova patria. L'intifada ha riscosso una pesante tassa di integrazione: 88 nuovi immigrati sono stati uccisi nel corso degli ultimi due anni e giovedì, 21 novembre, sette delle undici vittime [nell'attentato suicida sull'autobus no. 20 a Gerusalemme] erano nuovi immigrati. Alla e Misha, Kira, Marina e Sima. Non si erano ancora acclimatati nel loro nuovo paese; non avevano ancora avuto una possibilità di integrarsi. Erano soli – stranieri nella propria terra.
    Per questi motivi Haivrì è portato a definire neo-sionista l'attuale identità israeliana, anche se può sembrare che dell'eredità di Herzl siano visibili solo le cerimonie ufficiali commemorative.
    In realtà così non è. Grazie al sionismo si è riscostituito uno Stato che non esiteva più da duemila anni, nel quale milioni di emigranti da tutto il mondo si sono ritrovati a vivere una nuova vita parlando una lingua comune, l'ebraico, ritornato ad essere la lingua degli ebrei non solo in Israele.
    Pur con i tanti problemi che il giovane Stato democratico deve affrontare, l'eredità di Theodor Herzl non è ancora pronta per essere archiviata. Comunque lo si voglia definire, è ancora il sionismo la chiave per comprendere l'identità di Israele."
    Loro sono i più poveri; viaggiano in autobus; vivono in quartieri da cui gli israeliani da tempo tentano – e non sempre riescono – di fuggire. Leggono giornali russi, comperano pane e salame russo e risparmiano i loro centesimi per mandare le loro figlie a lezione di pianoforte ed i loro figli a lezione di scacchi – proprio come nella loro vecchia patria.
    E la sera, nei loro piccoli ed affollati appartamenti di emigrati, guardano alla televisione i canali russi, hanno nostalgia e persino sognano la Russia; e, mentre la terribile esplosione spezza la loro vita e le schegge di vetro e metallo penetrano i loro corpi, è senza dubbio in russo che lanciano il loro ultimo grido.
    "Non chiamateci russi. Siamo israeliani, come voi. Solo, non abbiamo avuto abbastanza tempo" - chiede-implora Zeev Geyzel, ex-consulente del Primo Ministro per l'immigrazione – "Almeno non dite 'voi e noi'; dite 'noi', almeno ora".
    Boris Maftzir, un vecchio immigrato, è stato direttore generale del ministero dell'Assorbimento. Oggi conduce un programma radio settimanale sulla seconda Rete di Stato, dedicato ai russi israeliani. "Quando ho sentito che dicevano Ir Ganim ed ho visto la fila dei sacchi neri lungo la strada, sapevo che c'erano dentro dei nuovi immigrati. Chi altri vive oggi in questi quartieri depressi? Chi altri va in in autobus?"
    Nessuno lo vuole. Nessuno desidera questa situazione. Tuttavia Boris Maftzir, come molti dei vecchi immigrati e dei nuovi arrivati dalla Russia, sa che questo sangue è il prezzo che gli immigrati devono pagare per "essere parte" [del paese]. "Può suonare atroce, ma l'intifada e questo orribile tributo di sangue sono il biglietto di ingresso degli immigranti nella società israeliana . Più alto è il prezzo, più breve è la strada che li separa dal cuore della compagine sociale israeliana".
    Sara Cohen, direttore del dipartimento di Welfare del Ministero dell'Assorbimento, racconta di migliaia di telefonate di nuovi immigrati, giunte il 21 novembre alla linea di emergenza del dipartimento di Welfare, aperta dal ministero in seguito all'attentato. "Volevano informazioni; volevano sapere che cosa era successo a parenti e conoscenti. Ma soprattutto cercavano qualcuno che parlasse con loro nella loro lingua, qualcuno che dicesse loro una parola gentile in russo, che li confortasse ed offrisse loro sostegno morale".
    Gli immigrati non hanno il privilegio di lunghe amicizie, che alle volte risalgono al periodo precedente la fondazione dello Stato. Non hanno un gruppo di appoggio da parte degli Scouts, dell'esercito o del vicinato. Nella maggioranza dei casi, conoscono appena il vicino della porta accanto. Geyzel afferma che molti di loro non sanno nemmeno come comportarsi nei primi sette giorni di lutto strettissimo. "Qualcuno deve dare loro un conforto – dice Sara Cohen – non si può abbandonarli a loro stessi". Nonostante tutto, Geyzel si concede un cauto ottimismo: "La cortina della diversità cade in periodi come questi. Ora siamo un tutto unico – per questo breve momento – non più 'voi e noi'. Se questo 'tutto unico' dura anche solo un giorno dopo l'attentato, allora il Sionismo ha vinto – creando una scintilla di speranza attaverso un velo di lacrime".

