Notizie su Israele 143 - 13 dicembre 2002
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«Tu dunque non temere, Giacobbe mio servitore, non ti sgomentare, Israele! Poiché, ecco, io ti salverò dal lontano paese, salverò la tua discendenza dalla terra della sua deportazione; Giacobbe ritornerà, sarà in riposo, sarà tranquillo; nessuno più lo spaventerà. Tu non temere, Giacobbe, mio servitore», dice il SIGNORE; «poiché io sono con te, io annienterò tutte le nazioni fra le quali ti ho disperso, ma non annienterò te; però ti castigherò con giusta misura e non ti lascerò del tutto impunito». (Geremia 46:27-28) ISRAELE ACCUSA: L'ONU AIUTA HAMAS ATTRAVERSO L'UNRWA di Dimitri Buffa Invece di aiutare i profughi e trovare loro del lavoro, sono diventati complici dei terroristi palestinesi. Israele mette sotto accusa la gestione dei profughi da parte dell'Onu in Palestina e parla senza mezzi termini di complicità con i terroristi, dovuta anche al fatto che il personale in loco è quasi tutto arabo. Ambulanze che trasportano aspiranti suicidi o armi e esplosivo,
Per la seconda volta in un anno quindi l'Unrwa si trova sul banco degli imputati. La prima volta fu dopo i primi falsi rapporti sul mai avvenuto massacro di Jenin nel marzo 2002 (in realtà fu una cruenta battaglia tra guerriglieri e l'esercito in cui persero la vita una quindicina di soldati israeliani e 57 terroristi, ndr), ora arrivano le accuse di alcuni militanti di Hamas e di Tanzim catturati negli scorsi mesi che hanno deciso di collaborare con l'antiterrorismo israeliano. Uno è Midal Nazal, arrestato cinque mesi fà mentre guidava un' ambulanza dell'Unrwa. Fermato ad un controllo veniva trovato in possesso di armi ed esplosivo trasportati con l'automezzo delle Nazioni Unite. Dopo i primi interrogatori in cui si era rifiutato di parlare a un certo punto ha ammesso che non era la prima volta che usava ambulanze Unrwa per il trasporto di armi e anche per il recapito di messaggi operativi tra i diversi gruppi terroristici. Un altro che ha parlato è Ala Hassan, uomo del Tanzim, fermato nove mesi fa, ha rivelato nell'interrogatorio che le scuole per i bambini palestinesi gestite dall'Unrwa a Nablus in realtà servono per allenarsi a sparare da parte dei terroristi locali e vengono anche utilizzate come base per conservare le munizioni e gli esplosivi. In pratica quei signori nascondono le bombe tra i loro stessi bambini, fregandosene altamente di eventuali tragiche conseguenze. Infine ha confessato anche Nahad Attahallah di avere usato regolarmente e per mesi una macchina dell'Unrwa per portare i martiri suicidi a farsi esplodere in Israele, come in una sorta di servizio bus. La gente a questo punto si chiederà: ma davvero un organismo delle Nazioni Unite si può prestare a diventare complice e connivente del terrorismo palestinese? Purtroppo la risposta è sì, e la spiegazione è di quelle che non lasciano spazi a molti dubbi: le Nazioni Unite, per paura di rappresaglie armate contro i loro uomini, hanno di fatto "subappaltato" in via informale tutto il loro servizio scolastico e sanitario per i profughi palestinesi a personale esclusivamente di quella stessa nazionalità, cioè arabo palestinese o al massimo libanese, siriano ed egiziano. E trattandosi di gente di paesi ostili pregiudizialmente ad Israele ecco spiegato come è possibile che i conducenti delle ambulanze diventino complici di chi organizza attentati suicidi in Israele e di chi li esegue. Altra spiegazione è che molti di costoro, che si sono prestati a fare servizi sporchi per Hamas o la Jihad approfittando dell'immunità concessa ai veicoli delle Nazioni Unite, siano ricattati da questi gruppi terroristici che mantengono sul territorio e sulla popolazione un controllo capillare paragonabile a quello della mafia in Sicilia o della camorra a Napoli. Sia come sia, Tsahal, l'esercito israeliano, ha fatto capire in via per ora informale (ma presto sarà tutto divulgato nero su bianco) che da oggi in poi, stanti le acquisizioni probatorie finora emerse, non verrà più assicurata l'immunità alle autovetture Onu. che si dovranno sottoporre come e più di prima a tutti i controlli del caso nei vari check point dei territori