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Notizie su Israele 337 - 10 marzo 2006

1. Progetti identitari inglobanti
2. DallÕIslam non si puoÕ recedere
3. Statuto di Fatah
4. I massacri degli ebrei nella Russia sovietica
5. I cartoni animati dei «perfidi giudei»
6. Una donna coraggiosa sul monte Dov
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Salmo 145:17-20. Il Signore è giusto in tutte le sue vie e benevolo in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a tutti quelli che lo invocano, a tutti quelli che lo invocano in verità. Egli adempie il desiderio di quelli che lo temono, ode il loro grido, e li salva. Il Signore protegge tutti quelli che l’amano, ma distruggerà tutti gli empi.
1. PROGETTI IDENTITARI INGLOBANTI




Daniel Sibony
Hamas. Un tentativo di spiegazione
    
di Daniel Sibony*

    L'arrivo al potere di Hamas pone delle questioni interessanti sulla democrazia e sul conflitto in Medio Oriente.
    Sulla democrazia: Molti di quelli che ne parlano dovranno precisare il senso di questo termine, che implicitamente sottintende: potere del popolo, con il presupposto che il popolo non può fare scelte cattive o pericolose. Tuttavia, l'esempio della Germania nel 1933 è eloquente: è in perfetta democrazia e con conoscenza di causa che questo popolo ha mandato i nazisti al potere. In questo caso il popolo manda al potere degli estremisti religiosi che, certamente, sono il partito più violento verso il nemico, ma metteranno in piedi un sistema di vita a base di sharia, esaltando la jihad e il martirio.
    In conclusione, ci sono casi in cui il corpo sociale è come mortificato, e sacrifica la voglia di vivere alla voglia di vincere e vendicarsi. E' tutto un popolo che può scegliere liberamente e in modo democratico di percorrere un cammino che sopprime la democrazia e instaura un regime meno corrotto, ma semplicemente totalitario. E il popolo sa molto bene il tipo di vita che mette in piedi con questo voto.
    Certo, in Occidente parlano allora di "frutto amaro della democrazia". Il fatto è che della democrazia hanno soltanto l'idea convenzionale e liberale, che si riduce, se la si gratta fino in fondo, a una tecnica di gestione del sociale in cui l'individuo è rispettato come attore sociale e non soltanto come voto elettorale. Ora, in questo tipo di regimi totalitari l'individuo non esiste come soggetto, ma è interamente definito da un quadro ideologico che esprime una forte identità; un'identità in cui difetti e insuccessi sono sempre dovuti agli altri.
    Nel caso di Hamas, non è un segreto che l'ideologia e l'identità in questione sono quelle dell'islam fondamentalista. Il suo arrivo avrà il merito di far conoscere meglio tutto questo all'opinione internazionale. Bisogna credere che se la storia (o il popolo) ha portato avanti queste persone, ciò che li fa parlare nei media mondiali è il fatto che c'era bisogno di far conoscere meglio la detta identità nei suoi aspetti fondamentali. Questa vittoria risponde dunque, mi sembra, a un bisogno di spiegazione; e la carta di Hamas soddisfa ampiamente questo bisogno.
    Vi si trova per esempio (articolo 31) che questo movimento "è guidato dalla tolleranza islamica quando tratta con i fedeli di altre religioni [non dice che ne è di coloro che non hanno religione]. Si oppone a loro soltanto quando sono ostili [dunque li tollera se sono d'accordo, altrimenti li combatte]. Sotto la bandiera dell'islam, i fedeli delle tre religioni, l'islam, il cristianesimo e l'ebraismo, possono coesistere pacificamente. Ma questa pace è possibile soltanto sotto la bandiera dell'islam."
    Articolo 32: "[...] dopo la Palestina, i sionisti vogliono accaparrarsi la terra dal Nilo all'Eufrate. Quando avranno digerito la regione conquistata, aspireranno ad altre conquiste. Il loro piano è contenuto nei «Protocolli dei savi di Sion»".
