Notizie su Israele 152 - 31 gennaio 2003


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Perciò di': "Così parla DIO, il Signore: Sebbene io li abbia allontanati fra le nazioni e li abbia dispersi per i paesi, io sarò per loro, per qualche tempo, un santuario nei paesi dove sono andati". Perciò di': "Così parla DIO, il Signore: Io vi raccoglierò in mezzo ai popoli, vi radunerò dai paesi dove siete stati dispersi, e vi darò la terra d'Israele"."

(Ezechiele 11:16-17)



COMMISSIONE D'INCHIESTA EUROPEA SUI SOVVENZIONAMENTI AD ARAFAT


Raggiunte più di 160 firme: la richiesta di una commissione d'inchiesta sui fondi trasmessi dall'Unione Europea all'Autorità Palestinese sarà depositata martedì.

di Anne-Elisabeth Moutet

    
François Zimeray

François Zimeray ha vinto la sua scommessa: il deputato europeo francese ha raccolto le firme di più di un quarto (157) dei membri del Parlamento di Bruxelles necessari per richiedere la costituzione di una commissione d'inchiesta sull'utilizzazione degli aiuti portati dall''Unione Europea all'Autorità Palestinese. "Abbiamo superato le 160 firme", ha annunciato. Il prossimo martedì, dopo una conferenza stampa, la richiesta e le firme saranno formalmente depositate presso il Presidente del Parlamento, l'irlandese Patrick Cox. Questi dovrà in seguito presentarla alla Conferenza dei Presidenti (di gruppo) che ha il potere (ma non l'obbligo) di istituire la commissione d'inchiesta parlamentare, dotata di importanti poteri.
    "Se la Conferenza dei Presidenti sceglierà di non istituire questa commissione d'inchiesta", preannuncia François Zimeray, "sarà un insulto ai membri firmatari e un incomprensibile rifiuto della verità. Questo costituirà anche un'abdicazione del Parlamento, nel preciso momento in cui l'Europa democraticamente eletta deve invece affermarsi."
    Una commissione d'inchiesta parlamentare europea, una procedura rara: soltanto una mezza dozzina nelle due ultime legislature; l'ultima ha provocato la dimissione collettiva della Commissione Europea. Essa dispone di mezzi e di poteri d'indagine molto estesi. Le deposizioni sono fatte sotto giuramento. Sono gli stessi testi europei che danno il potere di controllo sul buon uso dei fondi prelevati dai contribuenti dell'Unione.

Per il momento i nomi dei firmatari non sono resi noti, "per non esporli al genere di pressioni scandalose che abbiamo subito fin dall'inizio di questa iniziativa", racconta François Zimeray. Socialista convinto, Zimeray, con suo grande rammarico non ha trovato alcuna eco nella sua propria famiglia politica. "Tutti i grandi partiti erano ufficialmente contrari. Il commissario europeo per le relazioni con l'estero, Chris Patten, ha chiamato personalmente alcuni parlamentari invitandoli a ritirare i loro nomi. Ha fatto di tutto per impedire che la nostra richiesta venisse alla luce. Mai avrei immaginato che si facessero tante manovre e pressioni per impedire che si eserciti il controllo previsto dalla legge europea."
     Gli oppositori non si nascondono. Patten, l'ultimo governatore britannico di Hongkong riciclato a Bruxelles, in una delle commissioni di Affari per l'estero ha gridato: "Io ho bisogno di questa commissione d'inchiesta come di un foro in testa!"
    Perché questa opposizione implacabile?
    "Si tratta di una sconfessione clamorosa della Commissione [che ha dato fondi ai palestinesi, ndt] e del ruolo funesto che ha giocato nel deresponsabilizzare l'Autorità Palestinese dandole, senza alcun controllo, dei fondi che finanziano direttamente l'educazione all'odio, l'incoraggiamento al martirio, la corruzione e il terrorismo", spiega François Zimeray. "Se la commissione d'inchiesta viene istituita, e in previsione di quello che molto probabilmente troverà, bisognerà che Patten ne tragga le conclusioni che s'impongono."
   
Sono tre anni che François Zimeray cerca di attirare l'attenzione sulla responsabilità europea sugli avvenimenti tragici della seconda intifada, senza mai ricevere altro che risposte evasive.
    "Recentemente l'Europa ha perfino aumentato le sue sovvenzioni all'Autorità Palestinese senza migliorare il controllo. L'UE è diventata per l'AP la vacca da latte senza contropartita. Non si capisce, non si vuol capire la gravità di quello che dimostro."
    Del resto, se la commissione d'inchiesta non scoprirà alcuna infrazione, perché opporsi? Il fatto è che la realtà dell'AP è un segreto di pulcinella tra gli stessi donatori di fondi. Lontano dai microfoni i parlamentari gli dicono: "Sappiamo bene che l'Autorità Palestinese è corrotta... ma se sosteniamo la vostra commissione d'inchiesta, daremmo l'impressione di appoggiare il governo Sharon." Cioè: "Lei mette in imbarazzo l'Europa."
     "E' lo stesso fenomeno di accecamento che per decenni ha avuto l''intelligenzia" rifiutandosi di denunciare i crimini di Stalin con il pretesto di "non voler fare il gioco dei capitalisti" o per non danneggiare i miti fondatori", osserva François Zimeray. Secondo lui, dei compagni di strada degli staliniani come i responsabili europei attuali hanno del sangue sulle mani.
     "La nostra indulgenza ha ucciso dopo il settembre 2000. Noi siamo responsabili di centinaia di morti israeliani e palestinesi perché abbiamo consentito la radicalizzazione omicida dell'Autorità Palestinese. L'abbiamo coccolata (infantilisée) facendole credere che non c'erano limiti alle sue deviazioni, e abbiamo fatto esplodere il campo della pace da entrambe le parti."
     François Zimeray tuttavia è convinto che la sua iniziativa è vantaggiosa anche per il popolo palestinese. "Io sono favorevole a un aiuto europeo ai palestinesi! Sono anche per un raddoppio, per un vero piano Marshall di ricostruzione della Palestina, per un'elevazione del livello di vita e per un avvicinamento tra i popoli. Ma nella trasparenza, per la verità e per la pace. Abbiamo appena celebratro i 40 anni del trattato franco-tedesco. Se l'Europa ha un contributo da portare, è quello che le viene dalla sua propria storia. La costruzione europea non è soltanto carbone e acciaio; sono gli scambi franco-tedeschi dei giovani. E' l'esempio che dobbiamo portare, invece di finanziare un'autorità corrotta e irresponsabile.

(Proche-Orient.info, 30.01.2003)



DISTRIBUITO IN ISRAELE UN LIBRETTO D'ISTRUZIONI PER AFFRONTARE LA GUERRA


IN CASO DI VERO ALLARME

In Israele è stato stampato in due milioni di copie e distribuito alle famiglie un libretto giallocon le istruzioni per affrontare la guerra. La consegna è iniziata subito dopo le elezioni

GERUSALEMME. Immediatamente dopo l'appuntamento elettorale è arrivato nelle case israeliane un libretto giallo. In copertina una famiglia sorridente: due genitori giovani con in braccio due bimbi sani e belli, come se fosse la pubblicità per una vacanza. Invece il pamphlet si intitola: «In caso di vero allarme, istruzioni per la difesa civile nelle famiglie».
     Cinquantuno pagine - stampate in sette lingue: ebraico, arabo, inglese, aramaico, russo, francese e spagnolo - che entro due settimane raggiungeranno ogni famiglia e cittadino di Israele. Oltre 2 milioni di copie distribuite dall'esercito per spiegare agli israeliani cosa fare in caso di guerra con l'Iraq.
     Nella lettera di introduzione firmata dal generale Yosef Mishlav, a capo della Difesa Civile israeliana, si rammentano le caratteristiche e le implicazioni di una guerra che «va oltre i confini e può colpire la popolazione civile». Il generale scrive: «In questo genere di guerre potremo vincere solo se capiremo che ognuno di noi è un soldato in casa propria e che la propria casa non è altro che la fortezza che ci può difendere, se, ovviamente sarà preparata come tale».
     La brochure entra quindi nel vivo del problema, spiegando cosa significa un attacco con armi convenzionali o non convenzionali, un attacco chimico o un attacco biologico, descrivendo anche i vari tipi di missili e testate. Alla fine di questo capitolo si legge in neretto: «È importante ricordare che dalle armi chimiche o biologiche ci si può difendere e che lo Stato di Israele e tutte le sue istituzioni addette sono praparati e addestrati ad affrontare questo tipo di eventi».
     Si passa quindi ad elencare tutti i segnali che faranno riconoscere al cittadino l'allarme: sirene, annunci tramite i media, codici vari ecc. Scattata l'emergenza, ogni cittadino ha il dovere di rispettare istruzioni precise da mettere in atto nella propria casa, sul luogo di lavoro e perfino per strada (a piedi o nella propria auto).
     Una mappa di Israele mostra dieci diverse aree geografiche numerate in cui è diviso il Paese che serviranno all'esercito a dare istruzioni dettagliate per ciascuna zona. Un lungo capitolo dedicato invece alle reazioni psicologiche, spiega come si affrontano le situazioni di emergenza e di paura, in particolare con i bambini (anche a seconda delle diverse età), degli anziani, e dei malati.
     Si raccomanda quindi a ciascuna famiglia di tenere tutto pronto, di parlare di tali preparativi e di esercitarsi a metterli in pratica. Un lungo elenco di nomi, numeri telefoni e indirizzi indicano quindi a chi (e come) ci si può rivolgere in caso di problemi. Con una raccomandazione: «non tenetevi dentro la paura, ma esprimete quello che sentite parlandone con gli altri».
     Si passa quindi alle istruzioni tecniche: come si sigilla una stanza, come si tiene un rifugio condominiale, come si allestisce uno spazio per i bambini, fino all'utilizzo dettagliato delle maschere e delle iniezioni di atropina.
     Nella brochure figura una lista di generi - alimentari e non - di cui è necessario fare provvista e che bisogna apprestare nel rifugio. Alcuni esempi: coperte, lampade, radio, cibo, bevande, giocattoli, vestiario, medicine, libri, un coltello e una toilette chimica. Per essere tranquillizzati, gli israeliani ricevono infine una lunga lista di tutti coloro che sono a loro disposizione: soldati, infermieri, medici, vigili del fuoco. Con una mappa di tutti i centri di pronto soccorso allestiti nel Paese.
     Se la guerra scoppierà - e in Israele si crede che scoppierà anche se c'è una certa fiducia che essa non coinvolgerà lo Stato ebraico - i cittadini sanno almeno cosa fare. Anche se gli esperti riferiscono che il timore della guerra ha già provocato alcuni disturbi e fatto diminuire, ad esempio, i rapporti sessuali tra le coppie. Chi fa la guerra, a quanto pare - e perfino chi si prepara a farla - non riesce proprio a fare l'amore.

(da "livuso", 31.01.2003)



L'OBBLIGO DELLA MEMORIA


La democrazia ha bisogno del giorno della Memoria
   
di Paolo Bagnoli


    Torna la Giornata della Memoria. Sappiamo benissimo a cosa ci riferiamo: alla memoria dell' Olocausto; alla memoria di un evento che ha investito il destino di un popolo, ma che riguarda anche chi non appartiene al popolo ebraico perché esso occupa una posizione centrale nella vicenda storica dell'umanità. Giornata della Memoria per comprendere il senso di eventi che hanno segnato il secolo scorso; per comprenderli fino in fondo in uno sforzo continuo della Ragione di penetrare il perché ciò che è accaduto sia potuto accadere. La memoria, infatti, implica una sfida della Ragione per renderci conto di ciò che la capacità di raziocinio dell'uomo fatica a comprendere. La Shoah è il fatto centrale del Novecento ed essa non è riconducibile ad un semplice sterminio; ad uno dei tanti drammatici stermini che la Storia ha registrato. E' un evento senza paragoni. Ecco l'obbligo della memoria.
    Quella della Shoah non va, infatti, affidata alla categoria del ricordo, raccolta nei confini di sviluppo che la riguardano, ma essa va collocata all' interno di un più ampio discorso, di riflessione e di approfondimento, della nostra civiltà contemporanea; di una civiltà che, pur con tutte le sue conquiste, non ha cancellato il concetto di alterità, ossia della diversità intesa sotto vari aspetti: religioso, etnico, sociale, sessuale per cui i diversi sono, sempre e comunque, gli altri.
    La crisi del liberalismo europeo, la nascita e l' affermazione dei nazionalismi, hanno prodotto una concezione aberrante dell'idea e della pratica della sovranità nel senso di interpretarla come un dato che si realizza solo nel momento in cui qualcuno annienta l'altro. Così, la distruzione totale di un qualcuno non è solo un fatto teorico: il diritto alla vita, la libertà politica, quella di essere se stessi possono concretamente, in un certo momento- o forse, per meglio dire, in un qualsiasi momento - essere sottratte all' uomo da parte di un altro uomo. Credo che Auschwitz, tra le tante cose che insegna, insegni soprattutto questa. Ecco un'altra conferma del valore della sua unicità e centralità: il ricordo di Auschwitz, la memoria cioè, costituisce il momento di legame con il dovere di testimoniare la civiltà della democrazia e della pace. La memoria, quindi, diviene fattore operante che riguarda tutti: rispetto ad essa chi fa pratica di libertà e di democrazia ha sempre un dovere: quello di oggi diviene testimonianza per il dovere di domani. Da questo dovere, dalla sua esplicazione, nasce il modo di essere del mondo perché la libertà non è un dato astratto, ma vive solo se si realizza concretamente; da questo dovere nasce il mondo, quello di oggi e quello di domani.
    La storia ha, quindi, bisogno della memoria. Elie Wiesel ha detto che l'oblio è il contrario della storia. Aggiugiamo noi che lo è pure lasua falsificazione; parlando delle ragioni della memoria abbiamo il dovere di ricordarlo. Oggi, infatti, nel nome di una non meglio precisata pacificazione e di una ridefinizione del concetto di patria, si assiste all'evolversi di un progetto che, forzando proprio la storia, tende a mettere in equilibrio di valore l'Italia fascista con quella che non lo era e che, anzi, la combatteva; l'Italia della dittatura e delle discriminazioni razziali con quella della libertà; la parità sostanziale dei valori patriottici rappresentati da schieramenti contrapposti. Si tratta di un'operazione che mira a delegittimare la Repubblica e ciò che essa significa per la nostra democrazia le cui radici hanno precisi luoghi storici di riferimento.
    Ma sul punto va detto di più. Infatti, se nel dopoguerra, la coscienza collettiva degli italiani non si sentì implicata in una questione quale quella che si verificò in Germania - il famoso dibattito sul cosiddetto passato che non passa - lo si è dovuto proprio all' antifascismo, alla Resistenza, alla Guerra di Liberazione. Se in Italia il passato è passato è perché la coscienza collettiva del Paese è stata riscattata; perché l' antifascismo aveva già fatto i conti con un periodo storico le cui conseguenze vedevano già assegnati i ruoli e ciò non può essere oggetto di revisione.
    Circolano false letture del nostro passato. Una di queste è che in Italia, sostanzialmente, la questione razziale fu blanda. Quasi tutti i memorialisti della scelta di Salò hanno tenuto a precisare che hanno saputo delle camere a gas dopo la fine del conflitto e ciò è sicuramente vero; ma sia quelli che hanno abiurato alle ragioni della loro scelta giovanile, sia coloro che invece ancora le difendono, non potevano non sapere come, con le leggi razziali del 1938, il fascismo avesse imboccato ufficilamente la ripugnante via della discriminazione antisemita. E fu grazie a quelle leggiche in Italia, a differenza per esempio di quanto avvenne in Francia, i tedeschi non ebbero bisogno di alcuna fase preparatoria per attuare le deportazione del 1943 e 1944.
    Giornata della Memoria, perciò, anche come giornata della conoscenza: di ciò che ha prodotto l' odio razziale, del significato della lotta antifascista, della natura dell' occupazione tedesca e di come i fascisti vi collaborarono. Fare memoria vuol dire, infine, schierarsi con decisione contro ogni razzismo. Il premio Nobel polacco Isaac Bashevis Singer, forse il più grande scrittore yiddish del Novecento, ha scritto: "Quando tutte le nazioni si renderanno conto che sono in esilio, l'esilio cesserà di essere; quando le maggioranze scopriranno che anch' esse sono minoranze, la minoranza sarà la regola e non l'eccezione". Sembra quasi una profezia sulla nostra difficile attualità.

(Paolo Bagnoli è Professore Ordinario di Storia delle dottrine politiche a Siena, già direttore del Gabinetto Vieusseuxdi Firenze)
  
("il Nuovo", 28.01.2003)



TESTIMONIANZA DI UN EBREO


Da Perlasca a Schindler, il Giardino dei Giusti

di Moshe Bejski


Forse solo chi è stato braccato come un animale e ha provato a scappare dal destino amaro che lo attendeva, trovando però le porte chiuse di fronte alla ricerca di un rifugio per la notte, è in grado di apprezzare pienamente quelle persone eccezionali che in virtù della loro umanità e ragionevolezza si sono comportate diversamente dalla maggior parte degli individui, che assistevano con indifferenza a ciò che stava accadendo e senza far nulla per aiutare... Numerosi e diversi furono i modi per aiutare e salvare gli ebrei e furono infiniti gli stratagemmi escogitati da queste persone per proteggere coloro che erano sotto la loro protezione: nascondendo a casa propria una famiglia o un bambino condividendo un pezzo di pane, approntando certificati ariani falsi, offrendo cibo, aiuto per passare i confini o la necessaria assistenza medica...
    Nel ricordare i Giusti delle Nazioni la soddisfazione mia e della commissione era rappresentata dal fatto che, mentre ascoltavamo e discutevamo questi fatti straordinari, ogni caso ci faceva provare la sensazione che, persino dall'oceano di odio e violenza e dall'oscurità in cui si trovò il mondo intero, erano emerse persone incredibili, che devono servire da modello per la nostra generazione e per tutte quelle successive.
    Ci furono persone che non si accontentarono di salvare una sola vita o quella di una sola famiglia, già moltissimo, ma che grazie alle idee, al loro coraggio e ai tanti stratagemmi inventati sono diventate simboli di salvezza per tanti ebrei, centinaia, migliaia, e persino decine di migliaia.
    Desidero ricordare il nobile svedese Raul Wallenberg, giunto a Budapest come diplomatico nel 1944, durante uno dei momenti di maggiori deportazioni di ebrei verso Auschwitz, che stampò e rilasciò certificati di protezione del suo Paese e costruì un Ghetto internazionale sotto la protezione della Svezia, riuscendo così a salvare più di 30.000 ebrei...
    Sempre a Budapest, il console del Portogallo si comportò allo stesso modo, rilasciando visti per salvare gli ebrei. Quando il Consolato del Portogallo fu definitivamente chiuso, un cittadino italiano, Giorgio Perlasca, con grande spirito d'iniziativa, riuscì a salvare molti ebrei usando il timbro del console per fornire visti senza averne l'autorità.
    Ebbi l'onore e il piacere di accompagnare il signor Giorgio Perlasca quando venne invitato in Israele per piantare un albero nel Viale dei Giusti delle Nazioni, e di presentarlo al presidente di Israele. Un personaggio straordinario, giustamente orgoglioso delle sue azioni.
    Le gesta di Oskar Schindler, che tanti ebrei salvò, sono note attraverso il libro di Thomas Kenneally e il film di Steven Spielberg, «Schinder's list». Ebbi la fortuna di essere nella lista di Schindler durante la guerra e grazie a lui sono sopravvissuto, assieme a 1.200 prigionieri del campo di concentramento...
    In verità si può dire che in ogni Paese e in ogni posto potevano essere salvati ebrei se soltanto si fosse trovato qualcuno disposto a rischiare, e il rischio non era piccolo.

(da "livuso", 28.01.2003)



IL MONDO MUSULMANO IN COMPETIZIONE CON L'OCCIDENTE


Il Primo ministro della Malesia, Mahathir Muhammad, ha recentemente parlato al Forum internazionale sull'Islam a Kuala Lumpur, intitolato "Lo stato del mondo musulmano oggi: la conoscenza come strumento per il rafforzamento musulmano". Nel suo intervento (1), il Primo ministro ha esaminato la necessità per il mondo musulmano di perseguire una campagna di acquisizione di conoscenze, in modo da poter competere con l'Occidente. Ecco alcuni estratti del suo discorso:


"La condizione del mondo musulmano è al punto più basso"

"Io non penso che sarebbe sbagliato affermare che la condizione del mondo musulmano è al livello più basso, e che probabilmente sta continuando a declinare".

"Da quando l'Impero turco musulmano cadde davanti all'attacco delle nazioni europee, il mondo musulmano non solo è stato smantellato in piccoli e inefficaci stati/nazione, ma non è stato più capace di costruire una ripresa, e ancor meno di ristabilirsi a livello mondiale".

"In realtà, per molti dei popoli dell'Impero turco, la loro cooperazione con gli europei per liberarsi dal governo turco si è risolta in un cambiamento di padroni coloniali, dal turco al britannico e francese. Solo dopo molto tempo e con grande difficoltà sono riusciti a divincolarsi dal governo coloniale europeo".

"Anche quando essi sono riccamente dotati, non sono stati in grado

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di fare nessun reale progresso in termini di influenza negli affari internazionali. Non si trova un solo paese musulmano tra le nazioni più sviluppate del mondo".

"Quando ha avuto luogo la Rivoluzione industriale, il mondo musulmano era relativamente indiviso. Ma i musulmani in generale furono o inconsapevoli della Rivoluzione o la rifiutarono. Per un lungo periodo, il risultato della Rivoluzione industriale – in termini di conquiste materiali o di sistemi – fu rifiutato dai musulmani".

"Non solo abbiamo mancato la Rivoluzione industriale, ma abbiamo anche perso gli sviluppi che ne sono seguiti, che noi abbiamo anche visto con sospetto. Ma i musulmani, durante i giorni della gloria islamica, hanno cercato la conoscenza. Così ci sono stati grandi medici musulmani, scienziati, matematici, astronomi e geografi, ecc., durante l'ascesa degli imperi e delle civiltà musulmane. Infatti, i grandi imperi e civiltà erano parzialmente il risultato degli sforzi di questi studiosi, di questi ricercatori di conoscenza".

"In seguito, la conoscenza è stata interpretata solo come conoscenza religiosa e gli studi di altri generi di conoscenze sono stati considerati o come peccaminosi o come carenti in merito, come non contribuenti alla vita dell'aldilà. E così il perseguimento della conoscenza diversa da quella religiosa fu abbandonato".


"Gli studenti musulmani quasi mai raggiungono l'eccellenza"

"Il risultato è che gli studenti musulmani quasi mai raggiungono l'eccellenza nelle scienze, ecc., incluso il campo della ricerca,  così necessario per competere con il resto del mondo non-musulmano. Più tardi, nella vita, questi laureati non sono in grado di contribuire alla ripresa della passata gloria dei musulmani. Peggio ancora, non sono nemmeno motivati a farlo".

"Uno degli importanti, fondamentali insegnamenti dell'Islam è la necessità di essere ben equipaggiati con armi e capacità difensive per infondere paura nel nemico e difendere l'Ummah. Questo insegnamento è ovviamente trascurato, per cui la razza [sic !] di appena 13 milioni di persone nel mondo intero può sconfiggere le forze di 1.3 miliardi di musulmani. Infatti, pressappoco chiunque può opprimere qualsiasi paese musulmano e non c'è niente che i paesi musulmani possono fare, oltre che piangere e invocare giustizia".


"Il mondo musulmano di oggi è, senza speranza, debole e arretrato"

"A causa di tutte queste e di molte altre (insufficienze), il mondo musulmano di oggi è, senza speranza, debole e arretrato. Può la conoscenza rafforzare i musulmani politicamente? Certo che può".

"Ma bisogna ricordarsi che non c'è un'unica causa responsabile di qualsiasi cosa che accada nel mondo. La mancanza di conoscenza da sola non è la causa (della nostra arretratezza) e acquisire conoscenza di per sé non rafforzerà i musulmani. Certamente, la conoscenza (acquisita) che non viene applicata non gioverà ai musulmani neanche un po'".

"Assieme con l'acquisizione di conoscenza, è necessario anche un cambiamento di attitudine: un cambiamento del nostro atteggiamento mentalee del sistema di valori che ci trattiene sempre ogni volta che cerchiamo di rafforzarci".

"La maggioranza dei musulmani di oggi non credono nel benessere terreno, inclusa la sicurezza terrena. Essi non credono neanche che i musulmani potranno mai essere avanzati come i paesi sviluppati".

"Io ho parlato della nostra attitudine verso la Rivoluzione industriale. Il nostro sospetto per i prodotti della Rivoluzione industriale è il risultato della nostra interpretazione errata degli insegnamenti dell'Islam".

"Perciò quando ci viene imposto di cercare la conoscenza, noi l'abbiamo definita come conoscenza solo sulla religione. Quando ci viene richiesto di difenderci, noi sottolineiamo invece le armi degli eserciti del Profeta (la pace sia con lui), considerando di cavalcare esperienze e l'uso di archi e frecce come importanti e non la capacità di difendersi ".
  
"Persino quando l'Islam ci impone di essere giusti, noi  ignoriamo la giustizia ma facciamo rispettare solo le procedure. Chiaramente i nostri insegnamenti non sottolineano la vera priorità nell'Islam. Ci viene insegnato di rispettare le forme anziché la sostanza della religione in cui crediamo".

"Prima di poter ricercare la conoscenza, noi dobbiamo capire che gli insegnamenti dell'Islam riguardano le ragioni e la necessità di acquisire conoscenza. Frequentemente ci viene detto che non dobbiamo cercare la conoscenza per amore di conoscenza. Ma noi dobbiamo sapere che, ad un certo livello, la conoscenza che acquistiamo può essere utile per noi. Perché studiare la struttura di un atomo quando questo non promette niente che ci possa essere utile? Ma noi ora sappiamo che il nostro fallimento nello studio della struttura e delle forze contenute nell'atomo ci ha reso vulnerabili alla distruzione totale ad opera di dispositivi nucleari sviluppati attraverso la conoscenza degli elementi e la struttura di base dei materiali e delle loro proprietà".

    
"Dobbiamo anche bandire l'idea che l'unica conoscenza che abbiamo bisogno di acquisire sia quella dell'Islam"

"Dobbiamo anche bandire l'idea che l'unica conoscenza che abbiamo bisogno di acquisire sia quella dell'Islam. La trascuratezza di altre aree del sapere ci ha portati alla mancanza di capacità industriale, di capacità di inventare e produrre armi per poterci difendere…".
  
"Non c'è alcuna necessità di sentirsi colpevoli quando studiamo gli altri argomenti. Dovremmo considerare infatti che è importante  l''Ibadah, un'ingiunzione islamica che è non meno meritevole dello studio della religione. Infatti la nostra capacità di studiare la religione dipende dalla nostra capacità di difenderci".

"Solo se riusciamo a cambiare il nostro atteggiamento mentale... a proposito dell'acquisizione di conoscenze non-religiose, possiamo seriamente ricercare la conoscenza a un livello che è stato raggiunto nei paesi dei nostri denigratori. E quando ciò è ottenuto ed è seguito dall'applicazione della conoscenza... può essere uno strumento di potere".

    
"Non dobbiamo permettere a noi stessi di essere ancora deviati da distorte interpretazioni dell'Islam"

"La corretta interpretazione di quello che è imposto dall'Islam in merito all'acquisizione di conoscenza è, quindi, cruciale. Non dobbiamo permettere a noi stessi di essere ancora deviati da distorte interpretazioni dell'Islam, che ci hanno portato a perdere la Rivoluzione industriale, a rifiutare l'elettricità e i prodotti meccanici e a ridurre la nostra capacità di difendere la nostra fede e noi stessi".
  
"L'Islam non è solo una religione per il 7° secolo dell'èra cristiana. È una religione per tutti i tempi. Con il tempo le cose cambiano. Quattordici secoli dopo l'avvento dell'Islam non possiamo aspettarci di vivere nello stesso ambiente e sotto le stesse condizioni in cui ci trovavamo nel 7° secolo. L'Islam ha [una] disposizione per questo cambiamento, se solo noi interpretiamo l'Islam correttamente. L'Islam non è una religione rigida. Ci sono molte disposizioni nell'Islam per occuparsi di tutte le situazioni...".

"L'Islam non è la religione che impedisce i nostri progressi; sono le errate e rigide interpretazioni di nostra produzione che ostacolano i nostri progressi".


"E' la ristretta interpretazione dell'Islam che ha portato all'arretratezza dei musulmani in molti campi della conoscenza"

"Come nell'istruzione, nella ricerca della conoscenza, non si deve dare la colpa all'Islam ma è la nostra interpretazione ristretta dell'Islam che ha portato all'arretratezza dei musulmani in molti campi della conoscenza cruciali  per il loro benessere".
  
"Naturalmente la conoscenza può essere uno strumento per rafforzarci politicamente. Ma il puro sapere non ci porterà da nessuna parte, a meno che non impariamo ad applicare quella conoscenza a nostro vantaggio e per il miglioramento della nostra vita. Se la conoscenza deve essere per il nostro rafforzamento, allora deve contribuire ai nostri bisogni economici, sociali e di sicurezza".

    
"La scoperta di nuove frontiere della conoscenza non dev'essere lasciata ad altri"

"La scoperta di nuove frontiere della conoscenza non dev'essere lasciata ad altri. In passato, la conoscenza scoperta dai musulmani fu acquisita dagli europei, e gli ha permesso di avviare il loro sviluppo industriale".
  
"Oggigiorno, le aree di conoscenza scoperte dai musulmani, come l'Algoritmo sviluppato da Al-Khwarizmi, vengono utilizzate nella progettazione dei circuiti elettronici e dei microchip. E' l'Algoritmo che rende possibili l'hardware e il software".
  
"Ma gli stessi musulmani non hanno utilizzato le conoscenze scoperte dai loro antenati. In molti casi, sfortunatamente, non le apprendiamo nemmeno".

"Mentre possiamo imparare ad applicare tali conoscenze, non c'è alcuna ragione per cui non possiamo aprire la strada a nuove conoscenze e alle loro applicazioni".

"Se saremo in grado di fare questo, allora ancora una volta potremo conquistare un livello sopra gli altri come una volta, quando i musulmani scoprirono e dominarono molte aree del sapere. Gli emigranti musulmani in altri paesi stanno scoprendo nuove aree di conoscenze semplicemente perché i loro propri paesi non gli forniscono strutture o opportunità".

"Chiaramente, quando raggiungeremo lo stadio di pionieri, la conoscenza significherà letteralmente potere. Ma anche prima di ciò, la padronanza di conoscenza ci permetterà di competere con lo stesso passo di altri".

"Potremmo certamente rafforzarci e sollevarci dalla posizione di notevole inferiorità in cui siamo oggi. Per la verità, il perseguimento delle conoscenze e la successiva acquisizione di capacità per applicarle richiederà un considerevole periodo di tempo. Dobbiamo ricordare che la conoscenza non è statica. Oggi la velocità delle scoperte e lo sviluppo di nuove conoscenze sono esponenziali".

    
Il raggiungimento dell'Occidente può richiedere un decennio o un secolo


"Ci vorrà tempo per acquisire conoscenze. Dobbiamo accettare la necessità di essere pazienti. Può richiedere un decennio o persino un secolo. Ricordate che quando noi eravamo al vertice, durante i grandi giorni della nostra civiltà islamica, agli europei ci sono voluti alcune centinaia di anni per raggiungerci. Ma ci hanno ripreso, e poi ci hanno sorpassati completamente".
  
"Dovremo accettare la necessità di lottare per un lungo periodo di tempo. Ma, per fortuna, la conoscenza ora è molto meno nascosta di prima. La maggior parte della conoscenza è ben documentata e facilmente disponibile. La tecnologia moderna rende tutta la conoscenza facilmente accessibile, tranne quelle parti che riguardano le applicazioni di difesa".

"Il problema successivo è la vastità del campo. Dobbiamo dividere la nostra manodopera all'interno del paese e tra i paesi, per essere in grado di coprire la conoscenza in tutti i campi. Se siamo preparati a superare tutti i problemi che possono ostacolare la nostra acquisizione di conoscenza, e se siamo abbastanza pazienti, allora - se Allah vuole - la conoscenza può darci potere. Non c'è alcun rimedio rapido. Un particolare gruppo di persone ha aspettato 2.000 anni. Noi non dovremo aspettare così a lungo se comprendiamo la necessità della conoscenza e impariamo le lezioni della storia. È facile essere d'accordo sul fatto che la conoscenza è uno strumento per il nostro rafforzamento politico. Ma il mero accordo non ci condurrà in nessun posto. Non abbiamo davvero bisogno di altri seminari e conferenze, che finiranno con conclusioni evidenti…".

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Nota:
(1) Saudi Gazette, "Il messaggio", 20 dicembre 2002.

(The Middle East Media Research Institute n° 460, 29.01.2003)



GLI HASHEMITI DISPOSTI A TORNARE IN IRAQ


Re Abdallah di Giordania prenderebbe seriamente in considerazione una richiesta americana di estendere l'egida della sua corona sull'Iraq per un periodo temporaneo dopo che l'eventuale attacco guidato dagli Stati Uniti avesse deposto il regime di Saddam Hussein. Lo rivelano alte fonti politiche che hanno preso parte al World Ecnomic Forum di Davos, in Svizzera.
    Secondo queste fonti, uno scenario realistico vedrebbe comandanti delle forze irachene arrendersi poco dopo l'inizio dell'attacco. A quel punto il governo americano sceglierebbe fra quei comandanti i dirigenti per formare un governo iracheno provvisorio che gestisca il paese fino a quando non si trovasse una sistemazione piu' definitiva. Dopo questa fase, se il governo provvisorio iracheno lo chiedesse, la monarchia giordana potrebbe accettare di estendere il proprio patrocinio sull'Iraq. Funzionari giordani sottolineano tuttavia che re Abdallah dovrebbe valutare bene le ripercussioni di un tale passo sulla stabilita' interna della Giordania.
    Il regno dell'Iraq, creato nel 1921, fu governato dalla casata hashemita (la stessa regnante in Giordania) fino al colpo di stato militare del 14 luglio 1958 dei "liberi ufficiali" guidati da Abdul Karim Qassem che uccisero re Feisal II e il principe ereditario Abdullilah. Qassem venne a sua volta ucciso cinque anni dopo in un altro colpo di stato.

(Ha'aretz, israele.net, 27.01.03)



TIMORI PER IL SUCCESSO ELETTORALE DI SHINUI


Israele Paese delle contraddizioni e della speranza

di Deborah Fait

E' strano, in Israele c'e' la guerra, la poverta' aumenta anche grazie al vergognoso boicottaggio europeo, la situazione e' molto difficile, eppure l'alia' non si ferma.
     Ebrei o quasi ebrei continuano ad arrivare dall' Europa dell'est ma anche da Francia, Canada, Sud America e USA e anche se il loro numero e' diminuito rispetto agli anni della pace sognata, e' importante e confortante vedere che questo paese e' ancora per molti il paese della speranza, il paese dove uno puo' essere ebreo senza paura e senza vergogna.
     L'antisemitismo che si respira nel mondo occidentale e' tangibile in modo tale da creare grande preoccupazione. Chi torna da un viaggio in Europa racconta dell'atmosfera poco cordiale, di sguardi sprezzanti, di battute pesanti, di manifestazioni anche violente dove si sventolano bandiere palestinesi e si urlano slogan inneggianti ad una pace "senza Israele". Strana pace stile no-global.
     Esiste pero' anche in Israele un partito che tenta di insinuare negli israeliani ebrei l'odio per gli ebrei.
     E' nato nel 1999, si chiama Shinui (cambiamento), e' guidato da un ex giornalista emigrato in Israele nel 1948 dalla Yugoslavia, sopravissuto alla Shoa': Josef (Tommy) Lapid.
     Il partito Shinui che si definisce di centro sta facendo da anni una pesante campagna contro i religiosi e contro le tradizioni ebraiche tentando di allontanare gli ebrei dalle proprie radici.
     Vogliono secolarizzare Israele, vogliono eliminare per legge il rispetto dello Shabat, vogliono eliminare per legge la casherut e far diventare Israele un paese dove agli angoli delle strade i banchetti che vendono ottimi fal a fel siano sostituiti da wuerstel di porco come succede a Bolzano, a Monaco di Baviera o a Zagabria.
     Wuerstel e Cevapcici al posto delle ottime polpettine di ceci e verdurine piccanti.
     Lapid vorrebbe eliminare la casherut dei prodotti in vendita togliendo cosi' ad ogni israeliano, anche il piu' laico, la sicurezza di comperare cibi permessi dalla legge ebraica. La casherut non dà fastidio a nessuno, e' anzi un elemento in piu' di sicurezza ma Lapid non la sopporta, troppo ebraica, sa di religioso, via, via perbacco, mica ce l'hanno la casherut a Zagabria o a Berlino. La' si vedono dei bei prosciuttoni di maiale nelle vetrine delle macellerie, vuoi mettere l'eleganza di un coscione di porco con i nostri poveri e rachitici salamini di tacchino.
     Tutto quello che ha un minimo legame con la Legge e le tradizioni e' combattuto dallo Shinui con una diligenza e con una
    
Ebrei ortodossi mentre leggono la Torah
rabbia che rasentano la nevrosi.
Che dire del rispetto del Sabato?
Il riposo del Sabato e' una grandissima "invenzione" dell'ebraismo, lavorare sei giorni e riposare il settimo e' una tradizione che tutto il mondo ci ha copiato e adottato con gioia eppure Lapid vuole eliminarlo per sostituirlo con la domenica. Vuole togliere allo Shabat la sacralita' e il fascino che lo contraddistinguono trasformandolo e rendendolo miseramente laico che piu' laico non si puo' con tutti i trasporti pubblici funzionanti come nei giorni feriali, i negozi aperti, genitori che non vedono i figli nemmeno un giorno alla settimana perche' laicamente obbligati a lavorare.
     L'intenzione di Lapid e della sua propaganda a tappeto contro l'ebraismo porteranno gli israeliani verso la tanto agognata (da alcuni) secolarizzazione e li delizieranno fino alla nevrosi regalando loro, sette giorni su sette, smog, gas, rumore, stress, clacson, isteria, parcheggi stracolmi, liti tra automobilisti, ore in fila a passo d'uomo respirando a pieni polmoni i gas di scarico, centri commerciali stracolmi di gente che corre di qua' e di la' addentando soddisfatti enormi panini al prosciutto di San Daniele, le timide preghiere nelle sinagoghe travolte dal rumore del traffico, dal rombare delle motociclette.
     Evviva la secolarizzazione!
     Saremo come il resto del mondo occidentale... finalmente... ma, alla fine di tutto questo, ...  chi saremo?
     Shinui vuole generosamente appiopparci tutto quello che in Europa si cerca disperatamente di eliminare per ritrovare uno stile di vita piu' umano e salubre.
     In Italia si istituiscono le giornate senza traffico per rendere l'aria piu' respirabile e in Israele dovremmo cancellare l'unica giornata pulita della settimana in cui la gente lascia la macchina sotto casa e va a passeggio a piedi, tranquillamente, con i bambini per mano, le famiglie unite, i papa' e le mamme che portano i figli nei parchi, poi in sinagoga e poi a casa per il pranzo speciale del Sabato.
     Dovremmo cancellare dalle nostre vite il silenzio mistico dello Shabat, l'aria pulita, il fascino del brusio delle preghiere che dalle sinagoghe entrano nelle case attraverso le finestre spalancate.
     Dovremmo eliminare 5000 anni di storia e di cultura perche' Tommy Lapid e' arrivato 50 anni fa col suo bagaglio di anticultura tipico del regime comunista in cui era nato e cresciuto?
     Un popolo che perde le proprie tradizioni e calpesta le proprie radici e' destinato a scomparire, speriamo allora che gli ebrei dopo aver sopportato millenni di persecuzioni ed essere ritornati in Israele, non siano cosi' irresponsabili da farsi distruggere da un Lapid qualsiasi.
    
(informazione corretta, 29.01.2033)



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