Notizie su Israele 109 - 5 luglio 2002


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Perciò di': "Così parla DIO, il Signore: Io vi raccoglierò in mezzo ai popoli, vi radunerò dai paesi dove siete stati dispersi, e vi darò la terra d'Israele". Quelli vi giungeranno, e ne toglieranno tutte le cose esecrande e tutte le abominazioni. Io darò loro un medesimo cuore, metterò dentro di loro un nuovo spirito, toglierò dal loro corpo il cuore di pietra, e metterò in loro un cuore di carne, perché camminino secondo le mie prescrizioni e osservino le mie leggi e le mettano in pratica; essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio. Ma quanto a quelli il cui cuore è attaccato alle loro cose esecrande e alle loro abominazioni, io farò ricadere sul loro capo la loro condotta, dice il Signore, DIO».

(Ezechiele 11:17-21)



SCENE DI VITA IN ISRAELE


Rachele piange e rifiuta di essere consolata

di Krista Gerloff

GERUSALEMME - E' l'ultima settimana di scuola prima delle vacanze estive. Noi genitori andiamo da una festa di fine anno a un'altra. I bambini si esercitano a lungo per l'ingresso in scena. Si canta e si balla molto. Non ho ancora partecipato a una festa scolastica, in cui il tema centrale non sia il desiderio della pace. All'inizio di un gioco stanno di fronte israeliani e palestinesi. Non si tace sul conflitto. Ma
    
L'assassino palestinese mostra le mani insanguinate di sangue ebraico
    
All'asilo di Gaza insegnano alla bambina di quattro anni a fare altrettanto
alla fine cantano: non vogliamo attentati, lasciateci vivere in pace, in ogni luogo e anche qui. Faremo la pace, tutto andrà bene.
    Anche nel territori palestinesi l'anno scolastico si conclude. Il giornale ebraico Maariv riporta di una festa di fine anno in un asilo di Gaza. I bambini portano uniformi e armi. Viene messo in scena il linciaggio di due soldati israeliani a Ramallah nell'ottobre del 2000. Una bambina di circa quattro anni mostra le mani tinte di rosso agli spettatori, come se fossero insanguinate: così fece quella volta l'assassino alla finestra della stazione di polizia.
    Mi spiace dover scrivere ancora di terrore. Ma dalla mia ultima lettera nulla è cambiato. Si sentono lamenti e pianto amaro a Gerusalemme e in Israele. Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata perché non sono più (Geremia 31,15). Odet piange sua moglie e i suoi bambini. Anat ha perso contemporaneamente sua madre e la sua figlioletta. Schimon e Lea si rattristano per i loro fratelli e Jehuda e Tamar piangono la loro sorellina di 5 anni Danielle.
    Due ragazze della nostra comunità hanno perso le loro amiche. Una è morta nell'attentato suicida sul bus 32, l'altra alla fermata dell'autobus a French Hill. Julia, 12 anni, disse a sua madre: mamma, come possiamo non odiare, questo ci allontanerebbe soltanto da Dio.
    Non solo noi adulti, anche i nostri bambini devono confrontarsi con il terrore quotidiano, con la perdita di persone amate, con l'odio, che causa tutto ciò, con i propri sentimenti che poi sorgono. Julia non ha solo pianto molto, ma per paura non vuole andare più a scuola.
    Mi ha sempre colpita come i genitori si debbano preoccupare dei loro bambini all'asilo. Fino a qualche tempo fa, poche scuole avevano il diritto a una guardia. Oggi davanti a ogni asilo c'è un sorvegliante armato, anche se le misure di sicurezza richiedono molti soldi.
    Mentre un padre piange sui suoi figli, un altro è fiero del suo ragazzo che si è fatto saltare in aria, in mezzo a persone disarmate. Suo figlio è morto. Ne ho ancora cinque, dice il padre della famiglia musulmana Chorani nel campo profughi el-Arub a Gusch Etzion, rivolgendosi alla telecamera. Suo figlio Ismael ha messo fine alla propria vita e a quella di almeno altre dieci persone, quando si fece esplodere a marzo al caffè Moment. Gli israeliani non meritano di vivere, afferma sua sorella. Io non so quali foto sul giornale mi facciano sentire più triste, quelle delle sepolture o quelle di questi ragazzi sfruttati.
    Sono stata di nuovo, per poco, al mercato ebraico Machane Jehuda, che visito solo raramente. Negli ultimi tempi ci sono stati avvisi di attentati, che purtroppo spesso si sono dimostrati veri. La strada è stata sbarrata, e alcuni poliziotti e soldati erano all'ingresso. Nell'angolo del calzolaio era seduta un'anziana. Alla mia domanda: «Lei si sente sicura qui?», ha risposto:  «Solo Dio, solo Dio può prendersi cura di noi!»
    Per questo dobbiamo pregare ancora. «Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode» (Salmi 127,1) . Qualche tempo fa i nostri figli, che pregano per noi, ci hanno chiesto perché il Signore non ascolta le loro preghiere e accadono cose terribili. Noi ringraziamo in particolare perché ogni giorno vengono respinti attacchi. Negli stessi media israeliani non si riportano tutti i successi delle forze di sicurezza. Solo ieri a Hebron tre corpetti per attentatori suicidi sono stati trovati dai soldati. Il ministro della difesa israeliano una volta alla tv ha detto che quasi il 90 per cento di tutti gli attentati sono stati intercettati.
    Chi prega per la pace di Gerusalemme, lo dovrebbe fare anche senza dimenticare i bambini palestinesi. Più di tre quarti di tutti gli arabi che oggi si chiamano palestinesi, sono nati dopo il 1967. Non hanno mai conosciuto Israele se non come forza di occupazione e sono stati educati fin da piccoli all'odio e alla battaglia contro il popolo ebraico.

(Hamburger Abendblatt, 28.06.02, trad. Marilena Lualdi)



INTERVISTA ALLA MADRE DI UN SUICIDA-BOMBA


Il quotidiano londinese in lingua araba Al-Sharq Al-Awsat ha pubblicato un'intervista a Umm Nidal, la madre dello shahid [martire] Muhammad Farhat.
Ecco alcuni brani dell'intervista:

Domanda: "Lei ha avuto un ruolo nell'innestare questo spirito in Muhammad?"
Umm Nidal: "Allah sia lodato, io sono una musulmana e credo nella Jihad. La Guerra Santa è uno degli elementi della fede ed è questa che mi ha incoraggiato a sacrificare Muhammad nella Jihad per amore di Allah. Mio figlio non è stato distrutto, non è morto; sta vivendo una vita più felice della mia. Se i miei pensieri fossero stati limitati a questo mondo, non avrei sacrificato Muhammad".
   "Io sono una madre compassionevole verso i miei bambini ed essi lo sono nei miei confronti e si prendono cura di me. Poiché amo mio figlio, l'ho incoraggiato a morire come martire per amore di Allah... La Jihad è un obbligo religioso che incombe su di noi e noi dobbiamo eseguirlo. Io ho sacrificato Muhammad come parte del mio obbligo".
    "Questa è una cosa facile. Non c'è disaccordo [tra gli studiosi] su questi argomenti. La felicità in questo mondo è una felicità incompleta; la felicità eterna è la vita nel mondo a venire, attraverso il martirio. Allah sia lodato, mio figlio ha ottenuto questa felicità".

(The Middle East Media Research Institute, dispaccio 391, 19 giugno 2002)



INNI NAZIONALI A CONFRONTO


Inno palestinese

O mia patria, mia patria,
mia patria, terra dei miei avi.

O mia patria, mia patria,
mia patria, mio popolo, popolo dell'eternità.
Con la fermezza, l'ardore e il vulcano della vendetta,
nel sangue la brama della mia terra e patria,
ho scalato le montagne e combattuto guerre,
ho conquistato l'impossibile e attraversato confini.

O mia patria, mia patria, popolo dell'eternità,
con la determinazione del vento e il fuoco delle armi
e la fermezza del mio popolo nella terra della lotta.
Palestina è la mia patria, Palestina il mio ardore,
Palestina la mia vendetta e la terra dell'eterno.

O mia patria, mia patria, popolo dell'eternità,
giuro all'ombra della bandiera alla mia terra e nazione,
e al bruciar di questo tormento,
che vivrò da guerrigliero, procederò da guerrigliero,
morirò da guerrigliero finché non tornerò.

O mia patria, mia patria, popolo dell'eternità.

°   °   °

Inno Israeliano - Hatikva (la speranza)

Fintanto che nell'intimo del cuore freme l'anima ebraica
e l'occhio guarda a Sion, là nell'oriente lontano,
non è ancora perduta la nostra speranza,
la speranza due volte millenaria
di essere un popolo libero nella nostra terra,
la terra di Sion e Gerusalemme.

(da Italian Honest Reporting)



FAVOREVOLE ALLA DEPOSIZIONE DI ARAFAT


Il nuovo presidente di turno dell'Unione Europea, il Premier danese Rasmussen, appoggia la richiesta di deposizione di Arafat, perché evidentemente Arafat non può o non ha alcuna intenzione di fermare il terrorismo.

(Stimme aus Jerusalem, 01.07.02)



SCONTRI FRA PALESTINESI NELLA STRISCIA DI GAZA


Almeno 10 persone , tra cui 7 poliziotti, sono rimaste ferite negli scontri avvenuti nella striscia di Gaza tra i poliziotti palestinesi e i simpatizzanti del gruppo terroristico radical-islamico "Hamas". Gli scontri sono cominciati quando circa 500 aderenti di Hamas hanno attaccato la stazione di polizia dell'Autorità Palestinese nel campo profughi "Rafah" (a sud della città di Gaza). Chiedevano l'esecuzione pubblica immediata di alcuni palestinesi arrestati con l'accusa di collaborazionismo con Israele, e in attesa di processo. Secondo il racconto di testimoni oculari, la polizia palestinese avrebbe aperto il fuoco sui dimostranti di Hamas dopo che questi avevano lanciato sassi e rudimentali bombe contro la stazione di polizia. Nei mesi scorsi diverse dozzine di supposti "collaboratori" sono stati pubblicamente giustiziati senza processo dai gruppi terroristici.

(Nahostfocus.de 04.07.02)

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SFILATA DI OMOSESSUALI A TEL AVIV


Il 28 giugno scorso si è svolta a Tel Aviv, sotto una stretta sorveglianza, l'annuale sfilata di omosessuali. Due uomini hanno detto il loro "sì" in un simbolico matrimonio. Parlamentari della sinistra e il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, hanno preso parte alla cerimonia di apertura della sfilata.

(Stimme aus Jerusalem, 30.06.027)


NOTA - Questo è un aspetto innegabilmente molto penoso della società israeliana di oggi. Si arriva perfino a essere fieri di queste manifestazioni, considerandole espressioni di "libertà" da mettere in contrasto con le chiusure repressive di altre società circostanti. Molti sono attenti alle questioni di terra e poco interessati alle questioni di morale. Ma resta il fatto che è proprio la Torah ebraica a porre una relazione diretta fra terra e morale. (M.C.)

Dalla Torah

Il SIGNORE disse ad Abramo: «Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro: saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni; ma io giudicherò la nazione di cui saranno stati servi e, dopo questo, se ne partiranno con grandi ricchezze. Quanto a te, te ne andrai in pace presso i tuoi padri e sarai sepolto dopo una prospera vecchiaia. Alla quarta generazione essi torneranno qua; perché l'iniquità degli Amorei non è giunta finora al colmo».
(Genesi 15:13-16)

Io sono il Signore. Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole. Non ti accoppierai con nessuna bestia per contaminarti con essa; la donna non si prostituirà a una bestia: è una mostruosità. Non vi contaminate con nessuna di queste cose; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per cacciare davanti a voi. Il paese ne è stato contaminato; per questo io punirò la sua iniquità; il paese vomiterà i suoi abitanti. Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni, e non commetterete nessuna di queste cose abominevoli: né colui che è nativo del paese, né lo straniero che abita in mezzo a voi. Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi, e il paese ne è stato contaminato. Badate che, se contaminate il paese, esso non vi vomiti come ha vomitato le nazioni che vi stavano prima di voi.
(Levitico 18:21-28)



CHE SICUREZZA DA' Il "CONSIGLIO DI SICUREZZA" DELL'ONU?


Quis  custodit  custodes?

di Francesco Lucrezi

    Chi custodisce i custodi? Il paradossale motto pare avere acquistato, con la recente elezione della Siria alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, una inedita attualità. Se la serietà e la drammaticità della situazione non lo impedisse, c'è da dire che la vicenda presenterebbe degli autentici risvolti comici. Un organismo che avrebbe come compito principale quello di promuovere e tutelare la pace del mondo, contrastare le manifestazioni di violenza e di odio etnico, spegnere i focolai di tensione, favorire in ogni modo tutte le occasioni di dialogo e di risoluzione pacifica delle crisi e delle controversie internazionali, sceglie di farsi guidare da una nazione che da decenni, con adamantina coerenza, con inflessibile costanza e con enorme impegno di risorse, persegue la strada opposta: quella del costante sovvenzionamento e della pratica attiva del terrorismo, della più martellante propaganda razzista antisemita, del rifiuto di qualsiasi soluzione pacifica del conflitto medio-orientale (per non parlare della più feroce e sistematica repressione politica all'interno dei propri confini).
    Non che, a essere franchi, i più recenti comportamenti delle Nazioni Unite autorizzassero granché ad attendersi da tale consesso delle scelte di alto profilo, sul piano etico, politico o semplicemente del buon senso. Basti pensare, per esempio, al vergognoso svolgimento della conferenza internazionale sul razzismo promossa a Durban, l'estate scorsa, dalle Nazioni Unite, che ha offerto al mondo – con le farneticanti risoluzioni imposte dai Paesi arabi radicali, accusanti Israele di razzismo, apartheid, genocidio ecc. ecc. – l'inverecondo spettacolo di quella che David Maghnagi, su l'Unità, ha definito "un'orgia antisemita", nella quale tutti i peggiori regimi totalitari, oscurantisti e antidemocratici del mondo si sono visti chiamare a raccolta nel nome del più bieco e irriducibile odio contro la stato ebraico e contro gli ebrei 'tout court', in un dichiarato rapporto di continuità e di prosecuzione con il compianto Hitler (circolavano, durante la conferenza, nel compiacimento o nell'indifferenza degli organizzatori, migliaia di manifesti inneggianti al Führer, la cui vittoria avrebbe impedito il successivo "genocidio palestinese").
    E l'episodio di Durban, com'è noto, non è che un anello di una lunghissima catena, uno dei mille segni della deriva profondamente violenta, fanatica e totalitaria presa dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella quale la quasi totalità dei Paesi arabi e una larga maggioranza di quelli africani e asiatici sembrano avere intrapreso la strada della contrapposizione frontale non tanto verso il detestato "Occidente", quanto verso tutti i valori di pace, di tolleranza, di rispetto delle minoranze e dei diritti umani, il cui perseguimento dovrebbe rappresentare la stessa ragion d'essere dell'organizzazione.
    La recente promozione della Siria alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza, però, rappresenta un'ulteriore, pericolosissima spinta involutiva, in quanto getta una luce sinistra su un organismo – il Consiglio di Sicurezza, appunto – che (a differenza dell'Assemblea Generale, priva di poteri effettivi, al di là della funzione meramente dichiarativa) ha la facoltà di prendere decisioni vincolanti, ed eseguibili anche per mezzo della forza. Era sembrato, finora, che il Consiglio seguisse una politica decisamente più moderata e oculata di quella, scellerata, seguita dall'Assemblea Generale, soprattutto grazie al peso, e al potere di veto, esercitato dai cinque membri permanenti (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Cina e Russia), generalmente alieni da avventure ed estremismi (specie dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica). E' stata questa strategia ponderata che ha permesso al Consiglio, negli ultimi anni, di fare sentire una voce autorevole, anche attraverso l'autorizzazione di dolorose ma necessarie operazioni di 'peacekeeping', come quelle del Golfo Persico, del Kossovo, dell' Afghanistan. Ma durerà tale saggezza anche col nuovo, sinistro Presidente? Non eserciterà, tale Presidenza, un'inevitabile influenza negativa sui lavori complessivi dell'organismo? E fino a che punto i membri permanenti sapranno (o vorranno) resistere alla prevedibile svolta radicale che si cercherà di imprimere alla politica consiliare?
    E' appena il caso di ricordare che il popolo siriano è oppresso, da decenni, da un regime poliziesco, oscurantista e sanguinario, segnato dalla più totale assenza della benché minima traccia di democrazia e colpevole di innumerevoli vessazioni e atrocità verso la popolazione civile. Anche a voler prestare fede solo a una piccola parte delle accuse contro tale regime – riguardanti torture, esecuzioni di dissidenti, fosse comuni ecc. ecc. -, si tratta in ogni caso di nefandezze estreme, al cui confronto impallidiscono i crimini delle peggiori dittature mondiali. Con la sua proclamata intenzione di distruggere Israele – progetto già più volte tentato di realizzare, in ripetute,  proditorie guerre scatenate (nel solito rapporto di dieci a uno) contro lo Stato ebraico -, inoltre, la Siria rappresenta una costante minaccia alla stabilità del Medio Oriente e alla pace del mondo (minaccia ingigantita, da alcuni anni, dalla corsa agli armamenti nucleari intrapresa da Damasco). Per non parlare della continua, odiosa, capillare propaganda antisemita messa in atto dal regime su tutti i mezzi di comunicazione, con ampio uso di materiale propagandistico (raffigurante ebrei sanguisughe, vampiri ecc.) preso spesso direttamente dai giornali nazisti: lo stesso Presidente siriano, Bashar al-Assad (la cui stessa legittimità istituzionale appare una vera barzelletta: è asceso alla presidenza, trentaseienne, per via ereditaria, alla morte del padre, in virtù di un repentino cambio della costituzione, che imponeva il limite di età di quaranta anni) ha recentemente messo a nudo la propria anima squisitamente razzista, lasciandosi andare, alla presenza del Pontefice Giovanni Paolo II, alle più deliranti e disgustose farneticazioni antisemite (riesumando, senza alcun pudore, i più frusti stereotipi della propaganda medioevale antigiudaica, sugli ebrei come popolo 'deicida', colpevoli di avere torturato e ucciso Gesù ecc.).
    Ma c'è da chiedersi, soprattutto, che credibilità e che ruolo potranno mai avere le Nazioni Unite, nella fondamentale funzione della lotta al terrorismo internazionale (diventata, dopo l'11 settembre, un'evidente priorità assoluta per la pace e la sicurezza mondiali), una volta che alla testa del Consiglio di Sicurezza è stato posto un Paese che dello stesso terrorismo è uno dei principali e dichiarati sponsor, protettori e organizzatori. Le più violente e micidiali organizzazioni terroristiche, infatti (Jihad Islamica, Hezbollah, Fronte di Liberazione per la Palestina, Hamas) - la cui spaventosa capacità distruttiva è confermata dalle orrende stragi di civili che hanno insanguinato Israele negli ultimi giorni -, hanno a Damasco i loro santuari, le loro basi operative, i loro centri di comando. Non c'è ombra di dubbio che tutte queste organizzazioni criminali si sentiranno, d'ora innanzi, fortemente rinvigorite e legittimate, data l'alta promozione tributata al loro alto protettore. E c'è da chiedersi che ruolo potrà più giocare l'ONU nella faticosa e difficile ricerca di una composizione pacifica della crisi medio-orientale, dal momento che l'attuale Stato Presidente del Consiglio di Sicurezza si è sempre opposto a qualsiasi soluzione che non fosse quella della totale distruzione militare di Israele, attraverso un nuovo Olocausto (la stessa proposta presentata dal principe ereditario saudita, Abdallah, contemplante il riconoscimento dello Stato ebraico da parte di tutti i Paesi arabi, in cambio di un ritorno entro i confini del '67, è stata approvata da 14 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza, con un unico voto contrario, quello della Siria).
    Ma tant'è. Queste sono le Nazioni Unite, questo è il Consiglio di Sicurezza, questo il suo Presidente, che da oggi vigilerà sulla pace del mondo. Certo, a leggere la carta costitutiva dell'ONU, sottoscritta a San Francisco nel 1945, col secondo conflitto mondiale ancora in corso, si ha l'impressione di contemplare una sorta di antica, ingenua preghiera, proveniente da epoche remote. Quei grandi sogni di giustizia e pace sembrano avere fatto una fine miseranda. Avere la Siria come garante della pace mondiale, ha scritto su la Stampa Ehud Gol, ambasciatore di Israele in Italia, è come mettere il gatto a sorvegliare la pescheria. Ma sbaglierebbe moltissimo chi ritenesse che a preoccuparsi dovrebbero essere soltanto gli israeliani. Tutti i Paesi democratici, che minimamente credono nei valori della libertà, della mutua comprensione, della pacifica convivenza, del rispetto dei diritti umani, dovrebbero sentirsi fortemente allarmati, in quanto i nemici della libertà e della democrazia attaccano Israele in quanto avamposto di tali valori nel Medio Oriente, ma la loro irriducibile guerra (e la catastrofe di New York ne fornisce la più eloquente conferma) non si indirizza solo contro lo stato ebraico (anche se questo appare certamente il bersaglio privilegiato, subito seguito dagli Stati Uniti), ma è generalmente rivolta contro ogni forma di civiltà liberale, contro ogni sistema che appaia fondato sul rispetto dei diritti umani. Se anche, un brutto giorno, Israele dovesse essere distrutto, i terroristi e gli "stati canaglia" non cambierebbero certo natura, né vorrebbero sentirsi improvvisamente 'disoccupati'.
    Non si può eludere, a questo punto, una domanda radicale: a che serve, per un Paese occidentale, liberale, pacifico e democratico, che intenda restare tale, e che voglia in qualche misura contribuire a contrastare le minacce alla sicurezza, alla pace, alla libertà e alla democrazia, restare nelle Nazioni Unite?

(Federazione Associazioni Italia-Israele, 04.07.02)


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