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Notizie su Israele 253 - 19 agosto 2004 |
1. Scoperta la grotta di Giovanni Battista 2. Intervista a un deputato del Consiglio Legislativo Palestinese 3. Gli israeliani amano il paese dove vivono 4. Vacanze in Israele rovinate da ultraortodossi 5. L'Egitto al centro delle trattative in Medio Oriente 6. L'Egitto no fa abbastanza per fermare il traffico d'armi 7. Un paese per uno... 8. Musica e immagini 9. Indirizzi internet |
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1. SCOPERTA LA GROTTA DI GIOVANNI BATTISTA
Secondo le Sacre Scritture Giovanni Battista era un grande predicatore che infiammava i suoi seguaci e che battezzò lo stesso Gesù Cristo. Gli storici sono sempre stati più tiepidi, sollevando dubbi sulla sua effettiva esistenza. Ora la scoperta di una grotta vicino Gerusalemme in cui il Battista avrebbe celebrato i suoi riti, secondo l'archeologo britannico che l'ha individuata, potrebbe mettere tutti d'accordo. La caverna è piena di utensili e pietre lavorate secondo il culto battista.
Secondo Shimon Gibson, l'archeologo che da anni organizza scavi tra Israele e i Territori Occupati e che ha effettuato la scoperta, i resti dimostrerebbero non solo la diffusione del culto battista ma anche l'esistenza stessa del personaggio. «Questa potrebbe facilmente essere la grotta dei primi anni della vita di Giovanni, il luogo dove si rinchiuse inizialmente per vivere da eremita e il posto dove praticò i suoi primi battesimi», ha detto lo studioso al Times. Il giornale ha anticipato ieri la notizia della scoperta, che verrà ufficialmente annunciata oggi con una conferenza stampa internazionale. Se le supposizioni di Gibson fossero confermate, si tratterebbe di un rinvenimento sensazionale. I pellegrini devoti al Battista finora hanno potuto recarsi in un paio di chiese a lui dedicate o si sono limitati ad ammirare i numerosi quadri del '500 e del '600 che illustrano i versi biblici di cui è protagonista. La grotta si trova vicino al villaggio di Ain Karim, che secondo le più antiche fonti cristiane, è il luogo in cui il predicatore sarebbe nato e avrebbe passato gran parte della sua vita.
Le ricerche di Gibson sono finanziate dall'Università della North Carolina. L'archeologo racconta che, per accedere alla grotta, il cui ingresso era circondato da rovi, dovette chiedere il permesso agli abitanti dei kibbutz locali. Una volta dentro, la torcia che gli faceva luce illuminò l'incisione di una mano allungata come per salutare, secondo la tipica iconografia bizantina. «Allora capii di essere sul punto di fare una grande scoperta archeologica». (La Gazzzetta di Parma, 17 agosto 2004) 2. INTERVISTA A UN DEPUTATO DEL CONSIGLIO LEGISLATIVO PALESTINESE Il quotidiano francese "Le Monde" ha intervistato a Ramallah un membro del Consiglio Legislativo Palestinese. La corruzione è concentrata al vertice dell'Autorità Palestinese RAMALLAH - IL deputato indipendente del Consiglio Legislativo Palestinese, Abdel Jawad Salah, è un fustigatore accanito delle deviazioni dell'Autorità Palestinese. Nel giugno 1998, ventiquattro ore dopo la formazione di un nuovo governo, aveva rinunciato al portafoglio dell'agricoltura per protestare contro la riconferma nei loro posti di diversi ministri accusati di corruzione. Nel novembre 1999 aveva firmato, con una ventina di personalità dei territori, una petizione che denunciava "la tirannia" del regime palestinese e accusava Yasser Arafat di aver "aperto la porta agli sfruttatori". Questo gesto gli aveva procurato di essere messo sotto torchio dalla polizia. Domanda: Pensa che nell'Autorità Palestinese ci sia la cancrena della corruzione? Risposta: La popolazione tende a pensarlo, perché la moltiplicazione delle voci crea l'impressione di un'epidemia. Ma non è vero. La corruzione è concentrata al vertice dell'Autorità. Per il momento non si è diffusa negli