Notizie su Israele 100 - 25 maggio 2002


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Il SIGNORE ha scelto Sion, l'ha desiderata per sua dimora.
«Questo è il mio luogo di riposo in eterno; qui abiterò,
perché l'ho desiderata».

(Salmo 132:13-14)


QUEI TREDICI CHE NESSUNO VUOLE


di Ehud Gol
Ambasciatore d'Israele a Roma

    Sei settimane fa decine di palestinesi armati, terroristi ricercati da Israele, si sono asserragliati dentro la Chiesa della Natività a Betlemme, tenendo in ostaggio 200 persone, tra cui numerosi monaci.
    Hanno usato la chiesa e i religiosi come scudo per sparare in tutta tranquillità ai soldati israeliani, ben sapendo che, per rispetto alla sacralità del luogo, gli israeliani non sarebbero mai entrati nell'edificio ad arrestarli.
    Per Israele un luogo santo è Santo e non si tocca. Noi abbiamo sempre garantito l'incolumità di tutti i luoghi sacri della Terra Santa. Purtroppo, però, il rispetto non è reciproco: i terroristi palestinesi non hanno esitato a massacrare 29 civili israeliani mentre celebravano la pasqua ebraica. Né ci è stata risparmiata la Tomba di Giuseppe a Nablus, uno dei luoghi più cari all'ebraismo, incendiata e smontata come fosse stata un giocattolo da una folla di palestinesi inferociti che tra inni e grida strappavano e davano alle fiamme i nostri libri di preghiera e la nostra Bibbia. Gli stessi palestinesi che con regolare frequenza aprono il fuoco contro la Tomba di Rachele a Betlemme e hanno tentato di bruciare la sinagoga di Gerico.
    Arafat evidentemente la pensa diversamente. Da buon musulmano, a Natale gli piace andare alla messa nella basilica di Betlemme ma poi non si fa troppi scrupoli a lasciare che i suoi uomini la profanino portandovi armi in gran copia, rubando l'oro e i crocefissi, imbrattando i muri con graffiti. È chiaro che Arafat non si ferma davanti a niente, nemmeno davanti alle porte di una chiesa.
    Nonostante ci fossero le condizioni per catturare e perseguire penalmente i terroristi palestinesi, Israele ha accettato una soluzione di compromesso. Le intense negoziazioni si sono concluse con la decisione di trasferire in un carcere di Gaza la maggior parte dei terroristi di più basso livello e di inviare all'estero i 13 capi dei capi del Terrore palestinese. E qui comincia il bello perché abbiamo scoperto che improvvisamente nessuno li voleva. Non li hanno voluti i loro fratelli arabi, quelli che li osannavano come combattenti per la libertà e uomini della resistenza. Perché Egitto, Arabia Saudita e tutto il circoletto arabo e musulmano non si sono voluti sobbarcare questi 13 fratelli?
    Quando la palla passa all'Europa, anche gli europei si mostrano riluttanti. I Tredici stinchi di santo palestinesi hanno problemi a farsi accettare dai Quindici. A quel punto i palestinesi vengono mandati in vacanza premio a Cipro per una settimana mentre il Consiglio Europeo decide sul da farsi. Il verdetto: verranno divisi, mal comune mezzo gaudio. Come mai nessun Paese, nemmeno quelli sempre pronti a schierarsi dalla parte dei palestinesi, ha voluto onorare il suo suolo con la presenza di questa banda? Forse perché tutti sanno che ben lungi dall'essere angeli del focolare palestinese quei tredici sono terroristi belli e buoni e nessun governo ha voglia di sobbarcarseli in casa sua? Forse perché nessun popolo è tanto ingenuo da credere che una cricca di estremisti artefici di agghiaccianti massacri in Israele, una volta all'estero possano dedicarsi a opere di beneficenza? Forse perché gli europei non hanno alcuna intenzione di tornare ai tempi in cui i palestinesi gli dirottavano gli aerei, gli devastavano le olimpiadi e imbottivano di esplosivo le belle capitali del continente?
    Alcuni europei ci chiedono di non badare al terrorismo e continuare il processo di pace come se nulla fosse. Eppure, se questi governi e i loro cittadini non gradiscono che dei terroristi se ne vadano beatamente a spasso per le strade delle loro capitali, non vedo perché mai noi dovremmo tollerarlo.
   
(Ambasciata di Israele a Roma, 19.05.02)



QUALCUNO DEI 13 PALESTINESI ESILIATI VUOLE TORNARE A CASA


    Due dei 13 palestinesi esiliati in Europa per porre fine all'assedio della chiesa della natività in Betlemme hanno detto di voler tornare un giorno alla loro terra, nonostante che Israele abbia promesso di arrestarli.
    Nella distribuzione dei 13 palestinesi tra sei paesi dell'Unione Europea e Cipro, conseguenza dell'accordo del 10 maggio, Mamdouh al Wardian (22 anni) e Mohammed Muhanna (21 anni) sono stati destinati alla Grecia.
    "Siamo sicuri che ritorneremo", ha detto Muhanna.
    Wardian ha detto che i negoziatori dell'UE hanno promesso che il loro esilio sarà temporaneo.
    "Noi insistiamo sul nostro diritto di ritornare a casa", ha detto Wardian.
    I loro commenti attirano l'attenzione sul vago stato giuridico degli esiliati nei paesi europei, molti dei quali garantiranno agli uomini un anno di permesso di soggiorno. Che cosa succederà dopo, non è chiaro.
    "Non siamo stati per niente contenti del fatto che siamo stati costretti a lasciare il nostro paese", ha detto Wardian. "Ma l'abbiamo accettato come una soluzione per contribuire a togliere l'assedio dalla chiesa".
    Israele, che considera terroristi i 13 uomini, ha detto che il loro esilio è permanente e che saranno arrestati se cercheranno di ritornare. L'IDF (Israeli Defense Force) identifica Muhanna come un membro dell'intelligence service palestinese a Betlemme, e Wardian come un membro senior del gruppo militante islamico Hamas.
    Wardian, che ha detto di essere "molto sorpreso" di vedere il suo nome sulla lista di quelli che devono essere esiliati, non ha voluto rispondere direttamente alla domanda se è un membro di Hamas. Ma ha insistito nel dire che era disarmato quando circa 200 palestinesi sono corsi dentro la chiesa il 2 aprile, quando l'esercito israeliano è entrato nella città. Muhanna ha detto che lavorava come guardia del corpo dell'Autorità Palestinese, e ha ammesso che in quel giorno ha combattuto.
    Il governo greco dice che i due non saranno confinati. Giovedì [23 maggio] il ministro degli esteri ha detto che i 12 palestinesi che sono ora nell'Unione Europea hanno anche il diritto di fare richiesta di asilo politico, che sarebbe esaminata secondo le leggi nazionali. Uno degli esiliati rimarrà a Cipro.

(Icej News Service from Jerusalem, 24.05.02)



LOTTA DI POTERE NELL'AUTONOMIA PALESTINESE


RAMALLAH - La lotta di potere all'interno dell'Autonomia Palestinese si fa acuta. Secondo quello che Israelnetz è venuto a sapere da una fonte araba, il capo del servizio segreto palestinese Al-Amen al-Wikaui, Jibril Rajoub (Beitunia presso Ramallah), ha lasciato i territori dell'Autonomia dopo una lite con il capo dell'OLP Yasser Arafat. Durante l'alterco Arafat ha gettato gli occhiali di Rajoub dalla finestra.
    Dopo la lite, in cui erano in gioco questioni di potere, Rajoub è partito per il Cairo. Osservatori politici dicono che per il momento non ritornerà, ma cercherà di raccogliere seguaci in Egitto.
    Rajoub, considerato un moderato, era visto come un potenziale successore di Arafat. Già nel passato c'erano state liti tra il capo dell'OLP e Rajoub. Più volte il capo palestinese aveva rimproverato Rajoub per supposte mancanze nell'apparato di sicurezza.

(Israelnetz.de, 21.05.02)



INCHIESTA SU QUELLO CHE PENSANO I PALESTINESI


GAZA - La maggior parte dei palestinesi sono scontenti di Yasser Arafat: soltanto il 35% della popolazione palestinese appoggia il capo dell'OLP. Questo è il risultato di un'inchiesta condotta da un Istituto di statistica palestinese e pubblicata martedì scorso sul

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quotidiano "Ha'aretz".
    Nel luglio 2000, cioè prima dello scoppio della cosiddetta "intifada", Arafat aveva ancora il sostegno del 45% del palestinesi.
    Il 91% degli interrogati è favorevole inoltre a "fondamentali cambiamenti" all'interno dell'Autorità Palestinese. Il 95% si è dichiarato favorevole alle dimissioni degli attuali ministri palestinesi, l'83% vuole immediate votazioni e il 92% chiede l'introduzione di una legge fondamentale o di una costituzione.
    Il numero dei palestinesi che appoggiano gli attacchi suicidi in Israele è leggermente diminuito: è sceso dal 58% al 52%. Tuttavia l'86% degli interrogati è contrario ad un'azione giudiziaria contro i terroristi.
    Il 67% dei palestinesi crede inoltre che l'uso della violenza armata sia più efficace delle trattative con Israele.
    L'inchiesta è stata fatta dal 15 al 18 maggio e i palestinesi interrogati sono stati 1.317. Il margine di errore è circa del 3%.

(Israelnetz.de, 21.05.02)



L'OPINIONE DI BUSH SU ARAFAT


WASHINGTON - Il presidente americano George Bush ha chiaramente detto di non aver mai stimato Yasser Arafat, perché ha lasciato nei guai il suo paese. Bush ha fatto questa dichiarazione martedì sera a Washington, prima del suo viaggio per la Germania, la Francia, l'Italia e la Russia.
    "Lui (Arafat) aveva la possibilità di guidare il popolo. Con il mio predecessore ha avuto la chance di concludere un accordo di pace. Ha avuto una chance dopo l'altra, ma ha fallito e ha lasciato nei guai il suo popolo", ha detto Bush nel suo discorso.
    Il presidente americano ha detto inoltre di essere preoccupato per la situazione della popolazione palestinese: "E' povera, isolata e frustrata".

(Israelnetz.de, 22.05.02)



ARAFAT BIFRONTE


    Venerdi scorso [17 maggio] Yasser Arafat ha fatto un pubblico discorso in un Convegno a Ramallah in occasione dell'anniversario della Nakba (proclamazione dello Stato di Israele).
    Il discorso era estremamente conciliatorio pieno di quelle dichiarazioni  che sia gli Europei che gli Americani amano sentire da Arafat: Democratizzazione delle Istituzioni, controllo delle spese, convocazione dell'Assemblea Nazionale. Arafat ribadì di nuovo l'importanza degli accordi con Israele e per concludere aggiunse:... e ricordiamoci sempre di Chudaibiah.
    I giornalisti occidentali che affollavano  la sala si affrettarono a comunicare ai propri giornali del discorso di Arafat e degli aspetti positivi in esso contenuti. Quasi nessuno fece caso a quella frase detta in conclusione di un discorso tanto positivo:- ...e ricordiamoci sempre di Chudaibiah. Che voleva dire quella frase?
    Nel 623-627 d.c.il Profeta Maometto decise di attaccare le tribu' che vivevano intorno alla citta di Medina, per questo lascio' la citta e si diresse verso la citta di Chudaibiah , vicina a Mecca dalla quale si era impegnato anni prima di non tornare per almeno 10 anni  dopo esserne stato cacciato. In realta' Maometto tornò a Mecca prima dei 10 anni dei quali si era impegnato e da allora il "patto di Chudaibiah" e' sinonimo di patto che sin dall'inizio non si ha l'intenzione di  rispettare.
    Non e' questa la prima volta che Arafat manda questo messaggio. Quando alcuni mesi fa' venne attaccato a Johannesburg da estremisti islamici che gli chiesero: Perche' hai firmato un accordo con gli Ebrei? La sua risposta fu': "Ho firmato nella stessa maniera che il Profeta Maometto firmò i patti di Chudaibiah."

(Maariv 21.5.02 - da Gruppo Rimon)



EBREI ORTODOSSI CONTRO ISRAELE


15.000 ebrei hassidim, avvolti nei loro mantelli delle preghiere, hanno dimostrato a Londra contro lo Stato ebraico di Israele e hanno chiesto uno Stato palestinese. Considerano lo Stato di Israele come una "autosoluzione" e aspettano un Israele che scende dal cielo.

(Stimme aus Jerusalem, 19.05.02)



L'ALIA' CONTINUA


L'Agenzia Ebraica riporta che, nonostante la perdurante violenza, 822 immigranti sono arrivati in Israele questa settimana. 488 di loro provengono dall'ex Unione Sovietica e dall'Europa dell'est, 198 dall'Argentina, 85 dall'Etiopia e gli altri da Francia, Svizzera, Sud Africa, Germania, Argentina, Brasile, Perù, USA, Canadà e India.

(Arutz Sheva News Service, 24.05.02)



PENSIERI DI CHI VIVE IN ISRAELE


"Vorrei occuparmi solamente di arte e fattorie.
  Invece sono qui a intervistare soldati"

di Angelica Calò Livné

Ciò che sento in questo momento è una grande tristezza, qualcosa che mi opprime e mi deprime, qualcosa che assomiglia a violenza carnale. Io che da più di vent'anni invento i giochi, gli spettacoli, gli esercizi più straordinari per insegnare il rispetto, per condurre con amore a guardare "al di là", per creare ponti, per educare al confronto, al dialogo mi trovo qui, ad intervistare soldati, ad indagare se si sono perpetrati massacri, se si sono uccise donne, se si sono profanati luoghi sacri e tutto questo per calmare le mie notti insonni, per placare l'ansia che mi attanaglia, per spiegare al mondo che vivo in un paese dove nessun padre e nessuna madre può più assicurare un futuro ai propri figli. Come vorrei potermi occupare solo di arte, starmene in una bella fattoria, in mezzo al verde, magari con un panorama identico a quello che ho qui, davanti alle finestre del mio kibbutz. Creare spettacoli i cui interpreti esprimono i miei ideali di rispetto reciproco, di accettazione, di ricerca del diverso nell'altro, per arricchire il proprio bagaglio spirituale e culturale senza giudicare, sovvertire o aborrire. Sì, la Terra Santa, come mi ha detto un vecchio amico, dovrebbe essere solo «spazi illuminati di pace». Si può immaginare quanto dolore, quanta angoscia, quanta frustrazione si provi vivendo ciò che noi viviamo in questi momenti qui, nella terra di tutti i Padri, minacciati a ogni angolo e avvelenati dalle accuse del resto del mondo di mancanza di umanità, di violenza, di durezza, di spietatezza. Ciò che sento in questo momento, dopo la tensione di "Muro di difesa", dopo l'attentato di ieri a Netanya e il tentativo di stamane ad Afula è che non abbiamo più possibilità a disposizione eccetto una, quella che il popolo ebraico sparisca dalla faccia del mondo e questa possibilità mi avvolge come un mantello soffocante e senza volerlo tremo e le parole che sto scrivendo mi appaiono come attraverso una nebbia fittissima. Ciò che sento è che siamo in una trappola ed è orribile essere in una trappola: non possiamo porgere la mano, non dobbiamo essere troppo forti, non possiamo dimostrarci deboli, non ne possiamo più di violenza e attacchiamo per mettere fine alla violenza, dobbiamo uscire dai Territori ma non possiamo uscirne mentre ci minacciano. 

(Tempi, 23.05.02)


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