Notizie su Israele 182 - 27 giugno 2003


<- precedente    seguente ->                                                                                                                                                 indice
In quel giorno, io avrò cura di distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. «Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di grazia e di supplicazione; essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito.

(Zaccaria 12:9-10)



E' GIA' ARRIVATO IL MESSIA PER GLI EBREI ORTODOSSI?


«Viva il Re e Messia» è il motto di una nuova campagna propagandistica in Israele. Dappertutto nel paese si possono trovare grandi cartelli su cui è scritto chi è il Messia ebraico: il Lubavitch Rebbe Menachem Mendel Schneerson.
    
«Viva il Re e Messia - Rabbi Schneerson»
si trova scritto in Israele anche sugli autobus
Poco dopo la sua morte, avvenuta il 12 giugno 1994, il famoso rabbino di Brooklyn è stato dichiarato Messia dai suoi seguaci Chabbadnik. Con questa incoronazione messianica gli ebrei ortodossi sono andati contro la classica concezione ebraica, la quale sostiene che il Messia non è ancora venuto. Tuttavia, a loro viene permesso di predicare nelle sinagoghe e di confessare davanti a tutti che il LORO Rabbi è il Re e il Messia d'Israele.  Gli Chabbadnik sono considerati come ebrei dalla popolazione ebraica, nonostante che la maggior parte della popolazione non creda che il Rabbi Schneerson sia il vero Messia.
    Anche i primi discepoli di Yeshua, 2000 anni fa, erano considerati parte della popolazione ebraica a Gerusalemme e in Galilea. Per loro il Rabbi Yeshua era il Re e il Messia, che non solo aveva fatto miracoli tra la popolazione ebraica, ma aveva anche adempiuto le profezie bibliche. Anche se non tutti erano d'accordo - e in particolare non lo erano i rabbini del Sinedrio -, i discepoli (scolari di Yeshua) potevano tuttavia predicare Yeshua nelle Sinagoghe come il vero Messia. Oggi invece, dopo 2000 anni durante i quali gli ebrei hanno sofferto nella diaspora a causa del nome di Yeshua, il suo nome è diventato un insulto nelle sinagoghe ebraiche.

(NAI - Israel heute, maggio 2003)



IMPORTANTI CAMBIAMENTI NELLA FEDE MESSIANICA DELL'EBRAISMO ORTODOSSO (III)


Il Rebbe, gli ebrei e il Messia (Terza puntata)

