Ma avverrà, negli ultimi tempi, che il monte della casa dell'Eterno si ergerà sopra la sommità dei monti, e s'innalzerà al disopra delle colline, e i popoli affluiranno ad esso.
Sulle tue mura, o Gerusalemme, ho posto delle sentinelle,
che per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai.
Voi, che ricordate all'Eterno le sue promesse,
non state in silenzio, e non dategli riposo,
finché non abbia ristabilito e reso Gerusalemme la lode di tutta la terra.
Isaia 62:6-7
Papa ad Al Azhar: il terrorismo è falsificazione idolatrica di Dio
Grande Imam, islam lontano da terrorismo quanto cristianesimo
Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo? (Gv. 5:44)
IL CAIRO - "La violenza è la negazione di ogni autentica religiosità". Lo ha detto Papa Francesco alla Conferenza internazionale per la Pace organizzata al Cairo dall'Università di Al-Azhar.
"Volgendo idealmente lo sguardo al Monte Sinai - ha affermato -, vorrei riferirmi a quei comandamenti, là promulgati, prima di essere scritti sulla pietra. Al centro delle 'dieci parole' risuona, rivolto agli uomini e ai popoli di ogni tempo, il comando 'non uccidere'". "In quanto responsabili religiosi- ha proseguito -, siamo chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità". "Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio". "Solo la pace è santa - ha aggiunto - e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio". "Ripetiamo un 'no' forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio - ha ribadito il Papa -. Insieme affermiamo l'incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare.
Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica". "A poco o nulla serve alzare la voce e correre a riarmarsi per proteggersi: oggi c'è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione", ha detto ancora il pontefice, aggiungendo che i "populismi demagogici" certo "non aiutano a consolidare la pace e la stabilità". "Nessun incitamento violento garantirà la pace - ha concluso -, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza"
Da parte sua il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmed Al Tayyib, ha affermato che "l'islam non è una religione del terrorismo" come non lo sono il cristianesimo e l'ebraismo.
"L'islam non è una religione del terrorismo" solo "perché ci sono persone che hanno male interpretato" il suo messaggio "e hanno versato sangue di esseri umani, intimorito persone", ha detto il Grande Imam del più influente centro teologico e universitario dell'islam sunnita.
"Allo stesso modo il cristianesimo non è una religione del terrorismo", ha aggiunto con implicito riferimento alle Crociate, solo "perché c'è stata una comunità che ha alzato la croce" e ucciso ("raccolto anime").
"Allo stesso modo neanche l'ebraismo è una religione del terrorismo" per "l'occupazione dei territori palestinesi. Neanche la civilizzazione europea e americana a causa delle bombe di Hiroshima", ha proseguito il Grande Imam.
"Quindi - ha sottolineato - se si qualifica l'islam 'terrorista' non si salverà alcuna religione o civilizzazione", ha sostenuto Al Tayyib.
"Dobbiamo purificare le religioni da tutto quello che semina l'odio e da qualsiasi deviazione", ha sottolineato il Grande Imam di Al-Azhar. "Vi ringrazio, o Papa, per le vostre giuste dichiarazioni che non qualificano l'islam come terrorismo", ha detto ancora Al-Tayyib, definendo la visita del pontefice "storica", che avviene "durante una catastrofe umana estremamente triste". "La storia non ha mai conosciuto una catastrofe simile", ha aggiunto il capo dell'istituzione del Cairo. "Le catastrofi del mondo - ha proseguito - sono causate dal commercio delle armi per far funzionare le fabbriche della morte".
"Le crisi del mondo sono - ha concluso - sono causate dall'ignoranza delle religioni celesti".
(ANSAmed, 28 aprile 2017)
Perfetto! Non si poteva presentare in modo migliore l'ideologia che fra non molto sosterrà l'ORU (Organizzazione delle Religioni Unite). Religioni unite e tutte "celesti", naturalmente, come dice il Grande Imam che tesse l'elogio del Grande Papa. E tutte anelanti alla PACE. Ma è vero: sarà la paura del terrorismo a spingere il mondo verso le "religioni celesti" della PACE universale. Nel consesso cattolico-islamico d'Egitto oggi manca l'interlocutore ebreo, ma la PACE arriverà quando si troverà l'«uomo della provvidenza» che riuscirà a "trovare la quadra" stringendo un patto di PACE anche con quel testardo di Israele. A quel punto il mondo otterrà la sicurezza daver raggiunto finalmente quello che i religiosi celesti come il Grande Imam e il Grande Papa oggi predicano a tutti: la PACE.
"Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno" (1 Tessalonicesi 5:3). M.C.
Israele: l'Autorità per la Cyber Difesa sventa pericoloso attacco informatico
di Paolo Castellano
L'Autorità per la Cyber Difesa israeliana il 26 aprile ha annunciato di aver sventato un importante cyber attacco a 120 diverse organizzazioni israeliane sia pubbliche che private.
Per ingannare i loro bersagli, gli hacker avevano inviato parecchie email ingannevoli attraverso i server di un istituto accademico e di un'azienda privata. Gli attacchi volevano colpire differenti target come aziende, ministeri governativi, istituzioni pubbliche e privati cittadini israeliani che lavorano nel campo della ricerca accademica, riporta il sito web del Jerusalem Post.
Gli attacchi sarebbero potuti andare a buon fine a causa di una falla informatica (CVE-2017-0199) del sistema operativo Microsoft, (un bug di Microsoft Word). Negli ultimi giorni l'azienda però si è mossa per riparare le vulnerabilità venute a galla dopo le indagini dell'Autorità israeliana per la Cyber Difesa. «Microsoft ha rilasciato un aggiornamento che impedisce all'attaccante di sfruttare questa vulnerabilità, e noi raccomandiamo di istallarlo», ha affermato l'organismo in un comunicato.
Secondo l'ente di sicurezza israeliano, un simile attacco informatico sarebbe già stato fatto in precedenza dall'OILRIG, una delle organizzazioni di hacking più attive a livello mondiale e sponsorizzata dal governo iraniano.
La notizia dello sventato attacco informatico è arrivato due giorni dopo l'invio di una lettera a Benjamin Netanyahu da parte dei vertici dello Shin Bet, del Mossad, dell'IDF e del ministero della Difesa in cui si chiede al primo ministro israeliano di revocare i numerosi poteri dati all'Autorità per la Cyber Sicurezza perché impedirebbero un'efficace strategia militare contro il terrorismo informatico. «La proposta di legge vuole garantire ampi poteri all'Autorità per la Cyber Difesa, i cui propositi non sono ancora stati definiti con chiarezza, e ciò potrebbe danneggiare seriamente la principale attività degli enti militari che si occupano di sicurezza nel campo digitale», si legge nel documento.
Prima delle vacanze pasquali, Israele si stava preparando per il quinto attacco annuale da parte del gruppo di hacker chiamato Anonymous. L'evento denominato #OpIsrael è stato pubblicizzato dal gruppo sui social media per mezzo di numerosi video in diverse lingue che incitano gli utenti del web ad "attaccare i siti governativi, i server e i database israeliani per disconnettere Israele dal mondo digitale".
Secondo il dipartimento di Cyber sicurezza dell'Istituto internazionale che contrasta il terrorismo, i gruppi che vogliono colpire Israele sono Anonymous Palestine, Anonymous Gaza, Anonymous Germany, Anonymous RedCult, AnonGhost e MinionGhost. Sulla pagina Facebook del #OpIsrael ci sono 98 utenti che hanno confermato la loro partecipazione al progetto, altri 118 invece sono solo interessati all'evento.
Diversi esperti di sicurezza informatica hanno dichiarato che l'#OpIsrael non può essere considerata una grande minaccia. Per ironia della sorte però gli attivisti che hanno supportato il progetto hanno dichiarato di essere stati a loro volta hackerati da altri pirati informatici. Secondo un documento di BleepingComputer, un sito italiano dedicato alla sicurezza digitale, gli attivisti sarebbero stati raggirati dopo aver scaricato un programma che conteneva un virus nascosto che consente agli hacker di avere accesso alle fotocamere degli attivisti, al loro microfono, ai messaggi di testo del browser, alle chiamate e alla localizzazione GPS. Non è però ancora chiaro chi abbia lanciato questo attacco informatico agli attivisti di Anonymous.
(Mosaico, 28 aprile 2017)
Rabbini del Novecento. Da Torino, l'esempio di tre Maestri
Marco Di Porto
ROMA - Al Centro Bibliografico stimolante incontro dedicato a tre figure di tre Maestri che hanno segnato la storia del rabbinato torinese e dell'ebraismo italiano: Dario Disegni, Sergio Josef Sierra, Menachem Emanuele Artom.
L'appuntamento si è svolto nell'ambito del ciclo di conferenze Rabbini italiani del '900, curato dalla coordinatrice delle attività del Centro Raffaella Di Castro e dal coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano Rav Gianfranco Di Segni, in collaborazione con il Centro di Cultura della Comunità Ebraica di Roma.
All'incontro sono intervenuti Rav Riccardo Di Segni, Rav Scialom Mino Bahbout, Rav Roberto Colombo, Rav Alberto Somekh, Dario Disegni, Shemuel Y. Lampronti e Aldo Zargani.
Su Rav Disegni, rabbino capo di Torino dal 1935 al 1959, sono intervenuti suo nipote e omonimo Dario Disegni, oggi presidente della comunità ebraica di Torino, della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia e della Fondazione Museo dell'Ebraismo Italiano e della Shoah, e Aldo Zargani, storico dirigente Rai e allievo del Rav da bambino. Ne è uscito un ritratto a tutto tondo, in cui a spiccare è stato il ruolo di guida della Comunità durante e dopo la guerra, l'impegno per la scuola rabbinica Margulies-Disegni (che oggi porta anche il suo nome) e per il progetto di una nuova traduzione del Tanach in italiano, tutt'oggi punto di riferimento.
La figura di Rav Sierra, rabbino capo di Torino tra il 1960 e il 1985, è stata ricordata dal nipote Shemuel Y. Lampronti e da Rav Alberto Somekh, che ne hanno illustrate alcune importanti caratteristiche: la grande tenacia, la forte attenzione all'aspetto etico delle Mitzvot (argomento al quale il Rav aveva dedicato un saggio dal titolo Il valore etico delle Mitzvot) e all'educazione dei giovani, nella sua altrettanto lunga stagione alla guida del rabbinato della rinascente Comunità torinese.
Su Rav Artom hanno infine parlato Rav Colombo e Rav Bahbout, sottolineando la sua grande sapienza: eccellente grammatico, storico, commentatore e traduttore, Artom fu Rabbino Capo di Torino dal 1985 al 1987, dopo esperienze a Perugia, in Israele e a Venezia.
"Tre personalità molto diverse tra di loro, che si sono confrontate con le particolari sensibilità della Comunità di Torino, sia politiche che intellettuali, e che ne hanno segnata la storia profondamente", ha commentato Rav Riccardo Di Segni.
Il prossimo incontro del ciclo di conferenze sarà dedicato ai rabbini di Firenze.
(moked, 28 aprile 2017)
A Yafo l'assemblea del Comites Tel Aviv
TEL AVIV - Il 21 aprile scorso il Bet Italia a Yafo ha ospitato l'assemblea del Comites (Comitato per gli Italiani allEstero) di Tel Aviv.
All'inizio dei lavori, il Comites si è congratulato con il Console Manniello per la nascita del figlio Francesco. Quindi sono stati affrontati i dviersi temi all'ordine del giorno.
Vitalizio alle vittime delle leggi razziali
La richiesta di accredito diretto dei vitalizi è stata inoltrata all'Ambasciata solo dal 28% dei circa 200 beneficiari ancora in vita ed alcuni dei moduli sono pervenuti con dati inaccurati o mancanti. Alcuni preferiscono proseguire con la modalità precedente, già collaudata e funzionante. Il maggiore impedimento burocratico sembra sia la necessità di richiedere o verificare il proprio codice fiscale. Il Comites ha rivolto un grazie particolare a Claudia Amati per l'assistenza offerta ai beneficiari nel disbrigo della pratica e al personale dell'Ambasciata per la collaborazione.
Aperikucha
Tre promotrici del progetto Aperikucha ne hanno presentato la formula vincente insieme ai programmi per il 2017, sostenuti anche da un finanziamento straordinario del Ministero degli Esteri che è stato ottenuto attraverso il Comites in collaborazione con l'Ambasciata. Il "contenitore" Aperikucha si è dimostrato particolarmente efficace per offrire una ribalta agli imprenditori italiani (e non) immigrati in Israele che operano con l'Italia. All'ultima edizione ha presenziato anche il Ministro per lo Sviluppo Economico, Mario Calenda, accompagnato dall'Ambasciatore Talò. Tutti gli italiani che abbiano una storia o un'idea da condividere (in soli sei minuti e quaranta secondi!) in ambito commerciale, tecnologico, accademico, artistico, culturale o altro, possono contattare Fiammetta Martegani (fiammettamartegani@gmail.com). Si è discusso anche della possibilità di "esportare" Aperikucha in altre città come Gerusalemme, Haifa e Beer Sheva.
Irgun Ole' Italia
Il marzo si è tenuta la seconda parte dell'assemblea nel corso della quale sono stati eletti alcuni consiglieri sparsi sul territorio i quali, in questi giorni, dovrebbero designare un proprio presidente.
Kol Ha-Italkim
Il Comites è stato interpellato per esprimere un parere (positivo!) sul notiziario degli italiani in Israele, Kol Ha-Italkim, nel quadro del contributo alla stampa italiana all'estero istituito dalla Presidenza del Consiglio (DL 63/2012 art.1 bis e DPR 138/14).
Piano di Emergenza
Come in tutti i paesi, anche in Israele esiste un piano di emergenza che prevede dei punti di raccolta coordinati da capi-maglia istruiti dall'Ambasciata. Il Console Manniello verificherà e comunicherà la lista dei punti di raccolta ed i riferimenti dei capi-maglia da contattare in caso di emergenza nella circoscrizione consolare di Tel Aviv (tutta Israele meno Gerusalemme ed i territori amministrati).
Aire
Il numero aggiornato degl iscritti all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero con residenza nella circoscrizione consolare di Tel Aviv è di circa 14600.
Soldati Solitari
Sembra che alcuni giovani italiani immigrati arruolatisi nell'IDF abbiano subito all'ultimo momento dei cambiamenti di data della cerimonia conclusiva dell'addestramento reclute, con conseguenti disagi per i familiari giunti dall'Italia per assistervi. In questi casi il Comites consiglia di rivolgersi all'Aguda' Lema'an HaChayal presso la quale la consigliera Paola Cantori (paolacan4@gmail.com) ha fatto volontariato per diversi anni.
Commemorazione di Yom HaShoah
Per motivi organizzativi la cerimonia di lettura dei nomi dei deportati dall'Italia uccisi dai nazifascisti durante la seconda guerra mondiale si è svolta quest'anno al tempio italiano di rechov Ben Yehuda a Tel Aviv invece che al tempio italiano "Ovadia da Bertinoro" di Ramat Gan, come era tradizione negli anni scorsi. Come sempre ha presenziato, partecipando anche alla lettura, l'Ambasciatore Talò.
(AISE, Agenzia Italiana Stampa Estero, 28 aprile 2017)
Donald, esordio da Netanyahu. Intesa sulla linea anti-Assad
di Giordano Stabile
BEIRUT - I cacciabombardieri israeliani colpiscono di nuovo Al-Assad e il suo alleato Hezbollah a Damasco e poche ore dopo Donald Trump annuncia la sua visita a Gerusalemme, il 22 maggio. Un'azione militare e un successo diplomatico che consolidano il nuovo legame fra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente Usa. Ed è sulla Siria, sulla necessità di «contenere» Assad rinvigorito dalla presa di Aleppo, che l'intesa si è cementata.
Il raid, nelle prime ore del mattino di ieri, ha colpito depositi di armi e di carburante all'aeroporto della capitale siriana. L'attacco è arrivato poco più di un mese dopo la serie di raid del 17 marzo, quando però la difesa antiaerea di Damasco aveva reagito e alcuni missili del sistema anti-aereo S-200 avevano puntato gli F-15 con la stella di David ed erano arrivati fin nello spazio aereo israeliano.
Due settimane dopo, il 4 aprile, è arrivato l'attacco con armi chimiche a Khan Sheikhoun. Il Mossad ha puntato subito il dito contro Assad. Ed è stato decisivo, probabilmente, nel convincere Trump a un raid di rappresaglia con missili Tomahawk sulla base dell'aeronautica di Al-Shayrat. In entrambi i casi la reazione di Mosca è stata dura a parole ma accomodante nei fatti, perché le forze armate russe non hanno attivato i più potenti sistemi S-300 e S-400, in grado in teoria di intercettare jet e missili.
Mosca non ha nessun intenzione di mollare Assad, ma non cerca neppure la rottura con Israele. Il raid di ieri è arrivato dopo una telefonata fra il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman e quello russo degli Esteri Sergey Lavrov. Lieberman ha ribadito che «Israele non permetterà all'Iran di installare un nuovo fronte in Siria». Poco dopo il bombardamento è stato di fatto rivendicato dal ministro dell'Intelligence israeliana Yisrael Katz: «Ogni volta che riceviamo informazioni sui progetti di trasferimento di armamenti a Hezbollah - ha commentato- noi agiamo». Nella notte, ha fatto sapere, erano atterrati aerei cargo carichi di armi dall'Iran.
In questo contesto arriva la prima visita all'estero di Trump. Ha scelto per il suo debutto sulla scena internazionale lo Stato ebraico. Obama ci mise 4 anni prima ad arrivare in Israele: in Medio Oriente i suoi primi viaggi furono in Turchia, Arabia Saudita ed Egitto. Anche la data, il 22 maggio, alla vigilia della festa della Città Santa e a ridosso del cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei giorni e della sua «riunificazione» sotto il controllo israeliano, è simbolica.
Il 1o giugno scade l'ordine presidenziale di Obama che ha congelato l'applicazione della legge che impone il trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Trump potrebbe annunciare anche questa svolta, prima di volare a Bruxelles e in Italia per il vertice Nato e il G7. Per Netanyahu sarebbe il trionfo.
(La Stampa, 28 aprile 2017)
In Israele si pensa che Trump non sposterà l'ambasciata
Israele ritiene che il presidente statunitense Donald Trump non sposterà per ora l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, come aveva più volte annunciato, nonostante la sua prossima visita nel paese indicata come possibile il prossimo 22 maggio.
Lo indicano vari commenti apparsi oggi sui media che, non solo citano le pressioni da parte dei paesi arabi, ma riprendono a questo proposito anche una dichiarazione rilasciata dal presidente Usa la scorsa notte in un'intervista alla Reuters. Ad una domanda sul possibile trasferimento dell'ambasciata, Trump ha evitato di rispondere invitando a porgli lo stesso quesito "tra un mese", epoca in cui dovrebbe arrivare in Israele. Ha sottolineato comunque di voler vedere "la pace tra israeliani e palestinesi. Non c'è alcuna ragione perché non ci sia".
Haaretz - che cita fonti al corrente dei fatti - sottolinea che Trump alla fine firmerà, come hanno fatto altri presidenti Usa, l'ordine presidenziale che sospende la legge che impone il trasferimento dell'ambasciata a Gerusalemme e che scade proprio ai primi del prossimo giugno.
(swissinfo.ch, 28 aprile 2017)
Viaggio in Israele organizzato dal "Gruppo Sionistico Piemontese"
Dal 3 al 10 settembre. "Politica, archeologia, cultura, natura"
Il Gruppo Sionistico Piemontese, presieduto da Emanuel Segre Amar, ha organizzato un viaggio in Israele nella settimana tra il 3 e il 10 settembre. Sono previste partenze da Roma e da Milano.
Il viaggio verrà accompagnato dal giornalista Giulio Meotti, fine conoscitore della realtà Israelo-Palestinese e dall'archeologo Dan Bahat, profondo esperto di Gerusalemme, e scopritore del tunnel che corre lungo il Muro Occidentale.
Per informazioni o iscrizioni:
Agenzia Easynite, info@easyisrael.it
(Gruppo Sionistico Piemontese, 28 aprile 2017)
Raid di Israele a Damasco. Razzi su sito di Hezbollah
Gerusalemme non conferma, ma ministro Katz ribadisce: agiamo per impedire il trasferimento di armi dall'Iran al Libano. Abbattuto un drone sul Golan.
di Luca Geronico
La voce di una «enorme» esplosione vicino l'aeroporto di Damasco, rilanciata di primo mattino dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, è stata subito dopo confermata da al-Manar, la tv vicina a Hezbollah. Molto «probabilmente», afferma la tv libanese, un attacco di aerei israeliani contro depositi di carburante e un non meglio precisato magazzino nei pressi dell'aeroporto internazionale, a 25 chilometri da Damasco. Poi, dall'agenzia ufficiale siriana Sana, precise accuse: le esplosioni sono state provocate da «un' aggressione israeliana compiuta con il lancio di missili contro installazioni militari» siriane. L'agenzia, citando «fonti militari», aggiunge che i missili sono stati lanciati dai «territori occupati», presumibilmente dalla parte delle Alture del Golan occupate dall'esercito israeliano, e hanno provocato solo «danni materiali».
I media siriani avevano riferito di un precedente bombardamento in quest'area nel dicembre del 2014. Diverse fonti ritengono che dall'aeroporto di Damasco passi buona parte dei carichi di armi inviate dall'Iran per Hezbollah. L'esercito israeliano ieri si è trincerato dietro un freddo no comment, come in passato quando aveva compiuto altri raid su depositi di armi nell'area, che sospettava fossero destinate allo stesso Hezbollah. Tuttavia il ministro israeliano dell'Intelligence, Yisrael Katz, ha dichiarato che una esplosione di quel genere è coerente con la politica di Israele. «Stiamo agendo per impedire il trasferimento di armi sofisticate dalla Siria a Hezbollah in Libano tramite l'Iran», ha detto Katz.
