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Notizie su Israele 227 - 8 marzo 2004

1. Danzare con le lacrime agli occhi
2. Tra vecchi antisemitismi e nuove idolatrie
3. Terra in cambio di che cosa?
4. Hamas crea un esercito nella striscia di Gaza
5. Le radici storiche del progetto sionista
6. La sharia in Medio Oriente
7. Il Vaticano voleva Gerusalemme
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 13:9-11. Ecco il giorno del Signore giunge: giorno crudele, d'indignazione e d'ira furente, che farà della terra un deserto e ne distruggerà i peccatori. Poiché le stelle e le costellazioni del cielo non faranno più brillare la loro luce; il sole si oscurerà mentre sorge, la luna non farà più risplendere il suo chiarore. Io punirò il mondo per la sua malvagità e gli empi per la loro iniquità; farò cessare l'alterigia dei superbi e abbatterò l'arroganza dei tiranni.
1. DANZARE CON LE LACRIME AGLI OCCHI




Il primo del mese di Adar

di Paule-Hélène Szmulewicz

Bisogna sapere che cosa rappresenta la festa di Purim per capire quello che è successo in un liceo di ragazze a Gerusalemme il giorno stesso dell'attentato all'autobus 14, alle otto e trenta del mattino al "Gan Hapaamon", che ha fatto otto morti e parecchi feriti.
    Quel giorno, Rosh Hodesh Adar (il primo del mese di Adar), le liceali stavano pregando nell'auditorio quando tutti i cellulari si sono messi a suonare. Nel pieno della preghiera di Hallel, le ragazze hanno capito che era successo qualcosa non molto lontano dal liceo, e che tutti i genitori cercavano di raggiungerle per sapere se erano arrivate bene.
    Il primo giorno del mese di Adar è una festa, come tutti i primi giorni del mese che segnano il rinnovo del ciclo della luna. Proprio in questo mese, in modo particolare, in tutte le scuole si canta, le insegnanti danzano in circolo con i loro alunni, non ci sono delle vere lezioni, ci sono dei travestimenti, qualche volta si rovesciano i tavoli, si rovesciano le cattedre. Perché è il mese che ricorda il rovesciamento di situazione di 2.500 anni fa, al tempo di Assuero, quando il ministro Aman che aveva progettato lo sterminio di tutti gli ebrei si è ritrovato appeso alla forca, lui e i suoi figli.
    Nel liceo delle ragazze la direttrice aveva fatto venire un'animatrice incaricata di dirigere due ore di danze folcloristiche israeliane. Era stata prevista da parecchie settimane. Ma dopo l'attentato, nessuno ne aveva voglia.
    Dall'altra parte del quartiere, in un autobus carbonizzato, c'erano persone che stavano perdendo la vita. La ragazze non potevano danzare.
    Le ragazze volevano piangere, parlare dell'attentato, parlare tra loro, parlare con i professori, telefonare, portare aiuto, ma certamente non danzare.
    E tuttavia, la direttrice non ha annullato il programma. L'animatrice stava lì, con un debole sorriso, ma la direttrice le ha dato fiducia.
    Ha cominciato facendo cantare canzoni velate di tristezza, perché questo c'era nel cuore delle ragazze. Ha seguito poi un lungo repertorio di canzoni sulla Terra d'Israele, sulla bellezza del paese, del deserto, del lago, degli alberi, della volontà di viverci. I cuori erano ancora pesanti, ma l'atmosfera si era distesa. Le ragazze cantavano con un'aria più gaia.
    Nessuno però voleva danzare.
    Tutte si domandavano quante famiglie sarebbero state sfasciate, quanti morti ci potevano essere, c'era qualcuno che conoscevano? Sapevano che la linea 14 porta a un altro liceo. A tutto questo pensavano. E cantavano.
    Di canto in canto, l'animatrice ha cominciato a intonare "Am Israel hai" (il popolo d'Israele vive). Le ragazze si sono alzate .... "Am Israel hai"... si sono tutte alzate nel cortile della ricreazione, si sono date la mano e hanno danzato con le lacrime agli occhi e le lunghe gonne che volteggiavano al ritmo dei loro passi.
    Il primo giorno del mese di Adar. Hanno danzato.
    Am Israel hai.
   