sotto giurisdizione dell'Anp. (L'Opinione, 11.12.2002 - ripreso da Informazione corretta) WASHINGTON DUBITA DEL RICONOSCIMENTO DI ISRAELE DA PARTE PALESTINESE L'ultimo rapporto semestrale del Dipartimento di Stato Usa su Olp e Autorita' Palestinese per la prima volta afferma esplicitamente che la mancata lotta dell'Autorita' Palestinese contro il terrorismo nei territori mette in dubbio il riconoscimento da parte palestinese del diritto ad esistere dello stato di Israele. E' sulla base di questo rapporto che la scorsa settimana il presidente George W. Bush ha concluso che l'Autorita' Palestinese non sta mantenendo gli impegni che si era assunta nella lotta contro il terrorismo. Il rapporto del Dipartimento di Stato, redatto ogni sei mesi in conformita' a un mandato del Congresso (il "PLO Commitments Compliance Act" del 1989) passa in rassegna le attivita' dell'Olp e dell'Autorita' Palestinese per valutare se esse siano coerenti con gli impegni solennemente assunti da quell'anno in poi, tra i quali il riconoscimento del diritto di esistere dello Stato di Israele, l'accettazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 242 e 338, l'impegno a risolvere il conflitto con Israele attraverso negoziati e senza il ricorso alla violenza, la totale rinuncia al terrorismo. "L'Autorita' Palestinese non ha adottato le misure necessarie per prevenire il ricorso alla violenza da parte del suo stesso personale" recita il rapporto, che aggiunge: "Le prove a disposizione dimostrano che persone in vario grado legate all'Olp e all'Autorita' Palestinese, in particolare membri delle Brigate Al Aqsa, del Tanzim e delle forze di sicurezza dell'Autorita' Palestinese, si sono rese frequentemente responsabili di atti di violenza contro gli israeliani". Il rapporto afferma di non avere la prova certa che gli ordini di compiere attentati terroristici siano venuti dalla dirigenza dell'Autorita' Palestinese, ma sottolinea che "vi sono prove stringenti che e' stato permesso a membri delle forze di sicurezza di continuare a prestare servizio per l'Autorita' Palestinese sebbene la loro partecipazione in attivita' terroristiche fosse ben conosciuta". "Inoltre - continua il rapporto - alcuni leader importanti sia dell'Olp che dell'Autorita' Palestinese hanno fatto poco o nulla per impedire ed anzi talvolta hanno incoraggiato gli atti di violenza e un'atmosfera di istigazione alla violenza sui mezzi di comunicazione palestinesi e attraverso dichiarazioni pubbliche di funzionari palestinesi". "E' evidente - conclude il rapporto - che la dirigenza dell'Olp e dell'Autorita' Palestinese non hanno chiaramente e coerentemente affermato che le violenze danneggiano gli interessi palestinesi ne' che devono cessare". Secondo la valutazione del Dipartimento di stato, vi sarebbero gli estremi per imporre sanzioni contro l'Autorita' Palestinese per aver trasgredito gli impegni. Tuttavia, tenendo presenti gli interessi americani nell'area in questo momento, il Dipartimento di stato raccomanda, e il presidente condivide, di evitare per il momento questa misura. "Retrocedere o chiudere l'ufficio Olp [negli Usa] - nota il Dipartimento di stato - ci renderebbe piu' difficile rimanere in contatto e appoggiare i riformatori in campo palestinese che condividono questi obiettivi, e renderebbe piu' complicate le nostre relazioni nella regione". (israele.net, 10.12.02 - dalla stampa israeliana) CASI DI CONSUETO ANTISEMITISMO SULLA STAMPA EGIZIANA Bilancio di "Un cavaliere senza cavallo" nella stampa egiziana:un mese di abiezioni antisemite. di Marwan Haddad Proche-orient.info si è impegnata ogni giorno a fare una lettura meticolosa della grande stampa egiziana, in larga parte dedicata - contemporaneamente al serial TV "Un cavaliere senza cavallo", ispirato al "Protocollo dei Savi anziani di Sion" - al "complotto sionista" e all'"influenza dei perfidi giudei" infiltrati nelle stanze del potere e nei media di tutto l'occidente. I giornali in questione non sono tra quelli minori: si tratta del quotidiano "Al-Ahram" (600.000 esemplari, spesso paragonato a "Le Monde") o del suo principale rivale "Al-Akhbar" (350.000 esemplari), del popolarissimo "Al-Goumhorurya" (quotidiano di parte