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Notizie su Israele 260 - 3 ottobre 2004

1. Alleanza ebraico-cristiana nella Knesset
2. Quello che gli arabi sauditi pensano degli ebrei
3. I cristiani fuggono dai paesi arabi
4. Testimonianza di un arabo israeliano
5. Risorse del vocabolario che favoriscono il terrorismo
6. Scoperto un testo biblico di 2.600 anni fa
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Salmo 122:6-9. Pregate per la pace di Gerusalemme! Quelli che ti amano vivano tranquilli. Ci sia pace all’interno delle tue mura e tranquillità nei tuoi palazzi! Per amore dei miei fratelli e dei miei amici, io dirò: «La pace sia dentro di te!» Per amore della casa del SIGNORE, del nostro Dio, io cercherò il tuo bene.
1. ALLEANZA EBRAICO-CRISTIANA NELLA KNESSET




Colloquio con il dr. Yuri Stern

Riportiamo l'intervista che il mensile in lingua tedesca edito a Gerusalemme "israel heute" ha fatto al dr. Yuri Stern, membro della Knesset per il Partito di Unità Nazionale e Presidente del Comitato ebraico-cristiano istituito alcuni mesi fa nel Parlamento israeliano.

Yuri Stern
israel heute: Qual è l'obiettivo della collaborazione ebraico-cristiana?
dr. Yuri Stern: Con questa amicizia vogliamo sostenere lo Stato ebraico e il popolo ebraico nel mondo, e inoltre tentare di rompere l'isolamento di Israele nella comunità internazionale.

D. Che cos'è che l'ha indotta, come deputato della Knesset e come ebreo, a costituire un simile comitato?
R. Ho realizzato questa iniziativa qualche anno fa perché vedo nei cristiani degli amici strategici e dei fedeli fratelli. Nella situazione geopolitica in cui si trova oggi lo Stato ebraico in Medio Oriente abbiamo bisogno di amici. I settori di sinistra all'estero, che una volta stavano dalla nostra parte, oggi sono nostri nemici e in parte sono antisemiti. Inoltre, l'Europa è diventata sempre più ostile verso di noi.

D. Ma il mondo cristiano è grande. Quali sono, secondo lei, i cristiani che stanno dalla parte di Israele?
R. Credo che una gran parte del mondo cristiano stia al nostro fianco. Chi sta dalla nostra parte in modo particolarmente forte sono gli evangelici in America, in Europa e anche in Asia. Recentemente ho preso parte a una conferenza a Manila (Filippine) con i nostri fratelli cristiani in Asia.

D. Ha degli amici cristiani anche in Germania e in Svizzera?
R. Sì, in entrambi i paesi abbiamo amici che lavorano con noi e sostengono lo Stato d'Israele.

D. Che cosa pensa che spinga dei cristiani a fare questo?
R. La fede. La rinascita dello Stato ebraico d'Israele è per molti cristiani un segno vivente del compimento delle profezie bibliche. La stessa cosa crediamo anche noi. Al contrario della chiesa, che negli ultimi duemila anni ha derubato Israele del suo ruolo biblico, questi cristiani non credono che Dio ha rotto il patto biblico con il Suo popolo. Inoltre, ebrei e cristiani avvertono insieme di essere esistenzialmente minacciati da un comune pericolo: il fanatico Islam. Mi creda, ci sono anche dei cristiani che non mandano giù tutto quello che i media stranieri dicono di Israele, e questi cristiani ci vogliono "incondizionatamente" aiutare.

Cristiani svizzeri marciano a Gerusalemme per solidarietà con Israele

D. In quale misura lei ritiene che i cristiani all'estero possano essere ambasciatori per Israele?
R. Sono convinto che i cristiani all'estero spesso possono rappresentarci meglio di quello che possiamo fare noi stessi. Soprattutto in America, che a mio avviso è un paese molto più religioso dell'Europa, troviamo più facile presentare la posizione di Israele. La popolazione americana è più fedele alla Bibbia del mondo cristiano in Europa, per questo per lei è più facile riconoscere il diritto all'esistenza d'Israele, naturalmente per motivi che si trovano nella Bibbia.

D. In altre parole quindi lei vuol dire che il lavoro di chiarimento che fa Israele all'estero è semplicemente un fiasco?
R. Esatto. Non riusciamo ad offrire all'estero una chiara immagine di noi, forse perché il governo israeliano spende ben pochi soldi per sostenere questo lavoro di presentazione. I nostri amici cristiani ci possono difendere nel modo migliore perché sono i nostri partner naturali.

