Notizie su Israele 156 - 20 febbraio 2003
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C'è una folla, una moltitudine, nella valle del Giudizio! Perché il giorno del SIGNORE è vicino, nella valle del Giudizio. Il sole e la luna si oscurano e le stelle perdono il loro splendore. Il SIGNORE ruggirà da Sion, farà sentire la sua voce da Gerusalemme, e i cieli e la terra tremeranno; ma il SIGNORE sarà un rifugio per il suo popolo, una fortezza per i figli d'Israele." (Gioele 3:14-16) L'ANTISEMITISMO ECUMENICO DEI BUONI Nei giorni scorsi un gruppo di docenti dell'Università di Bologna ha inviato una lettera aperta agli ufficiali, sottufficiali e soldati dell'esercito israeliano. Ecco il testo: «Noi sottoscritti docenti dell'Università più antica d'Europa, l'Università di Bologna, di varie ideologie filosofiche e politiche e di vari credi religiosi, consapevoli che il conflitto israelo-palestinese rappresenti oggi uno dei fattori più pericolosi di instabilità e di guerra nella situazione internazionale, firmiamo questa lettera aperta ai militari dell'esercito israeliano quale monito e quale auspicabile contributo alla pacificazione del suddetto conflitto. Abbiamo sempre considerato il popolo ebreo come un popolo intelligente, sensibile, forte forse più di tanti altri perché selezionato nella sofferenza, nelle persecuzioni, nelle umiliazioni subite per secoli, nei pogrom e, per ultimo, nei campi di sterminio nazisti. Abbiamo avuto compagni di scuola ed amici ebrei, colleghi di lavoro da noi stimati ed anche allievi israeliani a cui abbiamo trasmesso i nostri insegnamenti portandoli alla laurea e che oggi esercitano la loro professione in Israele. Molti di noi sono stati in Israele, a Gaza e in Cis-Giordania nel quadro di missioni culturali o per programmi dell'Unione Europea e conoscono perciò direttamente la situazione. Ed è per questo che oggi, di fronte a ciò che sta succedendo nel territorio israelo-palestinese, siamo spinti a scrivervi perché sentiamo purtroppo che la nostra stima e il nostro affetto per voi, per il popolo ebreo, si sta trasformando in dolorosa rabbia per quello che state facendo al popolo palestinese. E credeteci, tante altre persone dentro e fuori dalla nostra Università che hanno stima per il vostro popolo, oggi provano i nostri stessi sentimenti. È necessario che vi rendiate conto che oggi voi state facendo ai palestinesi quello che a voi è stato fatto nei secoli passati. Le tragiche vostre esperienze non possono essere state da voi già così dimenticate! Voi li state umiliando, distruggete le loro case, i loro campi, tagliate i loro alberi da frutta, murate i loro pozzi, bloccate le loro ambulanze, li imprigionate, li affamate, li torturate, spadroneggiate nelle loro città, li chiudete in ghetti, traumatizzate gravissimamente i loro bambini, li uccidete. Possibile che non vi accorgiate che state fomentando contro voi stessi un odio immenso, sempre più profondo, carico del desiderio di vendetta? Non è difficile capire che solo gente esasperata, nell'impossibilità di difendersi altrimenti, possa immolarsi per uccidere qualcuno di voi, del vostro popolo che è ormai considerato complice delle repressioni. Noi siamo contro il terrorismo, ma diteci, quale altro modo essi hanno per difendersi? Quali altre armi essi hanno se non le pietre o gli agguati o il proprio corpo? E non avreste voi stessi, nella loro identica situazione, reagito nello stesso modo ? Militari israeliani! Rifiutatevi di continuare ad opprimere il popolo palestinese. Abbassate le armi. Chiedete a gran voce, con il coraggio che vi dà la vostra fede religiosa, di smettere le violenze. E vedrete che le violenze cesseranno anche dall'altra parte. Se continuerete nella repressione, aumenterà sempre più contro voi stessi la riprovazione del mondo intero, non del solo mondo arabo e non ci sarà un futuro di pace per il vostro popolo. Pensate con la vostra testa, con il vostro cuore soprattutto. Non potete vivere sempre circondati dall'odio e col fucile in mano. Ricordatevi che non state difendendo la vostra Patria ma gli insediamenti dei coloni nei territori palestinesi, il che non è la stessa cosa. Ricordate quanti bambini ed adolescenti sia palestinesi che israeliani sono stati uccisi in questo conflitto. Abbiate il coraggio di rifiutarvi di usare le armi contro i Palestinesi e siamo certi che anche i Palestinesi fermeranno le loro azioni disperate. Qualcuno deve pur muoversi per primo. Ve lo chiediamo per il bene del popolo ebraico, in nome della civiltà e della cultura. Questa scelta potrebbe procurarvi difficoltà, punizioni, pressioni, anche persecuzioni e forse il carcere. Ma solo così potrete ritrovare voi stessi e non vivere più in una continua contraddizione con la vostra coscienza, per il crimine ingiustificabile che state commettendo. Alcuni di voi hanno avuto il coraggio di denunciarlo. A loro va tutta la nostra solidarietà e stima.» Seguono 136 firme. *
Come si può immaginare, questa lettera ha provocato diverse reazioni. Riportiamo quella del Consiglio Direttivo dell'Associazione di Amicizia Italia-Israele di Bologna Bologna, 18 Febbraio 2003 Egregi Signori Docenti, avendo preso visione della Vostra lettera aperta indirizzata agli ufficiali, sottufficiali e soldati dell'esercito israeliano, non possiamo esimerci dal formulare alcune osservazioni. La gravità di quanto affermato nel Vostro documento non lascia spazio all'ironia. Dobbiamo però dire che un popolo al quale tocchino in sorte amici come Voi non ha bisogno di nemici. Nel corso della loro storia, gli ebrei - dei quali, con squisita tecnica adulatoria, vi dilungate a rimarcare particolarità e diversità - sono stati spesso al centro di un'attenzione sproporzionata all'esiguità del loro numero. Vista la profusione di gentili che giurano di contare almeno un ebreo tra i loro amici prediletti, vien da chiedersi come sia possibile che questo piccolo popolo sia stato - e sia - oggetto di pregiudizio, discriminazione e violenza. Per capirlo, iniziamo a porre sul vetrino del microscopio gli amici degli ebrei. Questa particolare tipologia di amico - alla quale, nel Vostro documento, sottolineate appartenere - si commuove per gli ebrei vilipesi, umiliati e sterminati, ma rampogna duramente quelli che hanno l'improntitudine di cercare di restare vivi. Sulla sorte dei sei milioni di ebrei annientati dai nazisti gli amici come Voi versano fiumi di lacrime e retorica, mentre per i circa sei milioni di ebrei di Israele - che se non si difendessero farebbero la medesima fine - non c'è che riprovazione e, se dovessero persistere nella loro irragionevole riluttanza a lasciarsi massacrare, la certa prospettiva di perdere la Vostra amicizia. Noi non siamo schizzinosi come Voi. Siamo di bocca buona, noi: gli ebrei ci piacciono vivi e riteniamo sia il momento di riconoscere il loro diritto a essere un popolo normale, né migliore né peggiore della media e non soggetto a obblighi - come quello di lasciarsi sterminare in silenzio - che non ci si sognerebbe di imporre a nessun altro. Egregi Signori Docenti, Voi che affermate di conoscere la realtà della regione non potete ignorare che - con i fondi e la cooperazione dell'UE - scuole e media palestinesi attuano un programma di scientifica istigazione all'odio razziale e religioso. Non potete non sapere che sulle carte geografiche del Medio Oriente adottate OGGI dalle scuole palestinesi lo Stato di Israele non compare. Non potete ignorare che l'articolo nel quale si enuncia il fine dell'eliminazione della "entità sionista" non è mai stato espunto dalla Carta Nazionale Palestinese. Non potete non sapere che, da quando l'amministrazione di fette sempre maggiori di territori è passata in mano palestinese, gli atti di terrorismo contro Israele sono aumentati esponenzialmente, dimostrando la sciatta ipocrisia dell'equazione OCCUPAZIONE = TERRORISMO. Non potete non sapere che la violenza araba contro i civili israeliani non è recente. Non è cominciata nel 2000 - e nemmeno nel 1967. Il primo massacro di ebrei per mano degli arabi risale al 1920. lo Stato di Israele allora non c'era: ci sarebbero voluti ventott'anni perché nascesse. Davvero volete sostenere che è l'occupazione la causa del terrorismo? Nel 1929 la pacifica comunità ebraica di Hebron fu sterminata e tra il 1936 e il '39 la rivolta araba ispirata dal Gran Muftì di Gerusalemme, (quell'Hajj Amin al-Husayni che avrebbe trascorso gli anni della guerra a Berlino, collaborando alla propaganda hitleriana e reclutando una brigata di SS musulmane), provocò centinaia di morti ebrei. Diteci: erano anche quelle conseguenze dell'occupazione? Egregi Signori Docenti, se qualcuno di Voi, prima di firmare un documento disonorevole, si fosse preso la briga di leggere qualcosa sull'argomento, si sarebbe avveduto di come i palestinesi non abbiano mai perso l'occasione di perdere l'occasione. Lo stato palestinese sarebbe nato insieme a quello di Israele, se gli arabi non avessero scelto consapevolmente la strada della guerra di sterminio - salvo poi non riuscire nell'intento che si erano prefissi. Quale negoziatore davvero desideroso di raggiungere un compromesso rifiuterebbe un'offerta come quella presentata dal governo Barak nell'estate del 2000 (restituzione del 97% dei territori e sovranità condivisa su Gerusalemme)? Beh, Arafat ha rifiutato e ha scelto la guerra. L'attuale rivolta armata era già programmata e sarebbe scoppiata comunque: quasi tutti i dirigenti palestinesi lo hanno ammesso candidamente. Solo voialtri amici degli ebrei Vi ostinate a non crederci. Se ancora vi sfugge, Egregi Docenti, Vi facciamo notare che quello in corso è un conflitto esistenziale tra un popolo che ha cercato di costruirsi una patria in cui vivere e uno che, alla costruzione della propria, ha anteposto sistematicamente la distruzione dell'altrui. Agli antisemiti contemporanei - quelli che hanno un sacco di amici ebrei, ma arricciano il naso davanti al Sionismo - deve provocare un brivido di piacere l'affermare che gli ebrei fanno ai palestinesi quello che i nazisti hanno fatto a loro. E' la soluzione di ogni problema morale, la pietra tombale di qualunque scrupolo, il cloroformio delle coscienze: se gli ebrei non sono migliori dei loro carnefici, allora perché porsi tanti problemi per loro? Finché una simile posizione viene adottata dai pacifisti de noantri, che nei cortei si agghindano da terroristi suicidi, non c'è da stupirsi. Quando però ad adottarla sono parecchie decine di "docenti della più antica università d'Europa", l'inquietudine è doverosa. Da Voi Signori Docenti ci si aspetterebbe che sapeste che Israele non chiude i palestinesi nei ghetti (i campi profughi li hanno fatti gli arabi), non impone loro il marchio d'infamia, non li gasa (contrariamente a quello che Saddam Hussein - che di amici ne ha davvero tanti - ha fatto con il suo stesso popolo), non impone loro il testatico o un atto di sottomissione (tutte cose richieste agli infedeli in quelle oasi di liberal-democrazia che sono i paesi islamici). Dovreste sapere che Israele non mura i pozzi (mentre i palestinesi hanno ripetutamente tentato di avvelenare gli acquedotti israeliani) e non educa i suoi figli alla violenza (e sarà per questo che è un paese all'avanguardia in tutti i campi della scienza: perché nelle sue scuole si insegna qualcosa di più utile e
Pensiamo - e ci auguriamo - che nemmeno Voi lascereste le Brigate Rosse agire impunite. Pensiamo - e ci auguriamo - che non esortereste mai polizia, carabinieri e magistratura inquirente a rifiutare di dare la caccia a questi malfattori. Orbene, le Brigate Rosse, alle quali non si possono comunque fare sconti, non hanno mai espresso l'intenzione di distruggere l'Italia e sterminarne gli abitanti: Hamas, Jihad Islamica e la cricca di Arafat dichiarano quegli obiettivi ogni giorno a proposito di Israele. Solo gli amici degli ebrei e i docenti della più antica università d'Europa non se ne sono accorti. Il fatto che persone preparate e critiche si imbranchino nel coro becero dell'opinione obbligatoria - e mostrino addirittura di volerlo dirigere dall'alto della loro cattedra - è già di per sé riprovevole. Ma che quelle stesse persone peschino dalla sentina del più vile antisemitismo per giustificare il terrorismo e negare agli israeliani il sacrosanto diritto all'autodifesa è assolutamente criminale. Vorremmo esortare il Magnifico Rettore a prendere una posizione ufficiale a proposito di questa Vostra iniziativa perlomeno discutibile. E vorremmo anche invitarVi a non nascondere la mano dopo aver gettato il sasso e ad accettare un dibattito serio e ragionato su temi che sono troppo seri e tragici per buttarli in macabra caricatura. Il Consiglio Direttivo dell'Associazione di Amicizia Italia-Israele di Bologna (Gruppo Rimon, 18.02.2003) *
NOTA DI COMMENTO di Marcello Cicchese Il documento dei docenti universitari bolognesi rappresenta un salto di qualità nell'espressione dei sentimenti antiebraici in Italia. Anzitutto, ai firmatari non si può concedere l'attenuante dell'incolpevole ignoranza. Si autopresentano come "docenti dell'Università più antica d'Europa", sbandierando questo titolo come un elemento che evidentemente dovrebbe avvalorare, non certo sminuire, l'importanza delle loro dichiarazioni. E' un parto del mondo accademico, dunque, ma l'unico valore culturale che si può riconoscere al documento sta nella maestria con cui gli autori sono riusciti a riassumere in poche righe e in buon italiano quasi tutto il repertorio di luoghi comuni antiebraici che sono oggi in circolazione. Non credo che sia il caso di scomodare il rettore dell'Università di Bologna, anche perché la libertà di dire sciocchezze è garantita dalla Costituzione. Forse si può soltanto sperare che qualche collega di quei docenti, per mitigare la vergogna che ricade sull'istituzione in cui lavorano e difendere il proprio onore personale, si dissoci pubblicamente da quella posizione. Può essere utile invece porre l'attenzione sul salto di qualità che il documento esprime. Alcune considerazioni: 1) Il documento non è frutto di generica ignoranza dovuta a pregiudizi atavici o a residui di arretratezza culturale; cade quindi l'illuministica illusione che la cultura possa essere un valido baluardo contro l'antiebraismo. 2) Il documento non è espressione di una particolare corrente politica; cade quindi la razionalistica spiegazione che si tratti di una strumentalizzazione politica di un tema in sé e per sé non interessante, ma utile per raggiungere determinati obiettivi. In altre parole, l'antiebraismo del documento non è strumentale, ma è autentico e sincero. 3) Il documento non è espressione di un determinato gruppo religioso; cade quindi l'illusoria speranza che la tolleranza religiosa possa costituire un valido antidoto ai sentimenti antiebraici. 4) Il documento non è espressione di un determinato gruppo etnico; cade quindi l'ecumenica illusione che la promozione della pace tra i popoli possa sradicare la mala pianta dei sentimenti razzistici. 5) Il documento non proviene da nemici dichiarati del popolo ebraico, cioè da persone che ritengono di avere i loro giustificati motivi per avversare gli ebrei e lo fanno anche sapere, ma da sedicenti amici del popolo ebraico. Aumenta quindi il senso di solitudine degli ebrei, che non sanno più se sono peggiori gli amici apparenti o i nemici dichiarati. Il segnale che invia il documento è inquietante proprio perché l'antiebraismo che esprime proviene dai "buoni" e ha ormai una dimensione "ecumenica", cioè universale. Riconoscere la realtà di questi fatti può essere in un primo momento deprimente, ma sbarazzarsi delle illusioni ingannatrici è il primo passo verso la direzione giusta. In fondo, l'idea dello Stato ebraico è il frutto del crollo di un'illusione: la speranza riposta in un umanesimo illuminista che, dopo aver fatto crollare i pregiudizi religiosi, avrebbe favorito l'integrazione degli ebrei nelle varie nazioni europee. Quando, nella patria della rivoluzione francese, Theodor Herzl udì con le sue orecchie la folla che gridava: "Morte agli ebrei!" capì che la via dell'assimilazione era sbarrata. E ne cercò un'altra. Questo può accadere ancora oggi, ma è un compito da lasciare agli ebrei. A noi non ebrei compete invece il compito morale e culturale di non lasciarsi irretire dalla menzogna e di combatterla. E questo è già molto, perché la verità parla da sola. Ma non è facile combattere la menzogna, perché in questa battaglia il nemico non è soltanto esterno, ma anche e soprattutto interno. Come ha detto qualcuno: "L'efficacia della menzogna non sta tanto nell'abilità di chi la dice, quanto nella disposizione a crederci di chi l'ascolta". La lettera dei docenti di Bologna può essere allora usata come test. La si faccia leggere senza dire niente a qualche amico e poi si chieda: "Che ne pensi?" Se gli sembra convincente, vuol dire che si trova già in uno stato avanzato di inebetimento. Qui può cominciare il tentativo di recupero che possiamo fare soprattutto noi che non siamo parte in causa. Comunque, se possiamo fare qualcosa, facciamolo, ma non andiamo a dire agli ebrei che li amiamo, perché questo l'hanno già detto quei docenti di Bologna. UNA RISPOSTA DA ISRAELE AL GRUPPO DI DOCENTI DI BOLOGNA Mi sono laureato in una Universita' Italiana vecchia "solo" di 250 anni; poi, all'eta' di 39 anni ho mollato tutto e sono venuto a vivere in Israele, dove, tra lavoro ed altre cose, ho preso la specializzazione da una istituzione giovane "solo" di 18 anni! Ho letto due volte la vostra lettera/appello alla diserzione e sono rimasto, francamente, esterrefatto. Esterrefatto di quanta poca conoscenza della storia, della attualita' e dei fatti vi sia dietro. Esterrefatto di come, ancora una volta, a soli 65 anni di stanza, riaffiorino vecchi e triti motivi che (vi piaccia o no!) ancora hanno l'amara venatura di tristissimi e vecchi pregiudizi. Tanti anni fa, durante una conferenza, mi sentii dire da un docente della vostra Universita' (nome, cognome ed incarico agli interessati!) che, in fondo, durante la guerra, gli ebrei italiani persero "solo" il lavoro! Falso, ovviamente; ne sparirono nel nulla oltre 8.500, di cui almeno 1.500 (documentati) fatti sparire dai loro vicini di casa "italiani". Ma, al di là di questi "numeri" avrei voluto vedere lui a perdere "solo" il lavoro! Voglio mettermi sul vostro stesso piano e, come voi, usare argomenti considerati (da voi!) "triti": il solito Olocausto che tutto giustifica e di cui non vogliamo piu' sentir parlare! E invece no! perché questo Stato, Israele, rappresenta l'unica risposta possibile a 19 secoli di totale, assoluta, crudele, bestiale, mancanza di ospitalita' da parte del "vecchio" mondo e delle sue "vecchie" scuole di sapere, di arte, di scienza e di cultura! E va difeso a qualunque costo! Soprattutto ora che, come voi dimostrate, chi dovrebbe ergersi ad ammortizzatore degli estremi, moderatore, conoscitore della storia e dei fatti, commentatore attento, in verita' si fa trascinare in tristissime generalizzazioni e accetta senza sdegno il rinfrescarsi di terrificanti menzogne di bassissimo livello. Siamo al limite, qualitativamente parlando, con i processi alle streghe e con la santa inquisizione! Il primo orrore e' rappresentato dalla generalizzazione "noi" "voi" "loro". Avete gia' ricreato universi paralleli, come tanti anni fa; ma voglio stare al gioco e rispondervi stando ancora sul "vostro" stesso piano! NON E' VERO cio' che voi scrivete! Non e' vero, innanzitutto, che noi stiamo facendo ai palestinesi "QUELLO FATTO A NOI": noi non li bruciamo vivi; non li chiudiamo in campi di sterminio; non li scarichiamo a bastonate da carri bestiame; non li infiliamo urlanti in camere a gas; non gli strappiamo i denti d'oro dalla bocca; non li bruciamo nei forni; non li usiamo come cavie umane per esperimenti scientifici; non li rapiamo dalle loro case da bambini per convertirli a forza. Non li accusiamo di macellare bambini per la loro "festa del sacrificio"; non li accusiamo di avvelenare i pozzi, di spargere la peste; non li processiamo per "attentato alla purezza della razza" se, per caso, un musulmano si innamora di una ebrea o viceversa. Non li accusiamo di avere ucciso Dio! Cose vecchie? cose trite e ritrite? Vogliamo cose piu' "fresche "? Non li tratttiamo nemmeno come sono stati trattati i pochi musulmani d'Europa: non ne facciamo sparire a decine di migliaia (se non a centinaia!) in fosse comuni come in Bosnia ed in Kosovo, sotto lo sguardo disattento di biondi e giulivi soldatini olandesi (Srebrenika!) o francesi o italiani; non li incolonniamo in lunghissime e tristi colonne di carri e trattori, in fuga da villaggi incendiati, per poi mitragliarli dall'alto come fatto dagli sgherri di Milosevic. Queste cose le avete fatte SOLO VOI! Non tentate MINIMAMENTE di associare il popolo ebraico ed Israele (come Stato sovrano) a questa serie di immonde nefandezze e bestialita' che, invece, sono il puro e perfetto risultato di 19 secoli di sub-cultura dell'intolleranza; del falso |
"amore per il prossimo", del bugiardo "porgi l'altra guancia",
dell'infingarda accoglienza, del sospetto e dell'odio verso l'unico
"diverso" presente in Europa sino a 50 anni fa: l'ebreo! Noi CI VANTIAMO di non avere sulla nostra coscienza simili mostruosita', indegne della razza umana, e, sebbene possa fare comodo per trascinarci in basso sul vostro stesso piano, non ci faremo trascinare nella trappola del "...in fondo, in fondo.... anche voi". NO! NOI NO! Noi non li trattiamo nemmeno come i loro stessi "fratelli" trattano loro: non sgomberiamo a cannonate alzo-zero i campi profughi come in Giordania (Settembre Nero = circa 10.000 morti; re Hussein "il buono"!); non spariamo in testa a donne e bambini a sangue freddo approfittando della fuga degli uomini (cristiani maroniti a Sabra e Chatila); non li facciamo marcire (letteralmente MARCIRE) in campi profughi per oltre 50 anni in modo da poter legittimare il rifiuto concettuale e di principio alla esistenza dello Stato di Israele; non li rimbecilliamo di propaganda antisemita e vetero-nazista per poi usarli come carne da cannone. Nella nostra Dichiarazione di Indipendenza del 1948 non e' scritto che il nostro scopo e' la "distruzione della (loro) entità" cosi' come è scritto oggi (febbraio 2003) nella carta costituzionale palestinese. Distruggiamo ulivi e pozzi? Ma che razza di idea avete di Israele e della Autonomia Palestinese? Immaginate ancora donne velate al pozzo, grano falciato a mano e danze agresti alla luce dei falo'? Stiamo parlando di un'organizzazione politico-amministrativa- pseudostatale perfettamente moderna: con gestione di fondi e donazioni; conti correnti esteri; approvvigionamenti e fabbriche di armi (piu' o meno avanzate); spalleggiata da una enorme e smisurata rete di appoggi economici derivati dal petrolio e dalla "simpatia" di oltre un miliardo di persone che detengono, di fatto, il 90% delle risorse energetiche mondiali! ALMENO FOSSE COSI' PER ISRAELE! E non li trattiamo nemmeno come loro trattano noi, se per disgrazia finiamo nelle loro mani! Noi non buttiamo dalle finestre i prigionieri palestinesi; non li linciamo; non li lapidiamo; non li facciamo a pezzi con i coltelli; non li decapitiamo (come fa hezbollah al confine libanese); non allestiamo "mostre" sugli attentati con i manichini insanguinati a terra per far vedere i risultati delle "azioni" (pizzeria Sbarro; "ricostruita" presso una Universita' palestinese e riportata "perfino" dai media italiani per la sua grottesca mostruosita'). NOI NO! LORO SI'!
E soprattutto, noi non "LI" trattiamo come loro "SI trattano": noi non impic- chiamo sulle gru, in mezzo alla strada, i nostri ed i loro dissidenti/pacifisti e quant' altro; non li lapidiamo; non tagliamo le orecchie alle "puttane" che hanno avuto rapporti "impuri" con la controparte; non fuciliamo le persone nello stadio (ripor- tato PERSINO da Repub- blica); non rendiamo la vita impossibile ai cristiani costringendoli ad un silen- zioso esilio (che fine ha fatto il 70% della popolazione cristiana di Betlehem?) Solamente, il "loro" modo di intendere questa guerra e' assolutamente diverso dal "nostro" ed anche dal "vostro"! La loro arma migliore e' rappresentata dalla bassis- sima soglia di tolleranza, insita nella cultura europea, all'errore "ebraico". La dirigenza palestinese ha SEMPRE potuto contare sulla "antipatia" per gli ebrei già dai tempi della amministrazione britannica. La stessa "antipatia" che permise agli arabi di ignorare la risoluzione dell'ONU del 1947 sulla spartizione della Palestina in Stato ebraico e Stato palestinese. La stessa "antipatia" che suggerisce loro un uso "strategico" dei quartieri da cui sparare su Gerusalemme (da Beth Jalla, una volta prevalentemente cristiano) nella speranza che un colpo israeliano male assestato finisca su una chiesa o su un prete; l'uso "strategico" dei ragazzini, tolti da scuola e mandati a tirare pietre ai posti di blocco nella perfetta e consapevole certezza che qualcuno spari, in modo da poter mostare al mondo un nuovo bambino insanguinato; un nuovo San Simonino da Tul Karem. La stessa "antipatia" che ha permesso loro, dal '48 al '67, di attingere a fondi da mezzo mondo (ONU - UNWRA - CR- etc.) (per vent'anni e PRIMA della "occupazione" della Cisgiordania!) di NON costruirsi un ospedale; di NON costruirsi scuole; di NON costruirsi fogne e condutture d'acqua; di NON sistemare la gente nei campi profughi. In parole povere di NON fare tutto cio' che Israele stava facendo, in parallelo, al di là del confine: assorbire profughi dall'Europa centrale; assorbire gli 800.000 (ottocentomila!) ebrei derubati, brutalizzati, violentati, privati di ogni diritto civile ed infine espulsi, in fuga da Algeria, Tunisia, Libia, Libano, Giordania, Egitto, Irak, Yemen e, poi, Iran. Io RIGETTO la vostra visione dei fatti, in quanto disinformata, distorta, di parte, sostanzialmente fasulla, dettata da un misto di totale ignoranza dei fatti e di bassissima tolleranza allo "ebraico" in quanto tale. E così pure RIGETTO il vostro invito alla diserzione! CONTINUERO' a fare le mie 16-20 ore di servizio al mese, nella mia unita' e con la mia arma. NON ESITERO' a difendere questo Paese, anche se non vi sono nato. NON ESITERO' a neutralizzare chiunque attentera' alla vita mia, della mia famiglia, del mio popolo, alla sicurezza della mia terra. VI INVITO a riflettere con piu' onesta' intellettuale sulle ragioni del vostro accettare acriticamente solo e sempre la "versione" palestinese della storia e della situazione; sulle ragioni di un rifiuto concettuale, da parte araba, alla esistenza di Israele; sulle ragioni di un costante "fronte del rifiuto" che ha costantemente detto NO! ad ogni proposta israeliana di civile convivenza; sulle ragioni del vostro non intervento quando, dal '92 al 2000, dopo Oslo, i palestinesi anziche' costruire, edificare, realizzare, investire nei loro territori ormai "liberati", si armavano, si armavano, si armavano; sulle ragioni di una classe dirigente criminale che ancora vagheggia la "Grande Palestina" dal Giordano al mare. INVITO quanti di voi ne hanno il coraggio (piu' intellettuale che fisico!) ad un VIAGGIO DELLA VERITA' per farvi vedere con i vostri occhi come vivono gli arabi di cittadinanza israeliana; come sono le loro case e le loro cittadine; spiegarvi e farvi spiegare DA LORO (e senza giornalisti!) perché gli arabi cristiani RIFIUTANO di passare sotto l'autonomia palestinese. Per farvi vedere dal vero un posto di blocco/confine e farvi capire quanto NON SIA NATURALE e spontaneo che, casualmente, vi passino ragazzini con la cartella di scuola. Per farvi trascrivere nome e cognome di palestinesi che entrano ogni giorno in Israele per farsi curare in ospedali israeliani e maledicono la loro amministrazione; per farvi trascrivere i numeri di quanti entrano ogni venerdi', liberamente, per la preghiera alle moschee; per farvi vedere come Israele, ai tempi di Oslo, ha persino provveduto l'amministrazione palestinese di TUTTO il supporto burocratico per il censimento della popolazione, la stampa di carte di identita' e passaporti etc., nonche' (assurdita' della storia!) divise ed addestramento per la polizia palestinese!! Di come Israele rifornisca l'amministrazione palestinese di vaccini (sia per persone che per il patrimonio zootecnico) etc. Per farvi parlare con uno dei 250.000 palestinesi che, grazie alla politica criminale dei loro dirigenti, ha perso il lavoro in Israele! Per farvi capire come NON SIA VERO che non vogliamo un accordo (vedi Barak, 2000!). Per farvi capire quanto sia CINICAMENTE STRUMENTALIZZATO questo conflitto che dura da oltre 50 anni semplicemente perche' una delle parti dice: "Non avete diritto di stare qui!" Lo ripeto: l'unica vera arma che l'amministrazione palestinese ha a disposizione siete VOI! Smettetela di farvi usare e di contribuire alla morte di centinaia di persone (456 israeliani morti in attentati; oltre 1000 attentati; circa 600 morti palestinesi, solo nel 2002!) per difendere un dittatore brutale, bestiale e sanguinario circondato da una banda di pretoriani ignoranti non meno avidi di potere e, soprattutto, di soldi! Lettera firmata I GIORNALI SAUDITI SOLLECITANO SADDAM A DIMETTERSI O A SUICIDARSI Il regime iracheno, simboleggiato e personificato da Saddam Hussein, nelle ultime settimane è stato sottoposto a critiche crescenti da parte dei media sauditi (1). Al di là delle critiche a Saddam e al suo regime, aumentano le sollecitazioni verso Saddam ad evitare al popolo iracheno i disastri e le distruzioni di una guerra, rinunciando alla presidenza e cercando asilo fuori dell'Iraq. Ecco alcuni estratti di tali articoli: Sotto il titolo "Dimissioni invece della guerra", la signora Huda al-Husseini, editorialista del giornale saudita londinese Al-Sharq Al-Awsat, deplora le affermazioni di Saddam su un'altra guerra "vittoriosa" e conclude che le sue dimissioni sono preferibili a qualsiasi guerra (2). In un altro quotidiano saudita con sede a Londra, l'editorialista dell'Al-Hayat, Abd Al-Wahab Badr-Khan scrive, sotto il titolo "Scenario per una rinuncia", che Saddam si sta preparando ad una seconda "Madre di tutte le battaglie". Avendo perso la prima, Saddam continua a credere che sia stata una vittoria che gli ha permesso di stare al potere. Badr-Khan afferma che in pratica il regime è crollato e che tutti i calcoli di Saddam si sono rivelati sbagliati. L'unico modo per salvare il paese dal totale disastro è che Saddam si dimetta (3). Il primo editorialista ad avanzare la possibilità che Saddam possa essere costretto ad un asilo politico era stato Jihad al-Khazen, editorialista dell'Al-Hayat, molti mesi fa (4). In un editoriale dal titolo "L'attesa storica decisione", il quotidiano saudita Okkaz suggerisce che per evitare all'Iraq e al suo popolo le tragedie ed i disastri della guerra sarebbe saggio per il presidente iracheno "prendere una coraggiosa, responsabile e storica" decisione, che darebbe priorità al futuro del suo paese e del suo popolo rispetto al futuro di un regime difficile da difendere o da sostenere (5). Citando re Abdallah di Giordania, secondo il quale solo un miracolo può evitare alla regione una guerra, Irfan Nidham Al-Din scrive sull' Al-Hayat sul sogno di vedere Saddam e le figure centrali del suo regime dare le dimissioni e cedere il potere a un governo di transizione, che risolverebbe le questioni pendenti delle armi di distruzione di massa (6). Con un'iniziativa estremamente insolita, molti intellettuali arabi hanno fatto circolare una petizione che invita Saddam a dimettersi (7). Per evitare una catastrofe in Medio Oriente, i firmatari "sollecitano l'opinione pubblica araba ad esercitare pressioni per la destituzione dal potere di Saddam Hussein e dei suoi stretti collaboratori, per evitare una guerra catastrofica per i popoli della regione. [Sollecitano anche] l'instaurazione della democrazia a Bagdad e l'insediamento in Iraq di osservatori per i diritti umani dell'Onu e della Lega Araba, per sorvegliare la transizione pacifica dei poteri" (8). Tutte queste esortazioni impallidiscono a confronto con un articolo del quotidiano saudita Al-Jazeera (9). Dopo avere analizzato le quattro opzioni del Regno Saudita in merito alla guerra in Iraq, D. Bin Ali Shuwail al-Qarni, presidente del Consiglio della Società saudita per l'informazione e le comunicazioni e professore associato per l'Informazione alla King Sa'ud University, invita Saddam a suicidarsi: "Per quanto riguarda l'Iraq, il cambiamento [di regime] sta inevitabilmente arrivando, con o senza una guerra. Ma quale sarà il destino di Saddam Hussein? Sua Altezza rinuncerà alla sua autorità per evitare uno spargimento di sangue e salvare gli interessi vitali dell'Iraq e anche gli interessi della regione?". Se Saddam sceglie di non dimettersi, non ha alcuna altra scelta per salvare il mondo da un disastro, dice al-Qarni, "che tendere la mano verso la pistola e spararsi un colpo pietoso che metta fine alla tragedia che lui ha avviato" (10). (The Middle East Media Research Instituten n° 470, 18.02.2003) ---------------------------------- Note: (1) Utilizzando il "Writers' Forum" sul quotidiano saudita 'Al-Riyadh, l'editorialista Badriyah al-Bashar scrive con sarcasmo che Saddam merita un premio per l'intervista con Tony Benn: "Merita un premio perché ha cominciato due guerre: una con l'Iran e una con l'occupazione del Kuwait e con la sua successiva espulsione. Saddam merita un premio perché immaginava che la storia di Bagdad fosse cominciata solo 34 anni fa, il giorno in cui prese il potere e distrusse la cultura di Bagdad...Merita un premio per aver provocato la fuga di scrittori e scienziati iracheni e per aver fatto tacere il grido dei Curdi con armi chimiche". Al-Riyadh, 9 febbraio 2003. Sotto il titolo "Il minore di due mali", l'editorialista dell'Al-Hayat, Daoud Al-Shiryan, lamenta il forzato dilemma imposto agli iracheni da Saddam. Essi devono scegliere fra il sostegno all'America, che li salverebbe da "un regime dispotico e autoritario" che ha dilapidato la ricchezza nazionale ed "ha praticato una ferocia politica storicamente senza precedenti", o restare in attesa di combattere una battaglia persa nelle trincee di Saddam. Al-Hayat, 1 febbraio 2003. (2) Al-Sharq Al-Awsat, 10 gennaio 2003. (3) Al-Hayat, 4 gennaio 2003. (4) Al-Hayat, 19 luglio 2002. (5) Okkaz, 25 gennaio 2003. (6) Al-Hayat, 10 febbraio 2003. (7) Al-Sharq Al-Awsat, 5 gennaio 2003. (8) The Daily Star, 6 febbraio 2003. (9) Al-Jazeera, 25 gennaio 2003. (10) Un'opinione simile è stata espressa alcuni giorni fa dal quotidiano governativo egiziano Al-Gomhorriya. Sotto il titolo "Dopo di me il diluvio", il quotidiano dice che Saddam non se ne andrà in esilio "a meno che non sia esiliato l'intero popolo iracheno". Solo allora "Saddam valuterà se partire dal paese... per godersi ricchezze e piaceri". 9 gennaio 2003. LA PROTESTA DI UN MEDICO IRACHENO articolo del dr. B Khalaf neurologo, Londra Scrivo per protestare contro coloro che si oppongono alla guerra contro Saddam Hussein o come loro la chiamano, la "guerra contro l'Iraq". Sono un medico iracheno, ho prestato servizio nell'esercito iracheno per sei anni durante la guerra Irak-Iran e per quattro mesi durante la Guerra del Golfo. Tutta la mia famiglia vive tuttora in Irak. Sono un arabo sunnita, non sono curdo e neppure sciita. Sono un ordinario iracheno non coinvolto con l'opposizione al di fuori dell'Irak. Sono veramente deluso dal terrificante modo di vedere la situazione da parte della maggior parte della gente in Inghilterra, dai media e dai politici. A tutte queste persone che sono contro la possibile guerra voglio dire questo: Se pensate che cosi' facendo voi state servendo gli interessi del popolo iracheno oppure credete di salvarli, allora vi sbagliate. In realta' state salvando Saddam. Voi state privando la gente dell'Irak di quella che probabilmente e' l'ultima reale possibilita' di liberarsi di lui e di uscire da questo buio periodo della loro storia. La mia famiglia e quasi tutte le famiglie irachene proveranno un dolore e un rabbia immensi quando la televisione di Saddam, con grande soddisfazione, mostrera' le manifestazioni di sabato a Londra. Ma dove eravate voi manifestanti quando migliaia della nostra gente dell'Irak veniva assassinata dalle milizie di Saddam alla fine della guerra del golfo per sopprimere le sommosse ? Solo ora, quando la guerra sta per raggiungere finalmente Saddam ognuno di voi diviene cosi' preoccupato della vita umana in Irak. Dove eravate quando Saddam stava uccidendo miliaia di iracheni a partire dai primi anni settanta? E dove siete voi ancora oggi, dato che ogni settimana lui ammazza la mia gente con i suoi tribunali della rivoluzione, tribunali segreti gestiti dai servizi segreti. La maggior parte delle sentenze sono esecuzioni che portano la firma di Saddam stesso. Io sono in grado di rispondere ad una ad una tutte le vostre ragioni per opporvi a questa guerra. Ma ora chiedetevi voi stessi perche', di circa cinquecentomila iracheni che vivono in inghilterra, non ne troverete neppure mille a partecipare alla manifestazioni di domani. La vostra campagna anti-guerra e' divenuta isteria di massa e non siete piu' in grado di vedere le cose come stanno. (The Guardian, 14.02.2003 - trad. Gianni Toffali. Fonte italiana: "Istituto Culturale della Comunita' Islamica Italiana") CHIRAC: LA VIA DELLA PACE O LA VIA DELLA PAURA? di Élisabeth Schemla E' successo allo Stadio di Francia, nell'autunno del 2001, in occasione dell'incontro di calcio Francia-Algeria: il Primo Ministro di allora, Lionel Jospin, permise, senza battere un ciglio, che decine di migliaia di giovani di origine algerina fischiassero la Marsigliese. In tutto il mondo arabo questo atteggiamento, che veniva poco dopo gli attentati islamici dell'11 settembre, con tutto il terremoto geopolitico che avevano provocato, fu interpretato come un segno di paura, di debolezza francese. In quello stesso mondo oggi il Presidente della Repubblica francese è adulato al punto che alcuni media arabi ripetono la battuta: "Chi sarà il prossimo presidente della Lega Araba in sostituzione di Amr Moussa? Jacques Chirac". La situazione del resto è vantaggiosa. Ma in realtà esprime una realtà dalle conseguenze molto pesanti: di fronte agli Stati Uniti e ai loro alleati, la Francia ha scelto pubblicamente e globalmente il mondo arabo. Il fatto che quest'ultimo sia diviso sulla condotta da tenere di fronte a Saddam e agli Americani, non cambia nulla. Logicamente, al contrario, il capo di Stato francese si compiace di poter fare la parte del Presidente che mette i suoi buoni uffici tra i duri e gli altri, ricevendo altrettanto volentieri sia Mubarak che Assad o Turki. La cosa anormale, in questo momento, non è la scelta araba di Chirac, dettata da quelli che egli crede siano gli interessi della Francia. Anormale è il fatto che appaia scandaloso, immorale, addirittura antipatriottico contestarlo. Questa scelta araba, è vero, è stata genialmente travestita e presentata come scelta della "Pace" contro la "Guerra". Ora, chi può opporsi alla pace, questo vocabolo ineguagliabile nel nome del quale decine di migliaia di manifestanti - insultando nello stesso tempo la storia e l'equilibrio - hanno sfilato gridando contro il nuovo Hitler planetario chiamato Bush, associandovi spesso un nuovo Hitler regionale di nome Sharon? A parte il fatto che la Francia non ha difeso la pace quando a Durban ha permesso che si svolgesse una delle più abiette riunioni internazionali impregnate di antiamericanismo, razzismo e antisemitismo; quando, dopo l'11 settembre, ha rifiutato di iscrivere l'Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroriste, e quando nel vertice dei paesi francofoni a Beirut ha accettato di legittimare quel movimento come componente libanese; quando si è astenuta dal votare contro l'attribuzione alla Libia della presidenza della Commissione dei Diritti dell'Uomo dell'ONU; quando ha accolto per una settimana il Segretario Generale della Lega Islamica Mondiale e ha deciso di fare dell'Unione delle Organizzazioni Islamiche di Francia il suo partner - due punte di lancia del proselitismo wahabita dell'Arabia Saudita. Ecco perché c'è dell'imbroglio nel dire che la guerra contro Saddam creerebbe una serie di "piccoli Bin Laden". Sarebbe più coraggioso e più rispettoso degli elettori ammettere che la Francia, dopo l'attentato di Caraci e quello contro il petroliere Limburg, ha preferito recepire il messaggio del vero Bin Laden, lo scorso ottobre, quando avvenne il massacro di Bali. Collegando al Qaida con l'Iraq, il capo terrorista ha proposto un affare agli Europei, cominciando da Francia e Germania: "Ignorateci, e noi vi risparmieremo". (Proche-Orient.info, 18.02.2003) INDIRIZZI INTERNET Welcome to StateofIsrael.com! | ||||||||