Notizie su Israele 101 - 1 giugno 2002


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Verrà il giorno in cui le guardie grideranno sul monte di Efraim: "Alzatevi, saliamo a Sion, al SIGNORE, nostro Dio"». Infatti così parla il SIGNORE: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, prorompete in grida, per il capo delle nazioni; fate udire le vostre lodi, e dite: "SIGNORE, salva il tuo popolo, il residuo d'Israele!"»

(Geremia 31:6-7)


LE MENZOGNE ANTI-ISRAELIANE SU JENIN


    Due importanti organizzazioni ebraiche americane, la Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations e la Anti-Defamation League, hanno reso noto mercoledi' scorso un approfondito rapporto inviato al Segretario generale dell'Onu Kofi Annan, che documenta la falsita' delle accuse mosse circa due mesi fa a Israele di aver perpetrato un "massacro" a Jenin.
    Presentando il rapporto, intitolato "Anatomia dell'istigazione contro Israele: Jenin, l'opinione pubblica mondiale e il massacro che non c'e' mai stato", le due organizzazioni chiedono che la comunita' internazionale, come doveroso, ponga rimedio al danno inferto alla reputazione dello Stato d'Israele e in particolare chiedono che Kofi Annan diffonda la verita' circa la battaglia combattuta dagli israeliani a Jenin.
    Il rapporto, che comprende anche una serie di testimonianze oculari edite e inedite di soldati, medici e altri, afferma che il bilancio finale dei caduti palestinesi nel campo profughi di Jenin e' meno di 60 morti, per lo piu' uomini in armi, contro le cifre fatte circolare per settimane dalla dirigenza palestinese che andavano dai 500 ai 3.000 morti. Gli edifici danneggiati nei combattimenti sono stati 110, sul totale di 1.500 edifici del campo profughi di Jenin. Il rapporto riporta anche descrizioni della battaglia di fonte palestinese, come quella del comandante della Jihad islamica Abu Jandal il quale disse alla televisione Al-Jazeera che i palestinesi "avevano disseminato il campo di sofisticate trappole esplosive, si erano armati con granate e cinture esplosive, avevano arruolato donne e bambini nella battaglia".
    "Come attestano questi resoconti di prima mano - scrivono Mortimer Zuckerman e Malcolm Hoenlein, rispettivamente presidente e vice presidente della Conferenza, nella lettera che accompagna il rapporto - non ci sono praticamente limiti alle calunnie, alle distorsioni e alle falsita' contro Israele, anche quando i fatti sono cosi' chiari agli occhi di qualunque osservatore onesto. Ci auguriamo che il Segretario generale dell'Onu non voglia permettere che il suo ufficio e la sua organizzazione vengano piegati da pressioni politiche estremiste. Piu' utile sarebbe analizzare come sia stato possibile che l'Onu, i mass-media e molti leader del mondo si siano resi complici di queste orribili accuse contro uno stato membro che stava cercando di difendere i propri cittadini e di combattere il terrorismo nel pieno rispetto della Carta dell'Onu".
    Nel rapporto vengono riportati estratti dai mass-media e da comunicati di varie organizzazioni umanitarie che condannavano prematuramente Israele prima di qualunque verifica dei fatti. "Senza disporre di alcuna prova o elemento di fatto su quanto stava accadendo a Jenin - afferma Abraham Foxman, direttore della ADL - organizzazioni internazionali, governi europei, l'Onu e diversi mass-media non hanno esitato a condannare Israele, accusando le sue forze armate d'aver commesso un 'massacro' che, come poi si e' visto, non c'e' mai stato. Stiamo ancora aspettando che rettifichino e rendano conto della verita' dei fatti".
    Una sezione del rapporto illustra il diritto di Israele, sotto il profilo del diritto internazionale, a condurre l'operazione militare nel campo di Jenin.
    Il rapporto e' disponibile (in inglese) al sito www.adl.org/Israel/jenin

(Jerusalem Post, 31.05.02)



E' POSSIBILE LA DEMOCRATIZZAZIONE DELL'AUTORITA' PALESTINESE?


Illusioni pericolose

di Shlomo Avineri
Scienze politiche - Universita' di Gerusalemme

    Non c'e' dubbio che l'Autorita' Palestinese nella sua forma attuale non puo' essere un interlocutore per i negoziati di pace. Il presidente americano George W. Bush lo ha riconosciuto con estrema chiarezza. Tuttavia, nello sforzo di trovare delle alternative, stanno diventando opinione comune alcune assurdita'. La piu' bizzarra e' la possibilita' che l'Autorita' Palestinese diventi democratica e trasparente. Si tratta di una pericolosa illusione.
    Uno dei piu' tragici fenomeni degli ultimi vent'anni in Medio Oriente e' stato proprio questo: mentre si verificavano processi di democratizzazione un po' in tutto il mondo, naturalmente con diversi risultati, nessun paese arabo ha mostrato la minima tendenza in questo senso. Nell'Europa centrale e orientale, in America latina, nell'Africa sub-sahariana, nel sud-est asiatico importanti movimenti per le riforme e la democratizzazione hanno modificato l'orizzonte politico. Persino in Iran si possono intravedere alcune evoluzioni, per quanto ambigue, verso una societa' più aperta. Nulla del genere nei paesi arabi. Non esiste nessun Gorbaciov arabo, nessun movimento Solidarnosc o Carta 77 arabi. La societa' araba non ha mostrato alcuna capacita' di riforma e di democratizzazione, ne' dall'alto verso il basso, ne' dal basso verso l'alto.
    Sul piano teorico, questo fenomeno richiederebbe una seria analisi comparata per capire cos'e' che induce il mondo arabo a comportarsi come se vivesse in una sua propria dimensione, secondo un orologio diverso da tutti gli altri. (Ne' la ricca Arabia Saudita ne' la povera Algeria hanno conosciuto dei movimenti paragonabili a quelli che hanno abbattuto regimi dittatoriali e repressivi da Mosca fino a Giacarta).
    Ma le analisi accademiche, che peraltro gli esperti medio-orientalisti non hanno ancora fatto, sono una cosa, mentre le iniziative politiche sono una cosa diversa. Chi spera in una struttura democratica palestinese deve chiedersi come mai i palestinesi, che si trovano in una situazione molto piu' complicata dei kuwaitiani, dei siriani o degli egiziani, dovrebbero riuscire la' dove tutte le altre societa' arabe hanno fallito.
    Coloro che hanno seguito i processi di democratizzazione dell'ultimo decennio sanno che il successo di questi fenomeni dipende dalla presenza di numerose condizioni sociali: istituzioni intermedie capaci di canalizzare la generica "volonta' della gente" entro sviluppi politici strutturati, una societa' civile relativamente sviluppata, un certo grado di tolleranza sociale tanto per citarne alcune. Dove queste condizioni sono presenti, come in Polonia o in Ungheria, le possibilita' di successo sono buone. Dove mancano o sono deboli, come in Russia, i processi di democratizzazione tendono a bloccarsi.
    Nessuna di queste condizioni esiste oggi nei paesi arabi. E neanche nella societa' palestinese, mobilitata per decenni da un movimento nazionalista estremista e terroristico. Pertanto immaginare che l'Autorita' Palestinese possa essere democratizzata, con o senza Arafat, e' una pia illusione.
    Quella che forse non e' un'illusione e' la possibilita' di un consolidamento politico nell'Autorita' Palestinese tale da rendere le sue strutture un po' piu' stabili, come in Egitto o in Siria. Anche se non e' "politicamente corretto", cio' di cui hanno bisogno i palestinesi e cui forse possono realisticamente aspirare nel prevedibile futuro e' una qualche forma di moderato autoritarismo decentemente gestito che si sostituisca alle strutture caotiche e inquinate dal terrorismo che hanno adesso.
    Possono farcela da soli? Ne dubito. Possono farlo per loro gli americani o gli europei? Naturalmente no. Vi sarebbero altre opzioni piu' creative, come qualche forma di protettorato legittimato internazionalmente, per esempio saudita, che li potrebbe aiutare a costruirsi un sistema di governo un po' piu' stabile e non terroristico. Dopotutto i sauditi sono piuttosto bravi a trattare con i terroristi all'interno dei loro confini. Purtroppo pero', queste considerazioni lasciano il tempo che trovano. E intanto, dopo il collasso di Oslo, nascono nuove illusioni persino piu' pericolose di quelle vecchie.

(Jerusalem Post, 27.05.02)



ACCUSATI TRE MEMBRI DI UNA CELLA TERRORISTICA EBRAICA


Secondo un rapporto di HA'ARETZ, martedì scorso Yarden Morag, Shlomi Dvir e Ofer Gamliel sono stati accusati davanti al tribunale di Gerusalemme. I tre uomini sono i principali indiziati di un'aggressione compiuta nel mese scorso ai danni di una studentessa araba in A-Tur, nella Gerusalemme Est.
    I tre abitanti di Bat Ayin, in Cisgiordania, sono accusati di tentato omicidio e di possesso illegale di armi, ha annunciato la radio israeliana. Morag e Dvir sono stati arrestati tre settimane fa non lontano dalla scuola, mentre stavano armeggiando nella loro auto con un esplosivo. L'interrogatorio ha condotto all'arresto di Gamliei.

(Israelische Botschaft in Berlin, 28.05.02)



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LA FOLLIA DELLE FRANGE ESTREMISTE ISRAELIANE

   
Da un editoriale del Jerusalem Post

    Noam Federman, 33 anni, gia' portavoce del movimento Kach (oggi fuorilegge in Israele), in passato e' stato prosciolto 37 volte e condannato otto volte. E' dunque difficile prevedere quale sara' l'esito di questa ennesima incriminazione a suo carico. Gia' solo questo fatto, tuttavia, serve a capire la differenza che c'e' tra il modo in cui la societa' israeliana e quella palestinese si rapportano al terrorismo.
    La prima cosa da dire e' che i crimini di cui sono accusati Federman, Menasche Levinger e altri quattro israeliani - se confermati - non sono per nulla diversi da quelli commessi dai terroristi palestinesi. Il gruppo e' sospettato di aver progettato di far esplodere un grosso ordigno nei pressi di un ospedale arabo e di una scuola femminile araba a Gerusalemme, progetto sventato dall'intervento della polizia e degli artificieri israeliani.
    Sembra dunque chiaro che esiste un gruppo marginale di israeliani, non importa quanto piccolo, convinti che sia giustificabile un "terrorismo ebraico". Praticamente per tutti gli altri israeliani, l'idea che il terrorismo vada combattuto con altro terrorismo e' semplicemente inconcepibile.
    Non e' cosi' dappertutto. In India, per esempio, indu' e musulmani si massacrano a vicenda, cosi' come hanno fatto varie parti nella ex-Jugoslavia e varie etnie in tutta una serie di conflitti in Africa.
    Invece in Medio Oriente, che pure alcuni amano descrivere come il luogo dell'occhio per occhio, gli israeliani non adottano questo criterio. Certo, Israele viene continuamente accusato di fare un uso "eccessivo" della forza nel contrastare il terrorismo. Ed e' vero che la lotta al terrorismo, in linea di principio, non giustifica qualunque azione contro la parte avversa. Ma proprio qui sta il punto. In Israele, la deliberata volonta' di causare vittime fra i civili e' un reato suscettibile di arresto, incriminazione, condanna e punizione. Sul versante palestinese la stessa cosa e' fatta oggetto di celebrazioni e portata ad esempio di eroismo.
    Un'altra differenza e' che, con tutti i suoi possibili difetti, in Israele funziona un sistema giudiziario che e' in grado di garantire anche a un recidivo come Federman un processo equo, mentre il sistema giudiziario nelle zone sotto controllo dell'Autorita' Palestinese sembra capace solo di produrre processi-lampo di presunti "collaborazionisti" che terminano dopo poche ore in macabri linciaggi pubblici, oppure processi-farsa contro terroristi anti-israeliani che terminano quasi sempre e quasi subito con la scarcerazione dei condannati.
    Il fatto e' che, agli occhi dei palestinesi, il terrorismo non e' veramente considerato e sentito come un crimine. E quand'anche lo fosse, in quel sistema cio' che viene spacciato per "giustizia" e' solo cio' che Yasser Arafat vuole e decide di volta in volta. Paradossalmente i palestinesi nell'Autorita' Palestinese conoscono queste cose meglio degli stessi israeliani, perche' loro sanno bene cosa significa vivere in una societa' senza legge ne' diritto.
    Dunque i terroristi ebrei, oltre all'infamia morale, ai danni diplomatici e ai gravissimi danni alla sicurezza, si rendono responsabili anche di quest'altro disastro: minacciano di trasformare la loro societa' israeliana in una societa' senza legge ne' diritto come quella palestinese.

(Jerusalem Post, 15.05.02)



IL MARTIRIO DEI PALESTINESI PRESENTATO COME IDEALE CRISTIANO


di Itamar Marcus

L'Autorità Palestinese ha sempre presentato il martirio come un ideale islamico, insito in ogni Musulmano.  Oggi (però) ha  ampliato il significato religioso del martirio, presentandolo anche come un ideale cristiano.  In un programma televisivo sul potere delle parole, è stata letta e presentata al video la seguente poesia inneggiante al martirio. La poesia promette che il Martire, nell'Aldilà, insieme al Corano porterà "una croce".

"Il Ritmo delle Parole",

I venti della Rivoluzione.
"Perché uccidi il mio sogno
E non mi lasci morire da Martire?
La mia morte mi rafforzerà,
E fonderà il ferro per me.
Io non muoio per aver fine,
Poiché nella mia morte c'è la vita,
Nella mia morte c'è un inno.
Io sono, amico mio, una rivoluzione in un corpo umano,
Un vulcano determinato.
Porterò sulle spalle la mia anima,
E nell'Aldilà io porterò
Una Croce e una copia del Corano".

(TV dell'Autorità Palestinese, 30 Maggio 2002)


(Palestinian Media Watch, 30.05.02)



TELEFONATA D'ADDIO DELL'ATTENTATORE SUICIDA


Jihad Titi (18 anni), l'attentatore che lunedì si è fatto saltare in aria a Petach Tivka uccidendo due israeliani, poco prima ha chiamato al telefono i suoi genitori nel campo profughi Balata per salutarli. Sua madre, Haleema, gli ha augurato successo e suo padre, Ibrahim, ha detto che al posto dell'esplosivo avrebbe voluto che suo figlio alla cintura avesse portato una bomba atomica.

(Stimme aus Jerusalem, 29.05.02)



ASPIRANTI MARTIRI CI RIPENSANO


    Due donne palestinesi che avrebbero dovuto compiere attentati suicidi hanno deciso di non farlo. La settimana scorsa la ventenne Arin Ahmed avrebbe dovuto prendere parte all'attentato in Rischon Lezion. All'ultimo momento ha deciso di non diventare una bomba umana. Ieri mattina presto [29 maggio] è stata arrestata in Beit Sahur dal servizio segreto e dai militari.
    Thaurija Hamamreh (25 anni), invece di compiere l'attentato è andata a casa di sua zia, a Tulkarem, e lì è stata arrestata. Avrebbe dovuto travestirsi da israeliana moderna, con calzoncini stretti, truccata, capelli sciolti e occhiali da sole, mischiarsi tra le persone a Gerusalemme e accendere il suo esplosivo. Nel caso fosse stata scoperta prima del tempo, doveva comunque farsi saltare in aria, indipendentemente da quante persone c'erano intorno. Queste richieste l'hanno fatta riflettere, e così ha riconosciuto il vero volto dei suoi leader terroristici, che "giocano" col sangue dei martiri. Aveva preso contatto con gli attivisti di Fatah di propria iniziativa, per mettersi a disposizione come attentatrice suicida e non per vendetta. Nella famiglia di Hamareh, sia nella prima che nella seconda intifada, nessuno aveva subito danni.

(Stimme aus Jerusalem, 30.05.02)



GRANDE SUCCESSO DELLE "PATATINE ARAFAT"


CAIRO - Il capo palestinese Yasser Arafat è diventato senza volerlo una star pubblicitaria. In Egitto un produttore di generi alimentari offre le sue patatine di mais in pacchetti su cui è stampata l'immagine un po' abbellita del capo dell'OLP.
    La rappresentazione sui pacchetti delle patatine non dovrebbe sollevare un grande entusiasmo presso il capo dell'OLP Arafat: rappresenta un tarchiato capo palestinese che con la mano destra saluta e con la sinistra agita una bandiera palestinese. Vicino sta scritto: "Abu-Ammar - L'eroe della battaglia - Al gusto di formaggio", così riferisce la rivista online di "Spiegel". "Abu Ammar" è il nome di battaglia di Arafat.
   Nell'edizione del lunedì il giornale "Al-Shark al-Awsat" cita un portavoce ufficiale della ditta, il quale avrebbe detto che le patatine "Abu-Ammar" in questo momento sono al primo posto nelle vendite. Soprattutto fra i bambini lo spuntino con la figura del capo dell'OLP è molto popolare.

(Israelnetz, 27.05.02)


INDIRIZZI INTERNET


Dio ha scelto Israele (IV)