D. Che cos'hanno dunque ebrei e cristiani di comune?
R. Crediamo nella stessa Bibbia. Abbiamo gli stessi "Dieci Comandamenti", che sono i pilastri della nostra vita, cosa che altre religioni come l'Islam non hanno.

D. Chi è secondo lei il più grande nemico di Israele? La chiesa, che per ragioni teologiche non può o non vuole accettare Israele, o i liberali di sinistra, che continuamente condannano Israele per motivi umanitari?
R. Credo che i più grandi nemici di Israele siano i liberali di sinistra in Europa, che condannano l'unica democrazia nel Medio Oriente arabo dicendo che calpesta i diritti umani, quando invece Israele rispetta i diriti umani dei suoi vicini. E questi critici di Israele sono gli stessi che nello stesso tempo non esercitano alcuna critica verso i paesi musulmani intorno a Israele in cui i diritti umani chiaramente non sono rispettati. E lo sanno anche loro, ma per motivi politici tengono chiusa la bocca. Per questo temo più questi movimenti che le chiese, che pure in parte seguono strade antisemite.

D. Ma, a differenza di lei e dei suoi colleghi, che volete costruire ponti verso i cristiani, ci sono molti ebrei che non vogliono avere alcuna relazione con i cristiani, perché sospettano in ogni cristiano un missionario.
R. E' vero, e per questa ragione noi siamo violentemente criticati nel nostro popolo. Ma a questo ci dobbiamo adattare, perché se vogliamo costruire un nuovo vincolo, ciascuno dovrà capire che deve verificare le convinzioni che ha avuto fino ad ora ed eventualmente modificarle. Dobbiamo aprirci ai nostri partner cristiani e fidarci di loro, così come loro si fidano di noi. Il nostro compito non è soltanto di trovare nuovi amici cristiani all'estero, ma anche di rinnovare l'immagine dei cristiani nella popolazione ebraica.

D. Lei dunque perora un legame nuovo con i cristiani?
R. Sì, come corpo riconosciuto dallo Stato noi costituiamo, dopo duemila anni, la prima associazione ebraica che vuol stabilire un nuovo legame con dei cristiani.

D. Vede in un prossimo futuro la possibilità di un partito ebraico-cristiano nel Parlamento israeliano?
R. Perché no, se questi cristiani seguono una via sionista e non fanno come alcuni deputati arabi cristiani, come Azmi Bishara, che aizzano continuamente contro Israele. Dobbiamo avvicinarci ai cristiani che vivono in Israele e non considerarli come nemici. Abbiamo gli arabi cristiani e i russi cristiani, e anche altre correnti cristiane che vivono con noi e che, a mio parere, hanno anche il diritto di vedere rappresentati nella Knesset i loro interessi. Perché no?

(israel heute, ottobre 2004)