di David Berger

IV

Come storico, sia del messianesimo ebraico, sia del dibattito ebraico-cristiano, ero in grado di prevedere la possibilità che alcuni dei messianisti Lubavitch avrebbero conservato le loro convinzioni anche dopo la morte del Rebbe. Ma quando pubblicità, preghiere, striscioni e libri si moltiplicavano e proliferavano, rimasi stupefatto e disorientato dall'indifferenza che la mia comunità, quella ortodossa, mostrava riguardo a questo fenomeno. Aspettavo ogni giorno di sentire personalità rabbiniche e organizzazioni religiose, dichiarare che credenze del genere sono inaccettabili per l'ebraismo, che venissero interdetti i loro seguaci dal ricoprire cariche religiose e che venisse proibito il sostegno ortodosso a quelle istituzioni che l'avessero abbracciata. Ma non ci fu nulla – solo il silenzio. Era come essere trasportato in una zona grigia dove le regole dell'ebraismo erano sospese.
    Dopo molti dilemmi interiori, decisi di occuparmi dell'argomento. In un articolo che pubblicai su Jewish Action, il giornale dell'Unione delle congregazioni ebraiche ortodosse in America (Autunno 1995), ammonivo che, se si fosse continuato ad accettare i messianisti dichiarati come ebrei ortodossi conformi a tutti gli effetti, [avremmo dovuto riconoscere che in questo modo] «… Affermiamo la piena legittimità di questa convinzione. Assegniamo una vittoria al cristianesimo in un aspetto del suo dibattito millenario con l'ebraismo. Accettiamo una revisione fondamentale di un punto cardinale della nostra fede. Dobbiamo tremare davanti al giudizio di Dio e della storia.»
    La reazione al mio articolo fu immediata e variegata. Mentre ci furono numerose espressione di sostegno, queste furono – e continuano ad essere – confinate per la maggior parte alla sfera privata. Riguardo alle critiche, Jewish Action ha ricevuto moltissime risposte dai chassidim Lubavitch che indicavano soprattutto un unico brano nel trattato Sanhedrin (98b) il quale, secondo un'interpretazione, esprime esplicitamente la possibilità di un messia che risorga dalla morte, ed anche qualche autorità successiva che commentava quel brano. Come vedremo, questa critica, alla quale ho risposto per esteso, non solo rinnega il solido consenso ebraico codificato da Maimonide, ma non tiene conto degli aspetti cruciali della convinzione dei messianisti che vanno ben oltre l'affermazione che il messia potrebbe risorgere dopo la morte.
    Nei primi mesi del 1992, quella misera tempesta che avevo creato si era consumata e la posizione di Chabad nella vita ebraica continuava più o meno come prima. Di tanto in tanto magari, una pagina di pubblicità in un giornale, pagata dai messianisti, suscitava una accesa discussione: ebrei ortodossi ed altri adoperavano la parola "pazzi", salvo fare poi ritorno alla normalità. In ogni caso, avevamo in quei giorni problemi complessi sui quali concentrarci. Gli accordi di Oslo avevano dato inizio ad un processo di pace nel Medio Oriente che suscitava molta preoccupazione, per di più nella comunità sionista-religiosa, riguardo al fatto si fosse o no permesso ridare indietro qualsiasi parte della Terra d'Israele ai non-ebrei.  In quest'atmosfera di crisi ideologica, concentrarsi sulle manie di qualche Chassid, squilibrato a quel che si diceva, significava essere sospettati di soffrire di ossessioni.
    Comunque, per quanto mi sforzassi, non ero in grado di rappacificarmi con questa religione trasformata alla quale appartenevo. Mi rivolsi allora al Rabbinical Council of America (RCA – Consiglio rabbinico americano), un'importante associazione i cui membri sono per lo più moderni rabbini ortodossi. In una lettera indirizzata ai membri del RCA che conoscevo personalmente, proposi una risoluzione da approvare al congresso annuale di giugno 1996, che fu approvata dalla maggioranza schiacciante dell'assemblea. Un articolo chiave del documento affermava che «non c'è e non c'è mai stato un posto nell'ebraismo per la credenza che il mashiah ben David (messia figlio di David) comincerà la sua missione messianica soltanto per provare la morte, la sepoltura e la resurrezione prima di completarla».
    Questa volta, i messianisti hanno lanciato una furibonda controffensiva, della quale l'elemento più sconcertante fu una lettera pubblicata che riportava la firma del rabbino Ahron Soloveichik, una venerabile figura, molto famosa nel mondo ortodosso non-chassidico. La lettera biasimava gli attacchi ai Lubavitch, e insieme citava cinque delle fonti preferite dei messianisti per stabilire che la questione in discussione era «una divergenza legittima d'interpretazione».
    Tuttavia, sia lo stile che il contenuto di questo documento suggerivano che non era stata veramente scritta dal rabbino Soloveichik. Questa conclusione mi è stata confermata da persone che avevano una discreta familiarità con i fatti e che riferirono che egli era d'accordo a scrivere solo una dichiarazione contro le denuncie contro i Lubavitch. In effetti, solo diciotto mesi prima, il rabbino Soloveichik aveva asserito che questa convinzione (che egli erroneamente riteneva condivisa da una piccola minoranza di chassidim Lubavitch) «era possibile nella fede cristiana ma non nell'ebraismo» e che era «ripugnante a tutto ciò che l'ebraismo rappresenta.» Indubbiamente, la malattia del rabbino gli impedì di controllare bene l'andamento dei fatti, e, sino ad oggi, una seconda lettera, molto debole, che negava che «approvasse punti di vista o asserzioni specifiche riguardo al mashiach», non ha impedito ai messianisti di citare la prima.
    Malgrado questo spiacevole intervento, la dichiarazione del RCA venne approvata, e cominciai a chiedermi se fosse possibile indurre i leader ortodossi collocati alla destra religiosa del RCA a reagire. Dedita all'autorità di da'at Torà, ossia "l'opinione della Torà", l'organizzazione tradizionalista Agudath Israele ha creato un gruppo di illustri rabbini autorizzato a decidere su problemi sia della legge ebraica, sia della linea di condotta nelle questioni d'interesse pubblico. Questo Consiglio di Maestri di Torà e i gruppi equivalenti in Israele, hanno una posizione di influenza ineguagliabile per una grande parte dell'ortodossia, e le figure principali in questo Consiglio godono di grande rispetto anche fra i moderni ebrei ortodossi.
    Inviai copie dello scambio d'opinione pubblicato nel Jewish Action a membri del Consiglio e poi, dopo la risoluzione del RCA, seguì una serie di lettere. Finalmente, nell'autunno del 1996, ricevetti una telefonata dal rabbino Moshe Sherer, presidente di Agudath Israele e una del leader comunitario ebraico più efficace della nostra generazione che lasciava intendere che le mie lettere non erano cadute nel vuoto. Il Rabbino Sherer mi aveva scritto il dicembre precedente per dirmi che aveva ricevuto la documentazione del Jewish Action che diceva di aver letto con molto interesse. Questa volta, il suo messaggio fu sia criptico che incoraggiante: «hai scritto alla Moetseth Ghedole' Hatora', [il Consiglio dei Grandi della Tora'], disse, utilizzando il termine ebraico per consiglio, e non hai avuto una risposta. Voglio che tu sappia che i membri della moetzeth sono persone serie che leggono con serietà materiali seri ».
    A tutt'oggi, il Consiglio non ha ancora fatto una dichiarazione su questo problema. Uno dei suoi membri, che ha chiesto di rimanere anonimo, mi ha scritto che egli stesso rimane in silenzio solo per la preoccupazione che si potrebbe prendere una risoluzione approvata senza unanimità come segno che alcuni dei rabbini non respingono gli sviluppi in considerazione. Mi ha anche esortato a continuare la mia campagna pubblica, dicendo che mi ritiene un «eroe» e che sarò ricordato come un «combattente» delle guerre del Signore contro le «sette delle falsità». Questo rabbino sicuramente non è isolato nel suo punto di vista, ma va da sé che l'impatto di posizioni espresse in privato è molto limitato.