    E' un modo un po' esagerato di dire una verità più sobria: l'identità coranica non prevede la sovranità ebraica o di qualsiasi altro. Dunque, l'esistenza di Israele è uno strappo grave ai fondamenti dell'islam. Molti, in Occidente, hanno paura di formulare la cosa in questo modo. Ne ho dato un'analisi approfondita nel mio "Medio Oriente - Psicanalisi di un conflitto", e nei miei libri su "I tre monoteismi", in cui mostro la difficoltà di ciascuno dei flussi identitari, particolarmente quello dell'islam, a integrare un certo strappo, cosa inevitabile per ogni identità. Faccio anche vedere che tutte queste scosse, e altre più importanti che ci aspettiamo dall'Iran, esprimono una tendenza della storia a far sì che il mondo arabo-musulmano si integri nel gioco planetario, localmente e globalmente. Ho mostrato che questo cammino inevitabile sarà lungo, ma che nell'attesa "ci sarà spesso la pace".
    Certamente, davanti a questa situazione, precisamente davanti al potere di Hamas, molti, qui o là, cercheranno il colpevole: di chi è la colpa se si è arrivati qui? Perché naturalmente bisogna trovare una "causa" attuale, e un colpevole su cui puntare il dito. In questa ottica bizzarra si esclude che un popolo, da solo, possa esprimere delle tendenze profonde che lo abitano e lo travagliano. In questo caso, le tendenze fondamentaliste esistono e travagliano questi popoli ben prima degli errori dell'Europa o d'Israele o dell'America (dell'Europa che ha sostenuto, come l'America, dei poteri corrotti; o di Israele "intrattabile e oppressore"). Direi perfino che c'è un po' di disprezzo per questi popoli arabi - precisamente i palestinesi - quando si crede che i loro slanci fondamentali possano essere dovuti soltanto a nostri errori, e che da soli, se non li si avessimo imbestialiti, non avrebbero avuto niente da dire di specifico; essi sarebbero a nostra immagine e non arriverebbero a dire quelle cose, che invece sono chiaramente leggibili nei loro testi fondazionali. Ora, ho messo in evidenza che da questa parte e alla base del conflitto politico c'è un dialogo tra sordi sullo statuto di questa strana terra: gli uni (gli ebrei) ne hanno parlato da sempre come la loro terra, al punto che essa ne è divenuta folle, o piuttosto "posseduta", gli altri (gli arabi) sostengono che è una terra dell'islam, e che una terra conquistata dall'islam è islamica per sempre. Penso che la storia scuoterà un po' questo, tutti questi progetti identitari inglobanti o "totali", ma bisognava prima esplicitarli di più.
    Può anche darsi che la cosa si calmi un giorno, per la generosa concessione agli ebrei da parte del mondo islamico di una sorta di grande ghetto in cui vivranno... "indipendenti". E siccome è già circondato da un muro, la cosa è pratica. Certamente, ci sono altre soluzioni da esplorare, compreso il fatto che, grazie a questo stesso muro, i palestinesi avranno, anche loro, per tentare di vivere e di edificare, quasi tutto lo spazio che reclamano. I giochi saranno aperti.
    Detto questo, il fatto di esplicitare creerà nuovi problemi che si dovrà affrontare - ma chi ha detto che queste cose sono semplici? La cosa sicura è che non si può più ricongelare ciò che si è sgelato: non si può più nascondere quello che si è svelato. Quanto al resto, è molto secondario: credere, per esempio, che si possa agire sulla gente di Hamas con espedienti finanziari è un'illusione; convinzioni di questo tipo non si comprano, e hanno, presso i loro fratelli - ricchi petrolieri - tutto quello che gli serve. L'essenziale, in questo caso, non è economico, ma culturale, identitario.

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*Daniel Sibony, scrittore, psicanalista, è autore di una trentina di libri. E' nato nel 1942 a Marrakech da una famiglia ebrea abitante a Medina.

(dal blog di Daniel Sibony)

COMMENTO - L'autore inizia con un accostamento tra la recente ascesa al potere di Hamas e quella del partito nazionalsocialista in Germania nel 1933, ma invece di prendere in considerazione la possibilità, anche nel caso attuale, di una conclusione tragica della vicenda, si limita ad esaminare in modo accademico e sostanzialmente ottimistico i limiti dei diversi "progetti identitari inglobanti" dei regimi totalitari.





2. DALL’ISLAM NON SI PUO’ RECEDERE




Islam, libertà religiosa a senso unico. Ma non c'è alternativa al dialogo

di Gian Maria Piccinelli*

Oggi l'Islam ci appare come una religione di precetti, di norme che regolano la vita interiore e sociale dei credenti, e come tale è sentita e vissuta dalla più parte dei musulmani. L'Islam, in questo senso, è il risultato di un lungo, plurisecolare, processo di interpretazione del Corano e delle fonti ad opera dei dotti, teologi e giuristi, le cui dottrine si sono sedimentate all'interno delle società islamiche divenendo una tradizione in cui si rischia, talvolta, di perdere il senso del tempo e della storia.
L'Islam è cronologicamente l'ultima delle religioni rivelate che si riconoscono in Abramo. Ultima e, come tale, definitiva, la più perfetta rivelazione. Di questa definitività l'Islam ha piena coscienza. Chi ha conosciuto la verità del Messaggio divino rivelato al Profeta Maometto non ha «diritto» di allontanarsene. Cristiani ed ebrei, che vivono in uno stadio inferiore e imperfetto della conoscenza della Rivelazione di Dio sono accettati e «protetti» in quanto figli di Abramo e nell'attesa che giungano alla pienezza della verità.
Nei primi tempi dell'Islam, vivente ancora il Profeta, numerosi furono i tradimenti di alcuni gruppi di neo-convertiti all'Islam, per ragioni soprattutto politiche: La risposta fu una ferma condanna e una dura repressione con le armi alla mano ad opera dello stesso Maometto. Nel Corano troviamo traccia di quegli eventi attraverso i severi moniti divini contro gli apostati e gli incitamenti ai musulmani affinché i traditori venissero combattuti fino alla morte o al ritorno all'Islam.
L'apostasia, nella tradizione giuridica islamica, è da allora trattata molto severamente. L'apostata che permane nella sua scelta è messo a morte o imprigionato a vita. In ogni caso, perde tutti i suoi beni ogni diritto. Se sposato, il suo matrimonio è immediatamente annullato.
Gli stati musulmani moderni hanno, in gran parte, sistemi giuridici che tendono a mitigare gli effetti negativi derivanti da una applicazione troppo rigida della tradizione la quale, sia pur con significative differenze tra le diverse aree geografiche, è ancora vivente a livello sociale. Per questa ragione, lo sforzo di modernizzazione portato avanti dai legislatori mantiene chiaramente in vita molti elementi della tradizione. Così, anche laddove qualche costituzione riconosce i diritti dell'uomo, tra questi non trova accoglimento la libertà religiosa che viene identificata con la libertà (limitata) di culto, cioè con il diritto (attentamente regolamentato) che i fedeli delle sole religioni ebraica e cristiana hanno di celebrare i propri riti.
La libertà religiosa è a «senso unico». Si può aderire all'Islam da qualunque fede, non si può recedere dall'Islam in nessun caso. Gli stessi culti ammessi, per ebrei e cristiani, possono essere praticati con notevoli limitazioni. Nei paesi più conservatori, per ebrei e cristiani sussistono limiti anche ai diritti civili derivanti dalla cittadinanza. Chi abbandona l'Islam per scegliere un'altra fede subisce innanzitutto la condanna della comunità e deve sopportare una enorme pressione sociale che sovente si trasforma anche in oppressione politica. Per costoro non resta che la scelta dell'emigrazione e, comunque, di una fede vissuta in clandestinità.
Al di là delle condanne e delle facili satire, in cui l'occidente cristiano non deve dimenticare la sua storia anche più recente, l'unica autentica alternativa è il dialogo, continuo, ininterrotto, sui valori comuni ai monoteismi abramitici, con un pensiero costante alle comunità cristiane che vivono in terra d'Islam e che, con la loro silenziosa presenza, testimoniano la speranza di una definitiva coesistenza nella diversità tra i figli di Isacco e di Ismaele.

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* Professore ordinario di Diritto musulmano - II Università di Napoli

(Toscana Oggi, 22 febbraio 2006)





3. STATUTO DI FATAH




Riportiamo il primo capitolo dello statuto di Fatah, il partito di Abu Mazen, presidente dell'Anp.

Capitolo primo

Principi, scopi, metodi Principi essenziali del Movimento

Articolo 1 – La Palestina è parte del mondo arabo, i palestinesi sono parte della Nazione araba e la loro battaglia è parte della battaglia della Nazione araba.
Articolo 2 – Il popolo palestinese ha un'identità indipendente. Il popolo palestinese è la sola autorità che decide per il suo proprio destino e ha completa sovranità su tutta la sua terra.
Articolo 3 – La rivoluzione palestinese svolge il ruolo cruciale nella liberazione della Palestina.
Articolo 4 – La lotta palestinese è parte della lotta mondiale contro il sionismo, il colonialismo e l'imperialismo internazionale.
Articolo 5 – Liberare la Palestina è obbligo nazionale che necessita di supporto materiale e umano da parte della Nazione araba.
Articolo 6 – Sono illegali e rigettati tutti i progetti, gli accordi e le risoluzioni delle Nazioni Unite o gli accordi individuali che minano i diritti del popolo palestinese sulla sua patria.
Articolo 7 – Il movimento sionista è razzista, colonialista e aggressivo nella sua ideologia, nei suoi fini, nella sua organizzazione e nei suoi metodi.
Articolo 8 – L'esistenza dello stato di Israele in Palestina rappresenta un'invasione sionista con il carattere di espansionismo coloniale; lo stato di Israele è il naturale alleato del colonialismo e dell'imperialismo internazionale.
Articolo 9 – La liberazione della Palestina e la protezione dei Luoghi Santi è un dovere degli arabi e un loro obbligo sotto il profilo umano e religioso.
Articolo 10 – Il movimento di Liberazione nazionale della Palestina al Fatah è un movimento rivoluzionario indipendente e rappresenta l'avanguardia rivoluzionaria del popolo palestinese.
Articolo 11 – Le masse popolari che partecipano alla rivoluzione e alla liberazione della Palestina sono le proprietarie della sua terra.

Scopi
Articolo 12 – Il fine di al Fatah è la completa liberazione della Palestina e lo sradicamento della attività economica, politica, militare e culturale del sionismo.
Articolo 13 – Istituzione di uno stato indipendente e democratico con completa sovranità su tutto il territorio della Palestina, con Gerusalemme, e protezione dei diritti legali dei cittadini, senza alcuna discriminazione di razza o di religione.
Articolo 14 – Costituzione di una società progressista che garantisca i diritti del popolo e le sue libertà civili.
Articolo 15 – Attiva partecipazione nel raggiungimento degli scopi della Nazione araba, nella liberazione e nella costruzione di una società araba unita, indipendente e progressista.
Articolo 16 – Appoggio a tutti i popoli oppressi, nella loro lotta di liberazione e autodeterminazione, allo scopo di costruire una giusta pace internazionale.

Metodi
Articolo 17 – La rivoluzione armata è il metodo inevitabile per liberare la Palestina.
Articolo 18 – Corrispondenza totale tra il popolo palestinese e la Nazione araba quale alleato nella lotta e realizzazione dell'interazione completa tra Nazione araba e popolo palestinese per coinvolgere il popolo arabo in un fronte unito arabo di lotta.
Articolo 19 – La lotta armata è una strategia e non una tattica, la rivoluzione armata del popolo arabo palestinese è un elemento decisivo nella lotta per eliminare l'esistenza del sionismo; questo combattimento non cesserà sino a quando lo stato sionista non sarà demolito e la Palestina non sarà completamente liberata.
Articolo 20 – Definizione di accordi reciproci con tutte le forze nazionali che partecipano alla lotta armata per costruire l'unità nazionale.
Articolo 21 – Affermazione della natura rivoluzionaria dell'identità palestinese a livello internazionale senza contraddire l'indispensabile unità tra la nazione araba e il popolo palestinese.
Articolo 22 – Opposizione a ogni soluzione politica offerta come alternativa alla demolizione dell'occupazione sionista in Palestina, così come a ogni progetto inteso a liquidare il caso palestinese o a imporre un mandato internazionale sul suo popolo.
Articolo 23 – Mantenere rapporti con i paesi arabi per sviluppare gli aspetti positivi delle loro scelte e costruire le condizioni per cui la lotta armata non sia influenzata negativamente.
Articolo 24 – Mantenere relazioni con tutte le forze liberali che appoggino la nostra giusta battaglia, allo scopo di resistere insieme al sionismo e all'imperialismo.
Articolo 25 – Convincere i paesi interessati nel mondo a prevenire l'immigrazione ebraica in Palestina, come metodo per risolverne il problema.
Articolo 26 – Evitare che il caso palestinese interferisca in tutti i problemi

prosegue ->
arabi o internazionali e fare in modo che la questione palestinese venga considerata al di sopra di ogni conflitto.
Articolo 27 – Al Fatah non interferisce con gli affari interni dei paesi arabi e non tollera interferenze o ostruzionismo verso la propria lotta da parte di chiunque.





4. I MASSACRI DEGLI EBREI NELLA RUSSIA SOVIETICA




E Stalin tacque per nascondere i propri crimini

di Giampaolo Visetti

MOSCA - «Fino all´avvento di Gorbaciov, l´Olocausto fu ignorato in Unione Sovietica. Gli ebrei ammazzati dai nazisti durante l´occupazione tedesca venivano citati come russi caduti durante la Guerra di liberazione. Solo ora comincia a prendere corpo un vero e proprio archivio della Shoah». Alla Gerber è una signora minuta e gentile. Figlia di una famiglia ebrea sterminata a Kiev, storica e scrittrice, dissidente perseguitata ai tempi dell´Urss, deputata democratica ai tempi della perestrojka, leader della difesa dei diritti umani in Russia, ha dedicato la vita a far emergere la verità sul massacro degli ebrei russi in Germania e nei Paesi dell´Est. Oggi presiede la Fondazione Holocaust di Mosca, l´unica istituzione dell´ex Urss che raccoglie testimonianze e reperti della Shoah. «Per mezzo secolo», dice, «è stato quasi impossibile trovare documenti delle persecuzioni sul territorio sovietico. Stalin prima tradì gli ebrei per dimostrare amicizia a Hitler, poi per nascondere i propri pogrom. I comunisti, successivamente, hanno cancellato l´Olocausto per coprire le proprie stragi e per non ammettere la diffusa complicità popolare nella Shoah. Il Male in Russia fu la normalità, ma poi tutti se ne sono vergognati».

Esiste in Russia documentazione fotografica sui lager nazisti, o sulle fucilazioni di massa degli ebrei?
«Nemmeno una foto. Il comunismo, a differenza del nazismo, non è crollato alla fine della Seconda guerra mondiale. Sul territorio sovietico non furono mai costruiti lager. I nazisti non avevano bisogno di nascondere nulla. Le fucilazioni avvenivano sotto gli occhi di tutti. L´Urss ha poi distrutto tutti i documenti compromettenti».

Perché invece si sono salvate le immagini dei gulag?
«I gulag non erano finalizzati allo sterminio di un popolo. Erano campi di prigionia, le persone erano ridotte in schiavitù. Ma erano essenzialmente luoghi di lavoro. Non è morta il novanta per cento della loro popolazione, come nei lager».

Hitler e Stalin hanno ridotto l´abominio a normalità, a ordinaria occupazione quotidiana degli aguzzini: come ha potuto verificarsi una tale concomitanza?
«È stato un fenomeno strano, unico nella storia. Non c´è una spiegazione razionale. La violenza razziale era vissuta come un diritto. Hitler negli anni Trenta studiò i metodi repressivi di Stalin. Li ammirava e li adottò, rendendoli poi più sofisticati. Stalin, alla fine degli anni Trenta, inviò funzionari in Germania a studiare l´organizzazione dei lager. Sapevano entrambi di essere gli architetti di un´industria della morte, ma il clima era simile a quello che si crea oggi quando una delegazione straniera visita una fabbrica o una centrale elettrica».

Cosa cambiò per gli ebrei dopo l´invasione tedesca dell´Urss?
«Iniziò anche qui lo sterminio sistematico degli ebrei. Stalin di fatto li consegnò ai nazisti. Per non incrinare l´amicizia con Hitler, prima del tradimento, la propaganda sovietica dipingeva la Germania come la nazione più illuminata e tollerante del mondo. Nessuno immaginava l´Olocausto. I nazisti furono accolti dagli ebrei, discriminati in Urss, come dei liberatori. Nessuno, avvisato in extremis, fuggì».

Perché le autorità sovietiche non sfruttarono la Shoah per convincere milioni di ebrei russi a combattere contro i nazisti?
«Storicamente la Russia è un paese antisemita. Stalin conosceva gli umori profondi del popolo. Lasciò che i tedeschi facessero il lavoro sporco, contando sulla complicità sociale. Tra il 1941 e il 1945, sul territorio sovietico, sono stati uccisi oltre tre milioni di ebrei. Tutti fucilati: non è stato necessario costruire nemmeno un carcere».

Come reagiva la gente davanti alle esecuzioni di massa?
«Le racconto quanto avvenne a Kiev, alla mia famiglia. Dopo l´invasione, i tedeschi pubblicarono subito un giornale antisemita in lingua russa. Poi iniziarono lo sterminio in un quartiere. Portavano gli ebrei sulle rive del Dniepr e li fucilavano. A migliaia. All´inizio non accadde nulla. Dal terzo giorno in poi si riuniva la folla per assistere alle esecuzioni. Facevano la coda per assistere allo spettacolo, contavano i cadaveri, ammirati come fossero bottino di caccia. Nell´Olocausto troviamo sempre tre categorie: vittime, carnefici e spettatori».

Quale è stato l´atteggiamento dei russi dopo la sconfitta della Germania nazista?
«Sotto l´Urss non si è mai parlato dell´Olocausto degli ebrei. Vassilij Grossman e Ilija Ehrenburg compilarono il libro nero sullo sterminio, ma non riuscirono a pubblicarlo. Nel 1948 Stalin iniziò a combattere la battaglia persa di Hitler, perseguitando i cosidetti "cosmopoliti", ossia gli ebrei. Poi li accusò di collaborazionismo con i tedeschi. Alla strage seguì una strage, nell´indifferenza collettiva».

Perché Stalin, nonostante i russi avessero liberato Auschwitz, perseguitò gli ebrei anche dopo il 1945?
«L´Urss era al disastro economico. Montava il malcontento popolare. Iniziava la Guerra Fredda. L´attenzione della gente andava sviata. La liberazione di Auschwitz fu taciuta. Si puntò sulla presenza dannosa dei ricchi ebrei, dati in pasto alla rabbia dei poveri russi. Per anni il Kgb assicurò che ogni presunta spia Usa era ebrea».

E dopo la morte di Stalin?
«Cambiò poco. La nomenklatura comunista rimase intimamente antisemita. L´Olocausto è stato sempre ignorato, o minimizzato. Non era un argomento ufficialmente proibito, ma si consigliava di evitarlo. L´aria è cambiata con Gorbaciov, ma pure con Eltsin».

Com´è il clima oggi?
«Il popolo russo resta povero e deluso, ha ancora bisogno di un colpevole, di un capro espiatorio. La Russia continua a ignorare la Shoah. Non vuole ammettere che milioni di sovietici, in particolare nei Paesi baltici e in Ucraina, eseguirono le stragi di ebrei ordinate dai nazisti. Per questo il terreno per l´antisemitismo resta fertile».

Ritiene che le autorità siano responsabili?
«Putin non è antisemita, non c´è un nuovo Hitler russo. Si tollera però la presenza di decine di gruppi e piccoli partiti che alimentano e sfruttano l´odio contro gli ebrei. Negli strati marginali della popolazione gli episodi di violenza antisemita si moltiplicano, senza essere contrastati né condannati con la necessaria fermezza. La voglia di riabilitazione di Stalin porta con sé il recupero di Hitler. Per anziani e giovanissimi sono due leader che hanno portato ordine. Così in Russia gli ebrei ormai sono meno di un milione. E chi può se ne va».

(La Repubblica, 5 marzo 2006)





5. I CARTONI ANIMATI DEI «PERFIDI GIUDEI»




Quando tragico e ridicolo si confondono: il topo è ebreo, ma chi è il gatto?

di Federico Steinhaus

Odio e disprezzo viscerali di una parte considerevole del mondo islamico nei confronti degli ebrei sono oramai una drammatica e ben nota realtà dello scenario politico e mediatico. Ugualmente noto è il fatto che la politica dello stato d'Israele nei confronti dei palestinesi costituisce solo un banale pretesto per far sembrare quell'odio antiebraico più legittimo e giustificato agli occhi degli sprovveduti.
Per fortuna questo odio ha anche la capacità di accecare a tal punto chi lo pratica, da fargli perdere la nozione del ridicolo; e quando è il ridicolo a prevalere si svela anche l'abissale imbecillità e la mancanza di qualsiasi giustificazione di quell'odio.
Questo è quanto è accaduto in Iran.
Lo scorso 19 febbraio il Canale 4 della televisione iraniana ha trasmesso ampie informazioni su un seminario cinematografico che compredeva una relazione del professor Hasan Bolkhari. Questo signore è membro del Consiglio per la Cinematografia della Radio-televisione della Repubblica Islamica dell'Iran, consigliere del Ministro dell'Educazione dell'Iran, docente di filosofia dell'arte alle Università Tabatabei ed Al-Zahra, e nel 2003 è stato il rappresentante iraniano nella giuria internazionale del Festival cinematografico di Fajr che aveva lo scopo di promuovere il dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani. Un fior di esperto, insomma.Traduciamo alcuni brevi passaggi della sua dotta relazione, ricevuta da memri@memri.org.

"C'è un cartone animato che piace ai bambini – Tom e Jerry... Alcuni affermano che questa creazione di Walt Disney (sic: ma per un tale esperto si tratta di un semplice lapsus) sarà ricordata per sempre. La compagnia cinematografica ebraica Walt Disney (ma Disney non era un convinto antisemita? ndt) si è guadagnata fama internazionale con questi cartoni animati.... Alcuni dicono che la ragione principale per produrre questi cartoni animati così piacevoli era stata la volontà di cancellare un certo significato sprezzante che era prevalente in Europa... Se studiate la storia europea, vedrete chi esercitava il massimo potere nel gestire denaro e potere nel diciannovesimo secolo. Spesso erano gli ebrei. Forse questo è stato uno dei motivi che hanno indotto Hitler ad iniziare la tendenza antisemita, e poi è cominciata l'invasiva propaganda a proposito dei crematori... Alcune di queste cose sono vere. Non le neghiamo tutte. Guardate Schindler's List. Ogni ebreo era costretto a portare una stella gialla sui vestiti. Gli ebrei erano umiliati e li insultavano "sporchi topi". Tom e Jerry è stato creato per modificare la percezione degli europei dei topi... Nessun gruppo etnico o popolo agisce in una maniera clandestina come gli ebrei... Tom e Jerry è stato creato per far emergere una immagine esattamente opposta. Se domani vi capiterà di guardare uno di questi cartoni animati ricordatevi di quanto vi ho appena detto e guardatelo da questa prospettiva. Il topo è molto intelligente e simpatico. Ogni cosa che fa è tanto carina... appare tanto simpatico, ed è tanto intelligente... Questo è esattamente perché alcuni dicono che aveva lo scopo di cancellare quella immagine dei topi dalla mente dei bambini europei, e far loro vedere che il topo non è sporco... Purtroppo ci sono molti casi analoghi negli spettacoli di Hollywood".

Quando avrete smesso di ridere, o sorridere, provate a fare alcune considerazioni serie a proposito di quanto avete letto. La prima riflessione crediamo debba riguardare la singolare lettura che questo esimio signore trasmette dell'antisemitismo europeo: la ricchezza ed il potere di molti ebrei nell'Ottocento avrebbero giustificato e causato l'antisemitismo nazista del secolo successivo; forse in fin dei conti un po' di quella eccessiva propaganda sui forni crematori contiene qualche parte di verità; ma il vero trauma che gli ebrei vogliono cancellare è quello derivante dalla sprezzante definizione di "sporchi topi" con la quale venivano insultati. L'avevate mai sentita? Noi, francamente, no. Che gli ebrei venissero insultati come maiali, serpenti velenosi, sanguisughe od altri esponenti del regno animale era noto – ma topi? La seconda riflessione è metodologica. Secondo questo sempre più autorevole esperto il modo migliore per combattere contro il pregiudizio antiebraico sarebbe dunque quello di inventarsi una bella serie di cartoni animati. Ma come sono intelligenti, furbi, astuti questi ebrei! Avvelenano i nostri bimbi con le divertenti avventure di Tom e Jerry per farsi amare! E come sono stati stupidi ed ingenui tutti quei dotti studiosi ebrei che si illudevano di poter svelare ed eliminare il pregiudizio antiebraico mediante ponderosi saggi scientifici... Ma ecco che ci viene in mente un'altra delle loro diaboliche invenzioni: la storia dei "Tre Porcellini", questa sì di Walt Disney, non sarà stata anch'essa un tranello ebraico? In fondo, se li definivano "maiali, porci" nelle varie lingue.

(Informazione Corretta, 27 febbraio 2006)





6. UNA DONNA CORAGGIOSA SUL MONTE DOV




Keren Kaufman
Keren Kaufman è la sola donna che in questi giorni fa il suo servizio militare alla frontiera libanese. I suoi genitori non erano entusiasti quando hanno saputo che voleva accettare il posto di ufficiale per la sorveglianza sul monte Dov, che si trova anche presso la frontiera siriana. Hanno mandato a Keren anche i suoi nonni, per cercare di convincere la giovane donna a non accettare questo posto pericoloso.
Niente però è riuscito a trattenere il sottotenente Keren, nonostante che questa regione rappresenti da sei anni, da quando Israele si è ritirato dal sud del Libano, una zona di alto pericolo, in cui i terroristi Hezbollah cercano continuamente di attaccare o conquistare punti militari strategici, o di rapire soldati e penetrare in Israele.
Keren comanda 25 punti di vedetta, situati nei diversi punti d'appoggio stazionati lungo la frontiera. Lei considera molto sobriamente il suo posto: «Io e i miei soldati siamo gli occhi di Israele alla frontiera nord». [ved. foto sul sito internet]

(israel heute nr. 330, marzo 2006)





7. MUSICA E IMMAGINI




Guidscho




8. INDIRIZZI INTERNET




IsraHelp

Messianic Bureau International




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