Notizie su Israele 77 - 21 marzo 2002


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In quel giorno, io avrò cura di distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. «Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di grazia e di supplicazione; essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito.

(Zaccaria 12:9-10)



Questo foglio di notizie raccoglie alcune voci di ebrei che vorrebbero essere ascoltati. Il mondo sembra distratto, ma siamo certi che c'è Uno che è attento.
M.C.



LETTERA DI UNA PACIFISTA EBREA AI PACIFISTI FILOPALESTINESI


Perché con voi sto male.
 
Lettera ai manifestanti di Roma (sabato 9 marzo)
 
di Marina Morpurgo
 

Cari partecipanti alla manifestazione per la pace in Medio Oriente ,

    vorrei spiegarvi i motivi per i quali non c'ero, i motivi per i quali avrei voluto e potuto esserci, e per i quali alla fine sono stata contenta di non esserci stata.
    Sono ebrea, e mi sono sempre sentita vicina ai partiti della sinistra, o più precisamente a uno di essi. Credo che i palestinesi debbano avere un loro Stato, penso che Sharon e - peggio ancora
  
Scritta verde in arabo:
"Hebar, Hebar (luogo sacro dove si fanno i giuramenti),
o ebrei, l'esercito di Maometto sta tornando"

di lui, individui come il ministro Avigdor Lieberman - siano orrendi, politicamente e umanamente parlando. Penso che Israele dovrebbe ritirarsi entro i confini del 1967, e che i 200 mila coloni miei correligionari - quelli che hanno deciso di sistemarsi nel West Bank o a Gaza - dovrebbero essere riportati al di qua della Linea verde, con le buone o anche con le cattive maniere.
    Oppure lasciati al loro destino, come ha spiegato nei giorni scorsi con poco garbo ma con estrema efficacia il professor Martin van Creveld, storico militare israeliano: «Io direi loro: signori e signore, tra sei mesi noi costruiremo un muro e ce ne andremo da qui. Diremo ai coloni, come fa un comandante quando deve far saltare un ponte, pur sapendo che una parte delle sue forze si trova dall'altra parte: «La storia è finita, se volete vi aiuteremo ad andarvene; se non volete ? restate pure qui con i palestinesi e continuate ad ammazzarvi l'un l'altro. Noi siamo fuori».
    Visto che la penso così, dovrei trovarmi molto bene a sfilare con voi.
    Purtroppo non è così. Me ne resto a casa, per evitare tremendi mal di pancia.
    Fosse un problema solo mio, sarebbe irrilevante: ma disgraziatamente è un problema diffuso, e che provoca gravi danni - penso - alla causa della pace. Mi fate venire il mal di pancia perché in manifestazioni come quella di sabato scorso capita abbastanza spesso, a noi ebrei pacifisti e di sinistra, di vedere cose che non si vorrebbero vedere, e sentire cose che non si vorrebbero sentire. Mi turbo molto quando nel corteo vedo bruciare la bandiera con la stella di Davide, per motivi che spiegherò più avanti. Se proprio vi va di bruciare qualcosa - è comunque un gesto di violenza che trovo incongruo per chi chiede il ritorno della pace - preferirei che vi esercitaste con un ritratto di Sharon. Mi turbo ancora di più quando sento gridare - come si è sentito sabato - e mi dicono che a gridare fossero in moltissimi: «Palestina, vogliamo tutto, lo Stato d'Israele deve essere distrutto». Non mi turba, ma non sono d'accordo, quando leggo uno slogan come questo: «Sì all'intifada, no all'occupazione, sì alla pace». Troverei più ragionevole, e con me la pensano molti altri: «No all'intifada, no all'occupazione, sì alla pace».
    Non sono con voi, dunque, anche se abbiamo molti obiettivi politici in comune, proprio perché alcuni dei vostri pensieri, a volte
  