con un milione e mezzo di esemplari), e anche di settimanali di tutte le tendenze. Precisiamo che nessun articolo sfugge a uno stretto controllo della censura egiziana. S'impongono anzitutto alcune precisazioni. Da una parte, tutte le pubblicazioni egiziane sono soggette a uno stretto controllo della censura, a cui nessun articolo scappa. D'altra parte, l'Egitto è stato il primo paese arabo che ha firmato la pace con Israele, cosa che gli è costata la messa al bando da parte della Lega araba. Inoltre, l'Egitto si presenta come il leader del "fronte arabo moderato", di fronte alla Siria, e ha accolto numerosi round di negoziazioni israelo-palestinesi. Infine, fino alla rivoluzione nasseriana, un'importante comunità ebraica ha vissuto in Egitto, dove è stata ben integrata. Ora, durante il mese di novembre la stampa egiziana ha vomitato, quasi ogni giorno, il suo odio contro gli ebrei in generale e contro gli ebrei d'Israele in particolare. Mentre le catene televisive diffondevano l'indigesto "Un cavaliere senza cavallo", gli editorialisti più prestigiosi si davano da fare con passione per analizzare il complotto ebreo che minaccia l'intero pianeta. Più gravemente ancora: col passar dei giorni il tono è andato crescendo, ogni redazione volendo fare qualcosa di più dei concorrenti, in una gara semplicemente abietta. Ecco alcuni stralci che sono ben lontani dall'essere esaurienti. Israele, un corpo estraneo Così siamo venuti a sapere, tutt'a un tratto, che Israele è il nemico di Dio («Al-Wafd», 1/11). Grazie a Dio le anime pure dei martiri musulmani scenderanno dal cielo per bruciare Sharon il verme, la più vile delle creature, il suo ignobile popolo e il suo esercito nazista («Al-Ousbouh», 1/11). E poi, indipendentemente da ogni considerazione religiosa, il rifiuto di Israele da parte dei paesi arabi è una questione di biologia: si tratta di un corpo estraneo contro il quale le leggi della natura chiedono soltanto che siano emessi degli anticorpi («Al-Akhbar», 1/11). Straniero nella misura in cui il suo popolo è stato raccattato un po' dappertutto nel mondo per essere installato in quella che sarà la più grande tomba che il mondo ha mai conosciuto («Al-Osbouh», 1/11). In breve, qual è questa terra promessa che è stata sottratta ai suoi abitanti? Gli ebrei non hanno che una soluzione: fare i bagagli e ripartire ciascuno verso il suo luogo d'origine («Al-Ahram», 26/11). Il complotto ebraico Gli ebrei hanno la caratteristica di elaborare dei piani a lungo termine e di adoperarsi in seguito per attuarli, spiega «Al-Ahram» (6/11). «I Protocolli dei Savi di Sion» devono essere compresi in questo senso. Sono un falso? La questione divide le redazioni. «Al-Akhbar» non mette in discussione la loro autenticità: i sionisti e i loro alleati arrivano fino a negare i fatti storici, e questo non è sorprendente, perché sono arrivati a negare perfino i Santi Libri (3/11). «Al-Ousbouh» abbonda in questo senso, ritenendo che i Protocolli dimostrano a qual punto il pensiero sionista è avversario di tutti gli essere umani, a parte gli ebrei. (4/11). «Al-Ahram» esita. Un fatto è certo: gli ebrei hanno messo in atto un piano terrorista non solo per fondare il loro Stato, ma per dominare il mondo (7/11). E' vero che l'amministrazione americana è interamente dominata dalla lobby sionista, spiega «Al-Ahram» (5/11). Per questo motivo, si può per esempio chiedersi chi siano i veri autori dei discutibili fatti dell'11 settembre, utili in primo luogo al sionismo mondiale e al nemico pubblico numero uno che è Israele («Al-Akhbar», 11/11). L'11 settembre non sarà stato semplicemente un complotto ebraico? («Al-Ahram», 14/11). Tanto più che è di dominio pubblico il fatto che il sionismo mondiale s'accanisce, da anni, a infangare l'immagine dell'islam nel mondo intero («Al-Ahram», 15/11). La disavventura di Jürgen Mölleman, il vicepresidente del Partito democratico liberale [tedesco], allontanato dal suo partito, spinge del resto ogni tedesco a meditare sul detto che dice che il silenzio è d'oro quando si tratta d'Israele e degli ebrei («Al-Ahram», 2/11). Abbiamo infine la maglia attuale di questo complotto: la distruzione di tutti i resti arabi, sia cristiani che