(Guysen Israël News, 29 febbraio 2004)


PICCOLA AGGIUNTA - In un seminario su Israele tenutosi qualche settimana fa in Germania, un ebreo messianico proveniente dai paesi dell'ex Unione Sovietica ha rallegrato i presenti con alcuni canti ebraici. Dopo averne cantato un paio in ebraico, ha detto: "Noi ebrei abbiamo diverse lingue per cantare: l'ebraico, l'yiddish, le lingue del posto, e non sempre riusciamo a capirci tra di noi. C'è però una lingua in cui tutti ci capiamo". E ha cominciato a cantare un'allegra canzone le cui parole erano "Ahi, ahi, ahi, ahi...." ripetuto continuamente in varie forme espressive. E' la lingua universale del dolore, ha detto. Un dolore che gli ebrei vincono con l'amore per la vita espresso nel canto e nella danza. M.C.




2. TRA VECCHI ANTISEMITISMI E NUOVE IDOLATRIE




Difendiamo il diritto ad essere noi stessi

di Angelica Calò Livnè

    Tra vecchi antisemitismi e nuove idolatrie è in pericolo l'unità del popolo ebraico
    È stato un periodo logorante. Le notizie si susseguivano una dopo l'altra, terribili, come fulmini seguiti da tuoni insopportabili all'udito. Notizie che fanno parte ormai del quotidiano come quella dell'adultera di Hamas purificata con il delitto di tre soldati al chek point di Erez: notizie che hanno sconvolto gli israeliani e li hanno divisi ancora una volta lasciando amarezza, preoccupazione e rabbia.
    Ci sono delle parole che da un po' di tempo mi è difficile pronunciare o scrivere come: eliminazione, lotta, guerra, sangue… Sangue, quanto sangue abbiamo dovuto vedere in questi tre anni? Sangue che si tira via a secchi, sangue che non viene via più dai pavimenti degli alberghi e dai bar, macchie rosse di sangue sui sedili degli autobus, sui muri delle strade... e un artista, e per di più israeliano, decide di creare un'opera d'arte dove su una piscina di sangue galleggia leggiadra una fanciulla bianca come una colomba. Ho il cuore avvolto nella nebbia mentre vedo quel volto , le labbra rosse atteggiate al sorriso: la leggiadra fanciulla aveva consumato un tranquillo pasto in un ristorante di Haifa, aveva aspettato che si riempisse completamente di gente e poi si era fatta saltare, imbottita di esplosivo, proprio accanto a una carrozzina dove c'era una neonata che dormiva. Non riesco ancora a calmarmi. A Orly, che era lì a pranzo, quella leggiadra principessa che galleggia sulla piscina di sangue a Stoccolma, ha annientato la famiglia: il marito, il padre, la madre, due figli e uno che si è salvato è in coma a Beit Levistein con una scheggia in testa.
    Non ho dormito tutta la notte. Poi la notizia su tutti i giornali: Igal Amir si sposa con una giovane donna divorziata madre di 4 figli che si è innamorata perdutamente di lui. Si è innamorata? Di chi di un mostro? - Si chiede una parte dei miei concittadini. Di un essere abbietto che con tanto di kippà ha prevaricato una delle prime e basilari 10 leggi che D-o ci ha dato per farci diventare popolo? Che ha disintegrato nel cuore di tante persone la speranza di potersi finalmente riunire dai 4 angoli della terra in un posto sicuro? "Larissa si sente come in una telenovela". Noi stiamo qui, a dilaniarci di dubbi mentre i nostri figli indossano la divisa, a chiederci se sia giusto crescerli con la responsabilità verso la Terra d'Israele o inculcare loro il pacifismo seruvnik e Larissa si sente in una telenovela! Un Master in filosofia, il capo coperto, lo sguardo timorato di D-o e si innamora dell'uomo che ha ucciso Izchak Rabin sparando tre colpi a sangue freddo da tre metri di distanza. Sono rimasta sveglia un'altra notte. Nei pochi momenti in cui mi addormentavo sognavo di camminare e di perdermi in una strada che conoscevo da sempre. Mi svegliavo con la sensazione di non aver più aria.
    Poi la grande festa. A Eilat. Un Mega Trance Party nel deserto, proprio dietro all'Hotel Princess. Erano arrivati a migliaia da tutta Israele ragazzi di 18, 20, 25, 28 anni quelli in crisi prima dell'esercito e quelli ancora confusi dopo la fine del servizio militare. Musica tonante, alcool e il clou: nel bel mezzo della serata è stato trasportato al centro della festa un enorme vitello d'oro. Un vitello d'oro, come quello che, nel deserto, davanti al Monte Sinai, aveva fatto venire i "cinque minuti" a Mosè… cinque minuti che costarono 40 anni di vagare. Quando vide il popolo d'Israele che danzava e si prostrava davanti all'ignobile feticcio costernato dalla rabbia spezzò le tavole che aveva portato con tanto amore. Siamo davanti a fenomeni sconosciuti al nostro popolo. Israele osserva preoccupata i nuovi volti, casi isolati ma esistenti del suo popolo saturo di violenza e di inquietudine in una realtà nella quale ci si sforza di restare sani. E' una continua prova alla nostra pazienza, alla lungimiranza, alla calma. Non c'è un attimo di tregua, un attimo di respiro.
    Mentre restituiamo con il cuore in sospeso 400 terroristi alle loro famiglie e in cambio riceviamo 3 bare, mentre da una parte della barriera una folla di persone canta vittoria, le dita atteggiate a V, e in moschee gremite di gente esultante Imam promettono nuovi rapimenti per liberare altri prigionieri, dall'altra parte famiglie silenziose con gli occhi gonfi da anni di insonnia, di dolore, di speranza distrutta cercano di non crollare sopraffatti dal dolore. La nazione è in lutto. Un lutto silenzioso e composto. Adi, Omar e Beny non potranno mai raccontare ciò che è successo dal momento in cui sono stati rapiti dagli hezbollah. Né loro né Ron Arad, il pilota che fu rapito 18 anni fa del quale non si conoscono fino ad oggi le sorti e Israele è divisa ancora una volta, tra le madri che comprendono il dolore di 3 donne che per credere che il proprio figlio sia veramente morto sono disposte a riconsegnare 400 assassini e madri che ancora piangono e piangeranno fino alla fine dei loro giorni i propri figli assassinati da uno di quei 400. E mentre continuiamo la nostra vita cercando di darle un senso assorti nei nostri dilemmi ed interrogando la nostra coscienza, la malvagità e l'odio insaziabile colpiscono ancora violentemente, puntualmente ed inesorabilmente al centro di Gerusalemme, con altri morti, altri feriti, altre famiglie distrutte, altre grida di giubilo e di vittoria dall'altra parte della barriera. La carcassa dell'autobus è incenerita dall'esplosione e mentre si lotta per estrarre la gente ancora intrappolata tra le lamiere fumanti, all'Aia, in Olanda, si preparano al processo contro lo Stato d'Israele e contro quella "barriera".
    E noi, ebrei d'Israele e della diaspora, come intrappolati in un incantesimo non ci rendiamo conto che dobbiamo aprire gli occhi e svegliarci e con urgenza e continuiamo con le accuse della destra alla sinistra e viceversa, degli ebrei della Golà agli israeliani. Assistiamo a fenomeni assurdi come le lettere di esponenti della sinistra israeliana che accorrono a scusarsi verso l'autorità palestinese per gli "orribili crimini" di Israele, di Benny Morris, professore all'Università di Beer Sheva che scrive un nuovo schizofrenico libro sugli orrori del Palmach e sugli errori di Ben Gurion che avrebbe dovuto cacciare tutti gli arabi nel '48. Non ci rendiamo conto che stiamo indebolendo il nostro spirito che è l'elemento per merito del quale ancora esistiamo.
    E' giunto il momento di smettere di pensare a noi stessi e pensare al nostro popolo e ai nostri figli, di destarci da questa ricerca di fama a poco prezzo conquistabile con libri, film, articoli che condannano Israele dall'interno. E' giunto il momento di capire che dobbiamo essere uniti, che dobbiamo dimenticare le divergenze politiche, culturali, religiose ed ideologiche e dobbiamo restare uniti. E' vero, ci siamo abituati, abbiamo passato momenti peggiori siamo sopravvissuti ad eccidii, ad olocausti, a persecuzioni e ad umiliazioni. Siamo persino troppo sani nello spirito nonostante ciò che abbiamo vissuto. Dovremmo essere un popolo malato di rancore, di odio, di rabbia, di vendetta e invece siamo un popolo di filosofi, artisti, commercianti, ricercatori e inventori. Ma siamo divisi e ora più che mai dobbiamo restare uniti. Dobbiamo avere pazienza e cercare di capire che quella nube grigia e greve che si sta alzando intorno a noi potrà essere diradata solo se soffieremo tutti insieme. Verso l'esterno. Se continueremo a soffiarci addosso o uno sull'altro soffocheremo prima, molto prima che coloro che cercano di cancellarci dalla faccia della terra possano riuscirci. Dividerci nello spirito: questo è il l'obiettivo di tutti coloro che stanno risvegliando il mostro assopito dell'antisemitismo, del pregiudizio e dell'odio.
    È il momento di usare tutte le nostre risorse perché stanno minacciando la nostra sopravvivenza! E' il momento di dimenticare i colori politici e le ideologie e dare ad ognuno un compito, con fiducia, a ognuno cio che sa fare meglio al mondo: chi di noi sa ottenere che chieda, chi sa parlare ai cuori che incontri, chi ha amici importanti che spieghi, chi sa mediare e negoziare che affronti, chi sa pregare che preghi e chi sa combattere che sia pronto a difendere. E' successo con Giuseppe in Egitto, con il Maaral e Rodolfo a Praga, dobbiamo incoraggiare chiunque tra noi possa dare un contributo per affrontare questo mostro a mille teste che minaccia la nostra esistenza. In questo momento dobbiamo essere uniti e trasmettere valori di positività, di speranza, di tolleranza, prima di tutto ai figli del nostro popolo e di riflesso al mondo intero. Dobbiamo risvegliare i valori che ci hanno tenuto in vita per secoli. Non sappiamo più come si accende il fuoco e il luogo nel bosco e la preghiera con cui ci si rivolgeva al Signore nei momenti di sofferenza, ma conosciamo questa storia. Sappiamo che esiste una preghiera, delle azioni che ci hanno salvato dal Faraone, dallo Zar, da Torquemada e da tutti gli Amalek della storia! Vogliamo solo una cosa più di ogni altro bene al mondo e la vogliamo tutti, tutti: ebrei religiosi, laici, ebrei ashkenaziti e sefarditi, ebrei di Israele e ebrei della Golà: vogliamo vedere i nostri figli crescere sani e liberi di vivere la propria identità, liberi di mangiare o non mangiare mazzot a Pesach senza timore che si risalga a quattro generazioni indietro per perseguitarli e sterminarli per la loro appartenenza al popolo ebraico. Vogliamo continuare a festeggiare le nostre feste, ad accendere le nostre candele a leggere i nostri salmi e a parlare la nostra lingua nella nostra terra rispettando tutte le tradizioni e le culture del mondo senza essere considerati diversi. Perché questa è la nostra gioia, perché siamo un popolo che ama la vita. Vogliamo avere il diritto di essere, solo, semplicemente e finalmente noi stessi. Come ogni altra creatura che Lui ha creato.

(Shalom.it, 29 febbraio 2004)




3. TERRA IN CAMBIO DI CHE COSA?




Il gioco di Sharon

di Josef Charif

Le ultimi iniziative politiche del Primo Ministro rappresentano un gioco rischioso, in cui tutte le carte sono messe in mano a un solo uomo: George Bush. Se questi non dovesse essere interessato, per Sharon sarebbe la bancarotta politica.

ISRAELE - Non è chiaro il motivo per cui Sharon ha rilasciato la dichiarazione di voler sgombrare 17 insediamenti in Gush Katif ancora prima di aver parlato dei suoi piani con il presidente Bush. Sharon ha detto che ha intenzione di ottenere da Bush l'appoggio per una contropartita territoriale. Sharon chiederà il consenso a mantenere territori in Giudea e Samaria che sono necessari per la nostra sicurezza. Diversi osservatori sono dell'opinione che concretamente questo significherebbe una divisione della Cisgiordania, e che quindi non rimarrebbe più sufficiente spazio per uno Stato palestinese.
Anche Sharon lo sa. Per questo quindi non intende parlare con Bush dell'annessione delle zone di sicurezza che sono contenute nel suo programma per una soluzione interlocutoria. Da questo punto di vista le sue idee concidono con quelle proposte da Henry Kissinger: sostituire il motto "terra in cambio di pace" con "terra in cambio di tempo", tempo per una verifica dell'accordo temporaneo e della prospettiva di una coesistenza tra palestinesi e Israele. E' dubbio che idee di questo tipo siano accettate dai palestinesi.
    Alla Casa Bianca si dice che i leader politici devono essere forti abbastanza per poter fare compromessi. Da questo punto di vista Sharon può apparire come un leader in grado di fare compromessi, ma con chi dovrebbe farli? Con Abu Ala, il discepolo di Arafat? Sono settimane che si sente dire che Sharon deve incontrare Abu Ala. A che scopo? E' una persona in grado di bloccare il terrorismo di Hamas e Jihad? Sul terrorismo di Fatah non ha poi alcun potere.
    La spiegazione offerta dagli ambienti intorno a Sharon è che non si devono lasciare vuoti nell'ambito politico. Questo è vero. E' importante che Sharon assuma un'iniziativa di pace, ma non con provvedimenti illogici. Che logica c'è nella sua iniziativa, se non si basa su un accordo ma su una rinuncia unilaterale? Chi capitola in Gush Katif - questo si dicono i palestinesi - capitolerà anche in Cisgiordania. E' solo una questione di tempo.
    Se, nonostante tutto, è pronto a rinunciare agli insediamenti in Gush Katif e ad alcuni insediamenti in Giudea e Samaria, allora forse potrebbe pensare di trovare un tacito accordo con il presidente Bush. Questo è quello che pensa, in ogni caso, l'ambiente intorno a Sharon. Ma naturalmente potrebbe anche essere che stia facendo soltanto un gioco pericoloso.
   
(Ma´ariv, 03.03.2004)




4. HAMAS CREA UN ESERCITO NELLA STRISCIA DI GAZA




Una nuova milizia di Hamas si sta preparando a prendere il controllo della striscia di Gaza dopo la partenza dell'esercito israeliano. Sembra che il gruppo terrorista abbia preso sul serio il piano di Sharon di ritiro dalla striscia di Gaza. Centinaia di terroristi sono stati reclutati per l'«esercito popolare». In effetti, i dirigenti della milizia stanno ammassando un grande arsenale, addestrano degli uomini e mettono in piedi delle strutture di comando.
    Fonti israeliane suppongono che questo esercito popolare ha un solo scopo: prendere il controllo della regione e riempire il vuotolasciato dal ritiro israeliano, e soprattutto sostituire l'Autorità Palestinese dopo la sua caduta. Hamas ha cominciato a riunire l'esercito popolare come milizia indipendente del suo braccio armato Azzedine-al-Kassam circa un anno e mezzo fa. Al momento della sua creazione, il primo obiettivo dell'esercito popolare era quello di affrontare le forze israeliane che avrebbero potuto rientrare nella striscia di Gaza durante l'intifada.
    Questo esercito popolare è un'iniziativa di Salah Shahada, il comandante del ramo armato di Hamas. E' stato

prosegue ->
eliminato nell'agosto 2002, ma la milizia ha continuato a svilupparsi. Poi Shahada è stato sostituito dal dottor Ibrahim Makadma, che è stato ugualmente eliminato un anno fa. Al presente, lo sforzo principale dell'esercito popolare è concentrato sulla vigilanza cittadina, più che su azioni militari. I suoi membri mantengono una presenza costante sulle strade di Gaza, mettendo l'accento sulla loro intenzione di succedere all'Autorità Palestinese.
    Anche lo sceicco Yassin, capo "spirituale" del gruppo terroristico Hamas, recentemente ha dichiarato che la sua organizzazione ha costituito un nuovo ramo armato che lui chiama «difesa popolare e non esercito popolare». Ha precisato che esiste una differenza essenziale tra il ramo armato di Hamas e la nuova milizia: «La difesa popolare opera all'interno della striscia di Gaza ed è responsabile della resistenza, della difesa e delle operazioni di soccorso. Le brigate Al-Kassam agiscono contro il nemico sionista, qualunque esso sia.» Ha aggiunto che l'equipaggiamento della milizia popolare consiste in un armamento leggero: kalaschnikov, granate, cariche esplosive, artiglieria leggera, missili anticarro e razzi kassam [quanto a «spiritualità», lo sceicco è imbattibile, n.d.t.].
   

Lo sceicco Yassin con la bandiera palestinese che ricopre tutta la terra "dal Giordano al mare"

(Arouts, 7 marzo 2004)




5. LE RADICI STORICHE DEL PROGETTO SIONISTA




Il Monte del Tempio è più importante della pace

da un articolo di Natan Sharansky

"Senza Gerusalemme e senza le nostre radici storiche, il progetto sionista non potrà sopravvivere."

    Mi ricordo di una discussione all'interno del governo Barak, addirittura prima di Camp David, durante la quale Yossi Beilin cercò di convincerci che se noi avessimo raggiunto "un qualche tipo di accordo" sul Monte del Tempio, concedendo ai Palestinesi anche il quartiere cristiano della vecchia città, la tanto desiderata pace sarebbe arrivata.
    Chiesi: "Perché il quartiere cristiano? Che rapporto c'è tra i Palestinesi e il quartiere cristiano?" Beilin, mi guardò sorpreso e disse:  "Che t'importa? Quello è un problema dei cristiani. Noi raggiungeremo la pace e lasceremo che sia il mondo cristiano a preoccuparsi della libertà di religione e di accesso ai suoi luoghi sacri".
    A quel tempo ero convinto che si trattasse di una questione di disprezzo per i valori di altre nazioni e culture. A Beilin non importava sacrificare le relazioni d'Israele con il mondo cristiano, e mettere a rischio in questo modo l'accesso di milioni di cristiani ai luoghi che sono la culla della loro religione, purché potessimo raggiungere la tanto agognata pace. (Questo presupponeva che i palestinesi avrebbero rispettato la libertà religiosa nello stesso modo in cui rispettavano altri diritti umani.)
    Oggi, dopo Camp David, Taba e l'abbandono del monte del Tempio nel contesto della struttura dell'accordo di Ginevra, capisco che la banda di Beilin non disprezza necessariamente i valori delle altre nazioni, loro disprezzano tutti i valori, tranne quello della pace.
    Questa banda sembra aver dimenticato, o non aver ancora capito, che per quanto noi desideriamo e speriamo la pace, essa non è un valore in sé stessa. E' una condizione essenziale per l'esistenza di un paese che vuole vivere, ma non è l'obiettivo. Non si è fondato lo Stato d'Israele per amore della pace, e non è stato a motivo della pace che milioni di ebrei si sono raccolti qui.
    Non è stato per la pace che il popolo d'Israele ha pregato per migliaia di anni. Il popolo d'Israele ha pregato per Gerusalemme. E' per Gerusalemme che il popolo ebraico è ritornato in Israele dai quattro angoli della terra, per lei gli ebrei sono stati disposti a fare tutti i necessari sacrifici. Per lo stesso sogno che hanno avuto migliaia di generazioni: "Il prossimo anno a Gerusalemme".
    Si dovrebbe tener presente che se rinunciamo a tutti i valori per amor di pace, non otterremo nemmeno la pace. Proprio come nel passato, anche questa volta i palestinesi interpreteranno la rinuncia a ciò che costituisce la nostra vera identità come una tremenda debolezza che attira la guerra.
    I valori simbolizzati da Gerusalemme non sono soltanto di natura religiosa. Uno non deve necessariamente essere religioso per capire che senza i riferimenti storici con Gerusalemme, senza gli agganci con il passato, senza il sentimento di continuità con gli antichi regni d'Israele, per i quali il monte del tempio è stato il centro dell'esistenza, in questo paese siamo veramente invasori stranieri e colonizzatori.
    Non è necessario essere religiosi per capire che la rinuncia al Monte del Tempio è una giustificazione dell'argomento palestinese: Voi non avete diritto di restare in questo paese, non avete nemmeno alcun legame con esso, andate via di qui. Non si deve essere religiosi per capire che rinunciare al Monte del Tempio non significa soltanto rinunciare al passato, ma significa in primo luogo rinunciare al futuro. Il futuro di tutti noi qui.
    I membri del movimento sionista Hovevei Zion non erano religiosi - erano semplicemente socialisti secolarizzati che consideravano la religione un prodotto malato e degenerato dell'esilio. Nonostante questo, essi combatterono con tutta la loro forza contro il Piano Uganda [l'offerta inglese, nel 1903, di una patria per gli ebrei in Uganda]. A loro era chiaro che senza un passato comune, senza radici, il progetto sionista non aveva possibilità di successo.
    Anche oggi dobbiamo capire che senza Gerusalemme e senza le nostre radici storiche, il progetto sionista non potrà sopravvivere. Senza Gerusalemme, Israele diventerà un'altra comunità ebraica, una delle tante nel mondo, come quella di New York, Londra o Toronto - soltanto più pericolosa, meno benestante e meno comoda. Non sarà il centro del mondo ebraico, non il centro della sua esistenza - soltanto una comunità in più. E se questa è la situazione, perché continuare a viverci? Per quale ragione? Nel nome di che cosa?

(JewsWeek, ottobre 2003)




6. LA SHARIA IN MEDIO ORIENTE




Daniel Pipes
In Iraq governa la legge islamica

di Daniel Pipes

Quale dovrebbe essere in Iraq il ruolo dell'Islam e del suo sistema giuridico, detto Sharia? In teoria, questo argomento dovrebbe essere oggetto di un approfondito dibattito in America e in tutti gli altri Paesi le cui forze armate stanno occupando l'Iraq, e da quanto emerge probabilmente esso influenzerà a fondo il futuro dell'Iraq.

Le opinioni sull'approfondito ruolo che dovrebbe svolgere l'Islam rivelano le diverse posizioni, assunte un anno fa, in merito allo scopo della guerra in Iraq.

*
 
La legge islamica dovrebbe essere proibita. La sconfitta di Saddam Hussein è stata definita Operazione Libertà Irachena per il seguente motivo: le forze di occupazione americane non devono fungere da balie per un sistema giuridico antidemocratico che non ammette la libertà religiosa, giustizia gli adulteri, opprime le donne e discrimina i non-musulmani. Accettare la Sharia scoraggia i moderati, ma incoraggia i wahabiti e gli estremisti khomeinisti in Iraq. Inoltre, poiché i sunniti e gli sciiti interpretano la Sharia in modo differente, la sua attuazione promette guai in vista.

*

La legge islamica dovrebbe essere permessa. Le forze di coalizione sono entrate in Iraq fondamentalmente per proteggere i loro Paesi da un regime minaccioso e non per acquisire la libertà irachena. La democrazia e la prosperità sono solo una felice conseguenza per l'Iraq. Lo scopo degli interessi della coalizione non esige che le leggi penali, finanziarie, afferenti al diritto di famiglia nonché le altre leggi irachene, si conformino agli standard occidentali. Inoltre, affinché Washington realizzi i suoi ambiziosi obiettivi in Medio Oriente, deve avere degli ottimi rapporti con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, che vuole l'applicazione della Sharia. E se la maggioranza degli iracheni dovesse optare per quest'ultima, i difensori della democrazia difficilmente potrebbero negare questo diritto.

Questo è il risultato di un minuzioso dibattito sugli scopi dell'invasione irachena, sugli obiettivi a lungo termine della coalizione, nonché se la Sharia sia o meno intrinsecamente reazionaria, iniqua, aggressiva e misogina.

Sfortunatamente, questo dibattito è già finito prima ancora di iniziare: con la benedizione degli amministratori della coalizione, gli iracheni hanno deciso che la legge islamica governerà in Iraq.

Questa decisione è stata raggiunta alle 4,20 del mattino, del I° marzo, quando il Consiglio di governo iracheno, alla presenza dei massimi amministratori della coalizione, ha approvato la stesura di una costituzione ad interim. Si pensa che questo documento, chiamato ufficialmente Legge amministrativa di transizione, resti la massima autorità giuridica fino alla ratifica di una Costituzione permanente, che avverrà presumibilmente nel 2005. I membri del Consiglio hanno focalizzato la loro attenzione sul fatto che la Sharia dovesse essere considerata o meno "la fonte primaria" delle norme giuridiche irachene. Da una "fonte secondaria" potrebbero derivare delle norme giuridiche in contrasto con la Sharia, cosa che non può accadere nel caso di una "fonte primaria". Alla fine, si è preferito che la Sharia fosse solo una "fonte secondaria" delle norme giuridiche irachene.

Ciò sembra un felice compromesso e sta a significare, come è stato spiegato in modo circostanziato dai membri del Consiglio, che la legislazione non può contraddire né "i principi islamici sanciti unanimemente" né i diritti piuttosto progressisti garantiti in altri articoli della costituzione ad interim, inclusi la tutela per la liberà di parola, di stampa, di espressione religiosa, i diritti alla libertà di riunione e al giusto processo, oltre a un sistema giudiziario indipendente e un trattamento giuridico equanime.

Ma vi sono due motivi per ritenere che la costituzione ad interim rappresenti un segnale di vittoria da parte dell'Islam militante.

Innanzitutto, il compromesso sta a indicare che anche se l'intera Sharia non può essere applicata pienamente, ogni norma giuridica deve conformarsi ad essa. Come è espresso da una fonte a favore della Sharia: "Abbiamo avuto ciò che volevamo, ossia che nessuna norma giuridica dovrebbe essere contraria all'Islam". Il nuovo Iraq potrebbe non essere l'Arabia Saudita o l'Iran, ma includerà delle considerevoli porzioni di legge islamica.

In secondo luogo, la costituzione ad interim sembra essere esclusivamente una situazione di compromesso. Gli islamisti tenteranno sicuramente di distruggere le clausole progressiste, al fine di far diventare la Sharia "la fonte primaria" della legge irachena. I sostenitori di questo cambiamento – inclusi al-Sistani e l'attuale presidente del Consiglio di governo – probabilmente continueranno ad insistere nella loro visione. Muqtada al-Sadr, il leader iracheno dell'Islam militante, ha minacciato che il suo gruppo di sostenitori "attaccherà i nemici" se la Sharia non diventerà "la fonte primaria" e il partito politico iracheno vicino a Tehran, ha riecheggiato l'ultimatum di Sadr.

Quando la costituzione ad interim entrerà in vigore, l'Islam militante sarà sbocciato in Iraq.

Da parte loro, le forze occupanti stanno affrontando una sfida colossale: fare in modo che questa ideologia totalitaria non domini l'Iraq e diventi il trampolino per una nuova ondata di repressione e aggressione da parte di Baghdad. In base a come se la caveranno ci saranno maggiori implicazioni per gli iracheni, i loro vicini e per i meno vicini.

(New York Sun, 2 marzo 2004)




7. IL VATICANO VOLEVA GERUSALEMME




Pochi anni prima della costituzione dello Stato d'Israele,  il Vaticano, l'Irlanda, il Portogallo, la Spagna e l'Italia avevano progettato di mettere Gerusalemme sotto il dominio della Chiesa Cattolica.
    Questo è ciò che viene fuori dai documenti segreti dell'archivio del Ministero degli Esteri irlandese resi pubblici nel gennaio scorso, e tenuti segreti per cinquantacinque anni.
    Soprattutto il piano di spartizione dell'ONU 181 del 1947, che prevedeva la costituzione di due Stati, uno ebraico e uno arabo, e l'internazionalizzazione di Gerusalemme, aveva spinto il papa Pio XII, in accordo con gli altri quattro Stati [citati sopra], a fare pressioni per un governo cattolico di Gerusalemme. Dai suddetti documenti emerge che il papa di quel tempo aveva convinto i suoi partner europei al fatto che i luoghi sacri di Gerusalemme avrebbero dovuto essere protetti dal Vaticano. Al papa Pio XII, che governava a Roma durante l'Olocausto, viene rimproverato di aver taciuto durante lo spaventoso annientamento degli ebrei e di avere quindi indirettamente appoggiato il regime nazista.
    "E' stato Dio stesso a vanificare questo piano", hanno dichiarato i rabbini interrogati dai media israeliani sui documenti irlandesi [i media italiani non sembra che ne abbiano parlato, n.d.t.]. "L'Onnipotente ha preservato noi e la santa città di Gerusalemme da una presa di potere ufficiale della Chiesa all'interno del nostro Stato ebraico".
    Il piano segreto del Vaticano fallì anche per motivi politici, nonostante che alcuni paesi, ma soprattutto la Chiesa Cattolica, erano interessati alla sua realizzazione. I paesi cattolici in Europa temevano una violenta critica da parte degli ebrei, che poco tempo prima avevano subito in Europa il tremendo Olocausto. Si temeva che la spirale della violenza in Medio Oriente si accendesse ancora più velocemente, se il progetto fosse stato accettato.
    Alla fine il governo irlandese si oppose al piano perché pensava ai voti degli ebrei (in Europa e negli USA) nella questione dei confini contesi tra Irlanda del Nord e Repubblica Irlandese. L'insediamento e la presa di potere della Chiesa Cattolica a Gerusalemme avrebbe irritato gli ebrei in Israele e nel resto del mondo.

(NAI - israel heute, marzo 2004)




8. MUSICA E IMMAGINI




Once There Was a Wicked Man




9. INDIRIZZI INTERNET




World Jewish Congress

God's Clay - ISRAEL




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