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Notizie su Israele 409 - 19 dicembre 2007 |
1. Netanyahu commemora una storica risoluzione dell'Onu
2. La forza devastante delle menzogne ripetute 3. Ma per molti non è razzismo 4. Israele non è solo guerra e ortodossia rabbinica 5. Alla Fiera del Libro di Torino del 2008 6. Archeologia in Israele 7. Musica e immagini 8. Indirizzi internet |
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1. NETANYAHU COMMEMORA UNA STORICA RISOLUZIONE DELL'ONU
Discorso dell'ex Primo Ministro israeliano in occasione della cerimonia del voto Onu del novembre 1947 di Benjamin Netanyahu
Da allora abbiamo fatto la pace con l'Egitto e la Giordania, ma l'ostacolo all'allargamento del cerchio della pace è rimasto sempre lo stesso: il rifiuto dei nemici d'Israele di riconoscere lo Stato ebraico quali che siano le sue frontiere. I nostri nemici non vogliono un Stato arabo accanto a Israele. Loro vogliono uno Stato arabo al posto di Israele. A più riprese è stato offerto loro uno Stato arabo accanto a Israele: anzitutto, nel piano di partizione del 1947; poi, indirettamente, negli accordi di Oslo; più tardi, in modo inequivoco, a Camp David nel 2000; e infine, nelle innumerevoli dichiarazioni fatte da allora sia da dirigenti israeliani sia da dirigenti internazionali che hanno richiesto due Stati per due popoli. E come hanno risposto i nostri nemici a tutte queste proposte? Tutte le volte le hanno violentemente rigettate. Nel 1947 hanno lanciato attacchi terroristici e poi una guerra globale per distruggere lo Stato ebraico. Durante il processo di Oslo hanno terrorizzato Israele con attacchi suicidi. Dopo Camp David hanno orchestrato la seconda intifada, nel corso della quale più di 1000 israeliani sono stati assassinati. Poi hanno tirato migliaia di razzi Katiuscia sulla Galilea e migliaia di razzi Kassam sul Negev con lo scopo, dicono, di "liberare la Palestina occupata", cioè Haifa "occupata", Akko "occupata", Sderot "occupata" e Askelon "occupata". Così facendo, Hezbollah e Hamas non fanno che seguire alla lettera le parole di Jamal Husseini, cugino del Mufti e membro dell'Alto Comitato Arabo, che quattro giorni prima del voto di partizione dell'Onu nel 1947 dichiarò: "Se gli ebrei ricevono anche una minima parte della Palestina, noi la riempiremo di fuoco e di sangue". Purtroppo anche i palestinesi moderati rifiutano di appoggiare la pace con Israele come Stato ebraico. Loro sono favorevoli a due stati per un solo popolo: uno stato palestinese non contaminato da ebrei e uno stato binazionale che sperano di inondare di palestinesi, conformemente a quello che chiamano "il diritto al ritorno". Fino a che non riconosceranno davvero il diritto del popolo ebraico ad avere un suo proprio stato, e fino a che i loro dirigenti non avranno il coraggio del presidente d'Egitto Anwar al Sadat e del re di Giordania Hussein, è molto dubbio che avremo un vero partner per una pace autentica. In questo contesto si può capire quello che è successo - e quello che non è successo - nel 1947 con l'adozione della risoluzione Onu sulla partizione della Palestina. La risoluzione non ha fissato una volta per tutte i contorni di un accordo finale tra noi e i nostri vicini. Dopo tutto, gli arabi hanno rifiutato la formazione di uno Stato ebraico e hanno cercato di distruggerlo. Il giorno dopo il voto, il Mufti stesso ha detto: "Quello che l'Onu ha scritto con inchiostro nero, noi lo scriveremo con sangue rosso." I leader arabi non possono venire oggi, 60 anni dopo, a chiedere di far tornare indietro il tempo come se niente fosse avvenuto. Non possono chiederci di accettare un accordo che loro stessi hanno fatto a pezzi perché, non essendo riusciti a distruggere Israele, adesso si sono accorti che le clausole di questo accordo suonano come una condanna per Israele. Ben Gurion