musulmani, da parte degli ebrei installatisi nella terra santa di Palestina («Al-Ahram, 12/11»). Difendersi dagli ebrei Che dire degli ebrei, se non che sono degli apostati, e che la maledizione di Dio è sugli apostati? («Al-Ahram», 9/11). Detto questo, non è il caso di essere accusati d'antisemitismo, «Akher Sa'a» stima che è meglio non denunciare l'arroganza degli ebrei e la loro tirannia. E' meglio accontentarsi di mettere in piena luce le loro vili intenzioni contro l'umanità. Intenzioni che d'altra parte spiegano come mai gli europei da secoli ce l'hanno tanto con gli ebrei (13/11). «Al-Messa» però non si lascia intimidire e conferma che gli ebrei sono diventati maestri nell'arte della sornioneria e della doppiezza (18/11). E sono proprio loro che ormai si espandono, come un cancro, nel Medio Oriente arabo e musulmano («Al-Wafd», 16/11). E sono i nemici di tutte le religioni celesti! («Al-Akhbar», 17/11). Perché allora nessuno osa rivelare tutte le verità enumerate qui sopra? «Al-Ahram» dice l'ultima parola: in Occidente, e soprattutto negli Stati Uniti, nessuno oserebbe arrischiarsi, a meno di non essere un kamikaze che deve aspettarsi di essere messo al bando dalla società, cacciato via dal suo posto di lavoro, essere perseguitato, segnato (19/11). Detto questo, un problema resta aperto: come devono comportarsi gli arabi per difendersi dagli ebrei che hanno il progetto di mettere le mani su tutta la regione («Al-Ahali», 19/11)?. Nella misura in cui è Satana stesso che comanda gli ebrei, assicura «Al-Goumhouriya» (22/11), la vittoria del Bene è garantita da Dio. (Proche-orient.info, 10.12.2002) FUNZIONERA' IL MURO DI DIVISIONE TRA ISRAELIANI E PALESTINESI? Separazione unilaterale: il fascino delle soluzioni troppo semplici da un articolo di Efraim Inbar, direttore BESA (Begin-Sadat Center for Strategic Studies) L'ipotesi di separazione unilaterale [dai palestinesi] sara' senz'altro uno dei temi centrali della campagna elettorale in Israele. L'idea si e' guadagnata un vasto consenso nell'opinione pubblica nonostante la genericita' dei vari piani proposti e il disaccordo sul percorso esatto lungo il quale dovrebbe essere eretta la barriera fra Israele e territori. Il fascino che la separazione unilaterale esercita sul pubblico israeliano merita d'essere analizzato perche' riflette delle tendenze della societa' che vanno al di la' degli specifici pro e contro strategici relativi alla costruzione di una barriera. Esso esprime piuttosto la profonda disillusione per il processo di pace nel suo complesso e la piu' sobria convinzione che non esiste interlocutore palestinese disposto ad accettare un compromesso di valore storico con il movimento sionista, fosse anche a costo di dolorose concessioni da parte israeliana. Pur in circostanze diverse, Israele attraverso' un processo simile dopo l'accordo di pace con l'Egitto. Le aspettative erano molto alte, ma quando i viaggi in Egitto per gli israeliani divennero pericolosi e gli egiziani disattesero sistematicamente tutti i loro impegni a favore di quella che in Israele si indicava come "normalizzazione" dei rapporti, la gente fini' con accettare la scelta dell'Egitto di mantenere le distanze e la separazione. A poco a poco un numero crescente di israeliani si convinse di non essere comunque accettato nel mondo arabo. In effetti il sogno incorporato nel processo di Oslo, che non era realistico data l'arretratezza socio-economica e politica del mondo arabo, e' andato in pezzi. La separazione da' espressione al desiderio israeliano di separarsi fisicamente, economicamente, culturalmente e politicamente dalla societa' araba piu' vicina. Il progetto della barriera rappresenta, fra l'altro, la repulsione israeliana per una societa' che produce attentatori suicidi e che gioisce apertamente per l'assassinio di ebrei inermi. Il desiderio e' quello di preservare gli israeliani dalla contiguita' con una societa' palestinese profondamente dispotica e corrotta. |
Esso rappresenta anche la scelta di non subire, di prendere il destino nelle proprie mani: un atteggiamento tipico della mentalita' sionista. In questo senso la separazione suona come una versione contorta di quel dinamismo che ha sempre suscitato l'ammirazione degli israeliani. Ma essa rappresenta anche l'ammissione dei limiti della forza militare d'Israele e la speranza che un muro invalicabile possa tenere a bada le ondate di terrorismo palestinese che tutta la potenza tecnologica e militare israeliana non ha potuto fermare in piu' di due anni. Purtroppo tutti i precedenti valli difensivi della storia (cinesi, romani, francesi e israeliani) non promettono bene. L'unico che funziono' fu il muro di Berlino, che era tuttavia un perimetro di morte: chiunque si avvicinava veniva colpito senza complimenti, una spietatezza teutonica che e' assai improbabile nel caso delle Forze di Difesa israeliane. Ma il sostegno all'ipotesi di separazione probabilmente e' anche espressione di una speranza un po' ingenua nelle soluzioni semplici. Si e' tentato con lo slogan "pace adesso". Oggi e' la volta della separazione unilaterale: "noi di qua, loro di la'." Una parola d'ordine persuasiva e accattivante, anche se poi molti di "loro" sono "di qua" e un po' di "noi" sono "di la'." Come molte societa', anche quella israeliana fa fatica ad accettare la complessita' delle situazioni e preferisce le alternative semplici. L'attenzione sul qui e adesso e' molto umana, ma non e' sempre saggia. Come molti altri occidentali, gli israeliani sono attrezzati per la ricerca di soluzioni concrete. Soprattutto chi e' di formazione liberale (come gran parte del pubblico israeliano) tende a pensare che con la buona volonta' e un forte sforzo intellettuale si possa sempre trovare una soluzione, assecondando le pretese degli avversari fino ad arrivare alla coesistenza pacifica. La conseguenza di questo atteggiamento e' la forte urgenza di trovare soluzioni anche per situazioni che soluzioni non ne hanno, ne' a breve ne' a lungo termine. Il dibattito politico sulla barriera e' in gran parte superato. I bulldozer sono al lavoro ed e' chiaro che la barriera verra' eretta. Nel quadro di una strategia volta al contenimento piu' che alla soluzione del conflitto, un sistema di ostacoli a est della linea verde (ex linea armistiziale) e a ovest della strada Allon nella valle del Giordano puo' avere qualche limitata utilita', a patto di tenere presente i suoi costi e la sua vulnerabilita'. Il dibattito dovrebbe ora focalizzarsi sul percorso della barriera, che diventera' punto di riferimento per un futuro confine al posto della vecchia linea verde. (israele.net, 9.12.02 - dalla stampa israeliana) RIFLESSIONE SUL FUTURO DEGLI EBREI Sionismo, eredità ancora viva di Angelo Pezzana "Che il futuro degli ebrei si chiami Israele è un fatto ormai compiuto. Consegnato alla storia, ma sempre vivo e presente nella storia dell'ebraismo contemporaneo, il sionismo continua a trasmettere alle nuove generazioni i valori che lo hanno reso forse l'unico "ismo" vincente nel secolo scorso. Gli altri "ismi", nazismo, fascismo, comunismo, dopo aver lasciato solo rovine al loro passaggio, hanno concluso negativamente il loro conto con la storia,quella con la esse maiuscola. Il sionismo, al contrario, ha creato una nazione, ha riunito un popolo prima disperso in ogni parte del mondo, ha ridato dignità e futuro a milioni di persone. In pace o in guerra, Israele guarda all'eredità di Theodor Herzl come ad un bene prezioso che non ha più bisogno di etichette per essere accettato. David Vital, lo storico del sionismo per eccellenza, liquida il cosiddetto post-sionismo con un sarcastico "nonsense". Lui, che ha scritto una monumentale storia del sionismo, ancora oggi il testo di riferimento per gli studiosi, non si è mai ritenuto altro che "sionista". Come può esserlo chi vive in Israele, dove l'aspirazione al ritorno è un concetto di storia scolastica e niente di più. Differentemente dagli ebrei della diaspora, i quali, malgrado l'esistenza di un legame anche profondo con Israele, continuano a vivere separatamente il loro rapporto con la terra dei padri. Fu un libro di David Vital, uscito all'inizio degli anni novanta, a gettare lo scompiglio nel dibattito diaspora- Israele. Si intitolava, non a caso, "Il futuro degli ebrei" (in italiano da Giuntina editore) e la tesi, semplice ma diretta, riaprì ferite mal cicatrizzate. Vital, questa