Scritta verde in arabo:
"Palestina dal fiume fino al mare, non accetta la spartizione"

espressi, a volte sottintesi, sono per me inaccettabili. Io voglio che Israele esista (come voglio che esista una Palestina indipendente e democratica).
    Per motivi politici e umani, e perfino per motivi infantili, nel senso che Israele è la mia cameretta mentale, il mio rifugio atomico. Ogni tanto, molto raramente, mi piace poter pensare «Sapete che vi dico? Che non ne posso più di sentire cose sgradevoli! Me ne vado in Israele».
    Alcune volte l'ho desiderato intensamente, come quando una ragazza, una giornalista, sicuramente democratica, sicuramente di sinistra, commentò così la morte di Leon Klinghoffer: «Be', un ebreo di meno sulla faccia della terra». Eravamo nella sede dell'Unità, ci fu un attimo di gelo, qualcuno venne in mio soccorso, perché il senso di tradimento era stato tale da ammutolirmi.
    Con le manifestazioni a senso unico, con il negare che l'antisionismo possa in alcuni casi - pochi, ma sufficienti a far danni - avere un retroterra molto meno degno, voi sottraete alla pace molte forze. Sento spesso, di questi tempi, parlare di silenzio della Diaspora, e specialmente della Diaspora italiana. Il silenzio è solo apparente. Noi per la verità parliamo tantissimo, ci scambiamo lettere disperate, firmiamo appelli, proponiamo appelli, litighiamo ferocemente tra noi, e ci chiediamo che fare perché cessi questo massacro insensato. E scenderemmo in piazza, e grideremmo anche, ma abbiamo paura dei mal di pancia che a volte ci fate venire. E soprattutto sentiamo che il terreno viene a mancarci sotto i piedi, tutti gli sforzi che facciamo sono, alla fine, vani. Se vogliamo muoverci, dobbiamo farlo da soli, non possiamo farlo con voi e questo è un peccato, se davvero vogliamo tutti la stessa cosa.
    Il nostro ruolo è importante. Non perché contiamo chissà che. Però ognuno di noi ha parenti e amici in Israele, dove ormai dilagano il terrore, lo scoramento, l'odio. Noi, che siamo lontani, possiamo permetterci di essere razionali, e di tenere lontani da noi i sentimenti di vendetta. Cerchiamo di far sì che loro non si sentano soli, premessa necessaria per trovare il coraggio di scommettere sulla pace.
    Il momento è cruciale, e non ci si può permettere di sbagliare. Israele sta scendendo in piazza, nel bene e nel male. Nel male ci sono i raduni della destra, che vorrebbe azioni militari ancora più dure. Nel bene c'è un pullulare di attività e di raduni pacifisti, che stanno risvegliando i laburisti dallo stato di catalessi nel quale erano sprofondati, e ai quali aderiscono anche religiosi, anche gente che non si riconosce nella sinistra. Nascono nuovi movimenti, l'ultimo nato si chiama Settimo giorno e propugna il ritiro dai Territori. Ci sono movimenti di madri e di soldati, perfino su alcuni giornali della destra moderata si elogia il dissenso, e si invita il Paese a non accettare supinamente la visione - e le previsioni capziose - dei militari.
    Ogni parola ragionevole oggi non è sprecata. Non segateci le gambe, dunque, e non permettete che chi non vuole la pace abbia buon gioco, dicendo che la maggior parte di voi parla in nome dei palestinesi, e non di un riavvio di quel che si è spezzato a Taba. Non lasciate che pensino che li vedreste finire tutti in mare senza batter ciglio.
    Continuate a criticare Israele, anche duramente, perché è giusto che lo facciate ma aprite gli occhi, per il bene di tutti, e denunciate il male ovunque esso si manifesti. Noi, che non siamo sotto le bombe, che non abbiamo un esercito occupante in casa, che non dobbiamo guardarci intorno nei caffè, abbiamo il dovere di restare lucidi e di non cedere alla suggestione di schierarci. Quello che chiediamo, ogni tanto, è il beneficio del dubbio. Di non vedere il Medio Oriente in bianco e nero, con eroi e criminali. Di scandalizzarvi con noi se in una conferenza dell'Onu i delegati ricevono in omaggio i Protocolli dei Savi di Sion.
    Di capire che di bugie se ne sono dette tante, e non da una parte sola.
    Allora, sicuramente, torneremo a lavorare e magari a sfilare insieme.

(Rimongroup, 19.03.02)



LA RABBIA DI UN'EBREA CHE VIVE IN ISRAELE


Capite questo, voi che dimenticate

di Calò Angelica Edna Livne

  Quando ho chiesto a mio figlio dove avrebbe voluto trascorrere una vacanza prima del suo arruolamento nell'esercito, mi ha risposto in Italia, sulle Dolomiti. Ho provato un senso profondo di soddisfazione. Sono nata a Roma, ho lasciato la mia casa a 20 anni per venire a vivere in Israele, in un kibbutz. Tornare in Italia con i miei figli per loro scelta è un ritorno alle radici, a un'infanzia luminosa di affetti, di arte, di amore profondo per gli altri, per sapori, profumi, colori.
  Sono cresciuta studiando la Torà, la Bibbia, allieva dei più grandi Rabbini e militando in un Movimento giovanile i cui valori erano ispirati alle leggi scoutistiche e alle idee socialiste di uguaglianza, tolleranza, partecipazione e pace. Sono cresciuta a ritmo di danze israeliane e note di musica classica. Sono cresciuta cantando Bob Dylan, Neil Young, leggendo Neruda, Marcuse, i Salmi e il Cantico dei Cantici. Sono cresciuta con l'ombra muta di un Olocausto impossibile da raccontare in una famiglia dove non c'è stato mai bisogno di qualcosa in più. Una fusione perfetta che mi ha reso madre e moglie di una famiglia dove tutto è valore. Ed ora il bel sogno lentamente s'incrina, è un processo lento ma devastante, sento vacillare certe verità e sento lo scricchiolio come di un vetro che si infrange e lentamente sale e attanaglia tutto. Improvvisamente mi rendo conto che come appartenente al popolo ebraico e ancor più a quello israeliano sono coinvolta in una subdolissima caccia alle streghe. Come si può spiegare la tempesta di pensieri infausti che inondano il cervello quando si sente che c'è stato un altro attentato e si pensa che il proprio figlio potrebbe essere proprio lì? Chi può descrivere la nausea profonda che si prova mentre aiuti tuo figlio a vestirsi prima di andare all'asilo mentre ti infuocano la mente i pensieri più nefasti? Chi può raccontare tutto ciò che desidereresti per tuo figlio al posto di quei tre, quattro anni di esercito nel quale darà tutto se stesso per difendere e sottolineo difendere e non attaccare, conquistare, annettere, invadere? Difendere questa Terra dove siamo costretti a vivere sul chi va là 24 ore su 24. Senza tregua, senza sosta. Io che non so odiare, ho sentito la rabbia più profonda in questi giorni trascorsi nel luogo amato in cui sono nata e cresciuta: ho assistito a trasmissioni televisive che mi hanno dato il brivido della propaganda nazista e antisemita: subdole, cariche di inesattezze, manipolazioni e menzogne atte a delineare professionalmente un'immagine mirata e deformata di Israele. Articoli nei giornali che demonizzavano il Governo, l'esercito, il Popolo israeliano. Come se Israele fosse il terrorista, il sovversivo, l'eversivo. Come se questa guerra sfibrante l'avesse scelta Israele...
  Una signora mi ha detto «beh voi ormai siete abituati… è una realtà!» Perché ci si abitua ad andare al mercato e tornare senza una gamba, senza un occhio, a non tornare per niente? Eppure è possibile, lo so che è possibile istaurare una Pace qui. Oggi, nel villaggio arabo dove insegno, ho guardato negli occhi profondi di quei ragazzi e ho sentito che è possibile. Mentre parlavamo di Dedalo, Icaro, del Minotauro e di Sisifo e riuscivamo a spiegarci metà arabo e metà ebraico sentivo che i valori erano universali. Ma chi sono questi esseri che seminano la morte? Che intontiscono ragazzini di 16, 17 18 anni convincendoli a suicidarsi uccidendo altri? Che riescono a far marcire uomini donne e bambini per anni in campi profughi dove si respira solo dolore, rabbia e sudiciume? No!!! Non sono gli Israeliani, è una verità triste e deludente per tanti ma non sono gli Israeliani. Gli Israeliani sono profughi da duemila anni, da quando l'imperatore Tito li ha sparpagliati ai quattro venti. Da quando Isabella di Castiglia li ha scacciati senza pietà, da quando Gheddafi ha deciso di fare piazza pulita di ebrei... però mica sono stati lì buoni buoni nei loro campi profughi ad alimentare il fuoco dell'odio e del risentimento... Come mi ha detto un grande amico tripolino: «Ci siamo rimboccati le maniche ed eccoci qui». Hanno fatto gli straccivendoli, gli sfasciacarrozze, raccoglievano ciò che gli altri non volevano più e si sono rialzati... perché si dice «Aiutati che D-o ti aiuta!!!». Che c'è? Il nostro D-o aiuta chi è pieno di risorse, di buona volontà, di creatività e chi non si arrende alla disperazione, e il D-o degli altri preferisce morte, distruzione e martirio in suo nome? Non sarebbe meglio rimboccarsi le maniche e riconoscere una volta per tutte anche le usanze, la cultura, la fatica e gli sforzi degli altri popoli? Cercare di vivere fianco a fianco rendendo senza fili solo l'immaginazione e la creatività? Come si fa a neutralizzare un odio atavico? Un odio che sta dentro, in fondo in fondo all'anima? Io so come amare, come insegnare l'amore, come cercare il particolare buono in ogni cosa, come convincere a perdonare... ma l'odio che c'è ora nell'aria del mondo non so proprio come affrontarlo... non so come convincere questa gente che distrugge a costruire, a creare, per sé e per i propri figli! Che devo fare? Che devo insegnare ai miei figli? Ai miei alunni? Un giornalista de La Stampa ha detto che mai come ora Israele è stata in una posizione cosi debole... Un altro disinformato! Superficiale e disinformato! Mai come ora Israele è stata così forte, così straordinariamente, spiritualmente, moralmente, forte. Israele che cura i suoi feriti, seppellisce i suoi morti innocenti siede e canta con i suoi figli sotto le capanne che ricordano la sua conquistata libertà dopo la schiavitù in Egitto. Israele che digiuna, che augura, che aspetta la pioggia benedetta sui suoi campi seminati col sudore della fronte e con le più avanzate tecniche di ricerca, Israele dove Ebrei, Arabi, Drusi, Cerkessi possono essere chi sono. Israele che ora è la mia casa e dove tutti sono eroi. Perché eroe non è chi muore per qualcosa, eroe è chi vive, lotta, crea e ama. Nonostante tutto.

(Ebraismo e dintorni, marzo 2002)

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ATTENTATO ... ANCORA


Mercoledi, 20 marzo 2002

Un giorno come tanti altri in Israele

Ci sono 6 morti, 34 feriti, 9 gravi.
Serviranno 200 sacche di sangue.
E noi, stamattina, quando ci siamo svegliati, per un po' ci siamo dondolati nella fantasia bellissima di un cessate il fuoco benedetto.


    Wadi Ara e'  la strada che devo fare io fra due ore per andare a Givat Haviva, vado ad intervistare Ami Ayalon che stavolta si incontra con un Capo palestinese e c'e' anche una mostra presidiata dall'Ambasciatore egiziano in Israele che si chiama, dal versetto di Isaia  "E non conosceranno piu' la guerra....."
    ...non e' il primo attentato che fanno la'... entrano senza problema  dai villaggi arabi circostanti e si fanno scoppiare... e noi la', da mesi,  quasi in ginocchio  a chiedere il cessate il fuoco.... ieri sera quei pupazzi del Klu Klux Clan di Hamas con le facce mascherate... l'hanno detto alla CNN , l'hanno detto chiaro e tondo "Smetteremo gli attentati quando riceveremo l'ordine da Arafat!.... Dobbiamo attaccare i civili e i bambini perche' i soldati dell'esercito d'Israele sono troppo forti...oppure attaccare i soldati quando dormono o  alle spalle!!!"
    Dovrebbero scrivere un bel libro, loro, i pupazzi di Hamas, un pamphlet  educativo per le generazioni a venire, loro insieme ai loro capi senza pieta', quelli che stanno riducendo la loro povera gente, veramente poveri palestinesi ignari della dura verita', a larve convincendoli che  le loro sofferenze e le loro disgrazie avvengono a causa  di noi ebrei!  Dovrebbero scrivere un bel libro: "L'etica dei combattenti della "resistenza" palestinese: "Come uccidere bambini, civili inermi e gente comune sovvenendo a tutti i canoni  della morale, dei valori umani e dell'onesta'. compresi  coloro che si battono per aiutarci a creare uno Stato palestinese "  Potrebbe essere un best sellers post-modernista di grande successo, tutto e' permesso, out il dialogo, out la razionalita', out la vita...viva la morte che elimina chi e' antipatico, diverso, scomodo e soprattutto ebreo!!!

Vostra
triste
e arrabbiatissima

Angelica

Speriamo che l'incontro tra Ami e Nussieba mi ritiri su.... magari invece di finire con la testa sul piatto in qualche ristorante finisco con la testa sul volante per la strada mentre vado ad ascoltare parole di pace e di speranza......

(da internet, 20.03.02)



I SEGNI INQUIETANTI DEL NUOVO ANTISEMITISMO 


Il racconto di una bambina e di una famiglia toccate dall'orrore.

Testimonianza

di Fiamma Nirenstein

    Una bambina nata dopo la Shoah sa cose diverse dalle altre bambine: per esempio, guarda di nascosto un libro proibito intitolato Der gelbe Stern, «La stella gialla», e là vede per la prima volta corpi nudi di uomini e donne, e la sua curiosità per le loro differenze è sommersa dalla curiosità per una morte orribile che mescola i corpi creando un eterno nodo di dolore. Una bambina così, sa che il suo nonno paterno Joseph, nato a Baranov, Polonia, e sua moglie, e quattro bambine, e l'adorato fratello piccolo del babbo Moshe, tutti sono stati bruciati vivi con getti di acqua bollente (in quel campo di sterminio era questa la prassi) a Sobibor. La bambina guarda la foto di Moshe, lo guarda fisso negli occhi chiari, e vede che le somiglia molto. Con lui sono spariti altri innumerevoli zii e parenti di diverso grado. La bambina sa fin da piccola che la famiglia materna, nella parte della nonna Rosina Volterra, era una famiglia con tanti allegri fratelli, e poi, dopo anni di nascondigli e fughe, per la delazione di alcuni conoscenti, ha visto inghiottire ad Auschwitz Angiolina e Gastone, come gli altri fratelli due ragazzi di alta borghesia, che per primi arrivavano in automobile a Forte dei Marmi, e che, da antiquari quali erano, organizzavano gli abiti antichi del Calcio in Costume per il Podestà di Firenze. Da figli chiamati dalla mamma «amore» e «tesoro», divennero soltanto carne da macello, carne di ebrei.
    Una bambina ebrea sa anche che il suo nonno Giuseppe Lattes da dirigente di banca un giorno del 1938 si trovò per strada, a doversi inventare dei cartoni di bottoni colorati che andava a cercare di vendere di merceria in merceria a bordo di una motoretta. Questi bottoni rimasero in casa come gioco per noi bambini fino agli Anni 60. La figlia della Shoah sa che la sua mamma Wanda e la zia Rirì, da un giorno all'altro non poterono più andare a scuola, e né i professori né i compagni alzarono una voce neppure di sorpresa; e che la famiglia Lattes girava di casa in casa cercando un nascondiglio, e ci furono pochi che rischiarono per loro, e la maggior parte invece, no. Anzi, c'era chi li denunciò volentieri.
    Ma dai racconti della nonna, la bimba sa di un giorno meraviglioso: quello in cui a Firenze giunse con i liberatori la Brigata Britannica con la Stella di Davide. Veniva dalla Palestina, allora mandato britannico. Tra quei soldati c'era suo padre, Aaron, poi detto Alberto. Il miracolo di vitalità e di amore per la vita del popolo ebraico offeso sei milioni di volte, splendeva in quel soldato ebreo e israeliano. La mia nonna Rosina ci prendeva per mano a noi bambine, la Fiamma e la Susy, e con noi ballava la Hora nel corridoio sotto un arazzo su cui la regina Ester troneggiava vittoriosa sul re Assuero, un Hitler dell'antichità. La Hora era il ballo dei pionieri sionisti: la nonna non è mai stata coscientemente tale, sentiva solo che in questo avere finalmente una propria nazione, si compiva un unico miracolo di resurrezione.
    La cronista ha visto tanti Giorni della Memoria: il più bello in Israele, quando la gente poteva finalmente piangere senza distrazioni i morti della Shoah, elaborare il proprio lutto. Ovvero, ai tempi del processo di pace. Pareva negli anni di Rabin e della trattativa possibile che gli ebrei avessero trovato un approdo nel porto per loro così tempestoso della Storia. Non più morti, non più bambini terrorizzati e madri disperate. Non più Protocolli dei Savi di Sion, congiure giudaico-massoniche, plutocrazia ebraica, caricature nasute e con i sacchi d'oro fra le grinfie, non più sporco ebreo. La pace sarebbe giunta agli ebrei, finalmente, dopo duemila anni di sospiri, dal tempo dell'esilio romano, dopo tante persecuzioni, quel Paese degli ebrei riconosciuto da tutto il mondo. Ma non era vero: sono tornati i Protocolli dei Savi di Sion, distribuiti a Durban, per le strade, o resi serial televisivi dalla tv egiziana; sono tornati nelle caricature dei giornali arabi gli ebrei nasuti con i sacchi di dollari, la congiura mondiale e anche il sangue che cola dalle mani e dalla bocca degli israeliani; è tornato l'invito dell'integralismo islamico a uccidere gli ebrei, tutti gli ebrei, dovunque si trovino. E il mondo non ha detto altolà, neppure di fronte alla negazione generalizzata della Shoah definita «solo uno strumento per promuovere il sionismo»: non si sente un urlo di indignazione! Non si è sentito neppure quando sono state rilanciate le accuse di deicidio, o si è promesso di distruggere Israele in un colpo solo con la bomba atomica. E nemmeno quando dopo l'11 settembre, con labbra oscene, molti hanno vomitato l'idea che solo gli ebrei potevano aver organizzato un così riuscito disastro; nei casi più lievi, anche nei salotti di Francia, Inghilterra e Italia si è detto che comunque era accaduto a causa degli ebrei.
    Come può essere? Come mai l'uomo contemporaneo non è ancora accorto di fronte alle orribili avvisaglie dell'antisemitismo? La Shoah non è finita finché esso non cessa: ognuno può pensarla come vuole sul conflitto mediorientale, e scriviamo in questa solenne ricorrenza che è indispensabile che il popolo palestinese abbia uno Stato nella sicurezza reciproca con gli israeliani e che cessino le sue dure sofferenze. Ma questo non c'entra: per arrivare alla protezione di tutte le minoranze, alla soddisfazione di tutte le richieste di chi soffre, la coscienza umana deve essere linda dalla sporcizia dell'antisemitismo. E' ora, finalmente, che i bambini ebrei, a cinquant'anni di distanza, debbano poter vivere tranquilli, dovunque essi siano, e non morire per le strade, in pizzeria, in autobus. E così sia per ogni altro bambino. Il segnale della vera fine dell'antisemitismo sia un segnale per tutti di pace e di benessere. Ma la pace va ancora conquistata. Questa è la preghiera di una figlia della Shoah e della Liberazione.
   
(da internet, gennaio 2002)




"MI DIFENDO, QUINDI SONO"


Il seguente articolo è il testo di un discorso tenuto alla radio francese nel novembre 1975 dal cantante ebreo Herbert Pagani, all'indomani della mozione ONU che assimila il sionismo al razzismo. Sono passati più di venticinque anni, ma le parole dette in quell'occasione non hanno perso niente della loro attualità.
M.C.



Arringa per la mia terra

di Herbert Pagani


    "Di passaggio a Fiumicino sento due turisti dire sfogliando un giornale: 'Tra guerre e attentati non si parla che degli ebrei, che scocciatori ...' "E' vero siamo dei rompiscatole; sono secoli che rompiamo le balle all'universo. Che volete? Fa parte della nostra natura.
    Ha cominciato Abramo col suo Dio unico, poi Mosè con le tavole della legge, poi Gesù con l'altra guancia sempre pronta per la seconda sberla, poi Freud, Marx, Einstein, tutti esseri imbarazzanti, rivoluzionari, nemici dell'ordine. Perché?
    Perché l'ordine, quale che fosse il secolo, non poteva soddisfarli, visto che era un ordine dal quale erano regolarmente esclusi; rimettere in discussione, cambiare il mondo per cambiare destino, questo è stato il destino dei miei antenati; per questo sono sempre stati odiati da tutti i paladini dell'ordine prestabilito.
    Un antisemita di destra rimprovera agli ebrei di aver fatto la rivoluzione bolscevica. E' vero. C'erano molto ebrei, nel 1917.
    Un antisemita di sinistra rimprovera agli ebrei di essere i proprietari di Manhattan, i gestori del capitalismo... è vero ci sono molti capitalisti ebrei.
    La ragione è semplice: la cultura, la religione, l'idea rivoluzionaria da una parte, i portafogli e le banche dall'altra sono stati gli unici valori mobili, le sole patrie possibili per quelli che non avevano una patria. Ora che di patria ne esiste una, l'antisemitismo rinasce dalle sue ceneri, o meglio, scusate, dalle nostre, e si chiama antisionismo.
    Prima si applicava agli individui, adesso viene applicato a una nazione. Israele è un ghetto, Gerusalemme è Varsavia. Chi ci assedia non sono più i tedeschi ma gli arabi e se la loro mezza luna si è talvolta mascherata da falce era per meglio fregare le sinistre del mondo intero. Io, ebreo di sinistra, me ne sbatto di una sinistra che vuole liberare tutti gli uomini a spese di una minoranza, perché io faccio parte di quella minoranza.
    Se la sinistra ci tiene a contarmi fra i suoi non può eludere il mio problema. E il mio problema è che dopo le deportazioni in massa operate dai romani nel primo secolo d.C. noi siamo stati ovunque banditi, schiacciati, odiati, spogliati, inseguiti e convertiti a forza. Perché? Perché la nostra religione, cioè la nostra cultura erano pericolose.
    Qualche esempio? Il giudaismo è stato il primo a creare il sabato, il giorno del Signore, giorno di riposo obbligatorio. Insomma il week-end. Immaginate la gioia dei faraoni, sempre in ritardo di una piramide. Il giudaismo proibisce la schiavitù. Immaginate la simpatia dei romani, i più grossi importatori di manodopera gratuita dell'antichità. Nella Bibbia c'è scritto: "La terra non appartiene all'uomo, ma a Dio". Da questa frase scaturisce una legge: quella della estinzione automatica dei diritti di proprietà ogni 49 anni.
    Vi immaginate la reazione dei papi del Medio Evo e degli imperatori del Rinascimento?
    Non bisognava che il popolo sapesse.
    Si cominciò quindi col proibire la lettura della Bibbia, che venne svalutata come Vecchio Testamento. Poi ci fu la maldicenza: muri di calunnie che diventarono muri di pietra: i ghetti.
    Poi ci fu l'Indice, l'Inquisizione e più tardi le stelle gialle. Ma Auschwitz non è che un esempio industriale di genocidio. Di genocidi artigianali ce ne sono stati a migliaia. Mi ci vorrebbero dieci giorni solo per far la lista di tutti i pogrom di Spagna, di Russia, di Polonia e del Nord Africa. A forza di fuggire, di spostarsi, l'ebreo è andato dappertutto. Si estrapola il significato ed eccoci giudicati gente di nessun posto. Noi siamo in mezzo agli altri popoli come gli orfani affidati al brefotrofio. Io non voglio più essere adottato, non voglio più che la mia vita dipenda dall'umore dei miei padroni di casa, non voglio più affittare una cittadinanza, ne ho abbastanza di bussare alle porte della storia e di aspettare che mi dicano: "Avanti".
    Stavolta entro e grido; mi sento a casa mia sulla terra e sulla terra ho la mia terra. Perché l'espressione "terra promessa" deve valere per tutti i popoli meno che per quello che l'ha inventata?
    Che cos'è il sionismo? Si riduce a una sola frase, l'anno prossimo a Gerusalemme.
    No, non è lo slogan di qualche club di vacanza, è scritto nella Bibbia, il libro più venduto e peggio letto del mondo. E questa preghiera è diventata un grido, un grido che ha più di 2000 anni, e i padri di Cristoforo Colombo, di Kafka, di Proust, di Chagall, di Marx, di Einstein, di Modigliani, e di Woody Allen l'hanno ripetuta, questa frase, almeno una volta l'anno: il giorno della Pasqua. Allora il sionismo è razzismo? Ma non fatemi ridere. Il sionismo è il nome di una lotta di liberazione e come ogni movimento democratico ha le sue destre e le sue sinistre. Nel mondo ciascuno ha i suoi ebrei.
    I francesi hanno i corsi, i lavoratori algerini; gli italiani hanno i terroni e i terremotati; gli americani hanno i negri, i portoricani, gli uomini hanno le donne, la Società ha i ladri, gli omosessuali, gli handicappati. Noi siamo gli ebrei di tutti.
    A quelli che mi chiedono: "E i  palestinesi? " rispondo 'Io sono un palestinese di 2000 anni fa, sono l'oppresso più vecchio del mondo, sono pronto a discutere con loro ma non a cedergli la terra che ho lavorato. Tanto più che laggiù c'è posto per due popoli, e due nazioni". Le frontiere le dobbiamo disegnare insieme.
    Tutta la sinistra sionista cerca da 30 anni degli interlocutori palestinesi, ma l'OLP, incoraggiata dal capitale arabo e dalle sinistre europee, si è chiusa in un irredentismo che sta costando la vita a tutto un popolo, un popolo che mi è fratello, ma che vuole forgiare la sua indipendenza sulle mie ceneri.
    C'è scritto sulla carta dell'OLP: "Verranno accettati nella Palestina Riunificata solo gli ebrei venuti prima del '17". A questo punto devo essere solidale con la mia gente. Quando gli arabi mi riconosceranno, mi batterò insieme a loro contro i nostri comuni oppressori. Ma per oggi la famosa frase di Cartesio: "Penso, quindi sono" non ha nessun valore.
    Noi ebrei sono 5000 anni che pensiamo e ci negano ancora il diritto di esistere.
    Oggi, anche se mi fa orrore, sono costretto a dire: "mi difendo, quindi sono".

(riportato su "La polveriera mediorientale", di Valter Vecellio)



LIBRI


VALTER VECELLIO, "La polveriera mediorientale", Ed. Mamma, Lodi 2001, pp. 60, € 7,75


INDIRIZZI INTERNET


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