Notizie su Israele 49 - 17 ottobre 2001


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Salvaci, o SIGNORE, Dio nostro, e raccoglici di tra le nazioni, perché celebriamo il tuo santo nome e troviamo la nostra gloria nel lodarti. Benedetto sia il SIGNORE, il Dio d'Israele, d'eternità in eternità! E tutto il popolo dica: «Amen!» Alleluia.

(Salmo 106.47-48)



L'odio contro Israele è odio contro il Dio di Israele, che non è una delle tante divinità nazionali, ma è l'unico vero Dio che ha "creato i cieli e li ha spiegati, che ha disteso la terra con tutto quello che essa produce" (Isaia 42.5). In questo foglio sono riportati due articoli che esprimono la comprensibile preoccupazione per il subdolo dilagare di questo sentimento omicida.

M.C.


L'INCONTENIBILE ODIO CHE PORTA AL TERRORISMO SUICIDA

Antiamericanismo e antisionismo sono il filo rosso che unisce Durban a New York

Dalla teoria alla pratica

Articolo di Fiamma Nirenstein

    Dopo che i terroristi islamici hanno seminato morte e distruzione nel cuore degli Stati Uniti, non posso fare a meno di tornare con la mente all'esperienza di Durban, dove ho sperimentato l'angoscia del retroterra teorico di quello che, nella pratica, è poi accaduto a New York e a Washington: in Africa ho visto il sincretismo dell'ideologia della Guerra Fredda con quella arabo-islamista; ho visto il fallimento della "società civile", le cui organizzazioni non governative (ONG) esistevano, proprio come ai tempi dell'URSS, solo a patto di pagare il loro pedaggio alla ideologia dominante dell'ONU. Nonostante la debole opposizione dei Paesi Occidentali, contro gli Stati Uniti che avevano fatto con Israele la scelta più ragionevole: andarsene dalla pazza folla.
    Tornavo a Tel Aviv da Durban pochi giorni or sono: sull'aereo che durante la notte mi riportava in Israele, restavo in un dormiveglia intriso di angoscia. Pensavo agli ebrei che giravano con le targhette di riconoscimento rovesciate e si toglievano la kippà per non essere assaliti; alle riunioni delle ONG dominate dai palestinesi trasformate in tribunali per supposti crimini contro l'umanità, da cui gli ebrei sono stati spesso estromessi e tacitati con la forza; come sintomi di ubriachezza o di malattia, mi balenavano gli incredibili contenuti dei documenti preparatori che sostenevano che l'America è la causa dei mali di tutto il mondo e Israele è uno stato razzista, un Paese di apartheid. Il consesso internazionale veniva chiamato durante la conferenza sul razzismo a pronunciarsi per una condanna totale degli ebrei e di Israele, a dichiarare illegittima la sua esistenza. E ad addossare agli Stati Uniti le colpe di fondo dell'oppressione dell'umanità, della schiavitù, dell'arretratezza. E non si facciano errori: le ONG, nonostante la lotta strenua di alcuni coraggiosi (fra cui gli italiani devono conoscere il nome di Massimo Pieri e del suo gruppo di ragazze e ragazzi infaticabili) hanno prodotto il peggiore di tutti i documenti possibili, chiamando la "società civile" mondiale, dai maja ai tibetani a tutti gli oppressi dal razzismo, a fare loro la lotta contro Israele come fosse una lotta etica, di diritti civili, ad avventarsi contro Israele e a condannare gli USA. E' vero, molti gruppi etnici e culturali lamentavano il "sequestro" della Conferenza da parte palestinese, ma gli stessi (salvo pochissimi) prima di parlare dei propri diritti calpestati si affrettavano a porgere un tributo alle sofferenze del popolo palestinese, terribili sofferenze inflitte senza tregua dagli ebrei, un popolo terribilmente criminale, assassino, genocida, sostenuto dagli americani: questo era il prezzo da pagare al politically correct del linguaggio globalizzato di sinistra, cui nell'assemblea della Conferenza hanno dato voce Fidel Castro e Arafat con accenti d'odio. Tracce più o meno potenti di questo odio si potevano trovare in quasi ogni intervento dei leader africani e mediorentali. E il documento finale, frutto di grandi scontri con i Paesi del Terzo Mondo, non è affatto, come si è voluto ripetere in maniera consolatoria e compromissoria, un buon documento: basti pensare che l'Olocausto e l'antisemitismo, lungi dall'essere indicati come le peggiori espressioni del razzismo nel documento dedicato a questo, sono confinate esclusivamente nella parte dedicata al Medio Oriente.
    Basti pensare che l'unica parte che parli di un conflitto politico è quella sul Medio Oriente. E che la piattaforma di Arafat, ovvero il "diritto al ritorno" e la "commissione internazionale" sono nella risoluzione di una Conferenza sul razzismo!
    Tornata in Israele, lo stesso giorno ci sono stati quattro attentati, di cui due suicidi, con cinque morti. E poi, l'immenso disastro americano. Per chi ha visto Durban, la connessione fra la dimensione teorica di quell'evento e la pratica omicida di questo, è evidente: l'odio antiamericano che si condensa nell'odio contro Israele si nutre infatti non certo del conflitto territoriale mediorientale, ma dell'idea base che esistano delle forze del Bene e delle forze del Male, in cui il Male è tutto identificato con l'avidità, la corruzione, la indegnità dell'Occidente. La maggior parte dei leader del Terzo Mondo hanno applaudito deliranti interventi sulle colpe americane e di Israele, il colonialismo, l'imperialismo, il razzismo, lo sfruttamento, la criminalità, in cui (e qui sta il punto) il pastone ideologico della Guerra Fredda, il vittimismo-trionfalismo della sinistra dei tempi della Guerra Fredda, si trasformava, era la stessa cosa del vittimismo-trionfalismo dell'Islam estremo (sperando che quello moderato si faccia vivo, condanni, dica - prima o poi - qualcosa). L'antiamericanismo che si compendia nell'idea che l'Occidente sia il corruttore della natura buona dell'uomo, che occupi ciò che non gli appartiene, che il consumo lo renda feroce, che debba giungere un giorno il regno del Bene sgominando senza pietà il nemico, hanno traslocato nella battaglia islamista-antimperialista che ha poi creato il disastro di New York. La chiave "Israele" è là dai tempi della Guerra Fredda, appunto: il nemico sionista, l'aggressore colonialista, il razzista persecutore, è la bandierina che segnala la nuova divisione del mondo in blocchi, e da cui è nato l'attacco alle Twin Towers e al Pentagono. E da cui nasce ogni giorno, parimenti, l'attacco alle discoteche, alle strade, ai ristoranti in Israele. Che cosa doveva fare negli anni Settanta una conferenza contro il razzismo se non indicare i colpevoli in Americani e Israeliani? E che deve fare oggi? Lo stesso.
    Se si guarda la collezione di scritti e dichiarazioni che riguardano l'America e Israele ben prima dell'amministrazione Bush e di questa Intifada, si capisce che né la politica Americana, né lo scontro attuale sono cause dell'incontenibile odio che porta al terrorismo suicida, quale che ne sia la dimensione. Scriveva Al hajatt Al Jadida, il giornale dell'Autonomia palestinese: "La storia non ricorderà gli USA, ma ricorderà l'Iraq, culla delle civiltà, e la Palestina, culla delle religioni. Dall'altra parte, gli assassini dell'umanità, i creatori della cultura barbara e vampiri delle nazioni sono destinati alla morte". E quindi si scrive in altra parte del giornale: "la Casa Bianca deve diventare nera".

(da "Shalom", mensile ebraico di informazione e cultura, ottobre 2001)


IL NUOVO ANTISEMITISMO

Ancora "parole malate"

Articolo di Bruna Ingrao

     Siamo rimasti inerti quando i talebani hanno distrutto le solenni statue dei Budda scolpite nella roccia. Sembrava un gesto di follia fanatica, che straziava solo volti di pietra. Sappiamo però che quando si cominciano a bruciare i libri, presto si bruceranno anche gli uomini. Nella nostra storia, anche recente, i roghi dei libri hanno sempre acceso i roghi dei vivi. Quando si distruggono volontariamente e con ferocia i simboli che testimoniano la spiritualità di un popolo, anche i vivi sono minacciati. Molti uomini, infatti, e moltissime donne avevano già patito in Afghanistan la stessa pena di mutilazione e di morte inflitta ai Budda di pietra.
     Distruggere i simboli della spiritualità, del sentimento, della vita quotidiana che si rifiuta totalmente come altra e nemica, è un messaggio di odio e morte. Anche le Torri gemelle di New York sono state distrutte come i Budda di pietra. Oggi Bin Laden esulta perché i suoi commandos terroristi hanno abbattuto i simboli odiati seppellendo insieme tante innocenti vite.
     Non bisogna perciò trascurare, né dimenticare, per inerzia, perché sembra irrilevante nella tempesta delle tragedie che colpiscono i vivi, la forza distruttiva delle parole malate, che seminano odio, e predicano morte. Parole, ma parole che prima o poi possono colpire, e mantenere crudelmente le promesse feroci che avevano sparso nel vento invasivo dei mezzi di comunicazione di massa.
     Tra queste parole d'odio e di morte, tante volte ripetute nel mondo, rimbalzando da una rete televisiva all'altra, ce ne sono alcune cui a torto non si è prestata attenzione. Sono le parole di un nuovo antisemitismo che rischia di diffondersi e forse si è già diffuso, come un nuovo virus, tra i fanatici islamici. Un virus che purtroppo serpeggia e contagia ben oltre le armate guerriere di Bin Laden.
     E' necessario ricordare che la guerra santa contro gli ebrei è dichiarata negli intenti di fondazione dell'organizzazione terroristica Al Qaeda? Come spiega Gilles Kepel in un'intervista su La Stampa, ciò che più ossessiona Bin Laden è cacciare gli ebrei (e i cristiani) dalla penisola arabica. Bin Laden ha ripetuto con nuova enfasi nel suo recente messaggio televisivo l'intento di liberare la Palestina dalla presenza degli infedeli.
     Quel messaggio ha già avuto echi autorevoli nel mondo islamico, anche in voci che si dissociano dal terrorismo, che si esprimono in toni più sfumati, eppure ancora d'inaudita violenza. A quanto riferisce Magdi Allam nel Diario dall'Islam pubblicato su La Repubblica, alla Mecca, nell'occasione solenne della predica del venerdì, nella moschea affollata, il predicatore ha accusato Israele dei peggiori crimini contro l'umanità e ha invocato Dio a testimone "che gli ebrei hanno massacrato e terrorizzato i palestinesi". La predica è stata diffusa dalla televisione saudita. Il giornalista che racconta l'episodio commenta: "Il messaggio trasmesso è chiaro: noi musulmani siamo vittime di un complotto orchestrato da Israele>.
     Bisogna prestare attenzione alla natura di questo nuovo antisemitismo, d'eccezionale gravità e pericolosità per le conseguenze che potrebbe avere a più lungo termine, Bisogna esaminarlo con attenzione, ricordando con lucidità quei tratti che hanno connotato l'antisemitismo nella storia.
     L'antisemitismo non si presenta né mai si è presentato dichiaratamente, confessando una lucida follia d'odio verso gli ebrei. E' sempre stato argomentato e "motivato" con argomentazioni capziose, ripetute in modo ossessivo: "ragioni" che mirano a denunciare agli occhi del mondo le colpe presunte degli ebrei e a "smascherarne" le trame sotterranee. La propaganda antisemita di massa, a partire dalla fine del diciannovesimo secolo e poi nel corso del ventesimo secolo, ha additato gli ebrei come artefici nascosti dei mali del mondo, proclamando un diritto all'autodifesa da parte dei popoli "invasi" dall'aggressività ebraica: di volta in volta, i veri francesi, o i veri tedeschi, i veri cattolici, o i veri ariani, secondo l'inventività storica malata e i tragici miti di fondazione dei movimenti antisemiti. Questi miti di fondazione, queste leggende d'odio sono state divulgate sulla stampa, alla radio, nelle campagne elettorali, in opuscoli e libelli, persino dai pulpiti, facendo appello agli strumenti della propaganda capillare o di massa, confidando nella presunzione di verità che l'ampia diffusione e i mezzi di comunicazione potevano loro attribuire, nella patina di credibilità che la ripetizione e il martellamento sistematico delle coscienze avrebbero potuto raggiungere.
     E' con un brivido gelato nella schiena che si vede oggi riproporre lo stesso stereotipo: esplicito nelle dichiarazioni anti-semite radicali di Bin Laden e di altri movimenti fondamentalisti; presente e ben riconoscibile nella propaganda velenosa e rumorosa contro Israele che si è sentita alla conferenza di Durban con aperti toni razzisti; evidente nelle parole di autorità religiose e guide spirituali di taluni movimenti islamici; inconsapevole forse, ma altrettanto malato nelle dichiarazioni di un Casarini che invoca i bombardamenti dell'ONU su Israele.
     Gli ingredienti ci sono tutti: la colpa "oggettiva", l'ossessività, la propaganda martellante, l'autodifesa, la violenza. Non deve stupire d'altronde che questo tragico contagio culturale possa avvenire. Nel mondo contemporaneo, gli stereotipi culturali hanno una forza diffusiva, che travalica dall'una all'altra cultura, dall'uno all'altro movimento politico e che ha seppellito da un pezzo la purezza delle culture autoctone. Attenti studiosi hanno suggerito che il massacro dei tutsi in Ruanda ha attinto agli stereotipi razzisti di radice coloniale e forse più direttamente al modello dello sterminio degli ebrei.
     Bin Laden non ha pudore nell'additare in questa campagna gli ebrei in quanto tali, a fianco dei cristiani, come l'obiettivo dell'odio e della guerra santa. E' un antisemitismo dichiarato, pugnace, crudele. Né d'altronde un simile personaggio conosce il senso d'alcuna parola d'apertura e tolleranza. Altri parlano con voci appena velate da maggior pudore: è Israele il grande Satana, all'origine dei mali del mondo.
     Si addita ossessivamente, con violenza verbale, o con parole appena mascherate, Israele come il vero colpevole dell'attuale crisi internazionale. Si punta il dito sulla colpa israeliana, argomentata come un'oggettività storica e presentata come un gravissimo pericolo. Si diffonde la leggenda della mano sionista dietro gli attentati. Si proclama in modo ossessivo l'assoluta priorità, l'urgenza dell'autodifesa dall'invasività sionista o israeliana (o semplicemente ebraica!), prima e fondamentale emergenza tra le infinite tragedie, drammi e conflitti che lacerano la storia contemporanea. Si propaganda in modo militante, o si giustifica con benevolenza il diritto alla reazione violenta per difendersene, difendendo ora il mondo, ora l'Islam, ora la nazione araba, ora i poveri, ora la pace mondiale, ora la stabilità internazionale, ora qualche altra entità dalla colpa israeliana, ossessivamente rappresentata come la minaccia. Si diffondono queste "ragioni" d'odio con l'ausilio dei mezzi di comunicazione di massa, in modo martellante, con una propaganda continua, che tocca folle in preghiera, opinione pubblica dei paesi arabi, studenti di scuole e università islamiche, assise internazionali e infine la stessa opinione pubblica dei paesi europei.
     E' perfettamente ridicolo ritenere che il conflitto israelo-palestinese, pur nelle tante tragedie che ha provocato dall'una e dall'altra parte, possa essere considerato, se non strumentalmente e in una logica malata, la causa "ragionevole" del terrorismo islamico. E' ridicolo e irresponsabile. Allo stesso titolo, e forse con migliori e più solide ragioni in questa logica aberrante le popolazioni non islamiche del Sudan meridionale potrebbero a buon diritto radere al suolo con i loro kamikaze Khartoum o qualcuna delle capitali africane e medio-orientali che ne abbiano appoggiato il governo islamizzante. Al contrario: se non vi fossero stati il fondamentalismo islamico e la chiusura del mondo politico arabo, così settari e fanatici da negare per decenni il diritto all'esistenza dello stato d'Israele, praticando attivamente politiche d'esclusione ed espulsione delle comunità ebraiche, di cancellazione o d'asservimento della presenza ebraica nei loro territori, di guerra aperta, terrorismo e ostilità armata contro la comunità israeliana, probabilmente il conflitto sarebbe stato risolto da un pezzo: con qualche ragionevole compromesso, così come sono stati risolti e pacificati vari conflitti territoriali in altre zone del mondo.
     Le analogie che abbiamo delineato tra l'antisemitismo militante del ventesimo secolo e l'attuale serpeggiare nel mondo islamico di un antisemitismo esplicito o appena velato sotto forma d'odio a Israele, sono terribili e raggelanti. La possibilità che questa propaganda abbia forte presa sulle coscienze, lungi dal costituire motivo di comprensione o peggio giustificazione, deve essere motivo di gravissimo allarme. Dall'esperienza del Novecento sappiamo bene come i movimenti totalitari più distruttivi possano nascere dall'annebbiamento delle coscienze e raggiungere dimensioni popolari e di massa, radicati nella propaganda che identifica nemici da estirpare e crea fittizie identità collettive.

(da "Igaion", 10 Ottobre 2001)


LA "FESTA DELLE CAPANNE" CRISTIANA SUI MEDIA ISRAELIANI

La televisione e i giornali israeliani hanno più volte riferito sulla "Festa delle Capanne" cristiana organizzata a Gerusalemme dalla ICEJ (International Christian Embassy Jerusalem) all'inizio di ottobre. Quello che veniva maggiormanete sottolineato era il fatto che così tanti cristiani amanti di Israele non avevano avuto paura di venire a Gerusalemme nonostante tutte le agitazioni del momento. Qui di seguito vengono riportati alcuni brevi stralci di articoli:

MAARIV, 1.10.2001

Per la ventiduesima volta l'International Christian Embassy Jerusalem ha organizzato la sua Festa delle Capanne. E' stata la più grande manifestazione turistica in Israele di quest'anno.


JERUSALEM POST, 1.10.2001

Molti Ebrei che di solito in questi giorni di festa vengono in Israele quest'anno sono rimasti a casa per ragioni di sicurezza. Ma se non vengono più le schiere di Ebrei, i Cristiani restano fedeli nella loro fede e vengono.

Più di 2500 Cristiani provenienti da 50 nazioni sono attesi questa sera per la ventiduesima Festa delle Capanne dell'International Christian Embassy Jerusalem. La loro presenza nella capitale porterà circa 20 Mio. DM alla nostra industria turistica che in questo momento è a terra.


JERUSALEM POST, 4.10.2001

Nel 1980 un gruppo di cristiani evangelici che allora come oggi appoggiano Gerusalemme come capitale di Israele hanno fondato l'International Christian Embassy Jerusalem, che è la più grande organizzazione cristiana sionista del mondo.


JEDIOT AHARONOT, 5.10.2001

"Preghiamo", ha detto Malcom Hedding, Direttore dell'International Embassy. "Siamo venuti per adorarti, o Dio, e per benedire lo Stato di Israele e il suo Capo di governo (Ariel Sharon). Tieni la Tua mano su di lui. Nel nome di Dio e di Gesù, amen". Dentro di me ho pensato: "Se un giorno avverrà che il nostro Capo di governo sarà salutato in questo modo nel Parlamento israeliano, vorrà dire che veramente sono arrivati i giorni del Messia".

(ICEJ-Nachrichten" - Direkt aus Jerusalem , 12.10.01)


LIBRI


Rinaldo Diprose, "Israele e la Chiesa", Lux Biblica, 1998, Roma.


INDIRIZZI INTERNET


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