è la sua visione, non intravede per gli ebrei un futuro nella diaspora. Il successo del sionismo nella creazione di uno stato porta inevitabilmente con sè un declino delle comunità ebraiche fuori da Israele, un declino che porterà quegli stessi ebrei ad identificarsi come tali solo grazie ad un riconoscimento che gli verrà dai paesi nei quali vivono, e non invece da una propria consapevolezza o dal sentire l'ebraismo come una eredità. Essere ebrei diventerà come essere cittadini qualunque, essendo l'unica differenza la diversità di religione. Il prezzo di questa condizione, apparentemente più che normale, è la perdita dell'appartenenza al proprio popolo. E, in un futuro forse non lontano, della possibilità di ricongiungersi ai fratelli nella terra d'Israele a causa della inevitabile assimilazione. Vital, profondo studioso di Herzl, non poteva non ricordarne l'insegnamento. Di fronte al colonnello Dreyfus,processato (innocente) per alto tradimento, ma umiliato da un processo e da una nazione che vedeva il lui non l'ufficiale ma l'ebreo traditore, aveva capito che l'Europa soffriva di un male incurabile, l'antisemitismo. Per uscirne gli ebrei dovevano essere liberi e responsabili della loro storia in una terra loro, dove poter riedificare il loro stato. Hitler e la "civile" Europa dopo nemmeno cinquant'anni dovevano purtroppo dargli ragione. Herzl, con il suo profetico "Judenstaat", voleva risolvere una volta per tutte la millenaria tragedia di un popolo che tutto possedeva per definirsi tale tranne uno stato. E' dunque la realtà di Israele che Vital propone a chi ne è ancora lontano. Se il sionismo ha raggiunto il suo scopo cinquant'anni fa con la creazione dello stato, metà dell'ebraismo mondiale vive ancora nella diaspora, in paesi nei quali il richiamo all' "anno prossimo a Gerusalemme" più che una decisione resta un buon proposito da leggere durante la cena di Pasqua. Vital ha avuto il merito, e il coraggio, di rilanciare nel dibattito intorno all'identità ebraica la questione fondamentale dell'"alià", del ritorno a casa. Come ogni azione coraggiosa ha suscitato subito diffidenza se non ostilità. Ma la sua analisi appassionata del futuro degli ebrei ha centrato l'obiettivo, se oggi, in Israele e nella diaspora, gli ebrei vivono il loro rapporto con l'eredità del sionismo in modo non conflittuale, avendo anzi recuperato di quell'ismo vincente tutto l'orgoglio che aveva ben meritato." ("Libero", 6.12.2002 - ripreso da "Informazione corretta") L'IRAQ DI DOMANI "L'Iraq di domani La democrazia è la soluzione" Il generale Al-Salhiè il capo dell'Iraqi Free Officers Movement , che appoggia il rovesciamento del regime di Saddam Hussein e la creazione di un nuovo governo basato su istituzioni democratiche. Prima di disertare nel 1995, il generale Al-Salhi aveva prestato servizio nelle forze armate irachene come comandante del battaglione corazzato delle Guardie Repubblicane, comandante della 16^ Brigata armata, comandante della 27^ Brigata di fanteria meccanizzata, e come capo dello staff della 1^ Divisione meccanizzata. E' anche autore di molte pubblicazioni tra cui: 'Il terremoto'; 'Diritti umani in Iraq'; 'Il problema sociale e politico in Iraq'; 'Il problema dell' amministrazione nei settori dello stato iracheno'; 'Il futuro delle forze armate in Iraq'; e 'L'esercito e l'unità nazionale'. Ecco alcuni estratti di un articolo del generale Al-Salhi, pubblicato recentemente sul quotidiano di opposizione iracheno Al-Mu'tamar.(1) La preparazione per l'era post-Saddam "Il regime del despota Saddam Hussein si sta avvicinando alla fine e, per la prima volta dall'istituzione dello stato del moderno Iraq nel 1921, ci sono segnali di un nuovo ordine che sostituirebbe i fossati di crimini e l'abisso di disastri di cui ha sofferto il popolo iracheno". "La rimozione del regime di Saddam non aprirà immediatamente la stagione della primavera. L'eredità di Saddam cadrebbe come un carico pesante sul regime in arrivo, in termini di infrastrutture distrutte e di un paese oppresso da problemi economici, politici, sociali, culturali, finanziari e legali. A ciò si aggiunga un ambiente sociale quasi sconnesso: uomini e donne esausti da