Notizie su Israele 39 - 4 settembre 2001


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Così parla il SIGNORE: «Voi siete stati venduti per nulla e sarete riscattati senza denaro». Poiché così parla il Signore, DIO: «Il mio popolo discese già in Egitto per abitarvi; poi l'Assiro lo oppresse senza motivo. Ora che faccio io qui, dice il SIGNORE, quando il mio popolo è stato deportato per nulla?» «Quelli che lo dominano lanciano urli», dice il SIGNORE, «e il mio nome è del continuo, tutti i giorni insultato; perciò il mio popolo conoscerà il mio nome; perciò saprà, in quel giorno che sono; io ho parlato. Eccomi!»

(Isaia 52.3-6)


IL VERO MOTIVO DEL RIFIUTO DI ARAFAT: DELEGITTIMARE ISRAELE



Se le menzogne diventano verità

Articolo di Fiamma Nirenstein

    Fra le molte rivelazioni sulla vera storia del rifiuto di Arafat a Camp David, quando Barak fece tutte le sue offerte di pace e il Presidente dei palestinesi rispose "no" fra lo stupore del mondo intero, ce ne sono un paio che riguardano il Monte del Tempio, ovvero la Spianata delle Moschee, cui sono portata ad attribuire un significato particolare.
    Il primo: il Presidente americano Bill Clinton discusse a lungo e con particolare trepidazione la divisione di quella zona così santa ad ambedue le religioni. Lo fece con pazienza e cercando di trovare varie possibilità (il sopra e il sotto, la spianata e il Muro del Pianto, la sovranità secolare e quella religiosa...) che potessero essere confacenti ad una divisione sensata.
    Ma ad un certo punto Arafat disse a Clinton che comunque il Tempio di Salomone, e poi quello di Erode erano tutta un'invenzione, che niente provava che quella zona fosse santa agli ebrei, mentre le moschee erano là in bella vista, e che l'unica religione che avesse un diritto a proclamare la sua supremazia era quella musulmana. Clinton si infuriò, disse ad Arafat che egli sapeva per certo che quello era da più di duemila anni il più importante ed anzi l'unico dei luoghi di culto fondamentali per gli ebrei, mentre i musulmani ne avevano anche altri. Arafat chiese di rimando da dove lo sapesse, e Clinton lo scrutò stupefatto, come qualcuno che avesse chiesto se era sicuro della propria esistenza. Disse più o meno: "Lo so, l'ho letto, l'ho studiato, tutti lo sanno. E' così, e la prego di non tentare di nuovo di suggerire una cosa non vera".
    La storia è certificata dall'ex Presidente americano stesso.
    La seconda riguarda invece la trattativa in sé: Barak e Arafat erano quasi arrivati alla conclusione della spartizione del Monte su cui sorge la Moschea di Al Aqsa e che è la sede storica e archeologica del Beit ha Midrash che conteneva il Kodesh ha Kodashim. Arafat però rifiutò recisamente che nella risoluzione fosse scritto che il luogo era sacro "alle religioni musulmana ed ebraica".
    Qui non si tratta di nessuna questione territoriale e neppure di principio: la negazione della presenza ebraica a Gerusalemme, e quindi in Israele, la scelta di praticare una strada di negazione di ogni diritto ebraico a stabilirsi in Medio Oriente come nella propria casa naturale, è un elemento strategico di questa Intifada. L'argomento degli insediamenti è, per quanto importante, del tutto secondario nella campagna di delegittimazione che è il vero cuore della vicenda.
    C'è una ragione formale in questo, legata al fatto che, per così dire, ogni argomento sostanziale era difficile da riprendere dopo il fallimento del summit americano. Che altro avrebbe potuto chiedere la leadership palestinese dopo il rifiuto di quelle proposte israeliane, così palesemente vantaggiose? Il rilancio al tavolo da gioco era indispensabile.
    Ma c'è anche un argomento sostanziale, molto angoscioso e preoccupante, che è questo: la storia porta con sé molte prove di quanto sia facile convincere il mondo di una quantità di bugie che riguardano gli ebrei. Racconta che gli ebrei fanno le azzime con il sangue umano; racconta che perseguono una congiura mondiale per prendere il potere in tutto il mondo; racconta che gli ebrei odiano tutti e tramano per il male del paese in cui vivono; racconta che sono ricchissimi e potenti, quanto ontologicamente perfidi e devoti al male; racconta che bisogna liberarsene, prima o poi... racconta.
    Ci sono buone probabilità che ti credano. Racconta che il tempio di Salomone e quello di Erode non hanno niente a che fare con la storia ebraica, che forse il popolo ebraico è estinto, non è mai esistito, racconta che gli abitanti originari del luogo sono i cananei da cui derivano i palestinesi, e che gli ebrei sono stati sparsi al vento. Racconta insieme a questo che gli ebrei compiono oggi stragi preordinate, che le loro risposte agli attentati e al fuoco degli attentati e ai colpi di mortaio su Ghilò sono aggressioni programmate, che i bambini sono le loro vittime preferite, che Sharon è una belva assetata di sangue e che è a causa sua che adesso il Medio Oriente è in fiamme; che, nonostante il giudizio di non colpevolezza di due processi, è lui il perpetratore consapevole di una strage di palestinesi compiuta vent'anni fa dalla falange libanese. Ripeti la barzelletta che l'esercito israeliano usa gas nervino e uranio impoverito, che lancia caramelle avvelenate ai bambini. Metti per iscritto in un bel documento firmato da tanti Paesi Mediorentali, africani e anche europei, alla conferenza dell'ONU sul razzismo, che Israele è un Paese razzista, tornando così a quella inverosimile risoluzione da Guerra Fredda che l'ONU ha dovuto cancellare quando è caduta l'URSS, ovvero "sionismo eguale razzismo". Ripeti la bestemmia che l'unico Paese disperatamente democratico del Medio Oriente, un Paese democratico in guerra, l'unico del mondo in questa situazione, non è degno di essere considerato un partner dai Paesi civili... ripetilo, mentre nessuno ha il coraggio di farti rilevare che i Paesi mediorientali non godono di un centesimo delle libertà civili e dei diritti umani di cui gode quel Paese... sarai creduto.
    Perché? Le risposte sono complesse, ognuno di noi può trovarne almeno tre o quattro: la semplificazione di un conflitto in cui Israele appare molto più forte; il desiderio europeo di togliersi il senso di colpa accusando finalmente gli ebrei di terribili responsabilità; l'eredità del Terzomondismo, della Guerra Fredda, del Comunismo. L'antisemitismo, perché osservando molto bene e nei particolari come l'informazione sui fatti non sfondi un complesso muro di menzogne, come ciò che appare palese a un osservatore onesto è tutto il contrario di ciò che la gente vede e sa di questo conflitto, il pensiero non può che correre a quella muraglia di bugie che le ideologie assassine del Ventesimo secolo costruirono intorno agli ebrei: i nazisti per sterminarli; i comunisti per confinarli, perseguitarli, ghettizzarli, e in parte anche per ucciderli. Abbiamo oggi i mezzi per fermare una nuova Grande Menzogna, che non si sa in quale direzione corra? Gli intellettuali tedeschi, quelli italiani, gli uomini che in Europa assistettero alla sua costruzione, non seppero, allora, farlo. Eppure era chiara, era ridicola, era insomma una menzogna. Oggi siamo avvertiti dal passato, ed esiste lo Stato d'Israele. I mezzi per affrontarla sono migliori. Ciò che è da verificare è la nostra forza morale, la volontà di impegnarci in un duro confronto di opinione.
   
(da "Shalom", mensile ebraico di informazione e cultura, settembre 2001)



UNA PACIFISTA ISRAELIANA APRE GLI OCCHI


Con gli occhi aperti

    Edna Shabtai, tra i membri fondatori di Peace Now (Pace Adesso), ha pubblicato una lettera che ha scritto all'ex deputata Geulah Cohen, sua oppositrice politica. La Shabtai afferma nella lettera di ammettere adesso che l'entità palestinese non desidera altro che sradicare la presenza ebraica in Israele. In seguito, la Shabtai ha spiegato: "Ora, dopo gli ultimi mesi, chiunque tenga gli occhi un minimo aperti riesce a comprendere il disegno e l'ambizione di Arafat: la conquista di Eretz Israel (...). Questo per noi equivale ad una condanna a morte (...). Ripenso all'invocazione del 1° gennaio 1942 di Abba Kovner all'indirizzo della Comunità ebraica lituana che cominciava con "Giovani ebrei, non abbiate fiducia di coloro che vi portano sulla cattiva strada (...). Non fatevi ammazzare come un branco di pecore." Dobbiamo riconoscere che questo è ciò che ci aspetta se permettiamo che continuino a tenerci le mani legate e gli occhi bendati..."
    In altri passi della lettera alla sua ex oppositrice politica Geulah Cohen, la Shabtai scrive: "Il governo deve immediatamente proclamare che Israele riconosce lo stato di guerra mossa da e sotto gli auspici dell'Autorità Palestinese nel corso dei nove mesi passati. Questa è la guerra del terrorismo, la risposta dell'AP alla mano di pace generosamente offertagli dal Primo Ministro Barak... In luogo della pace, i palestinesi hanno risposto sguinzagliando i killer dopo avergli fatto il lavaggio del cervello, allo scopo di uccidere bambini e giovani nelle nostre città, perpetrando gli eccidi di massa che rappresentano un oltraggio al cuore di tutta l'umanità. Dal 2 giugno, la mattina dopo il massacro dei bambini, Israele si considera in uno stato di vera e propria guerra e farà tutto il possibile per proteggere se stessa e i suoi cittadini, secondo le leggi del diritto internazionale".

(da "Shalom", mensile ebraico di informazione e cultura, settembre 2001)



IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE PRENDE POSIZIONE CONTRO ISRAELE


    Il Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), un'organizzazione internazionale di oltre 340 chiese che si impegna per l'"unità delle chiese" a livello mondiale, ha preso posizione sul conflitto mediorientale. Il 5 febbraio di quest'anno il Comitato Centrale del CEC a Ginevra aveva già espresso una posizione che, oltre all'ottenimento di una "totale e giusta pace" nella regione, chiedeva la "fine dell'occupazione israeliana". Particolare attenzione veniva dedicata in quel documento allo stato futuro di Gerusalemme, al ritorno dei profughi palestinesi, al crescente numero di insediamenti israeliani e all'osservanza di tutte le rilevanti risoluzioni dell'ONU che chiedono, tra l'altro, il totale ritiro da "tutti i territori arabi occupati".
    Alla fine di giugno è stata inviata nella regione una delegazione del CEC per prendere contatto con rappresentanti cristiani e organizzazioni per i diritti umani in Gerusalemme, Ramallah e Betlemme e avere sul posto un quadro migliore della situazione. Dopo la visita la delegazione ha divulgato una relazione:
    "... Il circolo vizioso della violenza continua. L'istigazione dei militanti degli insediamenti e la protezione dei coloni da parte dell'esercito israeliano costituisce uno sviluppo preoccupante..."
    La quotidiana minaccia dei cittadini israeliani da parte dei cecchini palestinesi e il crescente numero di vittime israeliane del terrorismo non sono neppure menzionati nella relazione.
    In seguito, nei giorni 6-7 agosto, 50 membri del CEC si sono trovati a Ginevra in una consultazione sul Medio Oriente per esprimere solidarietà al popolo palestinese in questo tempo difficile. I delegati del CEC hanno preso la decisione di collaborare più strettamente con partner regionali e internazionali per boicottare le merci che arrivano in Cisgiordania dagli insediamenti israeliani, per procedere alla formazione sul posto di un "Team ecumenico di sorveglianza" e, soprattutto, per coordinare la comune opera ecumenica in Gerusalemme. Tra i partecipanti erano presenti, oltre ai delegati CEC di più di 15 paesi, rappresentanti di diverse organizzazioni per i diritti umani, numerosi gruppi palestinesi e un inviato del Vaticano.
    In una prossima riunione del Consiglio Esecutivo del CEC, prevista per il periodo 11-14 settembre, un particolare accento sarà posto sulla "fine della violenza dell'occupazione in Palestina".

(International Christian Embassy Jerusalem, 29.08.01)



INDIRIZZI INTERNET


Christians for Israel
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