Notizie su Israele 153 - 5 febbraio 2003


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Egli dice: «É troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra». Così parla il SIGNORE, il Salvatore, il Santo d'Israele, a colui che è disprezzato dagli uomini, detestato dalla nazione, schiavo dei potenti: «Dei re lo vedranno e si alzeranno; dei prìncipi pure e si prostreranno, a causa del SIGNORE che è fedele, del Santo d'Israele che ti ha scelto».

(Isaia 49:6-7)



TROVATA LA SALMA DI ILAN RAMON


    
La bandiera ritrovata vicino a Ramon

Nella notte tra martedì e mercoledì la NASA ha comunicato che sono state ritrovate parti dei corpi di quattro astronauti, tra cui quello di Ilan Ramon. Un delegato del Rabbinato militare israeliano porterà la salma in Israele, dove sarà sepolta con gli onori militari e civili. Tra le macerie è stata anche trovata la bandiera dell'aviazione israeliana, che Ramon aveva portato con sé nel suo volo spaziale: era leggermente danneggiata, ma la stella di Davide era intatta. Nella funzione commemorativa della NASA a Houston, il Rabbino della marina militare americana, Rabbi Harold Robinson, ha aperto la cerimonia con i versi dello scrittore israeliano Haim Bialik e con il Salmo 23, recitato in ebraico e in inglese. Il Presidente Bush si è incontrato ieri con le famiglie degli astronauti, anche con la famiglia Ramon.

(NAI-Stimme aus Jerusalem, 05.02.2003)



PRESENTIMENTO DI BAMBINA


    
Rona Ramon, moglie di Ilan, con i figli.
Da sinistra: David, Tal, Asaf e Noah

La vedova del colonnello Ilan Ramon, morto nell'incidente alla navetta spaziale, ha reagito per la prima volta al dramma che la tocca: "Ilan è morto felice perché è morto là dove ha sempre sognato di essere: nello spazio con i suoi compagni. Adesso noi stiamo cercando di raccogliere le forze per continuare ad andare avanti. Non saremo spezzati dal dolore. Siamo forti, e la stima che Ilan gode in tutto il mondo ci rafforza."
    Rona Ramon riferisce il sentimento premonitore che ha avuto sua figlia di cinque anni, Noah, al momento del lancio. "Eravamo tutti molto commossi e ci siamo congratulati. Ma quando la navetta si è involata verso il cielo, mia figlia ha detto: 'Ho perso il mio papà'. Non avevo dato importanza a quelle parole di una bambina. Oggi ho capito che era la sola ad aver avuto il presentimento che non tornerà".
   
(Yediyot Aharonot, 03.02.2003)



L'INASPETTATO DOLORE DEGLI ISRAELIANI


Ilan Ramon: un sogno infranto

di Dina Coopersmith

La mente scorre nell' incredulità man mano che arrivano le notizie sull' esplosione della Columbia.
    In Israele ci siamo assuefatti alle notizie di attacchi terroristici. Ci siamo perfino abituati a riconoscere dalle sfumature nella voce dell' annunciatore alla radio la loro gravità, man mano che ci fa il sommario delle notizie all' inizio del giornale radio, in modo da prepararci gradualmente alla tragica notizia che incombe. Particolarmente al sabato sera, dopo uno Shabbat trascorso in isolamento dal mondo esterno, il primo impatto con le notizie del dopo-Shabbat è percorso da una tensione speciale.
    Ma nulla ci aveva preparati a questo.
    Semplicemente, non era possibile.
    Dopo 16 giorni di notizie senza un attimo di interruzione su Ilan Ramon, il primo astronauta israeliano, noi tutti avevamo la sensazione precisa di conoscerlo. Era parte della nostra famiglia. Ci rappresentava tutti - il nostro paese, il nostro popolo, il nostro passato ed il nostro futuro. Era il nostro eroe in un periodo in cui avevamo bisogno disperato di averne uno.
    Quale figlio di sopravvissuti all' Olocausto egli esprimeva tutto ciò che è tipico dell' ebreo israeliano orgoglioso di esserlo. Come pilota dell' aviazione militare israeliana egli era un eroe di guerra che aveva bombardato il reattore nucleare iracheno nel 1981, e che aveva combattuto nelle guerre dello Yom Kippur e del Libano.
Benché non fosse religioso, Ilan si sentì obbligato ad osservare alcune regole religiose significative nello spazio, per dare un contenuto al suo sogno di unire il popolo ebraico e di rappresentare la nostra nazione. Portò con sé un libro dei Salmi ed un disegno fatto da un ragazzino ebreo di 14 anni ucciso ad Auschwitz; mangiò solamente cibi kasher , fece il Kiddush al venerdi sera, recitò lo Shema Israel quando lo Shuttle sorvolò Gerusalemme.
    Egli disse di voler enfatizzare l' unità del popolo d' Israele e delle comunità ebraiche del mondo.
    Con gli amici, parlavamo di lui come di una persona che crea un Kiddush Hashem, la santificazione del Nome.
    Come poteva essere morto?
    Come avevano potuto disintegrarsi tutte le nostre speranze ed i nostri sogni nell' angusto strato di atmosfera che protegge la terra?
    Ansiosamente noi attendevamo il suo atterraggio, per celebrare il trionfo del nostro nuovo eroe nazionale. L' eventualità di un fallimento era molto lontana dalle nostre menti.
    "E' molto più pericoloso guidare un' automobile in questo paese che viaggiare nello spazio" aveva detto il fratello di Ilan, Gadi, a proposito della sua mentalità. "Neppure nei nostri peggiori sogni ci siamo immaginati che potessero esserci dei problemi".
    Il padre di Ilan disse, al sabato mattina di buon'ora, quando attendeva con ansia l' imminente ritorno di suo figlio: "Il solo problema può essere costituito dal maltempo, e significherebbe semplicemente un ritardo di qualche giorno nel rientro".
    La tragedia ci confrontò una volta di più con la fragilità degli sforzi umani. Noi siamo costernati quando le frontiere della scienza e della tecnologia, nelle quali confidiamo ciecamente, si svelano come incerte e limitate.
    Il colonnello Ramon aveva provato piacere a portare con sé nello spazio una "sorpresa" - un rotolo della Torah che era sopravvissuto all' inferno dell' Olocausto. Questo rotolo assumeva per lui il valore simbolico il sogno di un popolo unificato in Dio, con spirito indomito.
    Questa Torah è esplosa insieme a Ramon ed i suoi colleghi astronauti ad un' altezza di 20.000 piedi sopra una cittadina del Texas che si chiama (ho sentito bene?) Palestine.
    Il Midrash ci narra che "la nazione ebraica non sarà redenta fintanto che non sarà unita". Ilan Ramon era un marito, padre, pilota e scienziato devoto. Ma la sua eredità più importante è che egli ha medicato una nazione ferita.
    I nostri cuori e le nostre preghiere sono con i genitori di Ilan Ramon, con sua moglie Rona, e con i loro quattro figli. La nostra nazione è in lutto insieme a voi. Purtroppo, è nel dolore che abbiamo portato a compimento il sogno di unità di Ilan.
    Lo scorso giovedì Ilan commentò il modo in cui la terra gli appariva dallo spazio: "Il mondo sembra meraviglioso da quassù, così pacifico e tanto fragile".
    Ora possiamo capovolgere questo commento e dire ad Ilan. "Tu ci sembravi così meraviglioso da quaggiù, così in pace, così stupendo...eppure tanto fragile".
   
(Honest Reporting, 02.04.2003 - Ripreso da Informazione Corretta)



LE ELEZIONI POLITICHE IN ISRAELE


Il voto al microscopio

di Luciano Tas

Sulle elezioni politiche del 28 gennaio in Israele le analisi finora fatte non sembrano essersi sottratte a pregiudizi ormai radicati su destra e sinistra, su falchi e colombe.
    A uno sguardo più attento a quanto si è verificato alle urne mostra qualcosa di più interessante, e forse qualcosa di davvero nuovo nella ancora breve storia dello Stato ebraico.
    Non inganni il relativamente scarso afflusso alle urne, meno del 70%, la percentuale più bassa che si ricordi. Il segno po' essere interpretato in due modi: delusione e stanchezza di un elettorato sfiduciato nella classe politica, oppure un raggiunto grado di maturità che pone Israele nel novero dei paesi ad alta e sicura democrazia, dove l'avversario politico non è il nemico da mandare al rogo, e dove la vittoria dell'uno o dell'altro non metterebbe in forse la natura liberale dello Stato.
    Può darsi che ci sia del vero in entrambe le interpretazioni.
    Queste elezioni israeliane ci hanno dato tante indicazioni di novità da poterle giudicare storiche. E senza scomodare le parole troppo importanti, si può affermare senza ombra di dubbio che si sono verificati eventi elettorali rivoluzionari.
    Il primo, o almeno il più vistoso, è il crollo della sinistra israeliana, per altro ampiamente previsto, anche se non nella misura in cui si è prodotto.
    I laburisti sono scesi dai 25 seggi che avevano nella precedente legislatura (ed era già un numero assai basso, sicuro segnalatore di crisi), ai 19 attuali. Mai il partito che fu di Ben Gurion, di Golda Meir, di Isaac Rabin, era precipitato così in fondo. E non basta. Il partito alla sua sinistra, il Merez, si è quasi dimezzato: da 10 a 6 seggi.
    In pratica la sinistra nelle sue varie anime (a volte congiunte, a volte separate) ha denunciato una crisi di fondo, che presumibilmente è la somma di due crisi: quella della sinistra europea in generale, orfana di marxismo, e quella della sinistra israeliana, affondata scientemente da Arafat con il rifiuto di due anni e mezzo fa della coraggiosa, quasi temeraria offerta dell'allora Premier israeliano laburista Barak.
    Tra parentesi, quel rifiuto di Arafat ricorda il vecchio apologo mediorientale della rana e lo scorpione, il quale ultimo, ospite della rana per attraversare il Mar Rosso, non resiste alla sua natura e a metà percorso uccide la rana, e così facendo uccide se stesso.
    Comunque vadano le cose, Arafat è uscito di scena.
    L'elettorato israeliano, che per la legge dei grandi numeri finisce per esprimere un verdetto sensato e comunque comprensibile, nel momento del pericolo (il più grave che Israele abbia attraversato dal 1948), ha preferito confermare la sua fiducia ad Ariel Sharon, malgrado il fatto che nessuna delle sue precedenti promesse elettorale era stata mantenuta, segnatamente quella della pace nella sicurezza. Né pace, né sicurezza. Ma questa volta Sharon ha avuto il merito (o la scaltrezza) di non fare alcuna promessa, limitandosi a chiedere la fiducia del paese, il quale gliel'ha concessa al di là, forse, delle sue stesse aspettative, portando i suoi seggi da 19 a 37, quasi il doppio.
    Se la Sparta di sinistra piange, la destra oltranzista non ride.
    Nell'insieme i partiti che si richiamano all'ortodossia religiosa sono calati da 27 (una percentuale patologica sui 120 della Knesset) a 21. E il partito più oltranzista, fanatico e in corsa di deragliamento dall'etica ebraica, cioè Shas, ha da solo pagato l'intero prezzo, scendendo da 17 a 11 seggi.
    Il fatto più clamoroso di queste elezioni è stato il risultato ottenuto dal partito liberale, moderato e centrista, del "Cambiamento", Shinui, guidato dall'anziano ex giornalista Yossi Lapid, che ha quasi triplicato i suoi seggi, da 6 a 15. Non si capisce perché molti commentatori abbiano sprezzantemente definito Shinui come "populista". Parrebbe il contrario esatto: dopo orge di retoriche politiche (non solo israeliane, beninteso, ma è Israele sulla linea del fuoco), Shinui ha puntato il dito contro i partiti sedicenti religiosi, che godono di privilegi intollerabili in qualsiasi democrazia (forti finanziamenti dello Stato, esenzione dal servizio militare per i loro giovani, prevaricazione nei confronti di altri gruppi religiosi non ortodossi, e quindi egemonia clericale) che rappresentano un mortale pericolo con l'abbarbicarsi agli insediamenti ebraici nei territori che comunque andranno a costituire lo Stato palestinese.
    Fatto clamoroso e nuovo dunque questo dell'affermazione di Shinui, che è la prima forza politica israeliana a ribellarsi al prepotere ricattatorio degli ultrà della religione.
    Di minore rilievo, ma non d'importanza, è il dimezzamento del partito "dei russi", Israel be Alià, di Anatoly (Nathan) Sharansky, l'eroe della dissidenza ebraica in URSS. Da 4 a 2 seggi, il partito si è sfaldato, come lo stesso Sharansky ha riconosciuto, comprendendone bene il significato: per il milione di ebrei arrivati dalla Russia da quindici anni a questa parte, l'integrazione con il resto del paese si avvia a compimento e non hanno più bisogno di un partito specifico che li rappresenti.
    E ora le prospettive. Alla luce di questi risultati in teoria vi sarebbero due soluzioni. Un governo di coalizione che comprenda i 37 parlamentari del Likud, i 21 dei partiti religiosi e i 7 dell'ultradestra dell'Unione Nazionale, per un totale di 65 deputati su 120. Oppure un governo di coalizione che comprenda ancora i 37 di Sharon, i 15 di Shinui, con una parte almeno dei laburisti, destinati a ulteriori scissioni (classiche nella storia delle sinistre) e forse i due rimanenti i Sharansky, per un totale di 63/64 parlamentari.
    Questa seconda soluzione è la più probabile, o almeno è questo a cui tenderà Sharon, che ovviamente preferirebbe condizionare lui l'opera del governo trattando volta a volta con liberali e sinistra, piuttosto che essere condizionato dal fanatismo degli integralisti di Shas e dei suoi satelliti, Lista Unificata Torà e Partito Nazionale Religioso.
    Una osservazione per concludere. Per molti uomini politici israeliani il terrorismo palestinese, orchestrato o incoraggiato o subito da Arafat, ha significato una sconfitta e un defenestramento: è successo con uomini di sinistra come Peres e Barak, è successo con uomini di destra come Netanyahu. Con Sharon gli attentati elettorali non hanno funzionato e il paese gli ha raddoppiato il consenso.
    Sharon, che non è il babau spesso dipinto affrettatamente dai media, sa benissimo anche lui qual è il punto d'arrivo del conflitto. Non esistendo alternative (nessuno può guerreggiare all'infinito, se non altro per il prezzo economico che questo comporterebbe) alla nascita di uno Stato palestinese entro confini "sicuri e riconosciuti" (ciò che ovviamente vale anche per Israele), raggiungere quel punto è possibile solo con l'apporto del centro-sinistra.

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E' vero che spesso le sinistre non capiscono le lezioni che infligge loro la Storia, ma in Israele devono fare più in fretta che altrove per capirle e trarne insegnamento. Ne va davvero dell'esistenza fisica dello Stato ebraico.

(Federazione Associazioni Italia-Israele, 01.02.2003)



DALLA STAMPA ARABA


Saad Elias, giornalista del quotidiano arabo «Al-Quds Al-Arabi» di Londra, parla della sortita singolarmente virulenta di Walid Jumblatt, il capo druso libanese. Dal suo palazzo di Moukhtara, Jumblatt si è lanciato in uno dei suoi "esercizi di stile favoriti". Si è scatenato contro "i principali dirigenti della coaliziane anti-irachena". Ha affermato che "il vero asse del male che governa il mondo in questo momento è quello del petrolio e degli ebrei." Jumblatt ha stimato che "gli interessi petroliferi vincolano la maggior parte dell'amministrazione americana, a cominciare dal presidente George Bush, insieme al suo vicepresidente Dick Cheney e ai grandi consiglieri, di cui notoriamente Condoleeza Rice ha il colore del petrolio. Quanto all'asse degli ebrei, è guidato da Paul Wolfovitz, numero due del Pentagono e capo dei falchi che conducono la campagna per l'invasione dell'Iraq e la sua distruzione".
    Jumblatt ha qualificato Bush come "imperatore" e Blair come "servitore dell'imperatore". Ha aggiunto che "non c'è niente di più pericoloso degli imperatori che impazziscono... come il fedele servitore, il domestico imperiale dal sorriso idiota e che tuttavia è fiero come un pavone, Tony Blair".
    Prendendosela con Berlusconi, Jumblatt ha detto: "C'è anche il 'comprador', il Mussolini del XX secolo, l'attuale Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. Sembra che quest'ultimo nutra l'ambizione di ristabilire l'impero di Cesare. Come il suo predecessore che aveva conquistato la Libia e l'Etiopia, sogna d'avere un po' di petrolio iracheno, se gli americani vorranno lasciargliene qualche goccia".
    Prendendosela con Aznar, ha detto: "... per completare il quadro, ecco il presidente del governo spagnolo, Josè Maria Aznar, il Franco progressista. Dopo aver respinto all'arma bianca l'attacco marocchino sull'isola di Leila-Perejil, sogna di inviare le sue orde verso l'oriente arabo. Credo che Aznar e Blair passino ogni mattina parecchi minuti davanti allo specchio ad aggiustarsi la pettinatura, cosa che, insieme al sorriso sforzato, dona loro un'aria di educazione, e insieme di grande ipocrisia."
    Il quotidiano libanese "An-Nahar" sottolinea da parte sua che Jumblatt se l'è presa anche con i dirigenti arabi e con la loro ipocrisia. "Se posso dare un consiglio ai dirigenti arabi, ai monarchi o ai capi di Stato, è quello di dire la verità al loro popolo. E' ora che smettano di mentire e di giocare alla vergine spaventata quando tutti sanno che i loro cieli sono neri di apparecchi americani, i loro mari sono ricoperti di flotte americane, le loro basi militari sono americane, i loro regimi sono anglo-americani, le loro montagne sono piene di commandos americani, le loro pianure sono ricoperte di carri armati americani e tutto il loro apparato di sicurezza è al servizio degli interessi americani..."
    Infine, secondo il quotidiano "An-Nahar", Jumblatt ha anche dichiarato: "Avrei voluto esprimere le mie condoglianze per la morte degli astronauti nell'esplosione della navetta spaziale Columbia. Ma sono contento per la presenza tra loro di un israeliano che ha preso parte, nei ranghi del criminale esercito ebraico, a delle azioni contro l'Iraq e il Libano."
   
(Proche-Orient.info, 03.02.2003)



CHI COMBATTE PER I DIRITTI UMANI COMBATTE CONTRO L'ISLAM


Il quotidiano conservatore Jomhuri-ye Eslami (1), considerato portavoce del Leader Supremo  'Ali Khamenei, si è scagliato recentemente contro le richieste, da parte dei liberal iraniani, di democrazia, riforme e diritti umani. Il Jomhuri-ye Eslami ha accusato coloro che in Iran combattono per questi diritti, di combattere l'Islam stesso. Inoltre, il quotidiano li ha bollati come nemici della Rivoluzione islamica dell'Iran e ha affermato che le loro dichiarazioni sono come quelle di "Bush, Sharon e [del ministro degli Esteri britannico] Jack Straw". Per rafforzare i suoi argomenti, il giornale ha utilizzato la lettera del 1989 dell'Ayatollah Khomeini all'ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov. Ecco alcuni estratti dell'articolo:


La Russia è crollata perché non ha preso seriamente Khomeini

"La lettera dell'Imam Khomeini è uno dei documenti politici e religiosi importanti di questo secolo, specialmente perché il suo messaggio si è rivelato giusto su tali argomenti, come il crollo del comunismo, le perdite subite dall'Unione sovietica perché ha cercato di imitare l'Occidente, e il crollo dei rapporti fra l'Unione sovietica e i suoi alleati. Quando l'Unione sovietica è crollata, Gorbaciov è stato sostituito da Yeltsin e la Russia era in brutte condizioni; Gorbaciov ha confessato che la situazione era tale perché 'non aveva preso seriamente le parole dell'Imam Khomeini'".

"Quando il cambiamento era cominciato, dopo che Gorbaciov aveva raggiunto il centro del mondo comunista, l'Imam Khomeini... inviò una delegazione a Mosca [nel gennaio 1989] per consegnare un suo messaggio scritto a Gorbaciov. In quella storica [lettera a Gorbaciov], l'Imam Khomeini,  prendendo in considerazione le intuizioni e il realismo di Gorbaciov, e riferendosi al passato antagonismo del comunismo verso Dio e verso la religione, scrisse:

"Anzitutto, la strada che assicurerebbe il Suo successo è la revisione e la modifica del percorso dei Suoi predecessori, che si sono allontanati da Dio e dalla religione. Queste opinioni hanno inferto un grande colpo al popolo dell'Unione sovietica. Lei deve sapere che c'è una sola strada per risolvere i problemi del mondo, ed è quella di voltarsi verso la verità. Il problema principale del Suo paese non è la proprietà, l'economia o la libertà. Il Suo problema principale è la mancanza di una vera fede in Dio".
 
"Con questo messaggio, l'Imam Khomeini si rivolse a Gorbaciov, collocato al vertice di un sistema non religioso, e condannò l'opposizione alla religione, che è l'essenza del materialismo. E' diventato abbondantemente chiaro che opporsi alla tendenza verso la religione è inutile, perché la religione fa parte della natura umana ed è impossibile estinguere la luce della religione negli esseri umani".

    
"Khomeini chiese a Gorbaciov di venire nell'Islam"

"Dopo avere invitato Gorbaciov e tutti gli altri la cui inclinazione naturale è verso Dio e che cercano la fontana della verità, della sostanza e della spiritualità, l'Imam Khomeini chiese a Gorbaciov di venire nell'Islam, la sola strada di salvezza dell'umanità dalla crisi morale:
  
" 'Ora, dopo avere discusso questi problemi preliminari, desidero che Lei seriamente esamini l'Islam: non perché l'Islam o i musulmani abbiano bisogno di voi, ma perché l'Islam può portare conforto e salvezza a tutto il popolo e risolvere i problemi di tutte le nazioni' ".
  
"Nell'addossarsi – nella sua storica Lettera eterna - una grande responsabilità per la guida di altri sul sentiero dei profeti e dei messaggeri di Dio, per la divina diffusione del Tohid [monoteismo] e l'evitare il materialismo, l'Imam Khomeini si rivolse a quelli che sostenevano la separazione della politica dalla religione cercando di fermare l'inclinazione delle masse verso Dio".

"Sfortunatamente, oggi, 14 anni dopo quella storica lettera, ci sono alcuni nel paese [in Iran] che si oppongono e lottano contro questo pensiero incontestabile e progressista. La loro ipocrisia e le loro contorsioni politiche sono una lotta che danneggia la religione. Queste persone, che possono essere chiamate sinceramente 'residui politici del secolo scorso', hanno cominciato oggi a realizzare il concetto della separazione della religione dallo stato…".
  
"Slogan come 'la religione è l'oppio delle masse' e 'la religione e la politica sono separate' erano nati 80 anni fa, assieme al comunismo; dopo che Khomeini scrisse la sua lettera a Gorbaciov,  sono stati seppelliti per sempre nel luogo in cui erano nati".

"Sfortunatamente, oggi essi emergono dalle bocche di persone che hanno tratto beneficio dalla gloriosa Rivoluzione islamica dell'Iran… e che hanno occupato posizioni di responsabilità, grazie alla Rivoluzione islamica, sotto la saggia guida di Khomeini. Eppure ora mettono in discussione l'essenza di quei princìpi".

"Prima della vittoria della rivoluzione, in alcuni dei primi messaggi in cui espose la congiura diabolica dei colonialisti per separare la religione dalla politica, l'Imam Khomeini ha combattuto questa tendenza deviazionista. Era il periodo in cui egli era a Parigi e l'agente americano [il dr.Shapur] Bakhtiar [Primo ministro iraniano nel 1978]  tortuosamente sollevò la questione di separare la religione dalla politica per preservare il regime demoniaco dello Scià, dicendo: 'Se il clero lo vuole, un'enclave indipendente a Qom, come il Vaticano, [è accettabile] '. Questo potrebbe essere considerato come il modo più tortuoso di ingannare il popolo e di dirgli che la religione dovrebbe essere separata dalla politica. Ma l'Imam [Khomeini] ha detto: 'L'Islam non è solo culto, non solo studio, non solo applicazione [di editti]. L'Islam è politica, non è distante dalla politica. L'Islam è un grande governo; è un grande regno. L' Islam è un regime [e] un regime politico' ".

    
Gli iraniani che combattono per le riforme, la libertà e i diritti umani combattono contro l'Islam

"Oggi, quelli che [in Iran] diffondono slogan come riforma, libertà, sviluppo politico, democrazia, [e] diritti umani... stanno combattendo la religione [dell'Islam], e… con le loro demoniache e colonialiste teorie, sollecitano la separazione tra religione e stato o sostengono le persone che perseguono questi princìpi. Essi devono rendersi conto che stanno andando in direzione opposta alla strada dell'Imam [Khomeini]". E, come ha detto l'Imam, ' Forse queste persone non si rendono conto che le parole che pronunciano contro la religione e contro i valori islamici sono le stesse parole che vengono dalla bocca di gente come Bush, Sharon, Jack Straw e altri al potere nei regimi autoritari colonialisti".

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Nota:
(1) Jomhuri-ye Eslami (Iran), 1 gennaio 2003.

(The Middle East Media Research Institute n° 463, 04.02.2003)



CRISTIANI PERSEGUITATI NEI TERRITORI PALESTINESI


Palestinesi cristiani fuggono in Israele

Due fratelli che abitavano nei territori dell'Autonomia Palestinese e si sono convertiti dall'Islam al Cristianesimo, adesso sono in Israele. In questo modo sono riusciti a sfuggire a una possibile "condanna a morte". Ma la domanda è: "Fino a quando?". WorldNetDaily riferisce che uno dei fratelli, Nasser Salam, quando si è convertito era un membro attivo di Fatah, l'organizzazione di Arafat, e questo l'ha portato all'arresto e alla tortura. Su uno dei fratelli pende una condanna a morte, ma in qualche modo sono riusciti a fuggire nei territori controllati dagli israeliani e hanno ottenuto un permesso di soggiorno di 30 giorni.
    La senatrice americana Jo Ann Davis e La "Religious Freedom Coalition" chiedono a Israele di concedere l'asilo almeno fino a quando non potranno essere presi altri provvediementi di espatrio. L'organizzazione terroristica Fatah ha accusato i fratelli di collaborazione con Israele, un'accusa che di solito conduce all'uccisione attraverso linciaggio. La loro sorella probabilmente è già stata uccisa, perché dal loro arrivo in Israele non si è sentito più niente di lei.
    Dall'inizio della "guerra di Oslo" sono stati già uccisi 60 arabi per questi motivi e l'Autorità Palestinese ne ha giustiziati almeno altri cinque. Il presidente di "Religious Freedom Coalition" ha detto: "E' un fatto largamente risaputo che gli ebrei sono perseguitati nei paesi islamici, ma si fa poca attenzione al prezzo che devono pagare i musulmani che si convertono al cristianesimo. Il prezzo è molto spesso la morte."

(Arutz 7, 19.01.03)

* * *

Un palestinese bacia un carro armato israeliano

"Saed è un palestinese allevato come musulmano, a cui fin da piccolo è stato insegnato a odiare gli ebrei", riferisce Avi Mizrachi dell'opera missionaria cristiana DUGIT in Israele. "Anni fa aveva visto un terrorista palestinese mentre costruiva una bomba. Accadde un incidente e il terrorista morì. Questo fatto scosse Saed, che pensò: "Mio Dio, ci dev'essere qualcosa di più nella vita che soltanto uccidere..." Nel 1996, attraverso alcuni cristiani americani, arrivò alla fede in Gesù Cristo. Quando comunicò la sua nuova fede ai suoi vicini e ai suoi parenti, la cosa diventò subito nota in tutto il paese. Un giorno arrivarono dei poliziotti che lo portarono in prigione a Sichem (Nablus). Fu torturato e minacciato di morte perché credeva in Gesù. Per due anni è stato rinchiuso da solo in una cella, non più di uno sporco buco nella terra. Tutti i giorni Saed pregava che arrivassero a Sichem dei soldati israeliani e lo liberassero dalla sua miserabile situazione. Nel 2002 avvenne. Quando gli israeliani entrarono nella prigione, i polziotti palestinesi scapparono. Quando Saed e gli altri prigionieri furono liberati, il comandante israeliano fu non poco meravigliato quando vide Saed che si inchinava e baciava il loro carro armato. Non avrebbe mai pensato di vedere un giorno un palestinese che bacia un carro armato israeliano..."
   Oggi Saed, che è sposato e ha otto figli, è membro di una comunità cristiana e vende sapone.
  
(Christliche Freunde Israels, 03.01.2003)


INDIRIZZI INTERNET


Jewish National Fund