dispotismo coercitivo, polizia di stato, tamburi di guerra, sanzioni soffocanti e da un'eredità di arbitrio, ingiustizia e corruzione ". "La mappa sociale e politica dell'Iraq comprende una varietà di gruppi: arabi, curdi, turcomanni, assiri, musulmani, cristiani e yazidi, pronti a piombare addosso per vendetta, ciascuno in cerca di un diritto perduto o di un'identità rubata. Il pericolo per la sicurezza interna potrebbe essere profondo se l'apparato di sicurezza fosse costretto a fuggire dalla furia della gente e dal proprio criminoso passato". "Ci sono persone che emergono da una prigione spaventosa, che cercano libertà senza limiti. Questa sarà una delle scene significative nei giorni e nelle settimane che seguiranno il crollo dell'antico regime e l'avvento di uno nuovo. Questo farà emergere molte domande cruciali: quale sarà la natura del nuovo regime? Quale sarà la sua strategia per mettere il paese sulla giusta strada? Quali sono le sue capacità di assicurare un senso di stabilità sociale, psicologica e politica? Il fallimento nell'affrontare presto questi argomenti metterà un punto interrogativo sulla capacità dell'Iraq di sopravvivere come entità politica unificata". "Per gli iracheni, la credibilità del nuovo regime sarà provata dall'applicazione tempestiva di leggi che trasformerebbero il paese politicamente, socialmente ed economicamente. La gente guarderà verso un sistema politico con molte sfaccettature, che si atterrà al risultato del voto, rispetterà i diritti umani e garantirà un Iraq unificato e florido". Donne e bambini "Le donne irachene devono essere liberate e i loro diritti legittimi ripristinati. C'è bisogno di una legislazione che protegga i diritti di donne e bambini dopo gli anni di abusi saddamisti. E' importante sottolineare i diritti costituzionali delle donne in termini di uguaglianza in istruzione, lavoro, cultura e politica. E' una finzione, ed è assurdo, ricostruire un paese distrutto con metà della sua gente paralizzata o disoccupata". "Questo richiederà la ricostruzione del sistema educativo su princìpi che assicurino una nuova e sana famiglia, libera dalla paura. Un nuovo regime dovrebbe varare leggi che aboliscano le circostanze innaturali che hanno costretto il bambino a lasciare la scuola e la sicurezza della sua famiglia". La libertà economica determina progressi sociali "Nel settore economico c'è necessità di una rivoluzione nella concezione e nei programmi creati da Saddam e dalla sua banda. Nel suo tentativo di creare fonti innaturali di ricchezza, la banda Saddam ha demolito le fondamenta dell'economia nazionale ed ha distrutto il ceto medio e le forze produttive della società. Ha fatto deragliare l'economia civile dal suo corso naturale per soddisfare i suoi aggressivi, militaristici e spionistici appetiti. La necessità richiede la mobilitazione di tutte le risorse naturali così come delle capacità fisiche e umane per accelerare la produzione di merci e servizi di alta qualità compatibili con gli standard internazionali". "La ricerca di risorse aggiuntive per l'economia irachena richiede l'incoraggiamento di tutti i tipi di turismo, e la trasformazione dell'economia chiusa, controllata dal settore pubblico e dalla burocrazia governativa, in un'economia libera, in cui il settore privato avrebbe grandi libertà di svolgere il suo ruolo nello sviluppo e nella crescita dell'economia nazionale. Questo libererà la forza-lavoro e fornirà un'enorme liquidità, che sarà vista favorevolmente dalla società internazionale e dalle sue organizzazioni di aiuto". I rapporti dell'Iraq con la regione e con il mondo "E' obbligatorio che tutti capiscano che la sovranità irachena, la sua unità nazionale e la sua sicurezza, sono linee rosse che non dovranno essere violate dagli stati della regione o sfruttate durante il processo di cambiamento. Gli stati della regione dovrebbero rispettare le decisioni irachene e non intervenire negli affari interni del paese sotto qualsiasi aspetto religioso, etnico, politico o economico. La politica estera irachena dovrebbe essere strutturata sul principio del rispetto della legittimità internazionale e delle sue istituzioni riconosciute. Dovrebbe essere coerente con