V

Fin qui, abbiamo descritto di come si sia dissolta la distinzione chiave fra la fede messianica nell'ebraismo e nel cristianesimo. Quello che hanno fatto i messianisti non è stato solo affermare che un discendente deceduto di Davide potrebbe teoricamente risorgere come redentore, ma hanno abolito di fatto il requisito fondamentale dell'ebraismo per riconoscere questa persona, rivendicando la fiducia che questo presunto discendente possa essere il messia, nonostante la sua morte in un mondo non redento. A peggiorare la situazione, c'è il fatto che questa persona aveva dichiarato che il processo cosmico necessario alla redenzione fosse stato già completato.
    Un caso del genere non lascia spazio all'ambiguità: l'ebraismo respinge inequivocabilmente il principio che Dio manderà il vero messia a predicare l'imminente redenzione "senza indugio" (come ha fatto certamente il Rebbe), tanto più chiaramente respinge la sua identificazione come redentore (come i messianisti credono che egli fece), per poi farlo però morire prima del compimento della redenzione stessa. I chiari criteri che gli ebrei hanno sempre applicato per valutare queste affermazioni sono basati sulle stesse profezie bibliche che definiscono la fede messianica. L'asserzione che il Rebbe scomparso sia il messia è quindi la negazione di un fondamento della fede ebraica.
    Ma c'e stato anche di più. Nell'autunno del 1997, sei prominenti rabbini Chabad hanno preso una decisione formale che successivamente venne ripubblicata con un numero crescente di firme, arrivando a raccoglierne 150 al gennaio 2000. Poiché, secondo questa decisione, il Rebbe aveva mostrato tutte le qualità di saggezza e di carattere che Maimonide aveva stabilito per un profeta; poiché aveva fatto numerose previsioni corrette, riguardo alla Guerra dei sei giorni, alla Guerra del Golfo, e ad altre questioni; e poiché, per chiunque avesse occhi per vedere, si era autodichiarato sia profeta, sia messia, si è obbligati ad accettare che egli sia il messia in funzione dell'obbligo di obbedire ad un profeta.*
    E molto di più, ancora. Dalla fine del 1996 a tutto il 1997, ha fatto la sua apparizione qualcosa che molti osservatori riescono con difficoltà a digerire a meno che non si voglia credere alle prove messe davanti agli occhi. Per un numero importante di chassidim Lubavitch, il Rebbe stesso non è altro che divinità pura.
    Nell'autunno del 1996, un settimanale Chabad in Israele pubblicò una versione riveduta dello slogan messianico consueto. Invece di scrivere, «Che il nostro Maestro, il nostro Insegnante e Rabbino, il Re Messia, viva per sempre» veniva scritto «Che il nostro Maestro, il nostro Insegnante e Creatore, il Re Messia, viva per sempre», (corsivo mio). Poche settimane dopo, citando un testo Chabad della corrente principale pubblicato nel 1991, la stessa rivista dichiarò che è permesso inchinarsi al Rebbe perché «la sua intera essenza è solo divinità».
    Un giornale Chabad di lingua francese ha descritto la data della morte del Rebbe come il giorno dell'apoteosi (cioè, l'ascesa in cielo come divinità) del re messia, mentre un articolo inglese ha descritto il Rebbe come «l'Essenza e l'Essere di Dio rivestito di un corpo, … onnisciente e onnipotente». Sottolineando che queste affermazioni non sono «né esagerazioni infondate, né parabole poetiche», l'autore terminava dicendo, «Allora chi è Elokenu? [il nostro Dio? - punto interrogativo nell'originale NdT] … Il Rebbe, melekh hamoshiach [il re messia]. Ecco chi è».
    Un manuale di catechismo messianista, in un brano attribuito ad una guida religiosa in una yeshivà Chabad israeliana molto importante, ha descritto il Rebbe come il responsabile per «tutto ciò che avviene nel mondo. Nessun avvenimento può aver luogo senza che egli non sia d'accordo. Può causare qualsiasi cosa, "e chi può dirgli come fare?" … In lui, il Santo, Benedetto Egli Sia, poggia tutta la Sua forza esattamente com'è … in modo che questa diventa tutta la sua essenza». Lo stesso maestro ha scritto un articolo con il titolo "Non considero il Rebbe come basar va-Dam [carne e ossa]" e ha dichiarato:

«Sì, il corpo del Rebbe è di carne e di ossa, ma per quanto gli riguarda, nulla lo costringe né lo limita – né le limitazioni fisiche né quelle spirituali. Egli "è ciò che è" [cfr. il nome divino in Esodo 3,14]. Anche rivestito da un corpo fisico, è comunque senza limiti di qualsiasi natura e ha la capacità di fare tutto e di essere tutto in maniera illimitata.»

