Notizie su Israele 124 - 11 settembre 2002


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Infatti così parla il SIGNORE degli eserciti: «É per rivendicare la sua gloria che egli mi ha mandato verso le nazioni che hanno fatto di voi la loro preda; perché chi tocca voi, tocca la pupilla dell'occhio suo. Infatti, ecco, io sto per agitare la mia mano contro di loro, ed esse diventeranno preda di quelli a cui erano asserviti, e voi conoscerete che il SIGNORE degli eserciti mi ha mandato.

(Zaccaria 2.8-9)



L'11 SETTEMBRE DAL PUNTO DI VISTA DI ISRAELE


articolo di  Johannes Gerloff

GERUSALEMME – Al centro delle riflessioni nel primo anniversario dell'11 settembre dovrebbe essere l'attacco all'America. L'attentato terroristico che ha causato tre mila morti al World Trade Center di New York e al Pentagono di Washington ha cambiato il mondo occidentale. Questa impressione è inevitabile, se si osserva ciò che riportano i media europei-americani in questi giorni in tutto il mondo. Gli Usa si preparano a celebrare questo primo anniversario con atteggiamento tipicamente americano. Israele soffre con gli amici americani. Questo per lo stretto legame che unisce in tutti i settori la piccola democrazia ebraica nel Medio Oriente islamico al fratello più grande al di là dell'oceano. Molti israeliani vengono dall'America, hanno vissuto là a lungo o sognano, nella terra delle infinite possibilità, di arrivare alla pace e al benessere. Anche gli effetti economici della distruzione delle torri gemelle si fanno sentire in Israele.
    Cosa succederebbe, se toccasse a noi? È un pensiero che scuote molti. Involontariamente gli sguardi si levano. Il jet commerciale si muove nel cielo dell'aeroporto Ben Gurion. Si pensa naturalmente a ciò che potrebbe accadere… dice l'uomo della sicurezza del centro Azrieli, Le torri di Tel Aviv, con uno sguardo che dice molto, mentre esamina la mia borsa.
    Già alla fine del settembre 2001 giravano in Internet fotomontaggi di cosa poteva portare un attentato alle torri di questo centro. Come avrebbe reagito l'America, se avesse vissuto una campagna di terrore come quella subìta da Israele nei mesi passati? ci si chiede spesso. Fra il 29 settembre 2000 e il 31 agosto 2002 l'esercito israeliano ha registrato 14.267 attacchi dei terroristi palestinesi. Sono morti 610 israeliani. In rapporto alla popolazione generale sarebbe come se in Usa fossero morti più di 28 mila persone. Naturalmente è un macabro esempio numerico. Ma la domanda resta: perché il mondo sostiene (quasi) la guerra degli Usa contro il terrore e chiede costantemente a Israele di frenarsi? La minaccia del terrorismo islamico è una realtà per Israele da anni. L'11 settembre non ha cambiato molto. Anche chi nega uno scenario globale dell'Islam contro l'Occidente, deve riconoscere la realtà, che è un'ideologia islamica che giovani vengano motivati e portati ad attentati suicidi, raramente condannati da leader islamici davanti ai musulmani. E' lo stesso lo sfondo religioso che porta alla morte i dirottatori di Osama bin Laden e gli attentatori suicidi palestinesi nelle strade di Israele. E ancora su un punto regge il parallelismo: gli attentatori per la maggior parte non provengono da situazioni disperate, senza speranze, in quartieri poveri ma da un ambiente formato e non di rado fornito di mezzi.
    Quando l'Occidente riconoscerà che la lotta che sta avvenendo in Israele è quella della civilizzazione e della cultura del mondo occidentale, si chiedono sempre più israeliani secolari. Gli ebrei religiosi parlano con cenni del capo e altri gesti dell'inizio della fine della potenza mondiale statunitense. Per loro, l'Occidente sta lottando contro i sintomi del terrorismo islamico, attraverso misure di sicurezza, sintomi che però lo stesso confronto spirituale con la grande potenza dell'Islam teme. L'ingenuo dialogo delle religioni, come ha definito il giornale amburghese Spiegel tentativi di intrusione cristiani nell'Islam, può servire da esempio. Ma non c'è spazio in Israele per speculazioni apocalittiche. Il conflitto al confine nord si gonfia e può esplodere in ogni momento. Ogni giorno gli Hezbollah colpiscono bersagli israeliani con artiglieria e razzi. Molti combattenti di Al-Qaida devono aver trovato lì rifugio. Israele sa che gli Hezbollah non operano in uno spazio senz'aria. I combattenti del partito di Allah, come viene tradotto Hisb-Allah, godono sempre più della benevolenza indulgente di Siria e Iran. Nelle strade di Gaza e Baghdad, Beirut e Khartoum Osama bin Laden e Saddam Hussein sono eroi celebrati. Sicuro della vittoria è il giovane ambulante arabo di Gerusalemme: anche se ci costerà molti morti, l'Islam avrà l'ultima parola.

