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Notizie su Israele 366 - 3 novembre 2006

1. Giuste rivendicazioni israeliane
2. Velo sì, velo no
3. L'ultimo conflitto, secondo l'ebraismo rabbinico
4. Videogame sul conflitto mediorientale
5. Una nave di cristiani evangelici Usa approda ad Ashdod
6. Il rapporto tra ebrei ed evangelici americani
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 29:22-23. Perciò così dice il Signore alla casa di Giacobbe, il Signore che riscattò Abraamo: «Giacobbe non avrà più da vergognarsi e la sua faccia non impallidirà più. Poiché quando i suoi figli vedranno in mezzo a loro l’opera delle mie mani, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe, e temeranno grandemente il Dio d’Israele.»
1. GIUSTE RIVENDICAZIONI ISRAELIANE




Perché i profughi ebrei non hanno diritto al risarcimento?

di Giulio Meotti

ROMA - “La differenza è che gli israeliani considerarono questi profughi dei fratelli per cui sacrificarsi pur di accoglierli in casa loro, mentre, al contrario, gli Stati arabi considerarono i palestinesi carne da cannone da sacrificare alla loro politica oppressiva”. Scriveva così Sergio Romano sul Corriere della Sera del 6 giugno 2005. Ora ci si chiede: possono o no gli ebrei che fuggirono o furono scacciati dal Marocco, dall’Iraq, dall’Egitto e da altri paesi arabi e musulmani ottenere un risarcimento per le proprietà che furono costretti ad abbandonare nel 1948? Sì, secondo il ministro israeliano della giustizia Meir Sheetrit, ex profugo dal Marocco, che durante il suo primo mandato come ministro della giustizia aveva già istituito una commissione incaricata di approntare un database con la documentazione delle proprietà pubbliche e private appartenute ad ebrei che lasciarono i paesi arabi. Secondo l’ex ministro israeliano Moshe Shahal, che presiede un’organizzazione mondiale di ebrei originari dei paesi arabi, i profughi ebrei che fuggirono dai paesi arabi (Iraq, Siria, Libano, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco) tra il 1922 e il 1952 furono costretti ad abbandonare sul posto beni e proprietà per una cifra pari a 30 miliardi di dollari.

Profughi ebrei in fuga dai paesi arabi

Shahal sostiene che un accordo che ponga fine al contenzioso arabo-israeliano deve tenere conto degli 850 mila ebrei che un tempo vivevano nei paesi arabi. Molti di loro furono spogliati dei loro beni ed espulsi negli anni immediatamente successivi alla fondazione di Israele nel 1948. Più di 600 mila profughi dai paesi arabi si riversarono in Israele, dove furono accolti e integrati. Anche l’ex presidente Bill Clinton, dopo i colloqui di Camp David del luglio 2000, aveva fatto riferimento alla necessità di affrontare il problema dei profughi ebrei da paesi arabi che ora vivono in Israele e in altri paesi. Il professore Ya’akov Meiron, che per trent'anni ha guidato l’unità del ministero della giustizia israeliano per le questioni legali con i paesi arabi, ha confermato che la maggior parte degli ebrei che migrarono in Israele dai paesi arabi lo fece a causa delle crescenti persecuzioni ad opera delle autorità arabe. L’organizzazione “Giustizia per gli ebrei dai paesi arabi” ha pubblicato un rapporto ricco di dettagli sui circa 850 mila ebrei che furono espulsi o costretti a fuggire dai paesi arabi. Secondo lo studio, presentato alle Nazioni Unite, prima del 1948 vivevano nei paesi arabi circa 900 mila ebrei, contro gli ottomila che vi risiedono oggi.
    Stanley Urman, capo del gruppo che ha redatto il rapporto, sostiene che la comunità internazionale “ha riservato un trattamento sproporzionato e selettivo ai profughi palestinesi”, mentre si è disinteressata completamente della sorte di quelli ebrei. Secondo il giornalista Itamar i due paesi principali in cui sono rimaste grandi proprietà ebraiche sono l’Iraq e l’Egitto. “Nello stesso periodo in cui ci furono i profughi palestinesi, ci furono anche centinaia di migliaia di profughi ebrei - ha ricordato Sheetrit - La differenza è che il mondo arabo ha fatto di tutto per mantenere i profughi palestinesi nei campi, mentre Israele ha accolto e integrato i profughi ebrei. Non abbiamo cercato di usarli come un’arma politica”. Anche il Congresso degli Stati Uniti ha approvato una mozione di valore storico sulla questione dei profughi in Medio Oriente. La mozione non riguarda solo i profughi arabi ma anche i profughi ebrei e i loro discendenti. La mozione afferma che, a causa di una vera e propria politica di “pulizia etnica”, 850.000 ebrei dovettero fuggire dai paesi arabi dove avevano vissuto per decine di secoli, e furono costretti ad abbandonare “terreni, abitazioni, proprietà private, affari, beni comunitari e uno storico patrimonio ebraico antico di migliaia di anni”. A leggere l’articolo che Carol Basri, lettrice alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università della Pennsylvania, ha pubblicato sul periodico del World Jewish Congress “Gesher”, si resterà scioccati dalle similitudini fra le azioni del regime iracheno, già prima della risoluzione Onu per la spartizione della Palestina mandataria (1947), e quelle attuate dai nazisti verso gli ebrei nella Germania degli anni Trenta: punizioni collettive, pogrom violenti, esecuzioni, licenziamenti in massa degli ebrei, negazione dei diritti civili (comprese due leggi irachene molti simili alle Leggi di Norimberga tedesche: negazione della cittadinanza agli ebrei e confisca delle loro proprietà). Una soluzione non sarà facile, non solo a causa dell’arabismo delle Nazioni Unite, ma della sterminata mitologia asimmetrica con cui si trattano i profughi dei due diversi schieramenti.

(Il Velino, 30 ottobre 2006)






2. VELO SI', VELO NO




"Il capello nudo non piace agli ebrei ortodossi"
 
di Anna Momigliano
 
In Italia, fino a una decina di anni fa, di ebree a capo coperto se ne vedevano ben poche. Nel nostro paese, le comunità ebraiche, tra le più antiche del mondo, nel corso dei secoli hanno sviluppato costumi particolarmente liberali e integrati rispetto, per esempio, ai cugini dell'Europa orientale. Da qualche anno a questa parte, però, qualche cappuccio e qualche parrucca cominciano a vedersi, soprattutto a Milano, dove si sta consolidando la presenza dei Lubavitch: gli uomini portano lunghe barbe, indossano completi scuri e un cappello di feltro nero; le donne indossano gonne sotto il ginocchio e, una volta sposate, coprono i capelli con sheitel o, più raramente, foulard. Per le autorità religiose Lubavitch, il parallelo tra hijab e sheitel, tra velo islamico e i copricapo ebraici, non regge. «Non è un paragone molto azzeccato, anche tecnicamente. Le donne ebree coprono solamente i capelli, non il viso», spiega Rav Yigal Hazan, rabbino della comunità Lubavitch milanese. «L'idea non è nascondere la femminilità, ma metterla in risalto». Perché, allora, indossare una parrucca o un foulard? «C'è tutto un significato nel coprire i capelli, che rappresentano un aspetto molto intimo della donna. E, se non vado errando, esistono paralleli anche nella cristianità. Per l'ebraismo - prosegue - c'è una differenza importante tra essere attraente ed essere provocante. Mostrare il capello nudo, che appartiene all'intimità femminile, è considerato provocante: il che è sbagliato. Mentre vestire in modo attraente è più che giusto». Un concetto che trova le sue radici in una tradizione antichissima, spiega il rabbino Hazan: nella Bibbia: «Nel Tabernacolo del Tempio, i sacerdoti si lavavano le mani in un lavabo di rame costruito con il metallo con cui le donne ebree in Egitto si specchiavano per farsi belle, nonostante gli stenti della schiavitù. Questo insegna l'importanza di essere attraenti, perché è grazie alla loro bellezza che le donne ebree hanno permesso al popolo di Israele di continuare a procreare e a sopravvivere durante la schiavitù». Venendo a tempi molto più recenti: «Una volta mia moglie ha organizzato una sfilata di moda insieme alla stilista Laura Biagiotti per dimostrare come essere belle e attraenti nel rispetto delle norme ebraiche: le modelle indossavano bellissimi vestiti a maniche lunghe e parrucche alla moda». A proposito della parrucca, come mai si indossa solamente dopo il matrimonio? «Perché i capelli rappresentano l'intimità femminile, e questa intimità va a crearsi solamente dopo il matrimonio», spiega il rabbino. A Milano, sostiene Hazan, le donne ebree a capo coperto sarebbero «circa un centinaio». Hazan spiega che il precetto si estende a «tutti gli ebrei osservanti che rispettano la Torah», ma la stragrande maggioranza della comunità ebraica milanese, che è e si definisce ortodossa, non ha mai fatto propria questa interpretazione: per farsene un'idea basta fare un giro alla sinagoga centrale di via Guastalla.
La controversa legge francese spesso interpretata "contro il velo" proibisce in realtà tutti i simboli religiosi nelle scuole pubbliche, inclusi la kippah ebraica e i crocifissi. In Italia, però, la polemica sul velo islamico rimane isolata da una più ampia discussione sui simboli religiosi. «In effetti sono due realtà così diverse», commenta Rav Yigal Hazan, riferendosi alle comunità Lubavitch e musulmana, «che noi non abbiamo mai preso in considerazione un parallelo. Però, sono convinto che ognuno sia libero di andare in giro vestito come meglio crede. Forse il problema sta nel capire come le donne musulmane vivono il velo, se sono contente di portarlo o meno, cosa che certamente non spetta a me stabilire», conclude il rabbino.
 
(Il Riformista, 27 ottobre 2006)





3. L'ULTIMO CONFLITTO, SECONDO L'EBRAISMO RABBINICO




La guerra tra Roma e la Persia

Rabbi Yehoshua Ben Levi insegna in qualità di Rabbi: "Roma cadra' un giorno sotto il dominio Persiano... ". Rabba Bar Hana ricevette dal suo Maestro, Rabbiohanan, che lo aveva a sua volta appreso dal suo Maestro Rabbi Yehuda Bar Ilai: "Roma cadra' un giorno sotto il dominio della Persia!".
    Questo e' un ragionamento logico perche' puo' essere dedotto da cio' che avvenne all'epoca del Primo Tempio. Esso fu costruito dai discendenti di Sem (Israele) e distrutto dai Caldei (Babilonesi). I Babilonesi caddero poi sotto il dominio dei Persiani i quali aiutarono anche nella costruzione del Secondo Tempio. Poiche' i Romani han distrutto il Secondo Tempio, costruito da dei Persiani, e' evidente che essi saranno sconfitti dai Persiani!!! (Tale tipo di ragionamento e' frequente nel Talmud: dato che i Caldei sono stati sconfitti dai Persiani per aver distrutto il Tempio che i Persiani non avevano aiutato a costruire, a maggior ragione i Romani cadranno in mano ai Persiani per aver distrutto il Tempio che i Persiani avevano aiutato a costruire).
    Ma Rav insegna il contrario: "Saranno i Persiani che cadranno in mano ai Romani!" Rav Kahana e Rav Assi si stupirono e domandarono a Rav: "Perche' mai i costruttori del Tempio (i Persiani) cadranno nelle mani dei distruttori del Tempio (i Romani)? Rav rispose: "Si tratta di un decreto divino incomprensibile agli uomini, cio' e' la volonta' del Re (D. io)!"
    Nonostante cio' ci permettiamo di cercare di comprendere perche' i Persiani saranno sconfitti dai Romani e si potrebbe dire che anche i Persiani han distrutto luoghi di preghiera e studi del Popolo Ebraico. Rav Yehuda disse in qualità di Rav: "Il Figlio di Davide (il Messia) verra' 9 mesi dopo che Roma avra' dominato il mondo intero (Tossafot del trattato Avoda Zara p. 2).
    Secondo la tradizione talmudica "Roma" allude al mondo occidentale di religione cristiana e la Persia, l'Iran attuale, alla religione musulmana.
    E' estremamente interessante notare come i Maestri del Talmud avesssero gia' compreso 2000 anni fa che l'ultimo conflitto, prima della Redenzione finale, opporra' l'occidente alla Persia, vale a dire la Cristianita' all'Islam! Ogni giorno cio' e' sempre piu' evidente, e l'Islam e' sotto il comando della Persia moderna, l'Iran!
    Tutto sta ad indicare che siamo la generazione della Redenzione finale. Tutti i segni annunciati dai Maestri si stanno (quasi tutti purtroppo negativi!) attuando.
    Nel Trattato di Sota e' scritto: "Alla fine dell'esilio, esattamente poco prima della Redenzione finale, l'affronto sara' la norma, il costo della vita sara' alto, i governanti saranno corrotti e se ne fregheranno di ogni critica, le Case di Studio della Torah saranno luoghi di prostituzione (vedere Rashi), la Galilea sara' distrutta (katiusha, katiusha!!!!...), gli abitanti alla frontiera del paese vagabonderanno di citta' in citta' e nessuno avra' pieta' di loro (Ah! Poveri ebrei del Gush Katif, eroi e pionieri del nostro Popolo, trasformati in "miserabili" da dei "banditi col colletto bianco", veri distruttori della nostra Nazione!), la saggezza dei Maestri d'Israele sara' vilipesa, la verita' sara' calpestata e regnera' la discordia, i giovani insulteranno gli anziani, le persone sagge s'inchineranno davanti ai vili ed ai mediocri (ah! povero Popolo Ebraico obbligato a subire la "dominazione" ed il "potere" degli incompetenti, la peggiore che abbia mai conosciuto nella sua lunga storia!), il figlio insultera' suo padre, la figlia si alzera' contro la madre, i peggiori nemici saranno dentro casa (ah! povera Casa d'Israele che deve temere oggi di piu' i nemici interni di quelli esterni!), i leaders assomiglieranno a dei "cani" (sondaggi, sondaggi, sondaggi, come un cane che non cessa di voltarsi indietro per assicurarsi che il padrone lo segua), non si potra' piu' riporre fiducia in nessun essere umano, il nostro solo sostegno sara' il nostro Padre celeste!"(Questo testo del Talmud e' talmente chiaro ed attuale che non ha bisogno di commenti!).
    Visto che siamo la generazione della Redenzione finale dobbiamo affrontare tutti gli avvenimenti con Fede, grandezza d'animo, nobilta', coraggio, forza, potenza e soprattutto con grande gioia avendo la certezza assoluta che tutto, assolutamente tutto, alla fine sara' per il nostro bene e che le minacce e le avversita' non sono che gli ultimi sussulti delle Nazioni ormai agonizzanti che non cessano ancora, nonostante il tentativo sia fallito per millenni, di volerci distruggere e, come quelle precedenti finiranno sepolte nel grande cimitero della Storia!
    Ogni individuo che ha attaccato Israele ha attirato su di se' ed il suo Popolo l'annientamento. Nessun Popolo e' scappato a questa legge implacabile della Storia (e' solo questione di tempo ed anche una certa Europa, basta aver pazienza, pazienza, pazienza...., paghera' anche per il piu' piccolo neonato gasato ad Auschwitz).
    Anche per l'Iran e' arrivata l'ultima ora (un'"ora storica" puo' durare anche decenni) e piu' s'innalza peggiore sara' la sua rovina.
    Il Popolo Ebraico, al contrario di tutti gli sforzi compiuti dai suoi leaders incapaci che cercano di renderlo pavido, dovra' avere grande coraggio. Questa e' l'ora della Redenzione finale e per superare le dure prove che ci attendono bisognera' metter da parte la mentalita' dell'esilio dei complessi dell'ebreo di corte e dell'odio di se'.
    La Redenzione finale non concerne solo Israele ma tutti i Popoli e tutte le Nazioni: "In quel giorno D. io sara' Re su tutta la Terra!"
    Cio' si puo' comprendere dall'insegnamento seguente: l'esistenza del Mondo dipende da quella d'Israele, se Israele "vive" tutte le Nzioni "vivono" mentre se Israele dovesse, D. io non voglia!, "morire" anche le Nazioni "moriranno" con Esso.
    Tutte le Nazioni, con Israele, e' come se formassero un corpo umano. Tutte le membra sono importanti, ma non tutte sono d'importanza vitale. L'assenza anche della piu' "insignificante" rende l'Umanita' "invalida"! L'Ebraismo rifiuta categoricamente l'idea che D. io possa aver creato qualcosa che non serva a niente. Percio' ciascun Popolo vivente ha un Suo ruolo fondamentale che non e' rimpiazzabile. Pertanto se uno dei Popoli viene a mancare cio' rende "invalida" l'Umanita' ma non La "uccide". Ma Israele e' il "cuore" od il "cervello" dell'Umanita' e senza di Esso l'Umanita' non puo' esistere!
    Questo insegnamento mette dunque in evidenza che i Popoli formano un "grande corpo" che possiede necessariamente organi vitali senza i quali non puo' esistere. Tutti i Popoli fanno parte del progetto divino e se uno di Essi viene a mancare la Redenzione finale sarebbe meno completa! Ma senza il Popolo che e' l'organo vitale la Redenzione non avra' luogo. Secondo tale visione del Mondo e della Storia e' evidente che la Storia dei Popoli e' legata a quella d'Israele, come la vita degli organi dipende dal cuore o dal cervello. A maggior ragione i Popoli che attaccano Israele si auto-distruggono perche' colpiscono la fonte della Loro esistenza. Questa legge fondamentale della Storia e' sempre stata dimostrata dai fatti. Tutte le civilta' che ci hanno attaccato sono sparite.
    Qualcuno si potra' domandare: e' chiaro che i Popoli formano un grande corpo e che ci debbono essere il cuore od il cervello, ma come si fa a dire che tale ruolo sia d'Israele? La risposta si trova nella Storia stessa! Il "Popolo cuore" e' un Popolo che non puo' sparire, perche' la Sua sparizione causerebbe quella dell'Umanita'. Una civilta' che sparisca, potente ed importante quanto sia stata, dimostra che essa non fu il cuore dell'Umanita' perche' il Mondo ha continuato ad esistere senza di essa. Soltanto una menzogna superficiale ed artificiale puo' far credere che questa o quella Nazione siano state prima di sparire il "cuore" od il "cervello" del mondo, dimenticandosi che senza tali organi non si puo' vivere! Se quello che pensavano fosse il "cuore" od il "cervello" sparisce e' la prova evidente che non era un "organo vitale". Il solo Popolo che e' sempre stato presente, nonostante si sia fatto di tutto per farLo sparire, e' Israele!
    Questa e' la prova che e' il "cuore" dei Popoli!
    Ci si puo' chiedere: visto che e' Israele il "cuore" dei Popoli, perche' si e' fatto tutto il possibile per distruggerLo?!
    Perche' niente e' piu' difficile dell'ammissione della nozione dell'esistenza del Popolo "cuore". Le Nazioni han fatto di tutto per cancellare le tracce di questa verita'. Volevano provare che questa nozione fosse falsa cercando di far sparire il Popolo "cuore" e di poter cosi' dimostrare che l'Umanita' potesse continuare ad esistere senza di Esso!
    Se Israele sparisse si proverebbe che le Nazioni non sono un grande "corpo" e che percio' non esiste neanche il "cuore". Allorquando le Nazioni saranno alla fine costrette ad ammettere che Israele e' indistruttibile Esse si riuniranno tutte intorno ad Esso come gli organi di un corpo attorno al cuore ed in quel giorno D. io sara' Uno ed il Suo nome Uno su tutta la Terra.
    "E i Popoli diranno: Andiamo e saliamo al Monte del Signore alla Casa del D. io di Giacobbe e seguiamo le Sue strade ed i Suoi insegnamenti perche' da Sion esce la Torah e la Parola del Signore da Gerusalemme" (Isaia 2, 3).

(Rav Haim Dynovisz, La guerre entre Rome et la Perse, LE P'TIT HEBDO n. 278, 7/10/06, p. 12-14 e n. 279, 21/10/06, p. 14-15; liberamente tratto e tradotto dal francese da Eleazar Ben Yair).





4. VIDEOGAME SUL CONFLITTO MEDIORIENTALE




"Conflitti globali: Palestina"

Un videogioco sviluppato in Danimarca darà agli studenti delle scuole superiori che vivono lontani dalla realtà mediorientale l'opportunità di analizzare il conflitto fra israeliani e palestinesi da un nuovo punto di vista.
Mondo gaming "Conflitti globali: Palestina", distribuito da Serious Games Interactive, permetterà ai giocatori di diventare giornalisti virtuali inviati in Israele e nei territori palestinesi, dove potranno intervistare personaggi di entrambe le fazioni -- civili, soldati e militanti.
Una volta stabilito di avere ottenuto le informazioni sufficienti, i giornalisti potranno scrivere articoli sul conflitto, che verranno sottoposti al giudizio del videogioco.
"Lo scopo dei giocatori sarà quello di capire che ci sono punti di vista diversi, che la storia può essere raccontata da angolazioni differenti", ha detto in un'intervista telefonica uno dei creatori del videogame, Simon Egenfeldt-Nielsen, originario di Copenhagen, precisando che spera di vedere distribuito il gioco a marzo nelle scuole superiori europee e forse in tutto il mondo.
All'inizio del gioco i giocatori devono scegliere uno di sei scenari tratti dagli anni di violenze fra israeliani e palestinesi, come attacchi kamikaze, raid israeliani nei territori di Cisgiordania e a Gaza o episodi ad alta tensione ai checkpoint presieduti dall'esercito israeliano. Il reporter virtuale non è obbligato a essere obiettivo.
I giocatori possono scegliere se essere pro-israeliani, pro-palestinesi o

prosegue ->
giornalisti neutrali mentre si fanno strada nelle diverse scene e "cliccano" sui personaggi. I personaggi hanno risposte programmate, che variano a seconda delle domande del giornalista e di quale fazione il reporter appoggia. Un militante palestinese, per esempio, offrirà più informazioni a un giornalista schierato dalla parte dei palestinesi rispetto a un reporter pro-israeliano.
"Il dialogo può essere indirizzato nei binari desiderati", ha detto Egenfeldt-Nielsen. Negli ultimi 15 anni sono stati lanciati molti videogiochi sui conflitti mediorientali, la maggior parte dei quali implica l'uso della violenza.
Un gioco di simulazione del 1990 prodotto da Virgin Interactive, intitolato "Conflitto in Medioriente", permette di impersonificare il primo ministro israeliano e lanciare potenti attacchi contro i paesi musulmani, come l'Iran, oppure agire per vie diplomatiche o persino lanciare una bomba atomica.
Il nuovo videogioco danese, provato da centinaia di studenti delle superiori in Danimarca prima di essere messo in commercio, sarà tradotto in cinque lingue. Il gioco non tratta di argomenti come la vittoria o la sconfitta. "Non esistono vincitori in questo conflitto", ha detto Egenfeldt-Nielsen.

(Reuters, 30 ottobre 2006)





5. UNA NAVE DI CRISTIANI EVANGELICI USA APPRODA AD ASHDOD




Più sionisti dei sionisti

di Naoki Tomasini

Dopo aver navigato per 35 giorni nell’oceano, a bordo di una nave della marina Usa della seconda guerra mondiale, una comunità di evangelici statunitensi ha raggiunto le coste israeliane. La “Spirit of Grace” è entrata nel porto di Ashdod, a ridosso della Striscia di Gaza, con il suo carico di aiuti umanitari, la bandiera a stelle e strisce al vento e un cartellone bianco e blu, con scritto Jeovah in caratteri ebraici.

Per amore. Nonostante le diverse tonnellate di medicine, brande, materiali da costruzione, vestiti e molti altri prodotti “Non si tratta di una missione
umanitaria, ma un’espressione di amicizia e amore per Israele” ha dichiarato il capo della missione Don Tipton. “Dopo la guerra –ha spiegato – abbiamo visto che il Libano stava ricevendo un sacco di aiuti e manifestazioni di amicizia, così ho pensato che non erano i soli ad essere stati attaccati”. L’organizzazione si chiama Friend Ships, ed è composta da evangelici originari di Beverly Hills. La nave, partita dalla Louisiana, è giunta ad Ashdod all’inizio di ottobre, ma a distanza di tre settimane i container di aiuti sono ancora a bordo. Problemi burocratici a quanto pare “ma almeno abbiamo avuto il tempo di visitare il Paese” ha detto la moglie di Tipton. I responsabili dell’organizzazione si sono detti convinti che, una volta che saranno risolti gli intoppi burocratici, gli aiuti verranno sdoganati in mezza giornata.

Imperativo biblico. Il gruppo di evangelici è stato accolto con qualche esitazione ma positivamente dato il forte sostegno che ognuno di loro sente di portare agli israeliani. “La Bibbia dice che chi benedice Israele sarà benedetto - ha spiegato Tipton – “Amiamo e ammiriamo Israele e stiamo con Bush”. Gli evangelici statunitensi sono spesso su posizioni più radicali della destra israeliana, ad esempio, si oppongono a qualsiasi compromesso territoriale con i palestinesi. “Dobbiamo essere gentili con questa gente – ha spiegato ai giornalisti il portavoce del porto di Ashdod – sono più sionisti di tutti gli israeliani che conosco”. Per alcuni di loro il sostegno ad Israele è un imperativo biblico: un sondaggio rivela che due statunitensi su cinque ritengono che Israele sia stato donato agli ebrei da Dio. Mentre altri considerano l’esistenza del Paese come un passo necessario verso la Seconda Venuta (un cataclisma in cui moriranno tutti tranne i cristiani ).

Lobby. Il viaggio della Spirit of Grace è un esempio di come stia crescendo l’alleanza tra fondamentalisti cristiani e Israele. Sono sempre più numerosi gli esponenti della destra religiosa statunitense che si attivano per sostenere Israele, sia politicamente che economicamente. Negli Usa ci sono decine di associazioni come la Friend Ships, la più importante delle quali è il gruppo evangelico dell’International Fellowship of Christian and Jews, che eroga ogni anno 30 milioni di dollari per sponsorizzare progetti in Israele. Durante la guerra in Libano l’organizzazione Usa, Cristiani Uniti per Israele, ha organizzato una marcia su Washington per condannare Hezbollah. Oggi gli evangelici cristiani costituiscono un quarto dell’elettorato complessivo e, insieme all’Aipac, la più importante lobby israeliana, sono il grosso del bacino elettorale di Bush.

(peace reporter, 30 ottobre 2006)





6. IL RAPPORTO TRA EBREI E EVANGELICI AMERICANI




Gli amici ritrovati

di Rolla Scolari

Yechiel Eckstein
Che cosa hanno in comune un ebreo liberal di New York e un “born again christian” del Tennessee bisogna chiederlo a Yechiel Eckstein, rabbino ortodosso, democratico, che ogni anno raccoglie quaranta milioni di dollari in favore di cause ebraiche da donatori degli stati più rossi e conservatori d’America: direttamente dalle mani dei fedeli evangelici. Eckstein è il presidente dell’International Fellowship of Christians and Jews (Ifcj) che dal 1983, grazie alle donazioni di ebrei ed evangelici, raccoglie fondi per favorire l’immigrazione ebraica in Israele.
    Dal 1994, cinquecentomila cristiani americani (evangelici) hanno fatto donazioni alla sua associazione, aiutandolo a portare in Israele trecentomila ebrei e permettendo loro di fare “aliyah”, in ebraico “ascesa”, termine che indica l’immigrazione degli ebrei verso Israele e l’ottenimento della nazionalità. A inizio ottobre, l’Ambasciata cristiana internazionale di Gerusalemme, che rappresenta gli evangelici di 125 paesi, considerata la maggior organizzazione cristiano-sionista, ha annunciato di aver favorito dal 1989 l’immigrazione in Israele di centomila ebrei. Finanziata con donazioni di cristiani evangelici.
    Il 10 ottobre, durante l’annuale marcia di Gerusalemme, cui partecipano diverse componenti della società israeliana, il gruppo più numeroso era quello dei pellegrini evangelici in arrivo da tutto il mondo per la celebrazione della settimana della festa biblica dei Tabernacoli. E’ iniziata il 7 ottobre e ha attirato a Gerusalemme circa quattromila pellegrini. Meno rispetto agli anni passati, a causa della recente guerra al confine con il Libano. Hanno portato 15 milioni di dollari nelle casse dello stato, che ha sofferto, sempre per il conflitto estivo, di una caduta del 40 per cento nel numero dei turisti.
    Eckstein ha speso trent’anni a costruire ponti tra evangelici ed ebrei. “Il rabbino che amava gli evangelici (e viceversa)”. Così titolava più di un anno fa il New York Times Magazine un lungo articolo di Zev Chafets, che alla questione sta dedicando un libro che uscirà a gennaio (“A Match Made in Heaven: American Jews, Christian Zionists, and One Man’s Exploration of the Weird and Wonderful Judeo- Evangelical Alliance”). Spiega Eckstein che gli evangelici negli Stati Uniti negli ultimi trent’anni sono diventati più numerosi, più politici e soprattutto più importanti. Spiega come, sempre negli ultimi anni, la comunità ebraica americana abbia visto arrivare i più vibranti attacchi a Israele proprio dalla sinistra liberal cui tradizionalmente appartiene. “Israele e gli ebrei americani – dice Eckstein – si sono trovati più isolati e lontani dagli antichi alleati liberal. E’ aumentato il bisogno di trovarne di nuovi. All’improvviso hanno cominciato a notare il gruppo in crescita, di cui fa parte lo stesso presidente George W. Bush, che si definisce un born again christian”. Nel pamphlet dell’Ifcj, in cui si spiega chi sono gli evangelici, c’è scritto: “Gli evangelici credono che la fede in Gesù non sia un diritto di nascita o qualcosa conferito dalla chiesa. E’ una decisione che un individuo deve prendere per se stesso. Per questo, essi sottolineano l’importanza di un atto di accettazione di Gesù come loro salvatore personale, un atto conscio, intenzionale, che porta il credente a rinascere (born again, per l’appunto, ndr) a una nuova vita in Gesù”.
    Eckstein, dalla sala conferenze del nuovo ufficio di Gerusalemme, racconta al Foglio la sua storia sgranocchiando senza sosta noccioline. E’ giovane, sorridente, guadagna trecentomila dollari l’anno. Ha iniziato nel retro di un ufficio di avvocati. Non aveva una lira e nessuno gli dava fiducia. Nel 1977, quando lavorava all’Anti-Defamation League, fu mandato a sostenere la comunità locale di Skokie, sobborgo di Chicago, dove un gruppo nazista minacciava di organizzare una marcia. Il quartiere era popolato soprattutto da sopravvissuti all’Olocausto. Ad aiutarlo furono gli evangelici. Fu lì che scoprì il loro lato a favore di Israele e degli ebrei. “La comunità ebraica americana negli ultimi trent’anni – dice – sente che Israele è minacciato; che l’antisemitismo è in crescita. Ha bisogno di amici. Quando guarda a sinistra trova attacchi, a destra appoggio. Quindi si chiede: è più importante la sopravvivenza d’Israele o l’aborto e i diritti degli omosessuali?”. La risposta, secondo Eckstein, è Israele, “considerata da ogni ebreo la chiave per la propria sopravvivenza”, nonostante per anni la maggioranza liberal degli ebrei abbia guardato alla crescita degli evangelici, tradizionalmente conservatori e repubblicani, con sospetto. Zev Chafets non è d’accordo. Secondo lui, la metà degli ebrei americani non è interessata a Israele: “La questione che polarizzerà di più il voto ebraico è l’aborto. Le donne ebree in America sono le maggiori sostenitrici della libera scelta”.
    Poi c’è stato l’11 settembre. “Dopo quel giorno – dice Eckstein – è diventato chiaro che gli ebrei erano di fronte a una minaccia esistenziale, che l’antisemitismo nel mondo non era mai stato così alto dagli anni Trenta, che il terrorismo era in aumento”. Ciò ha portato all’intensificarsi dei legami tra ebrei ed evangelici americani, “contro l’islam radicale, per salvare le fondamenta della libertà e della democrazia”, spiega Eckstein, su questo d’accordo con Chafets, secondo il quale molti ebrei americani hanno un nemico in comune con gli evangelici dopo l’11 settembre.
    Eckstein si era definito “un moderato alla Lieberman”. Nel 2000 ha votato Al Gore e Joe Lieberman, ma nel 2004 è il “born again christian” Bush che ha ricevuto il suo voto. Non è soltanto perché gli evangelici credono nella lotta all’islam radicale e nelle fondamenta della libertà americana che hanno formato una alleanza con Israele, percepito come avamposto della democrazia in medio oriente. E’ la loro interpretazione letterale della Bibbia a costituire la base dell’amicizia. Scrive il libro della Genesi, capitolo 12, versetto 3: “E io benedirò quelli che vi benedicono e maledirò quelli che vi maledicono”, dove “io” è Dio e “vi” il popolo ebraico. Il ritorno degli ebrei in Israele è per gli evangelici un segno che il Messia sta per tornare, che la profezia di migliaia di anni fa si sta avverando. Così, infatti, leggono la nascita dello stato d’Israele e l’immigrazione degli ebrei. Il boom, infatti, Eckstein lo fa con la caduta dell’ex Unione sovietica. Negli anni Novanta, racconta, “vennero da me molti evangelici che volevano essere parte del miracolo: gli ebrei immigravano in massa dall’ex Urss verso Israele”. Con i primi soldi raccolti, Eckstein organizza un programma televisivo di trenta minuti “On wings of eagles”, su ali d’aquila, dal verso biblico: “Avete visto ciò che ho fatto agli egiziani e come vi ho portato su ali d’aquila e vi ho condotto a me” (Esodo 19:4). Sullo schermo, per assicurare il sostegno cristiano, appare Pat Boone, popolare rock star degli anni Cinquanta e fervente evangelico. I soldi cominciarono ad affluire senza sosta. Dopo gli ebrei russi fu la volta degli etiopi. Ora l’associazione non soltanto porta nuovi ebrei in Israele, ma assiste anche quelli rimasti indietro; quelli che arrivano e non hanno casa, lavoro, non parlano la lingua; oppure mette a disposizione fondi in casi d’emergenza come durante la guerra in Libano.
    A molti ebrei ortodossi non piace la promiscuità di Eckstein con i cristiani. Alcuni considerano un peccato il solo fatto di entrare in una chiesa. E’ stato accusato di essere un convertito. Anni fa, alcuni rabbini di New York misero su un tribunale per processarlo con l’accusa di “insegnare la Torah ai gentili”; una pubblicazione ultraortodossa, ricorda il New York Times Magazine, ha definito il suo lavoro “una maledizione”. Abraham Foxman, direttore nazionale dell’Anti Defamation League, lo ha attaccato dicendo che “svende la dignità del popolo ebraico”.
    Agli ebrei liberal non interessa la sua relazione con i cristiani: sono infastiditi dalla sua promiscuità con i repubblicani. Per molti, gli evangelici non sono altro che fanatici. Altri guardano con sospetto alla profezia evangelica della “fine dei tempi”, quando secondo l’Apocalisse tornerà il Cristo e gli ebrei si convertiranno. Eckstein lavora a stretto contatto con l’Agenzia ebraica, organizzazione che si occupa dell’immigrazione degli ebrei in Israele. Il portavoce Michael Jankelowitz conferma la continua cooperazione e l’apporto annuale di quasi dieci milioni di dollari da parte degli evangelici di tutto il mondo alle casse dell’organizzazione.
    Negli stessi anni in cui iniziava l’avventura di Eckstein, prendeva piede anche l’attività dell’ambasciata cristiana internazionale di Gerusalemme. “Abbiamo aiutato uno su dieci del milione di ebrei che sono immigrati in Israele dall’ex Unione Sovietica dal 1990 – spiega al Foglio il portavoce David Parsons – abbiamo finanziato il viaggio di ventimila persone”. L’organizzazione si occupa di andare a scovare remote comunità ebraiche nelle parti più isolate dell’ex Urss o in altri paesi del mondo per raccontare loro della possibilità di trasferirsi in Israele. Oltre al viaggio, “abbiamo aiutato almeno diecimila persone a sistemarsi qui”. I fondi arrivano da donazioni private. “Il ritorno degli ebrei in Israele dimostra che Dio sta mantenendo le proprie promesse – spiega Parsons, fervente evangelico – e che noi stiamo servendo un Dio che mantiene le promesse. Rispettiamo la scelta di Dio. Non è perché gli ebrei siano migliori di altri popoli, li appoggiamo perché la scelta di Dio è l’amore per tutti. Li ha resi una nazione affinché essi siano l’esempio di che cosa significa camminare nella sua obbedienza. Sono serviti da modello”. La nascita d’Israele è la prova che Dio mantiene le promesse, riassume Parsons, la camicia della Ralph Lauren bianca stropicciata.
    La sede dell’ambasciata si trova in un antico e fantastico edificio in pietra bianca, con un giardino curato. Giovani ragazzi americani in jeans e maglietta – in arrivo da parrocchie di qualche stato dell’Unione compreso nella “evangelical belt” (sud e dintorni degli Stati Uniti) a giudicare dai versetti della Bibbia stampati su ognuna – non smettono di scaricare casse, scatoloni e materiale da un camion, per l’attività dell’ambasciata. Quest’anno, tra i pellegrini giunti in Israele per la festa dei Tabernacoli, c’erano anche cento evangelici delle isole Fiji. “Non hanno mai visto un ebreo in vita loro – dice Parsons – ma hanno letto la Bibbia; hanno letto che Dio ama gli ebrei” e sono venuti a Gerusalemme.
    L’anno scorso, in autunno, il ministro del Turismo ha reso pubblico un progetto per costruire, in partnership con la chiesa evangelica americana, un Centro cristiano in Terra santa, sulle rive del lago Tiberiade, nel nord, dove hanno avuto luogo le principali scene del Vangelo. Il governo israeliano offre gratis i 125 acri di terra in cui sorgeranno un parco e un centro accoglienza visitatori. Nel progetto, un giardino dove coltivare le piante menzionate nella Bibbia; un anfiteatro per duemila fedeli; una serie di sentieri da trekking che ripercorrono i passi della vita del Cristo. Costerà sessanta milioni di dollari. Tra le persone coinvolte nel progetto, il celebre telepredicatore evangelico Pat Robertson. Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano dal 1996 al 1999, curò molto i contatti con gli evangelici americani. Fu Menachem Begin, spiega Chafets, il primo ad accorgersi, alla metà degli anni Settanta, della possibilità di un’“alleanza naturale”. Dopo di lui, i premier, chi più chi meno, sfruttarono questa corsia preferenziale. Oggi, alla Knesset, il Parlamento israeliano, esiste dal 2003 un gruppo di 14 deputati (provenienti da tutti i partiti: Likud, Shas, National Union, Avoda…) che fa lobby per fortificare le relazioni con i cristiani. I membri partecipano a viaggi in diversi paesi del mondo, Ucraina, Singapore, Stati Uniti, Filippine, per incontrare le comunità del luogo. Le visite sono pagate da associazioni cristiane. “Questi gruppi – scriveva nel 2005 Yedioth Ahronoth – non hanno problemi di denaro e i membri spesso esprimono posizioni molto più a ‘destra’ rispetto a quelle degli stessi deputati della Knesset, in particolare sulla promessa di Dio della terra d’Israele al popolo ebraico”.
    Anche in Israele ci sono detrattori dell’alleanza: parte della sinistra laburista, che non è politicamente vicina ai repubblicani americani; la destra religiosa che vede peccaminosa la relazione con i cristiani; il campo arabo israeliano, insospettito dall’amicizia. Il rabbino Eckstein, sostenitore del piano di ritiro da Gaza di Ariel Sharon, è stato anche un consigliere non ufficiale dell’ex premier, scrive il New York Times Magazine. Oggi sta lavorando a portare in Israele una delle tribù bibliche “perse”. Il mese prossimo, dal nord dell’India, arriveranno i primi 218 membri della tribù di Bnei Menashe.

(Il Foglio, 28 ottobre 2006)

PRECISAZIONE E COMMENTO - L'espressione "born again christian", che la giornalista, come molti altri che trattano simili argomenti, usa con una punta di ironia, non l'hanno inventata gli evangelici americani, ma proviene direttamente dal vangelo . E non esprime neanche una realtà tipicamente "cristiana", perché Gesù l'ha usata in un contesto squisitamente ebraico. «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il Regno di Dio" (Giovanni 3.3), dice Gesù a Nicodemo, un autorevole Rabbi del suo tempo. E Nicodemo reagisce, come molti fanno anche oggi, con una certa dose di ironia: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?». Interessante è la replica di Gesù a Nicodemo: «Tu sei maestro d’Israele e non sai queste cose?». Questo significa che Gesù sta parlando di qualcosa che è contenuto nelle Scritture ebraiche, e che un «maestro d'Israele» avrebbe dovuto conoscere. In altre parole, Gesù dà dell'ignorante a Nicodemo. E in altro contesto, molte altre persone che trattano oggi questi argomenti meriterebbero di ricevere la medesima qualifica. Il fenomeno degli evangelici, americani e non, che amano Israele ogni tanto viene citato, da varie parti, riferendo cose anche giuste sul piano politico e sociale, ma in sostanza fraintendendone la vera natura. Il relatore di solito sembra contento se può accentuare gli aspetti del potere e dei soldi. Gli evangelici che amano Israele sono ricchi e ambiscono al dominio, è il messaggio subliminale contenuto in tali relazioni. Come gli ebrei, insomma. E' incoraggiante, allora, per un evangelico che ama Israele, essere accomunato agli ebrei in questa forma latente di disprezzo. Che poi anche molti ebrei non capiscano questa realtà e anzi la combattano, è cosa che non sorprende e non scandalizza. Dove sta scritto che l'amore, per essere tale, deve essere riconosciuto e corrisposto? M.C.





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