Notizie su Israele 106 - 21 giugno 2002


<- precedente    seguente ->                                                                                                                                                 indice
Grande è il SIGNORE e degno di lode nella città del nostro Dio, sul suo monte santo. Bello si erge, e rallegra tutta la terra, il monte Sion: parte estrema del settentrione, città del gran re. Nei suoi palazzi Dio è conosciuto come fortezza inespugnabile. Quando i re si erano alleati, e avanzavano uniti, appena la videro rimasero attoniti e, smarriti, si misero in fuga. Là furono presi da tremore e da doglie come di donna che partorisce, come quando il vento orientale spezza le navi di Tarsis. Quel che avevamo udito l'abbiamo visto nella città del SIGNORE degli eserciti, nella città del nostro Dio. Dio la renderà stabile per sempre.

(Salmo 48:1-8)


UN "CORAGGIOSO" MANIFESTO DI INTELLETTUALI PALESTINESI


Il manifesto sul quotidiano «Al Quds»: «Non mandate i nostri ragazzi a uccidere»

GERUSALEMME - Gli attacchi suicidi? «Non fanno che aiutare Sharon e accrescere l'odio. Bisogna fermarli». E' un documento senza precedenti quello pubblicato ieri a tutta pagina su «Al Quds» (il nome in arabo di Gerusalemme), il più letto quotidiano palestinese (oltre 25 mila copie): 55 esponenti palestinesi hanno sottoscritto un manifesto contro le azioni dei kamikaze. Scrittori, funzionari governativi, accademici e dirigenti locali chiedono ai gruppi estremisti di «smettere di mandare i nostri giovani a compiere questi attacchi sui civili israeliani». Il motivo? «L'unico risultato che ottengono è l'acuirsi dell'odio tra i due popoli e delle divisioni fra di noi» si legge nel documento, che chiede l'appoggio di tutta la popolazione. Tra i firmatari spiccano i nomi di Hanan Ashrawi, 56 anni, ex negoziatrice e deputata al Consiglio Legislativo, e di Sari Nusseibeh, 52, professore all'università Al Quds nominato recentemente da Arafat delegato dei 260 mila palestinesi di Gerusalemme Est. Ashrawi, dirigente storica dell'Olp, non si era mai schierata così apertamente contro le azioni degli uomini bomba, giustificati da quasi il 70% dei palestinesi. In occasione di precedenti attentati, Ashrawi ne aveva sempre attribuito la responsabilità politica al premier israeliano Sharon. Ora lei e gli altri 54 firmatari li giudicano controproducenti: «Non portano libertà e indipendenza al popolo palestinese», al contrario, «accrescono il numero dei Paesi che appoggiano l'occupazione israeliana». «Sono - conclude il manifesto - un regalo» al premier Sharon e all'estrema destra israeliana «che si sentono autorizzati a proseguire l'aggressione e gli attacchi contro il popolo palestinese».

(Il Corriere 20.6.02)

NOTA - Si paragoni il tono neutrale e soddisfatto dell'articolo del giornale italiano con le valutazioni dei giornali israeliani riportate nei due articoli seguenti. M.C.



TIMIDA PRESA DI POSIZIONE DI INTELLETTUALI PALESTINESI


    Nessuna condanna del terrorismo perche' compie stragi di civili innocenti. Anzi: gli attentati non vengono nemmeno chiamati terrorismo, bensi' piu' pudicamente "operazioni militari". E andrebbero evitati solo perche', per lo meno in questo momento, sono controproducenti rispetto agli obiettivi della lotta palestinese. Questa e' la piu' coraggiosa e "pacifista" presa di posizione che sono riusciti a produrre alcuni intellettuali palestinesi considerati moderati all'indomani dell'ennesima ondata di aggressioni terroristiche palestinesi contro la societa' israeliana (26 civili assassinati e piu' di 100 feriti in due attentati a Gerusalemme nell'arco di 36 ore).
    "Facciamo appello a coloro che stanno dietro a queste operazioni militari - scrivono i 55 firmatari palestinesi, fra cui Sari Nusseibeh e Hannan Ashrawi, del documento pubblicato sul quotidiano Al-Quds - affinche' riconsiderino le loro azioni e cessino di mandare giovani a compiere questi attacchi contro civili in Israele". Il documento afferma che gli attacchi suicidi non aiutano i palestinesi a conseguire l'obiettivo dell'indipendenza, ma al contrario "aumentano il numero di paesi che sostengono l'occupazione israeliana". Queste azioni, sostengono i firmatari palestinesi, permettono al primo ministro israeliano Ariel Sharon di "proseguire la sua aggressione contro il popolo palestinese". "Non vediamo alcun vantaggio in questi attacchi se non quello di approfondire il solco di odio fra i due popoli", si legge nel documento che non si occupa ne' degli attentati terroristici contro israeliani al di fuori di Israele, ne' di un cessate il fuoco in generale.
    Sari Nusseibeh, rappresentante dell'Autorita' Palestinese per gli affari di Gerusalemme, e' uno dei pochissimi palestinesi che ha definito gli attentati terroristici "immorali", e non soltanto "controproducenti".
    Secondo un sondaggio pubblicato la settimana scorsa dal Jerusalem Media and Communication Center palestinese, due palestinesi su tre (68,1%) sono favorevoli agli attentati terroristici suicidi contro la popolazione israeliana.

(Jerusalem Post, 20.06.02 - da israele.net)



UNA SOCIETA' SUICIDA, TERRORISTICA, FOLLE


Estratto da un articolo di Amnon Dankner,
capo redattore del giornale israeliano Ma'ariv

Che razza di uomini siete voi, palestinesi, che appoggiate, organizzate e acclamate quei feroci e disumani attentati suicidi? Non sono forse questi suicidi-assassini un esempio della vostra società nel suo complesso, una società che ci vuole distruggere entrambi? Davanti a voi sta la scelta tra la vita e la morte, tra la speranza e la disperazione. Ma voi scegliete la distruzione e la morte, e volete trascinare anche noi nella morte. Ma la responsabilità non ricade soltanto su quella maggioranza che si identifica con questi mostruosi fatti. Anche la minoranza che non trova il coraggio di condannare e combattere il terrorismo non può sottrarsi alla sua responsabilità. Anche quelli di voi che ieri, su un giornale palestinese, hanno preso le distanze dal terrorismo suicida, non hanno condannato il terrorismo per motivi morali, ma soltanto perché in questo momento non è utile alla causa palestinese. Ma perché mai, per tutti i diavoli, dopo tutte queste immagini di orrore non si sente nessuna chiara voce morale che dice: "Smettetela! Questi attacchi sono delle atrocità!" Sì, voi siete una società terroristica e suicida. Noi non assassineremo brutalmente e fanaticamente, come voi, in pieno giorno, civili innocenti, donne vecchie e bambini. Non sceglieremo la via facile di assassinare gli innocenti per i colpevoli. Dovremo pagare ancora una volta con la vita di giovani soldati per rintracciare, isolare e rendere innocui i terroristi tra di voi. E se degli innocenti dovranno pagare con la vita, questo dovrà essere addebitato alla vostra suicida, terroristica, folle società.

(Israelische Botschaft in Berlin, 20.06.02)



RIFLESSIONI DI CHI VIVE IN ISRAELE


Non è guerra di civiltà?

    Alle 8:00 scendo faticosamente dal letto, dopo una notte in cui il pulcino ci ha svegliati ogni ora, disturbato dai dentini che spingono ma non spuntano ancora. Un caffe', il giornale sulla porta; sulla prima pagina le foto sorridenti dei due ragazzi trucidati ieri dal kamikaze assassino di turno, poi le altre notizie rassicuranti: il kamikaze che ieri e' esploso, per fortuna senza fare vittime era malato di AIDS e, altra notizia, che c'e' un kamikaze gia' dentro Gerusalemme e altri sei in giro, fra cui due donne. Nell'articolo dicevano che il kamikaze di Gerusalemme e' gia' in citta' e cerca solo il posto piu' appropriato per compiere il massacro.
    Purtroppo il posto l'ha trovato. La lettura del giornale si interrompe per l'arrivo di Braha, la baby sitter di Michael che, trafelata, ci dice che c'e' stato un attentato a Gerusalemme. Si accende la tv e subito le immagini di orrore devastano la serenita' di un mattino di sole. Lo scheletro di un autobus, carcasse di macchine e un formicolio di ambulanze e soccorritori che raccolgono pezzi di esseri umani. Braccia, gambe, mani. Il giornalista dice che fra i feriti mutilati ci sono molti bambini. Un autobus in piena citta' alle 7:45 del mattino e' per forza pieno di bambini che vanno a scuola e di genitori che vanno a lavorare
    Proprio un paio di giorni fa' di ritorno da una gita a Creta, mi trovavo su un minibus affollato, per raggiungere il parcheggio dell'aeroporto. Il mio sguardo si e' poggiato sul braccio della signora davanti a me e per un attimo ho immaginato che in un nonnulla quel braccio potrebbe essere staccato dal corpo, come la mia testa o le mie gambe e il nostro minibus potrebbe diventare lo scenario d'orrore che ho visto in una foto inedita qualche settimana fa'. La tv e i giornali israeliani di solito ci proteggono da immagini troppo forti. Al limite ci fanno vedere una fila di corpi sull'asfalto coperti da un telo di plastica, ma ci risparmiano le immagini troppo scioccanti. Qualche settimana fa' in una piccola mostra fotografica ho visto immagini che non avevo mai visto prima e che avrei fatto a meno di vedere. La foto di un autobus cosi' come si presenta ai primi soccorritori. Un groviglio di pezzi umani smembrati.
    Io lavoro tutto il giorno assieme a persone che dedicano la propria vita a cercare nuovi farmaci, nuove terapie per combattere mali incurabili. Terapie per curare e "riparare" l'Uomo, non l'israeliano o l'ebreo, ma l'Uomo. E' terribile pensare che siamo di fronte a un mostro che si adopera senza limite di energia per smembrare l'Uomo. Alle volte i giornalisti europei hanno il coraggio di chiamare questi mostri "combattenti" o "miliziani". Non e' un combattente chi fa a pezzi una folla di civili innocenti. Non e' un combattente chi fa' scempio del proprio corpo per dilaniare una nonna e una bambina di due anni davanti a una gelateria. Qualche giorno fa' intervistavano alla televisione un fallito kamikaze, ricoverato e curato in un ospedale israeliano. Era una scena surreale. Questo, ebete e sorridente, curato da medici israeliani, in un letto d'ospedale, mentre nelle stanze accanto giacciono feriti di attentati e soldati feriti nei territori. Era felice di essere vivo e diceva che non lo rifarebbe per tutto l'oro del mondo. C'e' chi si rifiuta di parlare di guerra di civilta'. Dal mio punto di vista un essere umano che e' pronto a dilaniare il proprio corpo per uccidere bambini e passeggeri di un autobus a casaccio, non e' piu' un essere umano. Siamo di fronte a una "civilta'" mostruosa che trasforma esseri umani in macchine della morte, in automi che uccidono senza rendersi conto di quello che fanno. Quando si vedono madri che incoraggiano i propri figli a uccidere se stessi assieme al massimo numero di innocenti, non siamo di fronte a un qualcosa che si puo' spiegare semplicemente con la disperazione. Non devo andare troppo lontano per trovare esempi di popoli che hanno conosciuto la disperazione ai massimi livelli. Le mamme ebree non hanno mai incoraggiato i propri figli al suicidio. L'essere umano e' troppo potente per potersi permettere di essere totalmente irresponsabile delle proprie azioni. Il kamikaze alle volte ha 17-18 anni e uno puo' pensare che e' instabile mentalemente, ma la madre??? Siamo di fronte a una "civilta'" mostruosa che trasforma l'essere umano in una macchina per uccidere, una macchina che non ha pieta' per niente, una macchina della morte che non si ferma di fronte allo sguardo di un bambino. Non e' la prima volta che accade nella triste storia dell'Umanita'. Se cerco altri esempi di sistematica e fredda pianificazione del massacro di civili inermi mi viene in mente il Nazismo o in tempi piu' moderni Srebrenica. L'integralismo islamico e' come il nazismo. Non si verra' mai a patti o a compromessi con un Mostro che distrugge l'Uomo o che lo trasforma in una macchina della morte. Vedo molte analogie col nazismo. Anche il nazismo faceva leva sul malcontento popolare, anche il nazismo aveva attivisti, simpatizzanti e complici attivi e passivi. Oggi il nuovo Mostro ha attivisti (che crescono esponenzialmente), simpatizzanti (probabilemente la maggior parte dei musulmani in giro per il mondo, compresi i milioni che si stanno insinuando nel tessuto europeo) e complici attivi e passivi, fra i politici, i giornalisti e quelle masse di "pacifisti" che urlano tanto quando proviamo a difenderci e che tacciono in modo disgustoso mentre ci massacrano quotidianamente. Non si puo' venire a patti col Diavolo. Si puo' solo combatterlo fino alla fine. Non e' con l'amore e il dialogo che si e' posto fine al nazismo. Si e' dovuto sacrificare le vite di milioni di uomini e alla fine pure bruciare Dresda e violentare Berlino. Non si arrivera' a patti con l'integralismo islamico. E' inutile farsi illusioni. Piu' tempo si perde e piu' dolorosa sara' la guerra. Gli scellerati pusillanimi che continuano a trovare spiegazioni e giustificazioni al massacro delle torri gemelle o alla quotidiana strage di innocenti in Israele non saranno risparmiati dal mostro ai quali si sono asserviti. Quelli che ribadiscono sempre la propria equidistanza fra un soldato israeliano e un assassino che uccide bambini volontariamente e a sangue freddo, finiranno a pezzi, assieme a tutti gli altri infedeli che il mostro di turno trovera' sulla sua strada
    Non c'e' dialogo e non ci sara' dialogo. Non ci sara' pace che nessuna superpotenza potra' imporre dall'alto. Non cercavano dialogo quelli che hanno distrutto le torri gemelle e non cercano dialogo i Signori della Morte arabi, gli Arafat, Assad e gli altri delinquenti della regione. Noi tendiamo (giustamente) a volere sempre capire, razionalizzare. E' molto difficile misurarsi con fenomeni cosi' deumanizzanti quali il nazismo o l'Islam estremista. E' difficile accettare che vi e' un Male che sfugge a qualsiasi ragione. Ma c'e'. Il nazismo voleva conquistare il mondo. Fino a qui e' una cosa megalomane, ma razionalizzabile. Ma cosa dire dello sterminio degli ebrei? Perche' un paese impegnato in una guerra spreca energie per andare a cercare vecchietti ebrei che abitano in un villaggio di montagna di un isola greca???? Cosa ha guadagnato Ben Laden dal massacro delle torri gemelle?? I talebani sono stati massacrati, cosa che era alquanto prevedibile. Cosa guadagnano gli arabi "palestinesi" dal terrorismo?? Stavano ottenendo uno stato attraverso un processo di pace. Hanno distrutto tutto. E' chiaro a chi usa l'intelletto e la ragione che una soluzione alla guerra arabo-israeliana si puo' trovare solo attraverso un processo di pace, attraverso un compromesso di entrambe le parti che porti all'accettazione dei diritti dell'altra. Che ruolo gioca il terrorismo in tutto cio'? Aiuta in qualche modo gli israeliani a trovare la fiducia nei propri vicini?? Questo ai terroristi e alle masse deumanizzate da quel Male non interessa. Loro non cercano compromessi, non cercano accordi. Il loro unico obiettivo e' lo sterminio e la distruzione del "nemico sionista". Sembra che Hamas si prepari a usare armi chimiche
    Non sono particolarmente religioso, ma so'che il Male non ha mai vinto. Queste bestie non sono certamente i primi nella storia che provano a distruggerci. Ci ha provato il faraone, ma alla fine e' morto assieme ai suoi dèi di pietra. Ci hanno provato i Romani portatori peraltro di una civilta' raffinata, e oggi mi sorride il cuore quando vedo le scolaresche israeliane che fotografano l'arco di Tito nelle rovine dei fori romani. Ragazzi ebrei, studenti di una scuola di Gerusalemme, capitale eterna unita e indivisibile dello Stato di Israele che ridono (in ebraico!) alla faccia dei conquistatori del mondo, morti e sepolti assieme alla propria lingua religione e cultura. In quanto ai tedeschi, sono costretti a camminare a testa bassa per le vergogne dei nonni e bisnonni. L'Islam fanatico non andra' piu' lontano dei suoi predecessori. Sono ancora piu' bestiali, piu' grezzi, piu' primitivi.

Daniel

(Gruppo Rimon, 19.06.02)



IL SUICIDIO NAZIONALE PALESTINESE


Da un editoriale di Ha'aretz

    (…) Forse non ha senso discutere con criteri logici una manifestazione cosi' lontana dalla logica come gli attentati suicidi. Eppure i palestinesi - la dirigenza, ma anche i milioni di componenti di quella nazione che si suppone debba convivere pacificamente accanto a Israele quando sara' firmato un trattato di pace - dovrebbero considerare seriamente gli effetti di queste loro azioni.

prosegue ->
Molti palestinesi, pensando piu' alla societa' israeliana che al governo, pensano di convincere Israele che, proprio dal punto di vista israeliano, continuare il conflitto costa piu' perdite che ritirarsi sui confini da loro rivendicati. Tuttavia, se gli attentati suicidi hanno lo scopo di spingere Israele in questa direzione, i palestinesi - sia gli attentatori assassini, sia chi li incoraggia - sono doppiamente colpevoli: non solo del crimine di terrorismo contro civili israeliani, ma anche del tragico errore di incastrare se stessi in una nefasta follia dal punto di vista dei loro stessi interessi.
    Il terrorismo non portera' mai allo stato palestinese indipendente. Al contrario, il terrorismo si sostituisce a questa indipendenza e blocca la strada che vi condurrebbe. Certo, i gruppi terroristici possono indurre un cambiamento nella politica di Israele: ma un cambiamento nel senso dell'escalation, non in quello della capitolazione.
    Di fronte ai palestinesi pronti a far esplodere se stessi pur di massacrare bambini, donne e anziani, la conclusione dell'israeliano
 
   
   Gal Eizenman, 5 anni, uccisa nell'attentato palestinese di mercoledi' sera a Gerusalemme nord (7 morti), rivendicato dalle Brigate Al Aqsa di Fatah, il movimento presieduto da Arafat
medio non e' che i palestinesi si sono "guadagnati" il diritto a uno stato. La sua conclusione e' esattamente opposta, e cioe' che il terrorismo continuera' a colpire Israele anche a partire da quel futuro stato, e che pertanto e' molto meglio impedire del tutto la creazione di quello stato, almeno per il momento. Un trattato di pace raggiunto sull'onda delle stragi terroristiche non puo' essere foriero di pace perche' la parte che l'ha ottenuto seminando terrore puntera' ad aumentare le proprie conquiste seminando ancora altro terrore. (…)
    Come indicano tutti sondaggi, la maggior parte degli israeliani ha ormai accettato l'idea di uno stato palestinese e, in una certa misura, e' persino ansiosa di vederlo realizzato. Tuttavia nessun israeliano e' disposto ad accettare le manifestazioni di gioia dei palestinesi di fronte a ogni attentato suicida. Se la societa' palestinese, e in primo luogo la sua leadership, non si decidono a combattere sul serio questo mostruoso fenomeno, allora non faranno altro che condannarsi al suicidio nazionale.

(Ha'aretz, 20.06.02 - da israele.net)



A COLLOQUIO CON SARIN AHMAD


La ragazza «martire» che disse no al suicidio: «Pensai ai vecchi amici di un kibbutz che avrei potuto uccidere per caso»

La ventenne che ad aprile ebbe il coraggio di abbandonare lo zainetto carico di tritolo

GERUSALEMME  - Questa è una brutta storia di terrorismo, amore, confusione mentale, fanatici profittatori e, alla fine, di sana paura. E' la storia raccontataci ieri in carcere da Sarin Ahmad, 20 anni, che il 22 aprile tornò a casa dopo aver lasciato il suo zaino da dieci chili di tritolo e chiodi dentro una vecchia auto nel centro di Rishon le Tzion; questo ha salvato poche vite, perché il suo compagno di 16 anni, Issa Badir, invece è andato fino in fondo, uccidendo tre innocenti in un giardinetto. Compita, educata fino alla leziosità, la terrorista pentita siede con le gambe un po' larghe, comoda, nel carcere di detenzione preventiva che fa capo al Russian Compound (la stazione centrale di polizia) a Gerusalemme; ha una maglietta bicolore e pantaloni scuri. Le sopracciglia ben disegnate sugli occhi orientali illuminano un viso tondo, piuttosto comune; la sua gestualità sta fra la modestia orientale e una certa sfacciataggine. Quando Ibrahim Sarahna, l'autista dei terroristi suicidi di Betlemme che abbiamo intervistato su queste pagine, la riportò a casa da Rishon le Tzion dopo che la ragazza aveva rifiutato all'ultimo minuto di farsi esplodere, la moglie ucraina di Sarahna mise il broncio: «Mia moglie non vuole che veda altre donne». «Quel giorno - racconta Sarin - mi ero messa una maglietta troppo stretta e molto corta, come le israeliane». Alla vigilia del processo la ragazza lancia dalle colonne de «La Stampa» un messaggio: «Agli altri giovani che vanno a farsi esplodere fra gli ebrei voglio dire: pensateci due volte, è ora che i due popoli palestinese e israeliano smettano di uccidersi l'un l'altro. C'è modo di trovare un accordo, se si vuole». Sarà sincera?
    Ecco come si racconta.
    La ragazza nasce in una famiglia di Betlemme molto agiata: «Abbiamo tre case, tutte belle, col giardino; ho sempre studiato con profitto, adesso sono al secondo anno della facoltà di Economia e commercio, e ho preso una borsa di studio come esperta di computer. Ma sono stata sempre una ragazza diversa, figlia unica, mentre tutti hanno tanti fratelli. Mio padre morì che avevo sei mesi, mia madre se ne andò col nuovo marito a vivere in Giordania. Invece mia nonna, anche se ha cambiato marito anche lei, mi ha dato una famiglia, con le mie due zie, di cui una si occupa della casa, l'altra ha un master in matematica». Sarin non vive nessuno dei problemi economici terzomondiali del mondo palestinese: «Ho sempre sentito l'oppressione sofferta dal mio popolo, molti amici hanno avuto lutti, ho partecipato al loro dolore e alle loro discussioni». Tutti i giorni va all'università di Betlemme, dove si innamora di Jad Salem, 26 anni, membro dei Tanzim. Salem, secondo gli incartamenti della polizia israeliana, è responsabile di parecchi attentati nati a Betlemme, una delle centrali del terrore. Fra questi, l'esplosione di Beit Israel, 9 morti; e un'autobomba vicino a Male Adumim, una guardia uccisa. «Era coraggioso, la notte era sempre in giro; no, non mi raccontava nulla, ma mi diceva che io ero tutta la sua vita. Io capivo, lo pregavo di non andare, di stare attento. Per carità, da soli non ci incontravamo mai, ma all'università stavamo ore e ore insieme, e poi al telefono. Lui non era un universitario, veniva per me e per la politica. Sapevo che uccideva, ma solo soldati, e per me questo è giusto. Se i miei obiettivi fossero stati militari anch'io... Comunque, il mio boy-friend è stato ucciso dagli israeliani». Come? «Assassinato», dice Sarin. Ma i documenti parlano chiaro: Salem è morto su una delle sue molte bombe, in un «incidente di lavoro». Per lei è un martire: gli amici si congratulano, vede i ritratti sul muro, lo loda la tv.
    Allora cerca un amico comune: «Era un martedì. Ho detto ad Ali Moughrabi, amico di Jad, il cui fratello capo della cellula dei Tanzim era stato anche lui ucciso dagli israeliani, che volevo aiutare». Non è vero: Ali, il ragazzo, ora racconta che la ragazza l'ha cercato proprio per dichiararsi pronta al martirio. «Ci incontriamo all'Università il venerdì», replica risentita Sarin: «Lui mi dice che mi faranno sapere. Il martedì si ripresenta e mi dice: "Va bene, ti accettiamo, sia fatta la volontà di Allah". No, la parola esplosione non venne mai pronunciata. E il mercoledì alle otto, durante la lezione, si presenta Sarahna: era già venuto a prendermi. Di già? "Si, subito, andiamo. Come? Non sei pronta? Prega Allah"». Sarahna porta la ragazza in una casa dove lei incontra anche l'altro ragazzo pronto a esplodere. «Mi dissero: "Dobbiamo pregare". E abbiamo pregato per chiedere a Dio di rispettarmi come una brava ragazza». Ma preghi spesso? «Cinque volte al giorno, ma non credo al Paradiso come lo descrivono. Per me è essere nelle mani di Dio. E invece mi chiesi se stavo per andare all'Inferno. Ma ero impressionata, spaventata, soprattutto quando ho visto la borsa con la bomba. Era enorme, pesante. Mi dissero: è per la Palestina, per Dio. Pesava 35 chili». Erano dieci chili, nella realtà.
    La ragazza e Issa vengono guidati fino a Rishon in corteo, la macchina di Sarahna e consorte davanti. «Al ragazzo fu insegnato a guidare in mezz'ora, non aveva la patente; la macchina aveva i fari rotti e non aveva i freni. Chiamavamo col telefonino Sarahna per lamentarci, il ragazzo non riusciva a guidare, Sarahna gli diceva di non fare storie». A Rishon Sarin scende dalla macchina e va nella direzione opposta rispetto al suo compagno di assassinio. Deve farsi saltare per aria cinque minuti dopo il suicidio di lui. Ma decide che non vuole più: «Anche quelli erano esseri umani, pensai ai miei vecchi amici di un kibbutz che avrei magari potuto uccidere per caso. Pensai che mi avevano mandato senza preparazione, in fretta. E pensai che, al 90 per cento, sarei andata all'Inferno. Anche il ragazzo voleva rinunciare. Telefonai a Sarahna, che disse di no: dovevamo morire. Io gli dissi che sarei tornata a casa comunque, intanto avevo riposto l'esplosivo in macchina. Il ragazzo alla fine decise per il sì». Ma era un sedicenne, lei una donna con una casa, anzi tre. Le zie la accolgono, lei vede la notte alla tv i risultati del «suo» attentato. Va a dormire. «I miei amici avrebbero fatto su di me una croce e un punto interrogativo», ovvero avrebbero deciso di ucciderla come collaborazionista. Resta nascosta per sei giorni, finchè la polizia israeliana la trova: «Adesso starò in carcere cinque o sei anni, poi con la zia andremo a stare in Giordania, e continuerò a studiare».
    Ripete che non è il caso di continuare con i martiri, bisogna trovare altre strade politiche. La verita è che la ragnatela del terrore, che qui ci mostra una ragazza di buona famiglia, alcuni terroristi senza scrupoli, un ex delinquente come Sarahna, è così vasta, avida, sbrigativa da ostruire ogni via.

(La Stampa 19.6.02)



LA BAMBINA, IL SOLDATO E L'IMAM DEL QATAR



Il 7 giugno scorso, la Tv del Qatar, paese arabo "moderato", ha trasmesso un sermone dell'imam della moschea Umar Bin-al-Khattab di Doha, che recita così:

«O Dio, dà forza all'islam e ai musulmani, proteggi la religione, umilia l'infedeltà e gl'infedeli, distruggi i nemici della regione e sorreggi i tuoi fedeli servitori. O Dio, distruggi gli ebrei, i cristiani e tutti coloro che li aiutano».

La speranza, invece, cammina con il soldato israeliano che "scorta" la scolara palestinese.

("Tempi" N.25, 20 giugno 2002)



LETTERA DA ISRAELE


Un italo-israeliano risponde ad un suo caro amico in Italia, spiegandogli perche', malgrado l'aria che tira in Israele, non fa le valigie. I nomi sono immaginari, ma la lettera e' autentica.

Caro Ciccio,

    non sono sicuro di avere pienamente capito la tua lettera. Il messaggio che mi sembra di recepire e' "pensa a salvare la pelle piuttosto che concentrarti sul tuo odio per gli arabi". Proprio ieri sera pensavo a te e consideravo con un certo sollievo il fatto che hai rimandato a tempi migliori la tua gita. Non e' un posto rilassante Israele in questo momento. Tuttavia, quello che mi ha portato qui non e' stato certamente l'odio per gli immondi "cuginastri", bensi' un genuino amore per questo paese. Le storie che ho sentito per bocca dei miei nonni quando ero piccolo mi hanno posto seri dubbi circa il significato di vivere in un mondo che ha potuto generare orrori del genere; la rinascita di Israele e lo sviluppo prodigioso di questo paese mi hanno dato la forza di andare avanti, la fede (e parlo davvero di Fede) della quale in almeno piccola misura abbiamo bisogno per confrontarci con un mondo capace di produrre orrori troppo grandi e deumanizzanti. Israele e' sempre stato un pezzetto di me, un elemento di sicurezza. Mio nonno negli anni '50 ha comprato due terreni in un posto bellissimo sopra Haifa e questo gli ha dato la serenita' e la sicurezza di cui aveva bisogno. Ci raccontavano le loro sventure e soprattutto una cosa, per noi difficile da capire: non avevano nessun posto dove scappare! Nella tua lettera mi dicevi che la maggior parte degli italiani immagina di scappare altrove, qualora la malasorte si abbatta sull'Italia. Io ho sempre saputo che c'e' Israele, che c'e' uno stato ebraico che e' pronto ad accogliermi a braccia aperte in qualsiasi momento. Ho sempre saputo che non puo' accadere a me quello che e' accaduto ai miei nonni , e questo sopprattutto perche' esiste Israele. Ho atteso fino all'eta' di 24 anni per fare un viaggio come si deve da queste parti. E' stata un'esperienza molto forte. Ho sentito di essere a casa; mi sono sentito parte di questo paese e della sua storia. C'e' poco da fare Davide e' cosi'. Potrei vivere in Italia 50 anni ma, davanti al tg piangerei i morti di Israele e non la sconfitta della nazionale. Non credo che Israele sara' distrutta dagli arabi. Potrebbe esplodere un'arma chimica. La follia omicida dei nostri nemici non ha limiti, ma non sono sicuro che la cosa non succedera' all'improvviso e a tradimento in qualche grande citta' europea. Il prezzo da pagare per lasciare Israele e' troppo alto. Dal mio punto di vista significa offrire a mio figlio un mondo come quello in cui hanno vissuto i miei nonni. Un mondo in cui alcuni ammazzano gli ebrei, altri osservano senza esserne troppo turbati e alla fine non c'e neppure un posto dove ci si possa davvero difendere e rifugiare. So' che queste frasi sembrano paradossali in un momento in cui paradossalmente Israele e' l'unico paese al mondo in cui vieni ucciso per il fatto di essere ebreo. Israele mi ha dato moltissimo; mi ha dato la sicurezza e la sensazione di non essere come i miei antenati, dei poveretti senza terra sempre esposti a pericoli tremendi e odio insaziabili. Ho sempre saputo di avere nelle mie mani la scelta, la liberta' di vivere in qualsiasi posto del mondo o li'. Ho passato qui gli anni migliori della mia vita, ottenuto il dottorato in una entusiasmante universita' che ho visto crescere sotto ai miei occhi. Ho visto un milione di russi trasformarsi da poveretti balbuzienti e privi di background ebraico, in fieri e appassionati cittadini. Ho visto l'amore e il calore col quale questo paese mi ha accolto. L'amore delle insegnanti di ebraico degli "ulpan", le scuole per nuovi immigranti, dove queste donne, pagate una miseria, ci hanno trasmesso la lingua come a bambini piccoli e assieme l'amore per il paese. Israele e' una famiglia. C'e' qui un'unita' che non esiste in nessun altro paese del mondo. Ci si scanna nei dibattiti, si urla ci si azzanna, ma come fra fratelli che vivono sotto allo stesso tetto. Tutti i miei amici hanno passato anni della loro vita in uniforme e anche ora vengono richiamati e mandati a proteggerci da quelle belve senza dio. Non so se avrei il loro coraggio. Ma non sono neppure un codardo totalmente irresponsabile. Non posso fingere di fregarmene e voltare le spalle a questo paese. Senza Israele saro' un senzatetto. Questa casa va' difesa. Non mi e' richiesto troppo coraggio. Una certa dose di fiducia e di sopportazione. La situazione economica e' tragica, ma al mattino vado a lavorare in un parco industriale che e' tutto una gru. Si costruisce come se fossimo in mezzo a un boom economico. Follia? Forse, ma e' cosi' che si e' compiuto il miracolo: tirando avanti sempre. Abbiamo travolto i nostri nemici con la nostra forza e creativita'. Si e' costruito dal nulla un paese che e' perfettamente in linea con l'Europa, e questo nonostante le guerre continue. Se si abbandona tutto cio' e si comincia a fuggire, sara' una fuga continua, come e' stato per 2000 anni. E' anche per questo che ho fatto il passo e sono venuto qui. Non ho voluto attendere che venisse il mio turno di fuggire, come e' stato per i miei genitori.
    Un abbraccio,
    ----------------

(Federazione Associazioni Italia-Israele, 20.06.02)



LIBRI


Roger Liebi, Israele e il destino dell'Irak, ed. DLC, 1996, p.105


INDIRIZZI INTERNET


L'isola della rugiada divina