Un'altra guida spirituale, questa volta di una yeshivà importante di Brooklyn, ha scritto che il Baal Shem Tov, il predecessore diretto del rabbino Menachem Mendel, e tutti i rebbe Chabad prima di lui, hanno rivelato «l'essenza pura di Dio» ma «dentro una sola delle sefirot, [le dieci emanazioni del divino nel misticismo ebraico] e utilizzando solo essa». Tuttavia, il Rebbe più recente – o corrente – si differenziò dai suoi predecessori, vincolati da una solo sefirà, manifestando l'essenza illimitata di Dio nella sua piena purità senza neanche il minimo occultamento.
    Dopo aver letto alcuni di questi articoli, ho scritto un articolo per il giornale israeliano Ha'aretz intitolato "Sul falso messianismo, l'idolatria e il Lubavitch" (11 gennaio 1998). Alimentato dall'internet, sollevò reazioni tempestose da molte parti. Dal lato positivo, il Consiglio dei Grandi della Torà ha autorizzato la pubblicazione di un articolo che difendeva la visione normativa ebraica del messia sul Jewish Observer - la rivista di Agudath Israele, e il Comitato Centrale dei Rabbini Chabad-Lubavitch negli Stati Uniti e Canada, un'organizzazione che ha purtroppo molto meno peso che quello che si potrebbe pensare dal nome, denunciò la deificazione di qualsiasi individuo. Dal lato negativo, un articolo nel giornale messianista Beis Moshiach ha difeso tutta la gamma di formulazioni che avevo attaccato, e molti fori mi hanno descritto come un serpente, un asino, un maiale ed un eretico. Altri rappresentanti Lubavitch mi hanno denunciato per aver citato dichiarazioni di qualche forsennato marginale, come se fossero quelle della stragrande maggioranza, anche se uno di questi rappresentanti ha subito aggiunto che c'è una fonte sicura per l'affermazione che una persona estremamente giusta è «solo Dio Stesso, Essenza ed Essere. Quello è un rebbe».
    Questa è una questione particolarmente delicata perché il rebbe stesso, parlando di suo suocero, descrisse una volta un rebbe chassidico come «l'Essenza e l'Essere [di Dio] in un corpo». Mentre non credo che l'abbia inteso nel senso letterale, e anche alcuni chassidim che si astengono dall'uso di un linguaggio che chiama il Rebbe "Dio", lo fanno solo perché pensano che ciò potrebbe indurre a pensare che sia una divinità separata ed indipendente, o che l'essenza di Dio sia limitata ad un singolo essere umano. Credendo tuttavia che tutta l'essenza del Rebbe sia divina. Così, la differenza fra i seguaci di questa teologia che usano la formula liturgica che chiama il Rebbe "nostro Creatore" e coloro che non lo fanno è essenzialmente solo semantica (anche se non vi è dubbio che la riluttanza ad utilizzare questo termine derivi anche da una tabù ebraico profondamente radicato).
    In ogni caso, negando che il Rebbe sia una divinità indipendente, o che l'Essenza divina sia stata limitata a questo essere umano in particolare, tutti gli interessati pensano di avere fatto una distinzione sufficiente fra la loro posizione e quella del cristianesimo, ma di fatto hanno distinto la loro posizione solo da una caricatura del cristianesimo. Riguardo l'ebraismo classico, anche il cristianesimo originale, dove Gesù è una manifestazione di un elemento del singolo Dio Creatore, è una forma di "culto estraneo" (avodà zarà), che significa in pratica l'accettazione formale o l'adorazione di Dio come un'entità che di fatto Dio non è.
    Ci sono, certo, delle differenze fra il dogma cristiano che sostiene l'incarnazione della seconda persona della trinità per formare un Dio-uomo, e la tesi letterale che il Rebbe non sia altro che divinità pura, ma non credo che queste differenze siano sostanziali dal punto di vista della legge ebraica. Un ebreo che crede che Dio si sia letteralmente manifestato in tutta la Sua forza nella persona del Lubavitcher Rebbe, e che abbia anche un pensiero fuggente su questa manifestazione mentre prega, cade in uno dei peccati cardinali dell'ebraismo.
Moltissimi chassidim Lubavitch prendono la retorica sull'Essenza e l'Essere come metafora, ma ciò nonostante, troviamo certamente anche una comprensione letterale di questo concetto fra le figure principali che insegnano nelle istituzioni centrali del movimento – e dunque, si suppone, anche fra i loro studenti. Facendo notare queste dottrine Lubavitch, un missionario cristiano ha commentato sull'ironia dei chassidim che sono classificati come ebrei ortodossi nonostante prestino fede in un messia deceduto e divino – una classificazione basata sull'identificazione del loro messia con il rabbino Menachem Mendel Schneerson piuttosto che Gesù di Nazareth. Sfortunatamente, questo autore prosegue «hanno appuntato le loro speranze sul candidato sbagliato». Così – e lasciando da parte la questione dell'osservanza ebraica – la linea di demarcazione fra l'ebraismo e il cristianesimo si riduce ad una questione di errore di persona.

Anche lasciando da parte la questione della forza intrinseca della persuasione, questa decisione può generare una conseguenza preterintenzionale. Le previsioni del Rebbe sulla redenzione hanno una forte indicazione che l'epoca messianica dovrebbe essere già arrivata. Dal momento che chiaramente questo non è avvenuto, l'insistere che le sue previsioni furono intese come profezie ha l'effetto di fare del Rebbe un falso profeta.