l'apertura verso il mondo, a cominciare dalla regione circostante, basata su interessi reciproci e compatibilità economiche e culturali". "Tutti i conflitti tra l'Iraq e i suoi vicini dovrebbero essere risolti con mezzi pacifici e in conformità con gli accordi bilaterali e le leggi internazionali. I vicini dovrebbero riconoscere le condizioni disastrose lasciate da Saddam ed assumere le loro responsabilità nel fornire assistenza al popolo iracheno per superare le sue crisi (economica, politica e di sicurezza) che sono il risultato dell' ignoranza saddamista". "La diplomazia irachena, deformata da reti di intelligence, spionaggio e assassinii, dovrebbe essere riformata e ricostruita sulla base della professionalità e di leggi e standard internazionali. Ciò aiuterà l'Iraq a migliorare i suoi rapporti con altri paesi e con le Nazioni Unite e le sue organizzazioni. Queste riforme diplomatiche permetteranno all'Iraq di trovare soluzioni per le questioni dell'acqua e della sicurezza con il suo vicino settentrionale, la Turchia. L'Iraq dovrebbe esaminare le conseguenze della guerra con l'Iran, specialmente in merito ai confini comuni e al rispetto delle particolarità religiose e culturali delle società irachena e iraniana. I rapporti con il Kuwait dovrebbero trascendere la sua vergognosa occupazione e basarsi sulla reciproca sovranità". "Noi dobbiamo cercare relazioni politiche, economiche e culturali con il regno dell'Arabia Saudita, con i paesi del Golfo, con la Siria e la Giordania. L'Iraq esaminerà gli atteggiamenti dei paesi che l'hanno aiutato a liberarsi dal governo dispotico di Saddam. A questi paesi sarà accordata la priorità nella cooperazione politica, economica e tecnologica". Ristrutturazione dell'apparato militare e di sicurezza "L'attuale psicologia, basata sulla paura di un regime dispotico, non può certo essere cambiata in una notte. I cambiamenti sociali e demografici operati da Saddam per preservare il suo potere pongono la domanda: è possibile fidarsi dell'establishment militare e dell'apparato di sicurezza per mantenere l'ordine pubblico dopo la caduta del regime? Sarà necessario esaminare ogni istituzione - esercito, polizia, sicurezza - su basi scientifiche, distruggere le fondamenta create da Saddam e sottoporle tutte ad un pubblico esame. L'establishment militare, in particolare, dev'essere riorganizzato sulla base della nuova vita nazionale democratica. Le unità militari dovrebbero tornare nelle loro caserme, lontane da attività politiche e di partito. Le loro dimensioni devono essere ridotte ad un livello che assicuri la difesa attiva della sicurezza nazionale". "L'apparato di sicurezza interno dovrebbe essere riformato sulla base dei princìpi moderni, che riflettano la filosofia del nuovo regime e i suoi valori umani e democratici. Ci sarà necessità di assistenza da parte di paesi che hanno norme democratiche consolidate. L'apparato di sicurezza ereditato, dal punto di vista filosofico e strutturale, sarà un anatema per la cultura a cui aspira il popolo iracheno, il cui futuro richiede la costruzione di un apparato di sicurezza subordinato al rispetto delle leggi e dei diritti umani ". "Ci potrà essere una tendenza a vendicarsi nei confronti di coloro che hanno commesso crimini contro l'umanità. Il nuovo regime dev'essere fermo nel definire il governo della legge. Le persone dovrebbero essere processate in base ai reati commessi individualmente, anziché per colpe collettive. La compassione e l'amnistia possono essere necessarie". "Si dovrebbe fare ogni sforzo per una completa riconciliazione nazionale e la creazione di un'unità sociale, sulla base della lealtà nazionale e dell'applicazione di alti livelli religiosi di virtù, tolleranza e moderazione, fianco a fianco con la vita democratica". "Queste aspirazioni non possono essere realizzate per bacchetta magica. Bisogna fare passi impegnativi, caratterizzati da trasparenza e credibilità, per concretizzare le aspirazioni del popolo iracheno alla democrazia e alla prosperità". ------------------- Nota: (1) Al-Mu'tamar (Londra), 1-7 novembre 2002. (The Middle East Media Research Institute, 23 novembre 2002 ,N. 440) INDIRIZZI INTERNET 100 Years of Zionism | ||||