Notizie su Israele 2 - 18 aprile 2001


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Qualcuno ha detto che Israele ha sempre vinto contro gli Arabi sul terreno delle armi, ma che da diversi anni sta perdendo sul terreno dell'informazione. Quello che in occidente si stenta a capire è che le reazioni dell'opinione pubblica mondiale e le conseguenti scelte delle autorità internazionali sono lo scopo principale delle azioni politico-terroristiche dei palestinesi. Chi crede nel compimento reale delle profezie della Scrittura che riguardano Israele ha il dovere di non lasciarsi ingannare da quello che "le nazioni" dicono.

M.C.


CHI HA SCATENATO L'INTIFADA?


Adesso anche il Ministro delle informazioni e il Ministro della sicurezza del governo dell'Autonomia Palestinese dichiarano apertamente che l'attuale Al-Aksa Intifada non è stata provocata dalla visita alla spianata del tempio di Ariel Sharon dello scorso anno, ma fa parte di una strategia palestinese preparata molto tempo prima per mettere in ginocchio Israele e raggiungere così l'obiettivo finale: la conquista di Gerusalemme.

(da NAI-Nachrichten aus Israel, 18.04.01)



LA STRATEGIA DI ARAFAT


Arafat vuole aprirsi la strada alla Casa Bianca
spargendo "lacrime e sangue"


"Arafat ha interesse a tenere alta la violenza non solo per internazionalizzare il conflitto, ma anche per farsi invitare dal presidente americano George W. Bush". Lo ha dichiarato Zalman Shoval, consigliere per la politica estera del primo ministro israeliano Ariel Sharon. "Israele - ha spiegato Shoval - deve fare i conti con la ben nota tattica di Arafat che punta a incrementare l'ondata di violenze per aumentare le pressioni internazionali su Israele e anche per rendere necessario un suo invito a Washington". Shoval ha citato un alto funzionario dell'entourage di Arafat che ha detto: "Ci apriremo la strada alla Casa Bianca con lacrime, sangue e sudore". Secondo questa logica, ha spiegato un dirigente dell'ufficio del primo ministro israeliano, "la politica di Arafat si puo' spiegare con la frase: sparo, dunque esisto". Tuttavia, secondo Shoval, questa tattica non e' destinata ad avere successo perche' "l'amministrazione americana e anche alcuni stati dell'Unione Europea ormai capiscono che Arafat e' la causa dell'escalation di violenza".

(dal "Jerusalem Post", 18.04.01)


IL DIRITTO DI RESISTERE ALLE AGGRESSIONI


da un articolo di Yoel Marcus

(...) Le Forze di Difesa israeliane non sanno bene come definire il tipo di scontro in cui Israele si trova attualmente coinvolto. Talvolta e' un confronto militare, altre volte una vera e propria guerra, altre ancora violenza terroristica. Ma indipendentemente da come si voglia definire questo conflitto, di certo non e' una rivolta popolare (o intifada). Israele non si trova ad affrontare singole attivita' terroristiche o una esplosione di violenze locali, bensi' una serie di attivita' aggressive orchestrate dalla dirigenza dell'Autorita' Palestinese, con l'attiva partecipazione dei fondamentalisti libanesi Hezbollah.
Queste attivita' hanno lo scopo di costringere Israele ad accettare determinate condizioni per un accordo di pace con i palestinesi, in primo luogo il cosiddetto "diritto al ritorno". Ma nessun paese sovrano accetterebbe, dopo cosi' tanti tentativi di distruggerlo completamente, di farsi imporre dall'esterno la propria situazione demografica e nemmeno i propri confini. Con tutto il rispetto per le aspirazioni palestinesi all'indipendenza, non bisogna dimenticare che non e' Israele quello che ha perso tutte le guerre con gli stati arabi. E non c'e' motivo perche' Israele debba accettare una sorta di resa senza condizioni, del tipo di quelle che vengono imposte a paesi sconfitti come la Germania e il Giappone nel 1945.
Tutti i commentatori e osservatori non hanno ancora saputo spiegare perche' Arafat, soltanto pochi giorni dopo la sua calda e amichevole visita nell'abitazione dell'allora primo ministro israeliano Ehud Barak, abbia lanciato la cosiddetta intifada di Al-Aqsa. Nessuno ha spiegato perche' ha dato il via ai combattimenti e perche' ha dato luce verde a una serie di attentati terroristici proprio quando Barak stava dimostrando una disponibilita' al compromesso senza precedenti. Se le proposte di Barak non erano soddisfacenti, perche' Arafat adesso sostiene che i colloqui di pace con Israele possono riprendere soltanto dal punto in cui sono stati sospesi? Se dunque quelle proposte erano invece interessanti, perche' Arafat non ha continuato il dialogo senza attentati, senza spargimenti di sangue e senza causare la caduta del governo Barak? Quale logica puo' esservi nella scelta di Arafat di trascinare la propria nazione in una guerra che non potra' mai vincere?
Probabilmente Arafat non e' in grado di capire la profonda natura di Israele. La popolazione atterrita sotto i missili Scud iracheni nel 1991, le manifestazioni di massa per la pace in quella che oggi si chiama piazza Rabin a Tel Aviv, il ritiro dal Libano meridionale senza un accordo di pace con quel paese, le pressioni esercitate dal movimento pacifista per il ritiro sui confini del 1967, tutto questo e' stato interpretato da Arafat come segnali di vigliaccheria e di incapacita' di reggere al peso della guerra e del terrorismo. Di piu', si e' convinto che Israele, con il suo elevato codice di condotta morale, non avrebbe mai osato ricorrere a mezzi estremi come le azioni di rappresaglia. Arafat era profondamente convinto che il movimento pacifista israeliano non le avrebbe mai permesse.
Si e' sbagliato un'altra volta. Israele risponde con raid missilistici, da' la caccia ai palestinesi che organizzano gli attacchi, usa tiratori scelti, tank ed elicotteri. E - sorpresa! - il movimento pacifista resta in silenzio: nessuna protesta, nessuna manifestazione. In effetti, contro cosa dovrebbe mai manifestare? Contro l'assenza di dialogo fra palestinesi e israeliani? Ma il dialogo c'era, solo che e' stato bloccato. Le bombe e le aggressioni palestinesi ordinate da Arafat senza motivo ne' giustificazione, anziche' spezzare lo spirito degli israeliani, l'hanno rinsaldato. Secondo i dati dell'Indice della Pace, un sondaggio condotto continuativamente dal Centro Tami Steinmetz dell'Universita' di Tel Aviv, il 72 per cento degli ebrei israeliani ritiene che l'Autorita' Palestinese non sia realmente interessata a un trattato di pace con Israele e una percentuale simile e' convinta che i palestinesi non accettino l'esistenza di Israele e che lo distruggerebbero se solo avessero la possibilita' di farlo. Non sorprende, infine, che il 79 per cento appoggia la posizione del governo per cui non si devono tenere trattative per un accordo finche' non cessa il fuoco palestinese. Questa massiccia maggioranza dimostra che gli israeliani sanno resistere alle aggressioni, quando percepiscono che in gioco e' la sopravvivenza stessa del loro paese. (...)

(dal giornale di Gerusalemme "Ha'aretz", 6.04.01)


LIBRI


MOISHE ROSHEN, "Y'shua - The Jewish way to say Jesus", Moody Press, Chicago 1982.


INDIRIZZI INTERNET


Dossier sul Medio Oriente
http://www.cnnitalia.it/2000/DOSSIER/medioriente/index.html

Il parlamento israeliano:
http://www.knesset.gov.il/knesset/engframe.htm