------------
Traduzione di Lenore Rosenberg dell'articolo "The Rebbe, the Jews, and the Messiah" di David Berger; Commentary; settembre 2001; vol. 112, numero 2; p. 23, 8 pp.

(KESHER Le newsletter di Morasha.it, 19.06.2003)
Quarta puntata


prosegue ->

ANTISEMITISMO IN ISRAELE


Skinhead e siti internet neonazisti in Israele

di Jean-Yves Camus

Gli atti di antisemitismo si moltiplicano in Israele. Dei siti internet si dichiarano apertamente come adepti di Hitler e incitano alla violenza. In alcune città si possono incontrare degli skinhead. I responsabili? I nuovi immigrati dall'ex Unione Sovietica che non sono ebrei e che lo Stato ha accettato per comodità. Il fenomeno si sta allargando e le vittime si organizzano.

    I ricercatori dell'Istituto "Stephen Roth" dell'Università di Tel Aviv, specialisti di razzismo e antisemitismo, nel comunicarmi la loro scoperta mi avevano avvertito: «Mettiti ben seduto prima di andare su quei siti». In effetti, fin dalla pagina iniziale lo choc è grande. Sono due siti internet israeliani in lingua russa. Il più elaborato proviene da una "Unione degli Israeliani Bianchi" diretta da un certo Ilya, abitante in Haifa, e da Andrei, abitante in Arad. L'indirizzo del sito contiene il numero «1488», che rinvia alla simbolica neo-nazista: 14 corrisponde al numero delle parole del motto, in inglese, elaborato dall'attivista David Lane: «Dobbiamo assicurare l'esistenza del nostro popolo e un avvenire per i nostri figli bianchi», e 88 corrisponde a «Heil Hitler», essendo «H» l'ottava lettera dell'alfabeto.
    Il contenuto è strabiliante: molte foto di skinhead che posano facendo il saluto hitleriano, armi alla mano. Uno di questi cliché è preso davanti a un campo militare. Si possono leggere dei testi esplicitamente antisemiti, antiarabi e ostili ai lavoratori stranieri, o ascoltare dei file MP3 di «white power music», quella forma di rock con parole negazioniste [dell'Olocausto] e razziste, in voga nell'ultradestra americana. E altre canzoni di gruppi russi dello stesso tipo, tra cui «Corrosione del metallo» (Korrozia Metalyi), molto conosciuto per la sua vicinanza ideologica con il Partito Nazional-Bolscevico, dello scrittore franco-russo Edouard Limonov. Dai simboli utilizzati si riconosce chiaramente l'influenza della rete neonazista anglosassone «Blood and Honour», molto attiva nell'organizzare le «teste rasate» russe e ucraine. Negli ultimi tempi alcuni skinhead sono stati visti a Hazor e a Qiryiat Shemona.
    L'attivismo antisemita in Israele è ancora marginale in questa forma. Ma molti «olim», nuovi immigrati originari dell'ex URSS, si lamentano per gli insulti antisemiti che subiscono (vengono trattati da «zhid», l'quivalente russo di «youpin»), per le croci uncinate dipinte sui muri. Gli estremisti sono russi, ma non ebrei, che hanno scelto di stabilirsi in Israele in considerazione degli aiuti economici e sociali di cui beneficiano i nuovi arrivati. Questi incidenti, in numero di diverse centinaia, che ogni tanto provocano dei ricorsi alla polizia, hanno spinto un emigrante venuto dalla Moldavia, Zalman Gilchinsky, a fondare un Centro di aiuto e informazione per le vittime dell'antisemitismo, con sede a Tel Aviv, che ha ricevuto l'appoggio della più grande autorità rabbinica del mondo harédi (strettamente ortodosso), il Rav Yosef Shalom Eliachiv. Il suo sito internet: www.pogrom.org.il, contiene un repertorio aggiornato di atti antiebraici.
    Il 24 maggio scorso, Lily Galili ha pubblicato sul quotidiano Ha'aretz un lungo articolo che dà la misura di questo antisemitismo dei non-ebrei provenienti dall'ex URSS, di cui la maggior parte ha ottenuto la cittadinanza israeliana. L'articolo è stato subito ripreso e deformato da numerosi siti francesi pro-palestinesi, tra cui quello della CAPJPO e di Solidarité-Palestine, che senza ridere affermava che la situazione è un risultato dell'«assurda legge del ritorno». Mentre invece è una conseguenza della larghezza di cui fa prova Israele nell'accogliere immigranti senza alcuna identità ebraica, come se fossero ebrei. Atteggiamento che ha permesso l'introduzione nello Stato ebraico di un altro caso patologico: Israel Shamir, nato a Novossibirsk, divenuto una delle figure-chiave di una setta negazionista-antisemita-antisionista, il quale, a suo dire, si è convertito al cristianesimo. Shamir, i cui testi sono diffusi ampiamente in Francia negli ambienti  pro-palestinesi, si trovava proprio a Parigi martedì scorso [17 giugno] per una conferenza organizzata dagli ambienti antisemiti dell'ultra-sinistra.