«Quando riceviamo serie informazioni sull'intenzione di trasferire armi a Hezbollah, agiamo. Questo incidente è totalmente coerente con questa politica», ha affermato. La Russia ha condannato come «atti di aggressione» contro la Siria, i raid israeliani e ha lanciato un appello «a tutte le parti» in causa a usare «moderazione» in Siria. Ma in serata è giunta la notizia che Israele ha abbattuto con un missile Patriot un obiettivo, probabilmente un drone, proveniente dalla Siria.
Intanto in Siria si continua a morire ogni giorno: dieci persone, tra cui due neonati in incubatrice, sono morte a seguito di raid aerei contro due strutture sanitarie nel nord-ovest della Siria in mano ai ribelli. Altre nove persone, tra cui cinque bambini, sono morte in altri raid contro diversi villaggi della stessa regione, come ha indicato dall'Osservatorio siriano dei diritti umani che indica come responsabili jet russi. A Damasco, invece, si sono celebrati nei giorni scorsi i funerali di cinque siriani rapiti dai jihadisti e trovati morti in Libano. Quanto sia alta la tensione lo testimoniano le dichiarazioni del ministro degli Esteri britannico Boris Johnson: se gli Usa chiedessero un appoggio militare in nuovi ipotetici bombardamenti contro le forze governative in Siria per Londra «sarebbe difficile dire di no», ha dichiarato. Ieri Trump ha chiesto al Pentagono, di determinare il numero di truppe Usa in Iraq e Siria. Inoltre, sempre sul fronte diplomatico, la Siria ha definito una «campagna di inganni, bugie e accuse inventate» le prove annunciate mercoledì dalla Francia sull'attacco chimico del 4 aprile a Khan Sheikhoun. Anche questo, presumibilmente, materiale di discussione al prossimo vertice di Astana del 3 e 4 maggio a cui parteciperanno Russia, Turchia e Iran.
(Avvenire, 28 aprile 2017)
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In Siria non c'è la guerra mondiale ma molti raid israeliani
Ennesimo bombardamento sull'aeroporto internazionale di Damasco. Assad aveva promesso vendetta contro Gerusalemme
di Daniele Raineri
ROMA - Tre settimane fa il presidente americano, Donald Trump, ordinava un attacco limitato con missili contro una base aerea dell'aviazione siriana, in risposta a una strage con armi chimiche compiuta dagli assadisti tre giorni prima contro un piccolo centro abitato nella zona non controllata dal governo. Cosa è successo dopo? A dare retta ai commenti fatti a caldo in quei giorni, si era ormai sull'orlo di una guerra mondiale contro la Russia, grande sponsor del presidente siriano Bashar el Assad. Come se la Russia fosse subito pronta a scatenare una guerra per difendere l'inviolabilità della base siriana di al Shayrat, nella pianura spenta a sud della città minore di Homs. E di Assad in particolare si diceva che mai e poi mai avrebbe autorizzato un bombardamento chimico contro i civili, non poteva essere stato lui, perché sarebbe stato un suicidio politico-militare - e chissà cosa gli sarebbe successo ora. Non gli è successo nulla, oggi sappiamo la risposta. Il raid americano era un "one-off", un colpo singolo dimostrativo, sei soldati sono morti, Bashar el Assad è al suo posto a Damasco e la guerra civile va avanti come prima. Come misura cautelativa tutti gli aerei siriani sono stati spostati in una base vicino alla costa assieme con gli aerei russi, così gli americani prima di lanciare missili anche lì ci penseranno due volte - ed è probabile che il governo siriano abbia deciso di sospendere l'uso di armi chimiche per il futuro. Le denunce di chi diceva che la Siria ha tradito l'accordo del 2013 e conserva ancora scorte di armi chimiche sono state confermate, pure in questo caso non si segnalano conseguenze.
L'esercito israeliano una settimana fa ha detto che le scorte di agente nervino ancora in possesso del governo siriano sono stimate tra una e tre tonnellate. Due giorni fa un rapporto dei servizi segreti francesi - che si sono procurati campioni delle armi chimiche usate nella strage di Idlib - è stato reso pubblico dal governo Hollande e ha confermato la responsabilità di Bashar el Assad. Nel rapporto c'è anche un'informazione importante, il gas sarin usato a Idlib contiene una sostanza che è come una firma chimica, in inglese il nome è "hexamine". E' uno degli ingredienti usati per creare il sarin, che di suo è una sostanza altamente instabile e corrosiva e quindi ha bisogno di una componente stabilizzante, come appunto l'hexamine. La stessa sostanza è stata trovata anche in altri attacchi chimici imputati al governo siriano, come quello dell'agosto 2013 a Ghouta che fece millequattrocento morti. Se si va a sfogliare l'inventario delle sostanze chimiche consegnate dal governo siriano nel settembre 2013 per evitare i raid aerei americani ci sono anche ottanta tonnellate della stessa sostanza - in pratica la Siria ammette di usare l'hexamine come stabilizzante per le sue armi chimiche e però nega di avere compiuto stragi chimiche in cui ci sono tracce della stessa hexamine. Il rapporto francese sostiene che il sarin è stato prodotto nel Centro per la ricerca e studi scientifici vicino Damasco, un'installazione che si occupa di tecnologia militare. Anche il governo americano è arrivato alla stessa conclusione e quattro giorni fa ha imposto sanzioni contro tutti i 271 dipendenti che ci lavorano - e di nuovo ha ignorato le giustificazioni bizzarre fornite dai russi, come per esempio il racconto del bombardamento casuale di una fabbrica di sarin in mano ai ribelli. Se assieme a questi rapporti si considera che il pilota che ha sganciato la bomba chimica è stato individuato e che le comunicazioni militari erano tenute sotto sorveglianza, il quadro è sempre più chiaro. L'uso di armi chimiche in guerra da parte del governo siriano è spesso affrontato in modo vago sui media, ma ormai - a dispetto del fatto che Damasco tenta di coprire tutto sotto un ovvio schermo di segretezza - ci sono molte informazioni a disposizione sugli uomini, i posti e le analisi chimiche legati agli attacchi più gravi. Prima o poi i dati finiranno per fare parte di un dossier d'accusa davanti a un tribunale internazionale.
Nella notte tra mercoledì e giovedì c'è stato un nuovo, ennesimo raid aereo israeliano, questa volta contro l'aeroporto internazionale di Damasco, che è anche uno scalo importante per gli iraniani e le milizie libanesi di Hezbollah alleate di Assad. Il ministro dell'intelligence israeliano, Israel Katz, non ha confermato ma ha detto che l'attacco "è coerente con la politica di Israele: impedire i trasferimenti di armi sofisticate a favore di Hezbollah". Da novembre 2016 questi raid israeliani si sono molto intensificati. A marzo il governo siriano aveva promesso rappresaglie durissime in caso di attacchi israeliani, ma come fu per la promessa di consegnare le armi chimiche, anche questa finora è stata a vuoto. Ieri sera un missile Patriot israeliano ha colpito un drone siriano che aveva sconfinato sulle alture del Golan.
(Il Foglio, 28 aprile 2017)
Scienziati israeliani sviluppano test del sangue per il cancro al polmone
Scienziati israeliani sviluppano test del sangue per il cancro al polmone. Il nuovo test, sviluppato da scienziati israeliani della Nucleix, è in grado di diagnosticare la malattia molto prima che si diffonda nel corpo, aumentando così le possibilità di sopravvivenza.
Ogni anno, sono circa 1,8 milioni i nuovi pazienti affetti da cancro al polmone alcuni dei quali muoiono ad un anno dalla diagnosi. La maggior parte delle volte il cancro viene scoperto casualmente, dopo un test di screening, oppure a causa di sintomi anormali come una tosse prolungata, sangue, difficoltà respiratorie o perdita di peso.
La diagnosi della malattia avviene di solito tramite una TAC, ma il suo livello di accuratezza non è elevato, e nel 25 per cento dei casi, la scintigrafia polmonare mostra lesioni di cui solo il 3% sono davvero cancerose.
Il nuovo test è stato sviluppato dal Dott. Elon Ganor, CEO di Nucleix, in collaborazione con il Dott. Danny Frumkin, il Dott. Adam Wasserstrom e il Dott. Ofer Shapira. Il test si basa sulla caratterizzazione genetica del cancro.
La citosina è una delle quattro basi principali che si trovano nel DNA ed è tenuta insieme da tre atomi di idrogeno.
Uno studio condotto dal Prof. Haim Cedar dell'Università Ebraica di Gerusalemme ha trovato che i legami di idrogeno servono come una sorta di attivazione o disattivazione di diversi geni che hanno un effetto decisivo sulla suscettibilità al cancro e ad altre malattie. Quando un certo cambiamento si verifica sulla stessa molecola, inizia una divisione selvaggia ed incontrollata della cellula che causa la formazione del tumore.
I ricercatori israeliani sono stati in grado di isolare questo cambiamento e sono riusciti a progettare un esame del sangue innovativo che lo identifica. Per esaminare l'efficacia dello sviluppo, sono stati condotti due studi, coinvolgendo 170 volontari in ogni studio: 70 erano pazienti affetti da cancro al polmone e 100 erano in buona salute, ma appartenevano a gruppi ad alto rischio di cancro al polmone, come ad esempio forti fumatori.
I risultati hanno mostrato una specificità del 94% (vale a dire, il 94% dei soggetti sani sono stati identificati appunto come sani), e una sensibilità del 75% (vale a dire, il 75% dei pazienti sono stati infatti identificati come malati). Si tratta di un livello molto elevato di accuratezza.
I ricercatori prevedono che entro due anni il test sarà commercializzato e indicato per le persone di età superiore ai 50 anni che sono considerati forti fumatori o per quelli esposti a fumo passivo.
Queste le parole del Dott. Eolon Ganor a Ynetnews:
Si tratta di un risultato davvero significativo dopo otto anni di lavoro. Abbiamo sviluppato il test qui in Israele e sogniamo di dare un contributo significativo all'umanità e salvare vite umane. Siamo convinti che questo test potrà davvero salvare centinaia di migliaia di persone ogni anno in tutto il mondo.
(SiliconWadi, 28 aprile 2017)
Droni subacquei ed archeologia marina
COMUNICATO STAMPA
Nel quadro del suo programma volto far conoscere i molteplici aspetti della realtà dello Stato d'Israele, l'Associazione Italia-Israele di Firenze ha promosso per sabato 29 aprile alle ore 17.30, presso Le Murate, un incontro introdotto dal Prof. Benedetto Allotta, ordinario di Meccanica applicata alle macchine, sulle esperienze di ricerca di archeologia subacquea condotte in collaborazione tra l'Università di Firenze e l'Israel Antiquities Autorithy.
Dal 2010 il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Firenze (DIEF) ha sviluppato vari droni subacquei nell'ambito di progetti di ricerca nazionali ed internazionali. Nel 2014 un gruppo di ricercatori dell'Università di Firenze ha partecipato ad una missione archeologica di due settimane in Israele svolta in collaborazione con la Israel Antiquities Authority (IAA) e l'University of Rhode Island (URI). E' stato il primo passo di una proficua collaborazione con la IAA e sono in programma nei prossimi due anni campagne nelle acque israeliane tra Caesarea e Akko con l'utilizzo di robot sviluppati dall'Università di Firenze in collaborazione con MDM Team SRL, Spin-Off Accademico UNIFI nell'ambito del progetto ARCHEOSUB cofinanziato dall'Unione Europea. Dal 1985 il tratto di costa è sotto la lente degli archeologi perché vi si trovano i resti di un villaggio neolitico (Atlit Yam) e relitti di tutte le epoche. Recentissimo è il ritrovamento di un ingente quantitativo di monete d'oro nei pressi del porto di Caesarea.
La conferenza illustrerà, anche con l'aiuto di filmati, l'affascinante approccio ai tesori sommersi tramite i droni subacquei, con particolare riferimento alle problematiche dell'archeologia subacquea in Israele.
Invito
(Associazione Italia Israele di Firenze, 28 aprile 2017)
Gran Mediterraneo, una nuova torre verde per Tel Aviv
Giardini e orti verticali per l'avveniristico grattacielo a spirale che rinnoverà lo skyline di Tel Aviv
Gran Mediterraneo - Tel Aviv
Si chiama Gran Mediterraneo il nuovo grattacielo che verrà realizzato a Tel Aviv e che unisce le più moderne tecnologie alla natura. La torre, progettata dall'architetto francese David Tajchman, è ricoperta di facciate vetrate a specchio e calcestruzzo bianco realizzato utilizzando le ultime tecnologie digitali.
Orti, giardini verticali e una stazione di ricarica per veicoli elettrici
Gran Mediterraneo sarà destinato agli usi più svariati. Oltre ad ospitare appartamenti, hotel e un parcheggio automatizzato per veicoli elettrici dotato di stazioni di ricarica, prevede anche orti e giardini verticali, spazi ricreativi e addirittura un centro termale.
Un'icona per la città
La torre vuole rinnovare lo skyline di Tel Aviv puntando su verticalità e forme avveniristiche.
"Con la sua geometria particolare che gli dà un effetto a spirale- ha dichiarato l'architetto- il grattacielo crea una rottura con l'ambiente urbano che lo circonda, diventando un'icona per la città."
(Casa e Clima, 28 aprile 2017)
Trump in Israele nei giorni della festa per i 50 anni della "riunificazione di Gerusalemme"
Il viaggio del presidente americano il 22 maggio
L'arrivo in Israele del presidente Donald Trump - del cui viaggio nello stato ebraico si è appreso ieri - è previsto per il 22 maggio prossimo. Lo scrivono i media israeliani che citano una fonte ufficiale anonima. Trump - che ripartirà dal paese il giorno dopo - sarà raggiunto, secondo la stessa fonte, dalla figlia Ivanka, dal genero Jared Kushner insieme all'ambasciatore all'Onu Nikki Halevy e il segretario di stato Usa Rex Tillerson.
L'arrivo per quel giorno di Trump in Israele coincide con alcune date importanti per la storia del paese. Il 23 maggio Israele festeggerà i 50 anni della «riunificazione di Gerusalemme» avvenuta con la Guerra dei 6 giorni nel 1967. Inoltre - ha ricordato qualche media - il 1 giugno termina l'effetto dell'ordine presidenziale con il quale l'ex capo della Casa Bianca Barack Obama congelò per sei mesi l'applicazione della legge che impone il trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.
(La Stampa, 27 aprile 2017)
L'Anp taglia la corrente ad Hamas
Il Fatah ha annunciato che smetterà di pagare Israele per l'elettricità fornita alla Striscia. L'obiettivo dichiarato sarebbe colpire Hamas.
RAMALLAH - L'Autorità nazionale palestinese (Anp) ha comunicato ad Israele che smetterà da subito di pagare l'elettricità che Israele fornisce alla Striscia di Gaza controllata da Hamas.
La decisione - annunciata al Coordinatore israeliano per i Territori, generale Yoav Mordechai - è stata motivata dal presidente palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) come mossa per combattere Hamas.
Ieri sera il Comitato centrale di Fatah, il partito di Abu Mazen, riunitosi a Ramallah, ha criticato Hamas, secondo i media locali, per non aver accettato l'ultimo tentativo di «raggiungere la necessaria intesa in modo che il Governo possa assumere tutte le sue responsabilità ed esercitare i suoi doveri legali nella Striscia».
(tio.ch, 27 aprile 2017)
Viaggio tra "i cespugli "high-tech delle startup di Israele
L'ispirazione del figlio di Peres, il mondo dietro a un telefonino e un'idea molto ambiziosa
di Daniel Mosseri
Chemi Peres
La formula è sconosciuta, benché gli ingredienti non siano né segreti né impossibili da replicare. Il risultato è ancora unico nel suo genere: nel giro di qualche decennio Israele, un paese con poco più di sette milioni di abitanti, è diventato una startup nation, se non startup nation per antonomasia. Nel piccolo stato mediorientale l'innovazione è di casa: automobili senza pilota; occhiali che leggono volti, etichette, giornali e banconote ai non vedenti; nanoparticelle che abbattono l'utilizzo di anticrittogamici in agricoltura; applicazioni smartphone per ridurre gli incidenti stradali o per aiutare tassisti a trovare nuovi clienti. Sono tutti prodotti ai quali lavorano giovani imprenditori e scienziati israeliani uniti per fare impresa.
Fra i seimila startupper l'età media è piuttosto bassa. Se un italiano di 35 anni spesso non è in condizione di lasciare la casa paterna, questi alle spalle hanno studi di alto livello, almeno tre anni di servizio militare in zone di guerra, come minimo un paio di figli e altrettanti tentativi - più o meno fruttuosi - di fondare aziende innovative. Il confronto con l'Italia è impietoso ed è forse più opportuno paragonare Israele alla Silicon Valley, che però ha alle spalle i 39 milioni di abitanti della California (e i 324 degli Stati Uniti) e non confina con paesi ostili. C'è chi attribuisce proprio al servizio militare il successo di centinaia di aziende israeliane quotate al Nasdaq o rilevate direttamente da parte di giganti esteri - a metà marzo Intel ha incorporato MobilEye (produttore dei sensori per auto driverless) per 15,3 miliardi di dollari. C'è chi plaude alle istituzioni accademiche di alto livello, chi alla presenza di un'infrastruttura di sostegno finanziario che, fra incubatori e venture capitai, favorisce la deposizione e la schiusa di tante uova con la sorpresa dentro.
E c'è chi come Chemi Peres ha smesso di interrogarsi sui perché e i per come del miracolo tecnologico, dedicandosi più empiricamente a sostenerlo. Terzo figlio di Shimon Peres, classe 1958 e un passato da pilota di jet, Chemi è il cofondatore di Pitango Venture Capital, il primo fondo israeliano VC con oltre 1,8 miliardi di dollari investiti in duecento compagnie locali scaturite dall'intuizione di un accademico, dalle necessità di un addetto della difesa o da quelle di un disabile. Nel riassumere le quattro fasi storiche dell'innovazione in Israele, Chemi Peres ricorda suo padre per il modo in cui usa la gentilezza trattenendo a stento il proprio entusiasmo. "Già nei primi anni dopo la fondazione, è stato necessario innovare per ottenere raccolti da una regione arida, dove il principale fiume, il Giordano, ha più storia che acqua". In quegli anni i tecnici israeliani hanno inventato l'irrigazione a goccia e sviluppato progetti di dissalazione, "cosicché oggi l'acqua non scorre più da nord a sud ma da ovest a est". Poi è arrivata la fase in cui l'innovazione nella difesa ha permesso la deterrenza - e perciò la sopravvivenza - dello stato ebraico. "Sono gli anni di Dimona", spiega riferendosi alla capitale del programma nucleare così fortemente voluto da suo padre, "un progetto avanzatissimo se si pensa alla giovane età dello stato nel quale veniva sviluppato". Questo passaggio hi-tech si è poi rivelato centrale nella fondazione dell'economia odierna.
L'importazione del mercato
Un paese circondato da nemici e privo di risorse naturali non avrebbe potuto vivere di agricoltura, "e l'intuizione di Shimon Peres è stato puntare su scienza e tecnologia". Pungolate anche da un settore difesa mai sazio di novità, le università hanno fatto il resto sfornando ingegneri di alta qualità. Mancava però l'accesso al mercato globale, che alla fine è stato importato. "Abbiamo offerto il bene più ricercato: lavoratori qualificati, a basso costo e fedeli. Fedeli perché Israele è un'isola difficile da lasciare". Dal canto loro le grandi corporation in cerca d'innovazione hanno risposto aprendo i propri centri R&D sul suolo israeliano. "Oggi ne abbiamo più di 350", sottolinea Peres. Un po' alla volta gli ingegneri locali hanno fatto proprio il know-how trasferito da grandi aziende come Ibm e Intel: appreso l'abc delle imprese, hanno poi imparato a diventare gli imprenditori di se stessi.
La fondazione di startup tecnologiche è stato il passo successivo: creare un'azienda per risolvere un problema è diventato un tratto caratteristico della cultura israeliana. Oggi decine di giovani appena usciti dalle università e dalle Israeli Defense Forces (IDF) si lanciano nell'imprenditoria, sostenuti da un canale di finanziamento in grado di irrorare questo ecosistema "con sei miliardi di dollari l'anno, una cifra in crescita costante". Sulla pervasività dello spirito imprenditoriale per una volta gli israeliani si trovano tutti d'accordo.
Eran Shir
La pensa così anche Eran Shir, fondatore di Nexar, un'azienda hi-tech che punta a trasformare ogni smartphone in uno strumento di prevenzione degli incidenti stradali. "A noi non piace rispondere agli ordini", scherza, "e l'unico modo di non obbedire a nessuno è diventare imprenditori". Alla sua terza esperienza da creatore d'impresa, Eran non attribuisce l'esplosione dell'ecosistema startup al ruolo delle forze armate - "quell'impulso è superato da tempo", afferma, "e tuttavia l'innovazione è anche una risposta allo stress" - ma riconosce come queste abbiano contribuito a plasmare la mentalità degli israeliani. "Nelle Idf esistono reparti in cui le menti migliori lavorano tutte insieme: è come essere in una pentola a pressione puntata su obiettivi precisi". Un suo commilitone, ricorda Eran, a soli 21 anni era responsabile di un progetto da 700 milioni di dollari e lui stesso era responsabile di un programma multimilionario per la difesa missilistica. "Eravamo undici ventenni con responsabilità critiche". I legami che si formano sotto le armi, riflette, "danno poi vita a reti che fuori richiederebbero anni per essere costruite. Secondo una mia ricerca i gradi di separazione fra le persone in questo paese sono al massimo 2,6: l'ho calcolato mappando tutte le telefonate fatte in Israele in un anno". Eran racconta anche del suo progetto di collaborazione con una grande compagnia assicuratrice italiana, interessata alla potenzialità di Nexar. "L'applicazione è in grado di ridefinire il profilo dell'autista: ieri era legato al numero degli incidenti; oggi invece siamo in grado di capire chi guida con prudenza, tenendo per esempio la distanza dal veicolo che lo precede". Agli autisti virtuosi individuati da Nexar, l'assicurazione intende offrire uno sconto. Vista da Israele l'Italia non è solo il paese del cibo e dello stile nel vestire bensì, "è il mercato in cui la telematica ha un penetrazione superiore al 10 per cento, la percentuale più alta al mondo". Da noi le black boxes per individuare i veicoli e vedere come si muovono sono già una realtà e non si tratta di una moda ma della risposta a uno dei mercati assicurativi più cari in Europa.
Un computer che prende decisioni
Eran non è il solo a credere che il futuro di Israele sia nelle mani dei giovani. Per Benjamin Soffer "in Europa ci sono foreste di grandi aziende secolari e un neo ingegnere, italiano o tedesco, può sperare di essere assunto da una di queste. Da noi queste foreste mancano, ci sono però tanti piccoli cespugli". Soffer è il ceo del Technion Technology Transfer (T3), una struttura del Technion di Haifa- tre premi Nobel per la Chimica fra il 2004 e il 2013- dedicata a "facilitare la trasformazione delle idee innovative in prodotti e aziende di successo sul mercato globale". Se dei giovani brillanti vogliono coltivare un cespuglio, c'è chi come Soffer lavora per portare le loro idee fuori dai laboratori.
Anche Chemi Peres è convinto che il futuro sia nelle mani dei trentenni. La chiave è la liquefazione digitale e la prova è lo smartphone che abbiamo in tasca. "Ogni telefono è anche un registratore audio e video, una calcolatrice, una torcia, un quotidiano, una rivista, una macchina fotografica e un videogioco: ma non lo è in modo molecolare bensì digitale". Il settore delle comunicazioni è stato uno dei primi a essere "disrupted", ossia travolto e riorganizzato dalla tempesta dell'innovazione. Basti pensare al VoIP, il protocollo per le comunicazioni vocali via internet inventato non a caso in Israele. L'onda digitale non si è fermata e punta adesso verso il settore medicale. Grazie alla digitalizzazione dei dati clinici di tutti gli israeliani una ventina di anni fa, ricercatori e informatici hanno a disposizione un'enorme banca dati nella quale far girare le loro macchine e farle diventare sempre più precise, intelligenti, pensanti. E' quello che ha fatto Mobileye con le sue automobili capaci di destreggiarsi nel traffico da sole ed è quello che fa Ibm dai suoi laboratori di Haifa. Il nostro progetto riguarda il futuro, "insegnare cioè ai computer a imparare in maniera autonoma facendo propri i meccanismi cognitivi", spiega al Foglio il direttore di Ibm Research, Oded Cohn. "Uno dei progetti che sviluppiamo qua è insegnare ai computer a prendere decisioni".
Domani saranno delle macchine ad aiutarci a scegliere se acquisire quell'azienda, se prendere quel medicinale o se scegliere quella scuola per i nostri figli. Distratti dai nostri telefonini, non ci siamo accorti che il futuro era già arrivato. Per Chemi Peres il cambiamento è epocale e ci stiamo avviando verso un'èra in cui i governi avranno sempre meno potere, mentre i ceo aziendali ne avranno sempre di più. "Perché le soluzioni a problemi come cambiamento climatico e migrazioni non arriveranno dalle istituzioni ma dalla spinta delle imprese per l'innovazione". Nel frattempo la digitalizzazione non si ferma e travolge oggi anche finanza e assicurazioni, altri due settori destinati a essere dominati dai trentenni. "Ogni banca", osserva Peres, "si sta trasformando in un'azienda digitale con il suo cloud e le sue questioni di sicurezza". Pane per i denti dei neo ingegneri e informatici israeliani. "Tutto è ormai hi-tech", conclude, "e chi sa cavalcare meglio l'onda sono i giovani".
(Il Foglio, 27 aprile 2017)
Israele importa seimila cinesi
Accordo fra i due paesi per i muratori
di Ettore Bianchi
Israele e la Cina hanno segnato un accordo per assumere 6 mila muratori cinesi. L'obiettivo è di rispondere alla grande penuria di alloggi che è all'origine della forte crescita dei prezzi immobiliari. L'accordo siglato a Gerusalemme dal ministro della casa dello Stato ebraico, Yoav Galant, e dal vice ministro cinese del commercio, Fu Ziying, era stato negoziato e concluso, a grandi linee, il mese scorso durante la visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu in Cina.
L'accordo prevede la clausola, controversa, che nessuno dei 6 mila operai cinesi potrà lavorare nella Cisgiordania occupata, secondo quanto hanno riportato fonti di stampa israeliana riprese da Le Figaro. Oded Revivi, uno dei rappresentati dei coloni israeliani nei territori palestinesi occupati ha deplorato che il governo che lotta contro il boicottaggio di questa regione (la Cisgiordania occupata), dagli Stati stranieri partecipa a questo boicottaggio. Sentito sulla questione, Yoav Galant non ha fornito precisazioni.
La questione abitativa è un tema sensibile in Israele. I prezzi degli immobili non hanno smesso di crescere dal 2008, secondo la banca centrale, incidendo in maniera considerevole sul costo della vita e provocando un'ondata di manifestazioni senza precedenti nel 2011. Migliaia di muratori stranieri, tutti originari dei paesi dell'Europa dell'Est, lavorano già in Israele. Le costruzioni nelle colonie, dove vivono all'incirca 400 mila israeliani, costituiscono il 3% dell'insieme dei nuovi cantieri nel paese.
Israele ha già concluso accordi bilaterali per l'impiego di lavoratori immigrati con la Thailandia e lo Sri Lanka per l'agricoltura, e con la Bulgaria, la Moldavia e la Romania per l'edilizia.
(ItaliaOggi, 27 aprile 2017)
Il filo tragico che lega il genocidio armeno e la Shoah è l'Islampolitik
Ebrei e armeni, due popoli originali e tenaci, due minoranze assolute, costitutive dell'oriente e dell'occidente. Una mostra al memoriale della Shoah a Milano.
di Giuseppe Laras
JUDEN UND ÜBERJUDEN, EBREI E SUPEREBREI
Questo titolo delirante, antisemita e - come si vedrà - antiarmeno, corrispose alla normalità della politica, della cultura e dell'informazione tedesca dagli anni Novanta del XIX secolo sino al nazismo. Ciò basti per comprendere l'importanza e la preziosità della grande mostra sul Genocidio Armeno, il Metz Yeghern, che oggi si inaugura al Memoriale della Shoah di Milano.
L'Islampolitik - economica, strategica e culturale - del Kaiser Guglielmo II normalizzò la stampa in chiave antiarmena e filoturca, adottando argomenti e stereotipi antisemiti contro questo antico popolo cristiano. Una delle poche eccezioni fu il Frankfurter Zeitung, quotidiano fondato da due ebrei tedeschi - L. Sonneman e H.B. Rosenthal - schieratosi in difesa degli armeni.
Nel 1913 - dopo i massacri degli armeni di Adana (1909) - l'ambasciatore tedesco Wangenheim, sostenne che quella dell'alleato turco era "la naturale reazione al sistema parassitario dell'economia armena. E' noto che gli armeni sono gli elmi di oriente". E ancora: "Le attività economiche, che altrove sono portate avanti dagli ebrei, ossia la spoliazione dei poveri, sono qui condotte esclusivamente dagli armeni. Nemmeno gli ebrei sefarditi ivi residenti possono competere con loro". Gli armeni, in pratica, erano peggiori persino di noi ebrei: si trattava di überjuden, "superebrei"!
L'Islampolitik si saldò con i provvedimenti omicidi del "sultano rosso", il famigerato Sultano-Califfo Abdul Hamid II (1894-1896). Si ripropose poi, con silenzi, connivenze e collaborazioni con i Giovani Turchi nel corso del Genocidio Armeno. Ebbe, infine, un'ulteriore oscena riedizione con la sinergia tra Mussolini, Hitler e i vari movimenti jihadisti, che da allora saldarono all'islam politico innumerevoli elementi nazifascisti, divenuti pandemici sino a oggi.
Lewis Einstein, diplomatico ebreo dell'ambasciata Usa a Istanbul, nel 1917 scrisse da testimone oculare: "In questa guerra di orrori, l'annientamento degli armeni deve rimanere l'orrore supremo. Niente ha eguagliato la distruzione pianificata di un popolo, né i burocrati tedeschi possono facilmente sfuggire alla loro terribile parte di responsabilità per la loro acquiescenza in questo crimine". Una testimonianza giunge anche dai fratelli Aaronsohn, fieri sionisti, residenti all'epoca dei fatti in Eretz Israel. Aaron Aaronsohn, insigne agronomo e fondatore della rete di spionaggio NILI a favore degli Alleati dell'Intesa, così si espresse nel suo Memorandum (1916): "Centinaia di corpi di uomini, donne e bambini su entrambi i lati della ferrovia e cani che si cibavano di questi cadaveri umani". E ancora: "Il popolo armeno, una delle componenti più parche e più industriose dell'impero turco, se non addirittura la più parca e la più industriosa - e, badate bene, è un ebreo a dare questa patente - è ora un popolo di mendicanti affamati e calpestati. L'integrità delle vite familiari è andata distrutta, i suoi uomini sono stati uccisi, i suoi bambini, maschi e femmine, fatti schiavi nelle case private dei turchi, per compiacere vizi e depravazioni, questo è diventato il popolo armeno in Turchia". Concluse: "I massacri armeni sono frutto dell'azione pianificata con cura dai turchi, e i tedeschi certamente dovranno condividere per sempre con loro l'infamia di questa azione".
Ebrei e armeni, due popoli originali e tenaci, esigui quanto a numeri; due minoranze assolute, costitutive sia dell'oriente sia dell'occidente, a cavallo di entrambi i mondi. Una miscela sufficiente per risultare incomprensibili e persino alieni ai più, con antiche, reiterate e violente accuse di "doppia fedeltà" o di tradimento. Questa la sorte, spesso simile, di entrambi.
Nei secoli, armeni ed ebrei hanno egualmente sperimentato, pur da diverse prospettive, la perdita della sovranità nazionale; l'asservimento ad altre potenze e culture; la dhimmitudine; la diaspora; delazioni, massacri, deportazioni ferroviarie, marce della morte e l'annientamento genocidario; la rinascita culturale e politica della propria Nazione sopravvissuta; due diversi negazionismi. In entrambi i popoli la moderna rinascenza culturale è stata preceduta, sollecitata e accompagnata dal risorgimento linguistico e letterario, rispettivamente dell'ebraico e dell'armeno.
Nell'imperversare del Metz Yeghern degli ebrei salvarono degli armeni; nel corso della Shoah degli armeni salvarono degli ebrei. Non è quindi un caso che l'inventore del lemma "genocidio", il grande pensatore e giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, lungamente abbia meditato anzitutto proprio sulla tragedia sofferta dagli armeni. Henry Morgenthau, in particolare, ebreo e ambasciatore americano presso la Sublime Porta, fu il promotore della prima operazione umanitaria del XX secolo, la Near EastRelief, che con un'enorme raccolta fondi - ammontante nel 1922 attorno ai 226 milioni di dollari- salvò le vite di molti armeni, soprattutto bambini (i bambini salvati tra il 1915 e il 1930 furono circa 132 mila, di cui sessantamila armeni).
La passione genocidaria tedesca portò a tre genocidi nel corso del XX secolo: quello africano, in Namibia, degli Herero e dei N ama (1904-1907); il MetzYeghern (1915- 1922) e la Shoah (1939-1945). Negli ultimi due casi, l'islam fu purtroppo ampiamente e attivamente coinvolto. L'istituto della dhimma, con i suoi squilibri e instabilità, le sue contraddizioni e la sua crudele subordinazione, servì a sostenere e giustificare, tra gli altri, i Massacri Hamidiani prima e il Genocidio Armeno poi.
A parte il grande Johannes Lepsius - teologo protestante testimone del genocidio, che lottò strenuamente per gli armeni, difendendoli - e pochi altri, la chiesa luterana tedesca sposò la causa del Kaiser, come precedentemente - nel corso del genocidio degli Herero e dei Nama - poco ebbe a obiettare e come, successivamente, trovò ampie sue frange sostenitrici del nazismo.
Non è un caso che nel 1933 lo scrittore ebreo Franz Werfel, amico di Kafka, abbia scritto il suo libro di maggior successo, I Quaranta Giorni del Mussa Dagh, tributo imperituro al genocidio patito dagli armeni, i cui bambini orfani vide in medio oriente. L'opera di Werfel divenne fuorilegge in Germania nel 1934. Per comprendere il ruolo "iconico" che il Genocidio Armeno ebbe per i nazisti, va evidenziato che per le SS SchwarzeKorps il libro fu il frutto indigesto dell'"ebraismo armeno degli Stati Uniti"!
La Germania guglielmina fu il paese culturalmente più vivace dell'occidente, cosicché per ben tre occasioni il genocidio si è accompagnato alla modernità e alla civiltà raffinata. Quella tedesca fu una cultura filosofica e musicale; nelle facoltà tedesche filosofia e teologia, da secoli, si alimentavano vicendevolmente. Una metastasi letale e omicida è dunque latente nel pensiero filosofico, politico e teologico che da Lutero, passando per gli Idealisti, arrivò a Friedrich Naumann - tra i padri della Repubblica di Weimar -, Adolf Von Harnack, Carl Schmitt e Martin Heidegger.
Fu così - tra acquiescenze germaniche, aguzzini turchi e curdi e, non da ultimo, jihad - che 1.500.000 armeni furono perseguitati e trucidati, assieme a centinaia di migliaia di vite di cristiani assiri, di greci del Ponto e di altre confessioni cristiane orientali minoritarie. Terribili furono le sofferenze patite dalle donne e dai bambini armeni, con riduzioni in schiavitù e compravendita di esseri umani nei mercati, islamizzazioni forzate, sevizie e persino crocifissioni.
Si sarà compreso che Genocidio Armeno e Shoah sono inquietantemente collegati a doppio filo. Né il Metz Yeghern né la Shoah si prestano in alcun modo a ermeneutiche generalizzanti - e quindi dissolventi - ma richiedono sorvegliata serietà. Qualsiasi indebita generalizzazione falsa la storia e il pensiero. Per non perderne la comprensione e l'unicità, bisogna considerarli connessi, come avvenne.
Ci sono alcuni fatti atroci occorsi ad armeni ed ebrei che equivalgono ad altrettante tremende rivelazioni sull'umanità dell'essere umano, che può scegliere di essere demone e facilmente educare altri in tal senso.
Vi è tuttavia un fatto positivo, enorme per la forza della sua testimonianza, mai sufficientemente assunto, ricordato e portato a pensiero, talora persino oscurato: il popolo Armeno e il popolo di Israele non hanno smarrito, pur provata, piagata e scossa, la loro fede nel Signore Dio.
(Il Foglio, 27 aprile 2017)
Nuove minacce al console di Israele
Luigi De Santis ha ricevuto a casa un bigliello con una croce. Indaga la Digos
Luigi De Santis, unico console onorario di Israele in Italia
BARI - Un biglietto anonimo con una croce e la scritta in inglese «un ebreo anche qui». E' l'ennesimo atto intimidatorio che il console onorario di Israele a Bari, Luigi De Santis, denuncia alle forze dell'ordine. Nei giorni scorsi, il console ha trovato questo bigliettino nella cassetta postale della sua abitazione. «Un biglietto analogo - racconta - fu trovato nella mia precedente abitazione. E questo è un fatto inquietante, perché significa che chi li manda sa dove abito e anche che ho cambiato casa». Alla questura sono stati segnalati altri episodi dello stesso tenore che il console onorario De Santis ha subito: in particolare minacce e il danneggiamento della propria vettura. De Santis è l'unico console onorario d'Israele in Italia. Un ruolo che evidentemente lo espone particolarmente sul piano della sicurezza anche in considerazione dell'intensa attività con cui interpreta l'incarico. Solo poche settimane fa, De Santis, che è anche presidente dei giovani dell' Ance Bari e Bat, ha promosso un viaggio in Israele. All'iniziativa hanno preso parte circa 40 imprenditori di Confindustria provenienti da tutta Italia, soprattutto costruttori. L'obiettivo era quello di organizzare incontri istituzionali finalizzati a conoscere il sistema imprenditoriale israeliano, studiare modelli innovativi di bioedilizia e cogliere opportunità di business. E' possibile che proprio l'attivismo del console nel promuovere i rapporti tra la Puglia e lo stato che rappresenta sia finito nel mirino di qualche gruppo, o singolo, che considera Israele un obiettivo. Sul nuovo biglietto di minacce sta indagando la Digos di Bari.
(Corriere del Mezzogiorno, 27 aprile 2017)
Ong contro Israele. "Come negli anni 30"
E' finanziata dalla Ue e accusa Israele di avvelenare i pozzi dei palestinesi. La ong della crisi Gerusalemme-Berlino.
di Giulio Meotti
ROMA. Una delle peggiori crisi diplomatiche fra Israele e Germania si sta consumando attorno a una ong, Il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è rifiutato di incontrare il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, in visita in Israele, dopo che il vicecancelliere aveva deciso di far visita alle ong B'Tselem e Breaking the Silence, nonostante la richiesta di Netanyahu di non farlo. Lo scorso febbraio, anche il premier belga Charles Michel aveva incontrato Breaking the Silence, dopo averla lautamente finanziata. "La mia politica è chiara: non incontrare diplomatici che visitano Israele e visitano organizzazioni che cercano di perseguire i nostri soldati come criminali di guerra", ha detto Netanyahu. "I nostri soldati sono la base della nostra esistenza". Nel 2012 lo stesso Gabriel disse di Israele: "Questo è un regime da apartheid", e la cancelliera Angela Merkel definì il commento "vergognoso".
"Sono orgoglioso da israeliano che il mio paese possa sostenere le critiche di queste ong e sono contrario a Netanyahu", dice al Foglio Dror Ben Yemini, giornalista di punta di Yedioth Ahronoth. "Ma non penso che un ministro italiano andrebbe a Londra a incontrare ong che considerano i soldati inglesi 'criminali di guerra'. Queste ong sono parte della campagna di demonizzazione. C'è un doppio standard. Perché i governi europei finanziano ong contrarie alla stessa esistenza dello stato ebraico?". Già, perché? "Lo chieda a Gabriel. E' uno scandalo. Non c'entra niente l'occupazione, parliamo di organizzazioni che lottano per distruggere Israele. Queste ong sono finanziate dai governi europei, vanno nei parlamenti, nelle università, nei media, e influenzano profondamente la vostra opinione pubblica in Europa. Negli anni Trenta la demonizzazione era contro gli ebrei. Oggi è contro lo stato ebraico".
Sul quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei più influenti in Germania, il giornalista Majid Sattar ha scritto: "I rappresentanti del governo tedesco durante le loro visite in Russia, in Cina e in Arabia Saudita attribuiscono sempre molta importanza agli incontri con i rappresentanti della società civile". La Faz mette dunque Israele sullo stesso piano di regimi autocratici e totalitari i cui governi reprimono la propria popolazione. Non risulta che i ministri tedeschi incontrino ong nelle visite di stato in paesi democratici come Svezia o Paesi Bassi.
Non è un caso che il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, incontri la ong Breaking the Silence (Shovrim Shtika, in ebraico). Il governo tedesco, infatti, la finanzia lautamente. Secondo Ngo Monitor, i governi europei coprono il 65 per cento dei fondi di questa ong che sostiene il boicottaggio di Israele. L'Unione europea, in aggiunta, per il biennio 2015-2017 ha dato altri 236 mila euro alla ong, Breaking the Silence gode dell'appoggio della bella gente. Richard Gere ha appena visitato Hebron accompagnato da attivisti di questa ong e il divo del cinema ha detto che "è esattamente come il vecchio Sud in America, quando i neri sapevano bene dove non potevano andare se non volevano avere la testa rotta o essere linciati". E' sempre Breaking the Silence ad aver organizzato il tour nei Territori del premio Pulitzer Michael Chabon, del premio Nobel Mario Vargas Llosa e di Dave Eggers, che firmeranno un libro contro Israele per i cinquant'anni della guerra dei Sei giorni, a giugno. In Svizzera, paese che finanzia molto la ong, Breaking the Silence ha organizzato una mostra fotografica contro l'esercito israeliano, facendolo apparire come una banda di assassini. Breaking the Silence ha avallato innumerevoli bugie contro Israele. Tanto da spingere il giornale di sinistra Haaretz a scrivere:
"Breaking the Silence ha un programma politico chiaro e non può più essere classificata come 'organizzazione per i diritti umani"'.
La più famosa bugia è quella di Yehuda Shaul, il capo della ong, che parlando di un villaggio della Cisgiordania ha affermato: "E' interessante il fatto che i residenti vi siano tornati, perché qualche anno fa i coloni avvelenarono tutto il sistema di approvvigionamento d'acqua del villaggio".
Come è una bugia quella di Avner Gavriyahu, l'altro leader della ong, il quale sostiene che le Forze di Difesa israeliane sparano a palestinesi innocenti come se stessero giocando a un videogioco. Ma le menzogne di Breaking the silence hanno fatto il giro del mondo. Abu Mazen, leader dell'Autorità palestinese, ha raccolto una standing ovation al Parlamento europeo dopo aver detto che Israele avvelena i pozzi. La stessa storia antisemita è finita su Anadolu, l'agenzia di stampa turca.
