Notizie su Israele 107 - 25 giugno 2002


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Quand'anche i tuoi esuli fossero all'estremità dei cieli, di là il SIGNORE, il tuo Dio, ti raccoglierà e di là ti prenderà. Il SIGNORE, il tuo Dio, ti ricondurrà nel paese che i tuoi padri avevano posseduto e tu lo possederai; ed egli ti farà del bene e ti moltiplicherà più dei tuoi padri. Il SIGNORE, il tuo Dio, circonciderà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti affinché tu ami il SIGNORE, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua, e così tu viva. Il SIGNORE, il tuo Dio, farà cadere tutte queste maledizioni sui tuoi nemici e su tutti quelli che ti avranno odiato e perseguitato.

(Deuteronomio 30:4-7)


INEVITABILE LO SCONTRO AL CONFINE SETTENTRIONALE D'ISRAELE?


    Uno scontro aperto lungo il confine settentrionale d'Israele, innescato da Hezbollah e destinato rapidamente ad allargarsi con la riposta israeliana contro le forze siriane in Libano, e' praticamente inevitabile. Lo ha dichiarato domenica ai giornalisti il generale dell'aviazione israeliana Dan Halutz, dopo che per l'ennesima volta l'artiglieria Hezbollah aveva sparato colpi d'anti-aerea da 57 mm sugli agglomerati israeliani nell'Alta Galilea colpendo una casa a Kfar Yuval e causando vari altri danni minori, ma fortunatamente nessuna vittima.
    "Il fuoco anti-aereo di Hezbollah - ha detto l'ufficiale israeliano - non e' affatto rivolto contro gli aerei israeliani bensi' direttamente contro il territorio dello Stato di Israele". Israele ha gia' fatto pervenire ripetuti avvertimenti a Libano e Siria per segnalare che non verra' tollerato un bombardamento continuo della propria regione settentrionale.
    Domenica pomeriggio alcuni osservatori Onu dell'UNIFIL, di stanza in Libano, hanno ispezionato i danni provocati dai colpi Hezbollah a Kfar Yuval. L'attacco di ieri e' il terzo nell'arco di una settimana.
    Le milizie fondamentaliste filo-iraniane Hezbollah hanno ammassato nel Libano meridionale tra 8.000 e 10.000 razzi del tipo Katyusha e del tipo Fajr-3 e Fajr-5 a lunga gittata, capaci di colpire la citta' di Haifa e la sua baia densamente abitata e industrializzata. L'escalation Hezbollah continua da mesi e i comandi militari israeliani sono pessimisti sui suoi possibili sbocchi a breve termine. Hezbollah sta evidentemente cercando di provocare una risposta militare israeliana con l'obiettivo di aprire un secondo fronte contro Israele che coinvolga il Libano e la Siria, che ne detiene il controllo.

(Jerusalem Post, 24.06.02 - da israele.net)



INTERVISTA A DORON MENCHELL


di Dimitri Buffa

    Il dottor Doron Menchell è nato a Haifa , dove risiede con la famiglia, ma ha studiato Medicina all'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma ed ha vissuto diversi anni in Italia. Sua figlia Michelle è nata a Roma ed è morta ad Haifa a 22 anni Il 31 marzo scorso è stata uccisa, insieme ad altri 15 cittadini israeliani, in un attentato terroristico suicida palestinese, perpetrato nel ristorante Matza.
    Menchell attualmente fà l'imprenditore nell'ambito dell'industria farmaceutica e delle apparecchiature sanitarie, a livello multinazionale. Nonostante l'indicibile tragedia che lo ha colpito, Doron Menchell è venuto nel nostro Paese per raccontare la sua storia ai soci dell'associazione di amicizia Italia-Israele e per portare la testimonianza diretta di cittadino di uno Stato che, da ormai due anni, deve fronteggiare il più duro attacco dalla sua fondazione nel 1948. Attacco della cui gravità solo una parte della pubblica opinione occidentale sembra rendersi conto.

L'"Opinione" lo ha intervistato.

D - Dottor Menchell perchè oggi lei è qui in Italia?
R - "Perchè ricordando alla gente ciò che mi è successo evito di impazzire. Sa, ad Haifa vivevo in casa da tre mesi, ogni cosa mi ricordava mia figlia, la scuola, il vecchio fidanzato, quello nuovo, i negozi che frequentava, c'era di che impazzire..."

D - Come ha saputo dell'attentato?
R - "Quel maledetto 31 marzo ero davanti al computer, mia moglie ha sentito che era saltato in aria il ristorante in cui andavamo a mangiare tutti in famiglia quando non ci andava a cucinare. poi ci hanno telefonato che nostra figlia era tra le vittime.."

D - Chi era sua figlia?
R - "Una ragazza giovane e bella che si occupava dei ragazzi disagiati, cosa che aveva appreso a fare durante il servizio militare. era un bel periodo della sua vita, era fidanzata con un nuovo amore, aveva preso casa per conto suo..si sentiva quasi una piccola donna arrivata."

D - E che dice oggi lei alla gente qui in Italia?
R - "Che è in atto un'aggressione senza precedenti allo stato d'Israele con un terrorismo disumano che produce l'equivalente di due stragi di piazza Fontana a settimana. Spero che qualcuno prima o poi se ne renda conto."

D - Veramente oggi l'Europa ha sbloccato i fondi verso l'Anp perché dice che non ci sono prove che siano utilizzati per finanziare il terrorismo..
R - "Ah sì? Beh io le dico che non si va da nessuna parte con questa politica, l'Europa si illude di fare come quello che credeva di venire mangiato per ultimo dal coccodrillo e mandava avanti i suoi simili perchè venissero divorati prima di lui..."

D - Che intende dire?
R - "Che le metastasi del terrorismo islamico sono saldamente piantate anche in Europa, basterà un ordine e anche da voi la gente si farà saltare in aria, perchè la lotta è contro tutto l'occidente, di cui Israele è un avamposto."

D - Per cui?
R - "Non si illuda l'Europa di restare fuori da questa guerra totale al terrorismo, anche da voi si potrebbero ripetere le scene che ogni giorno si vedono ai telegiornali a Gerusalemme."

("Informazione corretta", giugno 2002)



VITA QUOTIDIANA IN ISRAELE


Così cambia la vita di una madre israeliana dopo un attentato

di Cameron W. Barr

GERUSALEMME - Talia Sapir ha sempre pensato che il terrorismo non sarebbe arrivato fino a lei. Una sera dello scorso marzo, però, un attentatore suicida palestinese entrò in un caffé di Gerusalemme, dove lei si trovava in quel momento, uccidendo 11 israeliani e se stesso. Talia si ritrovò coperta di sangue, non suo, ma uscì dall'attentato fisicamente indenne.
    Madre di un neonato e con un lavoro a tempo pieno, Talia Sapir dice di non avere il tempo di cercare un sostegno professionale, che l'aiuti a superare l'esperienza. Con una voce dolce ed un viso rotondo, si dibatte un momento, ancora sotto shock, ma determinata: "Non posso permettere che mi spezzi la vita".
    La sua è stata un'esperienza estrema. Ma la sua scossa determinazione riflette lo stato d'animo di Israele nel suo complesso, che pare sempre più incerto sul da farsi. I regolari sondaggi di opinione sul modo di affrontare il conflitto con i palestinesi rivelano vasti appoggi a strategie contraddittorie.
    La sera del 9 marzo, alle 8.30 circa, Talia Sapir decise di lasciare la sua bambina di cinque mesi e mezzo, Maayan, con i suoi genitori e di andare al caffé con il marito. Non erano stati fuori da secoli. I nonni si presentarono per il babysitting proprio mentre stava mettendo a letto Maayan. Alla televisione, Talia vide che due attentatori palestinesi avevano sparato in un albergo nella città costiera di Natania, uccidendo due israeliani. "Non uscire", le disse la madre. Talia, tuttavia, si sentì stranamente consolata dalle notizie: "Hanno fatto la loro per oggi - pensò - non ce ne sarà un altro".
    Indossò la giacca verde pallido, la sua favorita, sui pantaloni ed il golf neri, poi lei ed il marito si recarono in macchina ad un bar-ristorante, chiamato Moment. Situato ad un centinaio di metri dalla residenza del Primo Ministro, Moment è un punto di incontro per gli israeliani laici, un club informale per gli yuppies di Gerusalemme.
    Talia Sapir, che lavora come coordinatore di progetti per una organizzazione di raccolta-fondi, il Keren Hayesod - Appello Unificato per Israele, e suo marito, amministratore di sistemi computerizzati, da anni erano abituali frequentatori del locale. Come al solito il sabato sera, il posto era pieno.
    Talia voleva tentare di trovare un posto a sedere all'interno. Suo marito preferiva restare fuori, nel giardino, per poter fumare. Sono piccole cose. Talia acconsentì. Il loro tavolo si trovava accanto all'entrata del bar, vicino alla parete di vetro che divideva l'interno dal giardino, a pochi metri dal sorvegliante, incaricato di controllare il pubblico all'ingresso della zona del bar. Per una mezz'ora circa, la coppia bevve la propria birra, nella fredda aria serale. Alle 22.30 circa, l'attentatore aggirò in qualche modo il sorvegliante, entrando nel bar.
    Talia udì e risentì l'effetto dell'esplosione nel medesimo istante. Poi vi fu il silenzio che segue un rumore assordante. Poi le prime sirene. Talia si tirò su dal pavimento e cominciò a registrare la scena. La parete di vetro non c'era più. L'interno del caffé era completamente disastrato. La gente che si trovava nel giardino era già fuggita, lasciandolo improvvisamente vuoto. Vide dei brandelli di corpi: "Immagini del genere - non si dimenticano". Sapeva di essere coperta di sangue, ma sapeva anche di non essere stata ferita seriamente. Suo marito sembrava stare bene. Le ambulanze stavano arrivando, ma Talia decise di non aspettarle. Voleva andare a casa, vedere la sua bambina, "togliersi tutto di dosso il più presto possibile".
    Non trovando le chiavi della macchina nella confusione, la coppia prese un taxi. Scendendo dal taxi, Talia si tolse l'amatissima giacca verde, ricordo di un viaggio in Francia, che il marito infilò rapidamente in un bidone della spazzatura, prima di entrare in casa.
    Molti ebrei sono attentissimi a seppellire ogni resto umano secondo i precetti religiosi, ma Talia non provò rimorso buttando i suoi vestiti. Era certa che il sangue ed i resti sui suoi abiti non erano di ebrei: erano dell'attentatore. Mentre giaceva a terra, nel caffé, ne aveva visto la testa vicino a sé. Una volta a casa, tutti i suoi vestiti furono gettati nella spazzatura. Poi ci vollero un'ora e mezza di doccia e due bottiglie di shampo per i suoi lunghi capelli bruni.
    Si sentiva "violata", dice.
    Il giorno dopo era domenica, un giorno feriale in Israele e Talia si prese una vacanza dal lavoro per andare all'ospedale per un controllo generale. I medici confermarono che, fisicamente, era illesa. Anche suo marito era indenne, ma oltre 50 persone erano state ferite e uccise, molte ferite di penetrazione, causate dai chiodi e dalle altre ferraglie contenute nell'ordigno esplosivo dell'attentatore. Il lunedì, Talia era di nuovo in ufficio. Per i primi giorni, pianse un po', poi si costrinse a tornare alle cose importanti della sua routine: portare Maayan al nido e concentrarsi sul lavoro.
    E alle volte, un improvviso attacco di panico.
    Alcune settimane dopo l'attentato, mentre lei e Maayan stavono uscendo dal palazzo dei nonni, Talia notò una felpa sporca sotto la sua macchina. Si meravigliò che qualcuno avesse lasciato lì una felpa, poi, immediatemante, "seppe" che qualcuno era stato sotto la macchina. Qualcuno vi aveva messo una bomba. Si vide girare la chiave di accensione, innescando l'esplosione.
    Chiamò suo padre al citofono, chiedendogli di avvertire la polizia. Quando arrivarono, furono gentilissimi. Un poliziotto guidò la macchina su e giù intorno all'isolato, per provarle che non esplodeva.
    Il pomeriggio di un fine-settimana, mentre i suoi genitori erano con Maayan,Talia chiamò suo padre al cellulare per essere sicura che tutto fosse a posto. "Va tutto bene", le disse il padre. Lui, la mamma di Talia e Maayan erano seduti in un caffé.
    Talia rimase congelata. Nella sua mente, poteva vedere l'esplosione, le immagini del Café Moment. Immediatamente andò al caffé, insistendo perché tornassero a casa. La preoccupazione per la sua Maayan, dagli occhi tondi e i capelli scuri, ha portato Talia Sapir a predere in considerazione una soluzione radicale alle sue ansie e così, per la prima volta nella vita, Talia ha contemplato la possibilità di lasciare Israele.
    Il problema è che non può, almeno non definitivamente. Tanto per cominciare, non ha una seconda cittadinanza o dei famigliari all'estero, condizioni per un trasferimento senza intoppi in un altro paese. Talia è israeliana, nata e cresciuta qui. Anche i suoi genitori lo sono. Da parte della madre di suo padre, la famiglia si trova qui da sette o otto generazioni.
    Il datore di lavoro di Talia Sapir, il Keren Hayesod - Appello Unificato per Israele, inoltre, è una delle istituzioni che hanno fondato lo Stato Ebraico. Il suo piccolo ufficio si trova nello stesso edificio dove David Ben Gurion, il primo capo del governo di Israele, aveva una volta il suo.
    Ogni volta che va al lavoro, Talia entra in una lobby dove sono appesi posters incorniciati risalenti ai primi giorni del Sionismo. In uno si vede un uomo che lavora in un campo, con lo sguardo determinato rivolto verso qualcosa che può solo essere il futuro. "Palestina - aiutatelo a costruirla", vi si legge. Se di andarsene non se ne parla - "Non potrei farlo veramente", dice, per quanto l'idea solletichi i suoi istinti materni - rimanere, però, richiede due compromessi. Il primo è accettare una leadership politica, nella persona del Primo Ministro Ariel Sharon, che cinque anni fa non avrebbe mai appoggiato.
    L'altro è adattarsi ad una vita confinata.
    "Niente" è diventato il principio-guida nel modo di vivere post-Moment di Talia Sapir. Niente caffé, niente ristoranti. "Per me, tutto ciò è passato", dice. Niente parchi, niente cinema, teatri, niente centri commerciali. Niente centro-città. Niente posti affollati. Niente zoo per Maayan.
    Quando sente le sirene a distanza o le capita di ascoltare qualcuno che parla di un attentato, Talia si trattiene dall'accendere la radio o la televisione, un atto di eresia in un paese dedito alle notizie dell'ultima ora. "Tento di evitare i notiziari, per tirare avanti. E' paralizzante", ammette.
    Una delle sue colleghe conduce da tempo una vita ristretta di questo genere, limitando i suoi figli alla casa, alla scuola e alle

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case degli amici. "Mi sembrava matta - dice Talia - pensavo che stesse esagerando. Ma ora so che non è così".
    Talia ci è andata vicino già diverse volte in passato. Dieci anni fa, durante un viaggio in India, un passo falso nel buio la fece cadere in un burrone. Se la cavò con un mal di schiena. Un incidente automobilistico in Israele la lasciò molto scossa, ma illesa. Se l'è cavata anche al Café Moment, ma la sua sensazione di essere "impermeabile" è stata scossa.
    "Mi è capitato tre volte di trovarmi in una situazione in cui pensavo di stare per morire e non è successo", dice. L'attentato a Moment si distingue perché ha messo Talia di fronte al "puro odio, alla pura malvagità". "L'idea che qualcuno sia disposto a morire pur di ammazzarti, è una cosa orrenda". Per il momento, ritiene che non vi siano soluzioni. Per Talia Sapir, sopravvivere al terrorismo significa tentare di non sbagliare mai "le piccole decisioni che possono cambiare la tua intera vita", come accettare di sedersi all'esterno del Café Moment.
    Nella sua piccola Fiat, ha fatto disattivare l'air-bag del sedile accanto all'autista, così che Maayan possa stare con il suo sedile di sicurezza vicino a lei. In questo modo, può liberare alla svelta la bambina o farle scudo con il proprio corpo, in caso ci fossero dei guai. "Si pensa a cose a cui la gente normale non pensa - dice Talia - Sembra una follia, ma non lo è. E' la realtà".

(Keren Hayesod, giugno 2002)



IL RIFIUTO ARABO DELL'ESISTENZA D'ISRAELE


La vera colpa occidentale

di Ernesto Galli Della Loggia

    Prosegue con puntualità la mattanza ad opera del terrorismo palestinese; beninteso, sempre contro obiettivi che di militare o di politico in senso stretto non hanno nulla. Tra colpire una caserma o un pub, i valorosi combattenti di Al Aqsa o della Jihad islamica non hanno esitazione: le loro vittime preferite sono gli inermi. Ma non si parli di violenza cieca, come troppo spesso facciamo, quasi a voler esorcizzare il fenomeno relegandolo nell'ambito oscuro della casualità e dell'incomprensibile. Cieca quella violenza non lo è affatto: essa persegue con lucidità l'obiettivo di logorare la resistenza, la tenuta psicologica della società israeliana: isolandola, mirando a fare dello Stato ebraico una sorta di zona della morte dominata dalla roulette russa dell'attentato quotidiano. Un luogo dove ormai, se una famiglia deve prendere un autobus, cerca di salire su due vetture diverse confidando nel calcolo delle probabilità. Un luogo dal quale è sempre più forte la tentazione di fuggire. Non c'è da stupirsi del resto: il solo e vero scopo del terrorismo non è forse quello di terrorizzare? Dunque una violenza calcolata, soprattutto dagli importantissimi risultati politici. Infatti il terrorismo cambia tutte le carte in tavola, vanifica ogni progetto di pacificazione, muta l'intero quadro del conflitto arabo-israeliano. Ciò facendo però esso svela anche i terribili errori commessi in tutti questi anni dalle cancellerie europee.
    Un giorno di tali errori bisognerà pure indagare a fondo le complesse e varie premesse psicologiche e culturali: dall'altezzoso antiebraismo tipico della tradizione aristocratico-alto borghese europea trapassata poi nella diplomazia, all'algido terzomondismo moralistico delle socialdemocrazie protestanti nord-continentali, al pauperismo antigiudaico del retaggio cattolico-mediterraneo. Per il momento quel che salta agli occhi è il cul de sac politico-diplomatico in cui tutto ciò ha cacciato l'Europa. Per anni siamo andati avanti convinti che per raggiungere la pace il punto decisivo non fosse la parte araba, non fosse la sua ambigua composizione di duri e moderati, non fosse il bisogno di un nemico esterno assoluto che accomuna gli uni e gli altri, non fosse il radicalismo dell'ideologia politica diffusa tra le sue masse. No, per anni abbiamo fermamente creduto che il cuore del problema stesse invece in Israele: che bisognasse isolare la «destra» sionista, scagliarsi contro l'«espansionismo teocratico», appoggiare la «sinistra», i «pacifisti» e quant'altri. Non abbiamo voluto capire che nei Paesi democratici come Israele chi alla fine decide della pace e della guerra è solo e sempre l'opinione pubblica, il suo fondamentale buonsenso il quale finisce per imporsi tanto alla destra che alla sinistra; e che l'importante è perciò fornire a quel buon senso i motivi ragionevoli per decidere nel modogiusto.
    Non abbiamo capito che era sui palestinesi che bisognava invece assolutamente agire, che era loro che bisognava dividere: che la premessa di tutto era una leadership palestinese autentica, libera da ricatti, orientata al compromesso; che per ottenere tale obiettivo era sul fronte arabo che si doveva soprattutto operare al fine di cercare da un lato di illuminare quell'opinione pubblica, ubriacata per anni dalla più stolta propaganda, dall'altro di spezzare con durezza, con determinazione, il ricatto estremistico dei vari Iran e Iraq che alimentano le fazioni radicali palestinesi.
    Oggi il terrorismo rimette le cose al loro posto. Indica senza possibilità di dubbi dove sia il punto critico della questione mediorientale: nel rifiuto arabo della pura e semplice esistenza di Israele (chi può pensare infatti che mettere bombe serva a un compromesso?) e nel sostanziale assenso che quel rifiuto alla fine è in grado di estorcere, anche per colpa nostra, a tutto quanto l'Islam.

(Corriere della Sera, 21.06.02)



BUONI RAPPORTI TRA ARABI ED EBREI


L'esplosione dell'autobus non ha turbato i rapporti
tra arabi ed ebrei in Beit Safafa

    L'attentatore suicida che martedì scorso ha fatto saltare in aria l'autobus della linea 32, è salito sull'autobus all'inizio del villaggio di Beit Safafa, che appartiene al territorio della città di Gerusalemme. Fin dalla fondazione dello Stato d'Israele, il luogo è noto per le sue buone relazioni con gli abitanti dei confinanti quartieri ebraici Gilo, Pat e Katamon.
    Erano corse voci che l'attentatore prima dell'attacco avesse trovato asilo durante la notte a Beit Safafa, ma le voci sono state decisamente smentite fin dal giorno dopo da più di una ventina di abitanti. Alcuni hanno fatto notare che tra i morti e i feriti c'erano anche degli abitanti di Beit Safafa.
    "No, non qui. Mai. Beit Safafa, Pat, Gilo, Katamon, siamo tutti una famiglia", ha detto Handi Aliyan, coproprietario del supermarket, frequentato più da ebrei che da arabi. Jacqueline Joussof, che gestisce una sala di Friseur la cui clientela è composta per il 70% da donne ebree, ha detto che per un paio di giorni dopo l'attentato terroristico c'è stata una diminuzione delle clienti ebree, ma dopo è tornato tutto normale.
    Lavoranti di un altra sala di Friseur hanno riferito che, nonostante tutto, il mercoledì dopo l'attentato l'esercizio è andato avanti come al solito. Dina Soffer, del quartiere ebraico Neveh Ya'acov, che sette anni fa è stata anche lei coinvolta in un attentato suicida, ha detto ai reporter: "Tutte le volte che ho tempo, getto un'occhiata qua dentro. Le persone sono gentili e fanno il lavoro egregiamente." Ora Jitzhaki, di Pat, ha aggiunto: "Sono nata in questo quartiere e ho vissuto tutta la mia vita con questi arabi. Sono brave persone." Il proprietario della sala di Friseur, Robert Skafey, un arabo cristiano, fa lavorare musulmani, cristiani ed ebrei.

(International Christian Embassy Jerusalem, 21.06.22)



INCONTRO DI PREGHIERA A GERUSALEMME


Il sindaco di Gerusalemme Ehud Olmer ospiterà l'incontro di preghiera internazionale che si terrà a settembre in Gerusalemme, a cui parteciperanno 300 cristiani evangelici. Olmert dichiara nella sua lettera a Mike Evans: "Sono sicuro che questo storico incontro di preghiera internazionale influenzerà il futuro di Gerusalemme.

(Stimme aus Jerusalem, 23.06.02)



RICERCA STATISTICA SULLE VITTIME DELL'INTIFADA


Anatomia dell'intifada di Al-Aqsa

di Johannes Gerloff

GERUSALEMME  - Quasi 1.500 palestinesi e più di 500 israeliani sono morti dall'esplosione dell'Intifada di Al Aqsa nel conflitto palestinese-israeliano. Questo rapporto di numeri determina l'immagine che ha il mondo del conflitto mediorientale e la sua opinione sul comportamento dell'esercito israeliano verso la popolazione palestinese. Ciò costituisce terreno fertile per la crescita di affermazioni su massacri o di presunti fatti.
    L'International Policy Institute for Counter-Terrorism (ICT) ha svolto ora una ricerca statistica su questi numeri. I ricercatori hanno suddiviso i morti per età, sesso e un altro elemento: se al momento della loro morte fossero coinvolti attivamente nella battaglia. Da ciò sono emersi diversi risultati sorprendenti. Più del 50 per cento di tutti i morti palestinesi erano coinvolti attivamente, con ogni evidenza, nella battaglia, mentre da parte israeliana meno del 25 per cento hanno perso la vita da combattenti. Il numero delle donne israeliane morte è più del doppio di quello delle palestinesi. Meno del 5 per cento dei morti palestinesi sono donne o ragazze. Inoltre il numero di civili israeliani sopra i 40 anni è più del doppio dello stesso gruppo d'età da parte palestinese. La statistica mostra che gli israeliani non coinvolti attivamente in battaglia uccisi negli ultimi 20 mesi, sono suddivisi nelle varie classi sociali, corrispondendo agli obiettivi civili che i terroristi palestinesi avevano scelto. I morti palestinesi al contrario sono ristretti a un segmento di popolazione: giovani tra i 13 e i 30 anni. Chiaramente questa analisi statistica confuta l'accusa per cui Israele colpisce i palestinesi in modo indiscriminato. Don Radlauer, che guida il progetto per conto delll'ICT, e i suoi collaboratori hanno trovato sempre difficoltà nel rilevamento i dati e fatti, soprattutto da parte palestinese. In particolare, i lunghi, a volte simili e poi molto differenti nomi scritti in arabo sembrano rompicapo.
    Anche la divisione in categorie dei morti non è facile. Così gli attentatori suicidi compaiono nella lista dei martiri palestinesi insieme agli innocenti civili. Gli incidenti sul lavoro, in cui ad esempio le bombe sono esplose anzitempo, devono essere valutati in altro modo rispetto alla morte dei collaboratori che sono stati uccisi dalla loro stessa gente. Ancora non chiaro poi nelle molte morti di bambini dimostranti, quando siano stati colpiti davanti, ossia dagli israeliani, e quando da dietro, quindi dai palestinesi. Le autopsie che chiarirebbero tutto ciò, non sono mai state eseguite.
    Mentre da parte israeliana è facile suddividere fra soldati e civili, da parte palestinese c'è una situazione di guerriglia. «Nel dubbio abbiamo deciso per gli accusati» spiega Radlauer. Ciò significa ad esempio che "i bambini che gettano pietre" in questo studio sono stati considerati non combattenti, mentre un civile israeliano che fu ucciso ad Afula dopo che aveva cercato con la propria arma di neutralizzare un terrorista, è definito combattente.
    L'analisi temporale delle morti consente una differenziazione delle varie fasi dell'Intifada. Così si può riconoscere dopo l'11 settembre del 2001 una crescita dei caduti palestinesi, il che viene ricondotto al fatto che l'esercito israeliano immediatamente dopo gli attentati in America si sentiva meno osservato dall'opinione pubblica mondiale.
    Nel dicembre 2000 si è registrato un forte calo delle morti palestinesi. Allora la regina svedese Silvia aveva stigmatizzato pubblicamente l'utilizzo dei bambini nel conflitto. Come conseguenza i critici palestinesi si sentirono incoraggiati a continuare, a farsi sentire. Gli attivisti dell'Intifada rinunciarono a trasportare interi bus di bambini al "fronte". Gli assegni ai genitori dei "ragazzini dell'Intifada" non furono più pagati dalle banche dell'Autorità palestinese.
    I ricercatori dell'ICT sono giunti alla conclusione che l'esempio delle morti palestinesi tra i civili sono il risultato di un'attiva campagna di propaganda, che glorifica il martirio. I giovani vengono incoraggiati ad andare contro le forze di sicurezza israeliane e a rischiare la vita. Radlauer parla di una propaganda di suicidio che fa credere ai ragazzini che "La morte non fa male".
    La parte più alta e significativa di civili israeliani tra le vittime dell'Intifada viene ricondotta a questa domanda: «Fino a quale misura i terroristi palestinesi devono uccidere israeliani per il "crimine" di Israele?». La domanda di Radlauer: «Perché vediamo sempre le decisioni di Israele, mentre ci interessano i sentimenti dei palestinesi, e mai il contrario?» rimane senza risposta.
    L'ICT, che viene finanziato da fondi privati e onorari degli incarichi, aggiorna i dati statistici dei morti da entrambe le parti costantemente e li rende disponibili sul sito Internet www.ict.org.il.

(Hamburger Abendblatt, 19.06.02, trad. Marilena Lualdi)



NOTIZIE IN BREVE

  • In una lettera al presidente d'Israele Katsav, per la prima volta il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Irineos I condanna gli attentati contro la popolazione civile, sottolineando che essi non fanno distinzione fra ebrei, cristiani e musulmani [se invece colpissero soltanto gli ebrei...]
    (israele.net, 25.06.02)
  • A Ramallah, nelle vicinanze della residenza di Arafat, in una zona commerciale era sistemata una grossa fabbrica di bombe. Colpita dal fuoco israeliano, le bombe sono esplose e la casa è crollata.
    (Stimme aus Jerusalem, 25.06.02)


INDIRIZZI INTERNET


History in a Nutshell