(Proche-Orient.info, 24 giugno 2003)



SOLDI ITALIANI AI PALESTINESI


Secondo quanto si può leggere sulla Gazzetta Ufficiale n. 145 del 25.06.2003, serie generale, la legge 18 giugno 2003 n. 145 stabilisce all'art. 1 che (citazione testuale):

"E' autorizzata la concessione alla Delegazione generale palestinese, per il triennio 2002-2004, di un contributo annuo pari a Euro 309.875 destinato alle spese di funzionamento della sua sede in Italia. Tale contributo ha carattere forfetario e non è soggetto a rendicontazione".

In altre parole: ai palestinesi viene dato qualcosa come quasi 2 miliardi di vecchie lire in tre anni, senza nessuna certezza che questi soldi vengano davvero utilizzati per le spese di funzionamento della sede italiana e non per altri scopi, magari militari.

(Segnalazione pervenuta per posta elettronica)



IL RISULTATO DELLE TRATTATIVE CON I TERRORISTI


La grande vittoria di Hamas

di Caroline B. Glick


L'ultima offerta di Hamas è quella di fermare temporaneamente gli attacchi di massa in un Israele pre-Guerra dei Sei Giorni, continuando comunque con attacchi minori. Gli attacchi massicci di Hamas, si dice, durante questo periodo indefinito saranno limitati alla Giudea, alla Samaria e a Gaza. L'offerta vale se Israele accetta di porre fine alle uccisioni predeterminate dei membri di Hamas, e se scarcera tutti i terroristi.
    L'ultima offerta di Israele è quella di porre fine alle uccisioni mirate dei leader e dei comandanti di Hamas, se Hamas accetta di mettere fine a tutti gli attacchi terroristici in ogni posto. Inoltre, Israele continuerà ad espellere gli israeliani dalle loro case nelle comunità non autorizzate di Giudea e Samaria.
    L'ultima offerta dell'Autorità Palestinese è quella di formare un governo unitario con Hamas, se i suoi responsabili accettano di annunciare l'accettazione di un temporaneo cessate-il-fuoco (si spera) nell'incontro del Primo Ministro dell'AP Mahmoud Abbas con il Segretario di Stato americano Colin Powell, avvenuto oggi. L'offerta non sembra avere limiti di tempo. Cioè, anche se Hamas non assecondasse Abbas nel suo incontro con Powell, i suoi rappresentanti potrebbero comunque far parte del suo governo.
    Da parte sua, Powell esita a chiedere che Israele faccia una nuova offerta che includa la scarcerazione dei terroristi e la fine delle uccisioni dei terroristi di Hamas, tranne quelli definiti grossolanamente "bombe ticchettanti". Gli Stati Uniti continueranno a premere su Israele affinché aumenti la velocità e il numero delle espulsioni di israeliani dalle comunità non autorizzate e smetta di costruire il muro che si suppone debba impedire ai terroristi palestinesi di infiltrarsi in Israele come prima della Guerra dei Sei Giorni.
    A questo punto, la richiesta che Hamas venga smantellato come forza combattente non è sul tavolo.
    Tutti questi discorsi cosa lasciano capire ad Hamas? Abbiamo un esempio negli Hezbollah.
    Dopo la fallita Operazione "Grappoli di Rabbia" in Libano nel 1996, Israele accettò di smettere di combattere gli Hezbollah nelle aree popolate. Cioè, permise agli Hezbollah di operare liberamente nei suoi territori preferiti. Mettendo fine agli attacchi aerei delle forze armate israeliane contro gli Hezbollah nelle aree popolate, in effetti non si è fatto altro che neutralizzare il vantaggio militare di Israele contro le forze terroristiche.
    Allo stesso modo, l'attuale intenzione di Israele di non colpire gli obiettivi terroristici di Hamas equivale a deporre la sua arma più potente contro Hamas. Come ha detto una fonte palestinese: "Perché pensate che questa sia la loro prima richiesta? Perché si tratta dell'arma israeliana che temono di più. Togliete via i bersagli da colpire e perderete ogni deterrente contro di loro". Di conseguenza, Hamas avrà il permesso di mantenere le sue finanze, le sue armi, i suoi membri di governo, i suoi soldati ed avrà accesso all'opinione pubblica. Da questo momento Hamas verrà legittimato da tutti i partiti.
    Naturalmente, la seconda richiesta di Hamas – porre fine alla demolizione delle abitazioni dei terroristi – è già negli accordi della Road Map. Senza dubbio questo strumento, che ha funzionato per impedire a centinaia se non migliaia di palestinesi di diventare suicidi dinamitardi, presto sarà condannato pubblicamente dai membri del Quartetto, ed Israele accetterà, in una fase successiva dei negoziati – forse dopo questo "cessate il fuoco"? – di porre fine a questa pratica.
    Quale significato hanno tutte queste negoziazioni con Hamas per l'Autorità Palestinese? Quello che si evince chiaramente è che l'AP non ha preso la decisione di combattere il terrorismo. Abbas l'ha ripetuto chiaramente più volte. La richiesta fatta questa settimana dal suo capo dei servizi segreti Muhammad Dahlan, che i noti assassini Tawfik e Rashid Abu Shabak vengano eletti a capo delle forze in Giudea, Samaria e nella Striscia di Gaza, è semplicemente un'ulteriore dimostrazione che le forze di sicurezza dell'AP continueranno ad essere gruppi terroristici.
    Offrendo ad Hamas, alla Jihad islamica e a Fatah dei posti al suo tavolo di governo, Abbas sta semplicemente solidificando una già esistente unità di forze. Questa unità esiste già da quando Yasser Arafat e Marwan Barghouti formarono la "Resistenza Unificata dell'Intifada" nell'autunno del 2001, per coordinare gli attacchi terroristici tra Fatah, Hamas, la Jihad Islamica e altre organizzazioni dell'OLP, come la DFLP e la PFLP.
