Notizie su Israele 78 - 26 marzo 2002


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Il SIGNORE infatti avrà pietà di Giacobbe, sceglierà ancora Israele, e li ristabilirà sul loro suolo; lo straniero si unirà a essi e si stringerà alla casa di Giacobbe. I popoli li prenderanno e li ricondurranno al loro luogo, e la casa d’Israele li possederà nel paese del SIGNORE come servi e come serve; essi terranno prigionieri quelli che li avevano fatti prigionieri e domineranno sui loro oppressori.

(Isaia 14:1-2)


DAL TACCUINO DI UN POLIZIOTTO DI GERUSALEMME


Due righe da Shimon il poliziotto

Oggi come ogni volta che mi chiamano, ero gia' pronto con la divisa, il cappello. C'era un freddo che levati, pioggia seria, quella di Gerusalemme, piove da tutte le parti, né ombrello né nulla ti ripara, solo una cerata ti protegge.
    Ma in polizia non c'e' la cerata, a malapena hai dei pantaloni di tela blu leggera, per tutte le stagioni, cioe' estivi, quindi dopo un po’ che sei su strada sei fradicio.
    Cominciamo a fare il controllo degli autobus che arrivano da fuori citta', intanto arrivano chiamate: uomo sospetto con impermeabile nero che ha fretta, e tu pensi: piove, ha l'impermeabile, ha fretta, in Israele tutti hanno fretta, bene. Poi pacco sospetto, borsa sospetta, persone sospette sull'autobus numero taldeitali.
    Arriva un allarme: due sospetti su un autobus numero 15, arriviamo sul posto, cominciamo a controllare, e poi BUMM. Ci chiamano, uno scoppio in King George. Con la mia guida all'italiana metto la sirena e passo attraverso file di auto, la poliziotta al mio fianco chiude gli occhi, passo semafori rossi, arriviamo per primi sul posto.
    Esco dalla naiedet in velocità, metto il cappello, e faccio sgomberare tutte le auto che sono in coda. Un gruppo di persone sono assembrate poco dopo il Mashbir, la gente corre verso il luogo della bomba.
    Non so cosa fare e decido che la cosa principale e' di sgomberare le auto in coda, e intanto si sentono le prime sirene, arrivano come vespe impazzite, una sull'altra, una dopo l 'altra. Arrivano macchine con targa privata con le luci blu che spuntano all'improvviso, sono volontari come me, medici, infermieri, haredim che devono raccogliere con misericordia i pezzi di carne che si vedono penzolare in giro.
    Sì, la gente e' sconvolta da questo film dell'orrore, film interminabile di orrore,vedere da un lampione della strada penzolare cose che gocciolano acqua rossa, poi cade la cosa su di te, vicino a te, vicino al tuo vicino, e' un occhio, un dito, non sai più, la gente vomita dalla paura.
    Le sirene urlano in entrata, in uscita, la gente che si accalca, bisogna allontanarla perche' puo esserci un altro ordigno.
    Una persona sospetta con un grande sacco nero, i sacchi sospetti sono sempre neri. Viene additato, viene bloccato e portato in un'auto delle forze dell'ordine. La gente deve essere allontanata, ci sono due persone sospette in giro, si dice che hanno accompagnato l'assassino. Sì, non lo lasciano mai solo, lo accompagnano, fino al luogo scelto per l'assassinio.
    Non voglio sapere quanti sono i morti, vedo solo dei fotografi, esseri maledetti, camminano sui pezzi di corpi. Sì, sì, camminano come avvoltoi per catturare immagini da trasformare in buon denaro. Piacciono le immagini di morti. Uno di loro mi si avvicina per salire su un albero per catturare ancora altre immagini dell'orrore. Ha le scarpe piene di sangue, mi fa orrore, lui. Oramai un ombra di pieta' e di misericordia avvolge i presenti attoniti, altri completamente rimbambiti chiedono dov'e' la fermata dell'autobus 8 o 14. Ci chiamano, gente sospetta di qui, oggetto sospetto là, auto che fugge di là e ricominci a correre di qua e di là.
    Quanto vorrei che questo mio sia una delirazione, un' esagerazione Shimonesca. Magari! Purtroppo e' vera, non e' un incubo dopo una sbornia cattiva.
    Qui viviamo cosi', si kadima! andiamo avanti.

Shimon Fargion

Jerushalaim - Israel

(Gruppo Rimon, 24.03.02)



PREMI ALLE FAMIGLIE DEGLI ATTENTATORI SUICIDI


    L'Iraq ha deciso di donare 25.000 dollari alle famiglie di ogni palestinese che compia o abbia compiuto attacchi suicidi anti-israeliani: lo ha reso noto il Vice Premier iracheno Tareq Aziz.
     Parlando a Baghdad ad una conferenza inter-araba, Aziz ha annunciato che la decisione e' stata presa dal presidente Saddam Hussein, che l'ha gia' comunicata al capo dell'ufficio politico dell'OLP, Faruk Faddumi, nel corso di una sua recente visita a Baghdad.
     L'Iraq aveva gia' da tempo reso noto di aver deciso di donare 10.000 dollari alle famiglie di ognuno dei palestinesi uccisi nell'intifada, e 5.000 a quelle di coloro che sono stati feriti e 10.000 dollari alle famiglie palestinesi le cui abitazioni nei territori sono state distrutte dagli israeliani.

(ANSA 11.03.02)




FUGGIRE DALLA COMODE ILLUSIONI E ACCETTARE LA REALTA'

    
Yidn, nekome     
 
di Antimo Marandola
(direttore di "Ebraismo e dintorni")

    Abbiamo dovuto pure ingoiare lo spettacolo osceno della adunata palestinese a Roma che si differenziava da quelle di Gaza solo per la mancata esibizione delle armi, mentre il veleno e la violenza sono state profuse senza risparmio. Gli slogan richiamavano morte, assassinio e distruzione dello Stato di Israele proprio mentre in Israele l’attacco palestinese si fa ancora più duro.
    Tutto questo ci porta a fare una riflessione drammaticamente seria che vuole tenere conto delle diverse espressioni che è possibile registrare stando ad ascoltare nelle nostre piazze. Tutte le discussioni si incagliano su un interrogativo: ma davvero i palestinesi non vogliono la pace ma vogliono la nostra distruzione? E’ inutile nasconderci che su questo interrogativo le opinioni non sono concordi e probabilmente gli psicoanalisti potrebbero disegnare spaccati di vissuti individuali combacianti con le maggiori o minori paure che ognuno si porta dentro, volente o nolente. Non parlo certo di maggiore o minore attaccamento ad Erez Israel perché mi riferisco alle accese discussioni che comunque avvengono tra fratelli. Ma, stando tra la gente che presidiava il Ghetto di Roma durante la manifestazione palestinese, proprio tra quelle mura ho ripensato al 16 ottobre 1943. Mi sono tornati in mente i racconti dei sopravvissuti che alla domanda del perché erano rimasti lì senza scappare tutti rispondono che non avevano lontanamente immaginato quello che stava per accadere. C’erano stati tanti importanti e gravi segnali ma solo pochissimi avevano avuto quella sana dose di paura che li aveva portati a tirare giù la serranda del negozio e a cercare rifugio lontano.
    Oggi infuriano le polemiche sullo stesso comportamento dello Yishuv che non afferrò o non seppe valutare compiutamente quanto stava accadendo in Europa. Ritorno con la mente a quei giorni e ricordo un amico che mi ha detto della sua vecchia nonna che si era nascosta, ma che il giorno prima del rastrellamento del ghetto era tornata per una stupidaggine e restò a dormire a via della Reginella perché si era fatto tardi: morì ad Auschwitz! Quelle tragiche circostanze mi tornano in mente perché ritengo che la storia debba sempre esserci presente nei suoi insegnamenti alti ma ci debba anche suggerire accortezza e prudenza. Torniamo quindi alla situazione di oggi in Erez Israel.
    Il sindaco di Gerusalemme ha detto che non dobbiamo farci illusioni e dobbiamo rassegnarci all’idea di dover vivere l’esperienza della guerra casa per casa, e purtroppo non credo che sia una previsione catastrofica ma la visione severa di chi non scambia nulla della realtà con i magnifici desideri che ognuno di noi racchiude dentro il cuore. Tutti vorremmo poter vivere dove siamo senza il senso di colpa di lasciare i fratelli che sono in Israele con l’incubo di saltare in aria in ogni momento; vogliamo pensare alle serate a Gerusalemme con gli amici a prendere il gelato a Yeuda o a fare il bagno a Tel Aviv, tutti spensierati dopo essere stati a pregare in santa pace. Ma questi desideri sono destinati a rimanere tali per lungo tempo se saremo prudenti e determinati; sono destinati a non avverarsi mai più se staremo ad illuderci che con le rinunce più o meno dolorose soddisferemo la cultura di morte che ormai pervade ogni palestinese.
    Con estrema freddezza dobbiamo rassegnarci all’idea che non possiamo illuderci e accettare la realtà mettendo da parte i desideri. Non dobbiamo correre il rischio di farci trovare impreparati come è già accaduto e, fatte le dovute traslazioni, non deve più esserci un 16 ottobre 1943.
    Coscienza quindi del fatto che siamo in guerra e consapevolezza del fatto che dobbiamo fuggire non dalle nostre case, ma dalle comode convinzioni con le quali ci culliamo. I palestinesi hanno il solo scopo di distruggere Israele e non possiamo certo cambiare la vigliaccheria di coloro – Stati, Chiese, Organismi internazionali - che per preciso calcolo si schierano, come sempre si sono schierati, in silenziosa e volenterosa collaborazione dalla parte del più pericoloso: ieri con i nazisti, oggi con i palestinesi! Il mondo può decidere di giocare una partita di calcio lontano da dove esercitano la loro professione di morte i tanto coccolati palestinesi, Israele invece ha un solo posto dove esistere e siamo condannati a vincere come disse Golda Meir: “Lo spirito dei nostri uomini al fronte, della nostra gente in ogni casa, in ogni città o villaggio, è lo spirito di gente che odia la guerra ma che sa che per sopravvivere deve vincere la guerra a cui siamo stati costretti”.
    I nostri maestri ci insegnano che non dobbiamo perseguire la vendetta eppure ricordiamo “Yidn, nekome” (Ebrei, Vendetta), il doloroso lascito scritto con il sangue sui muri del ghetto di Varsavia, perché mai come in questo momento quel grido disperato va raccolto e deve imporci delle riflessioni; perché mai come ora, dalla fine della Shoà, il popolo ebraico ha avuto il coltello alla gola. Il pericolo è enorme non tanto dal punto di vista prettamente militare, perché il 1948 o il 1967 sono stati momenti sicuramente peggiori; ma allora c’era la consapevolezza assoluta di dovere imbracciare le armi e che non c’era altra soluzione. Oggi invece il desiderio di una vita diversa rischia di accecarci e instilla ipotesi fantasiose arrivando a far pensare ad alcuni che i cultori della morte possono trasformarsi in statisti.
    “Anì Yehudi”, è stato costretto a ripetere Daniel Pearl quando a migliaia di chilometri da Gerusalemme i suoi aguzzini hanno deciso di decapitarlo davanti ad una telecamera per dimostrare a tutto il mondo cosa bisogna fare agli ebrei. Hanno trucidato Daniel Pearl sapendo che tutti i seguaci del loro progetto demenziale avrebbero accolto con soddisfazione e con spirito di emulazione quell’atto che è in linea con la loro cultura della morte e che fa parte di un progetto planetario di assassinio degli ebrei.
    Continuano ad esultare i palestinesi alla notizia di ogni strage e continuano a rimanere silenziosi i media e le autorità morali che sprizzano vivacità solo quando c’è da attaccare Israele. E’ vergognoso il silenzio con cui è stata sottolineata l’indifferenza mondiale al problema degli ebrei, ed allora è il caso di incominciare a non curarsi di come i media trattano Israele - tanto non potrà

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essere mai peggio di così – e ad occuparci esclusivamente dell’interesse primario, che è la sopravvivenza ed il progresso di Israele.
    Ben vengano allora da subito le zone cuscinetto più ampie possibili, siano realizzate le vere chiusure ermetiche dei territori e date disposizioni all’esercito per salvaguardare vite ebraiche con la massima fermezza. Ma c’è da augurarsi che succeda qualche cosa anche all’interno del governo e i partiti più sensibili escano dalla compagine per poter arrivare a nuove elezioni ed avere una leadership che vada oltre la distruzione degli edifici.
    “Mai più” non deve rischiare di diventare una affermazione vuota di significato che gli ebrei cercano solamente di fare capire agli altri; ma sia soprattutto per gli ebrei stessi la consapevolezza che il “mai più” si costruisce giorno dopo giorno con tanto amore per la Legge e per Colui che ce l’ha donata, ma anche con tanta lucidità ed altrettanta determinazione.

(Ebraismo e dintorni, marzo 2002)     



DA UN SONDAGGIO FATTO IN PAESI A MAGGIORANZA ISLAMICA


Gli attentati di settembre a New York e Washington? Moralmente ingiustificabili, ma a compierli non sono stati aggressori arabi.


Il terrorismo? Un complotto Usa-Israele, parola di musulmano

di Casadei Rodolfo

    Gli attentati di settembre a New York e Washington? Moralmente ingiustificabili, ma a compierli non sono stati aggressori arabi. Chi, allora? Probabilmente gli americani stessi o gli israeliani. A pensarla a questa maniera è la maggioranza degli interpellati in un sensazionale sondaggio realizzato dalla Gallup in sette paesi a maggioranza islamica: Kuwait, Libano, Pakistan, Iran, Turchia, Marocco e Indonesia. In altri due paesi, Arabia Saudita e Giordania (e anche in Marocco per quanto riguarda la domanda circa le responsabilità degli arabi), la censura ha impedito alla Gallup, storico istituto di sondaggi americano, di affrontare i suddetti argomenti.
    Non sono dunque servite a nulla le indagini della Fbi, le videocassette rivelatrici, le spericolate dichiarazioni di Osama bin Laden: più della metà dei libanesi e degli iraniani, i tre quarti degli indonesiani e quasi nove pakistani e kuwaitiani su dieci considerano “non vere” le notizie secondo cui sarebbero stati “gruppi di arabi” a perpetrare gli attentati dell’11 settembre. Solo in Turchia, paese che fa parte della Nato, la percentuale di chi considera gli arabi responsabili supera di poco (46 contro 43 per cento) quella di chi invece pensa ad un complotto. Mentre in Libano la spaccatura fra i sì e i no (42 contro 58 per cento) sembra riflettere il clivage religioso del paese fra cristiani e musulmani. Quanto all’indicazione dei “veri” responsabili, la maggioranza degli iraniani indica gli americani stessi; libanesi del “no”, kuwaitiani e marocchini vedono soprattutto la mano di Israele; pakistani e indonesiani sono convinti che si tratti di “terroristi non musulmani”.
    Gli interpellati di tutti i paesi sono, come era prevedibile, largamente contrari all’intervento Usa in Afghanistan, con percentuali che vanno dal 59 per cento della Turchia all’89 per cento dell’Indonesia. Fa un po’ specie, alla luce della vicenda storica dell’occupazione irakena, che anche il 69 per cento dei kuwaitiani la pensi così. Il Kuwait è addirittura il paese con la più alta percentuale di rispondenti che approvano gli attacchi a Pentagono e World Trade Center: ben il 36 per cento. Più ingrati di così…

(Tempi, 7 marzo 2002)



LE SIMPATIE DELL'EUROPA PER I PALESTINESI


La simpatia dell'Europa alla causa palestinese non deve far dimenticare le incitazioni arabe all'odio e al disprezzo verso gli ebrei nel mondo


L'equidistanza, pericoloso inganno

di Fiamma Nirenstein

Nell'informazione dal Medio Oriente ci sono tante cose che non funzionano: la corrosione evidente dell'idea che il popolo ebraico abbia veramente diritto a una patria nella sua terra, quali che possano essere i diritti anche dei palestinesi; la obliterazione completa del risultato dell'incontro di Camp David, come se Arafat non avesse rifiutato un accordo che dava a lui e alla sua gente seri confini territoriali per il suo Stato. Eppure l'idea che la dimensione territoriale, l'occupazione (anche dopo la restituzione di tutte le città, da tempo sotto Arafat), siano la dimensione di gran lunga più importante del conflitto attuale, è intatta, è la Bibbia di ogni politico e in sostanza di qualsiasi ragionamento sul conflitto. Il fenomeno unico al mondo di un paese democratico che ha a che fare giorno dopo giorno con un numero impressionate di attacchi terroristici non è la storia che interessa, anche se potrebbe diventare la storia di tutti noi, in qualsiasi paese democratico. Ma il punto cruciale su cui vorrei soffermarmi, sul quale una persona che fa informazione non può cessare di disperarsi, è la formula del "ciclo della violenza". Capita ogni giorno: da una parte ci sono morti palestinesi, dall'altra israeliani. Da una parte una donna palestinese incinta dà alla luce a una bambina dopo che suo marito è stato disgraziatamente ucciso a un posto di blocco, dall'altra una donna israeliana partorisce la sua creatura dopo che suo padre, oltre a un altro uomo, è stato ucciso in un agguato mentre viaggiava con lei in macchina. Due fatti apparentemente del tutto simmetrici secondo i giornali e la televisione; nella mente collettiva europea anche il fatto che i soldati abbiano ucciso una terrorista che cercava di pugnalare un israeliano al posto di blocco e il fatto che tanti israeliani siano state feriti da un terrorista mentre aspettavano l'autobus può essere vista in forma di pendant. Ho sentito con le mie orecchie la giornalista della BBC chiedere a un rappresentante del governo israeliano come mai, visto che Israele pensava che gli assassini del ministro Rehavam Ze'evi dovessero essere estradati, lo Stato Ebraico non si poneva il problema di estradare i soldati che al posto di blocco avevano ucciso il marito della donna incinta. Una domanda che mette sullo stesso piano due cose che né nella giurisprudenza né nel comune buon senso sono mai equiparate: l'intenzionalità e la preterintenzionalità. C'è una bella differenza fra l'errore sia pure tragico, sia pure imperdonabile, sia pure che denuncia una tendenza al grilletto facile, c'è una bella differenza fra mirare a degli edifici vuoti fatti sgombrare apposta perché la gente (nemmeno in divisa) venga colpita il meno possibile, e l'appostamento dei tanzim per sparare a una macchina piena di civili (definiti quasi sempre "coloni" e non uomini o donne, come se questo togliesse loro il diritto all'esistenza), di donne, di bambini; o la trama di una banda Hamas (o chi per esso) per uccidere un personaggio specifico oppure per crescere, armare, filmare condurre a destinazione, dove ci siano quanti più ebrei possibili, il terrorista suicida designato. E' vero che esistono le rappresaglie e anche le eliminazioni mirate, ma per quanto le si possano riprovare, le loro motivazioni hanno sempre un'origine nel terrorismo onnipresente e ossessivamente persecutorio, nel tentativo spesso efficace di prevenire altri attacchi per strada, e bloccare gli uomini bomba.
    Penosa e tragica la sensazione che ogni vittima palestinese crea, condannabili gli errori, evidente la esasperazione e la paura che peraltro lo stesso pubblico israeliano denuncia e teme. Ma il generoso senso di equidistanza che il mondo mostra verso i morti e i feriti della due parti è sacrosanto quando si riferisce ad una condizione umana. Però compiamo un'autentica ingiustizia se consideriamo pari due ferite inflitte in circostanze completamente diverse. Non solo: da qualche parte, nel cuore dell'Italia, ma meglio sarebbe dire dell'Europa intera, esiste la subdola e maligna convinzione espressa dalla padrona di casa della cena in cui due mesi fa l'ambasciatore francese in Inghilterra chiamò Israele "quel piccolo paese di merda".
    "Suvvia", disse la signora dopo qualche minuto di imbarazzo degli astanti "tutti sappiamo che qualsiasi cosa gli ebrei soffrano, se la sono voluta". Nel nostro caso dunque, non solo sono egualmente responsabili quando colpiscono per errore quanto i palestinesi che pianificano attacchi indiscriminati a civili con scopi politici, ma portano in definitiva (e i "coloni" il doppio) la responsabilità della propria stessa morte. La matassa di reciproco odio viene presentata come fosse anch'essa pari, come se nelle scuole ebraiche si insegnasse ad adorare e a emulare gli shahid, i martiri, come si fa nelle scuole palestinesi, o durante la preghiera di Shabbat si dicesse che i nemici sono figli di maiali e scimmie, incitando a ucciderli ovunque si trovino, come si fa nelle moschee al venerdì parlando degli ebrei; oppure, come se nei negozi di Gerusalemme e Tel Aviv si vendesse un disco speculare a quello intitolato "Io odio Israele", così come si fa nelle strade di tutto il mondo arabo, incluso quello palestinese dove la canzone "Odio Israele" è diventata un grande "hit".
    Insomma, l'equidistanza che vediamo spesso anche nei nostri uomini politici del governo e dell'opposizione è un inganno logico, è un'illusione che ci allontana dalla realtà, che di nuovo indica semplicemente quanto poco interessi all'Europa la giustizia, e invece quanto le è importante dimostrare una sua vacua simpatia per una politica mediorientale umanitaria indistinta, che comunque appaia opposta a quella americana. Questo atteggiamento diventa sempre più pericoloso e irresponsabile: prima che l'estremismo islamico raggiungesse le vette di cui si cominciano a vedere i segni anche da noi, l'Europa e l'Italia si sono trastullate in politiche di compiacimento e di appeasement, sperando di addomesticare il terrorismo, di dichiararsi zona franca. Ma la zona franca non esiste, i suoi confini anche psicologici sono destinati a ridursi sempre di più, il compiacimento per la nostra anima bella non porta da nessuna parte, impedisce la vista dell'enorme incontenibile dimensione presa dal terrore in questa vicenda.
    Tutto questo, ferma restando la speranza che i palestinesi possano, in condizioni di sicurezza per Israele (ovvero dopo che il terrorismo venga sconfitto) fondare un loro pacifico Stato.

(Shalom, marzo 2002)



LIBRI


"Scrivo questo libro e raccolgo qui alcuni miei articoli di seguito, perché ho paura di un ritorno dell'antisemitismo. Ho la inedita sensazione che Arafat e il mondo arabo abbiano guadagnato, nel mondo contemporaneo, il potere di aprire e chiudere il rubinetto di questo malvagio torrente che di quando in quando inonda il mondo, che non si dissecca mai e che talvolta semplicemente si inabissa, in attesa di ricomparire."

Dall'Introduzione al libro:

FIAMMA NIRENSTEIN, "L'ABBANDONO - Come l'Occidente ha tradito gli ebrei", Rizzoli, marzo 2002, € 20,50.


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