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Notizie su Israele 394 - 12 luglio 2007

1. Una minoranza delle minoranze
2. Una cultura di odio e di vendetta
3. Il terrorismo islamico colpisce anche i simboli
4. Dopo la liberazione di Alan Johnston
5. Un documento papale
6. Libri
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Geremia 50:20. «In quei giorni, in quel tempo», dice il Signore, «si cercherà l'iniquità d'Israele, ma essa non sarà più, si cercheranno i peccati di Giuda, ma non si troveranno; poiché io perdonerò a quelli che avrò lasciati come residuo.»
1. UNA MINORANZA DELLE MINORANZE




Il seguente articolo, apparso sul mensile evangelico in lingua tedesca "israel heute", scritto e stampato a Gerusalemme, è stato redatto quando i combattimenti tra Hamas e Fatah nella Striscia di Gaza erano ancora in corso.

Cristiani a Gaza

di Nicole Jansezian

Una finestra con i vetri rotti della casa del Pastore Hanna Massad
Nel mezzo dei combattimenti tra Hamas e Fatah e delle azioni di rappreseglia di Israele per i razzi lanciati sulle città del sud di Israele, c'è una parte di popolazione che corre il rischio di essere completamente trascurata: i circa 2000 cristiani della Striscia di Gaza in una popolazione di 1,5 milioni di abitanti. I cristiani evangelici ne costituiscono una parte ancora più piccola.
    La chiesa battista a Gaza è l'unica chiesa evangelica nella Striscia di Gaza. Le persone che frequentano i culti sono da 150 a 200. «Siamo una minoranza delle minoranze», ci dice il Pastore Hanna Massad. «E' davvero difficile. Qui ci sono in tutto 2000 cristiani, tra cattolici, greco-ortodossi e evangelici.»
    Durante i recenti scontri, una bomba israeliana è caduta su un ufficio di Hamas, a soli 100 metri dalla casa della famiglia Massad. Tutti i vetri delle finestre si sono rotti. Nessuno è stato ferito, ma gli effetti di una guerra in cui loro non hanno nulla a che vedere si avvicina sempre più alle loro quattro pareti.
    Accade continuamente che membri di Fatah o di Hamas entrino nell'edificio della chiesa e la usino come posto di osservazione. Una volta un collaboratore della biblioteca è caduto letteralmente in mezzo al fuoco incrociato delle due parti e ha riportato una ferita d'arma da fuoco alla schiena. Grazie a Dio adesso sta meglio. L'autista della chiesa invece ha avuto meno fortuna. Il ventiduenne da poco sposato è rimasto ucciso in una sparatoria tra Hamas e Fatah in cui lui non aveva alcuna parte.
    Soltanto poco tempo fa dei militanti estremisti hanno messo in atto la loro minaccia di lanciare una bomba sulla Società Biblica di Gaza, di cui è direttrice la moglie di Massad. Adesso la chiesa stessa è minacciata. Secondo Massad, a Gaza si vive come in una grande prigione. «La percentuale dei disoccupati arriva al 72%. A causa dell'assedio c'è mancanza anche di assistenza medica», dice. «I miliziani musulmani sono contro di noi, e alcuni cristiani non sono per noi, perché siamo evangelici.»
    Molto peggio vanno le cose per i credenti cristiani di provenienza musulmana. Non si incontrano più regolarmente e hanno paura a parlare con conoscenti cristiani, perché temono per la loro vita. «C'è un piccolo gruppo estremista che odia tutto quello che è occidentale e cristiano, e che sta pensando a come fare per ripulire la città da tutto questo», dice Massad. «E' un gruppo di vedute ristrette e il governo non è in grado di controllarlo.»
    Ma i cristiani della chiesa evangelica di Gaza non ci stanno a fare la parte delle vittime. Nonostante le circostanze ostili, continuano ad essere attivi: prestano aiuti umanitari ai bisognosi e tengono le loro riunioni. Si incontrano pubblicamente nella sala della chiesa. «Mi commuove molto il vedere che da questi cristiani non si sentono discorsi negativi», dice Labib Madanat, Direttore della Società Biblica in Israele e nei Territori Palestinesi. «Il loro modo di parlare è positivo, addirittura quasi missionario. Si chiedono: Qual è il mio compito di credente? Che cosa posso fare in questa situazione?» sottolinea. «Non mancano le preoccupazioni, le minacce, i pericoli, e qualche volta sono abbattuti. Ma come gruppo sono estremamente tenaci, completamente dipendenti dal Signore. Prendono tutto come una vocazione che il Signore ha pensato per loro nella Striscia di Gaza.»
    Madanat è del parere che la chiesa nel mondo dovrebbe incoraggiare i credenti di Gaza. «Diversamente dai cristiani nella cosiddetta Cisgiordania, i credenti di Gaza si concentrano di più su quella che è la volontà di Dio per loro nella loro situazione. A Gaza è molto più difficile. Il sentimento del bisogno di una totale dipendenza dal Signore è molto più marcato.»
    Il consolato americano ha esortato tutti i cittadini americani a lasciare Gaza, a causa del continuo pericolo. Hanno chiesto a Massad, che ha anche la cittadinanza americana, se volesse partire. «Ho risposto senza esitare: No», ha dichiarato. «Sentiamo che in questo momento Dio ci vuole proprio qui, e che è un privilegio restare nella volontà di Dio.»

(israel heute, luglio 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. UNA CULTURA DI ODIO E DI VENDETTA




Bambini addestrati alle armi nei campi estivi di Hamas

Alcuni genitori palestinesi nella striscia di Gaza sono ai ferri corti con Hamas a causa dei campi estivi usati per addestrare i bambini all'uso di armi da guerra e di altri equipaggiamenti militari. Varie famiglie accusano anche Hamas di istigare i loro figli all'odio contro Israele e contro Fatah. Alcune famiglie hanno deciso di ritirare i loro figli dai campi estivi dopo aver scoperto quali erano i reali scopi dei campi ricreativi.
    La maggior parte dei bambini e ragazzi ospitati attualmente nei campi estivi gestiti da Hamas nella striscia di Gaza ha un'età che varia dagli otto ai 17 anni.
    A quanto risulta, nel recente passato anche Fatah ha fatto uso di campi estivi per insegnare agli scolari l'uso di armi e per istigarli contro Israele e Stati Uniti.
    L'agenzia di stampa Palestine Press, affiliata a Fatah, riferisce che i campi di Hamas sono stati creati in zone chiuse, in varie località della striscia di Gaza, in modo tale che le famiglie non possano controllare cosa avviene al loro interno. L'agenzia cita testimoni oculari secondo i quali ai bambini viene insegnato come usare armi automatiche e maneggiare granate. "L'addestramento militare – afferma un testimone – viene effettuato nelle prime ore del mattino. Ai bambini viene insegnato l'uso di mitra d'assalto Kalashnikov e altre armi. I supervisori di Hamas tengono anche a bambini e ragazzi delle lezioni durante le quali accusano Fatah di collaborazionismo con Israele e tradimento dei palestinesi. Citando frasi dal Corano, incitano gli allievi a uccidere i 'traditori'."
    I giovani ospiti dei campi vengono reclutati attraverso annunci nelle moschee che promettono soltanto di insegnare loro i principi religiosi dell'islam.
    In un comunicato su questo tema diffuso martedì, Fatah accusa Hamas di "sequestrare" i bambini e di sottoporli al "lavaggio del cervello". "Hamas contribuisce a creare una cultura di odio e di vendetta – si legge nel comunicato – Stanno uccidendo l'innocenza dei bambini forzandoli a sottoporsi ad addestramento militare e insegnando loro ad odiare. Vogliono usare quei bambini per combattere in futuro la loro stessa gente".

( Jerusalem Post, 4 luglio 2007 - da israele.net)






3. IL TERRORISMO ISLAMICO COLPISCE ANCHE I SIMBOLI




Al Qaeda attacca memoria della regina di Saba, simbolo ebraico

ROMA - Sana'a, l'antica Sana'a, è una città unica al mondo, come Venezia, Borobudur, Fes. Migliaia di edifici, centinaia di moschee, piccole piazze, le tipiche terrazze merlate, le finestre dai vetri blu, rossi, verdi e gialli, le facciate che hanno il colore dei mattoni di fango seccati al sole. La chiamano "Venezia beduina", è una delle meraviglie d'Oriente, la città fondata da Sem, figlio di Noè. Nel 1974 Pier Paolo Pasolini parlò della "lebbra che sta deturpando Sana'a". Al Qaeda non ha colpito, deturpato e ucciso solo dei turisti occidentali, otto spagnoli assassinati perché occidentali. Si è abbattuta con la sua furia iconoclasta contro un simbolo del passato e della memoria ebraica. André Malraux si lanciò sulle tracce di questo personaggio mitico, la regina di Saba, la splendida creatura di cui parlavano la Bibbia e il Corano. La donna che fece "impazzire" re Salomone. Nel 1934 voleva scoprire, in quell'angolo dello Yemen, una città inviolata, con i suoi palazzi e le sue torri. Fu nell'anno mille prima di Cristo che la regina di Saba, incuriosita dalla fama di re Salomone, intraprese un viaggio per conoscere il re degli ebrei. E il re si innamorò di lei. Tornata nel suo regno mise al mondo un figlio che chiamò "Ibn el Hakim", il Figlio del Saggio. Anni dopo, il giovane tornò da suo padre. Salomone lo designò come suo erede con il nome di David. Nel 2000 arrivò l'annuncio che aveva folgorato Malraux.
    Nel deserto dello Yemen fu rinvenuto un grande tempio identificato come quello della regina di Saba e oggi colpito dai terroristi islamici. Accompagnata da un ricco corteo, la regina di Saba si mise in cammino e giunse a Gerusalemme. Arrivata nel paese dei giudei, interrogò il figlio di Davide e, dopo il rituale scambio di doni, ritornò nelle proprie terre. Ed è tutto, almeno a essere ligi alla Bibbia, ai passi (primo libro dei Re 10, 1-13; secondo libro delle Cronache 9, 1-12). La figura della mitica sovrana ha conquistato generazioni di poeti, mistici, cantastorie ed esegeti che hanno arricchito nei modi più diversi i buchi della narrazione del Libro dei Libri. La tradizione ebraica dice che la regina incinta di Salomone sarebbe in realtà Lilith, la prima moglie di Adamo. Secondo gli etiopi, la sovrana di Saba si chiama invece "Makeda". Salomone l'avrebbe sedotta solo grazie a uno stratagemma: le promette di rispettarne la verginità, purché non sottragga nulla dalla reggia. Le fa preparare dei cibi piccantissimi, ma non le offre da bere. Makeda si disseta da una brocca posta vicino al letto del re che immediatamente dichiara infranto il patto e la possiede. Dall'amplesso la regina concepisce Menelik che, cresciuto, trafuga i libri sacri e l'Arca dell'Alleanza, spostando così il regno di Dio da Israele all'Etiopia e divenendo capostipite della casa reale. In Occidente, il viaggio della regina (identificata con la Sulamita del Cantico dei Cantici) verso Gerusalemme è interpretato come desiderio dei pagani di conoscere il vero Dio. Ma ben presto la storia si arricchisce, grazie ai cavalieri crociati di origine orientale e bizantina. Narrata da Jacopo da Varazze nella Leggenda Aurea e da Giovanni Boccaccio nel De mulieribus claris, dipinta da Agnolo Gaddi e Piero della Francesca, influenzata poi dalla diffusione in Europa delle Mille e una Notte, l'epopea della fascinosa sovrana conquista romantici e decadenti, solleticando Gerard de Nerval (Storia della regina del Mattino e di Solimano, principe dei Geni) e Gustave Flaubert (La tentazione di sant'Antonio).
    Le circostanze dell'arrivo degli ebrei in Yemen, antico regno di Saba, sono sconosciute. Alcune iscrizioni funerarie del III secolo, scoperte in Galilea, si riferiscono a ebrei himyariti, originari del Sud dell'Arabia. Fonti rabbiniche mostrano le forti relazioni che fino al X secolo legavano gli ebrei dello Yemen con le accademie ebraiche di Babilonia. Relazioni permanenti furono mantenute con la Palestina, dove nel XII secolo è segnalata la presenza di ebrei yemeniti. Nel VII secolo gli arabi avevano imposto agli ebrei il patto di Omar: in quanto sudditi non musulmani godevano lo statuto di dhimmi, cioè di protetti, a condizione che pagassero una tassa, la jiza. Nel 1679 gli ebrei che rifiutarono di convertirsi furono condannati all'esilio a Mawza, una città costiera famigerata per il clima malsano. Nel 1905, con la fine della presenza ottomana, fu rinnovato il patto di Omar e a partire dal 1925 fu imposto agli orfani l'obbligo di convertirsi all'islamismo. Gli ebrei yemeniti cominciarono a emigrare verso la Palestina nel 1882. Tra il 1919 e il 1948 emigrarono in 16 mila. Nel 1948 fuggirono in massa ad Aden. In 43 mila raggiunsero Israele. Solo poche decine vivono ancora nel Nord dello Yemen. E sono perseguitati dai nuovi islamisti. Per quanto riguarda gli ebrei etiopi, oggi in Israele ve ne sono 36 mila. Sono cominciati ad arrivare nel 1985. Scendevano, di notte, dai cargo, la maggior parte vestiti di bianco, il colore della festa e delle nozze, per andare a Gerusalemme. Non avevano mai visto luce elettrica, gas e acqua corrente. Era l'Operazione Salomone. Nell'esercito israeliano i giovani ebrei etiopi impararono a considerarsi alla pari dei loro compagni. Sarebbe seguita un'Operazione Promessa, che avrebbe portato in Israele centomila persone, gli ultimi etiopi di origine ebraica, i Falasha Mura.

(Il Velino, 3 luglio 2007)





4. DOPO LA LIBERAZIONE DI ALAN JOHNSTON




Che cosa sarebbe successo se fossero stati Israeliani
a rapire il giornalista della BBC?

di Charles Moore

Guardando l'orribile video di Alan Johnston, giornalista della BBC, che trasmette propaganda palestinese su ordine dei suoi rapitori, mi chiedo come sarebbe andata se a rapirlo fossero stati gli israeliani e fossero stati loro a costringerlo a fare la stessa cosa.
Innanzi tutto, bisogna dire che non sarebbe mai potuto succedere. Non esistono organizzazioni israeliane – governative o indipendenti – disposte anche solo a prendere in considerazione una simile possibilità. Questo fatto è di per sé significativo.
Ma supponiamo pure che fossero stati alcuni ebrei fanatici a prendere Johnston, a costringerlo a sbrodolare il loro messaggio e ad offendere – nel far questo – il suo Paese. Che cosa avrebbe detto il mondo?
Sarebbero venute meno tutte le cautele che hanno caratterizzato la risposta della BBC e del governo britannico da quando Johnston è stato rapito lo scorso 12 marzo. Il governo israeliano sarebbe stato condannato immediatamente per la sua connivenza con i terroristi o per la sua incapacità a scovarli.
Insistenti sarebbero state le denunce delle dottrine sioniste estremiste, origine di un tal atto di codardia. L'isolamento mondiale di Israele – nel caso non fosse riuscito a liberare Johnston – sarebbe stato assoluto.
Se Johnston fosse stato costretto ad apparire in televisione dicendo, per esempio, che Israele detiene la piena sovranità su tutti i territori conquistati durante la guerra dei sei giorni e pretendendo la liberazione di tutti i soldati tenuti prigionieri da potenze arabe in cambio del suo rilascio, le sue parole sarebbero state schernite. La causa di Israele nel mondo sarebbe stata irrimediabilmente danneggiata dall'averlo torturato in questo modo in televisione. Nessuno avrebbe esitato a dirlo.
Ma naturalmente la realtà dei fatti è che sono gli arabi ad avere in mano Johnston, per cui tutti camminano in punta di piedi. Bridget Kendall della BBC ha avanzato l'ipotesi che a Johnston sia stato "chiesto" di dire ciò che ha detto nel suo video. Chiesto!? Se glielo avessero solo "chiesto", perché non ha detto di no?
Durante tutta la prigionia di Johnston la BBC ha continuamente sottolineato che lui "aveva dato voce" al popolo palestinese, sottintendendo che era dalla loro parte e che pertanto doveva essere rilasciato. Non si riesce ad immaginare come si sarebbe potuto dire lo stesso se fosse stato preso dagli israeliani.
Bhe, Johnston sta certamente dando voce al popolo palestinese adesso. E la verità è che, nonostante si trovi in una situazione orribilmente difficile, quello che dice non è affatto diverso da quello che la BBC dice ogni giorno attraverso le bocche di giornalisti che non sono rapiti o minacciati, ma che si stanno semplicemente guadagnando lo stipendio.
Il linguaggio è più violento nel video di Johnston, ma la musica è essenzialmente la  stessa che sentiamo da anni da Orla Guerin, da Jeremy Bowen e – di fatto – da tutta la loro banda al completo.
Ovvero che tutto ciò che non funziona in Medio Oriente e nel mondo musulmano nel suo complesso è il prodotto dell'aggressione o dell'"oppressione" americana, israeliana o britannica (avete fatto caso al fatto che tutte le azioni delle truppe americane o israeliane sono "oppressive", così come tutti i razzismi sono "inaccettabili"?).
Alan Johnston, su ordine dei terroristi, ha parlato della "disperazione assoluta " dei palestinesi e l'ha attribuita a 40 anni di occupazione israeliana, "appoggiata dall'Occidente". E questo è il modo in cui la situazione viene presentata, sera dopo sera, dalla stessa BBC.
L'altro lato della medaglia non viene quasi mai preso in considerazione o analizzato. C'è poco da dire sul conflitto fratricida all'interno del mondo arabo e in particolare a Gaza, o sulle ciniche motivazioni dei leader arabi ai quali le miserie dei palestinesi tornano politicamente utili.
Scarsi e sparuti sono i preziosi reportage sulla rete di connivenze e sulla mentalità dell'estremismo islamico – sui metodi e sui fondi di Hamas o degli Hezbollah e di gruppi simili – che producono atti di malvagità pura come quello in cui Johnston appare come complice involontario.
I riflettori non vengono puntati su come i "militanti" (la BBC non permette nemmeno di usare la parola "terrorista" nel contesto medio orientale) e  i signori della guerra riescano a mantenere il controllo di un governo corrotto e fondato sulla paura che perseguita, tra gli altri, gli stessi palestinesi.
Invece vengono puntati senza pietà su Blair, Bush e Israele.
Dal demoniaco al ridicolo, lo schema è lo stesso. In patria le università e l'unione dei collegi universitari hanno appena votato a che i propri soci "considerino le implicazioni morali di legami in atto o in fieri con istituzioni accademiche israeliane".
Bhe, forse avrebbero potuto considerare come il lavoro degli scienziati in forza al Technion di Haifa abbia portato alla produzione del farmaco Velcade, che cura il mieloma multiplo. O avrebbero potuto guardare al professore dell'università Ben-Gurion che ha scoperto un batterio che uccide le zanzare e le mosche nere che trasmettono la malaria e una particolare forma di cecità (river blindeness).
O avrebbero potuto studiare la cooperazione tra i ricercatori dell'Università Ebraica di Gerusalemme, che hanno isolato la proteina che scatena lo stress per cercare di curare il disordine da stress post-traumatico, e i loro pari presso il laboratorio di biologia molecolare del Consiglio per la Ricerca Medica di Cambridge.
In effetti, le maggiori università israeliane hanno tutto ciò che l'Occidente richiede per concedere a un'istituzione il titolo di università. Garantiscono la libertà intellettuale. Non pongono alcuna pregiudiziale etnica o religiosa all'accesso agli studi. Non sono controllate dal governo. Il livello della ricerca è in linea con gli standard mondiali e spesso vengono fatte scoperte di cui beneficia l'umanità intera. In tutto questo le università israeliane rappresentano, di fatto, un unicum nel Medio Oriente.
Gli sciocchi chiarissimi professori non sono soli. Di recente il sindacato nazionale dei giornalisti, del quale sono fiero di non aver mai fatto parte, ha approvato una mozione simile, genialmente prendendo di mira l'unico Paese nella regione con una stampa libera e accusandolo di trattamento discriminatorio. L'Unison, che è un sindacato serio e potente, sta subendo pressioni perché sostenga un boicottaggio di prodotti israeliani, ovvero dei prodotti dell'unico Paese nella regione ad avere un movimento sindacale libero.
Il luogo comune è che Israele pratica l'"apartheid" e che per questo motivo deve essere boicottato.

prosegue ->
Tutto questo è follia morale. Non è naturalmente follia criticare la politica israeliana. In effetti, da un certo punto di vista sarebbe folle non farlo. Non è follia – benché io pensi che sia un errore – vedere l'esistenza d'Israele come la ragione principale della mancanza di pace nella regione.
Ma è folle, o forse si dovrebbe dire che è male, cercare di cavalcare le riserve di indignazione morale della cultura occidentale e consumarle contro un Paese che è parte di quella cultura, a favore di Paesi limitrofi che non lo sono. Come abbiamo potuto metterci in una situazione in cui arriviamo quasi a giustificare i torturatori col turbante che rapiscono i nostri concittadini e – allo stesso tempo – a impedire a biochimici ebrei di tenere una conferenza di fronte ai nostri studenti?
Nessuno sa ancora le motivazioni precise dei rapitori di Johnston, ma non è sicuramente una coincidenza il fatto che lo abbiano fatto parlare solo alla vigilia del quarantesimo anniversario della guerra dei sei giorni. Volevano che desse al mondo la loro spiegazione storica – l'oppressione israeliana – per la loro causa.
Eppure quella guerra era scoppiata perché il presidente egiziano Nasser aveva guidato il suo Paese e i suoi alleati dichiarando: "Il nostro obiettivo di fondo è la distruzione di Israele".
Ha fallito, miseramente, e in seguito l'Egitto e la Giordania hanno rinunciato alle loro aspirazioni. Ma molti altri le mantengono fino ad oggi, ora con l'aggiunta di una patina pseudo-religiosa.
Noi continuiamo a dare simpateticamente respiro al loro culto della morte. In un certo senso Johnston ne sta pagando lo scotto: i suoi rapitori sono sostenuti dall'ossigeno che è dato loro dalla stessa azienda in cui lui lavora.
E per quanto riguarda Israele, sono molte le sue colpe. Ma è moralmente importante non inventarne altre, perché deve sopravvivere. Quarant'anni dopo la sua più grande vittoria deve escogitare ogni mattina come fare a resistere fino al giorno dopo.

(Daily Telegraph, 2 luglio 2007 - da Keren Hayesod)





5. UN DOCUMENTO PAPALE




Riportiamo ampi stralci del documento cattolico approvato dal papa di cui si parla molto in questi giorni. Segue un breve commento.

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

[...]

RISPOSTE A QUESITI RIGUARDANTI ALCUNI ASPETTI CIRCA LA DOTTRINA SULLA CHIESA

Primo quesito: Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha forse cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa?

Risposta:
Il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente.
Proprio questo affermò con estrema chiarezza Giovanni XXIII all'inizio del Concilio. Paolo VI lo ribadì e così si espresse nell'atto di promulgazione della Costituzione Lumen gentium: "E migliore commento sembra non potersi fare che dicendo che questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale. Ciò che Cristo volle, vogliamo noi pure. Ciò che era, resta. Ciò che la Chiesa per secoli insegnò, noi insegniamo parimenti. Soltanto ciò che era semplicemente vissuto, ora è espresso; ciò che era incerto, è chiarito; ciò che era meditato, discusso, e in parte controverso, ora giunge a serena formulazione". I Vescovi ripetutamente manifestarono e vollero attuare questa intenzione.

Secondo quesito: Come deve essere intesa l'affermazione secondo cui la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica

Risposta:
Cristo "ha costituito sulla terra" un'unica Chiesa e l'ha istituita come "comunità visibile e spirituale", che fin dalla sua origine e nel corso della storia sempre esiste ed esisterà, e nella quale soltanto sono rimasti e rimarranno tutti gli elementi da Cristo stesso istituiti. "Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica […]. Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui".
Nella Costituzione dogmatica Lumen gentium la sussistenza è questa perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra.
Secondo la dottrina cattolica, mentre si può rettamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse, la parola "sussiste", invece, può essere attribuita esclusivamente alla sola Chiesa cattolica, poiché si riferisce appunto alla nota dell'unità professata nei simboli della fede (Credo…la Chiesa "una"); e questa Chiesa "una" sussiste nella Chiesa cattolica.

Terzo quesito: Perché viene adoperata l'espressione "sussiste nella" e non semplicemente la forma verbale "è"?

Risposta:
L'uso di questa espressione, che indica la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, non cambia la dottrina sulla Chiesa; trova, tuttavia, la sua vera motivazione nel fatto che esprime più chiaramente come al di fuori della sua compagine si trovino "numerosi elementi di santificazione e di verità", "che in quanto doni propri della Chiesa di Cristo spingono all'unità cattolica".
"Perciò le stesse Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che hanno delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Infatti lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica".

Quarto quesito: Perché il Concilio Ecumenico Vaticano II attribuisce il nome di "Chiese" alle Chiese orientali separate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica?

Risposta:
Il Concilio ha voluto accettare l'uso tradizionale del nome. "Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l'Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora uniti con noi da strettissimi vincoli", meritano il titolo di "Chiese particolari o locali", e sono chiamate Chiese sorelle delle Chiese particolari cattoliche.
"Perciò per la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce". Siccome, però, la comunione con la Chiesa cattolica, il cui Capo visibile è il Vescovo di Roma e Successore di Pietro, non è un qualche complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi principi costitutivi interni, la condizione di Chiesa particolare, di cui godono quelle venerabili Comunità cristiane, risente tuttavia di una carenza.
D'altra parte l'universalità propria della Chiesa, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, a causa della divisione dei cristiani, trova un ostacolo per la sua piena realizzazione nella storia.

Quinto quesito: Perché i testi del Concilio e del Magistero successivo non attribuiscono il titolo di "Chiesa" alle Comunità cristiane nate dalla Riforma del 16° secolo?

Risposta:
Perché, secondo la dottrina cattolica, queste Comunità non hanno la successione apostolica nel sacramento dell'Ordine, e perciò sono prive di un elemento costitutivo essenziale dell'essere Chiesa. Le suddette Comunità ecclesiali, che, specialmente a causa della mancanza del sacerdozio ministeriale, non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero eucaristico, non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate "Chiese" in senso proprio.
[...]
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha approvato e confermato queste Risposte, decise nella sessione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.


COMMENTO - Bene ha fatto il signor Joseph Ratzinger a divulgare questa presa di posizione che puntualizza quello che del resto avrebbe dovuto essere ben noto a tutti coloro che in qualche modo hanno a che fare col cattolicesimo. L'istituzione religiosa che lui presiede è libera, anzi forse ha addirittura il dovere, di rendere nota al pubblico l'espressione della sua autocoscienza. Uno Stato libero e democratico deve permettere che si dicano cose come queste. Se, per esempio, si formasse un'associazione il cui socio fondatore fosse convinto di essere l'erede di Cesare Augusto e di avere ricevuto il compito di operare per la restaurazione dell'Impero romano, chi potrebbe impedirglielo, almeno fino a che resta nei limiti delle leggi vigenti? Anche Heinrich Himmler era convinto di essere la reincarnazione di Enrico I l'Uccellatore, ma non è per questo che ha fatto la fine che ha fatto.
Nel documento papale si fa anche riferimento a "Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica". Speriamo allora che lo Stato democratico in cui viviamo consenta anche a noi di fare, nel piccolo, alcune dichiarazioni che servano a puntualizzare quello che credono molti evangelici sparsi in tutto il mondo.

1) L'istituzione ecclesiastica cattolica NON è la Chiesa di Gesù Cristo, ma una costruzione umana che usa indebitamente il nome di Cristo;
2) Il papa NON è né il vicario di Cristo né il successore dell'apostolo Pietro, ma un uomo che si attribuisce un'autorità che Dio non gli ha mai data;
3) I sacerdoti cattolici NON sono i sacerdoti levitici, né i loro successori, ma una casta clericale ignota al Nuovo Testamento;
4) La messa NON è la ripetizione del sacrificio di Cristo, ma, come recita il catechismo riformato di Heidelberg, "un'abominevole idolatria".

Siamo grati al Signore di poter vivere oggi in uno Stato laico che, pur avendo gravi colpe, non permette che chi dice cose come queste sia amorevolmente condotto al rogo per la "salvezza della sua anima", come accadeva nel passato. Per quanto riguarda il rapporto della chiesa cattolica con Israele, a parte le buone intenzioni e i buoni sentimenti di singole persone, la specifica deviazione di questa istituzione religiosa dal Vangelo la conduce ad essere strutturalmente contrapposta a Israele, perché nella sua teologia il Regno Messianico promesso da Dio attraverso i profeti a Israele è già attualizzato nel Regno Pontificio. Il papa è un Re, nella sua autocoscienza, e si considera per elezione divina al di sopra di tutti gli altri "re" delle nazioni. Gli ebrei, per non parlare dello Stato d'Israele, sono considerati una rimanenza sopportata, così come sono sopportate le altre "comunità ecclesiali non ancora in comunione con la chiesa cattolica". L'istituzione ecclesiastica cattolica è per sua intima vocazione opposta a Israele perché è opposta alla verità che è in Gesù Cristo. M.C.





6. LIBRI




Altri profughi dimenticati

di Silvia Golfera

"... Donne, bambini, anziani. Gli uomini non c'erano. Stipati nei pullman, ci diedero coperte, perché faceva freddo. Ci avvolgemmo tutti tremanti, fra i pianti dei bambini piccoli e il vociare confuso dei profughi. Dopo l'appello, i pullman partirono tutti in fila, per Alessandria, e di lì saremmo salpati...Alcuni poliziotti egiziani salirono armati sui pullman... e con aria spavalda confiscarono... oggetti d'oro che le profughe avevano addosso... Un poliziotto pretese anche la fede di una profuga".

Così Carolina Delburgo, signora bolognese di origine egiziana, racconta la cacciata della sua famiglia e di molti altri correligionari, dall'Egitto, dopo la crisi internazionale del 1956, quando Nasser, nazionalizzato il canale di Suez, ne impediva il transito alle navi israeliane. Fu il primo di una serie di conflitti con Israele. Il più grave quello del 1967, con la guerra dei Sei giorni. Gli ebrei egiziani ne pagarono un prezzo altissimo.
Da Radio Cairo, il 25 maggio 1967, la voce di Nasser tuonò non solo nelle case egiziane, ma in tutta l'Africa mediterranea: "Il mondo arabo è fermamente deciso a cancellare Israele dalla carta del mondo". Dei 100.000 ebrei egiziani del 1948, ne resistevano nel 1976 circa 200.
Una vicenda questa di cui si parla poco, ignorata dai media e dagli storici. Una vicenda troppo calda, forse, perché la si possa affrontare in un momento tanto gravido di tensioni. L'ha raccontata Magdi Allam, sulle colonne del Corriere della sera, in un articolo del novembre 2004, dove scrive che "perdendo i loro ebrei, gli arabi hanno perso le loro radici e hanno finito per perdere se stessi".
Rinnegare se stessi, o parte di sé, comporta sempre un prezzo alto, in termini di identità e di equilibrio. 'Rinnegare l'anima' è parente stretta del 'venderla al diavolo', ricorda Allam. Purtroppo le tragedie che percorrono il mondo mussulmano sono una conseguenza pure di quelle scelte.
Alcuni anni fa un breve documentario di Pierre Rehov, "L'esodo silenzioso", fu presentato a Milano, prima di sparire dalla circolazione. Eppure l'esodo degli ebrei dai paesi mussulmani ha segnato una ulteriore pagina nera di quel nerissimo secolo ventesimo da cui non riusciamo a liberarci.
Il libro di Carolina Delburgo, delicata storia familiare, ha il merito di resuscitare la memoria di un evento che, con i suoi pogrom sanguinosi, la sobillazione dei furori popolari, la demonizzazione del nemico, gli espropri e le prepotenze, ha rivaleggiato nei metodi, se non nei risultati, con la politica antisemita di Hitler.
"Quella sera gli ufficiali perquisirono la casa, e non trovando nulla per incolparci, invitarono mio padre e la zia Sara...a seguirli per "delle formalità" da fornire al commissariato. Da quel momento mio padre e mia zia sparirono nel nulla", racconta l'autrice.
Ha termine così quella convivenza, non sempre pacifica, ma comunque proficua e stimolante fra gente di varie culture e religioni, che facevano dei paesi arabi affacciati sul Mediterraneo società sostanzialmente multietniche
Nel 1956 dall'Egitto furono cacciati circa 30.000 ebrei. Pian piano la Cairo cosmopolita dove circolavano lingue e culture diverse, raccontata con nostalgia dallo scrittore Naghib Mafuz, si svuota delle sue molteplici identità per conformarsi ai dettami del nuovo nazionalismo arabo
La famiglia Delburgo, di nazionalità italiana, approda nel porto di Brindisi. L'unica cosa che ha portato con sé è la propria abilità professionale, la volontà di riconquistare una vita dignitosa, la tenacia nel fronteggiare le difficoltà, quegli 'scherzi della sorte' che la storia ha spesso riservato al popolo ebraico. Fortunatamente questa vicenda amara e sconfortante ha un lieto fine. Carolina Delburgo racconta come "fummo davvero commossi e molto grati per la grande umanità con cui fummo accolti, non appena sbarcammo in Italia", alimentando in qualche modo quel mito di "italiani brava gente", così consolatorio per noi, ma purtroppo spesso smentito dalla storia e dalla cronaca. Non in questo caso, però, poiché la famiglia Delburgo riesce a integrarsi felicemente nella società italiana. Senza perdere la propria memoria e nella consapevolezza che niente è mai garantito per sempre: "Ricordatevi che siamo ebrei e...non esiste generazione che non venga colpita da circostanze e fatti incresciosi. È capitato a vostro padre che è vissuto in Europa, ma è capitato anche a me che sono vissuta in Africa...Quando scoppia un conflitto le autorità portano via tutto quello che possono: casa, auto... prosciugano i conti bancari... ma di una sola cosa non potranno mai impossessarsi né mai toccare: la vostra cultura, quello che avete studiato e quello che gli studi vi avranno insegnato a capire!" rammenta Carolina alla figlia adolescente.
Ebbene, la memoria storica serve anche a difendersi dagli errori e dagli orrori del passato. Per questo teniamo vivo il ricordo della Shoah. Per lo stesso motivo trovo ugualmente urgente ricordare le persecuzioni che gli ebrei hanno patito nei paesi mussulmani, tanto più che proprio da lì vengono oggi le più feroci minacce di una nuova apocalittica distruzione verso Israele e tutto il suo popolo. È la convenienza politica che ci spinge a tacere? O ci illudiamo forse che sia un affare fra "altri", in cui non intrometterci, come un tempo fra Hitler e gli ebrei, e che solo chiudendoci gli occhi ne resteremo fuori?

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Carolina Delburgo, "Come ladri nella notte", ed. Rotas, Barletta 2006.
Richiedibile gratuitamente a info@cauterium.org

(Morasha.it, giugno 2007)





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