2. QUELLO CHE GLI ARABI SAUDITI PENSANO DEGLI EBREI




Gli ebrei? cospiratori dell'11 settembre e nemici eterni

di Carlo Panella

ROMA - Che opinione hanno dell'"ebreo" una decina di sauditi scelti a caso per strada? A questa domanda ha pensato bene di rispondere con una trasmissione ad hoc la televisione privata (saudita) Iqra tv.
    "Lei come essere umano sarebbe disposto a stringere la mano a un ebreo?", esordisce l'intervistatore. "Certamente no – replica un ragazzo sui vent'anni – per motivi religiosi e per via di quello che accade in Palestina. Ci sono molte ragioni che non mi consentono di stringere la mano a un ebreo". Stessa domanda a un altro giovane e stessa sicurezza: "No perché gli ebrei sono nostri nemici per l'eternità. Gli ebrei assassini violano tutti gli accordi". Convinzione granitica anche da parte del terzo interpellato, e dal quarto che rifiuterebbe la mano tesa di un ebreo perché stringendola sarebbe poi costretto ad amputare la propria. Il giornalista di Iqra tv insiste: "Se fosse un bambino a chiederle chi è un ebreo lei cosa direbbe?". Il quinto uomo sorride : "Gli ebrei sono nemici di Allah e del suo profeta". Il sesto aggiunge: "L'ebreo occupa le nostre terre". La telecamera si sposta sul bel volto di una ragazza velata di bianco, dice: "Naturalmente gli ebrei sono gli assassini del profeta". "La collera di Allah è su di loro – aggiunge l'ottavo intervistato, un giovane con barba e occhiali – tutti gli ebrei deviano dalla strada della giustizia, sono gli esseri più sporchi sulla faccia della terra, perché pensano soltanto a se stessi". Per lui la soluzione, "chiara a tutti" non può che essere una: "Se soltanto i musulmani dichiarassero il jihad… Ci sono Stati musulmani con 60-70 milioni di abitanti. Se lasciamo che uno solo di questi Stati marci su Israele, anche senza armi, schiaccerà tutti gli ebrei facendo di loro carcasse marce sotto i nostri piedi". Per il ragazzo dall'aria studiosa non basta il sostegno finanziario per le missioni dei terroristi suicidi. "Non è sufficiente che uno Stato dica: siamo con voi (con i palestinesi)". La sua invocazione è perentoria: "Combattiamo tutti il jihad!".
    Di jihad si parla spesso a Iqra tv, come documenta il monitoraggio di Memri (Middle East Media Research Institute). Dai teleschermi della tv, che fa delle tavole rotonde con i mufti un leitmotiv, hanno parlato Youssef al Qaradawi e gli altrettanto stimati Sheikh Abdallah Muslih ed il Dottor Nawar Nur. Se a Iqra tv al Qaradawi ha preferito concentrarsi sulla "disobbedienza femminile", in tema di ebrei e di jihad Muslih e Nur non si sono risparmiati. "Non c'è niente di sbagliato (negli attacchi suicidi) se causano un grave danno al nemico. Non solo – ha incalzato nel suo programma settimanale Muslih, presidente della Commissione scientifica sul Corano e la Sunnah della Lega mondiale musulmana – possiamo dire che, se l'operazione crea un grave danno, è una buona operazione". Se a saltare sono sauditi, algerini o siriani "tutto ciò è vietato fratelli!", ha chiarito . Per Nawar Nur e il figlio Hazem Saleh Abu Ismail i bersagli sono i soliti ebrei. In un commento sull'anniversario dell'11/9 sottolineano che "gli attacchi non hanno danneggiato la reputazione dell'Islam negli Stati Uniti". I due, spiega il conduttore, devono saperne qualcosa: si dedicano al proselitismo proprio negli Stati Uniti. "Non è neanche stato provato che siano stati musulmani – dice Nur – non c'è stata nemmeno un'indagine, sono confusi su quello che è accaduto ed è per questo che così tanta gente si converte all'islam". Rincara la dose il figlio: "Questi eventi sono stati fabbricati per distorcere l'immagine dell'islam". Ma chi sono i cospiratori? Che domanda: "Chiaramente gli ebrei".

(Il Foglio, 30.09.2004)





3. I CRISTIANI FUGGONO DAI PAESI ARABI




In un articolo sul quotidiano iracheno Al-Zaman, pubblicato simultaneamente a Londra e a Bagdad e la cui tradizione liberale risale agli anni 40, l’editorialista Majid Aziza illustra la difficile situazione della comunità cristiana nel mondo musulmano. Seguono brani dell’articolo: (1)

“I cristiani nati in paesi arabi stanno fuggendo dalle loro terre d’origine. E’ una frase ripetuta ogni giorno dappertutto ed è esatta al cento per cento. Stando alle statistiche, i cristiani sono emigrati in gran numero verso paesi più sicuri per loro e per i loro figli, come Stati Uniti, Australia ed Europa [sic]. Il motivo sono le vessazioni da parte di organismi governativi da un lato, di gruppi estremistici dall’altro, che subiscono in paesi dove hanno vissuto da migliaia di anni. […].

I cristiani risiedono da secoli in quelle terre che attualmente si chiamano paesi arabi, fianco a fianco con altri gruppi religiosi e particolarmente coi musulmani con cui hanno condiviso le difficoltà della vita. Ma i cristiani hanno perso i loro ‘vicini’ per molte ragioni: l’estremismo religioso che alligna fra alcuni musulmani, la crescita demografica per motivi religiosi, atti di discriminazione e coercizione, espulsioni individuali e collettive e pressioni patite anche quando servivano il loro paese. Ne troviamo molti esempi in Palestina, Iraq, Sudan, Libano, Egitto e altrove.