ingranaggi del regime. Il pericolo è che, constatando la corruzione dei suoi dirigenti, la popolazione sia tentata, lentamente ma inevitabilmente, di imitarli. D. Come spiega il fallimento della direzione palestinese a questo riguardo? R. C'è tutta una serie di ragioni legate alla giovinezza di questo regime, alla difficoltà di passare da movimento rivoluzionario alla costruzione di uno Stato in così poco tempo e alle ristrettezze dell'occupazione. Ma si menziona meno spesso l'eredità dell'amministrazione civile israeliana, questo dipartimento dell'esercito che governava la Cisgiordania e la striscia di Gaza prima del processo di pace, e che era estremamente corrotto. A quell'epoca, il più piccolo passo amministrativo richiedeva che si versasse una commissione. Per ottenere un semplice permesso per andare, per esempio, ad Amman, bisognava pagare un "collaboratore" che servisse da intermediario con l'esercito. Quelli che rifiutavano questo sistema si attiravano subito delle noie. Poi c'è stato il periodo di Oslo, quando i due campi hanno cercato di attirare il popolo palestinese, di fargli dimenticare la politica con il business. L'obiettivo era di comprare le persone. D. La corruzione è un tema altamente politico in questi ultimi tempi... R. Il fatto che Mohamed Dahlan - l'ex capo della sicurezza preventiva a Gaza - abbia preso la testa della lotta anticorruzione quando lui stesso è notoriamente un corrotto, mi lascia perplesso. Ma non è il solo a maneggiare questo tema a fini politici.Gli Stati Uniti e Israele utilizzano continuamente questa accusa contro Arafat per delegittimarlo, isolarlo e alla fine forzarlo ad accettare dei compromessi che lui non vuole. Si può perfino dire che autorizzando Arafat ad aprire un conto privato in una banca israeliana le autorità israeliane l'hanno incoraggiato ad essere corrotto, al fine di poter fare pressione su di lui in seguito. D. Arafat agisce nello stesso modo con i suoi collaboratori? R. Naturalmente. Perché, per esempio, si oppone allo stabilimento di solide istituzioni sociali? Perché vuole che le persone vengano a sollecitarlo direttamente. Vuole poterli comprare. Vuole essere attorniato da corrotti che poi lui difende dal malcontento popolare in modo da poter disporre di obbedienti relais. Mi ricordo di averlo sorpreso un giorno nel suo ufficio mentre ingiuriava il redattore capo di un giornale che l'accusava di aver stornato del denaro dell'OLP. L'uomo è scoppiato in lacrime, e a quel punto Arafat è andato a consolarlo. Da quel momento quell'uomo, che dice di essere di sinistra, è diventato un "arafattiano" fedele. D. Come cambiare questo sistema? R. Ci vorrebbero anzitutto delle pressioni da parte degli Stati Uniti. Ma è impossibile, perché Arafat farebbe dipendere ogni suo cambiamento dal suo ritorno sulla scena internazionale, cosa che per Washington è inaccettabile. Ci vorrebbe anche un vasto movimento popolare. Il problema è che i palestinesi non si mobilitano facilmente. Sono male informati. La televisione, per esempio, non manda in onda le sedute del Parlamento. Le migliaia di dollari investiti dagli USA nei programmi di democratizzazione non sono nemmeno servite per insegnare alle persone di qui come interpellare il loro deputato. In definitiva, penso che Arafat non farà nessuna riforma seria. (Le Monde, 18 agosto 2004) 3. GLI ISRAELIANI AMANO IL PAESE DOVE VIVONO I conti sbagliati del terrorismo: in Israele si vive bene di Angelo Pezzana Israele e' stato classificato dall'Indice dello sviluppo umano delle Nazioni Unite al 22mo posto fra 177 paesi analizzati. Per livello economico-culturale, aspettativa di vita, condizione della donna e altri fattori che qualificano la qualita' della societa' nel suo insieme, Israele e' fra gli stati al mondo dove si vive meglio. E' interessante notare che tutti gli Stati arabi sono invece verso il fondo della lista. L'Egitto al numero 120, la