aveva ben compreso questo quando in una delle prime riunioni del governo d'Israele disse: "Le decisioni del 29 novembre sono lettera morta. Le frontiere non ci sono più. Gerusalemme città internazionale è pura fantasia." E ripeté queste idee nel suo discorso alla Knesset il 12 dicembre 1949, quando disse che le decisioni dell'Onu erano nulle e vuote. Quindi, né le frontiere della divisione, né l'internazionalizzazione di Gerusalemme sono caratteristiche immutabili del voto dell'Onu. Quello che è immutabile è il riconoscimento internazionale del diritto del popolo ebraico ad avere il suo proprio Stato, un diritto ancorato nella dichiarazione di Balfour, che ha riconosciuto agli ebrei il diritto di avere un focolare nazionale sulla terra d'Israele, diritto riaffermato sia dalla conferenza di San Remo nel 1920, sia dalla Società delle Nazioni nel 1922. Ma il voto di partizione dell'Onu è marchiato nella nostra memoria, perché immediatamente dopo il voto la Gran Bretagna cominciò a lasciare il paese, aprendo la strada alla battaglia fatale che stava quasi per cancellare la nostra esistenza. Il voto di partizione dell'Onu non ha fondato lo Stato d'Israele. Ha semplicemente riconosciuto il diritto storico del popolo ebraico a ritornare nella sua patria e a ristabilire la sua esistenza sovrana. Ma se non fosse stato per la millenaria aspirazione del popolo ebraico alla terra d'Israele, per la presenza continua nei secoli di ebrei su questa terra, e per i 70 anni di intenso insediamento ebraico nel paese prima del voto dell'Onu, questo diritto storico non si sarebbe mai realizzato. E anche questo non sarebbe bastato, se i figli di questa piccola nazione, sulla scia dell'orribile Olocausto, non avessero impugnato la spada dei Maccabei e con incomparabile eroismo non avessero respinto l'assalto arabo che si apprestava a schiacciare lo Stato nascente. La fede incrollabile nei nostri storici diritti nazionali, lo sforzo dell'insediamento che ha concretizzato questi diritti, e la lotta armata che li ha difesi: ecco che cosa ha fondato lo Stato ebraico. Il voto dell'Onu ha semplicemente dato riconoscimento internazionale a tutto questo. Tuttavia, il voto dell'Onu ha costituito un'importante decisione storica, ed è giusto che noi lo commemoriamo oggi insieme ai distinti ambasciatori dei paesi che l'hanno sostenuto. Ma riflettiamo bene: che cosa sarebbe stato della decisione dell'Onu se fossimo stati sconfitti nella Guerra d'Indipendenza? La chiave dell'esistenza d'Israele è sempre stata radicata nella forza del sionismo e nella nostra capacità di difendere noi stessi - e questa rimane la chiave della nostra esistenza e la chiave per forgiare una pace autentica con i nostri vicini arabi. Soltanto quando alcuni di loro riconosceranno la perennità e l'indistruttibilità d'Israele, si adatteranno all'idea di fare pace con noi. Per questo sono rimasto scioccato quando ho sentito nei media che il Primo Ministro diceva: "Se non ci saranno due stati, Israele finirà": Signor Primo Ministro, lo Stato d'Israele non finirà! Saremo noi a determinare il nostro destino, e soltanto noi! La nostra esistenza non dipende dalla buona volontà dei palestinesi a fare pace con noi. La nostra esistenza è assicurata dal nostro diritto a vivere in questo paese e dalla nostra capacità di difendere questo diritto. Abbiamo costruito il nostro paese per 31 anni prima dell'accordo di pace con l'Egitto; abbiamo continuato a costruirlo per altri 16 anni prima di firmare un accordo di pace con la Giordania; e spero che non aspetteremo ancora molto prima di concludere un accordo di pace con i palestinesi e con altri paesi del mondo arabo. Ma non facciamo dipendere la nostra esistenza dal loro accordo. Questa è stata la politica di tutti i governi israeliani fino ad oggi e questa deve essere la politica di tutti i governi d'Israele in avvenire. Permettetemi di ripeterlo: Saremo noi a determinare il nostro destino, e soltanto noi! In Medio Oriente pace e sicurezza vanno mano nella mano. Infatti la sicurezza, che dipende dalla forza d'Israele, precede la pace e gli accordi di pace. E chi non capisce questo resterà senza sicurezza e senza pace. Solo un Israele forte, convinto della giustizia della sua causa e diretto da una forte leadership, sarà in grado di concludere con i nostri vicini quella pace stabile a cui noi tutti aspiriamo. (FrontPage Magazine, 12 dicembre 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it) COMMENTO - Di questo memorabile discorso siamo assolutamente d'accordo con una frase: "Lo Stato d'Israele non finirà!" Di un'altra affermazione invece non siamo molto convinti: "Saremo noi a determinare il nostro destino, e soltanto noi!" E non perché crediamo che ci sia bisogno dell'accordo con altri paesi o del consenso dell'Onu. M.C. 2. LA FORZA DEVASTANTE DELLE MENZOGNE RIPETUTE Il falso di "Jenin Jenin" di Elena Lattes I cinema di Tel Aviv e Gerusalemme che proiettarono il film "Jenin Jenin", rivelatosi un clamoroso falso per ammissione del regista stesso, hanno pagato 40mila Shekel (circa 8000 Euro) ai cinque riservisti che avevano querelato l'autore per diffamazione. Per chi non ricordasse i fatti, nell'aprile del 2002, per tentare di arginare gli attentati che quotidianamente falciavano numerose vite, l'esercito israeliano entrò nella città di Jenin con un'unità di fanteria alla ricerca di terroristi casa per casa, anziché colpire da lontano con mezzi aerei. L'operazione, durata 8 giorni, fece in tutto 75 morti, di cui 23 israeliani e 52 palestinesi tra questi ultimi 38 erano armati. Come spesso avviene, però, la propaganda palestinese, organizzò una vera e propria messinscena con finti funerali e vecchie carcasse di animali riesumate per far credere al mondo che in realtà gli israeliani avevano ucciso centinaia, se non migliaia di persone innocenti. Questi piccoli trucchi furono presto scoperti, ma l'idea del massacro perpetrato dall'esercito contro inermi rimase. Muhammad Bakri, un regista arabo israeliano, realizzò quasi immediatamente un "documentario" in cui si affermava che i soldati avevano deliberatamente colpito civili indifesi e che le atrocità commesse rientravano nei crimini di guerra. Cinque riservisti coinvolti in quei fatti, Ofer Ben-Natan, Doron Keidar, Nir Oshri, Adam Arbiv e Yonatan Van Kaspel, pur non essendo direttamente nominati nel film, lo querelarono allora per diffamazione, affermando che esso calunniava i loro compagni e l'intera unità in cui avevano servito; chiamarono in causa anche le cineteche, poiché avevano pubblicizzato il film usando locandine con l'immagine di Ben-Natan e Keidar, chiedendo loro un risarcimento in denaro. All'inizio del 2005 Bakri confessò in tribunale di aver usato informazioni sbagliate che gli erano state fornire da testimonianze "oculari" selezionate, ma che non ne aveva controllato l'attendibilità. Aveva anche ammesso di aver ricevuto dei finanziamenti da parte dell'Autorità Palestinese e in particolare che parte delle spese per il film era stata coperta da Yasser Abed Rabu, allora ministro palestinese per la cultura e l'informazione nonché membro del comitato esecutivo dell'Olp sotto la direzione dell'allora presidente dell'Autorità Yasser Arafat. Bakri si rivolse allora all'Alta Corte dopo che l'associazione israeliana Motion Picture si era rifiutata di proiettare il film, affermando che esso offriva una versione dei fatti distorta a favore di una parte (quella palestinese). Nel verdetto si sentenziò che stava al pubblico se scegliere o meno di vedere il film e valutare la sua effettiva accuratezza. Tuttavia, secondo l'avvocato dei querelanti, Amir Titonowitz, gli elementi presi in considerazione dall'Alta Corte non sono direttamente correlati alle leggi sulla diffamazione e quindi non possono essere utilizzati a difesa dei querelati. Recentemente, quindi, i cinema hanno deciso di sistemare la questione in modo extragiudiziale, riconoscendo ai soldati un rimborso poco più che simbolico (30 mila shekel, in totale, verranno pagati dai cinema di Tel Aviv e 10 mila dai gerosolomitani). Uno dei cinque sembra comunque soddisfatto: "Ora ci resta soltanto la battaglia contro Bakri stesso. Abbiamo un debito morale verso i nostri amici che furono uccisi o feriti a Jenin. Ogni direttore adesso ci penserà due volte prima di filmare delle menzogne e ogni cineteca presterà più attenzione a ciò che proietta. In tutto il mondo, Italia compresa, l'opera in questione è stata presentata in questi anni come documentario affidabile, partecipando a diversi Festival e addirittura vincendo quello di Cartagine. Questo non è il primo caso in cui viene appurato che le accuse verso gli israeliani sono false. A parte casi relativamente piccoli e risoltisi in breve tempo, recentemente è tornato alla ribalta l'episodio di Mohammed Al Durra che, secondo una martellante propaganda, fu ucciso dagli israeliani, mentre sembra che sia addirittura ancora vivo. La televisione francese, infatti, che realizzò il servizio, è stata costretta sempre da un tribunale a rendere pubblica la parte del filmato che aveva tagliato e nascosto. A scoprire, invece, l'industria fotografica e mediatica messa su dagli Hezbollah, da cui venne coniato il neologismo Hezbollywood, durante la guerra libanese-israeliana del 2006, furono alcuni blogger americani e la Reuters si vide costretta a licenziare uno dei suoi fotoreporter. Ora la sentenza della Corte di Giustizia israeliana conferma, riconoscendo che i soldati israeliani erano stati diffamati, quel che già si sapeva dal 2005, cioè che il filmato di Bakri era un falso, come egli stesso aveva ammesso. Anche creare falsi così clamorosi e diffamatori rientra nella "legittima critica allo Stato di Israele"? (Agenzia Radicale, 4 dicembre 2007) 3. MA PER MOLTI NON È RAZZISMO L'insostenibile leggerezza del razzismo arabo da un articolo di Jackie Levy Nonostante tutte le dichiarzioni cerimoniali, la mia attenzione ad Annapolis è stata catturata da una piccola vicenda relativa agli organizzatori incaricati di pianificare i posti a sedere. Giacché si trattava di colloqui di pace, e giacché tutti noi vogliamo la pace, gli organizzatori vennero avvertiti della necessità di garantire che nessun rappresentante saudita o siriano avesse ad incontrare per sbaglio qualche nocivo essere sionista. Si trattava in effetti di un ambiente molto grande, e tuttavia la gente talvolta deve andare al bagno o lavarsi le mani. Per farla breve, c'era il rischio che dovessero attraversare un corridorio piuttosto stretto dove, non si può mai dire, avrebbero potuto incontrare e qui bisogna mettere tutto il disprezzo nella voce uno di quei "sionisti". Le ragioni per cui la Siria ha partecipato alla conferenza sono piuttosto chiare. Venne per guadagnare punti e districarsi il più possibile dall'asse dei paesi canaglia. In breve, venne per questioni siriane: tutto il resto non li interessava minimamente e dunque per loro non fu facile già presentarsi. Ma imbattersi in un israeliano? In un ebreo? Magari faccia a faccia, senza una Condoleezza o una marea di funzionari nel mezzo? Soli? Doversi magari guardare negli occhi o addirittura borbottare qualche parola. Questo sarebbe stato davvero troppo. Dopotutto gli arabi sono gente d'onore e gli israeliani, oltre a tutti gli altri difetti, hanno anche questo sgradevole vizio di voler sfruttare sempre queste occasioni accidentali per mostrarsi immediatamente amichevoli, dire qualche spiritosaggine e poi andarlo a raccontare a tutti. Anni dopo Annapolis qualche ex ministro o consigliere israeliano potrebbe raccontare nelle sue memorie di quella volta che buttò là quella battuta al rappresentante siriano su quanto fosse cattivo il caffè americano e di come, ebbene sì, gli parve di vedere un accenno di sorriso sul viso del siriano: per un attimo in quel momento, scriverà l'israeliano, fummo capaci di superare il furibondo conflitto ed essere solo due uomini, Khaled ed io, desiderosi di un buon caffè Insomma, la morale della favola è che è stato complicatissimo sistemare le sedie nella sala della conferenza di Annapolis. Si è dovuto fare ricorso a sofisticati algoritmi e a manovre finora conosciute solo in astronomia per garantire che in nessuna circostanza potesse accadere che le orbite di un arabo e di un israeliano si incrociassero o che dovessero condividere una qualche fuggevole forma di prossimità che avrebbe seriamente ferito I sentimenti della nazione araba. Per dirla in parole povere, I nostri nemici, fra le altre cose, sono un tantino razzisti. A differenza di certi stereotipi, è saltato fuori che l'arroganza non è una prerogativa israeliana. Ed è stupefacente come il mondo arabo sia riuscito a convincere l'occidente che il disprezzo razzista sia, nel caso loro, semplicemente una legittima forma di sensibilità religiosa che merita il dovuto rispetto. E bisognerebbe anche considerare per un momento il fatto che ormai noi consideriamo queste cose alla stregua di sciocche facezie, e ci si ride su come si ride sul rifiuto degli atleti arabi di gareggiare con atleti israeliani, o dei cantanti arabi di competere con quelli israeliani. Nessun israeliano, salvo pochi pazzi, prova alcun imbarazzo ad incontrare un arabo, stringergli la mano, mostrargli simpatia. Ma il fatto è che, sul loro |
versante, la cosa è terribilmente seria. È impossibile immaginare che a qualcuno nei mass-media arabi venga in mente di scherzare sui posti a sedere della conferenza di Annapolis. (
) E infatti non si tratta di questioni minori. In realtà, quand'anche venissero tolti tutti i posti di blocco, non vi sarà pace quaggiù finché gli arabi musulmani non considereranno gli ebrei come esseri umani. (YnetNews, 3 dicembre 2007 - da israele.net) 4. ISRAELE NON È SOLO GUERRA E ORTODOSSIA RABBINICA La meglio gioventù di Israele sceglie di cambiare Grazie alle nuove generazioni Israele cambia aspetto e il logoro stereotipo di paese di guerra e di ortodossia religiosa sembra voler svanire. di Anna Abate Si è soliti pensare al Medio Oriente come a una terra di odi atavici, di guerra senza fine, di fanatismo religioso, di terrorismo. Lo stato di Israele, in particolare, continua a suscitare reazioni ambigue: da una parte gli ebrei sono l'emblema della lotta contro ogni forma di persecuzione razziale, dall'altra gli israeliani vengono spesso accusati di essere loro stessi dei persecutori. Non si tratta solo di reazioni ambigue, certe affermazioni antitetiche sono, non di rado, strumentalizzate. Eppure, fortunatamente, ci sono sintomi di cambiamento grazie alla forza propellente che ogni paese possiede: le nuove generazioni. Tempo fa in un articolo pubblicato su Vanity Fair, Manuela Dviri dipingeva una gioventù israeliana solare, disinibita, incline ad approfittare di ciò che la vita offre di bello, pronta a cogliere l'attimo fuggente. Si leggeva "Israele come il Brasile", e questa frase provocatoria ha senz'altro suscitato stupore e curiosità. Le dichiarazioni di Bar Rafaeli, bellissima modella israeliana, hanno anche sconcertato alcuni. Contraria alla leva obbligatoria nel suo paese, ha asserito:
Per avere un quadro più preciso ci rivolgiamo alla dottoressa Fiorella Gabizon della facoltà di lettere e filosofia della Sapienza di Roma. "Sono tornata in vacanza in Israele dopo tempo. Devo confessare che sono rimasta piacevolmente sorpresa nel vedere come sono cambiate le cose." Afferma che ha trovato una gioia di vivere, una vitalità, una gioiosa fiducia e disponibilità verso il prossimo da tempo sopiti qui in Italia. I giovani israeliani hanno scelto di godersi la vita, forse perché loro più di altri ne conoscono il valore. Certo, ci sono sempre controlli che i soldati sono costretti ad effettuare imbracciando il mitra, ma ci si è abituati e ci si convive. Intanto i ragazzi studiano, lavorano, si divertono. Scelgono il modello anglosassone: lavorano provvisoriamente nei ristoranti o negli alberghi e si pagano gli studi. A volte conseguono più di una laurea. I locali notturni sono frequentatissimi e di giorno sulle spiagge è facile fare amicizia. Le leggi contro le molestie sessuali sono rigidissime, ricorda la docente, ma proprio per questo le donne riescono a godere maggiormente della loro libertà. Si sentono protette e non hanno timori. E non sono complessate, non si torturano come noi occidentali per il loro aspetto fisico. Anche se non perfette si sentono a proprio agio e ispirano armonia. "Non si è neanche perso il valore della generosità", continua la dottoressa. Racconta che quando suo padre ha lasciato la mancia ad un giovane cameriere, questi ha accettato solo a condizione di offrire da bere a lei. "Gesti galanti oramai dimenticati dalle nostre parti". Fiorella Gabizon si congeda invitandoci a visitare il paese, anche per imparare a ritrovare l'entusiasmo. Considerando che Israele è il primo paese nel mondo per numero di scienziati e ingegneri rispetto al numero di abitanti - e tra quelli maggiormente avanzati nel campo dell'alta tecnologia dove occupa il secondo posto dopo gli Stati Uniti -, è chiaro che la nuova società israeliana non solo vive intensamente il presente, ma è anche ben proiettata nel futuro. (L'ideale, 5 dicembre 2007) 5. ALLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO DEL 2008 Israele il Paese ospite d'onore alla Fiera del Libro di Torino edizione 2008 Israele ha scelto Torino come la vetrina piu' adatta per far conoscere e discutere la propria identita' culturale. TORINO - Sarà Israele il Paese ospite d'onore alla Fiera del Libro di Torino edizione 2008. L'annuncio è stato dato questa mattina. In occasione della ricorrenza del 60° anniversario della sua fondazione, Israele ha scelto Torino come la vetrina più adatta per far conoscere e discutere la propria identità culturale. La letteratura israeliana gode da anni di una attenzione crescente, che si è cristallizzata attorno ai nomi di tre dei suoi maggiori rappresentanti, David Grossman, Amos Oz e Abraham Yehoshua, o a scrittori che appartengono alla generazione successiva, come Etgar Keret. I temi trattati nelle loro opere hanno assunto una valenza universale, che non riguarda soltanto Israele, ma si pongono come altrettante metafore dei dilemmi e delle contraddizioni che agitano il mondo contemporaneo. Ma il quadro culturale del Paese è ovviamente molto più ricco e articolato, a partire dal decano Aron Appelfeld, cresciuto culturalmente nella Mitteleuropa, che sarà anche lui a Torino. La Fiera 2008 sarà l'occasione per conoscere questo Paese, anche attraverso storici e saggisti come Benny Morris, che si interrogherà proprio sugli eventi di sessant'anni fa, e i suoi artisti, musicisti e scienziati: in Israele è molto avanzata la progettualità urbanistica delle new towns e la ricerca sulle fonti alternative d'energia. La presenza di voci critiche offrirà dunque l'occasione di discutere e mettere a fuoco anche un modello di una convivenza possibile, con il contributo delle voci più disparate. Il Museo Nazionale del Cinema ospiterà nei giorni della Fiera una rassegna cinematografica, dieci film tra nuovi e 'classici' chiamati a raccontare le varie facce del Paese. Sono anche previsti momenti musicali, con cantautori, esponenti della musica tradizionale e complessi klezmer, che affondano le loro radici nelle comunità ebraiche Israele ha scelto Torino come la vetrina più adatta per far conoscere e discutere la propria identità culturale. Il tema della Fiera Internazionale del Libro 2008 è affidato a un interrogativo: Ci salverà la bellezza? La domanda l'ha posta per primo Fèdor Dostoevskij sotto forma d'una drastica alternativa: il mondo sarà salvato dalla bellezza o sarà dannato dalla bruttezza. Nel 2008 Torino è capitale mondiale del design, vero linguaggio sovranazionale. Il motivo conduttore della XXI edizione della Fiera consente di affrontare il rapporto tra canoni estetici/utilità pratica/produzione e consumo. Saranno invitati a discuterne i maggiori designer italiani e stranieri nel campo della grafica, dell'architettura, delle arti applicate, della moda, degli oggetti e degli strumenti di largo consumo (auto, elettronica, editoria libraria e giornalistica). Come nasce un oggetto riproducibile su scala industriale? Quali sono i rapporti tra committenza ed artista? La Fiera Internazionale del Libro 2008, attesa da giovedì 8 a lunedì 12 maggio 2008. Alla presentazione di oggi sono intervenuti il Presidente della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura Rolando Picchioni, il direttore della Fiera Ernesto Ferrero, gli assessori alla Cultura della Regione Piemonte Gianni Oliva, della Provincia di Torino Valter Giuliano e della Città di Torino Fiorenzo Alfieri; il presidente della Compagnia di San Paolo Franzo Grande Stevens e il segretario generale della Fondazione Crt Angelo Miglietta; il direttore del comitato Italia150 Paolo Verri. In rappresentanza di Israele, Paese Ospite della Fiera 2008, è intervenuto il Ministro Plenipotenziario presso l'Ambasciata israeliana in Italia, Elezar Cohen. La Fiera 2008 si allargherà molto probabilmente all'Oval: il grande palasport costruito per le gare di pattinaggio di velocità in occasione dei Giochi Olimpici di Torino 2006, che potrà mettere a disposizione per le attività espositive e culturali dell'evento ulteriori 20.000 metri quadri oltre ai 46.000 dei quattro padiglioni tradizionali del Lingotto. Per rendere pienamente disponibile l'Oval alle necessità della Fiera e delle altre importanti manifestazioni fieristiche e sportive che interessano la città occorre risolvere alcuni problemi come la costruzione di un adeguato collegamento fra il III padiglione e la nuova struttura espositiva, l'infrastrutturazione dei locali e l'allestimento completo dell'immenso spazio, per renderli più flessibili e compatibili con le altre destinazioni d'uso (espositive, congressuali, sportive) e con soluzioni che comportino la migliore economia di scala possibile. La soluzione tecnico-finanziaria che renda disponibile già a maggio la struttura potrebbe essere trovata grazie all'intervento della Fondazione Crt, che interverrebbe in accordo con il Comune ed Expo 2000. Ha spiegato il segretario generale Miglietta: "La Fondazione Crt, attraverso la propria Fondazione Sviluppo e Crescita, ha messo a punto un fondo immobiliare chiuso etico gestito da una società di gestione del risparmio per consentire operazioni immobiliari come quelle dell'Oval a condizioni economiche di favore, in considerazione della loro natura no profit". Una soluzione che naturalmente non riguarda soltanto la Fiera, ma che deve il merito del suo sblocco alla Fondazione per il Libro che ha sollecitato il confronto fra i diversi attori pubblici e privati. (News ITALIA PRESS, 18 dicembre 2007) 6. ARCHEOLOGIA IN ISRAELE Importanti ritrovamenti dell'epoca del primo e del secondo tempio L'Israel Antiquities Authority sta portando alla luce importanti ritrovamenti del periodo del primo e del secondo Tempio negli scavi condotti nella regione di Nahal Tut. Fra i ritrovamenti c'è un minuscolo sigillo di pietra con l'antica iscrizione ebraica: "Lmkakh (ben) Amicai".
Le piante delle case si congiungono a formare strutture complete comprendenti quartieri residenziali, stanze disposte intorno ad un cortile e un bagno rituale. Oltre a ciò, sono stati scoperti nello scavo un buon numero di manufatti: vasi di terracotta, vasi di pietra ed oggetti di metallo. Gli scavi, sotto la direzione del Dott. Gerald Finkielsztejn ed Amir Gorzalczany dell'Antiquities Authority, sono condotti su richiesta della Cross-Israel Highway Company per asfaltare il tratto dell'autostrada 6 nelle vicinanze di Nahal Tut (a sud della strada di Nahal Yokne'am). Fra i ritrovamenti portati alla luce c'è un sigillo ebraico di pietra diviso in tre sezioni: incisa nella sezione superiore si trova una decorazione che consiste in quattro melograni, nelle altre due sezioni c'è un'iscrizione in caratteri ebraici antichi tipica della fine dell'ottavo - settimo secolo a.C., che indica il nome del proprietario del sigillo che fu probabilmente un funzionario dell'amministrazione reale: "Lmkakh (ben) Amihai". Il sigillo è fatto di una pietra preziosa ellittica di colore marrone chiaro. È lungo un centimetro e mezzo per un centimetro di larghezza. Un foro longitudinale che attraversa l'oggetto indica che il sigillo fu portato sul collo come una collana. Il Dott. David Amit dell'Antiquities Authority, che ha decifrato l'iscrizione con l'assistenza del Dott. Esther Eschel della Bar Ilan University, dichiara che i nomi "Mkakh" e "Amihai" sono nuove acquisizioni per il lessico dei nomi ebraici conosciuti dalla Bibbia, dai documenti contemporanei e dai sigilli; tuttavia, contengono le componenti "akh" e "am" che sono abbastanza comuni a questa raccolta di nomi. "L'importanza del sigillo proviene sia dal suo contributo al lessico dei nomi biblici sia dal fatto che, contrariamente alla maggior parte dei sigilli del suo genere, questo sigillo proviene da un serio scavo archeologico e non da collezionisti di antichità", aggiunge il Dott. Amit. Come accennato sopra il sigillo fu usato da un alto funzionario che probabilmente svolse il suo servizio nel centro amministrativo reale nel periodo del primo Tempio, i cui notevoli resti di strutture si stanno scoprendo in uno scavo sopra Nahal Tut. I direttori dello scavo per conto dell'Antiquities Authority, Amir Gorzalczany e Gerald Finkielsztejn, fanno presente che vi sono stati altri ritrovamenti con iscrizioni contemporanei del sigillo e che offrono inoltre indicazioni circa la natura del luogo. Questi comprendono un certo numero di frammenti di manici di vasi per la conservazione che portano impressi i bolli reali: la parola "lmlk" appare come compaiono i nomi delle città di Hebron e di Ziph che erano importanti città amministrative del regno di Giuda alla fine del periodo del primo Tempio. "Stampi di sigillo come questi sono un ritrovamento comune in luoghi biblici situati nella Giudea; tuttavia, trovarli in un luogo così a nord, profondamente all'interno del regno biblico d'Israele, è abbastanza sorprendente e certamente susciteranno un grande interesse nei ricercatori interessati al periodo biblico", dice Gorzalczany. Fonte: Press release, Israel Antiquities Authority (SFB Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme) MUSICA E IMMAGINI Jehovah Jireh INDIRIZZI INTERNET The Coordination Forum for Countering Antisemitism The Re-established Sanhedrin Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |