Notizie su Israele 123 - 7 settembre 2002
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Guai, dice il SIGNORE, ai figli ribelli che formano dei disegni, ma senza di me, che contraggono alleanze, ma senza il mio spirito, per accumulare peccato su peccato; che vanno giù in Egitto senza aver consultato la mia bocca, per rifugiarsi sotto la protezione del faraone, e cercare riparo all'ombra dell'Egitto! La protezione del faraone vi tornerà a confusione, e il riparo all'ombra dell'Egitto, a vergogna. (Isaia 30:1-3) LETTERA APERTA DI UN EX MINISTRO PALESTINESE AD ARAFAT Nabil Amer, anziano ministro palestinese incaricato delle relazioni dell'Autorità Palestinese con il parlamento, si è dimesso dalle sue funzioni il maggio scorso. Recentemente Amer ha scritto una lettera aperta a Yasser Arafat, attribuendogli la diretta responsabilità dell'attuale caos nei territori occupati. La lettera denuncia "il comportamento irresponsabile" dell'Autorità Palestinese e chiede ad Arafat di aver il coraggio di riconoscere i suoi fallimenti e i suoi errori. Lo accusa, tra l'altro, di aver perso a Camp David, nell'estate 2000, un'occasione unica. Il quotidiano "Al Haya", giornale saudita di Londra, ha pubblicato la lettera nella sua edizione del 2 settembre. Sorprendentemente, la lettera è stata pubblicata anche dal giornale dell'Autonomia Palestinese "Al Haya al-Jedida". A dire il vero, il giornale ha soltanto una piccola cerchia di lettori, ma in ogni caso questo fatto viene considerato un primo segno di una crescente critica interna palestinese all'autorità di Arafat, perché normalmente ogni critica al capo dell'OLP nei media palestinesi è vietata. Riportiamo ampi stralci della lettera. «Signor Presidente, perché hai così tanto disprezzo per le istituzioni, sia che si tratti di istituzioni partigiane, come Fatah e l'OLP, o di istituzioni di governo, come il consiglio legislativo e il governo? Fin dal tempo della lotta rivoluzionaria questo disprezzo non era scusabile. Ma oggi, al tempo dell'Autorità, diventa vietato. Signor Presidente, tu hai accettato il principio "anzitutto Gaza-Gerico" non per compiacerti della liberazione di queste due città, ma perché si trattava di dare concretezza al principio dello Stato che doveva essere messo alla prova, uno Stato che doveva cominciare da una zona geografica limitata e con prerogative di sovranità ancora più limitate in vista di trasformarsi, con il tempo, in un vero Stato sovrano e indipendente. Quando hai accettato questa formula sapevi bene che erano molti quelli che speravano in un suo fallimento. C'erano dei palestinesi, degli arabi e degli israeliani insieme. Tutti avevano il potere sufficiente per far fallire questa esperienza. Signor Presidente, dopo l'inizio della nostra lotta dall'interno, e nel quadro delle trattative con gli israeliani, noi ci siamo lasciati sfuggire alcune delle nostre armi favorite per l'edificazione di istituzioni degne di uno Stato, suscettibili di raccogliere il sostegno del mondo intero, di far aderire i palestinesi e togliere ogni argomento agli israeliani. Che abbiamo fatto del consiglio legislativo? della giustizia? dei soldi? dell'amministrazione? Quali progressi abbiamo fatto in questi campi? Se parlo al plurale è per dire che siamo tutti responsabili. Ma soprattutto tu, signor Presidente, che hai tutte le prerogative e tutti i poteri [...] Che abbiamo fatto dell'OLP, detentrice della legittimità internazionale? Che abbiamo fatto di Fatah, dei suoi congressi, dei suoi quadri... Se dei ricercatori si mettessero a indagare per capire la ragione di questa automutilazione, concluderebbero che è la nostra incapacità a capire il nostro stesso progetto, a gestirlo e a servirlo! Alcuni diranno che questo è quello che succede quando si passa dallo stato rivoluzionario allo stato istituzionale. Ma questo non basta a convincere. Abbiamo avviato l'esperienza con conoscenza di causa, muniti di quadri e istituzioni altamente qualificati. Non eravamo fieri di avere più ambasciatori di Israele? Non ci vantavamo della nostra democrazia ben più sviluppata che presso i "nostri fratelli" delle società sviluppate e stabili? [...] La risposta sta da un'altra parte. Il fatto è che si vuole "nuotare nel mare popolare", mentre prima ci accontentavamo di rivolgerci a questa popolazione da oltre mare. Del nostro popolo il governo in esilio conosceva soltanto la volontà e la capacità di resistere. Del suo governo in esilio il popolo conosceva soltanto le immagini gloriose che ben volentieri abbiamo voluto mostrargli! Quando c'è stato l'incontro tra governanti e governati, [...] i governati si sono accorti che tra i "gloriosi" che li governavano c'erano anche persone che non erano conformi all'immagine idealista che si erano fatta di loro... Signor Presidente, quando l'incontro è avvenuto, noi non abbiamo saputo gestire questa operazione storica. Non abbiamo definito le regole che dovevano collegare l'Autorità - quando si tratta di una vera autorità - e il popolo che doveva dargli la sua lettimità e la sua credibilità. Abbiamo preferito andare verso un potere che si esercita nello spirito di dividersi il bottino e non di dividersi le responsabilità in vista di accettare la sfida. Non abbiamo creato nessuna commissione per valutare i nostri quadri. Nella formazione dei nostri governi non abbiamo tenuto in alcun conto i meriti professionali o morali, ma soltanto considerazioni politiche e tribali. Abbiamo fatto un passo da giganti indietro: il merito, che nell'OLP era un criterio di potere, non aveva più valore per l'Autorità... [...] Poiché, signor Presidente, eravamo ciechi davanti alle difficoltà che ci attendevano, abbiamo creduto a quel detto semplicista e riduttivo che dice che "il mondo ha bisogno di noi per firmare la pace in tutta la regione". Non abbiamo voluto credere che un giorno alcuni dei nostri numerosi avversari, più potenti, avrebbero potuto dire: "Riprendiamoci questa chiave magica e non ne parliamo più" [...] La giustizia della nostra causa autorizza tutto questo caos? Signor Presidente, tu sei quello che ne patisce di più, ma sei stato tu che l'hai incoraggiato per "turbare l'avversario"! [...] Non abbiamo danzato di gioia per il fallimento di Camp David? Non abbiamo lanciato fango sul ritratto di Clinton? Siamo stati onesti in tutto quello che abbiamo fatto? No. [...] Signor Presidente, e adesso che facciamo? "Adesso" significa un tempo in cui i carri israeliani sono dappertutto in Cisgiordania e circondano Gaza. "Adesso" significa che le possibiità di fare programmi politici si sono ridotte a delle concessioni e i ministri sono trasportati dalle ambulanze. "Adesso" significa anche che le milizie palestinesi fanno tutto quello che vogliono nei territori, in nome della legittimità della resistenza... Adesso, dopo tutto questo, che si deve fare? Certamente, una visita ministeriale a Washington non è la soluzione, adesso che l'alleanza israelo-americana è al suo apogeo e Washington si prepara ad attaccare l'Irak; adesso che Rumsfeld evoca Gaza e la Cisgiordania in termini che nemmeno Sharon ha mai osato usare. Certamente, le telefonate di Solana e le tournées di Moratinos e di altri emissari europei non serviranno a niente. Quello che può servire è essere sinceri con sé stessi e riconoscere il fallimento e l'errore. Riconoscere un fallimento non è la fine del mondo, per una causa che ha in sé stessa le ragioni della sua vittoria. Ma questo riconoscimento è un atto coraggioso che serve a mettere i puntini sulle i e a trovare le ragioni di un futuro successo. Signor Presidente, che cosa ci impedisce di avere un dialogo interpalestinese con Hamas, la Jihad islamica e l'insieme delle organizzazioni e chiedere loro un periodo di calma per fasciare le nostre piaghe e restaurare la nostra casa distrutta, la Palestina e le nostre alleanze incrinate? Quel guerriero che è il popolo palestinese non merita un periodo di riposo? Anche se Sharon ci provoca, non sarebbe più saggio non rimbeccare e tentare di accerchiarlo con dolcezza al fine di riguadagnare la terza parte [l'opinione internazionale, ndr] che abbiamo persa a causa dei nostri comportamenti irresponsabili? Inoltre, non c'è nessun motivo perché questo dialogo debba arenarsi. Che cosa impedisce di applicare le raccomandazioni del consiglio legislativo per la riforma, dal momento che si tratta di un vero piano di riforme che conduce a delle vere istituzioni degne di un vero Stato? Che cosa ci impedisce di mettere ordine nel caos indescrivibile che si è impadronito dell'amministrazione, dove "l'esercito dei funzionari" supera i 130.000 uomini di cui tre quarti non sanno che cosa ci stanno a fare? [...]» (nsi - fonti: NahostFocus, Proche-Orient.info) IL RICCO ARAFAT E I POVERI PALESTINESI Tutto cio' che Arafat potrebbe fare con i soldi di cui dispone Il presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat dispone di almeno 1,3 miliardi di dollari. Lo ha affermato il capo dei servizi di intelligence israeliani Aharon Ze'evi parlando alla commissione esteri e difesa della Knesset il 13 agosto scorso. Ze'evi ha anche rivelato che il tesoriere di fiducia di Arafat, Muhammed Rashid, autentica eminenza grigia delle finanze palestinesi, continua a convogliare fondi a favore di Arafat nonostante si trovi ufficialmente "congelato" all'estero, sostituito dal nuovo ministro delle finanze palestinese Salem Fayad. Secondo Ze'evi, le entrate derivanti dai monopoli controllati dall'Autorita' Palestinese vengono tuttora versate a favore di Arafat, mentre Fayad non e' ancora riuscito ad assumere il controllo su questi flussi di denaro. L'American Israel Public Affairs Commitee si e' chiesto che cosa potrebbe fare Arafat con i soldi di cui dispone. Ecco i risultati dell'inchiesta. - Con 1,3 miliardi di dollari si potrebbero edificare 40.625 unita' abitative palestinesi da 6 famiglie ciascuna (32.000 dollari l'una). - Oppure, con 1,3 miliardi di dollari si potrebbe dar da mangiare per un anno intero ai 3 milioni di palestinesi dell'Autorita' Palestinese risparmiando 892 milioni di dollari che potrebbero essere utilizzati per 1.000 unita' di terapia intensiva (a 69.900 dollari l'una), nonche' per finanziare per 10 anni 10 ospedali come l'Ahli Arab Hospital di Gaza, e rimarrebbero ancora 585 milioni di dollari con i quali si potrebbero finanziare ulteriori progetti socialmente utili come ad esempio: - compiuterizzazione di 10 ospedali (a 4,57 milioni l'uno); - stipendi di un anno per 10.000 addetti a servizi sanitari (a 4.200 dollari l'uno); - vaccinazione anti-epatite per i 3 milioni di abitanti dell'Autorita' Palestinese (a 11,25 dollari l'una). I costi sono stati calcolati sulla base dei dati forniti da Organizzazioni Non Governative impegnate nell'assistenza umanitaria all'Autorita' Palestinese. (israele.net, 03.09.02 - dalla stampa israeliana) LA LOTTA ALLA CORRUZIONE NEI REGIMI ARABI Un articolo del dott. Abd Al-Wahhab Al-Effendi, scrittore e ricercatore sudanese che vive a Londra, è apparso sul quotidiano londinese in lingua araba Al-Quds Al-Arabi. L'articolo era titolato: "Combattere la corruzione [nel mondo arabo] è come combattere il cattolicesimo in Vaticano". Eccone alcuni estratti (1): La corruzione ha significato solo in un regime aperto e trasparente "Quando si sente - e in questi giorni accade frequentemente - che un alto funzionario arabo sta subendo un processo per accuse di corruzione, è ragionevole supporre che questo disgraziato funzionario non sia stato abbastanza corrotto. Questo perché le accuse di corruzione non hanno significato a meno che esse non abbiano luogo in un regime aperto e trasparente, con regole e regolamenti noti e fissi, con chiare basi di responsabilità e apparati neutrali e indipendenti che se ne possano occupare". "Al contrario, nel mondo arabo, dove ci sono regimi autocratici assoluti, il concetto di corruzione perde ogni significato, poiché la legge è ciò che vuole il capo; lui decide ciò che è permesso e ciò che è proibito, e i suoi compensi e regali sono legittimi mezzi di sostentamento". "Se il capo decide così, lui darà ai suoi figli il monopolio sull'importazione e l'esportazione; permetterà loro di comprare all'estero ad un decimo del valore [delle merci] e di essere rimborsati a prezzo pieno dal Tesoro di Stato; consentirà ai suoi amici e compari di usare la proprietà pubblica o le entrate dello Stato, o gli darà la terra. In questi casi noi stiamo parlando dell'incarnazione del guadagno legittimo". La corruzione nel mondo arabo significa disobbedire al capo "Questo significa che la sola 'corruzione' è disobbedire al capo... Nel patto tra il capo e gli uomini della sua corte, il suo entourage e i suoi protetti, tutti rinunciano alla loro umanità, rinnegano la loro opinione e coscienza e competono nell'obbedienza al capo. In cambio, il capo ricompensa chi vuole lui". La corruzione è l'essenza del regime "Perciò, ciò che nei regimi trasparenti è considerato come corruzione, diventa l'essenza del regime in quasi tutti i territori arabi. Nei regimi trasparenti, i confini tra i fondi pubblici e privati sono chiari, e le regole per le trattative finanziarie sono definite. Il governante non è nient'altro che un funzionario del popolo, e gli viene attribuito un determinato salario in cambio dei suoi servizi. Il budget è noto ed ampiamente pubblicizzato, e il popolo ne determina le clausole attraverso i suoi rappresentanti in un Parlamento eletto". "Il popolo chiede responsabilità dal capo, dai ministri e degli altri funzionari nella loro funzione, attraverso il Parlamento, i tribunali e un apparato indipendente di controllo. La stampa, i media e le istituzioni della società civile fanno una sorveglianza aggiuntiva delle funzioni [governative], e scoprono ogni sospetto di commistione di fondi pubblici e privati. Mentre compie il suo mandato, il governante non deve fare lavori privati per guadagno..." "Invece, i regimi arabi che sostengono di combattere la corruzione distruggono sistematicamente gli apparati di controllo. Nuove leggi sono emanate per sopprimere la stampa, che è obbediente sin dall'inizio. Allo stesso modo, essi falsificano le elezioni parlamentari, distruggono le istituzioni della società civile, e fanno tacere qualsiasi voce libera. In questo scenario, le accuse di corruzione, di tradimento e di tangenti servono a mettere a tacere le voci 'devianti' e quelli che violano il patto con il capo e cominciano a reclamare libertà e così via, e simili cose proibite e aborrite". Lo slogan della lotta alla corruzione è teso a rafforzarla "Perciò, possiamo facilmente stabilire che la lotta alla corruzione |
(o in effetti lo slogan della lotta alla corruzione) è uno slogan il cui reale obiettivo è di aumentare lo stato della corruzione... In Siria, per esempio, è apparso chiaro che l'ex primo ministro [Z'ubi], alla fine dell'era di Assad sr., sia diventato l'obiettivo delle accuse di corruzione e sia stato, secondo l'ambigua storia [ufficiale siriana], guidato al suicidio. L'obiettivo era di rimuovere chi si opponeva all'idea di trasferire il potere per eredità. Se ci fosse stata realmente una lotta contro la corruzione, lo Stato e i suoi apparati di sicurezza sarebbero stati i primi ad essere indagati". "La corruzione in Siria rode fino all'osso le istituzioni statali. Il visitatore in Siria vi si imbatte fin dal momento in cui varca la porta dell'aeroporto di Damasco, dove l'estorsione della polizia e dell'apparato di sicurezza è chiaramente visibile. Chiunque abbia familiarità con l'A-B-C di queste questioni, si accorge che una tale corruzione ai livelli più bassi in uno stato repressivo come la Siria non si verificherebbe se non fosse consentita e sostenuta da una più grande corruzione ai livelli più alti". "Un parallelo a questo è la possibilità che il Procuratore generale egiziano, Raga Al-Arabi, sia indagato con l'accusa di corruzione e di tangenti. Ciò è un chiaro segnale che quest'uomo, diventato un centro di potere per il suo lungo mandato in una posizione tesa a difendere la corruzione del regime, ha cominciato a costituire una minaccia per gli altri perni del regime. Ciò non significa che egli sia innocente dalle accuse di corruzione: cosa impossibile nei regimi in cui la corruzione è un principio-guida. Questo significa, come ho detto, che non è abbastanza corrotto. Una tattica usata dalle bande mafiose e dai gruppi di pressione sionisti in America ed in altri posti è di conservare dossier con prove contro alleati e amici e di usarli per ricattarli al momento giusto. Un uomo saggio capirà il messaggio in tempo, e tornerà sulla "Giusta Strada". Le richieste occidentali di combattere la corruzione: un fenomeno comico "Gli slogan della lotta alla corruzione hanno un altro ruolo: in questi giorni, essi sono diventati la condizione posta dai fondi finanziari occidentali e dai paesi donatori per continuare l'aiuto. Essi lo fanno non per amore di virtù, ma perché gli uomini d'affari che operano in quei paesi hanno cominciato a lamentarsi della corruzione che impedisce il loro lavoro. Le offerte non sono assegnate alle compagnie che inviano le proposte migliori ma, nella maggior parte dei casi, a quelle che offrono le bustarelle più grosse a coloro che vi sono coinvolti. Il pagamento dei debiti implica un'estorsione aggiuntiva... Questo ha fatto arrabbiare i paesi che forniscono i prestiti e le sovvenzioni; hanno scoperto che le offerte che essi finanziano vanno a società di paesi rivali perché esse erano molto più diligenti [nella corruzione]. "Questo è lo scenario del comico fenomeno in Palestina e della bizzarra collettiva richiesta che l'Autorità Palestinese combatta la corruzione. L'aspetto umoristico di questa richiesta non finisce con la richiesta che il presidente Yasser Arafat combatta la corruzione, istituisca la sicurezza e persino appoggi la libera economia e il commercio mentre è assediato e non può neanche comprare pomodori al mercato: tanto meno trasformare la Palestina nella spina dorsale del libero commercio nel 'mondo libero'". Ciò che è ancora più buffo è che la corruzione dell'Autorità Palestinese e degli altri regimi arabi è in effetti una condizione necessaria per adempiere al ruolo che gli è stato imposto: servire interessi stranieri e sottomettere i popoli". "Se l'Autorità Palestinese desse piena autorità al Parlamento palestinese e agli apparati legali, e se obbedisse alla volontà popolare e spendesse i fondi che gli sono stati concessi e le entrate in istruzione, sanità, servizi e resuscitasse l'economia, cosa resterebbe per corrompere gli attivisti e gli intellettuali con nomine nei ministeri e nell'apparato di sicurezza... mettendoli perciò a tacere ed impedendogli di rivelare le irregolarità necessarie a salvaguardare la sicurezza di Israele? Questo vale anche per gli altri paesi arabi...". Se i regimi arabi combattessero la corruzione, l'intera élite politica finirebbe in tribunale e in carcere "Insomma, nelle attuali circostanze arabe, 'combattere la corruzione' è impossibile, perché la corruzione è il fondamento di questi i regimi e lo strumento principale che permette la continuazione della loro esistenza... Se i regimi combattessero davvero la corruzione, come la campagna 'mani pulite' in Italia negli anni '90, quel che è accaduto in Italia accadrebbe qui: l'intera élite politica lì è finita in tribunale e in carcere". Combattere la corruzione nel mondo arabo è come combattere il capitalismo in America o il cattolicesimo in Vaticano "Poiché è inconcepibile che i tribunali con cui abbiamo familiarità nei paesi arabi condannino i figli del presidente e dei ministri più elevati, "mani pulite" dovrà aspettare fino al cambio del regime... Con gli attuali regimi, lottare contro la corruzione è come combattere il capitalismo negli Stati Uniti o il cattolicesimo in Vaticano, cioè la distruzione delle fondamenta dell'ordine esistente. Se solo ciò accadesse!". ------------------- Nota: (1) Al-Quds Al-Arabi (Londra) , 6 agosto 2002 (MEMRI, 25 agosto 2002) I LIBRI DI TESTO ISRAELIANI PROMUOVONO LA PACE Nonostante due anni di conflitto con i palestinesi caratterizzati da diffuse violenze e da un'ondata di terrorismo senza precedenti, nessun libro di testo adottato nelle scuole statali israeliane per l'anno scolastico appena iniziato indulge alla retorica guerresca ne' invoca l'uso delle armi. E' quanto emerge da uno studio illustrato martedi' dal Center for Monitoring the Impact of Peace. Uno studio analogo condotto dal Centro lo scorso anno aveva rivelato che il 58% dei libri di testo adottati nelle scuole sotto giurisdizione dell'Autorita' Palestinese non nomina nemmeno Israele ne' il processo di pace. La ricerca attuale, invece, condotta su 350 libri di testo israeliani, compresi quelli pubblicati negli anni 2000 e 2001, mostra che la maggior parte di essi promuove attivamente lo spirito di pace, parla del processo di pace e illustra la questione aperta dei confini fra Israele e Autorita' Palestinese. L'atlante geografico piu' diffuso nelle scuole statali israeliane, sia laiche che religiose, comprende una mappa che mostra i territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania) suddivisi in Aree A, B e C secondo gli Accordi ad interim israelo-palestinesi del 1995. "Il conflitto fra israeliani e palestinesi - afferma lo studio - continua ad essere presentato come uno scontro fra due movimenti nazionali, legittimando in questo modo l'esistenza del movimento nazionale palestinese". Studenti e scolari israeliani vengono anche diffusamente informati sui luoghi ritenuti sacri da ebrei, cristiani e musulmani. "I risultati della nostra ricerca sono molto incoraggianti - dice Amos Yovel, direttore del progetto - Nonostante le violenze dell'intifada e i cambiamenti di governo a Gerusalemme, il positivo atteggiamento verso la pace dei libri di testo israeliani non e' cambiato". In alcuni casi, come nei nuovi libri di educazione civica, vengono anche date informazioni sulle politiche israeliane accusate di discriminazione a danno dei cittadini arabi israeliani, e vengono toccate questioni molto complesse come la natura di uno stato che si definisce sia ebraico che democratico. Si e' dato solo un caso di un libro di testo che e' stato ritirato dall'elenco dei testi adottabili. Si tratta del libro "Un mondo di cambiamenti", di cui a suo tempo i mass-media parlarono diffusamente. Ma il provvedimento, spiega Yovel, fu adottato a causa degli errori storici contenuti nel testo, piu' che per motivi politici. I libri che compaiono nell'elenco dei testi adottabili,infatti, presentano una vasta gamma di posizioni diverse che vanno da quelli ispirati alla storiografia detta "post-sionista", che tende ad attribuire responsabilita' storiche a Israele, a quelli che tendono ad attribuire alla parte araba la responsabilita' di tutte le guerre arabo-israeliane. (israele.net, 03.09.02 - dalla stampa israeliana) AMICI CRISTIANI DI ISRAELE COLLABORANO NEL SETTORE DELL'ASSISTENZA L' "International Fellowship of Christians and Jews" offre assistenza agli immigrati dall'Etiopia e ad altri bisognosi La sinagoga Beit Avraham (Casa di Abramo) ad Afula è stata inaugurata il mese scorso alla presenza del Sindaco di Afula, Yitzhak Meiron, dei rabbini-capi della città, del Rav Yechiel Eckstein, presidente della International Fellowship of Christians and Jews e membro delConsiglio dei Fiduciari del Keren Hayesod Appello Unificato per Isreale, insieme a 200 abitanti di Afula di origine etiopica. La moderna e bellissima sinagoga è stata arredata con l'assistenza della Fellowship. In precedenza, Rav Eckstein aveva anche partecipato all'apertura della prima sinagoga etiopica a Beit Shean, che vanta una crescente ed attiva comunità etiope. La sinagoga, denominata Shevet Achim Gam Yachad, è anche stata costruita con l'aiuto della Fellowship. A Beer Sheva, la Fellowship finanzia le spese di gestione del grande Centro SpiritualeComunitario, che offre servizi a centinaia di abitanti della città di origine etiope. Negli ultimi mesi, l'International Fellowship of Christians and Jews ha stanziato un milione di dollari per la creazione di altri quattro nuovi centri spirituali per la comunità etiope in Israele. Rav Eckstein ha avuto incontri personali con i sindaci ed i leaders della comunità etiope di Ashkelon, Lod e Rehovot, visitando le locazioni proposte. Eckstein ha detto, a proposito del progetto: "Dal 1998, il generoso aiuto dei nostri amici e sostenitori cristiani ci ha messo in grado di aiutare migliaia di ebrei etiopi ad immigrare in Israele e a ricostruirsi qui una nuova esistenza. Riconosciamo, tuttavia, il desiderio della comunità etiope di preservare il proprio retaggio particolare e la propria identità culturale, e questo vasto ed importante progetto è il nostro contributo alla realizzazione di tale necessità". Oltre a ciò, la Fellowship contribuisce annualmente con milioni di dollari all'addestramento professionale degli immigranti dall'Etiopia, inserendoli ed integrandoli nella forza-lavoro del paese. La Fellowship ha inoltre approvato di recente un soccorso di emergenza di 3,4 milioni di dollari per la città di Lod. Il soccorso è stato annunciato nel corso di uno speciale incontro di lavoro con il Primo Ministro Ariel Sharon ed il Sindaco di Lod, avvenuto nella città. Rav Eckstein ha detto che l'assistenza offerta è destinata all'aiuto nella risoluzione dei problemi immediati che affliggono la città, nell'ambito dei servizi sociali e dell'inserimento degli immigrati. I problemi della città sono stati fatti presenti al Direttore Generale della Fellowship, Dvora Ganani, nel corso di un incontro di lavoro con il Sindaco. Di conseguenza, i dirigenti della Fellowship hanno deciso di aiutare Lod, offrendo un circolo giovanile per la gioventù immigrata ed un circolo per immigrati più anziani, che saranno aperti immediatamente; saranno creati sei nuovi posti lavoro nei servizi sociali e nell'inserimento degli immigrati e saranno fatti altri stanziamenti per equipaggiamenti ed altri progetti. La IFCJ ha inoltre deciso di raddoppiare il bilancio dei servizi sociali di Lod, destinato a necessità particolari. E' stato inoltre annunciato che proseguirà la costruzione, del costo di un milione di dollari, del centro spirituale destinato alle migliaia di immigrati dall'Etiopia che abitano nella città. Negli ultimi anni, la IFCJ ha raccolto circa 60 milioni di dollari fra gli Amici cristiani di Israele, destinati a progetti nei campi dell'alià e dell'integrazione, del soccorso agli indigenti e dell'assistenza sociale in Israele. Durante lo scorso anno, la IFCJ ha fornito un'assistenza particolare a 20 città in tutto Israele e ora sta esaminando richieste fatte da altre 20 città. (Keren Hayesod, 01.09.02) PIANO DELL'IRAN CONTRO ISRAELE? L'Iran pensa a un "secondo fronte" per contrastare l'intervento anti-Saddam L'Iran ha pianificato un elaborato piano volto a contrastare l'imminente campagna degli Stati Uniti contro l'Iraq. A Siria, Libano, Hezbollah e palestinesi verra' chiesto di provocare uno scontro massiccio con Israele allo scopo di aprire un secondo fronte tale da ostacolare o addirittura paralizzare l'offensiva americana. E' quando emerge da fonti di intelligence iraniane e mediorientali. Secondo queste informazioni, il vice ministro degli esteri iraniano Mohammad Sadr si e' recato la scorsa settimana in Siria e Libano per perfezionare il piano, trovando orecchie molto attente. Il presidente siriano Bashar Assad, infatti, condivide la convinzione iraniana che un regime filo-occidentale instaurato dagli americani a Baghdad rappresenterebbe una seria minaccia per il regime degli ayatollah a Teheran, per il regime ba'athista (nazionalsocialista arabo) a Damasco, per la liberta' d'azione dei gruppi terroristici palestinesi che fanno base in Siria e per l'esistenza stessa del movimento fondamentalista libanese sciita Hezbollah, vero e proprio braccio dell'Iran per operazioni terroristiche e di intelligence all'estero. (israele.net, 05.09.02 - da DEBKAfile) VARI MODI DI FARE CORDOGLIO Non abbiamo mai riportato fotografie di israeliani o palestinesi piangenti per la morte di propri familiari caduti negli scontri perché crediamo che il dolore per la perdita di una persona cara vada comunque rispettato e mai strumentalizzato per fini di parte. Resta però il fatto che il modo in cui si vive un momento di lutto è significativo. Ecco alcune fotografie. 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