Quattro milioni circa di cristiani libanesi hanno lasciato il loro paese a causa delle pressioni esercitate su di loro. Circa mezzo milione di cristiani iracheni hanno abbandonato la loro patria per gli stessi motivi […]. E oggi la situazione sta peggiorando per la discriminazione da parte degli estremisti salafiti (fondamentalisti islamici). In Palestina, i cristiani sono quasi scomparsi in conseguenza del controllo esercitato dai musulmani estremisti sulla questione palestinese e della marginalizzazione del loro ruolo, a prescindere dall’impatto negativo sui cristiani palestinesi dell’Intifada, condotta da organizzazioni islamiche. Quanto ai cristiani d’Egitto, i copti, quello che hanno subito e stanno subendo, per mano sia dello stato sia degli islamici, basterebbe a riempire pagine di libri e giornali, tanto è la coercizione, la discriminazione e la persecuzione. Quanto accade in Algeria, in Mauritania, in Somalia e in altri paesi è troppo lungo da spiegare.

La situazione è identica anche in paesi musulmani non arabi. I cristiani sono perseguitati in paesi islamici come Pakistan, Indonesia e Nigeria. In Pakistan, i leader spirituali islamici hanno emesso una fatwa (parere religioso) con cui si autorizza l’uccisione di due cristiani per ogni musulmano ucciso dagli attacchi americani in Afghanistan, come se gli americani rappresentassero la cristianità nel mondo. In altri paesi essi vivono nella paura, all’ombra delle minacce, e

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debbono affrontare un crescendo di aggressioni, ogni volta che gli Stati Uniti e i loro alleati compiono azioni militari contro un qualsivoglia paese.

I cristiani hanno paura di quello che può loro succedere in questi paesi. La situazione è davvero critica e richiede un’attenzione urgente. E’ difficile immaginare un altro periodo in cui i cristiani abbiano corso un pericolo maggiore di quello attuale in questi paesi […]”.

Nota:
(1) Al-Zaman (Iraq e Londra), 4 settembre 2004.

(The Middle East Media Research Institute, 28.09.2004)





4. TESTIMONIANZA DI UN ARABO ISRAELIANO




Sono un arabo fortunato
    

    Sono un arabo fortunato. Mio nonno, Mohammed, viaggiò a piedi dall’Iraq fin qui nei primi anni del secolo scorso, in cerca di lavoro. Gli ebrei erano arrivati a migliaia in Palestina, allora controllata dall’Inghilterra, unendosi agli ebrei che si trovavano lì da sempre, e comprando la terra dai proprietari turchi non residenti ; avevano bisogno di molta manodopera per costruire il paese.
    Mi sono sposato, ho avuto una famiglia numerosa, ho lavorato duramente e sono vissuto in pace.
    Vivo ad Haifa, in Israele. Nel 1948, quando Israele ha dichiarato la sua indipendenza, gli eserciti degli stati arabi circostanti lo hanno attaccato, con l’intenzione di distruggerlo. Avevo circa 15 anni allora, e ricordo ancora le trasmissioni radio dai vicini stati arabi, che ci incitavano a lasciare le nostre case e a trasferirci “temporaneamente” ad est ; nel frattempo, gli eserciti arabi sarebbero dovuti avanzare e spazzare via gli ebrei. Ci dicevano che, poi, saremmo rientrati in trionfo nelle nostre case ed avremmo preso possesso di tutte le proprietà degli ebrei : case, fattorie, macchine, negozi, e conti bancari.
    Mio padre, Ibrahim, era un uomo saggio, colto, un uomo di pace. Eravamo in buoni rapporti con i nostri vicini, cristiani, ebrei e musulmani. Egli riunì l’intera famiglia e spiegò per quale motivo non riteneva opportuno partire, e che non credeva al fatto che gli ebrei ci avrebbero maltrattati. Siamo rimasti. Siamo ancora qui.
    Oggi vivo ancora nella vecchia casa di pietra di mio padre insieme a mia moglie, ed insieme al più giovane dei nostri otto figli. I figli più grandi, ed i tanti nipoti, vivono tutti nelle vicinanze. Non siamo mai stati maltrattati, e stiamo molto meglio di quegli arabi che scapparono via, e che sono finiti in miseri campi profughi, sovvenzionati dalle Nazioni Unite e dalle associazioni umanitarie.
    Voglio che sappiate qual è la mia vita di cittadino arabo in Israele. Ho studiato nelle scuole e nelle università israeliane. Sono diventato farmacista, ed ho lavorato in una farmacia ad Haifa. Ho ricevuto lo stesso stipendio e trattamento dei miei colleghi ebrei. Ora sono in pensione. Percepisco due pensioni : una dalla mia compagnia di assicurazioni, e l’altra dalla Previdenza Israeliana.
    Ho avuto otto figli. Ogni mese, ricevevo gli assegni familiari, pagati dal governo finchè non compivano 18 anni. Non conosco altri paesi in cui avviene questo, certamente non succede in nessun paese arabo. Tutta la famiglia è coperta dal Servizio Sanitario Nazionale, che fornisce ottime cure mediche. I miei figli sono nati tutti in ospedale, e mia moglie ha ricevuto tutte le cure possibili sia prima che dopo il parto. Tutte le spese mediche e chirurgiche sono coperte fino all’ultimo sheckel, e alla nostra morte persino la spesa della sepoltura verrà coperta dal governo.
    I miei figli sono andati a scuola con i bambini ebrei, membri degli stessi club e degli stessi centri comunitari, e hanno frequentato tutti l’università, alcuni hanno usufruito di borse di studio.
    Prego in una moschea costruita su un terreno donato dal Jewish National Fund. Ho la cittadinanza israeliana, ho un passaporto, posso viaggiare ovunque e quando voglio. Voto nelle elezioni locali e nazionali, e abbiamo una rappresentanza araba in parlamento.
    Ho un buon tenore di vita, e così la mia famiglia. Soffro per coloro che sono costretti a vivere sotto Arafat, perché vengono usati e maltrattati. Anelo al giorno in cui Arafat non avrà più la leadership, in modo che una vera pace possa venire negoziata con Israele, e così che anche gli arabi palestinesi possano avere una vita degna di essere vissuta.
    Anelo al giorno in cui potrò andare a visitare i miei cugini a Ramallah senza avere il terrore di venire identificato come collaborazionista e linciato. Ringrazio Allah per il fatto che mio nonno decise di venire qui. Ringrazio Allah per il fatto che mio padre decise di non andarsene nel 1948. Ringrazio Allah perché i miei figli sono cresciuti qui, nell’unico paese libero del Medio Oriente.
    Siamo arabi fortunati.
    
(Nome non fornito per motivi di sicurezza).
    

(Israel and Christians Today, autunno 2004 – www.uncuoreperisraele.net)





5. RISORSE DEL VOCABOLARIO CHE FAVORISCONO IL TERRORISMO




Sono terroristi, non attivisti

di Daniel Pipes

    "La riconosco quando la vedo" è la celebre risposta data dalla Corte Suprema di giustizia americana alla dibattuta questione della definizione di pornografia. Potrebbe non essere meno ostico il definire cosa sia il terrorismo, ma la perversa uccisione di scolari, di gente che segue un funerale, di coloro che sono seduti ai tavoli di lavoro nei grattacieli, di certo calza la definizione "la riconosco quando la vedo".
    Comunque i media, in genere, rifuggono dall'uso del termine terrorista, preferendo ricorrere a degli eufemismi. Prendiamo l'assalto alla scuola russa di Beslan del 3 settembre scorso, che ha portato alla morte di 400 persone circa, molte delle quali bambini. I giornalisti hanno saccheggiato i loro dizionari dei sinonimi, trovando almeno una ventina di eufemismi per il termine terroristi.

Assalitori - la National Public Radio;
Aggressori - l'Economist;
Attentatori - il Guardian;
Predoni - l'Associated Press;
Commando - l'Agence France Press si riferisce ai terroristi, intesi sia come "membri del commando" che come "commando";
Criminali - il londinese Times;
Estremisti - la United Press International;
Combattenti - il Washington Post;
Gruppo - l'Australian;
Guerriglieri - in un editoriale del New York Post;
Assassini - la Reuters;
Sequestratori - il Los Angeles Times;
Ribelli - in un titolo del New York Times;
Rapitori di bambini - il londinese Observer;
Miliziani - il Chicago Tribune;
Perpetratori - il New York Times;
Radicali - la BBC;
Ribelli - in un titolo del Sydney Morning Herald;
Separatisti - il Christian Science Monitor;

e per finire il mio preferito

Attivisti - il Pakistan Times.

    Le origini di questa riluttanza a utilizzare il termine terroristi sembrano risiedere nel conflitto arabo-israeliano, ispirata da una strana combinazione di simpatia manifestata dai media verso i palestinesi e di timore nei loro confronti. La simpatia è ben risaputa, la messa in soggezione, meno. Nidal al-Mughrabi della Reuters ha esplicitamente messo in guardia sul sito web www.newssafety.com i colleghi reporter che si trovano a Gaza che onde evitare guai occorre: "Non utilizzare mai il termine terrorista per descrivere gli assassini e i militanti palestinesi; la gente li considera degli eroi del conflitto".
    La riluttanza a chiamare i terroristi con il loro vero nome può raggiungere assurdi livelli di inesattezza e di apologetica. Ad esempio, l'1 aprile del 2004, Morning Edition - notiziario dell'emittente National Public Radio (NPR) - annunciò che "l'esercito israeliano ha arrestato 12 uomini, considerati dei militanti ricercati". Ma CAMERA, la Commissione per l'Accuratezza del Servizio Informazioni sul Medio Oriente in America, fece rilevare l'inesattezza della notizia e il 26 aprile del 2004 la NPR mise in atto la seguente rettifica: "È stato riportato che ufficiali dell'esercito israeliano avevano asserito di aver arrestato 12 uomini che erano dei militanti ricercati". Ma l'esatta frase pronunciata dai militari israeliani è stata: "terroristi ricercati".
    (Almeno la NPR si è rettificata. Quando il Los Angeles Times commise lo stesso errore nell'edizione del 24 aprile, scrivendo che "Israele ha effettuato una serie di raid in Cisgiordania, definiti dall'esercito come delle battute di caccia a dei militanti palestinesi ricercati", i responsabili del quotidiano rigettarono la richiesta di rettifica da parte di CAMERA, adducendo come motivazione che nel caso di una citazione diretta non si ricorre a una modifica terminologica.)
    Metro, una testata tedesca, il 3 maggio 2004, pubblicò una foto che mostrava due mani coperte da un paio di guanti, appartenenti a una persona che prendeva le impronte a un terrorista morto. La didascalia recitava: "Un ufficiale di polizia israeliano prende le impronte a un palestinese morto. È una delle vittime (slatchoffers) cadute ieri nella Striscia di Gaza". Una delle vittime!
    L'uso eufemistico si è poi diffuso dal conflitto arabo-israeliano agli altri teatri. Quando il terrorismo prese piede in Arabia Saudita, i media come il londinese The Times e l'Associated Press iniziarono abitualmente a utilizzare il termine militanti per riferirsi ai terroristi sauditi. La Reuters lo usa con riferimento al Kashmir e all'Algeria.
    Così, l'accezione militanti è diventata il termine standard a cui ricorrere per designare i terroristi.
    Queste restrizioni linguistiche auto-imposte talvolta inducono i giornalisti alla confusione. La BBC - che in genere evita di utilizzare il termine terrorista - nel riportare la notizia dell'uccisione di uno dei suoi cameraman, si è trovata a ricorrere a quel vocabolo. Per citare un altro esempio, nel motore di ricerca del sito web della BBC è inclusa la voce terrorista, ma nella pagina collegata quel termine è stato espurgato.
    Le organizzazioni delle notizie politicamente-corrette minano la loro credibilità con simili sotterfugi. Come si può credere a ciò che si legge, che si sente o che si vede quando l'evidenza lampante del terrorismo è semi-negata?
    La cosa peggiore è che i molteplici eufemismi utilizzati al posto del termine terrorista impediscono una chiara comprensione delle brutali minacce che la società civile si trova ad affrontare. È assai scorretto che solo uno su cinque articoli riguardanti l'orrore di Beslan menzioni la sua matrice islamista; ma la cosa peggiore è rappresentata dal miasma terminologico che isola il pubblico dal male del terrorismo.

(New York Sun, 7 settembre 2004 - Archivio di Daniel Pipes)





6. SCOPERTO UN TESTO BIBLICO DI 2.600 ANNI FA




GERUSALEMME - Un'importante scoperta archeologica, la cui autenticita' e' stata ora confermata, e' destinata a riscrivere la storia della formazione della Bibbia. Grazie a sofisticate tecniche sperimentate nei laboratori della Nasa, l'agenzia spaziale americana, e' stato possibile autenticare un testo della Bibbia scritto intorno al VI secolo avanti Cristo, all'epoca del primo Tempio di Gerusalemme. L'accertamento scientifico e' stato fatto da una equipe di ricercatori israeliani e statunitensi, secondo quanto riferisce un articolo apparso sul quotidiano "Haaretz". Le nuove tecniche impiegate hanno consentito di provare che si tratta di un testo in ebraico antico di almeno 2600 anni fa, dove compare un passo estratto dal Pentateuco.
    Il brano biblico, tratto dal capitolo sesto del Libro dei Numeri, e' inciso su due amuleti in argento, che sono stati datati dagli scienziati all'era del primo Tempio di Gerusalemme, distrutto dai babilonesi nel 587 a.C.

(Adnkronos, 29 settembre 2004)





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