Notizie su Israele 86 - 15 aprile 2002


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Il SIGNORE disse ancora a Mosè: «Dirai ai figli d'Israele: "Chiunque dei figli d'Israele o degli stranieri che abitano in Israele sacrificherà uno dei suoi figli a Moloc dovrà essere messo a morte; il popolo del paese lo lapiderà. Anche io volgerò la mia faccia contro quell'uomo, e lo toglierò via dal mezzo del suo popolo, perché avrà sacrificato dei figli a Moloc per contaminare il mio santuario e profanare il mio santo nome. Se il popolo del paese chiude gli occhi quando quell'uomo sacrifica i suoi figli a Moloc, e non lo mette a morte, io volgerò la mia faccia contro quell'uomo e contro la sua famiglia e li eliminerò dal mezzo del loro popolo, lui con tutti quelli che come lui si prostituiscono a Moloc.

(Levitico 20.1-5)



COME SPAURACCHI IN UN CAMPO DI COCOMERI



"Non c'è nulla di nuovo sotto il sole", dice la Bibbia (Ecclesiaste 1:9). Al tempo di Mosè nella terra di Canaan c'erano popolazioni pagane che facevano sacrifici umani immolando i loro figli a Moloc, "l'abominevole divinità dei figli di Ammon" (I Re 11:7), una popolazione residente nell'attuale Giordania. Questo tipo di culto oggi ha ripreso piede, in forma diversa, ma probabilmente ancora più crudele. Gli "illuminati" occidentali amano rassicurarsi con spiegazioni sociologiche, ma sembra che da qualche tempo siano un po' in difficoltà. Si parla di "fanatismo religioso", ma non si dice che cosa ad esso si dovrebbe opporre. Probabilmente si pensa ad una umana ragionevolezza che, se attuata, dovrebbe condurre ad una pacifica convivenza. Ma non è anche questa una delle tante religioni? E' molto migliore delle altre? Nella Scrittura non si parla di fanatismo religioso, ma di "idolatria". E gli idoli  sono molti, religiosi e laici, spirituali e materiali. Anche la tanto celebrata "pace", pazientemente ricercata attraverso la mitica potenza del "dialogo", non è che uno dei tanti idoli concettuali abilmente costruiti dalla fantasia dell'uomo: "una figura umana, una bella forma d'uomo" (Isaia 44:13). L'abile artigiano del pensiero raccoglie spezzoni di filosofie trovati qua e là, li seleziona, li rifinisce, li mette insieme, e di quello che vien fuori "si fa un dio, il suo idolo, gli si prostra davanti, lo adora, lo prega e gli dice:Salvami, perché tu sei il mio dio!" (Isaia 44:17). Il "dio pace", operante a pro degli uomini attraverso il mediatore "dio dialogo", non salverà il mondo. La Bibbia non si preoccupa di distinguere tra idolo e idolo, ma tra gli idoli e "il Dio vivente e vero" (1 Timoteo 1:9).

    "Ascoltate la parola che il SIGNORE vi rivolge, casa d'Israele! Così parla il SIGNORE: «Non imparate a camminare nella via delle nazioni, e non abbiate paura dei segni del cielo, perché sono le nazioni quelle che ne hanno paura. Infatti i costumi dei popoli sono vanità; poiché si taglia un albero nella foresta e le mani dell'operaio lo lavorano con l'ascia; lo si adorna d'argento e d'oro, lo si fissa con chiodi e con i martelli perché non si muova.
        Gli idoli sono come spauracchi in un campo di cocomeri, e non parlano; bisogna portarli, perché non possono camminare. Non li temete! perché non possono fare nessun male, e non è in loro potere di far del bene». Non c'è nessuno pari a te, SIGNORE; tu sei grande, e grande in potenza è il tuo nome.
        Chi non ti temerebbe, re delle nazioni? Poiché questo ti è dovuto; poiché fra tutti i saggi delle nazioni e in tutti i loro regni non c'è nessuno pari a te. Ma costoro tutti insieme sono stupidi e insensati; non è che una dottrina di vanità; non è altro che legno; argento battuto in lastre portato da Tarsis, oro venuto da Ufaz, opera di scultore e di mano d'orefice; sono vestiti di porpora e di scarlatto, sono tutti lavoro d'abili artefici.
        Ma il SIGNORE è il vero Dio, egli è il Dio vivente e il re eterno; per la sua ira trema la terra, e le nazioni non possono resistere davanti al suo sdegno. «Così direte loro: "Gli dèi che non hanno fatto i cieli e la terra scompariranno dalla terra e da sotto il cielo"»" (Geremia 10:1-11).

Marcello Cicchese



SACRIFICI UMANI PER CULTI IDOLATRICI


CAIRO - In poche ore 500 persone hanno firmato
l'"arruolamento" tra i kamikaze. E aumentano le donne

Il nuovo volto degli aspiranti suicidi

di  Magdi Allam
    
IL CAIRO - All'Università islamica di Al Azhar gli studenti fanno la fila per iscriversi all'elenco dei "Martiri fino alla vittoria". Pongono la propria firma sotto un giuramento di poche righe che recita:

"Nel nome di Dio clemente e misericordioso, a tutti coloro che aspirano a diventare martiri sulla via di Dio, a tutti coloro che ambiscono a incontrare il Profeta di Allah in Paradiso, a coloro che vogliono riscattare la gloria della Nazione islamica, a coloro che vogliono far trionfare la parola di Allah, offriamo l'elenco dei martiri".

    In poche ore sono state raccolte 500 firme. Nell'altra Università del Cairo migliaia di studenti hanno chiesto alle autorità di promuovere l'arruolamento e l'addestramento alle armi di volontari per la Jihad, la guerra santa, in Palestina. Ma il presidente Mubarak non ci pensa neppure. Quando il suo predecessore Sadat prese negli anni Ottanta l'iniziativa di aderire alla Jihad in Afghanistan, il risultato fu che i mujahiddin, i combattenti islamici, una volta sconfitti i sovietici, si accanirono contro il regime egiziano. Contemporaneamente le ambasciate palestinesi in Arabia Saudita, Yemen e Marocco sono inondate di richieste di giovani, uomini e donne, che chiedono sia loro offerta l'opportunità di adempiere al "sacro" precetto della Jihad andando a combattere in Palestina e di aspirare al martirio nel nome di Allah.
    Si consolida la percezione della Palestina come "Terra di Jihad e di Shahada", il martirio, così come lo è stato l'Afghanistan durante l'occupazione sovietica. L'hanno sostenuto apertamente 60 ulema, giureconsulti islamici, di diversi paesi arabi in una fatwa, una sentenza religiosa in cui si proclama che "la Jihad contro Israele è un dovere islamico". Probabilmente si tratta di uno sviluppo non meno preoccupante, sul piano delle conseguenze per la sicurezza di Israele e per la stabilità del Medio Oriente, dell'esplosione di una sorta di "martiriomania" tra i palestinesi.
    Quando, all'indomani dello storico accordo-quadro di pace tra Arafat e Rabin nel 1993, Israele cominciò ad essere insanguinata dagli attentati suicidi compiuti dai terroristi islamici di Hamas e della Jihad islamica, la "disponibilità al martirio era rara e preziosa", ha ammesso Abdallah al Shami, leader politico della Jihad islamica a Gaza. I futuri kamikaze venivano selezionati accuratamente e nella massima segretezza, scelti in un ambiente sociale misero e privilegiando soggetti psicologicamente fragili e manipolabili. Oggi invece c'è la fila di volontari che rivendicano pubblicamente l'aspirazione al martirio. Il loro numero è talmente ingente da far sostenere a Khaled Mashaal, dirigente politico di Hamas: "Abbiamo i mezzi per resistere e offrire martiri per altri 20 anni".
    L'identikit dei nuovi aspiranti martiri è radicalmente cambiato. L'età si è estesa dalla fascia tra i 17 e i 22 anni ai trentenni e a qualche quarantenne. Il livello di istruzione è schizzato da quello elementare e medio a una maggioranza di laureati (il 48%) e di diplomati (il 29%). Lo status civile non registra più solo i single ma anche diversi coniugati tra cui qualcuno con prole. Il tenore economico non è più limitato ai nullatenenti ma abbraccia i benestanti. Tuttavia due sono le maggiori novità che hanno trasformato radicalmente il fenomeno del terrorismo suicida: il coinvolgimento dei palestinesi laici e soprattutto la partecipazione delle donne.
    Il battesimo di sangue del terrorismo suicida laico è avvenuto lo scorso primo dicembre quando nel cuore di Gerusalemme due kamikaze si sono fatti esplodere uccidendo 11 israeliani. Uno dei due, il venticinquenne Osama Baher, agente della polizia dell'Autorità nazionale palestinese, è stato il primo "martire laico" affiliato alle Brigate dei martiri di Al Aqsa, il braccio terroristico di Al Fatah, la maggiore organizzazione palestinese presieduta dallo stesso Arafat. Il segnale era chiaro. In un contesto in cui oltre i due terzi dei morti israeliani sono vittime degli attentati suicidi, lasciare il campo libero alle organizzazioni islamiche avrebbe significato perdere la guida della nuova Intifada. Arafat ha così fatto propria la stessa arma impiegata dagli islamici per sabotare la pace con Israele che lui sostiene di volere ancora, al fine di assicurare la continuità del suo potere sempre più scalfito dalle dissidenze interne e dal logoramento delle forze palestinesi operato dall'esercito israeliano.
    Il battesimo di sangue della prima donna-kamikaze palestinese in Israele si è avuto lo scorso 27 gennaio con l'estremo sacrificio di Wafa Idriss, 28 anni, laureata, che ha ucciso un anziano israeliano a Gerusalemme. È probabilmente questa la svolta più significativa nel conseguimento di quello che viene definito un "equilibrio del terrore" tra i kamikaze palestinesi e la potenza militare di Israele. Il fatto che in ogni palestinese, uomo o donna, ragazzo o adulto, single o sposato, ignorante o laureato, possa nascondersi una "bomba umana" ha letteralmente gettato nel panico la società israeliana al punto da percepire come minacciata la propria esistenza.
    La consapevolezza del ruolo determinante degli attentati suicidi è tale che oggi nessun leader arabo si azzarda a condannarli pubblicamente. All'opposto sta uscendo allo scoperto un sorprendente esercito di apologeti dei kamikaze islamici che invocano ogni sorta di giustificazione religiosa, etica e politica. Fahmi Howeidi, il più prestigioso islamologo egiziano, spiega: "Certamente l'Islam vieta il suicidio perché è un atto di sfiducia nei confronti della misericordia di Dio e perché è motivato da un fatto privato, come la malattia, una delusione amorosa, la disoccupazione. Ma il martirio è un'altra cosa. Innanzitutto non è un fatto privato ma pubblico, si difende un sogno collettivo, la speranza di un popolo, si vuole vendicare i martiri della nazione".
    In questi giorni ovunque nei paesi di Allah la parola shahid, martire, riecheggia con insolita frequenza e con una connotazione unanimemente positiva. Arafat, recluso, umiliato e sofferente a Ramallah, è stato ribattezzato il "martire vivente". E' stato lui stesso a ispirare quest'immagine mitizzante declamando con la sua consueta retorica, tra la generale approvazione e ammirazione delle masse islamiche, una sorta di testamento spirituale: "Mi vogliono prigioniero, mi vogliono fuggiasco, mi vogliono morto, ma io dico loro che sarò martire, martire, martire".

(La Repubblica, 12 aprile 2002)



LETTERA AL VESCOVO DI PRATO


Prato, mercoledì 10 aprile 2002 

Caro Vescovo, 

    abbiamo letto ieri su "Il Tirreno" le parole da lei pronunciate in occasione della messa celebrata in Duomo domenica scorsa
     Sentiamo il bisogno di esprimerle sconcerto e preoccupazione dovuti alla sua azzardata "spiegazione" del terrorismo quando parla di ''violenza dei disperati'' e ''dell'ingiustizia patita dal popolo palestinese''
     Se vogliamo che la pace si affermi in medio oriente dobbiamo fermamente condannare la cieca violenza dei kamikaze arabi e difendere il diritto all'esistenza dello stato israeliano
     Non possiamo minimamente concepire questi atti terroristici come risposta, seppur condannabile, ad ''un'ingiustizia patita''
     Non e' la disperazione che spinge questi criminali a seminare quotidianamente terrore in Israele, l'odio alimentato dal fanatismo religioso e dall'estremismo nazionalista, l'odio coltivato nell'ignoranza dalla propaganda antisemita e antisionista a cui sono sottoposti i palestinesi fin dai primi anni di età
     I bambini palestinesi, ancora innocenti, sono usati come scudi umani negli scontri armati, dai loro indottrinati genitori, e poi macabramente esibiti alla stampa internazionale come argomento propagandistico contro gli Israeliani
     Dei giovanissimi uomini e delle giovanissime donne, eccitati dall'odio, incitati al male, scelgono di arruolarsi per il suicidio, si vestono di chiodi e vetri, si imbottiscono di esplosivo, si lasciano morire per uccidere il maggior numero possibile di innocenti
     Gli ultimi eventuali scrupoli che possono impedire all'odio di dare i suoi frutti vengono annegati in un fiume di denaro. Le famiglie e i superstiti di questi assurdi terroristi-suicidi vengono coperte di denaro, proveniente in gran parte da quei domini del terrore e dell'orrore che sono l'Arabia Saudita e la Siria, forse ancora oggi l'Iran e l'Iraq
     Golda Meier un giorno disse: ''Avremo la pace con gli arabi quando ameranno i loro figli più di quanto odiano noi "  Nessuna giustificazione quindi è possibile per chi con lucida follia poco prima di farsi saltare in aria su un bus, in un caffe', in un ristorante, registra video nei quali indica gli ebrei come ''figli di maiali e scimmie''
     La disperazione del popolo palestinese e' causata principalmente dall'incapacità, dalla corruzione, dal disprezzo per la vita, dall'estremismo della propria classe dirigente, Yasser Arafat per primo, e dai paesi arabi che hanno sempre usato cinicamente i palestinesi contro Israele
     Paesi arabi che hanno preferito mantenere i propri 'fratelli' nei campi profughi, invece di accoglierli li hanno barbaramente uccisi, basti ricordare settembre nero
     Infine non si tratta di esprimere al popolo ebraico affetto, si tratta di difendere il diritto agli Israeliani a vivere sicuri e in pace nella loro terra, diritto che gli viene negato dal mondo arabo fin dalla nascita di Israele e che anche qui da noi viene più volte messo in discussione
     Sia fatta pace per gli uomini di buona volontà,

    Davide Bacarella
    Fioravante Scognamiglio
    Mauro Vaiani

(Federazione Associazioni Italia-Israele)



LETTERA DI UN'ISRAELIANA AL DOTT. VESPA


Egregio dott. Vespa,

    Mi chiamo Sarah Fuks in Lauriola e sono israeliana.
    Mi rivolgo a Lei in relazione al programma Porta a Porta, nel quale era presente l'Ambasciatore Israeliano Ehud Gol.


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Nel suo programma Lei ha fatto parlare i pacifisti e il responsabile palestinese, chiudendo la bocca all'Ambasciatore Israeliano, come fa anche il suo collega Santoro.
    Inoltre Lei ha accusato lo Stato d'Israele e l'Ambasciatore, sostenendo che i carri armati piazzati davanti alla chiesa della Nativita', sono un atto di profanazione contro la religione Cristiana.
    Inoltre ha domandato, in modo cinico, se questo e' il ringraziamento al Vaticano e al Papa per essere andato alla sinagoga a chiedere scusa agli ebrei; non vedo come gli ebrei/uominiliberi vivi possano ricevere le scuse della Chiesa a nome degli ebrei/uominiliberi morti, dopo gli orrori che essa ha compiuto in 2000 anni (Crociate, Inquisizioni, Giordano Bruno, Galileo etc).
    I cattolici hanno sempre accusato, tacitamente o meno, gli ebrei della uccisione di Gesu'; senza dimenticare che in questo secolo Papa Pio XII non li ha certo aiutati nella seconda guerra mondiale, ma se n'e' lavato le mani. E quando e' finita la guerra, gli ufficiali delle SS ricevevano il passaporto dal Vaticano per andare a vivere in Sud America.
    Le faccio una domanda; se nella chiesa della Nativita', anziche' dei musulmani, fossero entrati di forza degli israeliani armati, che cosa avrebbe detto Lei e la stampa italiana e mondiale?
Sarebbero insorti tutti, perche' come al solito ci sono due pesi e due misure.
    Voi giornalisti in generale e il suo collega Santoro in particolare, avete sempre attacato Israele anche quando i suoi cittadini morivano per le bombe dei kamikaze.
    Dove' il vostro sdegno quando siamo noi a morire?
    Giovani, donne, bambini e civili?
    Israele non ha cominciato l'intifada, ma ha il diritto di difendersi da questi attentati terroristici.
    L'antisemitismo e' molto presente in Italia e la responsabilita' e' di voi giornalisti e della campagna di Bertinotti; la sinistra italiana e i "pacifisti", sono andati in Israele ufficialmente per parlare di pace, concretamente a manifestare contro Israele stesso.
    Le saro' grata di un Suo cortese riscontro.

Sarah Fuks in Lauriola

(Gruppo Rimon, 13.04.02)



"I PALESTINESI DOVREBBERO ESSERE GRATI PER SHARON"



In un raro commentario favorevole a Israele di uno scrittore arabo, un editorialista del Kuwait ha detto che i Palestinesi dovrebbero ringraziare Allah per dover combattere Ariel Sharon e non Saddam Hussein.
    In un articolo dal titolo "Sharon ha più compassione di Saddam", pubblicato lunedì nel giornale ufficiale del Kuwait, Fuad al-Hashem scrive:

"Penso che il popolo palestiese dovrebbe ringraziare Allah due volte al giorno per avere come nemico l'esercito israeliano, e per essere in condizioni molto migliori di noi che dobbiamo combattere l'esercito iracheno e la brutalità dei suoi soldati, che supera quella dei soldati ebrei. Al confronto, i soldati dell'IDF e il loro modo di agire sono un 'gioco da ragazzi'".

    Hashem sostiene che i 1.700 Palestinesi "caduti come martiri" dal settembre 2000 devono essere paragonati con quello che ha fatto Hussein la mattina del 2 agosto 1990, quando "mandò al Creatore come martiri le anime di 1.000 abitanti del Kuwait!"
 "Ariel Sharon ha più compassione di Hussein", scrive Hashem.
    La stampa araba presenta sempre il Primo Ministro Ariel Sharon come "il macellaio" e i militari dell'IDF come "nazisti".

(ICEJ NEWS SERVICE, 12.04.02)



E SE LO STATO D'ISRAELE SPARISSE?


Chi proteggono i soldati israeliani?

di César G. Seidler

    Come dice il detto popolare: "Bisogna considerare la metà piena del bicchiere". Oggi, quando l'autodifesa israeliana contro il terrorismo diretto da Arafat, occupa uno spazio esclusivo nei media di comunicazione, spazio sufficiente per offuscare tutto il resto della violenza militare ed economica che c'è nel mondo, si alzano voci e striscioni per gridare al mondo assurde equazioni:

"Israele uguale Germania nazista.
Hitler (sia spazzato via dalla faccia della terra il suo nome) uguale Sharon.
Sionismo uguale nazismo.
Esercito israeliano uguale SS.
Territori occupati uguale campi di sterminio.
Kamikaze palestinesi uguale partigiani ebrei.
Maghén David uguale svastica."

    Malgrado tutto, in tutto questo uno potrebbe scorgere una luce:
    Finalmente il mondo comincia ad accettare che la Germania nazista esistette, che Hitler era stato il suo Führer, che aveva sviluppato il nazismo, che aveva creato i campi di sterminio per realizzare la sua "soluzione finale", che aveva assassinato sei milioni di ebrei con la complicità attiva o silenziosa del resto del mondo e che, malgrado tutto, il Maghén David fiammeggia oggi gagliardo nella bandiera dello Stato d'Israele, paese membro delle nazioni democratiche del pianeta. Da questo momento non è più possibile che la sho'à sia una menzogna degli ebrei, già non si può fare a meno di identificare l'autentico nazismo con la più denigrante barbarie dell'umanità.
    Le equazioni citate qua sopra sono un'offesa alla memoria delle vittime e un'offesa ancor più grave verso i sopravvissuti.
    Viviamo in un mondo di valori oscillanti che assegna il Premio Nobel per la Pace ad un leader terrorista assassino, quello per la letteratura ad uno scrittore che ignora persino la storia della sua propria generazione o quello per l'economia agli architetti della miseria dei deboli.
    Per la verità, i valori oscillano in modo continuo, ma ci sono poche storie come quella degli ebrei che si concretizza in maniera testimoniale dal momento del patto di Abramo sino ai nostri giorni, una linea di valori permanenti diventata verbo nel Libro della Legge.
    La frase del Talmud (Sanhedrin 3:7) resa popolare in Schindler's List "Chi salva una vita, salva il mondo intero" si materializza ancora una volta quando analizziamo le azioni dei soldati israeliani, cittadini che sono parte dell'esercito stesso o di altri corpi per la sicurezza dello Stato:

I soldati che muoiono in un'imboscata per una decina di chili di esplosivi.
I poliziotti che muoiono ostacolando il transito ad un'autobomba.
La guardia giurata che muore evitando un massacro suicida alla porta di un supermercato.
Il vigile che sacrifica la propria vita mettendosi davanti al kamikaze che voleva far saltare in aria uno scuolabus pieno di scolari.

    Questa gente ha salvato in quest'ultimo tempo centinaia di migliaia di vite e, in maniera paradossale, direttamente le vite di chi vive in Israele ed indirettamente le vite di chi vive nella Galut (Diaspora), in altre parole hanno salvato la continuità del popolo ebraico intero.
    E non finisce qui. Quando il Primo Tempio di Gerusalemme è stato distrutto e gli ebrei erano nell'esilio di Babilonia, piansero per poter tornare a Sion.
Quando fu eretto il Secondo Tempio, alcuni continuarono a piangere perché il suo splendore non era come quello del Primo.
La distruzione del Secondo Tempio provocò il pianto di un nuovo esilio, un esilio tanto esteso e crudele nel quale nonostante la perdita della speranza del ritorno, una decina di generazioni morirono per l'amaro sapore di vedere le loro speranze sfumate.
    La terra promessa è un concetto ebraico. Quando tutto ormai sembrava perso e il dolore per l'olocausto più intenso, si è creato lo Stato d'Israele, anche se molti continuarono a piangere perchè questo stato non era lo Stato Messianico che si apettavano, altri ancora hanno visto in esso l'inizio della redenzione finale.
    Oggi giorno, alla vigilia del cinquantaquattreesimo anniversario del nuovo Stato, si continua a lottare per la sopravvivenza, oggi, come ieri, i soldati prestano i loro corpi per salvare la vita degli altri.
    Può immaginarsi un ebreo della diaspora come sarebbe la sua vita se oggi (che D-o non lo permetta!) sparisse lo Stato d'Israele?
Può immaginarsi come sarebbe la sua situazione di fronte al fondamentalismo islamico dopo cinque anni dall'ipotetica sparizione d'Israele?
    Possono immaginarsi gli spagnoli e i francesi in quale direzione andranno i fondamentalisti per "recuperare" la Spagna - dalla quale sono stati espulsi nel 1492 - e conquistare l'Europa?
    Se lo immaginano i sudamericani come il fondamentalismo islamico seguirà la rotta dei Libertadores San Martín e Bolívar, visto che già hanno cominciato a fissare i suoi baluardi in Argentina e Paraguay?
     Per caso pensano i nordamericani che il massacro dell'11 settembre 2001 fosse l'impulso di un cane sciolto pazzo o, per caso, pensano che il Corano che si legge nelle moschee d'America sia diverso da quello che si legge in Iran?
    Come possiamo leggere in Ecclesiaste (3:7): "C'è un tempo per parlare e un tempo per tacere."
    Durante l'olocausto nazista il mondo intero taceva quando doveva parlare, addirittura durante il massacro di Monaco di Baviera, anche di fronte all'assassinio nella scuola secondaria di Ma'alot, anche di fronte ai kamikaze dei pulman, dei centri commerciali, dei supermercati!
    E' giunta l'ora di ergersi in piedi e scegliere la strada, altrimenti presto il mondo starà in ginocchio con la fronte attaccata alla terra.
    Cosa, dunque, stanno proteggendo i soldati israeliani?
    Dal crepuscolo di lunedì 15 aprile fino al tramonto di martedì 16 aprile, in tutte le comunità del mondo e con indescrivibile dolore in Israele, vengono commemorati tutti i soldati israeliani che diedero la propria vita per salvarne altre, per salvare "molte umanità". Penso che sia opportuno che tutti i popoli civilizzati trovino anch'essi in questo giorno un momento per riflettere su chi li sta minacciando, e accendano un cero per ricordare e ricordare.

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César G. Seidler è professore in Israele. Il numero della sua carta d'identità è 7083873 (informazione voluta dall'autore)
Traduzione dallo spagnolo: Motty Levi
L'autore autorizza la riproduzione del suo articolo SOLO IN FORMA INTEGRALE.

(Gruppo Rimon, 14.04.02)



"NON ABBIAMO NESSUNA INTENZIONE DI ARRENDERCI"


Europa, ci abbandoni ancora?

di Tibi Schlosser

    Lo Stato di Israele è sottoposto a una micidiale aggressione terroristica dentro il suo stesso territorio e lungo la frontiera internazionalmente riconosciuta con il Libano. Milioni di cittadini nei paesi arabi gridano "morte agli ebrei" e numerosi palestinesi santificano la loro stessa morte pur di massacrare israeliani innocenti.
    E tutto questo avviene solo 20 mesi dopo che un governo israeliano ha offerto quasi il 100% dei territori per uno Stato palestinese, con capitale su una parte di Gerusalemme.
    Ma quando la tensione sale e il rubinetto del petrolio inizia a chiudersi, guarda caso, in Europa, l'istinto è quello di adottare sanzioni. Contro chi? contro Israele, l'unico paese democratico in medioriente.
    Ci ricorda forse qualcosa?
    Sì, ci ricorda il pacifismo a senso unico, che fa sentire tutti con la coscienza pulita condannando nello stesso tempo qualunque concreta azione di legittima difesa da parte di Israele.
    Ci ricorda la Dichiarazione di Venezia del 1980, subito dopo una crisi petrolifera, nella quale i paesi europei non si degnavano neppure di menzionare la pace che l'Egitto aveva appena fatto con Israele, abbandonandolo all'isolamento e alla condanna del mondo arabo.
    Ci ricorda gli anni subito dopo la crisi petrolifera del 1973, i tappeti rossi e gli abbracci ad Arafat che intanto mandava a massacrare i bambini a Ma'alot e gli atleti israeliani a Monaco, le scritte "morte a Israele" e le bandiere d'Israele bruciate nelle strade d'Europa.
    Ci ricorda la guerra di Yom Kippur del 1973, quando agli aerei americani che portavano soccorso a Israele venne negato il diritto di scalo in alcuni paesi europei.
    Ci ricorda quel paese europeo che nel 1967, alla vigilia della guerra dei sei giorni, bloccò le forniture di armi e munizioni a Israele proprio nel momento in cui dovevamo combattere per la nostra stessa sopravvivenza.
    Ci ricorda la guerra d'indipendenza del 1948, quando abbiamo resistito quasi completamente da soli contro 5 eserciti arabi (forse perché nessuno credeva davvero che ce l'avremmo fatta).
    Ci ricorda i sei milioni di ebrei braccati e uccisi in quasi tutta l'Europa in nome di un odio insensato, vecchio di duemila anni.
    Ci ricorda duemila anni di disprezzo, umiliazioni, discriminazioni, persecuzioni a causa di un falso peccato che è stato molto comodo gettare sulle nostre spalle.
    E' forse il caso di ricordare che esiste un solo Stato di Israele con 6 milioni di abitanti, grande quanto la Puglia (6 regioni in Italia sono più grandi) e non 22 come gli stati arabi, o 63 come gli stati islamici. E che in tutto il mondo ci sono forse 12 milioni di ebrei, non 250 milioni come gli arabi o un miliardo come i musulmani.
    E' forse il caso di ricordare che in duemila anni tante volte siamo stati abbandonati in nome della religione, dell'ipocrisia, dell'interesse. 
    Oggi non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci.
    Se sarà possibile faremo la pace, perché è questo il nostro più grande desiderio.
    Ma se sarà necessario, resisteremo battendoci per la sopravvivenza di Israele. Altro non abbiamo.

(L'Unita', 12 aprile 2002)


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