Siria al 106, un po' meglio l'Autorita' palestinese che si piazza al 102, trovandosi cosi' ad essere il primo fra gli arabi, malgrado la propaganda continui a presentare i territori palestinesi solo e sempre come delle bidonvilles con le fogne a cielo aperto. Una volta tanto l' ONU ha ragione. Perche' e' questa l'impressione che si prova ogni volta che si arriva in Israele. Dipendera' dal fatto che questa gente lo Stato non l'ha trovato in eredita', ma ha contribuito a rifondarlo e costruirlo, sara' pure il fatto che da sempre sono costretti a difenderlo contro chi vorrebbe portarglielo via. Per cui non e' esagerato affermare che gli israeliani amano davvero il posto dove vivono. E questo amore, questa gioia la comunicano immediatamente, lo si avverte. La realta' che si trova davanti chi arriva per conoscere, sapere, vedere con i propri occhi per capire, e' sorprendente. Per essere un paese in guerra, Israele sembra tutto l'opposto. A Gerusalemme, la capitale, non si e' mai vista tanta gente in giro per le strade, malgrado sia agosto,, con le scuole chiuse come da noi e moltissimi in viaggio per le vacanze. Ristoranti, bar, cinema, per entrare si deve fare la coda. L'incubo degli attentati sembra finito. Israele ha vinto davvero la guerra contro l'Intifada ? Avi Dichter, il capo dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interna) ha dichiarato che non se la sente ancora di apporre la firma sull'atto di morte, ma lascia capire che ci siamo vicini. Che il terrorismo suicida sia moribondo lo dicono i numeri. Nel 2002 ci furono 46 stragi, 18 nel 2003, quest'anno, sino ad oggi, 4. E, fatto di notevole rilievo, nessuna dopo l'eliminazione dello sceicco Yassin e di Abdel Aziz Rantisi, la cui morte avrebbe dovuto riempire di sangue le strade israeliane. Sono questi i numeri che meglio di ogni altro ragionamento spiegano l'utilita' della barriera difensiva, quel "muro" che certi organismi internazionali, ONU in testa, vorrebbero imporre a Israele di abbattere. Che la fine del terrorismo suicida significhi la vittoria di Israele su chi vorrebbe eliminarlo e' troppo presto per dirlo. Di tentativi di stragi ce ne sono stati anche quest'anno, 22 solo nel mese di giugno, ma sono stati sventati. 6000 palestinesi coinvolti nel terrorismo sono finiti dietro le sbarre, e con loro centinaia di ''shahid'', i ''martiri'' pronti a farsi saltare in aria. Certo, i missili Kassam che Hamas, la Jihad islamica e il Fatah di Arafat lanciano da Gaza sulle citta' di confine in Israele ci dicono che la Guerra sta assumendo un'altra dimensione. Con la materia prima in galera e' difficile far saltare in aria autobus, ristoranti, bar e discoteche. Ma anche i missili Kassam verranno fermati. Arafat & soci non hanno fatto bene i loro calcoli, hanno investito in una guerra senza valutare le capacita' e le risorse dell'avversario. Hanno contato troppo sull'aiuto internazionale che hanno ricevuto e che ancora abbondantemente ricevono. Ma non avevano messo in conto che la pazienza del loro stesso popolo non e' infinita. L'esplosione di rabbia e rivolta contro la corruzione dell'Autorita' palestinese (leggi Arafat) e' quotidiana. I palestinesi cominciano a dire chiaro e forte che e' meglio essere al numero 22 della lista piuttosto che al 102. Anche se Arafat festeggia il suo compleanno dicendo ''crisi, quale crisi? '', ormai non inganna piu' nessuno. Nemmeno i suoi. Anche i giornali della sinistra israeliana che gli hanno sempre riservato un trattamento di favore, ora lo paragonano a Maria Antonietta. ''Crisi, quale crisi?'', se non c'e' piu' pane i palestinesi mangino brioches, sembra suggerire il rais. Dopo la tragedia, il ridicolo. (Informazione Corretta, 16.08.2004) |
4. VACANZE IN ISRAELE ROVINATE DA ULTRAORTODOSSI