(Hamburger Abendblatt, 09.09.02, trad. Marilena Lualdi)



NIENTE DI NUOVO NEL DISCORSO DI ARAFAT


Per l'ennesima volta Arafat pronuncia una generica condanna del terrorismo "sia di stato che individuale" senza dichiarare un cessate il fuoco, ne' invocare una tregua, e senza nemmeno chiedere esplicitamente ai suoi di cessare le violenze e gli attentati. In compenso conquista i titoli dei mass-media.
    Parlando lunedi' al Consiglio Legislativo Palestinese riunito a Ramallah, Arafat ha ripetuto parole gia' pronunciate in passato cui non sono mai seguiti fatti concreti ne' tanto meno la fine dello spargimento di sangue scatenato due anni fa. Richard Boucher, portavoce del segretario di stato americano Colin Powell, ha lasciato intendere che gli Stati Uniti non si aspettano granche' dopo il discorso di Arafat. Quello che stanno aspettando gli Stati Uniti, ha detto Boucher, sono vere riforme dell'Autorita' Palestinese in campo civile e della sicurezza e il discorso di Arafat non cambia le cose: "Stiamo ancora aspettando quella nuova dirigenza a capo dell'Autorita' Palestinese che sappia assumersi le responsabilita' che sono necessarie per creare le istituzioni e gli apparati di sicurezza per un vero stato palestinese", ha concluso il portavoce di Washington.
    Niente di tutto questo nel discorso di un'ora di Arafat, durante il quale vi e' stato solo un riferimento ironico alla eventualita' che possa cedere un pezzetto di potere. "Le nostre riforme - ha detto infatti Arafat - devono basarsi sul principio dell'unita' [sic] dei tre poteri nell'Autorita' Palestinese: il potere giudiziario, quello legislativo e quello esecutivo". Quindi, smettendo di leggere il testo, ha aggiunto con un sorriso: "A meno che vogliate dare a qualcun altro il potere esecutivo, cosi' finalmente potro' prendermi un po' di riposo".
    In realta', la stessa riunione del Consiglio e il discorso di Arafat, il primo da 18 mesi, hanno lo scopo di ottenere un avallo al rimpasto di governo attuato dallo stesso Arafat sotto la propria guida. In questo contesto, Arafat ha annunciato elezioni presidenziali, parlamentari e municipali per l'inizio del prossimo mese di gennaio, mentre gli Stati Uniti avevano chiesto un rinvio della scadenza elettorale nella convinzione che in pochi mesi non possano maturare quelle riforme sostanziali che tutti ritengono necessarie, in particolare la creazione della carica di primo ministro, un'idea cui Arafat si oppone.
    Parlando degli attentati contro civili israeliani all'interno di Israele, Arafat ha sostenuto che essi servirebbero agli interessi di Israele perche' distraggono l'attenzione dalle sofferenze dei palestinesi. Il testo del discorso di Arafat anticipato poche ore prima alla Associated Press conteneva un chiaro appello per la cessazione degli attentati suicidi, ma nulla del genere e' stato poi detto da Arafat davanti al Consiglio.
    "Il nostro interesse nazionale consiste nel preservare il sostegno internazionale al nostro diritto di resistere contro l'occupazione" ha spiegato Arafat, senza spendere una parola sulla sorte dei negoziati che gia' due anni fa miravano appunto a mettere fine all'occupazione.
    Sorvolando sulle prove sempre piu' circostanziate del suo coinvolgimento organizzativo e finanziario con il terrorismo, Arafat si e' detto pronto a partecipare allo sforzo internazionale contro il terrorismo ("purché sotto l'egida dell'Onu"), e ha espresso appoggio "al popolo americano" in riferimento all'imminente anniversario degli attentati dell'11 settembre 2001. Arafat ha poi accusato Israele d'aver "rapidamente approfittato" di quegli attentati "nel tentativo di collegare noi e la lotta del popolo palestinese al terrorismo, nonostante il fatto che siamo noi le vittime del terrorismo".
    Confermando un'antica tendenza all'iperbole che sfocia nella calunnia, Arafat ha accusato Israele di usare contro il popolo palestinese "armi di distruzione di massa", termine con il quale ci si riferisce normalmente alle armi non convenzionali (chimiche, batteriologiche, nucleari).
    Quella di lunedi' era la prima riunione plenaria del Consiglio Legislativo Palestinese dall'inizio della cosiddetta seconda intifada e per volere di Arafat si e' tenuta nei suoi uffici anziche' nella sede del Consiglio. Erano presenti 47 membri del Consiglio (su 88), compresi 10 provenienti dalla striscia di Gaza. Israele ha impedito la partecipazione solo a 12 membri accusati di coinvolgimento in attivita' terroristiche. Altri membri di Gaza hanno deciso di propria iniziativa di non partecipare.
    L'ufficio del primo ministro israeliano Ariel Sharon ha ribadito lunedi' con un comunicato che, ai fini del processo politico, considera "irrilevante" Yasser Arafat e altrettanto irrilevante il suo discorso al Consiglio Legislativo Palestinese. "Arafat - dice il comunicato - sta solo cercando di guadagnare tempo e la sua idea di indire elezioni punta solo a consolidare la sua posizione. Finche' continuano violenze, terrorismo e istigazione non puo' esservi nessun processo di pace".
    Commenta Zvi Bar'el su Ha'aretz: Niente di nuovo nel discorso di lunedi' del presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat al Consiglio Legislativo Palestinese a Ramallah. Ha detto di essere contrario agli attentati suicidi all'interno di Israele con il solito argomento 'cinico' che sarebbero controproducenti per la causa e per l'immagine dei palestinesi, ma non si e' pronunciato contro gli attentati terroristici in quanto tali, dovunque avvengano, come aveva fatto invece di recente il neo ministro degli interni palestinese Abdel Razeq Yehiyeh. Arafat non ha detto niente di preciso sul programma di riforme dell'Autorita' Palestinese. Sul piano diplomatico non ha presentato nessun progetto e nessuna visione. La riunione del Consiglio non e' ancora finita, ma per ora tra le file palestinesi c'e' solo motivo di delusione. Ad esempio, ci si aspettava l'annuncio da parte di Arafat della nomina di un primo ministro con poteri esecutivi. La battuta di Arafat a questo proposito non viene presa sul serio da nessuno. Niente di nuovo anche nell'annuncio di elezioni per l'inizio dell'anno prossimo. Era la prima volta in diciotto mesi che Arafat appariva davanti al Consiglio. Alcuni membri speravano di poter usare questa riunione per introdurre un po' di dialettica democratica nell'Autorita' Palestinese, ma per ora appare assai difficile che cio' avvenga. Alla fine molto probabilmente il Consiglio avallera' il rimpasto di governo voluto da Arafat. D'altra parte in una precedente occasione, nel 1997, il Consiglio Legislativo aveva bocciato un governo di Arafat, ma questi aveva semplicemente ignorato il voto di sfiducia.

(israele.net, 9.09.02 - dalla stampa israeliana)
    


IL SOSTEGNO DI SADDAM HUSSEIN ALL'INTIFADA PALESTINESE


L'Autorità Palestinese e i media iracheni sul sostegno iracheno all'Intifada

Dall'inizio del 2002, Saddam Hussein ha cercato di essere all'avanguardia nel sostegno arabo all'Intifada. Recentemente, i quotidiani dell'Autorità Palestinese hanno cominciato a riferire su questo fenomeno. Ecco alcuni esempi di questo rapporto, e anche un discorso di Saddam che sposa il sostegno arabo all'Intifada:

I media dell'Autorità Palestinese elogiano il sostegno di Saddam
   
    Il quotidiano dell'Autorità Palestinese (A.P.) Al-Hayat Al-Jadida ha riferito di un  incontro del Fronte Arabo di Liberazione (1) nella casa ad Hebron della famiglia di Marwan Zalum (2), il comandante della Brigata Martiri Al-Aqsa (ucciso da Israele ad aprile 2002). Durante l'evento, ad altre famiglie di martiri sono state distribuite donazioni del presidente iracheno Saddam Hussein.
    Non era la prima volta che donazioni di Saddam Hussein venivano distribuite nei territori, ma è stata la prima volta che la stampa dell'Autorità Palestinese ne ha riferito ampiamente (3). Al-Hayat Al-Jadida ha citato le dichiarazioni di sostegno e gratitudine per Saddam fatte dagli organizzatori e dai partecipanti, e le loro sollecitazioni a continuare sulla strada dei martiri. Il giornale ha anche riferito che, durante l'incontro, a ciascuna delle 12 famiglie sono stati dati 10 mila dollari (4).
    Un rappresentante del Fronte Arabo di Liberazione ha elogiato il rilevante ruolo che i martiri avevano svolto e stanno ancora svolgendo nello sviluppare la lotta nazionale palestinese, definendoli "modelli di comportamento".  E ha anche descritto le attività svolte dal martire Zalum, che hanno portato al suo martirio.
    Al-Hajj Rateb Al-'Amleh, un leader del Fronte Arabo di Liberazione, ha espresso i sentimenti di amicizia che Saddam Hussein nutre per le famiglie dei martiri e per i combattenti palestinesi e ha sottolineato la necessità di unirsi nella "resistenza al nemico fino alla liberazione".
    Fahmi Shahin, rappresentante del Partito [comunista palestinese] del popolo, ha ringraziato la leadership e il popolo iracheni a nome delle forze politiche [palestinesi].
    'Abbas Zaki, membro del Comitato centrale di Fatah e del Consiglio legislativo palestinese, ha fatto un'analisi dettagliata delle "qualità ispiratrici della leadership di Saddam", che dovrebbero essere imitate. Zaki ha analizzato le qualità di leadership e di combattente del martire Marwan Zalum e ha anche dichiarato che "gli occhi di Zalum sono stati sempre rivolti in alto, verso il martirio e non verso [l'ottenimento di] un lavoro".
    Per conto delle famiglie dei martiri, il dott. Yunes Zalum ha ringraziato Saddam Hussein per la sua posizione pan-araba e ha sollecitato a unirsi intorno alla leadership irachena e al popolo iracheno (5).

  
Saddam e la sua determinazione a sostegno dell'Intifada
   
    In un incontro a Bagdad (marzo 2002) con il capo dell'Ufficio politico dell'OLP, Farouq Al-Qaddoumi, con il membro del Comitato centrale di Fatah, 'Abbas Zaki, e con il dirigente del dipartimento arabo dell'Ufficio politico dell'OLP, Omar Al-Shak'a, Saddam Hussein ha esposto la sua determinazione a sostenere l'Intifada:
    "L'Intifada richiede tenacia. Abbiamo chiesto ai politici [arabi] di non pretendere di sapere meglio dei palestinesi che cosa essi vogliono e che cosa vogliono i combattenti, ma di collaborare con loro... E' loro dovere essere partner [dei palestinesi] in sangue, denaro e armi, come in un destino comune".
    "Essi hanno il diritto di consultarsi con la Palestina e con il suo popolo, ma non di prendere il loro posto... [Solo] quando portiamo armi, versiamo sangue e ricostruiamo quel che è stato distrutto abbiamo diritto a uno status quasi uguale a quello dei rappresentanti del popolo palestinese nel discutere il loro problema...".
    "...Il popolo palestinese non ha bisogno di altri piani. Noi non siamo

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interessati ad altri piani. Il nostro programma di base è di sostenere il popolo palestinese nella sua lotta armata. Se siamo incapaci di offrire aiuto all'esercito, il nostro sostegno dovrebbe essere in denaro o nel comprargli armi, o dando a musulmani e arabi la scelta del volontariato [per aiutare il popolo palestinese] ".
    "Per quanto riguarda l'Iraq, noi siamo simili a qualsiasi distretto palestinese. Niente ci impedisce di dare [alla Palestina] tutto quel che possiamo. Siamo felici dello spirito di martirio e di eroismo del popolo palestinese. Penso che molti ne siano stati sorpresi. Per Allah, quel che ha fatto il popolo palestinese supera le mie aspettative".
    "Noi, dapprima, abbiamo messo a disposizione 5 milioni di dollari per aiutare i feriti e le famiglie dei martiri palestinesi. Poco tempo dopo, l'uomo incaricato [della distribuzione del denaro] è venuto da noi e ha detto che la somma [assegnata] era terminata. Io gli ho detto: 'Come puoi dire questo? Continua [a distribuire denaro] anche se arriviamo al punto di dover vendere i vestiti che abbiamo addosso...".
    "Possa Allah includerci tra i liberatori. Io sono contento che le operazioni di martirio siano compiute [anche] dall'organizzazione Fatah... Fermare l'Intifada è un'eresia, e qualsiasi tentativo di fermarla dall'esterno è un'eresia, un crimine e una congiura contro il popolo palestinese…".
    "SalutateAbu Ammar [cioè Yasser Arafat], ditegli che noi salutiamo lui e la leadership palestinese, il popolo palestinese e Abu Ammar... Portate i saluti a tutti i palestinesi, a quelli che vivono e ai martiri. Allah abbia pietà di loro. Dite loro che Saddam Hussein  afferma che Arafat può considerare le capacità dell'Iraq come capacità della Palestina e le sue decisioni saranno vincolanti [per noi] "(6).

 
'L'Iraq e i palestinesi sconfiggeranno i loro nemici maligni'

    Un altro riferimento al sostegno iracheno all'Autorità Palestinese è venuto da Izat Ibrahim, vicepresidente dell' Iraqi Revolutionary Leadership, durante l'ultima visita di Al-Qaddoumi in Iraq: "La battaglia dell'Iraq e [quella] della Palestina è un'unica battaglia contro i loro nemici storici. I martiri in Iraq e in Palestina sono martiri di primo rango, dato che essi combattono, con le loro anime pure e nobili, contro quelli che hanno conquistato la loro terra, per il loro onore, la loro sopravvivenza, la loro storia e la loro civiltà... contro la più arrogante forza del male, di oppressione e di  aggressione della terra (7)".
   
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Note:
(1) Un'organizzazione palestinese pro-irachena battista pan-araba.
(2) In un'intervista per il mensile di Hamas pubblicato a Londra, Falastin Al-Muslima,  moglie di Zalum, ha affermato che era stato suo marito a inviare l'attentatrice suicida 'Andalib Taqatqa, che si è fatta esplodere nel mercato Mahane Yehuda di Gerusalemme a febbraio 2002. Vedere: Falastin Al-Muslima (Londra), luglio 2002.
(3) Le donazioni di Saddam Hussein sono state date alle famiglie le cui case sono state distrutte a Jenin; v. Al-Quds (Autorità Palestinese), 22 marzo 2002. Le undici famiglie di martiri della Striscia di Gaza hanno ricevuto donazioni, Al-Quds (Autorità Palestinese), 14 giugno 2002. Diciotto famiglie di martiri di Hebron hanno ricevuto donazioni, v. Al-Quds (Autorità Palestinese), 4 agosto 2002.
(4) I martiri erano: Marwan Kiad Zalum, Samir Abu Rajab Al-Tamimi (che sono stati uccisi assieme a Zalum), Shadi Ahmad Abd Al-Mu'ti  'Arafa, Burhan Muhammad Ibrahim Al-Haimuni, Ya'qub Fathi Rabi ' Dukeidek (delle 'Izz Al-Din Al-Qassam Brigades ), Abd Al-Ghani Feysal Sha'ban Mujahid, Ayman Saleh Muhammad Hussein Muhanna, Rawan Abd Al-Qader Isma'il Al-Jibrini, Majdi Fadhl ' Ali Hamed Al-'Uwiwi ( delle 'Izz Al-Din Al-Qassam Brigades ), Muhammad ' Abd Al-Salam Dhiab Da'na, Nabil Muhammad Hashem Khalil Al-Natshe (un attivista della Jihad islamica) e Hatem Yakin ' Aayesh Al-Shuweiki.
(5) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 13 agosto 2002.
(6) Al-Qadisiyya (Iraq), 4 marzo 2002.
(7) Agenzia di notizie irachena, 16 agosto 2002.

(MEMRI 30.08.02)



SCENE DI VITA IN ISRAELE


La donna, che aveva perduto la sua unica figlia nell'attentato al Dolphinarium, ha dato alla luce un maschietto.
  
 
Sarò nuovamente chiamata 'mamma'

di Natasha Mozgovia    
   
Il dolore per la perdita della figlia Masha (14 anni) aveva provocato ad Olga Tagiltsav un aborto. Dopo ripetuti tentativi, Olga è riuscita a rimanere di nuovo incinta. Ora, mentre culla il neonato, la sua tristezza è leggermente illuminata di gioia.
    "Se almeno potessi avere altri figli; se no, la mia vita è finita" – aveva detto in lacrime Olga Taglitsav (35 anni), dopo l'attacco terroristico al Dolphinarium, in cui era rimasta uccisa la sua unica figlia Masha (14 anni). Persino nelle primissime ore di venerdì mattina, Olga ha gli occhi pieni di lacrime – ma questa volta sono lacrime di gioia: ha appena dato alla luce un maschietto e la sua manina le stringe con forza il dito.
    "Sono così felice – dice Olga con voce tremante – E' incredibile, questo dono del cielo che arriva dopo quattordici mesi così terribili, in cui non c'era nessuno che mi chiamasse 'mamma'. Il silenzio di tomba che aveva invaso la mia casa dal giorno dell'attentato era insopportabile. Mi fa male pensare che Masha non sia qui con noi, ma sono sopraffatta dalla gioia. Il mio cuore è divisto fra dolore e felicità. Desideravo una bambina, ma temevo anche che, ogni volta che l'avessi guardata, avrei visto Masha. Sono lieta che sia un maschietto e che, alla fine, ci sarà qualcuno a chiamarmi 'mamma'".
    "Per mesi, dopo l'attentato al Dolphinarium, ho creduto di impazzire – rammenta – Ogni ragazza, per strada, mi ricordava mia figlia. Mi addolorava anche vedere i ragazzi che erano sopravvissuti all'attentato. Solo dopo avere letto le loro testimonianze, ho capito che cosa dovevano aver passato". Pochi mesi dopo l'attacco, dopo alcuni tentativi non riusciti di rimanere incinta, Olga decise di rivolgersi ad un medico. "In verità, ho perduto due figli nell'attentato, perché ero all'inizio della gravidanza quando è successo, ed ho avuto un aborto – afferma, mentre ricostruisce gli avvenimenti – Quando, dopo la catastrofe, ho tentato di rimanere incinta, sono andata da un medico e lui mi ha detto, di sorpresa: 'Lei non ha bisogno di cure; è già incinta'. E' stata la prima volta che ho sorriso, dopo l'attentato".
    Dopo uno degli attentati avvenuti a Natania, Olga ha avuto delle contrazioni; gli ultimi mesi di gravidanza, quindi, li ha passati chiusa in casa, a letto. Ciononostante, malgrado tutte le paure, il bambino è nato sano, perfetto – e molto carino. "Tremila seicento grammi di pura gioia", dice ridendo. Di tanto in tanto, Olga solletica il neonato addormentato, a cui non è ancora stato dato il nome, e chiede con apprensione: "Ehi, sei ancora vivo?"
    Oggi sta per essere dimessa dall'ospedale, ma è preoccupata: "Ho paura di guardare al futuro – ammette con tristezza – Nessuno in Israele ha un'assicurazione sulla vita ed è impossibile fare piani. Quando siamo immigrati, sognavo di diventare nonna ed all'improvviso, eccomi qua a ricominciare tutto daccapo. Ho paura di pensare a come questo figlio crescerà".
    Ogni due settimane, Olga va a far visita alla tomba di sua figlia, al cimitero di Natania. "Fino ad ora, non sono riuscita a rassegnarmi al fatto che non sia più con noi. Le parlo ogni notte, prima di addormentarmi. Quando mio figlio sarà un po' più grande, gli dirò che aveva una sorella che avrebbe potuto volergli molto bene. Voglio avere un altro figlio, una bambina. La chiamerò con un nome simile a Masha – Michelle".

(Yediot Aharonot, 28.07.2002 - da Keren Hayesod )



L'ESERCITO ISRAELIANO AMMONISCE A NON COOPERARE CON I TERRORISTI


TULKARM - L'esercito israeliano (IDF) negli ultimi giorni ha distribuito centinaia di volantini nella città dell'Autonomia Tulkarm, in Samaria. Nei volantini i palestinesi sono invitati a non partecipare ad attività terroristiche e a non sostenere terroristi ricercati da Israele.
    I volantini sono indirizzati "a tutti gli abitanti di Tulkarm e dintorni". In lingua araba si avvertono i palestinesi che l'esercito in quei territori sta cercando, tra gli altri, i terroristi Mantzur Sharim e Muhammad Naifeh. Gli abitanti della zona vengono ammoniti a non collaborare con i terroristi e a non sostenerli.
    Chi si attiene a queste istruzioni "garantisce con questo il suo benessere". Chiunque invece partecipa ai "progetti assassini" di queste persone o li aiuta in qualsiasi modo, dovrà "pagare un prezzo molto alto", si dice nel volantino.

(Israelnetz, 09.09.02)



NOTIZIE SULL'ALIA'


Il 5 agosto, sono arrivati in 515 immigranti in un solo giorno, segnando la giornata record di quest'anno. Al porto di Haifa sono sbarcati 380 nuovi immigranti dall'Ucraina e dalla Moldavia, mentre altri 135 immigranti sono giunti da altre regioni: Caucaso Meridionale, Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada, Francia, Sud Africa, India ed Iran. Gli immigranti moldavi sono stati finanziati da un gruppo cristiano, Even Ezer, che ha pagato il trasporto dei loro averi. Il giorno seguente, sono arrivati altri 500 nuovi immigranti, portando a 1050 il totale degli immigranti nel corso di quella settimana, il maggior numero di arrivi in una settimana dall'inizio dell'anno. In questo momento è l'Ucraina, dove vivono ancora 215.000 ebrei, a fornire il maggior numero di nuovi immigranti.

Una Missione di 30 coordinatori di alià è stata in Israele per un seminario di aggiornamento di undici giorni. I partecipanti, appartenenti ad una rete di 450 coordinatori di alià sparsi per tutta l'ex-Unione Sovietica, sono abitanti del luogo, per mezzo dei quali l'Agenzia Ebraica può arrivare ai potenziali immigranti, anche nei posti più sperduti. Il corso di aggiornamento comprende lo studio da vicino dei diversi programmi di inserimento, per mezzo di visite alle università, ai programmi di inserimento diretto nei Comuni, ed ai programmi "Alià 2000" e "Selah". I partecipanti inoltre studiano argomenti specifici riguardanti la società israeliana, quali lo "shock culturale".

A Gerusalemme si è tenuto un seminario di aggiornamento della durata di tresettimane per 35 insegnanti di ebraico specializzati, provenienti dall' ex-Unione Sovietica. Il seminario è stato organizzato dal Dipartimento di Educazione dell'Agenzia Ebraica. Oltre 40.000 studiano l'ebraico ed imparano a conoscere Israele, nell'ambito di circa 300 ulpanim, sparsi in tutto il territorio dell'ex-Unione Sovietica. I corsi all'ulpan preparano gli studenti all'alià, famigliarizzandoli inoltre con la cultura ebraica ed israeliana.

Cinquantasette dentisti francesi sono venuti in Israele per frequentare il corso preparatorio agli esami di Licenza di Medico Dentista ed esaminare possibilità di lavoro e di vita in Israele. Al loro rientro in Francia, sosterranno gli esami di licenza, in francese.  E' la prima volta che tali esami di licenza si tengono all'estero: "Il programma attuale fa parte di una nuova iniziativa dell'Agenzia Ebraica, destinata a soddisfare le necessità specifiche  di singoli settori professionali e riflette il crescente interesse per l'alià, che la comunità ebraica francese sta dimostrando", dice Avi Kadoch, l'inviato dell'agenzia Ebraica a Parigi, che ha preso l'iniziativa del programma ed organizzato il viaggio. Il mese scorso, l'Agenzia Ebraica ha organizzato un giro di orientamento per medici francesi.

Due gruppi di turisti, provenienti dall'ex-Unione Sovietica – per lo più da Mosca, S. Pietroburgo, Repubbliche Baltiche, Bielorussia, Ucraina, Georgia, Azerbaijan e Uzbekistan – sono venuti in Israele per un seminario dell'Agenzia Ebraica destinato ad incoraggiare l'alià delle famiglie giovani. Il gruppo di 80 partecipanti – uno per famiglia – comprendeva psicologi, insegnanti, ingegneri, economisti, commercialisti, medici e membri di altre professioni libere. Hanno fatto visita a università, scuole e asili infantili, si sono incontrati con rappresentanti di organizzazioni che si occupano di alià ed hanno, ovviamente, fatto il giro del paese.

Cento genitori provenienti dall'ex-Unione Sovietica, i cui figli studiano in Israele, nei diversi programmi educativi dell'Agenzia Ebraica, sono giunti nel paese per un viaggio di esplorazione, che permetta loro di controllarvi le possibilità di vita e di impiego per passare un certo periodo con i loro figli. Si spera che saranno riuniti al più presto con i loro figli. 

Un gruppo di 40 genitori di militari israeliani, che si trovano nel paese senza la famiglia, sono giunti in Israele la scorsa settimana per incontrarsi con i loro figli e fare il giro del paese. Questa visita fa parte del programma Keshet dell'Agenzia Ebraica, operativo dallo scorso anno, il cui obiettivo è di permettere ai genitori dei soldati senza famiglia provenienti dall'ex-Unione Sovietica di far visita ai loro figli e di controllare possibilità di alià in Israele per loro stessi. La maggioranza dei ragazzi, i cui genitori hanno preso parte al viaggio, prestano servizio in unità di élite. Alcuni di loro non hanno visto le famiglie da diversi anni e questa visita servirà a risollevare loro il morale. Il viaggio, della durata di una settimana, ha compreso un giro turistico di Israele, durante il quale i partecipanti hanno ricevuto ampie informazioni sulle possibilità di immigrazione e di insermento. L'apice è stato un seminario nel corso del fine-settimana, in un albergo di Tel Aviv, a cui hanno preso parte anche i figli.

(Keren Hayesod N°13, 1 settembre 2002)


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