Notizie su Israele 89 - 20 aprile 2002
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Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai. Non te l'ho io comandato? Sii forte e coraggioso; non ti spaventare e non ti sgomentare, perché il SIGNORE, il tuo Dio, sarà con te dovunque andrai». (Giosuè 1:8-9) STRAORDINARIO VINCITORE AL CONCORSO DI QUIZ BIBLICI GERUSALEMME - Avihai Sheli, il vincitore del "Bibbia-quiz internazionale" di quest'anno, non possiede nemmeno una Bibbia, perché il diciottenne giovane israeliano è cieco e un'edizione della Bibbia per ciechi costa più di mille shekel. Un'edizione speciale di quel tipo è troppo cara per il giovane e per la sua famiglia. E tuttavia ce l'ha fatta: ha ottenuto il primo posto nell'annuale concorso per giovani con la migliore conoscenza biblica. Il fatto che il diciottenne sia riuscito ad arrivare primo nel concorso per quiz biblici è quasi un prodigio. All'età di due anni Avihai ha perso la vista, e i medici ritenevano che fosse muto. Ma sua madre non si è arresa: ogni giorno raccontava a suo figlio delle storie tratte dalla Tora, fino a che improvvisamente il giovane riuscì a ripetere alcune parole, e in seguito intere frasi. "Da allora ama la Bibbia e tutti i commentari ebraici", ha detto la madre di Avihai. Insieme ad Avihai è salito sul podio del primo posto anche Ben Admon (17 anni). Nel lungo percorso che li ha portati alla vittoria, il concorrente di Avihai ha avuto un decisivo vantaggio, ha detto il diciottenne dopo la premiazione: "La differenza tra lui e me sta nel fatto che Meir ha potuto portare sempre con sé la Bibbia in tasca. L'edizione per ciechi che io ho preso in prestito comprende 25 grossi volumi." (Israelnetz Nachrichten, 19.04.02) MENZOGNE DI "BUGIARDI ATTIVI" AD USO DI "BUGIARDI PASSIVI" Primo: diffidare di chi mente sistematicamente da un editoriale del Jerusalem Post Sin da quando e' iniziata l'operazione Scudo Difensivo, molti giornalisti, autoproclamatisi custodi della verita', si sono affrettati a riportare diligentemente come notizia attendibile qualunque voce o fantasia provenisse da parte palestinese, senza prendersi quasi mai la briga di correggere altrettanto rapidamente gli errori e le falsita' che avevano contribuito a diffondere. Un esempio significativo e' quello della dura battaglia che si e' combattuta fra Forze di Difesa israeliane e miliziani palestinesi per il controllo del campo di Jenin. Sconfitti sul campo di battaglia, i palestinesi si sono lanciati nella guerra della propaganda, facendo circolare per tutto il mondo la notizia di un "massacro deliberato e indiscriminato " perpetrato dagli israeliani. Numerosi giornalisti stranieri, quando ancora non potevano entrare a Jenin, si sono prodigati a rilanciare come assolutamente attendibile la versione palestinese del "massacro", citando solo di tanto in tanto - e con evidente scetticismo - le dichiarazioni israeliane che parlavano piuttosto di furiosi combattimenti. Per giorni e giorni la notizia di un "massacro" e' stata fatta propria dai mass-media, gettando una macchia forse indelebile sulla reputazione di Israele. Adesso, pero', tutte le prove che vanno via via emergendo sembrano smentire l'accusa palestinese e avvalorare piuttosto la versione israeliana. Secondo quanto riferiscono non solo le Forze di Difesa israeliane ma anche gruppi indipendenti, il numero totale di morti palestinesi rinvenuti nel campo di Jenin si aggira sui 40, una cifra molto lontana dai 500 o 1.000 morti che i portavoce palestinesi avevano denunciato per diversi giorni. E si tratta quasi esclusivamente di uomini adulti in armi, con ancora addosso i cinturoni di munizioni e altri segni che indicano che sono caduti mentre combattevano contro i soldati israeliani. Come ha scritto l'altro giorno il Washington Post, "non e' emersa alcuna prova a sostegno dell'accusa mossa da gruppi palestinesi e alcune organizzazioni umanitarie secondo cui vi sarebbero stati massacri su vasta scala o esecuzioni sommarie ad opera delle truppe israeliane". Certo, quelle che giungono da Jenin non sono belle immagini. Ogni intenso combattimento in zone urbane lascia dietro di se' gravi devastazioni. Purtroppo questa e' la natura stessa della guerra urbana, specie quando una parte decide di asserragliarsi nel cuore di zone densamente abitate. Come ha detto il ministro degli esteri israeliano Shimon Peres, "non c'era praticamente un edificio a Jenin che non fosse stato trasformato in una trappola esplosiva". La verita' che ora emerge e' che gli israeliani hanno fatto tutto il possibile per ridurre al minimo possibile i danni alla popolazione civile di Jenin. I soldati, esponendosi a gravi rischi, sono andati a cercare armi e terroristi casa per casa, un metodo che certamente ha contribuito all'alto numero di perdite israeliane. Israele avrebbe potuto facilmente scatenare le sue forze aeree sui miliziani palestinesi, semplicemente spianando Jenin, come pare abbiano fatto gli Stati Uniti con alcuni villaggi in Afghanistan, e risparmiando la vita dei propri soldati. Ma una tattica di questo tipo, come ha sottolineato il capo di stato maggiore Shaul Mofaz in un'intervista rilasciata il giorno dell'indipendenza, avrebbe provocato un grande numero di vittime fra la popolazione civile palestinese, cosa che le Forze di Difesa israeliane hanno cercato di evitare a ogni costo. La descrizione israeliana degli eventi era dunque assai piu' vicina alla realta' di quella palestinese. Ma questo non sorprende. E' fin dall'inizio della cosiddetta seconda intifada che i portavoce dell'Autorita' Palestinese trattano la verita' dei fatti con una disinvoltura tanto sfacciata quanto costante. Quando gli israeliani sequestrarono una nave carica di armi, la Karine-A, acquistate in Iran e dirette a Gaza, Arafat ha spudoratamente negato ogni collegamento con la vicenda e ha tentato persino di sostenere che si trattava di un complotto israeliano volto a screditarlo agli occhi dell'occidente, mentre gia' esistevano prove incontrovertibili del suo coinvolgimento. Piu' di recente, anche gli innumerevoli tentativi fatti da Arafat per negare ogni legame fra se' e il terrorismo si sono rivelati pure menzogne: Israele ha trovato e reso pubblici vari documenti, con tanto di firma autografa del presidente palestinese, che dimostrano come egli abbia piu' volte personalmente approvato lo stanziamento di fondi a favore di attivita' chiaramente terroristiche. Cio' che sorprende in realta' e' che, nonostante le continue smentite in cui incappano le fonti palestinesi, esse continuano ad essere ciecamente credute e a godere della massima fiducia del grosso della stampa straniera. Un fatto, questo, che non ispira molta fiducia nella qualita' del giornalismo e dei giornalisti in generale. Obiettivita' e imparzialita' non significa dare credito sempre e comunque a tutte le fonti senza badare alla loro credibilita' e attendibilita'. Quando una parte viene colta sistematicamente in flagrante menzogna e' dovere dei mass-media responsabili dirlo apertamente ed esercitare un minimo di prudenza. Finora troppi mass-media occidentali si sono sottratti a questo dovere fondamentale, minando la propria stessa credibilita'. (Jerusalem Post, 18.04.02) LA LISTA DELLA SPESA DI ARAFAT Il documento che pubblichiamo di seguito è un rendiconto finanziario trasmesso il 16 settembre 2001 a Fouad Shoubaki, il capo dell'Amministrazione delle Finanze di Arafat, così come è stato trovato nell'edificio Moukata di Ramallah. RENDICONTO FINANZIARIO I debiti accumulati fino ad oggi ammontano a 38.000 NIS (New Israeli Shekel, circa 0.25 EUR n.d.t.) così ripartiti: 1. costi per il pagamento di poster dei martiri delle brigate di Al Aqsa Izzam Mazhar, Osama Joubara, Shaadi Afouri, Yasser Badawi, Ihad Fares 2000 NIS 2. Costi di tipografia: annunci, inviti e tende per i partecipanti ai funerali 1250 NIS 3. Costi per montare i ritratti dei martiri su cornici in legno, e dei ritratti dei martiri Thabet Thabet e Mahmoud el-Jamil 1000 NIS 4. Costi per le cerimonie dei martiri. Le cerimonie sono state tenute per il martire Izzam e il martire Osama 6000 NIS 5. Costi di varie apparecchiature elettriche e forniture chimiche (per la produzione o il caricamento delle bombe). Questa è stata la nostra spesa maggiore (essendo il costo di una bomba confezionata di almeno 700 NIS) abbiamo bisogno di circa 5-9 bombe a settimana per le nostre cellule sparse per il paese 5000 NIS x 4 settimane = 20.000 NIS 6. Costi per le munizioni (il costo di un singolo caricatore per Kalashnikov si aggira sui 7-8 NIS e il costo di un caricatore di M 16 è di circa 2-2.5 NIS). Noi richiediamo queste munizione quotidianamente. 7. Prego notare: 3000 caricatori kalashnikov sono stati resi disponibili per 7,5 NIS a caricatore e 30.000 caricatori per M-16 a 2 NIS per caricatore. Abbiamo bisogno di fondi per l'immediato trasferimento al fine di concludere l'acquisto 22.500 NIS per i caricatori di kalashnikov e 60.000 NIS per i caricatori da M-16 Tutto l'apprezzamento e la gloria per i sostenitori dell'eroica resistenza contro l'occupazione tirannica. Rivoluzione fino alla vittoria. Brigate dei Martiri di Al Aqsa Palestina, 16.9.2001 (Ambasciata d'Israele a Roma, 19.04.02) LA "PACE DEI FORTI" DI ARAFAT = "PACE DEI MORTI" PER ISRAELE Le prove del coinvolgimento nel terrorismo e le bugie di Arafat di Dimitri Buffa Un unica strategia di terrorismo suicida e di bugie propagandistiche cui parecchi media europei ed arabi credono molto volentieri. Obiettivo: la cancellazione di Israele dalla cartina geografica del medio oriente. Leggere per credere gli ultimi documenti pubblicati sul sito internet dell'esercito israeliano. Il più interessante è in arabo e risale al 30 settembre 2001. Si tratta di una lettera che contiene un messaggio di incitamento alla rivolta per i cittadini arabi israeliani che, fortunatamente non ci pensano neppure a unirsi alla lotta armata e all'intifada di Al Aqsa che nel messaggio in questione viene ricordata nel giorno del suo primo tragico anniversario di sangue. Arafat chiarisce subito, alla faccia delle anime belle dei pacifisti nostrani ed europei, che per lui "i territori occupati" coincidono con la stessa nazione di Israele. Dunque l'incitamento a "liberarli" coincide con una pulizia etnica degli ebrei dalla loro patria. Con buona pace di chi crede che Arafat riconosca i confini israeliani. Ecco alcuni eloquenti stralci del messaggio [ved. Notizie su Israele - 87]: "Alla nostra nazione palestinese, alle masse rimaste aggrappate con forza e pazienza alla terra ...con voi grazie a voi celebriamo il primo anniversario dell'intifada benedetta di Al Aqsa, che la nostra nazione sta effettuando nei territori liberati, in quelli occupati e nell'esilio. La nazione palestinese ha lanciato la sua intifada per coprire con il proprio sangue puro e immacolato le strade e i vicoli del santo dei santi, la capitale dello stato indipendente della Palestina. La pietra e l'uomo, l'albero e l'uccello hanno lanciato l'intifada nei vicoli di Gerusalemme e nei suoi luoghi santi, sulle colline e nelle valli di Cisgiordania, sulla costa di Gaza e nei campi profughi, nelle pianure e sulle colline e sulle cime della Palestina, nelle città e nei villaggi di Palestina occupati sin dal 1948. Sì, scriveremo con il sangue la carta geografica di un'unica patria e di un'unica nazione. Siamo noi i legittimi proprietari della terra, siamo noi che abbiamo titolo alla patria indipendente e allo stato indipendente. Così grazie a voi arabi israeliani, grazie alla nobile nazione araba e islamica, grazie a tutti i popoli del mondo che amano la libertà, noi stabiliremo la nazione palestinese indipendente e la sua santa capitale a Gerusalemme. Gloria eterna alle nostre vittime, vergogna eterna agli agenti del nemico. Questa è una lotta fino alla vittoria." In pratica la confessione delle vere intenzioni e dei reali scopi dell'intifada scatenatasi dopo il no di Arafat a Camp David: cancellare Israele con il terrorismo suicida grazie anche all'aiuto degli altri paesi arabi e di quei governi europei che continuano a foraggiare l'Autorità nazionale palestinese e a considerarla un'interlocutrice "per la pace". La fortuna di Israele - si fa per dire - è che il milione e mezzo di arabi israeliani che vivono e lavorano nel benessere entro i suoi confini non sono stati indottrinati con i libri di testo dell'Anp, pagati con i soldi dell'Europa . Siccome invece questa gente ragiona e vede, ad esempio, che fine fanno i dissidenti nei territori sotto il controllo dell'Anp, Israele per ora può dormire, almeno da questo punto di vista, sonni tranquilli. Altro cardine del terrorismo di Arafat è la menzogna sistematica su tutto . Nel sito internet dell'IDF (Israeli Defence Forces) si citano dieci esempi recenti, avvenuti dopo l'inizio dell'operazione "Homat Maghen". I più clamorosi riguardano, e sono corredati con foto molto eloquenti, l'assedio alla basilica della Natività dove circa 200 terroristi vi si sono arroccati da una dozzina di giorni. Non è vero che manca il cibo ai frati, perché, come si può vedere dalle foto, sono gli stessi soldati israeliani a portarglielo. Come non era vera l'uccisione di padre Amateis lo scorso 2 aprile ( in quel caso dopo "la resurrezione" del religioso dato per morto da Ansa, Rai, siti internet di quasi tutti i giornali di sinistra italiani, anche il Vaticano dovette porgere le scuse a Tsahal). Come non era vera la strage nell'ospedale di Ramallah del 31 marzo. Come non era vero che fossero stati arrestati gli assassini del |
ministro Zeevi. Come non era vero che fossero stati gli israeliani a uccidere i due osservatori delle forze di osservatori internazionali in Hebron lo scorso 29 marzo. Vere invece sembrano essere le firme di Arafat e Barghouti, su un documento datato 7.11.2001, che autorizzano a versare 800 dollari alle famiglie dei martiri Atef Ahmad Salam Abiat, Isa Hassan, Al Khatib, Jamal Abdallah, Mahmud Yousef Al Maghrabi, Muhammad Jabran Abiat, Isa Fuzi Khalil, Wa'al Ismail, Yousuf Abu Suwi, Hassan Abu Shaya. Tutti uccisi in conflitti a fuoco con l'esercito israeliano o fattisi saltare in aria tra gli inermi civili. La ricompensa di Arafat, 800 dollari a famiglia su 2000 richiesti, non risulta particolarmente generosa: ma per il personaggio come è noto, il sacro principio della cresta e dell'arricchimento personale, sembra fare agio persino sulla liberazione della Palestina. (da "Libero", 18/04/2002) "IO NON SONO ANTISEMITA, MA... SONO D'ACCORDO CON ARAFAT" L'ebreo buono? È quello morto di Giampaolo Pansa I fascisti, ufficialmente, non esistono più. Ma credo che un buon numero dei loro eredi sia antisemita come prima. Quanto alle sinistre e ai cattolici, una dose, piccola o grande, di antiebraismo e di antisionismo ce l'hanno in corpo molti. Nel furore di questa guerra che sgomenta e ci fa tremare per il futuro, mi assale un ricordo dell'autunno scorso. Era passato qualche giorno dalla strage dell'11 settembre a New York, quando cominciò a circolare un'ipotesi su quell'attentato mai visto. L'ipotesi era fondata su una circostanza data per certa: la mattina dell'11 settembre, le migliaia di ebrei impiegati nei mestieri più vari dentro le Torri Gemelle non si erano presentati al lavoro. Proprio così: di colpo e tutti insieme. Da questa presunta notizia, derivò subito un'ipotesi a due facce. Gli ebrei avevano saputo in anticipo della strage e si erano defilati tacendo. Oppure, la strage era stata compiuta o favorita dagli israeliani, dal loro mitico servizio segreto, per chissà quali scopi oscuri. Se non rammento male, la notizia della fuga previdente degli ebrei dalle Torri Gemelle venne data da una radio nord-africana. In Italia qualcuno la rilanciò e prese subito a diffondersi, come il fuoco in un sottobosco secco. Mi capitò di leggerla su un'agenzia d'informazioni. E nei giorni successivi la sentii ripetere da decine di persone che, a loro volta, l'avevano appresa chissà dove. Insomma, un classico caso di leggenda metropolitana. Che a forza di essere raccontata, poco alla volta diventa credibile e poi vera. In quei giorni mi resi conto che la connessione ebrei-strage dell'11 settembre non era ritenuta da tutti inverosimile e stupidamente perversa. Anzi, più il mio interlocutore era colto, informato e dietrologo, più la sentivo confermare, con una conclusione che non ammetteva repliche: «Pur di accrescere la loro potenza e quella dello Stato di Israele, gli ebrei sono capaci di tutto!». Dove avevo già ascoltato o letto parole simili? Anche in questo caso mi soccorse la memoria: sessant'anni prima, alle scuole elementari, nel mio sussidiario. Eravamo nel 1941, tre anni dopo le leggi razziali volute da Mussolini e accettate dai Savoia. Ai bambini come me, la scuola fascista insegnava subito a odiare e a temere gli ebrei, una razza maledetta che, con la forza del denaro, voleva diventare la padrona del mondo. Posso ricordare una verità che viene sempre taciuta? La pensavano più o meno così tanti italiani che non erano fascisti convinti. Gli ebrei, pur integratissimi in una società che era anche la loro, venivano visti quasi sempre con occhio malevolo. Non come li dipingeva la "Difesa della razza", la rivista ufficiale dell'antisemitismo, ma quasi. Nella mia città, un tempo sede di una comunità israelitica fiorente, durante la guerra civile del 1943-45 non ho mai sentito parlare degli ebrei rastrellati dai poliziotti del commissariato locale. E portati verso la morte, prima al campo di Fossoli e quindi ad Auschwitz. Nelle discussioni familiari, ci si accalorava sui partigiani e sui fascisti di Salò. Però non volava una parola sull'ebreo della porta accanto. Prelevato una mattina dalla famosa Balilla nera, che s'aggirava come uno squalo nel nostro ghetto. E poi svanito nel nulla. Dopo la guerra, la faccenda non cambiò di molto. Gli ebrei scampati allo sterminio raccontavano poco o niente, anche perché s'accorgevano che la gente non aveva voglia di ascoltarli. Usciti dal recinto infernale di Auschwitz, i salvati scoprivano di essere prigionieri di un altro muro, difficile da sgretolare: quello della diffidenza per la loro storia e dell'ostilità verso lo Stato di Israele che stavano creando. Avevano contro specialmente le sinistre e i cattolici, anche se non tutti. E i fascisti, naturalmente. Per motivi diversi, ma convergenti in uno stato d'animo composito, fatto di pregiudizi culturali, di fastidio politico, di astio arroventato dall'ideologia o dalla religione. Con il passare dei decenni, da noi il fondamentalismo antiebraico si è attenuato. E tuttavia oggi, nell'anno 2002, la condizione degli ebrei italiani è peggiore di quella fra i Sessanta e i Novanta. I fascisti, ufficialmente, non esistono più. Ma credo che un buon numero dei loro eredi sia antisemita come prima. Quanto alle sinistre e ai cattolici, una dose, piccola o grande, di antiebraismo e di antisionismo ce l'hanno in corpo molti. Come un parassita destinato a diventare sempre più vistoso di fronte a una guerra che, secondo tanti a sinistra come a destra, l'ebreo Sharon dovrebbe comunque smettere, anche se il palestinese Arafat seguitasse a coprire il terrorismo stragista dei kamikaze. Sta in questo falso (Sharon l'oppressore, Arafat la vittima) l'origine di un mutamento profondo che s'avverte negli italiani ebrei. Con molte ragioni, si sentono colpiti da un'ingiustizia che tanti media stampati e televisivi costruiscono ogni giorno. Quella che dipinge Israele come un Golia quasi nazista che pratica lo sterminio di una popolazione inerme, fatta di donne, di vecchi e di bambini. Non è così, ma si fa sembrare che sia così. Ecco perché i nostri amici ebrei cominciano a ribellarsi. Anch'io mi sento un ribelle come loro. E come loro rifiuto lo slogan bestiale che ci ha ricordato Amos Luzzatto, il presidente delle comunità israelitiche italiane: l'ebreo buono è soltanto quello morto. (Gruppo Rimon, 19.04.02) COMUNICATO DELLA FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI ITALIA-ISRAELE 1938? Non può assolutamente passare sotto silenzio quanto pubblicato, oggi 17 aprile 2002, sul quotidiano La Repubblica, ove il Consigliere di Amministrazione della RAI Carmine Donzelli, nel raccontare gli "interna corporis" delle discussioni che hanno poi portato alle nuove nomine aziendali, afferma testualmente che uno o più Consiglieri, non specificati, di fronte alla proposta di un nome a cui affidare un incarico, avrebbero obiettato: "Come facciamo a nominare quello lì, che è ebreo? Ne abbiamo già uno su un'altra casella. E chi lo sente il Vaticano?". Invitato a fare nomi, Donzelli si sarebbe rifiutato, aggiungendo: "Non vorrei che questa battuta, per quanto vera, venisse troppo enfatizzata". Contravvenendo a tale richiesta di "non enfatizzare", le Associazioni Italia-Israele esigono che sia fatta immediatamente piena luce sul vergognoso episodio, pretendendo con forza: 1) che il Consigliere Donzelli faccia il nome, o i nomi, dei Consiglieri che avrebbero imposto questi veti, su base squisitamente razzista e antisemita (o forse in tardiva applicazioni delle leggi del 1938, considerate ancora vigenti?), o che imponga al giornale di rettificare quanto pubblicato; 2) che il Consigliere, o i Consiglieri, che avrebbero posto il veto razzista rassegnino immediatamente le dimissioni (lasciando alla sensibilità e all'onore degli altri, che tale veto avrebbero subito, la scelta se imitarli); 3) in estremo subordine, come condizione minima e irrinunciabile, che l'autore o gli autori dell'incredibile gesto abbiano la decenza di scusarsi pubblicamente, dichiarando che quella pronunciata non sarebbe stata altro che una battuta di pessimo gusto (che, fra l'altro, getterebbe una luce sinistra sullo stesso Vaticano, implicitamente accusato di pressioni e ingerenze sul sistema di informazione dello Stato italiano, determinate da motivazioni di discriminazione razziale e/o religiosa). Se nessuna di queste condizioni sarà esaudita, questa Federazione farà sentire alta la sua voce di sdegno, fino ai massimi vertici della Repubblica, chiamando a raccolta chiunque voglia ancora difendere un minimo di civiltà nel nostro Paese. La Federazione delle Associazioni Italia-Israele, 19.4.02 ARRESTATO UNO DEI CAPI DI HAMAS Husam Ataf Ali Badran, uno dei capi dell'ala militare di Hamas in Cisgiordania, è stato arrestato vicino a Nablus con un'azione comune dell'IDF (esercito israeliano) e dell'ISA (servizio segreto per l'interno). Come è stato annunciato dal servizio stampa dell'IDF, il trentacinquenne Badran è stato per alcuni anni al vertice dell'ala militare di Hamas, Iz a Din al-Kassam, ed era già stato più volte arrestato. E' responsabile dell'esecuzione di operazioni militari di Hamas, ha ricevuto e consegnato i mezzi per la fabbricazione di esplosivi per gli attentati terroristici e ha inviato attentatori suicidi verso obiettivi in Israele, in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Badran è responsabile dei più grandi attentati terroristici di Hamas in Israele negli ultimi anni. Tra questi: l'attentato al Dolphinarium, alla Pizzeria Sbarro in Gerusalemme, alla stazione di Nahriya, al Ristorante Matza in Haifa, al Bus in Haifa, in Hamra e al Park Hotel in Netanya. In questi attentati sono rimaste uccise più di 100 persone e centinaia sono state ferite. Con il suo arresto sono stati evitati altri attentati terroristici già preparati. L'arresto di Badran è un importante colpo contro l'infrastruttura dell'organizzazione. (Israelische Botschaft in Berlin, 19.04.02) NOTIZIE IN BREVE 19 aprile 2002 - Informazioni raccolte durante le recenti operazioni anti-terrorismo dimostrano che Tawfiq Tirawi, capo dell'intelligence palestinese in Cisgiordania e stretto collaboratore di Arafat, era direttamente coinvolto nel terrorismo: reclutava, addestrava e riforniva di armi e munizioni terroristi attivi. Tirawi era anche a conoscenza delle attivita' del Fronte Popolare (responsabile fra l'altro dell'omicidio del ministro Ze'evi) - Trovate nel complesso Muqata (dove si trova Arafat) armi e razzi anticarro RPG di provenienza iraniana e irachena. - Bush: "Israele sta rispettando i tempi del ritiro. Ora spetta ai palestinesi fare la loro parte, come hanno promesso". - Tiri di mortaio palestinesi giovedi' sera dalla striscia di Gaza sul kibbutz Nahal Oz (Israele). Giovedi' sventati diversi attentati esplosivi e tentativi di infiltrazione terroristica nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. (israele.net) GLI ISRAELIANI NON PERDONO LA SPERANZA Un'inchiesta di Market Watch per il giorno dell'Indipendenza presenta un quadro ottimistico della società israeliana, anche nel mezzo della guerra. Nonostante che negli ultimi 18 mesi 469 israeliani siano stati uccisi e più di 3000 feriti, il 73% degli israeliani guarda ancora con piena speranza al futuro del proprio paese. Anche se il 61% degli israeliani nutre timori per l'esistenza dello Stato, l'83% preferisce ancora vivere qui, piuttosto che in un qualsiasi altro paese. Patriottismo e un atteggiamento positivo si manifestano anche nell'esercito, dove gli ufficiali riferiscono di una quota di mobilitazione dei riservisti del 130%. Il 100% dei riservisti richiamati si è presentato al servizio, e con loro altre migliaia di volontari. (ICEJ-Nachrichten - direkt aus Jerusalem, 19.04.02) INDIRIZZI INTERNET Gli Speciali di Evangelici.net |