TEL AVIV - Una coppia di israeliani e' andata incontro a una vera e propria 'vacanza-truffa', la scorsa Pasqua, quando si e' vista rovinare il week-end da un gruppo di ebrei ultraortodossi. A riconoscerlo e' stato il Tribunale di Tel Aviv, che ha ordinato all'agenzia di viaggi di rimborsare i malcapitati. Lo riferisce oggi il quotidiano israeliano Maarev, secondo il quale le autorita' giudiziarie competenti avrebbero ordinato all'agenzia Tour Plus di rimborsare Yossi and Tamar Tahar con una somma di quasi 8.000 shekel (circa 1.426 euro) per aver consapevolmente rovinato le vacanze della coppia. I due avevano infatti prenotato un mini soggiorno di 3 giorni, tutto compreso, presso l'Hotel Nirvana, sulle sponde del Mar Morto nel periodo di Pasqua. Una volta giunti a destinazione, i due si sono accorti di dover condividere il soggiorno con un gruppo di israeliani ebrei ultraortodossi che aveva acquistato la vacanza presso la stessa agenzia. Il risultato e' stato un fine settimana senza programmi di intrattenimento, senza piscina in rispetto delle rigorose norme sulla segregazione dei sessi, e con pasti serviti ad ore insolite in rispetto delle funzioni religiose obbligatorie per i fedeli ebrei. Il personale dell'hotel si e' inoltre rifiutato di aiutare la coppia ponendo rimedio agli inconvenienti. Al loro ritorno, i Tahar hanno denunciato i gestori dell'hotel e l'agenzia di viaggi chiedendo il rimborso per una vacanza ''totalmente rovinata'': oltre ai 5.700 shekel del viaggio, i Tahar riceveranno un'indennita' aggiuntiva di 2.000 shekel con interessi. (Epr/Aki, 16 agosto 2004) 5. L'EGITTO AL CENTRO DELLE TRATTATIVE IN MEDIO ORIENTE Il Foglio del 17-08-04 pubblica il seguente articolo riguardante un piano, probabilmente approntato da ufficiali di intelligence e rivelato dal New York Times Magazine, che sarebbe al centro di consultazioni tra israeliani ed egiziani. Ipotesi di baratto di terre tra Egitto, Israele e Palestina ROMA - Per gli israeliani lEgitto nei panni di mediatore è più affidabile delle Nazioni Unite e dellUnione europea. Lo dice un sondaggio di Peace Measure: il 60 per cento degli intervistati si dice favorevole al piano di ritiro unilaterale di Ariel Sharon dalla Striscia di Gaza e allintervento del Cairo nel dopo disimpegno. LEgitto sembra esserne consapevole. I contatti tra i suoi servizi segreti e Israele si sono moltiplicati dopo lofferta di Gerusalemme al Cairo di un ruolo nelladdestramento della polizia palestinese che dovrà garantire la sicurezza nei territori che lesercito israeliano abbandonerà. I mediatori egiziani, guidati dal capo dellintelligence, Omar Suleiman, hanno continuato a incontrare esponenti dellAmministrazione palestinese e delle fazioni e dei gruppi armati. Pochi giorni fa al Cairo si sono conclusi gli accordi speciali con Hamas e Jihad islamico, per garantire la sicurezza nella Striscia dopo il ritiro. Ma secondo quanto scrive Jihad al Khazen sul quotidiano arabo al Hayat, lEgitto sarebbe coinvolto anche in un più complesso accordo trilaterale, che prevederebbe uno scambio di territori, un dare e ricevere articolato tra tre attori: Autorità nazionale palestinese, Israele ed Egitto. Al Hayat rivela che il piano in questione è in via di discussione tra potenti figure israeliane, sarebbe stato proposto ai vertici palestinesi e arabi, sarebbe passato sulla scrivania di Sharon. Si tratterebbe di un accordo su confini in grado di garantire la continuità territoriale allo Stato palestinese e quella tra paesi arabi e una profondità geografica che permetta allAnp di assorbire i rifugiati. Obiettivi raggiungibili grazie al coinvolgimento delle frontiere egiziane. Il piano, rivela il New York Times Magazine, sarebbe stato studiato dagli uomini dei servizi di sicurezza, ma non sarebbe stato sottoscritto dal governo Sharon. Nello specifico, il Cairo dovrebbe lasciare ai palestinesi una fascia di terra di circa 1.000 metri quadrati che unirà la Striscia di Gaza alla Cisgiorndania e circa 30-40 chilometri quadrati lungo la costa tra Rafah e al Arish. Riceverà