Notizie su Israele 56 - 23 novembre 2001


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Infatti così parla il SIGNORE: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, prorompete in grida, per il capo delle nazioni; fate udire le vostre lodi, e dite: "SIGNORE, salva il tuo popolo, il residuo d'Israele!"

(Geremia 31.7)


POCHE NOVITA' DALLA DELEGAZIONE EUROPEA IN ISRAELE


    La delegazione di alto livello dell'Unione Europea giunta in Medio Oriente con la speranza di rilanciare i colloqui di pace ha incontrato un'accoglienza piuttosto fredda da parte israeliana.
    Il primo ministro belga e presidente di turno dell'Unione Guy Verhofstadt, il presidente della Commissione Romano Prodi e il rappresentante europeo per la difesa e la politica estera Javier Solana, giunti in Israele domenica dopo aver incontrato nei giorni precedenti il presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat e il presidente egiziano Hosni Mubarak, hanno dichiarato di voler esercitare pressioni sul primo ministro israeliano Ariel Sharon affinche' lasci cadere la ricbesta di una settimana senza violenze e attacchi palestinesi quale necessaria precondizione per avviare piani di pace internazionali. [Sia il piano Mitchell che il piano Tenet prevedono un cessate il fuoco duraturo come primo passo per l'avvio di altre misure volte a riavviare il negoziato politico fra le parti].
    Il portavoce di Sharon Raanan Gissin ha dichiarato domenica che l'Unione Europea puo' aspirare a svolgere un ruolo solo limitato come mediatore nel conflitto mediorientale perche' ha dimostrato costantemente una posizione favorevole alla parte palestinese. "In passato - ha detto Gissin - l'Unione Europa ha dimostrato mancanza di equilibrio nella sua politica verso Israele e questo limita le sue possibilita' di giocare un ruolo costruttivo come mediatore".
    In effetti, pur sostenendo di voler portare un messaggio equilibrato a entrambe le parti, il primo ministro belga Verhofstadt ha detto che l'Unione Europea intende chiedere a Israele esattamente cio' che chiede Arafat: fine delle misure di sicurezza anti-terrorismo attorno alle zone palestinesi, fine delle azioni volte a intercettare i terroristi prima che compiano gli attentati, uscita di tutte le truppe israeliane dalle zone A palestinesi.

(Jerusalem Post, 18.11.01)


LA POLITICA "EQUIDISTANTE" DEGLI EUROPEI NEL "PROCESSO DI PACE"


L'equidistanza europea ha retto cinque minuti

di Aluf Benn

    I leaders dell'Unione Europea, arrivati a Gerusalemme domenica [18 novembre], hanno parlato con entusiamo della loro politica equidistante rispetto al conflitto israelo-palestinese, facendo con ciò riferimento al loro desiderio di essere "mediatori onesti" nel mandare avanti del processo di pace. "Perché ci accusate di esssere unilaterali? – si è lamentato Javier Solana con il Primo Ministro Sharon – Dovreste invece ringraziarci" ha detto.
    L'equidistanza europea ha retto appena cinque minuti. Una volta finita la conferenza-stampa congiunta, i visitatori europei si sono buttati sui numerosi giornalisti in attesa nell'atrio dell'Hotel King David si sono affrettati a fare a pezzettini il loro ospite. "Stupidità" ha definito Solana l'insistenza di Sharon sul periodo di sette giorni di quiete. In sedute chiuse, gli europei hanno preteso che Israele cominci immediatemente l'applicazione dei piani Tenet e Mitchell, tolga il blocco alla città palestinesi e riprenda a versare ai palestinesi le tasse incassate, il cui trasferimento è stato congelato.
     Yasser Arafat è stato trattato in modo diverso. Ha ricevuto dalla delegazione europea dei voti alti. Il presidente di turno dell'Unione, il Primo ministro belga Guy Verhofstadt, ha notato con soddisfazione il "calo delle violenze negli ultimi dodici giorni" e menzionato il fatto che Arafat abbia persino arrestato un terrorista, un attivista della Jihad Islamica di Jenin. "Gli abbiamo chiesto di continuare [su questa strada]", ha detto il presidente di turno. Gli europei sono rimasti così impressionati dalla serietà di Arafat, che Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea, ha detto che l'Autorità Palestinese potrebbe chiedere finanziamenti per la costruzione di una nuova prigione per le masse di terroristi che saranno arrestati. Arafat non li ha chiesti.
     Verhofstadt ha respinto il ritratto tradizionale, secondo cui gli USA appoggiano Israele, mentre gli europei tengono per i palestinesi. Lui ed i suoi collegb hanno acclamato il loro stretto coordinamento con l'amministrazione americana. Hanno fatto notare orgogliosamente che una copia del discorso dell'altra sera del Segretario di Stato Colin Powell si trovava in loro possesso già dalla scorsa settimana, affermando che, una volta che esso fosse stato reso pubblico, tutti avrebbero potuto vedere che non esistono reali divergenze fra la posizione di Wasbngton e quella di Bruxelles.
     Gli europei, tuttavia, sono più che consci che l'ordine del giorno diplomatico del Medio Oriente viene fissato in America e, con tutto il rispetto per il loro ruolo nella regione, le loro proposte non hanno un peso reale. Da tutte le discussioni preliminari e dalle fughe di notizie a proposito dell'iniziativa europea, quello che resta è un pallido, ed ovvio, sostegno per le intese raggiunte da Tenet e per il rapporto Mitchell. Entrambi sono stati scritti negli Stati Uniti. Parlando in retrospettiva, Prodi ha detto che la visita degli europei avrebbe avuto un effetto maggiore, se fosse avvenuta dopo il discorso di Powell.
     La visita degli europei si è svolta in condizioni impossibili ed era destinata al fallimento. E' difficile parlare di equilibrio, quando l'Unione Europea è ora presieduta dal Belgio, nei cui tribunali il primo ministro di Israele è in questo momento accusato di crimini di guerra. Verhofstadt ha fatto un tentativo di comportarsi amichevolmente con Sharon, ricordando come si erano già incontrati 15 anni fa, mentre erano entembi ministri di secondo piano. Ma le domande gli sono state fatte a proposito del procedimento giudiziario ed egli ha risposto, come era prevedibile, che, esistendo nel suo paese la divisione dei poteri, egli non può intervenire. Lo scambio di sorrisi non ha spazzato via il nuvolone nero incombente sull'incontro.
     Anche prima della visita, l'Ufficio del Primo Ministro ha messo in chiaro di non essere interessato alle proposte europee. Il Ministro degli Esteri, Sbmon Peres, ha tentato a modo suo di conciliare, dicendo ai visitatori di non avere reclami nei loro confronti e di dare il benvenuto al loro coinvolgimento. Persino per Peres, tuttavia, è stato difficile ascoltare le parole in lode di Arafat ed il ministro ha affermato che il calo delle violenze era il risultato della misure di sicurezza preventive adottate da Israele e non di una qualche riuscita iniziativa dei palestinesi.
     Da parte loro, i soddisfatti europei hanno fatto mostra di notare solo il mezzo bicchiere pieno: "Sharon ci ha detto di vedere come sia significativo il ruolo dell'Europa", ha affermato Prodi. Egli ed i suoi collegb hanno fatto orecchio da mercante alle osservazioni sarcastiche di Sharon, che ha chiesto loro di impiantare progetti economici nei territori, di smettere di finanziare l'Autorità Palestinese ed in generale, di concentrarsi sui loro problemi interni, invece di occuparsi dei nostri.
     Gli ospiti hanno soprasseduto al gelido ricevimento ed hanno promesso di continuare la loro "politica di babysitteraggio", basata su ulteriori visite più che mai diplomatiche nella regione.
    Ciò ci assicura che vi saranno altri rounds nel dialogo teso fra Gerusalemme e Bruxelles.

(Ha-aretz, 20.11.01 )



L'INTOSSICANTE VIAGGIO IN ITALIA DI UN'EBREA


Perché è Israele (e perché è Italia)

Viaggia per le scuole, assaggia il clima moresco dei Michele Santoro, trottola per uditori non episodicamente "difficili", legge La Stampa, Barbara Spinelli, Vittorio Messori. Confessioni, avventura (e un invito a cena in kibbuz) di un'ebrea viva, pellegrina nel paese dei balocchi .

Articolo di Angelica Livne Calò
 

    Sono tornata dall'Italia dopo 13 giorni. Sono nata a Roma ma ora vivo in Israele. Sono ebrea, ho quattro figli e 280 alunni ai quali insegno in 5 istituzioni differenti nel corso della settimana. In questo viaggio avevo cercato di spiegare il sistema educativo in Israele, l'atmosfera che si respira in questi giorni, i dilemmi dei genitori e degli educatori come me in questo momento così difficile. Ho incontrato giovani liceali confusi, sono stata ospitata da gente che voleva sapere, che voleva chiarire. Mi sono state rivolte domande difficili e ho visto immagini e letto frasi che mi hanno costretto a pormi nuove domande, a chiarirne la risposta, il senso, il motivo, l'origine.

Intossicazione da inchiostro

    Tornando in Israele, raccontando le mie impressioni ai miei collegb in sala professori, alla mia famiglia, alla gente del mio kibbutz ho sentito all'improvviso il senso profondo del termine "intossicazione". Sono tornata intossicata. Intossicata dalla televisione, dai giornali, dagli articoli di sedicenti giornalisti esperti in storia, in ebraismo, in islamismo, in guerre, in Pace. E nonostante le persone straordinarie dalle quali sono stata ospitata e trattata come in un sogno, mi si è riempito tutto inesorabilmente, la testa, il cuore, le spalle, la valigia, tutto di qualcosa di indescrivibile, qualcosa che si insinua e si lascia tutt'intorno solo un alito freddo, una scia senza luce di una materia inconsistente e nauseabonda, stavo per cadere nella trappola, stavo per essere travolta in quella lotta melliflua nella quale il tuo interlocutore ti annienta spiritualmente, sottolineando solo e solamente tutti i tuoi difetti per dominarti e tu nella tua ingenuità dimentichi che nessuno è perfetto, dimentichi per un attimo la tua storia. E appena in Israele vedo gli sguardi attoniti dei miei interlocutori quando racconto degli ultimi articoli pubblicati da giornali seri come La Stampa, di giornalisti seri come Messori, le dichiarazioni di Dini, di D'Alema su Israele. I miei interlocutori mi guardano attoniti. Alcuni sono così presi dal sopravvivere che non si chiedevano da tempo se Israele ha o non ha il diritto di esistere. Altri hanno detto «è vero siamo colpevoli, non riusciamo a trovare una soluzione per il Popolo Palestinese!»

Entità religiosa sarà lei

    Popolo ebraico benedetto, popolo ebraico non a caso scelto, che si preoccupa di tutto, che lotta da sempre per la sua sopravvivenza, che si chiede giorno dopo giorno interrogativi dolorosi sul suo destino, sul destino degli altri, che si sente responsabile di tutto, che cerca di sopravvivere nel suo pluralismo dove tutti hanno ragione: destra, sinistra, religiosi, arabi, russi, cerkessi, drusi, rabbini, falasha, ricchi, poveri, dislessici, geni, giovani, bambini, palestinesi, donne, artisti, tutti. Tutti hanno diritto. Tutti, chi più chi meno, tollerano, e chi non lo fa viene giudicato. Perché nessuno è perfetto. Mi sono fermata un attimo e mi sono domandata, così, su un sentiero tra lavanda e rosmarino: ma che significa «Sono Ebrea?». «Perché Israele?» Perché essendo me stessa è come se facessi un affronto agli altri? Perché ridurmi a "un'entità religiosa", come ha fatto Barbara Spinelli? Io non sono un'entità religiosa, credo in D-o, ci parlo ogni giorno, lo sento vicino a me quando insegno, quando guardo i miei figli, quando faccio l'amore con mio marito, quando vedo qualcuno felice per merito mio… Ma sono molto di più di "un'entità religiosa", sono parte di un Popolo che ha una lingua e una tradizione di secoli. Ho la mia musica, il mio Libro e tanta altra letteratura. Ho le mie critiche come essere umano sano, come si hanno critiche ai propri genitori. Ho delle responsabilità, una chiara e definita morale da rispettare. Non ho nessuna pretesa di elezione o di superiorità, ammiro ed apprezzo la tradizione, le usanze e le credenze degli altri Popoli, fintanto siano positive, costruttive e sane.

I meli in mezzo ai sassi

    Non ho mai preteso di cambiare, convincere, influenzare altri. Voglio solo una casa, una casa piccola, proprio come la mia, per insegnare ai miei figli che la vita vale di più se ci si ricorda del passato. Che vale di più se si dà il massimo nel presente, che è inestimabile se si sa costruire un futuro. E la mia è un'educazione un po' mista, da movimento giovanile di sinistra sionista, da collegio rabbinico, con un po' di sentimentalismo della Comunità ebraica di Roma, la più antica del mondo, e il razionalismo delle Università israeliane. Ma sempre ebrea rimango. E se qualcuno vuole provare ad esorcizzare questi sentimenti cosi inquietanti che attanagliano il suo bisogno di "verità" che venga qui, ospite nostro, in questo piccolo kibbuz, in questo minuscolo pezzo di terra che è Israele. Gli mostreremo il confine del Libano, dove stanno costruendo nuove case e che per noi israeliani è un segno di speranza, gli mostreremo una lezione nella nostra scuola dove studiano bambini di 8 etnie differenti, gli spiegheremo il valore delle ricorrenze e delle feste ebraiche, gli mostreremo come siamo riusciti a piantare alberi di meli in mezzo ai sassi. Sono sicura che tutti i suoi dubbi si dissolveranno e riuscirà a scacciare tutti quei pericolosissimi demoni che qualcuno tenta di destare, gli stessi che hanno causato dolore, angoscia e lo sgomento più profondo appena sessant'anni fa!

(da "Tempi", Numero 46 - 15 Novembre 2001)


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