(Ma'ariv 22.11.2002 - riportato da Keren Hayesod)



ARGENTINA: UNA COMUNITÀ EBRAICA IN CRISI


Piano di intervento di emergenza per la campagna argentina 2002

Fino alla fine di ottobre 2002, sono arrivati in Israele 4.256 nuovi immigrati dall'Argentina.
    In risposta ad un appello del Primo Ministro e del Governo d'Israele, il Keren Hayesod si è preparato ad accettare la sfida e a raccogliere 134 milioni di dollari, per permettere l'Alià dall'Argentina di ciascun ebreo che lo voglia e offrire adeguati programmi di inserimento iniziale. Tale somma permetterà a 20.000 nuovi immigranti dall'Argentina di venire in Israele nel corso dei prossimi tre anni.
    Malgrado la difficile situazione che Israele sta affrontando in questo periodo ed il fatto che oltre un miliardo di dollari del bilancio dell'educazione e del welfare sia stato stornato per i bisogni della sicurezza e della difesa, il Governo israeliano ha aumentato l'assistenza offerta ai nuovi immigrati, nella profonda convinzione che l'Alià dà forza a Israele.
    Il Keren Hayesod, insieme all'Agenzia Ebraica, è pronto a fornire adeguati programmi di inserimento, che soddisfino i diversi bisogni di ciascun immigrante, dal suo arrivo in Israele.

Costi di Alià ed inserimento
Campagna per l'Argentina 2002


 
Costo per
persona
Costo per
famiglia
(4 persone)
Sovvenzione iniziale di insediamento 
$ 2.500
Sussidio per biglietto aereo e carico
$ 960
$ 3.840
Centro di Assorbimento per 6 mesi
$ 2.450
$ 9.800
5 mesi di ulpan di ebraico
$ 110
$ 220
Programma per liceali
$ 5.200
 
Programma post-liceale
$ 9.100
 
Sovvenzione supplementare per
agevolare l'integrazione dei figli,
come parziale risarcimento per le proprietà abbandonate e per corsi di addestramento
professionale
$ 3.000
$ 12.000

Il finanziamento di una famiglia per 6 mesi è di $ 28.360

(Keren Hayesod, 14.11.02)



LO STORICO ISRAELIANO REVISIONISTA DI SE STESSO


di Marina Valensise

GERUSALEMME. - Fa discutere la presa di posizione di Benny Morris, lo storico israeliano che oggi [venerdì 22 novembre] sarà a Milano, e domani a Roma per il Salone dei libri di storia dell'Associazione librai italiani. Autore di uno studio pionieristico sul problema dei rifugiati ("The Birth of the Palestinian Refugee Problem, 1947-49") ora in corso di aggiornamento dopo l'apertura degli archivi dell'Haganah e del ministero della Difesa israeliano, Benny Morris ha offerto una ricostruzione senza compiacenza del conflitto arabo israeliano.Ha messo in luce i miti politici del sionismo, spiegando agli israeliani la responsabilità dello Stato ebraico nell'esodo forzato di circa 700 mila arabi dalla Palestina. Quell'esodo fu in buona parte causato proprio dall'azione militare sionista, tanto per l'ordine di espulsione imposto dall'esercito israeliano quanto per opera degli stessi comandanti arabi.
    Eppure, per quanto passi per un "revisionista", Morris non si considera di destra. Negli anni 80 è stato in carcere, per essersi rifiutato di prestare servizio militare in Cisgiordania. Adesso viene accusato di aver cambiato idea, di essersi appiattito sulle posizioni della maggioranza, di accettare in pieno la dottrina Schueftan sulla risposta unilaterale allo stato di guerra permanente voluto dai palestinesi. Ai suoi critici però Morris ricorda di non aver mai sottoscritto il diritto al ritorno dei rifugiati, né di aver mai contestato la necessità di uno Stato palestinese, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Al Foglio dice: "Resto convinto che la vera soluzione resti una divisione tra due Stati: lo Stato ebraico, che avrà il 78 per cento di quella che era la Palestina sotto il mandato britannico, e uno Stato arabo al quale ne spetterà il 22 per cento. Un compromesso che offre a entrambi le parti una soluzione plausibile".
    Cosa cambia allora nella sua visione del conflitto dopo il fallimento del processo di pace?
    "Cambia il fatto che la seconda Intifada ha dimostrato che i palestinesi non intendono arrivare a un compromesso. Vogliono il 100 per cento della Palestina. E' questo il significato della risposta di Yasser Arafat alla proposta di Ehud Barak e di Bill Clinton".
    Nel luglio 2000 il laburista Barak offrì al capo palestinese quasi il 90 per cento della Cisgiordania e il 100 per cento della Striscia di Gaza, la sovranità sui quartieri arabi di Gersualmeme Est, e un condominio o il controllo del Consiglio di sicurezza dell'Onu per il Monte del Tempio nella Città vecchia. Nel dicembre dello stesso anno il presidente americano Clinton offrì ai palestinesi fino al 96 per cento della Cisgiordania, la sovranità sull'area del Monte del Tempio, e una sorta di controllo israeliano per la sottostante area del Muro del Pianto. E per compensare i profughi, continuò a proporre massicci aiuti economici per la riabilitazione dei rifugiati.   
    "Era la migliore proposta di pace che gli israeliani potessero formulare – dice Morris – Ma Arafat rispose con la violenza e il terrorismo, rifiutando qualsiasi compromesso. Negli anni 90 ero sicuro che i palestinesi lo volessero accettare, che almeno Arafat si muovesse in questa direzione. Gli ultimi due anni hanno dimostrato che non è vero. Arafat barava. D'accordo col popolo palestinese, ha respinto ogni compromesso come del resto fece il muftì di Gerusalemme Muhammad Amin al Husseini quando rifiutò la proposta di dividere la Palestina tra arabi ed ebrei nata dalla commissione di Lord Peel durante il mandato britannico nel 1937, come pure la risoluzione dell'Onu nel 1947, e come di nuovo avvenne nel 1967 e all'epoca del compromesso con l'Egitto di Sadat".
    Come spiega l'ostinazione palestinese?
    "Gli arabi ci considerano dei ladri di terra. Non capiscono il legame che ci unisce a questa terra. Rifiutano l'evidenza storica che gli ebrei vissero in questa regione da 15 secoli prima che venisse inventato l'Islam. Per questo, secondo loro, non c'è accordo possibile, rifiutano lo Stato ebraico in modo drastico".
    Morris è convinto che un accordo, quand'anche sul compromesso territoriale e la divisione in due Stati, non risolverebbe comunque il problema dei rifugiati.
    "I palestinesi che vivono nei campi profughi del Libano senza avere la cittadinanza libanese, o nei campi della Siria senza avere la cittadinanza siriana, o nella Striscia di Gaza in condizioni di assoluta povertà, sognano di tornare nelle loro case di Jaffa o di Haifa. Anche se quelle case oggi non esistono più, perché furono distrutte durante la guerra del 1948, e le poche rimaste in piedi vennero occupate dagli israeliani che vi si insediarono negli anni 50. Ma oggi Arafat non può guardare negli occhi il suo popolo di rifugiati in Libano, in Siria, in Giordania e Gaza e dire loro: 'Rinunciate al sogno di tornare a casa vostra', perché altrimenti gli sparano. E' per questo che non può esserci soluzione. D'altra parte, se Israele accettasse il diritto di ritorno di 4 milioni di rifugiati palestinesi andrebbe incontro all'autodissoluzione: lo Stato ebraico finirebbe per avere molti più cittadini arabi che ebrei".
    Quand'anche possibile, dunque, la soluzione dei due Stati sarebbe dunque solo temporanea, secondo Morris: "Tra 40-50 anni se in Palestina non ci sarà un deserto nucleare, ci sarà un solo popolo sovrano, non due. Uno Stato ebraico con una minoranza araba, o uno Stato arabo con una minoranza ebraica in via di estinzione. E' vero che gli arabi hanno dalla loro la crescita demografica. Ma gli ebrei sono organizzati meglio, hanno un esercito moderno, difficile da battere".
    Tutto questo potrà mai significare la fine dello Stato ebraico? "Non lo so. Se i palestinesi non smettono di usare la violenza, gli israeliani li butteranno fuori oltre il Giordano. Se come spero arriveremo alla creazione di due Stati, non sarà forse una soluzione duratura. I capi palestinesi potranno anche sottoscriverla, ma la popolazione, temo, non l'accetterà".
    Per quanto "politicamente corretto", con le sue nuove tesi Benny Morris non ha potuto evitare le critiche. Da sinistra, Avi Shlaim, l'altro storico revisionista che si è sempre occupato di storia diplomatica, l'ha rimproverato di offrire un'interpretazione semplicistica degli ultimi 50 anni, e di aver scritto un "monologo autocompassionevole intriso d'odio verso gli arabi e i palestinesi".
    "Avi Shlaim – replica Morris – è convinto che il fallimento del processo di pace sia dovuto all'espansionismo militare israeliano. Ma non è vero. Il vero problema è l'esistenza stessa dello Stato ebraico. E' con questo che i palestinesi non si sono riconciliati, ed è questo che li motiva a diventare terroristi e suicidi".
    L'altra tesi controversa di Morris, apparsa i primi di ottobre sul Guardian, che trova consensi nella destra israeliana, riguarda il mancato trasferimento dei palestinesi a opera di Ben Gurion nel 1948, decisione che avrebbe evitato il perdurare del conflitto arabo israeliano per 50 anni.
    "L'idea del trasferimento è vecchia quanto il sionismo. Si ritrova sin dal 1895 negli scritti di Thomas Herzl e persino sotto il mandato britannico nel rapporto di Lord Peel, che nel 1937 suggeriva di trasferire circa 200 mila arabi dal 20 per cento dei territori destinati agli ebrei. In realtà mi sono limitato a suggerire che se Ben Gurion avesse mandato via gli arabi dalla Cisgiordania, spingendoli in Giordania, forse i palestinesi avrebbero sottoscritto la pace con lo Stato ebraico. Ma soprattutto ho voluto dimostrare che a metà degli anni 40, erano gli stessi leader arabi, come il principe giordano Abdallah e il ministro degli Esteri iracheno Arshad al- Umanri, a sostenere la necessità del trasferimento degli arabi, detto eufemisticamente 'scambio di popolazione', perché capivano che non c'erano alternative. Stranamente, dal mio articolo sul Guardian le citazioni che riguardavano tutti questi leader arabi sono saltate, salvo poi riapparire nella versione elettronica. In effetti, nel 1948 una forma di trasferimento fu realizzata. Gli arabi avevano attaccato lo Stato ebraico, si rifiutavano di diventarne leali cittadini. Per evitare che lo Stato ebraico fosse minato da azioni terroristiche, gli israeliani non consentirono il ritorno dei rifugiati.
Forse fu un errore, ma fu una soluzione obbligata".
    Morris non crede di incrementare la violenza con le sue affermazioni: "Sono solo uno storico, gli storici non hanno molta influenza. Se la mia ricostruzione avrà qualche influenza sul presente, riguarda solo i miei lettori o i politici responsabili della decisione. La pace per me resta un obiettivo, ma penso, e in Israele siamo la maggioranza, che non sia più un obiettivo realistico, perché i palestinesi non sono interessati a raggiungerla. Dobbiamo prenderne atto".

(Il Foglio Quotidiano, 22 novembre 2002)


INDIRIZZI INTERNET


Exobus Project - Helping Jewish People