in cambio da Israele la zona vicino al confine occidentale del Negev e uno stretto corridoio, largo tra i 100 e i 150 metri, che permetterà di garantire la continuità territoriale e le connessioni tra il mondo arabo. I palestinesi dovrebbero permettere a Israele correzioni delle linee di confine del 1949, in modo che Gerusalemme possa unire i due maggiori gruppi di insediamenti di Giudea e Samaria. Inoltre il piano prevederebbe un finanziamento allEgitto da parte di Arabia Saudita, Giappone, Stati Uniti, forse Unione europea. Bisognerebbe capire, a questo punto, da chi realmente è promosso e chi vuole che, attraverso la fuga di notizie, esso sia reso noto. Benché non si abbia la certezza che si tratti di un progetto con qualche fondatezza, è certo che il Cairo vi giochi un ruolo di primo piano. Sembra infatti che a beneficiare maggiormente del negoziato, aiuti economici a parte, sarebbe, da un punto di vista politico, proprio lEgitto, interessato alla fine di un conflitto che rafforza le tendenze fondamentaliste anche allinterno dei suoi confini. Nello svolgere un ruolo centrale nella negoziazione il governo di Hosni Mubarak ritroverebbe inoltre in medio oriente quel posto che aveva perso dopo la morte di Anwar al Sadat. Agli scambi territoriali previsti da questo progetto sembrano fare eco le parole del capo di Stato maggiore israeliano Moshe Yaalon, che ha detto al quotidiano Yediot Aharanot che, da un punto di vista strategico e militare, Gerusalemme potrebbe rinunciare alle alture del Golan, territorio cruciale per la sicurezza e lapprovigionamento idrico di Israele, restituendole alla Siria, nellambito di un compromesso di pace. Damasco e Gerusalemme hanno interrotto i rapporti nel 2000. E'la prima volta che un militare israeliano azzarda una dichiarazione di tale portata. (Il Foglio, 17.08.2004 - da Informazione Corretta) 6. L'EGITTO NON FA ABBASTANZA PER FERMARE IL TRAFFICO ARMI IL CAIRO - L'Egitto "non fa abbastanza" per fermare il traffico di armi gestito dai gruppi militanti palestinesi lungo il confine con i Territori. Ad affermarlo è il deputato americano Toms Lantos, l'esponente democratico di più alto rango del Comitato per le Relazioni Internazionali del Congresso Usa. Dal Cairo - seconda tappa, dopo la Libia, del suo tour mediorientale che lo porterà anche in Siria, Giordania e Israele - Lantos ha affermato che l'Egitto, "storicamente", non ha fatto abbastanza per combattere il terrorismo palestinese, pur avendo "i mezzi di chiudere i tunnel" che Israele sostiene vengano usati dai militanti per trafficare armi. "Sono contrario a questa fonte di sostegno ai terroristi", ha aggiunto il deputato Usa, che nei giorni scorsi ha incontrato, tra gli altri, il presidente egiziano Hosni Mubarak, il capo dell'intelligence Omar Suleiman e il ministro degli Esteri del Cairo Ahmed Abul Gheit. La stampa egiziana ha accolto con toni polemici la visita dell'esponente democratico. A infastidire gli egiziani è stata soprattutto la mozione presentata di recente da Lantos al Congresso Usa, e poi bocciata, in cui chiedeva di tagliare l'assistenza militare di Washington al Cairo di almeno 570 milioni di dollari. Una misura che, affermano i principali quotidiani semi-ufficiali egiziani, aveva come "unico obiettivo quello di sconvolgere gli equilibri regionali a favore di Israele". (Mam/Aki, 18.08.2004) 7. UN PAESE PER UNO... «Sono sionista e pro-palestinese» di Renée Hirel Sono sionista perché auspico un paese per il popolo ebraico. Gli ebrei sono un popolo il cui legame per alcuni è la religione, per altri la cultura o la filosofia, per la maggior parte la storia e la solidarietà con gli antenati. Il popolo ebraico esiste da quattromila anni. Ha vissuto in Giudea e Samaria per duemila anni ed è stato esiliato per altri duemila nel mondo intero. Nel 1948 gli ebrei hanno ritrovato il paese dei loro antenati, Israele, e lì vogliono