    Quanto agli Stati Uniti, l'amministrazione Bush sembra intenzionata a ripetere la politica che ha contrassegnato a lungo i suoi predecessori. Powell lo ha espresso chiaramente mercoledì scorso, quando ha detto: "Mi incoraggia il fatto che entrambe le parti sembrano rendersi conto che non possono continuare a permettere che quest'ondata di terrorismo intralci il progresso della Road Map. Non c'è alternativa".
    Il problema principale di tutte le discussioni con Hamas sta in quello che dicono sul governo israeliano in generale e sulla leadership di Ariel Sharon in particolare. Proprio una settimana fa, Sharon ha dichiarato che avrebbe fatto una guerra totale contro Hamas, ma ora sembra che stia negoziando questa dichiarazione. Il tentato colpo sul leader di Hamas Abdel Aziz Rantisi è stato soltanto una tattica di negoziazione? Sharon stava semplicemente etichettando i leader di Hamas come possibili bersagli, per poi concedere loro qualcosa? Forse.
    In fondo Sharon, che fu eletto a maggioranza assoluta nel 2001 per mettere fine alle rovinose politiche diplomatiche del suo predecessore Ehud Barak, sembra averle adottate anche lui.
    Ed è impossibile criticare le azioni di Sharon sotto la pressione americana. Rimangiandosi le prime critiche del colpo a Rantisi, il presidente americano George w. Bush ha infine mostrato la settimana scorsa che non porterà avanti la sua politica nel Medio Oriente senza un confronto aperto con Israele.
    Quanto a Sharon, comincia ad assomigliare sempre più a Shimon Peres. Prima della sua ascesa alla guida nazionale negli anni '80 e '90, Peres era uno dei pensatori più strategici di Israele. Le sue visioni erano dapprima vaste, ideologicamente sane e pragmatiche. Ma ad un certo punto Peres sembrò abbandonare tutte le sue precedenti convinzioni per godere di una popolarità personale fra le èlite sociali di Israele e gli intellettuali europei. Come Peres, Sharon sembra aver barattato la chiarezza strategica (e morale) con insulsi slogan.
    Oltre ai negoziati con Hamas dopo aver dichiarato loro guerra, un altro esempio lampante di questo squallore intellettuale è la decisione di Sharon di smantellare gli avamposti. Proprio lo scorso anno il capo dello staff generale, Comandante Moshe Ya'alon disse: "Ogni evacuazione [degli stanziamenti] sotto il terrorismo e la violenza non fa che aumentare il terrore e la violenza. Ci mette in pericolo". Eppure, nonostante che dei civili siano massacrati sugli autobus e delle ragazze vengano prese a fucilate sulle autostrade, Sharon sta smantellando gli avamposti. Lo sta facendo per dimostrare quello che è già chiaro cioè la rotondità della terra – che Israele è disposto a scendere a compromessi per la pace. Gli americani non hanno bisogno di altre prove su questo fatto.
    Che cosa ci dice, infine, la nostra abitudine a ripetere gli errori del passato sul modo in cui vengono prese le decisioni in questo paese? Ci dice che oggi non c'è un dibattito aperto sul futuro che vogliamo.
    Prendiamo ad esempio l'assassinio di Noam Leibowitz, avvenuto martedì sera [17 giugno]. Scavando sotto il muro alto otto metri che separa Route 6 da Kalkilya, i terroristi hanno preso in giro la vecchia idea che un'altra linea Maginot potrebbe funzionare per noi. Ma piuttosto che far venir fuori questa semplice verità, i giornali e i mass-media israeliani si sono limitati a invitare i principali proponenti del muro a spiegare perché l'idea funziona ancora.
    Da parte sua, l'IDF ha fatto in fretta a dire che costruirà 21 campi militari e dozzine di avamposti fissi lungo il muro, per custodirlo. Quindi, per proteggere un muro che non serve a niente, l'IDF costruirà delle difese fisse che serviranno solo ad essere un invitante bersaglio per i terroristi.
    Quanto ai grandi errori strategici riciclati da Oslo, le nostre élite massmediatiche ci dicono che non abbiamo alternativa. Non esistono altri piani, dicono. Questa settimana l'università di Tel Aviv ha tenuto una conferenza di tre giorni, in cui i partecipanti al fallito summit di Camp David si sono ritrovati a discutere il motivo per cui le loro operazioni sono state un successo, anche se il paziente è morto. Non si è discusso per niente il piano proposto dal ministro del turismo Benny Elon, per porre fine alla guerra. Il suo piano, che comprende la dissoluzione dell'AP e dei nuovi stanziamenti dei profughi palestinesi in Giordania, è completamente sconosciuto agli israeliani, anche se Elon stesso è andato per ben due volte negli Stati Uniti per spiegare la sua alternativa davanti ad un uditorio statunitense. Forse le sue idee sono valide. Forse alcune sì e altre no. Ma come facciamo a saperlo?
    Che Hamas sia un'organizzazione terroristica dedita alla distruzione dello Stato d'Israele attraverso il genocidio, è risaputo da tutti. Allora, perché nessuno sottolinea quanto sia pericoloso negoziare con questi assassini? È giunto il tempo che i cittadini di questo paese esigano che i nostri leader facciano i conti con la realtà. Dobbiamo poter dire a noi stessi che c'è qualcosa di patologico in un popolo che insiste nel ripetere gli stessi errori. Dobbiamo esigere e fare nostre delle discussioni che prevedano alternative a strategie ormai fallite. I nostri leader politici, le nostre élite massmediatiche ed accademiche devono prendere atto che insistiamo a voler sentire voci alternative, perché quello che è in gioco non sono loro. E' in gioco la nostra sopravvivenza.

(Newsletter di Naomi Ragen, 20 giugno 2003)



MOLTI DUBBI ATTORNO ALLA «TREGUA» PALESTINESE


Tre organizzazioni palestinesi (Fatah, Hamas e Jihad Islamica) avrebbero raggiunto un'intesa per una sospensione di tre mesi degli attentati anti-israeliani. Lo riferiscono giovedi' fonti palestinesi, peraltro smentite da altre fonti vicine a Hamas. L'intesa potrebbe essere formalmente annunciata venerdi' al Cairo.
    Mentre resta ancora poco chiaro dove e quando la "tregua" dovrebbe entrare in vigore, il primo ministro palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si considera deluso per il suo limite di tre mesi. Secondo funzionari palestinesi, Abu Mazen ritiene impossibile far accettare a Israele una tale intesa, dal momento che Israele ha piu' volte chiarito che una semplice "hudna" (tregua parziale e limitata nel tempo) sarebbe nociva per la sicurezza di Israele giacche' essa, anziche' servire a smantellare e disarmare i gruppi terroristici (come previsto da tutti gli accordi di pace, compresa la Road Map), servirebbe esattamente al contrario: a dar loro tempo per riarmarsi e riorganizzarsi, mentre Israele avrebbe le mani legate.
    L'intesa sarebbe stata raggiunta a Damasco (dove hanno sede tutti i principali gruppi terroristici palestinesi programmaticamente ostili alla pace con Israele) tra il leader di Hamas Khaled Mashaal e il leader della Jihad Islamica palestinese Ramadan Saleh. L'intesa sarebbe stata poi approvata da Marwan Barghouti, il capo delle milizie illegali Tanzim di Fatah detenuto dall'aprile 2002 in un carcere israeliano e sotto processo per attivita' terroristiche.
    L'intesa prevederebbe, in cambio della sospensione di tre mesi degli attentati, la scarcerazione da parte di Israele di tutti i detenuti palestinesi e il ritiro dei soldati israeliani da tutte le zone in cui sono entrati dopo l'inizio dell'offensiva terroristica palestinese contro Israele nel settembre 2000. Secondo fonti di Fatah, molti degli stessi dirigenti palestinesi ritengono eccessive tali condizioni.
    E' quantomeno improbabile che Israele accetti di scarcerare pericolosi terroristi, che si sono macchiati di gravi reati di sangue, in cambio di una sospensione negli attacchi limitata nel tempo, trascorso il quale quegli stessi terroristi scarcerati avrebbero il "diritto" di tornare a colpire.
    La stessa richiesta di ritiro, che lascerebbe un pericoloso vuoto di potere in molte zone, e' considerata dagli stessi osservatori palestinesi troppo vaga perche' permetterebbe ai gruppi estremisti di continuare gli attacchi a loro volonta' potendo sempre sostenere che non e' stata rispettata come la intendevano loro.
    L'intesa prevedrebbe anche la cessazione di tutti i cosiddetti "omicidi mirati" con cui le forze di sicurezza israeliane cercano di arginare le stragi indiscriminate del terrorismo. Israele si e' gia' detto disposto a sospendere, a titolo di prova, le operazioni contro i mandanti, ma non quello contro le "bombe umane", vale a dire gli esecutori in procinto di compiere attentati.
    "Credero' alla fine degli attentati quando la vedro'." Con queste parole il presidente Usa Bush ha commentato mercoledi' le notizie riguardanti una presunta intensa fra gruppi terroristici palestinesi per una sospensione parziale, condizionata e limitata nel tempo degli attentati anti-israeliani. Secondo Bush, cio' che serve veramente al processo di pace e' lo smantellamento effettivo e definitivo della capacita' offensiva dei gruppi come Hamas, cioe' l'eliminazione della loro capacita' di "far esplodere il processo di pace".

(Jerusalem Post, israele.net, 26.06.03)



MUSICA E IMMAGINI

Elizabeth Sthrambrand:

AhavatoGdola



INDIRIZZI INTERNET


Antisemitism in Israel