Il rapporto dell'Onu sulla guerra di Gaza del 2014 fa ampio uso di quelli di Breaking the silence. Il leader di B'Tselem, Hagai ElAd, ha di recente testimoniato contro Israele alle Nazioni Unite durante la risoluzione che per la prima volta ha condannato Israele. Breaking the Silence dopo la guerra di Gaza del 2009 ha sostenuto gli sforzi per perseguire i funzionari e i soldati israeliani. E' emerso anche che diversi finanziatori della ong hanno condizionato le loro donazioni a un certo numero di "testimonianze" contro l'esercito israeliano. Ad esempio, un documento ottenuto da Ngo Monitor mostra richieste simili dall'ambasciata britannica a Te! Aviv, dall'organizzazione olandese Icco (finanziata dall'Aia) e da Oxfam (finanziata dal governo britannico).
A Basilea, in Svizzera, e a Strasburgo, in Francia, durante il Medioevo si bruciavano vivi gli ebrei accusati di avvelenare i pozzi. Oggi la stessa menzogna rimpalla in quelle stesse città grazie ad alcune ong. E' questo il vero e unico "silenzio" da rompere.
(Il Foglio, 27 aprile 2017)
Esplosioni all'aeroporto di Damasco, forse raid di Israele
I depositi di carburante sono esplosi all'alba all'aeroporto internazionale di Damasco
di Giordano Stabile
BEIRUT - Alcuni depositi di carburante sono esplosi all'alba all'aeroporto internazionale di Damasco. Secondo fonti locali sarebbero stati colpiti in un raid dell'aviazione israeliana. Israele non ha per ora confermato l'attacco. Di solito le sue forze armate si limitano a un no comment in questi casi.
I cacciabombardieri con la stella di David hanno colpito più volte convogli e postazioni dell'Hezbollah libanese vicino all'aeroporto e sulla superstrada che collega la capitale siriana al Libano. Il 17 marzo però la difesa antiaerea di Damasco ha reagito e alcuni missili del sistema S-200 sono arrivati fin nello spazio aereo israeliano, uno è stato abbattuto a sua volta dall'Arrow-3 israeliano.
Enorme incendio
Anche l'Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all'opposizione, ha confermato l'esplosione, che ha causato "un enorme incendio". Immagini delle fiamme altissime sono state postate su siti libanesi filo-Assad, come il quotidiano online Al-Masdar.
(La Stampa, 27 aprile 2017)
Quando Gramsci si schierò con gli ebrei
Gli 80 anni dalla morte del pensatore. Le lettere cruciali con Tania Schucht e Sraffa scaturite dal film "Due mondi", ora ritrovato.
di Alberto Cavaglion
"Due mondI" è un film uscito nella sale italiane nel 1931. Racconta la storia di un amore impossibile. L'autore, l'ebreo tedesco Ewald André Dupont, è un regista famoso. Il film è ambientato durante la prima guerra mondiale in una cittadina occupata dagli austriaci, poi dai russi. Durante la Pasqua si accendono scontri nel quartiere ebraico: tra le vittime c'è Nathan, figlio di un orologiaio. Stanislaus, un tenente mandato a ripristinare l'ordine, salva da uno stupro Esther, sorella di Nathan. Quando i russi riconquistano il paese, il tenente ferito è salvato dalla ragazza, che convince il padre a nasconderlo nel ghetto. I due giovani si innamorano, ma i rispettivi genitori si alleano per impedire il matrimonio.
Tatiana (Tania) Schucht, sorella maggiore di Giulia, moglie di Antonio Gramsci, vede il film e si riconosce nella protagonista, uscendone sconvolta. Riemergono le memorie dell'odio antiebraico sperimentato nell'infanzia. A Gramsci, detenuto in carcere, scrive di essere convinta che l'antisemitismo sia eterno: nessun dialogo fra "i due mondi" le
sembra possibile. Gramsci reagisce con durezza, chiamandosi fuori da ogni distinzione, in nome delle sue origini: "Al contrario dei cosacchi, i sardi non distinguono gli ebrei dagli altri uomini".
Tania si rivolge per un parere dirimente a Piero Sraffa, antifascista, emigrato a Londra. Sraffa ne approfitta per dire un'altra cosa, di cui Gramsci in carcere non può essersi accorto e cioè la tragedia in cui gli ebrei si stanno avviando nel momento in cui massimo è il loro consenso al regime dopo la legge sui culti ammessi del 1931.Ne scaturisce uno dei triangoli epistolari più rilevanti della cultura italiana del Novecento. Stupisce che gli studiosi di questa corrispondenza non abbiano sentito il bisogno di cercare e, soprattutto, vedere "Due mondi". Un film dimenticato. Abbiamo trovato una copia presso la Cineteca NazionaleCentro Sperimentale di Cinematografia in Roma. La versione italiana - altra scoperta importante - fu adattata per il nostro pubblico da un critico letterario assiduo frequentatore delle sale cinematografiche, Giacomo Debenedetti, che lavorava alla Cines. Lo stesso Debenedetti scrisse con ammirazione di questo film, subito dopo la stesura di "Svevo e Schrnitz", ebraicamente il saggio suo più controverso.
Al suo arrivo a Torino Gramsci aveva abitato in piazza Carlina, cuore del vecchio ghetto cittadino. Forse per questa vicinanza nei "Quaderni del carcere" troviamo pagine assai importanti dedicate alla storia degli ebrei d'Italia nel Risorgimento. Dialogando a distanza con Piero Sraffa, ma anche con Arnaldo Momigliano e Cecil Roth, Gramsci rifletterà sul processo "parallelo" che nell'Ottocento aveva reso liberi cittadini della Nuova Italia tanto gli ebrei quanto i sardi, i napoletani, i toscani, i veneti. Di qui, secondo lui, la natura più lieve dell'antisemitismo, rispetto a quello osservato a Vienna o a Mosca. La odierna riscoperta di "Due mondi" aiuterà a riconsiderare pagine assai importanti dei "Quaderni" che non sono invecchiate e più in generale servirà a considerare sotto nuova luce il rapporto fra Gramsci e la questione ebraica, troppo in fretta archiviato dagli storici.
(Il Secolo XIX, 27 aprile 2017)
Parashà della settimana: Tazrià-Metzorà (Partorirà-Lebbroso)
Levitico 12:1-13:59, 14:1-15:33
- Impurità (tumà) e purità (tahorà) sono gli argomenti centrali di queste due parashot gemelle, che riguardano la situazione di una donna fecondata (tazrià) che diviene impura dopo il parto e quella di una persona colpita dalla lebbra (metzorà) che diviene impura a causa della malattia.
Nel midrash rabbà citato da Rashì, è scritto che rabbi Shalmai sostiene che nel quinto giorno vengono creati gli animali puri e impuri e nel sesto giorno l'uomo. Quale è la differenza? Mentre l'animale resta stabilito nel suo stato naturale, l'uomo pur nascendo puro, può diventare impuro. Difatti dopo il peccato nel giardino dell'Eden la sua purità (bene) si mescola all'impurità (male). E' il comportamento che può far salire l'uomo (purità) oppure farlo scendere (impurità). Le fonti di questa sono il contatto con un cadavere, il ciclo mestruale delle donne, durante il quale sono vietati i rapporti, il parto e alcune malattie. Difatti una donna che ha partorito un bambino sarà impura per sette giorni come una donna che ha il ciclo mestruale (nidà) e solo all'ottavo giorno circonciderà il bambino. Nel dare una vita la donna prende una forma di impurità.
Per la nostra mente "moderna" questi argomenti possono apparire enigmatici e antiquati, ma bisogna domandarsi: "Come mai nel mezzo dell'impurità dovuta al parto, giunge la mitzvà della circoncisione? "All'ottavo giorno si circonciderà il prepuzio del bambino" (Lev. 12.2). E' stato già detto che il numero sette corrisponde alla natura-materia mentre il numero otto rappresenta la dimensione del soprannaturale, la spiritualità. La circoncisione dunque va intesa come riparazione dell'impurità dovuta al parto e insegnamento per l'uomo che la sua potenza virile deve essere moderata e santificata. La vita umana che emerge dal grembo materno porta impurità ma anche purità attraverso l'osservanza dei comandamenti ordinati da D-o (brit milà). Il messaggio della Torah è chiaro: il mondo creato è incompleto e spetta all'uomo aggiustarlo, mediante le sue opere e le sue preghiere per l'avvento del regno di D-o sulla terra (tempi messianici).
La malattia della lebbra detta "metzorà" che Rashì ha interpretato (mozì shem rà) cioè che fa uscire un nome cattivo altro non è che la "maldicenza". I nostri Saggi hanno affermato che "la vita e la morte sono nelle mani della lingua". La lebbra è una malattia che colpisce la pelle mediante la presenza di ulcere cutanee e alterazioni del suo colore. "Se un uomo avrà sulla pelle del suo corpo una protuberanza (se'et) o una scaglia (sappahat) o una macchia (baheret) questo sarà il male della zara'at" (Lev.13.2).
Il colpito dalla lebbra verrà condotto dal sacerdote Aronne che dopo averlo visitato lo dichiarerà "impuro". Il lebbroso a differenza di altre forme di malattia viene allontanato dalla Comunità e messo in uno stato di isolamento fino al giorno della sua guarigione. Perché questo? Può sembrare una terribile punizione per un malato, ma i nostri Maestri hanno fatto osservare che giacché ha "sparlato" del suo prossimo egli stesso si è allontanato dalla Comunità. La maldicenza verso gli altri è il peccato più grave che si possa commettere perché chiude le porte della Teshuvà al peccatore, impedendo a questo la riparazione delle proprie colpe. La maldicenza infine non colpisce solo il peccatore ma anche la vittima, che dovrà trovare la forza per non soccombere moralmente e socialmente davanti a menzogne devastanti. E' una delle conseguenze più terribili, come è accaduto al popolo ebraico a causa della maldicenza sulla Terra d'Israele fatta dagli esploratori. "Essi parlarono male del Paese che avevano appena esplorato" (Num.13.32).
Questo peccato è costato a Israele due distruzioni del Tempio, quattro esili e altre sofferenze che la Torah rivela per allusioni. Bisogna, per concludere, domandarsi chi sono oggi gli esploratori che "sparlano" sulla Terra d'Israele. Sono gli ebrei dell'esilio, assimilati ai costumi delle popolazioni in cui vivono, incapaci di concepire un giudaismo legato alla Nazione ebraica e soprattutto incapaci di scorgere il disegno salvifico di D-o Benedetto nella storia d'Israele. F.C.
*
- "Questa è la legge ... per insegnare quando una cosa è impura (tamè, טמא) e quando è pura (tahor, טהור) (Lev. 14:54,57).
La distinzione puro-impuro è fondamentale nella storia del popolo ebraico, non in origine, ma da un certo momento in poi. Sono impuri certi animali; è impura una donna quando ha le mestruazioni e dopo un parto; è impuro un uomo quando ha certe malattie della pelle, tra cui la lebbra ma non solo; è impura una casa quando compaiono certe muffe; è impuro un uomo quando ha la gonorrea; sono impuri fino alla sera un uomo e una donna che hanno avuto rapporti sessuali, anche nel matrimonio.
Qualcuno vorrebbe attualizzare e osservare alcune di queste norme, scelte tra le altre in modo abbastanza arbitrario, ma in ogni caso trasgredendole, perché come avviene in una legislazione civile, i cittadini non possono decidere quali norme vogliono osservare e quali no. Resta il fatto che questo complesso legislativo non è assolutamente compatibile col nostro modo occidentale di pensare. Si pensi per esempio al lebbroso, che una volta riconosciuto come tale deve andare in giro a capo scoperto, con la barba coperta, con le vesti strappate, e gridare: "Impuro! Impuro!" affinché nessuno si avvicini e lo tocchi.
Con questo non si vuole affatto dire che il nostro attuale modo di pensare è quello giusto, ma che la valutazione di passaggi come questo richiede dal lettore una scelta interpretativa di fondo. I non ebrei sono costretti a dire qualcosa sul popolo a cui appartengono queste norme; gli ebrei sono costretti a dire qualcosa sul Dio che ha dato loro questi ordini.
Osservazioni preliminari
Si noti anzitutto che in queste disposizioni si indica ogni volta un male, ma non si dicono i rimedi per toglierlo. Non si dice, per esempio, che cosa si deve fare per la guarigione del lebbroso; il sacerdote non assomiglia affatto a un medico, ma piuttosto a un ufficiale sanitario: il suo compito è di stabilire se la lebbra c'è o non c'è; e nel caso ci sia stata ma il lebbroso ne sia guarito, procedere alle prescritte pratiche di purificazione al fine di consentire al "paziente" di essere reintegrato nella vita della società. La guarigione viene dall'Eterno, come la malattia; nello spirito del testo, quando si è davanti a un male, l'importante è conoscere quello che ne pensa il Signore, non quello che pensiamo di fare noi per toglierlo.
Il motivo di queste norme è chiaramente detto:
"Così terrete lontani i figli d'Israele da ciò che potrebbe contaminarli, affinché non muoiano a causa della loro impurità, qualora contaminassero il mio tabernacolo che è in mezzo a loro" (Lev. 15:31).
Ecco dunque il motivo vero delle rigide norme di purità: non la salute, ma la purezza del Tabernacolo di Dio presente in mezzo al popolo. Il privilegio unico di cui può vantarsi il popolo eletto nel periodo storico che qui stiamo trattando è proprio questo: Dio abita in mezzo a noi. Se questo non si accetta, tutto il resto non ha senso e può essere lasciato cadere senza esitazione. E' la presenza del Tabernacolo in mezzo al popolo che richiede le norme sulla purità.
Ma ora che il Tabernacolo non c'è più, che senso hanno quelle norme? La domanda è seria e sta al centro della riflessione sul popolo ebraico e sulla sua relazione con il messaggio dei Vangeli. E' nella Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) che si deve cercare la risposta. Qualcuno dirà che dalla Bibbia sono state tratte tante risposte, anche diversissime fra di loro, e che molte sono sbagliate. E' vero, ma le altre sono tutte sbagliate.
Osservazioni testuali
1. La problematica puro-impuro è del tutto assente nella stesura dell'originario patto del Sinai (Esodo, capp. 19-31). In tutto il libro dell'Esodo il termine "puro" (tahor) è usato soltanto per oggetti (candelabro, ghirlande, sonagli, olio, incenso, ecc.), e il termine "impuro" (tamè) non compare affatto; la prima volta che si trova nella Bibbia è in Levitico 5:2, in relazione all'impurità provocata dal contatto con un morto.
2. Tutte le impurità elencate sono manifestazioni della morte entrata nel mondo in conseguenza del peccato originale: "... per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato" (Romani 5:12). Il sangue legato alla nascita (mestruazioni, parto), segnala il fatto che con la nascita viene al mondo un uomo peccatore condannato a morire, cosa che non è affatto "naturale", ma tragica conseguenza di una situazione di conflitto tra Creatore e creatura. Malattie e deterioramenti delle cose sono espressioni di corruzione che prelude alla morte, conseguenza del giudizio di Dio: "Nel giorno che ne mangerai, certamente morrai" (Gen. 2:17).
3. Dal capitolo 4 della Genesi in poi, Dio rivela ed esegue un piano di redenzione del mondo che ha deciso di attuare per liberarlo dalla situazione di morte in cui è caduto a motivo del peccato e da cui in nessun modo può risollevarsi da solo.
4. Come strumento del suo piano di redenzione, Dio ha scelto un popolo: Israele. La proposta originaria fatta dal Signore al Sinai attraverso Mosè offriva al popolo la possibilità di essere uno strumento santo, protetto da certe forme di contaminazione con la realtà di morte in cui era immerso, in vista di una redenzione che sarebbe avvenuta in seguito attraverso il "germoglio" (Isaia 4:2, Geremia 33:15)) che sorge dall'arido suolo della terra d'Israele (Isaia 53:2).
5. Con la rottura del patto provocato dall'adorazione del vitello d'oro, l'obiettivo del programma è rimasto invariato, ma sono cambiati forma e tempi del suo svolgimento. Il popolo ora ha bisogno di severi divieti per impedire che l'impurità del mondo contamini il popolo, e di precise norme di purificazione per i casi in cui la contaminazione è avvenuta.
Va detto infine che tutto questo fa parte della storia di un preciso popolo, a cui è stata data una precisa legislazione in un preciso periodo di tempo, al fine di conseguire un preciso obiettivo di Dio per il compimento del suo piano di redenzione del mondo.
Se questo non è vero, non vale la pena di prendere in considerazione quelle antiche e strane norme che si fa fatica a capire e sono impossibili da attualizzare, cercandone goffamente valori universali e atemporali .
Ma se questo è vero, qual è l'obiettivo che volevano ottenere? L'hanno ottenuto? Valgono ancora? Sono state aggiornate? Sono state abolite? Domande fondamentali, a cui non si può rispondere qui in poche righe.
Spunto di riflessione
Non sarà sfuggita la stranezza delle pratiche di purificazione. Nel caso del lebbroso guarito, il sacerdote deve prendere due uccelli: uno viene sgozzato e il suo sangue cade su acqua viva contenuta in un vaso di terra; poi s'immerge l'uccello vivo nell'acqua in cui è caduto il sangue; poi con quest'acqua si asperge sette volte l'ex lebbroso; infine si lascia andare libero nei campi l'uccello vivo (Lev. 14:1-7). "Norme cerimoniali", dirà qualcuno, pensando di aver spiegato tutto. Non esistono norme "cerimoniali" in Israele, ma precisi ordini di Dio che alludono a una realtà passata, modificano una realtà presente e annunciano una realtà futura. In questo caso, la realtà futura allusivamente annunciata è grandiosa: la resurrezione dai morti. Un uccello muore come conseguenza del male entrato nel mondo; un altro uccello ottiene vita e libertà dopo il contatto col sangue dell'uccello ucciso.
La risurrezione dai morti è un elemento caratteristico e ricorrente nella storia del popolo eletto; è una realtà che qui è adombrata allusivamente, ma che in seguito sarà espressa in modo chiaro dai profeti (Isaia 53) e alla fine sarà realizzata con la venuta del Messia. Con la sua morte, Gesù ha pagato il debito con Dio di Israele e del mondo; e con la sua risurrezione ha portato a Israele e al mondo vita e libertà. Non tutto è già pienamente avvenuto, ma certamente un giorno avverrà.
Di tutto questo parlano i Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento. Come fanno gli ebrei a dire che la cosa non li riguarda? M.C.
Anche la Svizzera è filopalestinese? Dichiazioni choc del Ministro degli Esteri elvetico
di Roberto Zadik
Nota per la sua neutralità e imparzialità, oltre che per igiene, puntualità e precisione, la Svizzera sembra essersi tristemente omologata all'ondata europea antisraeliana. Infatti secondo l'autorevole "Jerusalem Post", il Ministro degli Esteri Didier Burkhalter avrebbe recentemente incontrato alcuni membri di Hamas.
Ovviamente, l'iniziativa è stata accolta da un coro di polemiche. Stando a quanto afferma il giornale svizzero Blick, Burkhalter avrebbe avviato la proposta di un "dialogo con Hamas" trasformando questa temibile organizzazione terroristica e violenta in un normale interlocutore politico.
Fra le reazioni suscitate da queste dichiarazioni, indignazione e costernazione sono state espresse dal deputato conservatore e esperto di politica estera, Alfred Heer, che le ha definite "un inaccettabile tentativo di sostegno di Hamas da parte del Dipartimento degli Affari Esteri". Heer ha invitato Birkhalter a spiegare in maniera plausibile le motivazioni per le quali "la Svizzera dovrebbe sostenere organizzazioni notoriamente criminali come Hamas il cui unico obbiettivo è la distruzione di Israele".
Da segnalare anche l'intervento dell'ambasciatore israeliano in Svizzera, Jacob Keidar, che ha sottolineato che "Israele stia cercando di persuadere le autorità svizzere e internazionali a classificare Hezbollah e Hamas come gruppi terroristici. Nonostante la Svizzera non sia membro dell'UE, si è distaccata da essa anni luce, sostenendo i terroristi".
Sconcertato anche il segretario della Comunità ebraica svizzera, Jonathan Kreutner, che in questi giorni ha detto al Jerusalem Post: "Siamo molto scettici che il contatto con Hamas possa essere produttivo. Abbiamo sempre pensato che il Liberale Burkhalter,fosse nemico di Israele". Dubbioso sull'utilità di una relazione con Hamas, anche Yves Kugelman, caporedattore del magazine ebraico elvetico Tachles che ha ricordato come lo scorso dicembre il governo svizzero avessero speso assieme alla Finlandia quasi 85mila dollari per ospitare un workshop a Ginevra che riuniva membri di Hamas e di Al Fatah. Come se non bastasse, ha sottolineato Kugelman indignato, nel 2012 "il Parlamento svizzero, Bundeshaus, aveva invitato il portavoce di Hamas Mushir al Masri".
Un clima incandescente dove anche l'ambasciatore israeliano ad interim Shalom Cohen ha affermato "Non siamo per niente contenti di questi sviluppi e ne parleremo con le autorità locali. E' stato un terribile errore invitare un membro di Hamas riconosciuti come terroristi dalla comunità internazionale".
Del resto il Ministro Burkhalter non è nuovo a queste "simpatie" propalestinesi. Tempo fa era stato già tacciato di antisemitismo e di boicottaggio antisraeliano e in tema di politica filopalestinese della Svizzera, il direttore del giornale Basler Zeitung, Dominik Feusi, ha ricordato come il governo nel 2013 avesse dato 700mila dollari a sostegno di un uficio per i diritti umani con sede a Ramallah. In conclusione è intervenuto anche l'esponente dell'Agenzia di Difesa dell'Unione Europea, Pierre Alain Eltschinge, che ha rilasciato un'ambigua dichiarazione in difesa della Svizzera. "Esso" ha ricordato " è sempre stato un Paese neutrale e umanitario e per questo esso promuove il dialogo fra le diverse parti e non applica le sanzioni europee non classificando Hamas come gruppo ". Riguardo al rapporto col mondo ebraico, egli ha specificato come "il Paese si occupa da sempre di Shoah e condanna qualsiasi fenomeno di violenza e razzismo".
(Mosaico, 27 aprile 2017)
Il progetto del gasdotto da Israele all'Italia
L'Unione Europea ha approvato il progetto di un gasdotto che collega Tel Aviv all'Italia. Tra i promotori dello studio c'è anche l'italiana Edison.
I ministri dell'energia di Italia, Israele, Grecia, Cipro con il Commissario Europeo all'energia hanno dato il via libera allo studio del gasdotto Israele Italia
Al via lo studio per realizzare un gasdotto che collega Israele all'Italia. La decisione di muovere i primi passi del progetto è stata presa durante un incontro tra il Commissario Europeo all'energia Miguel Angel Canete e i ministri di Italia (era presente Carlo Calenda), Israele, Grecia e Cipro. Il vertice si è tenuto a Tel Aviv lo scorso 3 aprile.
Il progetto punta a connettere l'Europa meridionale con i grandi giacimenti e riserve di gas del Medio Oriente. Obiettivo: rendere operativo il giacimento nel 2025.
La pipeline sottomarina attraverserà Cipro, Creta e la Grecia. Il costo previsto è di circa 6.000 milioni di euro. Per l'Unione Europea il progetto è ambizioso e va nella direzione di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico.
L'Unione Europea è alla ricerca di strade alternative alle forniture di energia in modo da ridurre la dipendenza dalla Russia. Bruxelles contribuisce economicamente allo studio per sviluppare il progetto del gasdotto. Progetto promosso dal Consorzio Igi Poseidon, una joint venture tra l'italiana Edison e la greca Depa.
Tra gli obiettivi dell'infrastruttura sottomarina c'è quello di trasportare circa 900.000 milioni di metri cubi di gas.
Le ingente riserve israeliane superano di molto le necessità locali. Israele ha fatto un accordo con la Giordania per esportare parte dei suoi giacimenti di gas in 15 anni per un valore di 10.000 milioni di dollari.
Inoltre, a Tel Aviv confidavano di vendere il gas anche all'Egitto, sempre affamato di risorse energetiche. Ma gli egiziani hanno scoperto di recente un grande giacimento di gas nel delta del Nilo. Si stima che possa essere addirittura superiore a quello di Israele. Questa scoperta ha mandato a gambe all'aria i piani dello Stato israeliano di vendita del suo gas sul mercato egiziano. Tel Aviv quindi ha preso al volo l'occasione che veniva offerta dall'Europa.
Il progetto della conduttura Israele Italia ha però un suo tallone di Achille. Lo spiega il periodico economico israeliano Globe. Il gas che arriva dal Mediterraneo orientale avrà costi elevati, almeno il 40% in più del prezzo del gas russo. Inoltre, ci sono anche difficoltà tecniche rilevanti. In primo luogo il passaggio del gasdotto a profondità marine di circa 3300 metri. In secondo luogo c'è l'attività vulcanica nei bassifondi marini compresi tra Cipro e Grecia che potrebbe danneggiare l'infrastruttura.
(Notiziario Estero, 27 aprile 2017)
«L'antisemitismo cresce. C'è troppa ignoranza. L'Anpi? E cambiata»
Il clima è cambiato perché la politica contingente ha iniziato a mescolarsi con questi momenti rievocativi
di Paola D'Amico
MILANO - Non doveva andare così. La contestazione alla Brigata ebraica a Milano, il doppio corteo a Roma. «C'è troppa ignoranza», dice Rav Giuseppe Laras, 82 anni, presidente del Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia e già rabbino ad Ancona, Livorno e per 25 anni nel capoluogo lombardo, dove l'amicizia con il cardinale Carlo Maria Martini segnò forse il punto più avanzato del dialogo tra ebrei e cristiani. «Nessuno sa cos'è questa Brigata ebraica. Manca l'informazione. Erano giovani che hanno combattuto al fianco degli alleati lungo la linea gotica, hanno contribuito a sfondarla, ebbero molti morti».
- Invece?
«Il nome stesso richiama dei guerrafondai. Non è così. Consiglio di andare nel cimitero militare di Piangipane: è costellato di stelle ebraiche, tutti soldati della Brigata che hanno dato la vita per liberare l'Italia».
- Il rischio?
«Se perdura questo stato di non conoscenza si rischia che l'antisemitismo trovi ulteriore alimento».
- Il 25 Aprile dovrebbe essere una grande festa.
«Un tempo lo era. Certamente. Negli anni immediatamente successivi alla guerra, ho vissuto insieme a mio padre che era stato comandante garibaldino nelle valli di Lanzo l'atmosfera di commozione e festa che si respirava in quei momenti. In anni più recenti ho sempre partecipato ai cortei del 25 Aprile e parlato anche talvolta dal palco. Oggi è tutta un'altra cosa».
- L' Anpi a Milano ha tenuto insieme le varie anime.
«E possiamo mettere un segno più. Ma l'Anpi è un altro elemento di debolezza. Un tempo rappresentava coloro che si erano distinti in quella guerra contro l'oppressione e la violenza. Oggi è un'associazione di persone perbene ma si è un po' svuotata di significato».
- Quindi?
«Arrivano a consentire di partecipare al corteo, come è accaduto a Roma, a rappresentanti dei movimenti islamici, messi sullo stesso piano della Brigata ebraica».
- Da quando è cambiato il clima?
«Da quando la politica contingente ha cominciato a mescolarsi con questi momenti rievocativi che non dovrebbero diventare un terreno di scontro».
- Una riflessione finale?
«Cerchiamo nei momenti di depressione morale e politica come sono i tempi attuali di contrapporre pensieri alti e propositi nobili. Questo impegno è l'unico farmaco per guarire forse la malattia dell'oggi. E combattere la superficialità mettendo insieme i pezzi di storia. In questa direzione va la mostra sul Genocidio degli Armeni organizzata al Memoriale della Shoah che si apre domani».
(Corriere della Sera, 26 aprile 2017)
Alla scoperta della nuova cucina israeliana
di Margo Schachter
La cucina israeliana è il prodotto di 3000 anni di storia, 100 culture e della chutzpah, l'audacia degli anticonformisti. Fra pite gourmet, nuova cucina araba e birra biblica, c'è chi scommette che questa sarà la nuova meta gastronomica.
Raccontare la storia della cucina israeliana è un'operazione biblica. Seppur lo Stato di Israele festeggi ad oggi neanche 70 candeline, quel piccolo Paese è il prodotto di 3000 anni di storia (2000 di diaspora) e di persone di un centinaio di provenienze, finite per la prima volta nella storia a condividere oltre ad una sola una religione, una sola terra.
Dal deserto dell'Etiopia ai ghiacci della Russia, sono arrivate in Israele tutte le culture e le cucine ebraiche del mondo: il risultato però non è stato una semplice somma, ma la ricerca di nuova identità.
La cucina israeliana è certo fatta di cous cous e borsch, hummus e aringhe, ma è sopratutto uno stile di vita, di condividere la tavola, di concepire i sapori, ingredienti, influenze. Questa ricchezza di influenze e la voglia di innovazione rendono oggi Israele una meta gastronomica unica in cui tradizioni millenarie, regole religiose e tendenze internazionali coabitano senza conflitti, senza confini, senza pregiudizi - sfidando ogni regola.
In yiddish la cucina ebraica si direbbe avere chutzpah, l'audacia degli insolenti e degli anticonformisti, in ebraico è balagan, un gran casino.
Per vedere fin dove è arrivata la nuova cucina israeliana bisogna andare a Tel Aviv, la città che non dorme mai e mangia a qualunque orario, h24, nei ristoranti di Nuova Cucina araba di Haifa e al mercato di Gerusalemme, che di notte si trasforma nel luogo più cool della città.
Cucina israeliana - Le pite gourmet
Se il falafel è la metafora di un intero Paese, le pite gourmet sono lo specchio dei tempi.
Eyal Shani è un celebrity chef, conduttore di Masterchef, imprenditore della ristorazione e l'uomo diventato famoso per sussurrare alle verdure.
A Tel Aviv oltre al suo ristorante gourmet Ha'Salon, ha aperto Miznon, un locale dove serve pite creative (quindi pane arabo con ratatouille, fish&chips, fegatini di pollo...).
Ha già due ristoranti anche a Parigi e Vienna e il suo cavolfiori arrosto è conosciuto worldwide: arriva a tavola bello abbrustolito, in un pezzo di carta da forno con qualche forchetta. Senza piatti, da condividere.
La colazione 24h su 24, 364 giorni all'anno
La colazione israeliana è la tradizione più radicata del Paese. Si mangiano pite, insalata di pomodori e cetrioli, hummus e tahina, formaggio labneh, yogurt, baba ganoush di melanzane, shakshouka di uova e pomodoro. È un pasto completo, abbondante e vegetariano che si mangiava nei kibbutz al ritorno dai campi.
Oggi è il grande brunch del sabato e della domenica, servito ovunque. A Tel Aviv, da Benedict, anche 24h su 24, e 364 giorni all'anno.
La performance in cucina
Indirizzo famoso per la cucina, e l'ambiente rumoroso, MachneYuda è il ristorante di Gerusalemme dei tre chef Assaf Granit, Yossy Elad e Uri Navon. Cucinano davanti agli ospiti piatti creativi conditi con musica ad alto volume, inscenando una vera performance al momento del dessert - che viene composto direttamente sul tavolo al ritmo di canti e balli.
La sala si può trasformare in dancefloor il venerdì sera, e sembrerà comunque un posto tranquillo, paragonato alla movida notturna del grande mercato di Gerusalemme. Al Mahane Yehuda chiusi i banchi del shouk stracolmi di frutta e verdura, la sera aprono le serrande di locali e ristoranti, per un turn over gastronomico h24.
Birra e cocktail
Come in qualunque altra parte del mondo, anche qui si sta assistendo alla comparsa dei primi cocktail bar di livello e dei microbirrifici. The Imperial a Tel Aviv, con il suo stile da speakeasy coloniale è entrato nella classifica dei Word's 50 Best Bar e nel 2016 ha aperto uno spin-off, La Otra, di ispirazione messicana.
Il primo microbirrificio israeliano ha aperto nel 2005, The Dancing Camel, nel centro di Tel Aviv, e oggi a distanza di poco più di 10 anni la scena è popolata di nomi come Alexander, o LiBira e Haifa, che oltre alle classiche producono birra israeliana con ingredienti locali come melograno, pompelmo, datteri...
La nuova cucina araba
Haifa, terza città del Paese e sede universitaria di livello internazionale, è anche il centro culturale più frizzante e moderno della componente araba levantina. Qui si parla di "Nuova Cucina Araba", chef come Omar Alelam nel suo ristorante Ale Gefen applicano tecniche contemporanee alle ricette della nonna e ogni anno a dicembre viene organizzato il festiva a-Sham, in cui chef provenienti da Israele, Palestina, Libano, Siria e Giordania cucinano insieme per mantenere viva la tradizione e per sperimentare ricette folk in chiave contemporanea.
L'alta cucina israeliana
Catit è uno dei pochi indirizzi gourmet di livello internazionale del Paese. È il ristorante di Meir Adoni, origini marocchine, che in cucina fonde con un tocco personale Est e Ovest, passato e futuro. Ventidue posti a sedere da Catit, e altre insieme come BlueSky, Lumina e il bistrot Mizlala. Fra i suoi piatti-icona, una tartare Palestinese con carne cruda, tahina, pinoli e baba ganoush - un piatto assolutamente non kasher, come oramai cucinano la maggior parte degli chef - e il Croissant con cervello di vitello, pomodoro e peperoni affumicati.
Altri nomi da ricordare, Haim Cohen, pioniere della cucina gourmet a Tel Aviv nel suo locale israelo-
ashkenazita Yaffo TLV, e Tomer Niv, lo chef allievo di Heston Blumenthal che al Rama's Kitchen, a meno di venti km a Nord-Ovest da Gerusalemme faceva foraging nel deserto e ripercorreva ricette millenarie (purtroppo il ristorante è bruciato nel 2016 ed è ancora chiuso - ma una citazione era d'obbligo).
"Voglio portare la cucina israeliana a competere con il miglior cibo nel mondo" ha dichiarato il regista Roger Sherman, autore del documentario In Search of Israeli Cuisine, presentato nel 2016 e già proiettato in oltre 90 festival. È solo questione di tempo, ne sentiremo parlare.
(FineDinning Lovers, 26 aprile 2017)
Al corteo «antifascista» la follia degli estremisti che insultano gli ebrei
Contestatori isolati. Amici di Israele protetti da City Angels e dem. Autonomi subito bloccati
di Alberto Giannoni
Terzomondisti, anarchici e centri sociali (abusivi), nostalgici dell'Urss e tardo maoisti. C'è spazio per tutti al 25 aprile di Milano. Dentro il corteo ci sono tutte le sigle e siglette della diaspora comunista e gruppettara. Ma sembra che non si possa portare una bandiera americana. E sembra che non ci possano stare la Brigata ebraica e la Comunità ebraica, ovvero i figli e i nipoti di quelli che più patirono I' orrore nazista, ne i campi di sterminio. Sembra in realtà, perché la contestazione pesante che si temeva alla vigilia, alla prova della piazza si rivela come la messa in scena, più patetica che aggressiva, di una manciata di autonomi.
Sono le 14 e la manifestazione non sembra enorme: il ponte avrà distratto molti. In piazza, ovviamente, si fanno vedere tutte le componenti possibili e immaginabili della sinistra ufficiale e istituzionale: ognuna con la sua bella bandiera, nel mezzo di una stagione politica tumultuosa di scissioni e alleanze. Il Pd, già prima che parta il corteo, deve affrontare alcuni contestatori (i militanti del «Cantiere», che ce l'hanno col decreto Minniti). La seconda razione di fischi piove ali' altezza di piazza San Babila, dove sono tradizionalmente appostati gli «ultrà» anti-israeliani e i filo-palestinesi più scatenati, che accolgono gli ebrei al grido di «fascisti, assassini, sionisti». C'è un filo, invece, fra la Resistenza, il sionismo e lo stato di Israele. La Brigata ebraica lo rappresenta ed è questo che non le viene perdonato. Ma in realtà sono sempre meno i contestatori della Brigata ebraica, e sempre più numerosi sembrano i suoi amici, che si inseriscono nel corteo fra la Cgil (con la segretaria Susanna Camusso) e il Pd, quel che resta di una possente macchina organizzativa che garantisce tutt'ora un servizio d' ordine compatto. Sono Pd e i City angels a proteggere Brigata e Amici di Israele dalla temuta contestazione. Lo spiegamento di forze dell'ordine è ingente: «Solo prudenza, la situazione appare molto tranquilla» dice il sindaco, Beppe Sala che in effetti, attorniato da qualche assessore e accompagnato dal presidente provinciale dell'Anpi, Roberto Cenati, si avvicina allo striscione con la Stella di David per un saluto che - si vede - vuole essere molto convinto ostentato. Lì trova i Radicali e il sottosegretario Benedetto Della Vedova, l'antropologa Maryan Ismail, simbolo della battaglia contro l'islamismo, e tanti altri. Con la comunità, insieme al presidente Raffaele Besso e all'assessore Davide Romano, le varie anime: le componenti giovanili, gli «scout», l'ala di sinistra e quella più ortodossa. Gli ebrei milanesi applaudono a lungo gli striscioni dell'Anpi. Qualcuno tende una mano e abbraccia Cenati, che ha schierato la sua Associazione a difesa della Brigata: «Grazie». Da brividi l'applauso con cui gli ebrei e i reduci dei campi si salutano a vicenda. «Tenetevi a braccetto, non per mano» il passaparola del servizio d'ordine, che si schiera su due file all'imbocco di San Babila, dove però tutto fila liscio. E in Duomo il presidente del Senato Pietro Grasso dice: «Siete e sarete sempre a casa vostra in una piazza come questa, chi contesta la vostra presenza nega la storia della Resistenza».
(il Giornale, 26 aprile 2017)
Il 25 aprile da «separati» della Comunità ebraica a Roma: "Speriamo sia l'ultima volta"
di Andrea Carugati
ROMA - La prima manifestazione del 25 aprile "separata", forse anche l'ultima. La comunità ebraica di Roma celebra la Liberazione in via Cesare Balbo, a Roma, davanti alla sinagoga che fu anche sede della Brigata ebraica durante l'occupazione nazista della Capitale. «Vorrei che quella di oggi fosse l'ultima manifestazione che si fa in questo modo e che il prossimo anno si torni a manifestare tutti insieme», spiega il rabbino capo Riccardo Di Segni. «Ma non siamo noi ad aver causato queste celebrazioni separate».
A dividere il loro corteo da quello dell'Anpi è stata - spiega- «la mancata volontà di ascolto» da parte dell'Anpi romana, non di quella nazionale. Sono stati, ragiona dal palco il rabbino, «i miti velenosi e pericolosi secondo cui il conflitto tra israeliani e palestinesi oppone buoni contro cattivi, oppressori contro oppressi. Non è così. Siamo stati costretti a fare una manifestazione alternativa quando i nodi sono venuti al pettine, quando Pietro Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, è stato insultato durante una manifestazione». «Ma la nostra volontà è di tornare a manifestare tutti insieme, riconciliati».
Di Segni è il più pacato, sul piccolo palco davanti alla sinagoga. La presidente della comunità ebraica romana Ruth Dureghello è più esplicita nell'accusa di revisionismo rivolta all'Anpi romana: «Noi vogliamo stare insieme ma nella verità della storia. Chiediamo loro di fare una scelta: dire chi allora erano i liberatori e chi gli alleati di Hitler. Chiediamo loro di dire allora con chi sarebbero stati: dalla parte dei liberatori o da quella del Gran Mufti di Gerusalemme, che era alleato con Hitler?».
Il conflitto israelo-palestinese, in tutta la sua presente durezza, è il protagonista di questo scontro, dopo che per anni le Brigare ebraiche sono state oggetto di contestazioni al corteo ufficiale dell'associazione partigiani (anche oggi a Milano), corteo a cui è stata invitata una delegazione palestinese. «La storia è qui, il resto sono menzogne», attacca Ruben Della Rocca, numero due della comunità ebraica, che ringrazia gli ambasciatori dei paesi alleati presenti in via Balbo, dalla Polonia alla Nuova Zelanda, passando per Usa, Francia, Regno Unito, Australia e Israele. «Non esistono altre bandiere legate alla guerra di Liberazione dell'Italia». E ricorda come «un luogotenente del Gran Muftì sia il padre di una dei terroristi di Monaco», e di come tramite Eichmann abbia tentato di «esportare la soluzione finale anche in Palestina». Applausi dalla platea, dove sventolano le bandiere della Brigata ebraica.
La risposta delle istituzioni è forte. Sul palco sfilano la sindaca Raggi, il vicepresidente della Regione Massimiliano Smeriglio, Maria Elena Boschi a nome del governo, i presidenti delle commissioni Esteri Casini e Cicchitto. Tra la gente il presidente del Pd Matteo Orfini, Roberto Giachetti, Miguel Gotor di Mdp,
Stefano Fassina e Loredana De Petris di Sinistra italiana. I democratici hanno scelto di partecipare solo alla manifestazione della comunità ebraica, mentre Mdp e Si si sono unite anche al corteo Anpi.
«Oggi è il giorno della Liberazione e nessuno ha diritto di inserirci significati diversi. Il 25 aprile è la festa della memoria e dell'unità e non delle divisioni», ha detto la sottosegretaria Boschi. «Non siamo qui contro qualcuno, ma per dire grazie a chi, come la Brigata ebraica, ha combattuto per la libertà. La memoria è un dovere civile nell'era della post-verità. Chi pensa di tenere fuori la Brigata ebraica nega la verità e la storia. Nessuna giustificazione dell'attualità geopolitica può consentire di scalfire il valore del 25 aprile. Il nostro Paese ha una posizione da sempre: due popoli, due stati. Israele ha non solo il diritto ma il dovere di esistere».
«L'abbiamo detto anche alla sindaca Raggi: siamo pronti a tornare a manifestare insieme ad altri. Ma questa giornata lasciatecela fuori dalle polemiche», chiude Della Rocca. Carla Di Veroli, nipote di un partigiano di Giustizia e libertà: «Ho partecipato fin da bambina alle manifestazioni dell'Anpi. Ma negli ultimi anni c'era stata troppa tensione verso di noi. Finalmente oggi un ricordo senza tensioni».
(La Stampa, 25 aprile 2017)
ANPI sta con chi odia ebrei
Lo ''strappo'' a Roma sulla celebrazione della Festa della Liberazione e' rimasto. La ricucitura forse non e' stata neppure tentata o, se lo e' stata, non cercata fortemente e ad ogni costo, e almeno per quest'anno e' andata cosi': da una parte la Comunita' ebraica, dall'altra l'Anpi. Due celebrazioni distinte, in luoghi diversi, distanti fisicamente ed anche nella sostanza. In mezzo il sindaco di Roma nel tentativo di tenere insieme i pezzi di quella che ovunque e' una ricorrenza che dovrebbe unire l'intero Paese. ''Noi da qui gridiamo forti e uniti che vogliamo stare insieme ma vogliamo starci nella verita' e nella storia che fu fare una scelta. Gli ebrei della Brigata ebraica giunsero in Italia dall'allora Palestina e sconfissero le truppe nemiche e si organizzarono e aiutarono la Resistenza. Non e' una scelta facile la scelta della verita' ma noi non vogliamo fare la scelta della revisione della storia. Chiediamo solo di fare una scelta: chiediamo loro di dire allora con chi sarebbero stati dalla parte dei liberatori o da quella del Gran Mufti di Gerusalemme, che era alleato con Hitler''. Parole forti da Ruth Dureghello, presidente della Comunita' ebraica, per sottolineare, insieme all'auspicio che questo non si ripeta piu', anche la distanza ancora una volta con l'Associazione nazionale dei partigiani italiani per l'invito rivolto alla comunita' palestinese, casus belli di questa divisione romana nel giorno della Liberazione.
(il Nazionalista, 25 aprile 2017)
Firenze - L'Associazione Italia-Israele alla manifestazione del 25 aprile
L'Associazione Italia-Israele di Firenze ha partecipato, come l'anno passato, alla manifestazione per la Festa della Liberazione. Ci siamo raccolti intorno all'immagine di Enzo Sereni, eroe della Resistenza, e abbiamo partecipato al corteo che si è concluso in Piazza della Signoria. Quì il nostro cartello con l'immagine di Enzo Sereni è stato ammesso accanto al labaro della Comunità ebraica, come già era avvenuto l'anno passato, sull'Arengario di Palazzo Vecchio dove sono stati tenuti i discorsi ufficiali. Quest'anno il cartello è stato sorretto da uno dei nostri più giovani soci. L'anno scorso venivamo guardati più con curiosità che altro, e c'era chi si chiedeva chi era Enzo Sereni: quest'anno il Sindaco Dario Nardella ha iniziato il suo discorso proprio citando il nostro cartello e la nostra presenza e parlando di Enzo Sereni e del contributo ebraico alla Resistenza, e anche Aldo Cazzullo, oratore ufficiale, ha di nuovo citato Enzo Sereni.
All'inizio della manifestazione, in Piazza dell'Unità italiana, c'era un decina di palestinisti, ciascuno con una grande bandiera in mano per cercare di sembrare tanti, mescolati ad altri due o tre che portavano le bandiere del Partito comunista marxista-leninista. Una degna compagnia. Come già era accaduto l'anno passato, appena iniziato il corteo sono scomparsi: a loro chiaramente della Resistenza e della LIberazione non interessa molto.
Valentino Baldacci
Presidente dell'Associazione Italia-Israele di Firenze
(Associazione Italia-Israele di Firenze, 25 aprile 2017)
"Menorà: culto, storia e mito", affascinante mostra interreligiosa
Una mostra di notevole interesse per le implicazioni, artistiche, culturali e religiose, sarà inaugurata il 15 Maggio a Roma.
di Ida Cuzzocrea
Per la prima volta due importanti musei come il Museo Vaticano e il Museo Ebraico di Roma collaborano per una "mostra congiunta" che esporrà preziose opere provenienti da tutto il mondo. Opere in parte inedite e in parte poco conosciute per favorire concretamente la conoscenza e il dialogo fra due importanti realtà.
La Menorah, candelabro a sette luci, simbolo universale dell'ebraismo è al centro di questo percorso espositivo che evidenzia l'alto valore simbolico e l'esistenza di un aspetto inter-religioso dell'iniziativa perché, come ha sempre sottolineato Papa Francesco, "L'ebraismo e la cristianità appartengono a una sola famiglia". E questa mostra vuole essere realmente "un ponte unificante" fra ebrei e cristiani per un reciproco e costruttivo cammino.
Circa 130 le opere esposte. Da Mosè ai nostri giorni il viaggio di questo candelabro, antico oggetto mistico, espressione della Luce Divina, rappresentato in Oriente e in Occidente affascina e coinvolge. Fonte di ispirazione anche per molte opere cristiane, la Menorah appare per la prima volta nel libro dell'Esodo dove si legge che, per volere divino, fu realizzata da Mosè per il tabernacolo con quaranta chili di oro puro. Interessante la presentazione delle due direttrici (Barbara Jatta, per i Musei Vaticani e Alessandra Di Castro per il Museo Ebraico di Roma) di questo percorso espositivo che comprende Quadri, Sculture, Incisioni, Reperti Archeologici e Letterari che evidenziano l'esistenza simbolica del rapporto fra Cristianesimo e Ebraismo.
Tre i grandi nuclei della mostra suddivisi in sezioni.
Il primo nucleo è articolato in tre sezioni che abbracciano l'arco di tempo che va dall'antichità ai primi secoli dell'era moderna. Viene ricostruita la storia del candelabro, dalla sua presenza nel Tempio di Gerusalemme fino alla sua scomparsa a Roma.
Il secondo nucleo strutturato in quattro sezioni, evidenzia (con un percorso avvincente che va dalla tarda antichità fino alle soglie del XX secolo) il carattere aggregante della cultura e dell'identità ebraiche.
Il terzo nucleo caratterizzato da una unica grande sezione, offrirà al visitatore una ampia panoramica di opere di grandissimo livello con inedite forme espressive che abbracciano un arco temporale dal dopoguerra al XXI esimo secolo. In questa ultima sezione sono visibili opere d'arte di notevole pregio come le coinvolgenti tele di Marc Chagall e capolavori della letteratura come "Il Candelabro sepolto" di Zweig.
Un progetto molto impegnativo la realizzazione di questa mostra, che ha richiesto un lavoro lungo e complesso di circa tre anni e mezzo. Grazie al serio impegno degli organizzatori si è riusciti a ottenere in prestito, opere molto preziose che provengono dai più prestigiosi Musei come il Louvre, la National Gallery di Londra, il Museo di Gerusalemme, l'Albertina di Vienna, l'Opificio delle pietre dure di Firenze.
Significative testimonianze provengono anche da Napoli e da Toledo. Interessanti e rari i preziosi oggetti di vetro decorati in oro. Due splendidi candelabri del diciottesimo secolo provengono da Palma di Maiorca. Una attenta sosta merita il bassorilievo in pietra risalente al primo secolo A.C., rinvenuto da pochi anni e proveniente dell'antica Sinagoga di Magdala in Galilea. Di grande interesse storico-artistico la Bibbia di San Paolo di epoca Carolingia e i preziosi vetri di epoca romana, decorati in oro. Molto forte l'interesse di prestigiose Istituzioni Internazionali verso questa esposizione senza precedenti, che offre, attraverso le numerose espressioni artistiche, la sofferta storia di questa lampada, alta un metro e mezzo, esclusivamente alimentata con olio puro di oliva estratto da olive verdi con un procedimento tipico dell'epoca.
Nel libro dell'esodo si legge inoltre che, il candelabro originale fu conservato nel Tempio di Salomone. Dopo la distruzione del tempio ad opera dei Babilonesi La Menorah fu portata a Roma nel 70 dopo Cristo. L'evento è testimoniato dal bassorilievo presente nell'arco di Tito, in cui viene descritta, la sfilata del candelabro come trofeo di guerra insieme ai prigionieri ebrei.
Razziata nel Sacco di Roma sembra sia stata trasportata in Africa e quindi a Costantinopoli dove se ne sono perse le tracce. Così la Menorah esce dalla storia per entrare nel mito e nella leggenda. Molte le ipotesi sulla sua scomparsa, ma nessuna fino a questo momento, è stata ritenuta valida. Fra le tante "fantasie" ricordiamo quella in cui si ipotizzava che il famoso candelabro fosse nascosto in Vaticano. In passato fu sollecitato persino il pontefice Giovanni Paolo II, ma come era prevedibile, non si approdò a nulla se non a cercare inutilmente di screditare la Santa Sede.
La mostra, che resterà aperta fino al 23 Luglio prevede l'utilizzazione di apparati didattici per coinvolgere bambini e ragazzi di ogni età orientandoli alla conoscenza di una cultura che è cultura del dialogo e della comprensione reciproca.
Questo simbolo di pace, adottato anche dalla cristianità è presente non solo nelle catacombe ebraiche ma nei sarcofagi, nei gioielli, nei calici con preziose incisioni che permettono al visitatore di rivivere un passato dalle forti emozioni. Con ammirazione segnaliamo una incisione del candelabro su una moneta del primo secolo A.C. che riteniamo uno dei pezzi più preziosi e interessanti di questa esposizione che vuole essere un segno di Pace ed Espressione della tensione alla Luce e alla Spiritualità.
Un messaggio umano, storico estremamente valido, quello che ci viene da una lettura espositiva che ci porta indietro nel tempo facendoci ricordare il vero significato dell'arte, oggi forse un po' troppo strumentalizzata, ma sempre eterno simbolo di Luce.
(l'eco del sud, 25 aprile 2017)
Tre giorni in gravel bike nel deserto del Negev
Nel deserto del Negev
Marc Gasch e Diego Grasa di XPDTN3, accompagnati dalle guide locali Nimi Cohen e Zach Uchovsky, hanno pedalato per tre giorni nelle aride distese del Negev.
Il Negev è un deserto roccioso situato nel sud di Israele, che con i suoi 13.000 km2 copre quasi la metà del paese, e che si estende dal Mediterraneo fino alla zona più secca e calda vicino a Eliat, sul Mar Rosso.
Arido e secco, ma con qualche pioggia nelle zone più vicine al mare Mediterraneo, il Negev è famoso per i suoi enormi canyon, i profondi crateri rocciosi e gli innumerevoli "Wadi" che in lingua araba e ebraica significa, "letti di fiumi in secca". Un paesaggio perfetto per le escursioni in gravel bike e di grande impatto scenografico per i reportage video-fotografici.
I quattro biker, con l'appoggio di un mezzo di assistenza che garantiva l'approvigionamento ed il supporto per i trasferimenti più lunghi, hanno completato un itinerario di tre giorni che li ha portati a scoprire gli angoli più suggestivi di questa isolata regione desertica.
Il bellissimo video, realizzato anche con l'utilizzo di un drone, comunque parla da solo.
(urbancycling, 25 aprile 2017)
Perché Netanyahu ha cancellato l'appuntamento col ministro tedesco che critica Israele
Gerusalemme ha chiesto a Berlino di evitare l'incontro con due ong che diffondono propaganda anti-israeliana. "Inimmaginabile", dice il ministro degli Esteri Gabriel, che nel 2012 aveva descritto Israele come uno stato di apartheid.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha cancellato all'ultimo il suo incontro con il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel in visita in Israele. Netanyahu ha chiesto al ministro tedesco di scegliere fra l'incontro con lui o con due organizzazioni non governative, critiche nei confronti di Israele: B'Tselem e Breaking the Silence. Quest'ultima in particolare sostiene che le forze di difesa israeliane (Idf) commettono crimini di guerra. Netanyahu ha ricevuto il sostegno di Yuli Edelstein, portavoce della Knesset, che ha scritto su Twitter che Breaking the Silence e B'Tselem diffondono propaganda anti-israeliana e ha invitato Gabriel ad annullare i suoi incontri con le ong.
Gabriel, che nel 2012 aveva descritto Israele come uno stato di apartheid, ha detto che sarebbe stato "un evento straordinario, per usare un eufemismo", se Netanyahu avesse annullato i loro colloqui in programma, e ha sostenuto che è normale parlare con rappresentanti della società civile. "Immaginate se il primo ministro israeliano fosse venuto in Germania e avesse voluto incontrare persone critiche nei confronti del governo e questo avesse detto che non è possibile. Sarebbe impensabile", ha detto il ministro tedesco alla televisione nazionale Zdf. A rispondere a Berlino è il ministro dell'Istruzione Naftali Bennett: "Breaking the Silence non è un'organizzazione anti-Netanyahu ma è anti-Idf". Posizione che trova l'appoggio anche dell'ex ministro della Difesa Moshe Ya'alon: "Il finanziamento e la partecipazione dell'Europa su questi temi travalica molte linee rosse nelle relazioni tra i nostri paesi".
Nel frattempo, il leader dell'opposizione Isaac Herzog (Unione sionista) ha adottato un approccio diverso: in un incontro con Gabriel oggi a Gerusalemme ha presentato il suo punto di vista sulle azioni dell'esercito israeliano. "L'Idf ha quotidianamente a che fare con la minaccia terroristica nella regione più complessa del mondo. In tutte le guerre di Israele ha dimostrato più e più volte di agire secondo le norme del diritto internazionale e nel rispetto dei diritti umani. Talvolta, anche mettendo a rischio la vita di soldati in campo, le forze di difesa israeliane hanno interrotto azioni militari per la preoccupazione di colpire i civili, spesso utilizzati dai terroristi come scudi umani".
(Il Foglio, 25 aprile 2017)
La Brigata Ebraica e la rinascita del 25 aprile
La memoria può essere inquinata, annacquata e banalizzata: per questo va difesa bene. Lettera al Corriere della Sera del Rabbino Capo di Roma.
Caro direttore,
Rav Riccardo Di Segni
nell'ultima commemorazione del massacro delle Fosse Ardeatine, è stato scorto tra il pubblico il gonfalone della Guardia d'onore alle reali tombe del Pantheon. Molti si sono chiesti che ci stessero a fare, i custodi della memoria di casa Savoia, in quel momento e in quel luogo le poco onorevoli gesta dell'ultimo re di Savoia. Il fatto è che le celebrazioni possono perdere senso, gli inquinamenti sono sempre possibili.
Si fa presto a dire memoria. La memoria di fatti importanti non solo può evocare traumi e divisioni mai composte, ma se gestita incautamente provoca ulteriori lacerazioni. Il 25 aprile, festa della liberazione dal nazifascismo, non è la festa di tutti, come qualcuno dichiara retoricamente, è il ricordo di una guerra civile. Ma per gli ebrei è una festa, non solo come la fine di un incubo ma anche come segno di rinascita. Perché la partecipazione ebraica alla lotta contro il nazifascismo è un dato reale e non di piccolo conto.
Non c'è stata infatti solo la resistenza nei ghetti e nelle foreste dell'Europa orientale, c'è stata la partecipazione di migliaia di ebrei nell'Armata Rossa e negli eserciti delle democrazie occidentali; c'è stata anche la resistenza nell'Europa occidentale, con un contributo di partecipazione, di decorazioni e di vittime ben superiore all'entità numerica degli ebrei; c'è stata infine la Brigata ebraica, che seppure inquadrata tardivamente nei ranghi dell'esercito britannico, che non si fidava di un corpo ebraico organizzato, nel marzo e nell'aprile del 1945 fece a tempo a versare il suo sangue per la liberazione dell'Italia.
Nel ricordo ebraico è ben difficile distinguere tra la vittima passiva e inerme, comunque martire e sacra, e chi ha imbracciato le armi; per altri talora risulta difficile e anche inaccettabile capire la differenza tra i singoli ebrei sparsi negli eserciti e nelle bande partigiane e quelli invece riuniti come tali a combattere con una loro bandiera; perché quella è stata una rivoluzione storica e identitaria che è alla base della fondazione dello Stato d'Israele. Questo è il motivo per cui consciamente o inconsciamente il vessillo della Brigata ebraica, che ha tutti i diritti di sfilare insieme ai liberatori, è esposto ai fischi e agli insulti di qualcuno.
La memoria può essere inquinata, annacquata, banalizzata. I problemi di oggi meritano tutta la nostra attenzione alla luce delle lezioni del passato, ma bisogna evitare confusioni e malintesi. Oggi l'attualità è anche quella di sanguinose guerre nel Medio Oriente (nel senso di Siria e Iraq). Ma l'attenzione retorica e fuorviante si concentra solo sulla Palestina, con inviti ufficiali di sezioni locali dell'Anpi, in ossequio a un modulo interpretativo grossolano che oppone i buoni contro i cattivi, gli oppressi contro gli oppressori. Per questo molti ebrei non accettano che si metta sullo stesso piano ideale la lotta di liberazione antifascista con un'interpretazione approssimativa e parziale del conflitto mediorientale.
Sono figlio di partigiani. I miei genitori scappati insieme a due bambini si rifugiarono in un paese delle Marche e si unirono alla banda partigiana della Brigata Garibaldi. Dopo la liberazione, mia madre, concreta e antiretorica, non volle prendere la tessera di «patriota», come si chiamavano allora i partigiani; mio padre ebbe una medaglia d'argento.
Non credo che partecipassero intensamente alle manifestazioni dei primi anni. Si limitavano, ma non era poco, a esporre alla finestra di casa il tricolore nelle feste nazionali. Mi chiedo cosa avrebbero fatto oggi davanti a tutte le polemiche. Dubito che avrebbero accettato di sfilare con le loro memorie in mezzo a un cordone di sicurezza e insieme a chi viene invitato maldestramente e retoricamente come combattente per la libertà. Bisogna stare attenti alle scelte e alle parole, quando si confronta l'attualità con la storia.
Tra i fatti d'attualità più gravi c'è l'arrivo di migliaia di migranti sulle nostre coste. Condividiamo la preoccupazione per la difesa della dignità e dei diritti dei migranti, ma l'equiparazione dei campi di raccolta con i campi di concentramento è fuorviante e rischiosa. Per noi i campi di concentramento sono stati l'anticamera dei campi di sterminio, senza via di scampo. E chi si occupa dell'ordine pubblico spesso davanti a criminalità comune non può essere messo sul piano di una guardia nazifascista. La memoria esige cautela.
Riccardo Di Segni
Rabbino Capo di Roma
(Corriere della Sera, 25 aprile 2017)
Ebrei Usa contro papa Francesco: "I campi profughi non sono lager"
Il Pontefice aveva paragonato i campi profughi ai campi di concentramento. Dura reazione degli ebrei Usa: "I riferimenti storici devono essere fatti con accuratezza".
di Ivan Francese
Alla fine la reazione delle comunità ebraiche non si è fatta attendere.
Le parole con cui Papa Francesco ha paragonato i campi profughi ai campi di concentramento non sono andate giù alle grandi comunità ebraiche degli Usa, riporta il quotidiano israeliano Jerusalem Post.
E così la American Jewish Comittee ha emesso una condanna senza appello: "Le condizioni in cui i migranti si trovano a vivere in Europa - ha detto il ceo David Harris - possono certo essere difficili e meritano un'attenzione internazionale sempre maggiore, ma di certo non si tratta di campi di concentramento."
Harris non esita a correggere le parole del Pontefice: "La precisione di linguaggio nel riportare i fatti è assolutamente essenziale quando si fanno riferimenti storici, soprattutto quando a farli è una figura così importante e rispettata a livello mondiale."
Parlando all'isola Tiberina appena sabato scorso, il Santo Padre aveva esortato all'accoglienza, tracciando un paragone destinato a fare discutere: "I popoli generosi che li accolgono - aveva detto il Papa - debbono portare avanti da soli questo peso, e gli accordi internazionali sembrano più importanti dei diritti umani. I campi di rifugiati, tanti, sono campi di concentramento per la folla di gente lasciata lì."
(il Giornale, 25 aprile 2017)
Per tutto quanto attiene alla sua figura pubblica, Mario Josè Bergoglio è tuttaltro che una figura rispettabile. Sia nei suoi riferimenti a Dio, sia nei suoi riferimenti alla verità storica, sia nei suoi riferimenti ai rapporti tra uomini, papa Bergoglio è lepitome di tutto ciò che vi è di più distorto, menzognero e fuorviante nella storia della cristianità istituzionale cattolica. M.C.
Toaff, Artom e gli altri. Così i partigiani ebrei lottarono per la Toscana
La famiglia Valobra di Firenze: i quattro fratelli furono combattenti, le due sorelle staffette.
di Adam Smulevich
Ebrei italiani nella Resistenza
Partigiani ed ebrei. Spesso in prima linea, con incarichi di alta responsabilità. Assoluti protagonisti della Liberazione del Paese dal nazifascismo. Furono all'incirca 2 mila in tutta Italia, come ha ricordato lo scorso anno Aldo Cazzullo alla vigilia di un altro 25 Aprile carico di veleni che ha tirato in ballo la memoria della Brigata Ebraica, il corpo formato da 5 mila volontari arruolatisi nella Palestina mandataria (il futuro Stato di Israele) cui va riconosciuto tra gli altri lo sfondamento della Linea Gotica nella vallata del Senio, in Emilia-Romagna. Una memoria spesso oltraggiata e strumentalizzata, che ha portato gli ebrei romani a discostarsi dal tradizionale corteo organizzata dall'Anpi (dove invece sfileranno le bandiere palestinesi). Una frattura dolorosa, ma inevitabile.
Duemila partigiani, arruolatisi dal Piemonte al Centro Italia. Un dato che ha un suo peso, per una minoranza numericamente esigua come quella ebraica. Anche la Toscana fece la sua parte, a partire da un trentenne livornese di sani principi che avrebbe conquistato uno spazio nella storia del Novecento e che domani Pisa (la città dei suoi studi) onorerà intitolandogli una passeggiata: Elio Toaff. Il giovane rabbino accolse senza esitazione la sfida posta in quei giorni drammatici. Una scelta che lo portò a contatto con l'abisso della crudeltà. I suoi occhi, gli occhi di un partigiano della Brigata Garibaldi X-bis «Gino Lombardi», furono infatti tra i primissimi a testimoniare i crimini compiuti a Sant'Anna di Stazzema. In alcune lettere inedite ritrovate di recente dal figlio Ariel, chiaramente emerge il peso dell'orrore vissuto ma anche la voglia di ricostruire, di guardare al futuro come a un tempo di nuove opportunità.
Centrale fu anche il contributo dell'ebraismo fiorentino. Su tutti vale l'esempio dei Valobra, quattro fratelli e due sorelle cresciuti a pane e antifascismo. Cesare, Enzo, Sauro e Dante combattono, Lea e Rossana fanno invece le staffette clandestine. Dante, membro del Partito d'Azione, è catturato dai fascisti e imprigionato a Villa Triste. Liberato grazie all'intervento di Elia Dalla Costa, il cardinale che lo Stato di Israele ha voluto tra i suoi «Giusti», si aggrega alla brigata partigiana Lanciotto. Il 29 giugno del 1944 è ucciso a Cetica, nell'Aretino. Spicca anche la figura di Alessandro Sinigaglia, cui il sociologo Mauro Valeri ha dedicato il libro Negro Ebreo Comunista. Sinigaglia era nato a Fiesole nel 1902, figlio di un ebreo di origini mantovane e di una cittadina statunitense di colore. Tornato a Firenze dopo anni di confino a Ventotene, con l'arrivo dei tedeschi in città si prende carico di organizzare e guidare una delle prime formazioni gappiste. Nel febbraio del 1944 cade vittima di un imboscata tesa dalla Banda Carità in via Pandolfini. Una targa ricorda oggi quel fatto di sangue.
Fu partigiano anche un politico di spessore come l'esponente liberale Eugenio Artom, futuro consigliere comunale, ma anche futuro membro della Consulta nazionale e senatore della Repubblica. Braccato dai persecutori per via della sua identità ebraica, Artom ebbe salva la vita grazie al collega di partito Renato Fantoni che, d'accordo con la moglie Beatrice, lo nascose in una casa a Pian del Mugnone. Un'azione meritoria che ha portato Fantoni, come Dalla Costa, tra i «Giusti».
Diversa invece la sorte che toccò al pisano Eugenio Calò. Vicecomandante della Brigata Garibaldi, si rifiutò di avallare esecuzioni sommarie nei confronti dei prigionieri tedeschi catturati tra le valli del Casentino. Quando fu lui ad essere catturato, non ebbe la stessa fortuna. Dopo l'interrogatorio, fu infatti ucciso. Per quanto riguarda la Brigata Ebraica, prezioso fu il coinvolgimento di tanti ex soldati nel rilancio di Comunità e istituzioni duramente provate dalla Shoah (a Firenze, ma non solo). Alcuni scelsero poi di viverci, in Toscana. Come Haim Abrahami, uno degli ultimi testimoni di quei giorni, scomparso qualche settimana fa in provincia di Lucca. Anche nel crepuscolo della sua vita, gravemente malato, non ha smesso di affrontare gli inciampi della sua difficile quotidianità a testa alta. Un vero combattente, fino all'ultimo.
(Corriere Fiorentino, 25 aprile 2017)
Quella sinistra arretrata che vuole distruggere israele
di Fiamma Nirenstein
Non c'è nulla di sorprendente nel fatto che alla manifestazione del 25 aprile si crei uno scontro oltraggioso sulla Brigata ebraica. L'Anpì, che è il promotore delle manifestazioni celebrative, di fatto non può o non vuole impedire che dal corteo si stacchino e aggrediscano i vessilli della Brigata drappelli con bandiere palestinesi o peggio del Bds, il fronte di boicottaggio conto Israele, di fatto un movimento travestito di legittimità che è invece collegato a tutti i peggiori nemici dello Stato ebraico fino ai terroristi. L'uso della data in cui si festeggia la Resistenza per attaccare Israele, lo Stato degli ebrei che sono le maggiori vittime della Seconda guerra mondiale, è un paradosso micidiale, e la presidente della Comunità Dureghello fa bene a non aderire alla manifestazione.
Di fatto lo scontro non è sulla partecipazione degli ebrei alla Resistenza contro i nazi-fascisti: è sull'idea che quello che di buono gli ebrei fanno sia una foglia di fico per celare la loro perversione. Come la disponibilità a curare tutti nei loro ospedali (anche i terroristi palestinesi o i siriani feriti in una guerra che non li riguarda) o il rispetto di legge per le persone omosessuali, o il formidabile uso della giustizia in ogni circostanza anche la più scomoda, o il codice di comportamento per l'esercito ... Foglie di fico, che nascondono gli ebrei con la coda e con le zanne, persecutori di palestinesi. Lo stesso per la Brigata ebraica. Nessuno può negare che i volontari che dalla Palestina vennero a rischiare la vita a fianco degli inglesi (come mio padre Alberto nel battaglione 148) costituiscano un fatto storico. La questione che ha buttato l'Anpi per lunghi anni in questa brodaglia di menzogne antisemite e di ulteriori attacchi gratuiti contro Israele ha a che fare con due elementi: il primo riguarda l'uso della «Resistenza», una parola destoricìzzata, ideologizzata, resa universale per adattarla ai combattenti di qualsiasi guerra di liberazione vera o supposta, dai centri sociali agli Hezbollah ai palestinesi. Quindi perché non anche al terrorismo, o al Bds che del terrorismo è parente in quanto si propone la distruzione totale dello Stato degli ebrei. In secondo luogo, quella contro Israele è una battaglia primaria e indispensabile per questi movimenti, forse la prima: quella su cui si addensano tutti i luoghi comuni del più bieco conservatorismo di sinistra, quello che nega il diritto all'autodifesa, che non riconosce come tale il terrorismo, che solo a sentire le parole «nazione» e «identità» gli piglia un colpo, che non è capace di concepire l'idea che gli ebrei non debbano più piegare la testa e strisciare sotto il peso della loro storia, sperando che l'Iran un giorno si decida a far fuori Israele se non ce la fanno i palestinesi. La negazione del ruolo della Brigata ebraica nella guerra di liberazione e la scelta invece di scegliere per partner i palestinesi che erano alleati, tramite il loro capo, il Mufti Haj Amin Al Husseìni, a Hitler stesso (è uscita ora dagli archivi una bella lettera di Himmler al Muftì), e di promuovere il Bds, proprio a ridosso del giorno della memoria dei Sei Milioni, è molto interessante: rende di fatto il movimento guidato dall'Anpi (anche se a Milano, mi dice il capo dell'Associazione amici di Israele Davide Romano, il loro capo Roberto Cenati difende la presenza della bandiera con la stella di Davide) un alleato del suo peggior nemico; ricorda il loro sterminio aggregandosi al carro di una propaganda palestinese criminalizzatrice, ossessiva, antisemita, in cui si cerca di negare ogni giorno la storia testimoniata dalle vestigia e dalle scritture di tutto il mondo, ovvero il legame di Gerusalemme con gli ebrei, in cui si accusa Israele di violenza mentre non passa un solo giorno senza che si accoltellino, si travolgano, si uccidano passanti innocenti gridando Allah hu Akbar. Questa è oggi la bandiera di una sinistra arretrata e misera di fronte a Israele, alla sua storia, alla sua vita. Che il resto della sinistra si faccia sentire.
(il Giornale, 25 aprile 2017)
In bici tra le tappe della Memoria. Bloisi al Museo della Shoah in Israele
Il superciclista, 63 anni, è partito lo scorso 19 marzo dal lago di Comabbio
di Matteo Fontana
Giovanni Bloisi a Gerusalemme
Dopo più di un mese di viaggio solitario in sella alla sua bici, Giovanni Bloisi, il ciclista della memoria di Varano Borghi, è giunto ieri al museo del memoriale della Shoah, lo Yad Vashem di Gerusalemme.
Il momento forse più emozionante e significativo per il pensionato sessantatreenne partito lo scorso 19 marzo dalle rive del lago di Comabbio e giunto in Israele dopo aver attraversato la penisola, toccando molti luoghi della memoria. «Sta andando tutto benissimo - ci racconta Bloisi via WhatsApp - dovunque sono stato ho ricevuto una grande accoglienza, davvero commovente; non immaginavo una cosa di questo genere». Il superciclista varesotto sta compiendo questo viaggio per rinnovare la memoria della colonia ebraica di Sciesopoli, che si trova a Selvino, in provincia di Bergamo, che ospitò centinaia di bambini ebrei dopo la seconda guerra mondiale; l'imponente stabile sta cadendo a pezzi e occorre intervenire al più presto.
In Israele, Bloisi è stato accolto proprio dagli ex bambini di Selvino, oggi ormai anziani; una battaglia per la memoria che Giovanni sta portando avanti con il professor Marco Cavallarin, docente di storia. «Da parte loro e dei loro nipoti - prosegue il ciclista della memoria - ho ricevuto un'accoglienza straordinaria; si sono detti entusiasti del modo in cui vivo la storia dei bambini di Selvino. Mi hanno adottato come loro figlio e mi hanno offerto la loro casa ogni volta che vorrò venire in Israele». Anche la televisione israeliana ha intervistato Bloisi, evidenziando la sua incredibile impresa; anche tanti ciclisti israeliani, come accaduto durante le tappe italiane del viaggio, hanno voluto accompagnare per un tratto di strada le pedalate di Giovanni.
Nel corso del suo viaggio lungo lo stivale, prima di imbarcarsi a Brindisi per la Grecia, il ciclista di Varano ha incontrato migliaia di persone, tra cui molti giovani, che gli hanno regalato dei braccialetti portafortuna. Altri, compresi dei varesini, gli hanno affidato oggetti e fotografie storiche, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, da portare allo Yad Vashem ieri mattina, come il gagliardetto consegnatogli dagli studenti del liceo scientifico di Casoli, in provincia di Chieti, dove ha fatto tappa il 3 aprile.
Le soddisfazioni per gli incontri avuti e per l'accoglienza ricevuta supera di gran lunga la fatica fisica; in questi giorni Giovanni ha pedalato sotto i 36 gradi tra Tel Aviv e Gerusalemme. Non sono mancati poi un paio di guai tecnici alla bici, che nel volo tra Atene e la capitale israeliana era stata anche smarrita; l'ottimismo e il sorriso di Bloisi hanno avuto sempre la meglio, anche sui rigidi controlli aeroportuali.
«Agli addetti alla sicurezza ho raccontato la storia dei bambini di Sciesopoli e sono stati tutti gentilissimi» spiega Giovanni che resterà ancora alcuni giorni a Gerusalemme ospite di nipoti di ex bambini di Selvino. «Non so ancora quali saranno le prossime tappe - conclude - perché ho conosciuto molte persone che mi vogliono ospitare».
(La Provincia di Varese, 25 aprile 2017)
Ebrei in Germania preoccupati per la propria sicurezza
Rapporto di una speciale commissione indipendente sull'antisemitismo: reati cresciuti del 7,5% rispetto al 2015
BERLINO - Gli ebrei in Germania sono sempre più preoccupati per la loro sicurezza, a seguito degli episodi di antisemitismo a cui assistono nella vita quotidiana. È quanto emerge dal rapporto di una speciale commissione indipendente sull'antisemitismo, che è stato presentato oggi a Berlino dopo due anni di lavori.
E i dati confermano: secondo le statistiche sulla criminalità, diffuse oggi dal ministero degli Interni tedesco, in Germania i reati a sfondo antisemita sono cresciuti nel 2016 di circa il 7,5% rispetto al 2015.
Gli esperti sollecitano l'istituzione di un delegato nazionale sull'antisemitismo, la creazione di un sistema più efficace per registrare e perseguire i reati antisemiti e il miglioramento dei servizi di consulenza e sostegno alle vittime dell'antisemitismo. Stando al rapporto, internet e i social media sono diventati i principali canali di diffusione della propaganda d'odio e antisemita. Gli ebrei in Germania percepiscono inoltre l'antisemitismo tra i musulmani come un problema sempre più grande.
Gli esperti invitano però a evitare conclusioni affrettate. Spesso i musulmani vengono visti come i responsabili principali dell'antisemitismo, tuttavia "mettiamo in guardia dal trascurare o minimizzare il ruolo dell'estremismo di destra", ha detto Patrick Siegele, direttore dell'Anne Frank Zentrum di Berlino e coordinatore del gruppo di esperti. L'estrema destra resta la causa maggiore dell'antisemitismo in Germania, notano gli esperti. La commissione stima che circa il 20% della popolazione in Germania abbia un "latente antisemitismo".
(Corriere del Ticino, 24 aprile 2017)
Altri tre F-35I Adir arrivano in Israele
Israele, domenica 23 Aprile, ha ricevuto altri tre F-35I Adir che vanno ad aggiungersi ai due consegnati a dicembre del 2016. I velivoli sono atterrati sulla Nevatim Air Base dove è stato applicato l'emblema con la stella di David. L'F-35, secondo i piani di Israele, dovrà fornire la superiorità aerea completa nella regione per i prossimi 40 anni.
Nonostante il primo squadrone con gli F-35I Adir non sia ancora operativo, almeno tre dei cinque aerei invisibili di quinta generazione F-35I (Adir) faranno il loro debutto nel tradizionale sorvolo il 1o Maggio prossimo in occasione del giorno dell'Indipendenza.
Assemblati negli Stati Uniti dalla Lockheed Martin, gli F-35 israeliani hanno componenti costruiti da società israeliane, tra cui Israel Aerospace Industries, che ha prodotto la porzione esterna delle ali, la Elbit Systems-Cyclone, che ha costruito i componenti compositi centrali di fusoliera e la Elbit Systems Ltd che ha costruito i caschi dei piloti.
Malgrado questo progetto sia uno dei più controversi degli ultimi decenni e con un prezzo di circa 100 milioni di dollari per velivolo, Israele baserà gran parte dei suoi piani di difesa su questo velivolo del quale si aspetta di ricevere un totale di 50 esemplari da suddividere in due gruppi di volo completi entro il 2022. Ad oggi Israele ha previsto la consegna di sei/sette aerei all'anno, fino al primo gruppo di 33 caccia.
E' importante ricordare che Israele, insieme all'Italia sono i primi due paesi ad operare il caccia stealth F-35 fuori dagli Stati Uniti. L'obiettivo di Israele è di conseguire la completa supremazia nella regione in ogni teatro: aria, mare, terreno e cyber con questo aereo che cambierà le regole del gioco. Il Ministero della Difesa israeliano ha affermato che al momento questi aerei una volta arrivati in Israele non lasceranno la nazione se non per eventuali missioni di combattimento.
Impiego operativo in combattimento?
E proprio questa breve nota ci porta indietro ai primi di marzo quando secondo un giornalista francese i primi 2 Lockheed Martin F-35A Adir consegnati a dicembre sarebbero già "scesi in campo". Secondo quanto riferito, un primo attacco aereo sarebbe già stato condotto in gennaio contro obiettivi in Siria.
Georges Malbrunot, che scrive per il giornale francese Le Figaro, ha citato fonti dei servizi segreti francesi ed ha postato lo scorso 7 marzo su Twitter immagini di caccia stealth israeliani che avrebbero partecipato la notte del 12-13 gennaio ad un raid sul territorio siriano. La missione avrebbe avuto come target il contrasto di obiettivi intorno alla capitale, Damasco.
Secondo Malbrunot, Il pacchetto d'attacco comprendente gli F-35 avrebbe colpito magazzini contenenti sistemi missilistici mobili terra-aria (SAM) di fabbricazione russa Pantsir-S1 che Israele temeva potessero essere consegnati dalla Siria alle forze Hezbollah che operano in Libano. Il magazzino sarebbe stato localizzato a Mezzeh, un aeroporto militare nei pressi di Damasco.
Durante lo stesso attacco, come riferito dalle fonti, l'aviazione israeliana (IAF) avrebbe distrutto una batteria anti-aerea S-300 schierata nei pressi del palazzo presidenziale siriano sul monte Qassioun. Sempre secondo la fonte anonima dell'intelligence francese citata da Malbrunot, almeno un jet F-35, avrebbe sorvolato il palazzo del presidente siriano Bashar al-Assad prima di far rientro in Israele.
Malbrunot ha continuato il suo resoconto citando un soldato senza nome, spiegando che: "Con il Pantsir in mano ad Hezbollah, l'organizzazione che Israele definisce come terroristica, impedirebbe di fatto all'aviazione israeliana di operare sui cieli del Libano con la libertà che gode attualmente".
Dando per scontato che le fonti stiano dicendo il vero, sembra improbabile che Israele ammetta l'uso di F-35 in questa fase. In passato tuttavia, la IAF è stata veloce nel far entrare in combattimento nuovi mezzi se richiesto da specifiche e da missioni altamente paganti.
Il costante contrasto delle forniture di armi avanzate nelle mani di Hezbollah potrebbe benissimo aver portato l'aviazione Israeliana ad utilizzare sin da subito la piattaforma di 5o generazione. Certo è che vi è stato un attacco aereo contro l'aeroporto di Mezzeh e nella data specificata. Al momento, le autorità siriane attribuiscono la responsabilità dell'attacco alle forze di difesa israeliane (IDF).
A proposito di F-35I Adir
I primi due Lockheed Martin F-35I Lightning II, ADIR per la IAF, sono giunti alla base aerea di Nevatim il 12 dicembre dello scorso anno. I primi due aerei - AS-1 (s/n 901) e AS-2 (s/n 902) - hanno ricevuto la stella di David, marchio nazionale, in una cerimonia ufficiale dopo l'atterraggio, presenti le massime autorità del Paese, degli USA e dei fornitori.
Il velivolo equipaggerà il 140o Squadrone 'Golden Eagle', in precedenza operativo su velivoli Lockheed Martin F-16A/B. Nella lunga trasvolata dagli USA hanno viaggiato con piloti e contrassegni americani.
Il primo F-35 israeliano, AS-1, ha effettuato il suo primo volo il 25 Luglio 2016 decollando dalla Joint Reserve Base Naval Air Station di Fort Worth, TX. Il secondo jet, AS-2, lo ha seguito pochi giorni dopo, l'8 agosto.
I due F-35 sono giunti a Nevatim via Lajes nelle Azzorre e Cameri in Italia giungendo in Israele con 24h di ritardo rispetto alla tabella di marcia a causa delle avverse condizioni meteo in Italia e l'esigenza di rispettare i protocolli di sicurezza americani.
Fino ad oggi, Israele ha ordinato 50 F-35A "convenzionali" (CTOL) usufruendo dei canali FMS (Foreign Military Sales). I primi 19 F-35A sono stati ordinati nel 2010 ad un costo di 2,7 miliardi di dollari. Nel novembre 2014 Israele ha autorizzato l'acquisto di altri 14 F-35A a cui si sono aggiunti 17 opzioni, in un accordo del valore di circa 2,8 miliardi di dollari. Le consegne del secondo lotto dovrebbero iniziare tra 2 anni per terminare nel 2021.
Al fine di acquisire la piena operatività di 50 velivoli e poter così schierare i suoi primi due squadroni composti da 24 aerei ciascuno, Israele ha approvato nel novembre 2016 la conversione in ordine fermo delle sue 17 opzioni ad un costo intorno ai 2,5 miliardi di dollari. Al di là dei 50 F-35 attualmente contrattualizzati, l'amministrazione degli Stati Uniti ha approvato l'acquisto da parte di Israele sino ad un massimo 75 F-35.
(Aviation Report 24, 24 aprile 2017)
Il sindaco di Trieste riceve il nuovo rabbino della comunità ebraica
Nel rivolgere parole di benvenuto al Rabbino capo, il Sindaco Roberto Dipiazza si è soffermato sulle potenzialità e sulle opportunità del territorio, dalle prestigiose realtà scientifiche all'economia e al terziario, con particolare riferimento al Porto Vecchio e alla sua valorizzazione, al rilancio turistico di Trieste e alla sua vocazione multiculturale, concordando la volontà di una sempre più stretta e proficua collaborazione nell'interesse della città e dei suoi imporanti luoghi di culto.
(Trieste Prima, 24 aprile 2017)
La cultura dell'odio. I misfatti dell'Onu
di Federico Steinhaus
Nelle ultime settimane tre notizie ci hanno particolarmente colpiti, lasciandoci a metà fra l'amarezza dell'odio per Israele che da parte araba si rinnova con virulenza e la ridicola celebrazione del non voler vedere/udire/dire che ingessa l'Onu a riti tanto assurdi quanto moralmente osceni.
Notizia numero uno
L'Unrwa, l'Agenzia dell'Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, ha deciso - finalmente! - di operare una revisione, sia pure modesta e non radicale, nelle materie curricolari che si insegnano nelle scuole che gestisce nei territori dell'Autorità Palestinese. Ad esempio, vorrebbe eliminare la carte geografiche in cui Israele è cancellato e la Palestina si estende dal mare al Giordano, inserire qualche immagine femminile, o di maschi e femmine insieme, in sostituzione di quelle esclusivamente maschili, modificare i testi che si riferiscono al conflitto con Israele eliminando quanto non risponde a verità, ed eliminare riferimenti negativi ad Israele che siano fuori contesto (ad esempio, in libri di matematica).
Il ministero dell'Educazione palestinese ha immediatamente rifiutato di accettare questi cambiamenti ed ha minacciato di perseguire in tribunale l'Unrwa, cioè l'Onu; il ministro Sabri Saidam ha affermato che i palestinesi "chiedono un'educazione che crei la liberazione" dall'occupazione israeliana; due dei deputati arabi più radicali eletti al parlamento israeliano, Ahmad Tibi e Hanin al-Zoabi, hanno detto che "è diritto dei palestinesi sotto occupazione incitare contro di essa" e che "incitare contro l'occupazione ed i suoi crimini non è solo un diritto, ma una obbligazione umana".
Hamas ed impiegati dell'Unrwa hanno per parte loro protestato in quanto, affermano, questi cambiamenti servono gli interessi americani ed israeliani. Secondo le autorità palestinesi, inoltre, questi cambiamenti hanno lo scopo di inoculare negli studenti una cultura di normalizzazione e coesistenza con Israele, il che significherebbe distorcere l'identità palestinese.
Notizia numero due
Pochi giorni prima di un infuocato anniversario della Liberazione, che vorrebbe sostituire gli ebrei della Brigata Ebraica coi palestinesi nel corteo ufficiale, il membro del Comitato Centrale di Fatah (la fazione palestinese "moderata") e responsabile del Tesoro Muhammad Shtayyeh ha dichiarato alla televisione ufficiale dell'Autorità Palestinese che Fatah non intende riconoscere Israele (ma non aveva già riconosciuto Israele Arafat?) , dimostrando che quando Hamas e Fatah confliggono è solo per la conquista del potere, mentre sui rapporti con Israele la pensano allo stesso modo.
Il membro dell'ufficio politico di Hamas, Mahmoud al-Zahar, ha infatti dichiarato alla televisione libanese Al-Mayadeen che l'introduzione nella nuova costituzione di Hamas del concetto di uno stato palestinese in Cisgiordania ed a Gaza, al fianco di Israele, costituisce "nulla più che un passaggio tattico, che non influisce sul diritto dei palestinesi a tutta la terra di Palestina".
Il 31 dicembre 2009 lo stesso presidente dell'Autorità Palestinese aveva dichiarato che fra Fatah e Hamas non esistono divergenze sui temi fondamentali, ed il 22 ottobre 2014 il consigliere di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per gli affari religiosi, Mahmoud al-Habbash, ha affermato che per la Sharia tutta la terra di Palestina è un possesso inalienabile a norma delle leggi religiose islamiche, e la televisione ufficiale palestinese l'11 giugno 2016 aveva confermato che "ogni granello di terra palestinese è nostro è parte della Palestina benedetta e sacra".
Notizia numero tre
Ecco infine un altro capolavoro dell'Onu: l'Onu ha eletto l'Arabia Saudita a membro per il 2018-2022 della Commissione per la promozione dell'eguaglianza di genere e della presenza femminile nei luoghi di potere. Verrebbe da ridere, se non fosse una tragica realtà. Lo stato che più di qualunque altro opprime le donne, che non possono guidare un'automobile o muoversi senza l'accompagnamento di un uomo, non è precisamente il miglior componente di questa commissione. Il voto era segreto, ma solo sette dei 54 stati che fanno parte dell'Ecosoc non hanno votato per l'ingresso dell'Arabia Saudita nella commissione, e ciò significa che almeno 5 stati dell'Unione Europea dei 12 presenti nella commissione hanno votato a favore. I 12 stati sono: Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Svezia e Gran Bretagna. Dubitiamo fortemente che quei 5 "colpevoli" di una assurdità scandalosa vorranno confessare pubblicamente il misfatto.
(L'Informale)
"L'ONU pensi al 'pericolo Iran' invece di accanirsi su Israele"
L'appello degli Usa all'Onu
di Paolo Castellano
Il 20 aprile gli Stati Uniti hanno chiesto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di occuparsi di meno del conflitto arabo-israeliano per affrontare diplomaticamente le attività "estremamente distruttive" dell'Iran nella regione mediorientale.
Come riporta il portale Israelnationalnews, l'ambasciatrice americana, Nikki Haley, ha accusato l'Iran di essere "il principale responsabile" dei conflitti nel Medio Oriente e inoltre ha promesso di lavorare con gli alleati di Washington per chiedere all'Iran di rispettare le risoluzioni ONU.
La Haley ha affermato che l'Iran supporterebbe il Presidente siriano Bashar al-Assad, i ribelli Huthi nello Yemen con il rifornimento di armi, le milizie sciite in Iraq addestrate da militari iraniani, e il gruppo Hezbollah che momentaneamente cerca di destabilizzare il Libano.
«Il conflitto israelo-palestinese è un problema molto importante e per questo degno di attenzione. Ma mi sembra che sia l'unica questione di cui si occupi questo Consiglio», la Haley ha dichiarato durante l'incontro mensile del Consiglio sul Medio Oriente.
«L'incredibile natura distruttiva delle attività iraniane e degli Hezbollah in tutto il Medio Oriente richiede oggi ancora più attenzione di ieri - l'ambasciatrice ha poi aggiunto - tali questioni dovrebbero diventare la priorità del Consiglio quando si discute dei problemi della regione mediorientale».
Le affermazioni della Haley sono state pronunciate il giorno dopo la dichiarazione del Segretario di Stato americano, Rex Tillerson, che ha definito "un fallimento" l'accordo nucleare con l'Iran. Lo stesso Presidente Donald Trump ha infatti messo in programma una revisione degli accordi per aumentare le sanzioni all'Iran.
Il Consiglio convoca mensilmente una riunione sul Medio Oriente e sul conflitto arabo-israeliano. La Haley ha ripetutamente accusato i vertici dell'ONU di avere un atteggiamento ostile nei confronti di Israele.
Descrivendo le riunioni mensili come delle "sessioni di accanimento su Israele", la Haley ha detto che i dibattiti "non fanno nulla per cercare una soluzione ma creano solo confusione allontanando Israele dai futuri negoziati con gli arabi".
L'amministrazione Trump ha fortemente criticato la politica dell'ex-Presidente Barack Obama per aver rifiutato a dicembre di applicare il veto a una risoluzione antisraeliana.
L'ambasciatrice americana all'ONU ha definito la risoluzione, che è stata approvata dopo l'astensione degli Stati Uniti, un "terribile errore".
(Mosaico, 24 aprile 2017)
Yom HaShoah
Al suono delle sirene la vita si è fermata oggi in Israele per due minuti di raccoglimento in occasione del Yom HaShoah, la giornata di lutto nazionale in cui vengono ricordati sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti. Questa giornata precede di una settimana il giorno dell'Indipendenza nazionale.
(Notizie su Israele, 24 aprile 2017)
Gli ebrei italiani, Eugenio Curiel e la memoria corta di Milano
Con la storia non si scherza
di Leonoardo Coen
A proposito del 25 aprile, di Brigata Ebraica e della scarsa memoria dei milanesi. Tedeschi e fascisti organizzarono alla Stazione Centrale tre dei 20 convogli italiani destinati ai campi di sterminio. Il primo lasciò Milano il 6 dicembre del 1943: destinazione Auschwitz. C'erano 96 ebrei, di cui 61 uomini e 35 donne. Il secondo fu formato il 30 gennaio del 1944 per deportare, dalla Stazione Centrale (più precisamente dal famigerato binario 21) 128 ebrei, di cui 97 uomini e 31 donne. Il terzo convoglio fu allestito alla Centrale il l 9 maggio 1944 per Bergen-Belsen: salirono in un vagone 35 ebrei. Comprendendo altri 31 trasporti da Trieste (1.177 persone) e uno da Borgo San Dalmazzo (328 persone), più gli ebrei deportati di Rodi e Coo (cittadini italiani dal 1924), le vittime del genocidio nel nostro Paese accertate dal Centro di documentazione ebraica di Milano furono 7.858.
Quasi 1.000 ebreI, il 4 % della popolazione ebraica italiana (percentuale di gran lunga superiore a quella degli italiani) entrarono nella Resistenza: ne morirono circa 100. Sette furono insigniti di medaglia d'oro alla memoria. Come il docente universitario Eugenio Curiel che per primo aveva chiamato a raccolta tutti i giovani d'Italia contro il nemico nazifascista. Nei confronti dei soldati di Graziani, però, Curiel invitava a non considerarli in nessun caso perduti per sempre, spiegava in quali condizioni avevano probabilmente dovuto piegarsi ai bandi e alle minacce per arruolarli. Puntava ad organizzarne la disgregazione, "perché in loro vedeva delle forze viventi in sviluppo e non solo delle divise" (lo scrisse nel 1951 sull'Unità il partigiano Quinto Bonazzola). Purtroppo, i militi delle Brigate Nere, grazie ad un delatore, lo fermarono a Milano, tra piazzale Baracca e via Enrico Toti, l'eroe della stampella. Curiel tentò la fuga. Lo ferirono ad una gamba, terribile intreccio del destino. Si rialzò, ma lo falciò una raffica. Era il 24 febbraio del 1945. Aveva 32 anni. La spia incassò la taglia. E la scampò.
(il Fatto Quotidiano, 24 aprile 2017)
L'oasi delle startup Hi-tech e imprese: Israele batte tutti
Incubatori, centri di ricerca e visti speciali per «cervelli» stranieri. Anche Enel a caccia di talenti nel paese amato dal venture capital.
di Elena Comelli
Dai pompelmi Jaffa all'hi-tech, la strada non è breve. Israele l'ha percorsa in vent'anni e oggi la bilancia commerciale è in attivo proprio grazie all'alta tecnologia, che costituisce oltre il 50% dell'export. L'economia è cresciuta del 4% nel 2016 e le startup locali hanno raccolto 5 miliardi di investimenti dai capitalisti di ventura. «È stata una felice combinazione fra la nascita della net economy, la concentrazione di centri di ricerca di alto livello e le politiche del governo», sostiene Chemi Peres, figlio del presidente mancato l'anno scorso e fondatore di Pitango, il più grande fondo di venture capital israeliano. Dai primi anni Novanta, Peres ha raccolto due miliardi di dollari, principalmente da Usa e Cina (dall'Europa è arrivato meno del 20%) investendo in oltre duecento società.
Le tre accelerazioni
«La prima ondata è arrivata con lo sbarco in Israele dei big della tecnologia, in cerca di cervelli: da Ibm a Intel, da Cisco a Ge, da Hp a Sap, passando per Microsoft, Apple, Google, Facebook, Amazon e altri trecento colossi hi-tech hanno installato qui importanti centri di ricerca, attingendo agli scienziati formati nei dipartimenti universitari più all'avanguardia sull'intelligenza artificiale, la robotica, la bioniformatica, le nanotecnologie», racconta ancora Peres.
Da qui è partita la seconda ondata, che ha trasformato il Paese in una «Startup Nation», con la crescita di migliaia di imprese locali: Israele ha più società quotate al Nasdaq di qualsiasi altro Paese, esclusi gli Stati Uniti, e più investimenti in venture capital di Germania o Francia.
Gli incubatori si sono affiancati ai centri di ricerca delle multinazionali. SoSa (South of Salame), uno dei più grandi, con 2. 500 startup e 400 partner industriali, ospita anche il primo acceleratore dell'Enel fuori dall'Italia. «Abbiamo individuato 60-70 startup focalizzate sull'innovazione energetica e sceglieremo le tecnologie più interessanti per integrarle nel nostro portafoglio», spiega Eran Levy, responsabile dell'Enel Innovation Hub.
La terza ondata è in corso oggi, con le startup locali che diventano campioni internazionali. La nuova generazione di imprenditori sta rivoluzionando interi settori, come nel caso di Mobileye per l'auto a guida autonoma, e si cominciano a vedere i primi cambiamenti economici e sociali, con la graduale inclusione nella crescita dei cittadini arabi, che costituiscono un quinto della popolazione israeliana, ma hanno una partecipazione troppo bassa alla cultura imprenditoriale.
Il prossimo passo è diventare il punto di riferimento mondiale per gli innovatori. «Vogliamo attrarre forze con un nuovo visto per imprenditori», spiega Avi Hasson, chief scientist del ministero dell'Economia. L'Israel Innovation Authority ha lanciato un programma chiamato Innovation Visas, che fornirà un visto per 24 mesi e sostegno economico agli imprenditori stranieri in arrivo, con l'obiettivo di un prolungamento di 5 anni se il progetto riesce a diventare una società. «Investiamo il 4,3% del Pil in ricerca e sviluppo, uno sforzo molto sbilanciato sul settore privato, che mette 1'85% dei soldi», precisa Hasson. E lo Stato che cosa fa? «Punta sulle imprese più rischiose, quelle che i capitalisti di ventura evitano». Perché solo così si aiuta l'innovazione.
(LEconomia, 24 aprile 2017)
Gli arabi che sostennero la "soluzione finale" sono stati anche i primi a negare la Shoà.
Scrive Uri Edelman: «Il Mufti di Gerusalemme Amin Al Husseini fu un fedele alleato di Hitler, con il quale condivideva l'idea di annientare completamente il popolo ebraico. Questa loro visione alla fine è fallita. Da allora la maggioranza dei tedeschi ha estirpato quell'ideologia dai cuori e dalle menti. Oggi il mondo è abituato a una Germania diversa, contrita e pronta a pagare le colpe di quel suo leader. La dottrina del Mufti, invece, continua a prosperare ancora oggi, inculcata nei bambini sin da piccoli, insegnata in quelle scuole musulmane che predicano giorno e notte che gli ebrei sono infedeli e che devono essere i primi ad essere cancellati dalla faccia dalla Terra. Proclamano che il piccolo lembo di terra su cui vivono gli ebrei appartiene agli arabi palestinesi, che sarebbero i discendenti di cananei e filistei; che gli ebrei non hanno alcun legame coi luoghi sacri né alcuna legittima rivendicazione sul Monte del Tempio di Gerusalemme; che anche il Muro Occidentale ("del pianto") appartiene ai musulmani perché il loro profeta Muhammad vi legò Buraq, la sua miracolosa cavalcatura alata. In breve, una riscrittura totale delle verità storiche zeppa di invenzioni, illusioni e inganni....
(israele.net, 24 aprile 2017)
La sinistra inglese radical chic e antisemita. Cosa dice il caso Livingstone
L'ex sindaco di Londra, beniamino dei progressisti multiculti, è un negazionista della Shoah. dietro la facciata della critica a Israele
da Haaretz (10/4)
Ken Livingstone
La decisione di sospendere parzialmente Ken Livingstone consentendogli tuttavia di rimanere membro del Partito laburista britannico non è stata presa in fretta o senza attenta considerazione delle implicazioni e dell'impatto di tale scelta. Essa anzi ha fatto seguito a giorni di riflessione e alla constatazione che Livingstone è effettivamente colpevole: ma evidentemente essere colpevole d'aver ripetutamente e volontariamente fatto a pezzi la sensibilità ebraica non è sufficiente per rendere qualcuno inadatto a tenere in tasca la tessera del Partito laburista". Lo scrive Dave Rich sul quotidiano della sinistra israeliana Haaretz. "Non è bastato che Livingstone, un anno fa, abbia detto che Hitler negli anni 30 'sosteneva il sionismo'. Livingstone è andato più a fondo di quanto si pensasse possibile quando ha affermato, sulla soglia della sua stessa udienza disciplinare, che negli anni 30 'le SS istituirono campi di addestramento per preparare gli ebrei tedeschi alla vita in Palestina', e che la Germania nazista vendette armi 'all'esercito clandestino ebraico' nel quadro di una 'concreta collaborazione' che è continuata fino all'inizio della Seconda guerra mondiale. Inutile dire che nessuna di queste affermazioni corrisponde al vero, e che gli altri suoi esempi di presunta collaborazione tra le autorità naziste e il movimento sionista sono o del tutto infondati o distorsioni tali dei fatti della storia da risultare fondamentalmente menzogneri. Ma non è questo il punto. Le affermazioni di Livingstone vanno ben oltre l'equiparazione sostanzialmente immorale tra Israele e Germania nazista tanto in voga nei circoli anti-israeliani. E vanno anche al di là della pretesa di tracciare una parentela ideologica tra sionismo e nazismo su cui trotzkisti come Lenni Brenner (che Livingstone cita come fonte autorevole) si sono accaniti per decenni.
Che Livingstone possa ripetutamente dire queste cose e rimanere nel Partito laburista rende impossibile continuare a considerare quello laburista come un partito che si oppone coerentemente all'antisemitismo in tutte le sue forme, come insiste a dire il suo attuale leader Jeremy Corbyn. Le due cose non sono compatibili fra loro. Non c'è un solo storico serio della Shoah o della Germania nazista che concordi con l'interpretazione della storia data da Livingstone. Le sue affermazioni sono state invece applaudite da NickGriffin, ex leader del British National Party, e da Gilad Atzmon, che definisce se stesso 'un ebreo orgoglioso di odiare se stesso' e viene evitato persino da molti attivisti filo-palestinesi a causa del suo curriculum di dichiarazioni antisemite.
Il nome di Atzmon ci porta a un convegno di tre giorni sulla legittimità di Israele, che si è tenuto ai primi di aprile a Cork, in Irlanda. Uno dei principali organizzatori del convegno è stato il professor Oren Ben-Dor, della Southampton University. In effetti non ha senso evitare Atzmon e poi abbracciare Ben-Dor, giacché le loro opinioni su ebrei, ebraismo e identità ebraica sono del tutto simili. A quanto è stato riferito, Ben-Dor ha detto al convegno di Cork che gli ebrei hanno una 'mentalità da vittima' contraddistinta dal 'desiderio represso di essere odiati e boicottati', e che devono 'ridiventare umani'. Altri oratori hanno paragonato Israele alla Germania nazista e uno in particolare ha persino sostenuto che i genitori israeliani fanno deliberatamente patire la fame ai loro figli in modo da crescerli come spietati killer. Un altro, naturalmente, ha insinuato che 'agenti del Mossad' siano coinvolti negli attentati terroristici dell'11 settembre. Tutto questo, non lo si dimentichi, nell'ambito di un convegno accademico dove dovrebbero essere rispettati degli standard minimi di verificabilità e ponderatezza delle argomentazioni, e i cui risultati, una volta pubblicati, possono influenzare generazioni di studenti. Livingstone, e tanti con lui, vorrebbe farci credere che lamentare questo genere di affermazioni non costituisce altro che un subdolo tentativo di mettere a tacere le critiche verso Israele. In realtà, nessuna delle affermazioni appena ricordate ha niente a che fare con una normale critica delle politiche israeliane. Appartengono, invece, a un odio paranoico ossessivo verso Israele totalmente slegato dalla realtà e sempre più fantasioso nel forgiare le sue calunnie: un odio che riflette, e a sua volta alimenta, l'antisemitismo contemporaneo. La sinistra britannica non è di per sé antisemita. Tuttavia sta diventando sempre più un luogo dove un certo tipo di antisemita si sente a proprio agio".
(Il Foglio, 24 aprile 2017)
Quei bimbi ebrei in fuga dal Gran Muftì e da Hitler
La vicenda dei piccoli che scapparono dalla persecuzione nei Paesi conquistati dai nazisti, passando dalla Croazia e da Nonantola, nel Modenese. Il libro di Mirella Serri e il 25 aprile.
di Pierluigi Battista
Conoscessero anche solo un po' di storia, avrebbero evitato di maltrattare gli ebrei italiani il prossimo 25 Aprile. Avrebbero potuto informarsi e conoscere la vicenda drammatica raccontata da Mirella Serri in un libro appena pubblicato per Longanesi e che s'intitola Bambini in fuga, arricchito di un sottotitolo da sottoporre ai responsabili dell'Anpi romana che scioccamente, al di là ovviamente delle legittime differenze su un conflitto che non riesce a pacificarsi sul principio «due popoli, due Stati», hanno usato le organizzazioni filo-palestinesi per spacciare l'assurda tesi di Israele come casa statale dei nuovi nazisti e dei palestinesi come nuove vittime: «I giovanissimi ebrei braccati da nazisti e fondamentalisti islamici e gli eroi italiani che li salvarono». In questo libro i protagonisti sono 4 gruppi. C'è quello di Hitler e della sua banda che ha allestito lo spettacolo mostruoso della «soluzione finale» per il popolo ebraico come momento necessario dell'edificazione del Reich millenario costruito con la vittoria nella guerra.
Amin al-Husseini, il Gran Muftì di Gerusalemme che odiava gli ebrei
C'è il gruppo di bambini ebrei che scappano dalla persecuzione nei Paesi conquistati dai nazisti e passano prima dalla Croazia e poi per Nonantola, un paese della provincia di Modena. Ci sono, terzo gruppo di cui dovremmo andare orgogliosi, gli italiani che in condizioni difficilissime, proibitive, sfidando la gelata e la morte, aiutano i «bambini in fuga» che poi, finita la tragedia, riusciranno a raggiungere in Palestina il nucleo ebraico che pochi anni dopo, legittimato da una risoluzione dell'Onu e avversato dagli arabi contrari all'insediamento di un'«entità sionista» nella regione mediorientale, diventerà Stato di Israele. C'è poi un quarto gruppo, quello dei musulmani della Bosnia, che darà vita alla divisione Handschar delle Waffen SS, fondamentale nell'oscena caccia al bambini ebrei in fuga dall'Olocausto, sotto l'impulso e grazie all'organizzazione del vero personaggio di questo libro di Mirella Serri e che gli antisionisti in cerca di bandiere antifasciste per il 25 Aprile dovrebbero conoscere: Amin al-Husseini, Gran Muftì di Gerusalemme, l'uomo che odiava gli ebrei e che per contrastarli aveva trovato in Hitler il suo faro e nello sterminio del popolo ebraico il programma in cui riconoscersi.
Ostilità antibritannica
Lo Stato di Israele ancora non esisteva negli anni Trenta, ma la sola presenza ebraica nelle terre sante dell'Islam veniva considerata dal Gran Muftì di Gerusalemme un corpo da sradicare con la forza. La sua predicazione prevedeva la diffusione dei più vieti pregiudizi dell'antisemitismo: «L'opprimente egoismo insito nel carattere degli ebrei, la loro turpe convinzione di essere la nazione eletta da Dio li rende indegni di fiducia», e ancora: «Gli ebrei non possono mescolarsi a nessun'altra nazione, ma vivono come parassiti tra le genti, ne succhiano il sangue, si appropriano indebitamente dei loro beni, ne corrompono la morale». È questo esplicito antiebraismo che crea una corrispondenza d'amorosi sensi con Hitler. Rafforzata da una questione geopolitica: perché l'ostilità antibritannica del Gran Muftì si alimenta dalla decisone di Londra, svanito l'Impero ottomano, di riconoscere sin dal 1917 la necessità di un «focolare ebraico» da accogliere nella terra degli avi. Contro Londra, Hitler è il grande alleato e il furore antiebraico di matrice islamica dl Gran Muftì vedrà nel progetto nazista di cancellazione degli ebrei dalla faccia della Terra il compimento di una strategia politica oltreché il segno di un delirio antisemita.
Falsificazione insopportabile
Dimenticare questo sfondo storico, evocato dal libro di Mirella Serri, in una ricorrenza come il 25 Aprile apre le porte a una forma di falsificazione insopportabile, che rovescia i ruoli, quello della Brigata ebraica che proprio insieme agli inglesi partecipò militarmente alla lotta contro Hitler, e quello di un uomo che, finita la guerra, avrà una grande influenza nella negazione araba di un «focolare ebraico». Oggi quelle bandiere con la stella di Davide vengono oltraggiate, mentre non viene ricordato chi diede il suo appoggio allo sterminio del popolo ebraico voluto da Hitler. Un oltraggio che ci riguarda, e riguarda tutta la nostra storia.