vivere una vita tranquilla, al riparo da tutte le miserie che hanno subito per duemila anni. Nel 1947 una risoluzione dell'ONU ha creato due Stati, uno Stato ebraico e uno Stato arabo. Allora tutto avrebbe potuto essere risolto facilmente. I dirigenti arabi, loro, hanno rifiutato questa divisione, non hanno rispettato questa prima risoluzione dell'ONU per il Medio Oriente, non hanno mai riconosciuto Israele e hanno condotto contro di lui quattro guerre, 1948, 1956, 1967, 1973, e due intifade, 1987, 2000. Ci sono stati troppi morti... Sì, sono per l'esistenza d'Israele, paese democratico, lavoratore e dinamico, che ha accolto: - milioni di ebrei scampati alla Shoah, - la maggioranza (650.000 dei 900.000) degli ebrei cacciati dai paesi arabi (perché ebrei), - 1.100.000 ebrei dell'URSS e dei paesi dell'Est. Ha accolto inoltre, su 20.000 chilometri quadrati, 1.500.000 persone tra arabi cristiani, musulmani, beduini e drusi (per 5 milioni di ebrei) come cittadini israeliani a pieno titolo, senza considerarli come coloni o nemici. Sono anche pro-palestinese perché auspico per gli arabi palestinesi uno stato democratico e prospero. Auspico la fine della violenza e, con accordi tra i due popoli, l'allontanamento degli ebrei non accettati dagli insediamenti e la definizione di frontiere fra i due paesi. Sono tuttavia preoccupato per i palestinesi, perché sono stati strumentalizzati dai dirigenti arabi nel 1948, che gli hanno chiesto di lasciare le loro case per ritornare in seguito vittoriosi. Gli arabi non sono tornati vittoriosi... e 640.000 arabi palestinesi sono partiti. Alcuni di loro in realtà sono stati cacciati, ma altri sono rimasti e ci sono ancora. In seguito, i dirigenti li hanno mantenuti nei campi profughi per fare pressione sulla Comunità Internazionale aspettando le vittorie future. Stanno ancora lì dopo 55 anni, mentre ci sono nel mondo milioni di profughi che si sono integrati in diversi paesi. Ci sono sette paesi arabi molto vicini, sempre pronti a parlare a nome dei palestinesi, con 220 milioni di abitanti, 5.500.000 chilometri quadrati (270 volte più di Israele) dove avrebbero potuto essere accolti e integrati facilmente e dove potrebbero esserlo ancora oggi. Dopo quattro guerre perdute, invece di accettare l'esistenza d'Israele e negoziare per la loro esistenza e la loro indipendenza, i loro dirigenti hanno scelto la via dell'islamizzazione radicale, associandosi a organizzazioni islamiche terroriste. La carta di queste organizzazioni terroriste è un Islam integrista, implicano la distruzione totale d'Israele, un insegnamento generalizzato all'odio e alle bombe umane come mezzo d'espressione. Gli israeliani si difendono, naturalmente, e qualche volta in modo brutale. Ecco alcuni principi di questi islamisti, come si sentono nei sermoni (in arabo) nelle moschee: - i musulmani sono superiori a tutti gli uomini (Sura 3, versetto 106); - i cristiani e gli ebrei sono maiali e scimmie da sottomettere o da eliminare (Sura 3, Versetto 72 e altri): - tutta la terra diventata musulmana deve restare musulmana. Si può essere preoccupati del destino di questi paesi, se invece di ricercare una soluzione di pace per il loro popolo, i dirigenti arabi accettano questi principi di intolleranza, razzismo e violenza: - verso i cristiani che a poco a poco lasciano la regione, - verso gli ebrei che non hanno il diritto di rivenire a vivere in Israele, paese dei loro antenati, in virtù del pricipio che questi paesi sono diventati in seguito musulmani e devono restarlo... Tuttavia sogno anche per loro un bel paese. E questo sogno diventerà realtà il giorno in cui s'imporrà a tutti l'idea di accettare un paese per il popolo palestinese senza esigere la fine del popolo ebraico. (PRIMO-EUROPE, 20.06.2004) 8. MUSICA E IMMAGINI Josephs Coat 9. INDIRIZZI INTERNET Women in Green Givat Haviva in Israel Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |