Notizie su Israele 160 - 12 marzo 2003
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O Israele, spera nel SIGNORE, poiché presso il SIGNORE è la misericordia e la redenzione abbonda presso di lui. Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe. (Salmo 130:7-8) ABIGAIL LITLE: UNA DELLE TANTE VITTIME INNOCENTI
HAIFA - La quattordicenne Abigail Litle, figlia di un collaboratore della comunità battista di Haifa, si preoccupava di favorire la comprensione tra ebrei e arabi. Mercoledì 5 marzo è rimasta uccisa nell'attentato suicida su un autobus. "Per Abigail è stato sempre importante che una persona abbia valore come persona", ha detto il padre della ragazza, Philip Litle, dopo la morte di sua figlia. "Non vedeva mai le persone come oggetti che devono essere definiti secondo la nazionalità. Adesso è in un posto migliore." Suo fratello, Giosia, ha aggiunto: "Sapeva che Dio l'amava, e anche lei amava Lui". A scuola la ragazza aveva partecipato a un programma che aveva come scopo di favorire la comprensione tra ebrei e arabi. Come ha riferito il "Jerusalem Post", il primo incontro è avvenuto il 26 febbraio scorso. Tra i partecipanti c'era anche Yuval Mendelevitch, il tredicenne compagno di scuola di Abigail, anche lui morto nell'esplosione. La famiglia Litle, che proviene originariamente dagli USA, era immigrata in Israele nel 1989, poco dopo la nascita di Abigail. Suo Padre aveva studiato al Technion in Haifa. Più tardi è diventato amministratore della comunità battista della città, e i suoi genitori decisero così di rimanere in Israele con i loro cinque figli. (Israelnetz Nachrichten, 07.03.2003) Per le altre vittime dell'attentato: http://www.israel-mfa.gov.il/mfa/go.asp?MFAH0n5r0 PERCHE' ISRAELE USA L'ESERCITO Da gennaio 122 attacchi terroristici palestinesi tentati, solo due riusciti I dati (dallo "scudo difensivo" fino a oggi) provano che le azioni militari riducono le offensive di kamikaze e gruppi armati GERUSALEMME. Il recente attentato contro un bus di civili israeliani a Haifa riporta l'attenzione degli analisti sul tema dell'efficacia delle misure adottate da Israele contro il terrorismo palestinese. La scuola d'interpretazione prevalente sostiene che occorre risolvere le "cause" del terrorismo, cioè l'occupazione israeliana. Solo una soluzione politica sonfiggerà il terrorismo, che, secondo questa scuola, è interpretato come il gesto disperato di individui e gruppi che hanno scopi politici negoziabili. La soddisfazione delle loro rivendicazioni porterebbe a buon fine la lotta al terrorismo che deve essere politica, perché il terrorismo è espressione estrema di altrimenti legittime rivendicazioni. Una variante di questa scuola vede nel recente attentato la risposta palestinese esecrabile, condannabile, tragica, ma pur sempre "comprensibile" alle recenti operazioni israeliane a Gaza. L'attentato fa parte del "circolo vizioso della violenza": l'azione militare è seguita da una rappresaglia terrorista, ovvero corollario alla concezione razionale che "a ogni azione corrisponde una reazione" e che esiste dunque una correlazione causale tra operazioni militari israeliane e terrorismo palestinese. Ne consegue che se gli israeliani interrompessero le loro operazioni e riaprissero il negoziato, cesserebbe anche il terrorismo. La scuola prevalente sul terrorismo non tiene conto di un fatto: per ogni attentato che riesce, ve ne sono molti che falliscono. Di quelli falliti non vi è spesso notizia, ma se la correlazione causale esistesse, uno dovrebbe dimostrarla in tutti i casi di terrorismo, non solo quelli dove l'attentato riesce (che fanno notizia) ma anche quelli dove l'attentatore viene neutralizzato (che spesso i giornali ignorano). E se sulle interpretazioni si può discutere, sui fatti c'è meno margine di fantasia. Nel periodo da marzo 2002 a oggi, solo un mese ha registrato un numero di attentati suicidi minore di 10: aprile 2002, ovvero nel periodo dell'operazione "Scudo Difensivo". La pressione militare in quel caso, non il dialogo, ridusse la capacità operativa dei terroristi: nel marzo 2002 ci furono 17 attentati suicidi riusciti (e 8 sventati) mentre in aprile il numero scende a 5 riusciti e 4 sventati. Da maggio 2002 il numero complessivo ritorna sopra i 10 al mese: 15 in maggio, 16 in giugno, 15 in luglio, 13 in agosto, 12 in settembre, 16 in ottobre, 19 in novembre e 15 in dicembre. Tra gennaio e oggi il numero è drammaticamente cresciuto: 65 attacchi a gennaio e 57 a febbraio. I numeri rimangono costanti tra maggio e dicembre e aumentano in gennaio e febbraio. Nello studiare questi numeri si notano due cose: primo, non esiste correlazione tra gli attentati e le operazioni militari israeliane. I numeri di azioni suicide salgono e scendono indipendentemente dalle azioni israeliane: non sono le incursioni militari, o l'imposizione di coprifuoco che causano "una risposta palestinese". La spiegazione va cercata altrove, come notava egregiamente Fiamma Nirenstein sulla Stampa di ieri a pagina 5. Secondo, il numero di attentati rimane costante salvo il mese dell'operazione israeliana della scorsa primavera (quando la capacità operativa del terrorismo subì un duro colpo), e s'impenna nel periodo elettorale israeliano e in prossimità della guerra in Iraq. Questo nonostante che nello stesso periodo avvenissero i negoziati del Cairo tra fazioni palestinesi per un cessate il fuoco, almeno contro civili israeliani. E nonostante che Yasser Arafat facesse appello ai palestinesi di interrompere gli attentati per "aiutare" il partito laburista israeliano a vincere le elezioni. Che cosa è cambiato dal giugno del 2002 Non sono cambiati i numeri di attentati, né sembra possibile stabilire un chiaro legame tra azioni militari e "reazioni" palestinesi. Quello che è cambiato è invece la capacità israeliana di neutralizzare o prevenire attentati. Da giugno 2002 il rapporto tra successi e fallimenti cambia: se a maggio 2002 vi furono 8 attentati riusciti e 7 sventati, a giugno il rapporto è di 6 a 10, a luglio di 3 a 12, agosto 3 a 10, settembre 3 a 9, ottobre 1 a 15, novembre 1 a 18 e dicembre 0 a 18. Tra gennaio e oggi, il numero di tentativi è salito a 122, con due successi soltanto, il 5 gennaio e il 5 marzo. Questi dati parlano chiaro: non c'è correlazione causale tra operazioni militari israeliane e terrorismo palestinese. Solo l'intensificazione dell'attività antiterroristica, le sempre più frequenti incursioni, la sempre più pervasiva rete di informatori palestinesi, i colpi inflitti all'infrastruttura terroristica a seguito di arresti, uccisioni mirate e incursioni militari hanno indebolito la leadership del terrore, e possono sconfiggere il terrorismo. ("Il Foglio", 8 marzo 2003) INTERVISTA CON UN IMAM ARABO-ISRAELIANO La rivista "NAI-Israle heute", pubblicata a Gerusalemme in lingua tedesca, nel suo numero di marzo ha pubblicato un'intervista fatta a un Imam arabo-israeliano che, al contrario di molti suoi colleghi, è decisamente contrario agli attentati suicidi. Lo sceicco, così viene chiamato, tutti i venerdì predica nelle moschee cercando di dimostrare ai suoi uditori che gli attentati suicidi sono contrari alla Sharia musulmana. Poco prima della chiusura del numero, l'Imam ha pregato la redazione del giornale di mantenere l'anonimità. «La situazione in questo momento è delicata. Per favore, non pubblicate il mio nome», ha detto. La famiglia dello Sceicco è arrivata in Israele dall'Arabia Saudita circa 500 anni fa. Israel heute - Le è mai stato chiesto nella moschea se il Corano permette gli attentati suicidi? Sceicco - Chi mi facesse questa domanda, il giorno stesso sarebbe imprigionato. Spero che le persone vengano prima da me, per impedire che ci siano vittime. Nelle mie prediche io mio esprimo decisamente contro gli attentati suicidi. Il Corano li proibisce. Israel heute - Ma è noto che gli attentatori suicidi prima dei loro attacchi pregano con dei versetti del Corano. Sceicco - Quelli sono pazzi, non credenti musulmani. La Sharia e la Sunna islamiche proibiscono esplicitamente queste cose. Io mi vergogno quando sento parlare di attentati suicidi commessi da musulmani. Mi sento automaticamente colpevole, perché non vorrei vedere spargimento di sangue. Israel heute - Solo a due chilometri da casa sua dei terroristi palestinesi hanno ucciso tre israeliani. E' possibile ancora una vita insieme? Sceicco - Nelle moschee spesso si istiga in forma indiretta, attraverso le prediche dell'Imam, agli attentati suicidi. Nella moschea Al-Aqsa di Gerusalemme si è sparsa la voce che degli ebrei ortodossi volevano erigere il terzo tempio al posto della moschea. Questo naturalmente ha spinto a delle reazioni, e gli ascoltatori musulmani credono veramente a queste cose. Gli Imam si arricchiscono mettendo in giro queste voci e questi slogan, provocando grandi proteste e dicendo ai loro uditori che la mosche Al-Aqsa è in pericolo. Immediatamente migliaia di musulmani offrono molti soldi. Ma noi sappiamo che la moschea non sarà veramente distrutta. La fede degli ebrei, che il loro Dio erigerà un terzo tempio a Gerusalemme, appartiene al loro divino Testamento. Quando ci sarà una divina inziativa di costruzione, anch'io prenderò parte alla costruzione del tempio. Israel heute - Oltre a lei, non conosco nessun altro Imam che condanna pubblicamente gli attentati suicidi. Sceicco - C'è qualcun altro, ma sono solo pochi. Gli altri, quelli che non si pronunciano contro gli attentati suicidi, dicono che non ha senso mettersi a letto con un malato. Quelli che nella popolazione araba sono favorevoli a una coesistenza con gli ebrei, spesso non hanno il coraggio di dirlo apertamente. Israel heute - Perché altri Imam non hanno il coraggio come lei? Sceicco - Per paura, ma non solo! Gli Imam che lavorano sotto il Ministero della Religione israeliano ricevono uno stipendio mensile di 650 euro. Il Movimento islamico (un movimento fanatico), invece, paga ai suoi Iman 1.100 euro mensili, più le spese per un cellulare. Già da molti anni ho avvisato che il Movimento islamico sta diventando sempre più influente in Israele. Israel heute - Perché lei ha sposato una sola donna? Sceicco - Perché io amo mia moglie. Inoltre, è difficile amministrare il bilancio con due donne. Inevitabilmente poi si arriva a litigi nel matrimonio. Israel heute - Non ha paura di essere assassinato dai suoi colleghi dell'autonomia palestinese? Sceicco - Arriverà il giorno in cui morirò, ma questo non sta nelle loro mani, ma nelle mani di Allah. Israel heute - Il conflitto tra Israele e gli arabi è un conflitto politico o religioso? Sceicco - Viviamo in una situazione assurda. Da una parte ci sono i palestinesi, miei fratelli, e dall'altra parte ci sono gli ebrei, che sono anche miei zii. Io credo che il conflitto sia politico. Israele oggi ha già milioni di avversari. Se dovesse scoppiare un conflitto tra ebraismo e islam, Israele avrebbe contro di sé circa due miliardi di nemici, cioè tutto il mondo islamico. Israel heute - Lei è israeliano e palestinese. Non vorrebbe vivere nei territori dell'Autonomia Palestinese? Sceicco - Io ho aperto gli occhi nello Stato d'Israele, quindi sono israeliano. In Israele abbiamo una vita buona. Israele è l'unico paese che ti dà soldi dal giorno in cui nasci al giorno in cui muori. Israele è il mio paese, come posso tradire il mio paese? Quando recentemente mi trovavo a *** per assistere mia cugina che ha avuto un trapianto di fegato, ho incontrato un medico siriano. Lui mi ha chiesto subito chi avrebbe pagato un'operazione così carà, che costava 250.000 dollari. La cassa malattia israeliana, ho risposto. Non mi voleva credere! Questo è Israele! Si sta male allora qui? Mi vieta forse Israele di essere arabo e musulmano? No! Israel heute - Pensa come lei la maggioranza degli abitanti del suo paese? Sceicco - Non la maggioranza, ma il 100%! Tutti vogliono restare israeliani. (NAI-Israel heute, marzo 2003 - trad. www.ilvangelo-israele.it) DICHIARAZIONE DI AMOS LUZZATTO SULLE SCRITTE ANTISEMITE Quelle scritte Un giornalista è stato incompreso. Dei ragazzacci hanno imbrattato un muro con scritte odiose. È un clima da «curva sud». «Tutti» hanno reagito indignati. E allora? Di che cosa si tratta? Sì, mi dispiace doverlo dire, ma si tratta proprio di antisemitismo. E desidero spiegarmi meglio. Con due precisazioni preliminari. Se l'antisemitismo è una patologia sociale, l'ammalato non è l'ebraismo ma è quella società che ha l'ossessione degli ebrei e pertanto li diffama, li maledice, li disprezza e infine li perseguita. In secondo luogo, vi sono almeno tre manifestazioni dell'antisemitismo: quella legale-normativa, quella dell'ostracismo sociale, quella culturale. Entro certi limiti, queste tre manifestazioni possono essere perfino indipendenti l'una dall'altra, ma certo è che può esservi antisemitismo anche senza una legge antiebraica e che «avere degli ebrei fra i propri migliori amici» o «appoggiare le giuste ragioni di Israele» sono due cose che ci fanno un grande piacere (e lo diciamo sinceramente) ma che in sé non escludono ancora una cultura antisemitica. Oggi parliamo di questa, sperando che gli eventi non ci costringano a occuparci prima o poi anche degli altri aspetti. Anche «cultura» antisemitica può significare molte cose. Ai tempi di Papa Paolo IV, (quarto, non sesto!!) ad esempio, significava una teologia cattolica decisamente antiebraica (o antigiudaica, se si preferisce) che, diffusa a tutti i livelli nel mondo dei fedeli, significava educare i cattolici al pregiudizio, al disprezzo e all'odio degli ebrei; le conseguenze sono apprezzabili anche oggigiorno, dopo molte generazioni. Ai tempi del razzismo nazista e fascista significava una pseudoscienza di regime che individuava nel patrimonio ereditario degli ebrei una mostruosità fisica e psichica, estirpabile soltanto con il fuoco. Anche a questo si educavano le masse. Oggi circola spesso l'immagine di un ebreo necessariamente diverso dalla popolazione «autoctona». A volte «più bravo» o «più intelligente», ma comunque diverso, da distinguere: perché uno che è «meglio» degli altri potrebbe sempre imporsi a questi altri e appropriarsi delle redini della società. Anche questo, in definitiva, è antisemitismo. Al presente, insidioso, pervasivo, a volte quasi subliminale, è comparso un nuovo antisemitismo che, nelle doglie del parto della nuova Europa, si sposa bene con una sensibilità razzistica che affiora anche nelle sedi più impensate. È così che l'invocazione della sensibilità cattolica per coloro che si ritiene influiscano sulla pubblica opinione è coerente con l'auspicato preambolo (o qualche suo surrogato) che possa affermare la matrice cristiana dell'Europa (o un sinonimo di matrice o un «giudaico-cristiano» per tranquillizzare gli ebrei, sempre vittimisti e pertanto diversi dagli altri anche in questo). Prima del 1938 gli ebrei erano un popolo prevalentemente europeo. Ci ha pensato Hitler a cancellare quest'onta bruciando assieme agli ebrei, i loro libri e le vestigia della loro cultura. Sembra quasi che si voglia ora prevenire il pericolo ebraico (o musulmano o buddista o induista) dichiarando l'Europa unificabile, sì, ma in quanto cristiana. Dunque, escludente . Anche questo è antisemitismo, più o meno latente se volete, ma pur sempre antisemitismo. È questa la molla che è scattata nel caso Mieli? Temo di sì. Ed è per questo che gli siamo vicini e solidali, ma non tanto in quanto ebrei timorosi delle minacce e delle violenze, ma in quanto democratici che vogliono uno Stato laico e un'Europa laica e non escludente, una cultura aperta a tutti i suggerimenti e i contributi; quel tipo di cultura che Paolo Mieli ha dimostrato di volere e sapere promuovere. E noi con lui. Amos Luzzatto Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane (Federazione Associazioni Italia Israele) QUANDO I DIRITTI UMANI SI TRASFORMANO IN ANTISEMITISMO «Doppio standard» di Fiamma Nirenstein La decisione della Corte Suprema del Belgio di processare Ariel Sharon per crimini di guerra non appena avra' fine l'immunita' che gli conferisce il suo mandato, nel clima corrente non appare un fatto eccezionale: e' un frutto del nuovo antisemitismo del tempo dei diritti umani, una variante di un fenomeno millenario che prende di mira gli ebrei a partire dal conflitto israelo palestinese, che pretende di trattare Israele non come un membro normale delle comunita' delle Nazioni (come e' del tutto legittimo) ma come un paria. La religione dei diritti umani e' l'idoleogia prevalente nel nostro tempo: la grande esaltazione che circonda le Nazioni Unite e' legata proprio all'immenso credito che hanno guadagnato dopo |
le guerre nazifasciste i diritti dei popoli e della persona. Ma guardiamo alla decisione del Belgio: questa nazione ha deciso di mettere sotto processo un personaggio israeliano importante come Sharon con l'accusa di avere perpetrato la strage di Sabra e Chatila: al tempo, venti anni fa , Sharon fu gia' giudicato nel suo Paese e punito con l'esclusione dal servizio come ministro della difesa per negligenza. Egli e' poi tuttavia risultato vincente in un processo contro Time Magazine negli USA. Il Libano era sotto controllo israeliano, ma la strage fu perpetrata da miliziani cristiani.
Le grandi colpe, quelle dei perpetratori della strage, i miliziani maroniti, che agirono di propria iniziativa, non sono stati messi in discussione, come si parlasse di una muta di cani rabbiosi e non di esseri umani. Sharon e' accusato di tutto, anche se i vari gruppi presenti in Libano negli ani 70 e 80 non hanno fatto che combattersi l'uno l'altro, senza nessun nesso con la presenza israeliana che peraltro non esiste piu', causando 95mila morti. Senza contare che Arafat, che a quel tempo occupava il suolo libanese e ne faceva una roccaforte del terrorismo internazionale, nel 1976 attacco' la citta' cristiana di Damour e 582 persone furono uccise mentre 25mila residenti fuggirono. Furono anni terribili, ma a nessuno e' mai venuto in mente di accusare il regime di Assad di Siria con un processo per crimini di guerra per la strage di Hama, in cui 10mila persone circa furono uccise, o re Hussein per settembre nero, altre decine di migliaia di morti palestinesi...e la lista potrebbe essere molto lunga. Tantomeno, Arafat e' stato messo sotto processo per la strage degli atleti di Monaco, o per quella dei bambini di Maalot, o per tanti attacchi stragisti, inclusi quelli degli ultimi due anni. Il doppio standard della religione dei diritti umani e' diventato con questa iniziativa del Belgio davvero intollerabile, e specialmente da parte di un Paese che ha grandissime responsabilita' nelle stragi di milioni del Rwanda, che ha i record negli eccidi colonialisti fino al 1960 (dieci milioni di uccisi e fatti morire di fame e di mutilazioni nella jungla), che deporto' volontariamente 35mila ebrei verso le camere a gas tedesche, e che, dispiace ricordarlo, ha nel suo paese una collezione speciale di crimini di pedofilia diffusa agli alti livelli del potere, di assassini seriali e violentatori che hanno corrotto publici ufficiali: questo la rende una nazione poco credibile quando si erge al di sopra di tutti autonominandosi faro mondiale di giustizia.
La verita' che la religione dei diritti umani dalla riunione di
Durban delle nazioni Unite sul razzismo, si e' trasformata in una religione che promuove come suo comma una nuova forma di antisemitismo centrata su Israele, lo criminalizza e mente a suo riguardo senza considerazione per la storia di profferte di pace o per i patimenti del terrorismo. D'altra parte la perversione del doppio standard e' consustanziale all'organizzazione stessa del tempio dei diritti umani, l'ONU: la sua ispirazione iniziale sta collassando.La commissione per i diritti umani con sede a Ginevra in tutti questi anni ha condannato ufficialmente non la Cina, o la Cambogia di un tempo, ma solo e soltanto Israele. Il Belgio ha buoni compagni nel doppio standard che ne rivela il razzismo. (Panorama, 6 marzo 2003 - Ripreso da Informazione Corretta) LA BULGARIA RICORDA QUANDO SALVO' GLI EBREI DAI NAZISTI Centinaia di cittadini bulgari, tra cui molti ebrei, si sono riuniti domenica in varie citta' del paese per commemorare il sessantesimo anniversario delle manifestazioni di protesta che permisero di salvare dalla Shoa' l'intera comunita' ebraica di Bulgaria. Benche' governata da un regime alleato della Germania nazista, durante la seconda guerra mondiale la Bulgaria fu l'unico paese dell'Europa orientale che seppe impedire ai tedeschi di deportare nei campi di sterminio i 50.000 ebrei che vivevano allora nel paese. Un diluvio di proteste e appelli da parte di parlamentari, uomini di chiesa, intellettuali e cittadini comuni spinse infatti re Boris III a cancellare l'ordine di deportazione gia' varato dal governo bulgaro filo-fascista dell'epoca. In questo modo l'intera comunita' ebraica di Bulgaria sopravvisse alla Shoa'. Dopo il 1948, circa 45.000 ebrei bulgari emigrarono in Israele. Oggi la comunita' ebraica in Bulgaria conta circa 5.000 persone, per lo piu' concentrate nella capitale Sofia. (israele.net, 09.03.03 - dalla stampa israeliana) MA CHE COS'E' L'ONU? ONU: organismo troppo imbelle e sconosciuto di Francesco Fusco E' nato per difendere la democrazia e i diritti umani Ma è il luogo dove ambedue sono ignorate Delibere inefficaci e veti ne segnano la storia Solo cinque Paesi sono infatti in serie "A" ONU. L'acronimo che sta per Organizzazione delle Nazioni Unite, che diventa UNO, ovvero United Nations Organisation, se si vuole la declinazione inglese, l'acronimo al quale negli ultimi mesi tutti fanno appello, a cominciare da quel grande del magistero della Chiesa Cattolica che è il Papa, in effetti è un imbelle sconosciuto. Tutti naturalmente sanno che è un organismo internazionale, l'associazione di centinaia di Nazioni dal quale dovrebbero dipendere le sorti del mondo, non soltanto in momenti di guerra minacciata, come questa in fieri con l'Iraq, ma anche per risolvere, attraverso i suoi vari organismi problemi come la fame, l'inquinamento atmosferico, la cultura, la preservazione di foreste o di monumenti, e chi più ne ha più ne metta. Ma pochi ne conoscono o ammettono la vera natura. Secondo alcuni ingenui dovrebbe dare ai fatti del mondo una legittimità non solo legale ma addirittura morale. Altri, come Cofferati e quelli che dietro di lui si sono schierati, come Bertinotti, i Verdi, quella parte dei DS che viene definita "correntone", negano con i loro "senza se e senza ma", anche la potestà di legittimare decisioni come quella relativa appunto alla guerra. E partendo da questo postulato anche alla legittimazione di qualsiasi iniziativa internazionale, sia essa relativa a come far giungere l'acqua in Eritrea o Somalia, sia che si debbano nutrire i cittadini di Mugabe, sia che si debba limitare l'emissione di gas nell'atmosfera. Il resto dello schieramento politico, di destra o di sinistra, invece riconosce a questo consesso, fatto di ambasciatori permanenti nella sede newyorkese del Palazzo di Vetro, la capacità di avallare o meno una azione bellica, oltre che di fornire direttive o di "prodigarsi" inutilmente attraverso la FAO o l'UNESCO organizzando dispendiosissimi congressi che non giungono mai ad una concreta soluzione dei problemi. Su questa differenza di punti di vista nel nostro mondo politico si è giocato e si gioca a forza di distinguo, di interpretazioni, di cavillose sottigliezze, appendendo a questo lontano attaccapanni virtuale le proprie ragioni o il proprio dissenso. Per molti - specialmente negli ultimi tempi - ciò che decide l'ONU diventa buono, non soltanto legittimo, dando ai voti espressi dai suoi partecipanti non soltanto la categoria legale, ma anche quella morale che invece appartiene a sfere che niente hanno a che vedere con la politica. Ma in effetti è così? E' legittimo, non parliamo di morale - perché per sua stessa definizione l'ONU non appartiene a questa categoria - attribuire non solo alle sue decisioni, ma anche al modo con il quale tale organismo è costituito e al processo decisionale che ne consegue, dare questo peso al Palazzo di Vetro? Le Nazioni Unite erano nate subito dopo la seconda guerra mondiale, quale grande organismo internazionale a carattere squisitamente democratico ispirato dai diritti universali dell'uomo e dei popoli, e quindi per ciò stesso custode della legalità internazionale. In parole povere, se questi erano i principi ispiratori, ad esso avrebbero dovuto essere ammessi solo quei Paesi nei quali appunto democrazia e rispetto dei diritti dell'uomo fossero non solo delle enunciazioni di principio ma pratica quotidiana. Invece lo vediamo popolato da Paesi che di democrazia o di diritti dell'uomo non intendono neppure parlare. Paesi come l'Iran, l'Iraq, la Cina, la Siria, la Libia, per citarne alcuni, non soltanto ne fanno parte, ma sono chiamati (come l'Iran ai tempi dello Shoa, o la Libia di recente) a presiedere proprio il Comitato per i diritti dell'uomo! Ma un altro paradosso in aperto contrasto con il principio informato alla democrazia, si perpetua fin dalla sua fondazione. Il cuore dell'organismo, vale a dire il Consiglio di Sicurezza, vede come membri permanenti e con "diritto di veto" (negato a tutti gli altri) solo cinque Paesi, i cosiddetti "vincitori" della seconda guerra mondiale. Stati Uniti, Russia, Inghilterra, Cina e Francia (a che titolo quest'ultima è lecito chiederselo ricordando Vichy, il maresciallo Petain, e un De Gaulle rientrato in Francia a rimorchio di americani e inglesi, ritenutosi vincitore solo per una Resistenza alla quale la nostra non è stata da meno). Inoltre di questi cinque solo tre hanno da sempre governi democratici, mentre la Russia ha dovuto attendere l'arrivo di Vladimir Putin, e la Cina è governata fin dal momento del suo ingresso da una spietata dittatura di partito (alla quale dobbiamo assieme a Tien An Men, fenomeni tragici come la Rivoluzione Culturale). Orbene essere membri permanenti e aver il diritto di veto sulle decisioni del Consiglio di Sicurezza, la capacità di bloccare, con un solo voto la decisione della maggioranza, fa di questi dei Paesi speciali, di serie A, e relega tutti gli altri - passatemi il termine calcistico - nella serie cadetta. Ci si chiede allora: un organismo che dovrebbe propugnare i principi di democrazia, perché non applica proprio nel suo seno tali principi, abolendo questa classifica ingiusta, e superata dai tempi, visto che ormai la seconda guerra mondiale è nel dimenticatoio? Perché invece non si privilegia innanzitutto il valore democratico e il rispetto dei diritti umani dei Paesi destinati a far parte di tale consiglio, perché assieme a tali caratteristiche non si privilegia come seconda istanza anche il peso demografico? Perché, visto che si parla di democrazia, non si abolisce questo diritto di veto, che trasforma cinque Paesi, uno per volta, a seconda delle proprie convenienze nel "padrone del mondo"? La risposta è la più semplice del mondo. Perché all'Onu si fa politica, e neppure della più pulita, si recita una farsa alla quale il mondo è costretto ad assistere, impotente, così come in effetti - proprio per queste ragioni - è impotente l'ONU. Non solo non possiede le caratteristiche necessarie per essere la sede di decisioni legittime, ma neppure una propria forza armata con la quale, ove si presentasse la necessità, imporre le proprie decisioni o delibere. Quante sono quelle emesse per far cessare lo scempio che affligge Israeliani e Palestinesi? Quante sono quelle emesse per il disarmo di Saddam Hussein?. La 1441 sembrava quella decisiva, l'ultima spiaggia. Invece... lo spettacolo continua. E contribuisce a dividere il mondo invece di unirlo. (Il Nuovo - 8 marzo 2003) IL «CHIACCHIERIO» ISRAELIANO INFASTIDISCE GLI USA Gli Stati Uniti non avvertiranno in precedenza gli israeliani sul momento del loro attacco all'Iraq. In effetti, gli americani pensano che Israele sia un impenitente chiacchierone che da molto tempo hanno rinunciato a cercare di guarire. Le forze di sicurezza israeliane hanno dunque preso come punto di partenza l'ipotesi che la guerra scoppierà senza preavviso. Gli americani sono convinti che qualunque informazione daranno ai dirigenti israeliani, il giorno dopo sarà pubblicata su tutti i giornali del paese. Nel passato gli americani avevano ancora qualche speranza, ma ormai queste sono tramontate nel mare delle "fughe" israeliane. Perfino la visita "segreta" del direttore della CIA alla fine della settimana scorsa era conosciuta dal pubblico israeliano, cosa che veramente non è piaciuta a Washington. La censura militare israeliana non ha potuto fare niente, e da giovedì sera, quando Tennet era ancora nell'aereo del ritorno, le televisioni israeliane gli auguravano buon viaggio e analizzavano le ragioni di questa onorevole visita. «Gli Stati Uniti temono oltre tutto che l'opinione pubblica mondiale trasformi la guerra contro l'Iraq in una "guerra per Israele". E' per questo che preferiscono che Israele se ne rimanga tranquillo e resti fuori da tutta questa faccenda», ha dichiarato domenica un membro di alto rango della diplomazia israeliana. Secondo un ufficiale superiore di Tzahal, «Israele in ogni caso sarà a conoscenza della data dell'attacco americano due o tre giorni prima. Se non è attraverso gli americani, abbiamo i nostri mezzi per venirlo a sapere». (Arouts 7, 10.03.2003) UNA SVOLTA NELLA POLITICA DEI TERRITORI PALESTINESI? Se Arafat deve rimangiarsi gli schiaffi a Rajoub da un articolo di Danny Rubinstein Forse l'imminente nomina di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) alla nuova carica di primo ministro dell'Autorita' Palestinese verra' ricordata in futuro come un momento di vera svolta nella storia politica dei territori palestinesi. L'anno scorso, secondo anno di "intifada", una serie di scontri avevano scosso il livello piu' alto del governo palestinese, in particolare il movimento Fatah che e' il "partito di governo". Sullo sfondo, la difficile situazione nei territori che gli esponenti palestinesi tendono a rinfacciarsi a vicenda. E date le circostanze, non stupisce che talvolta queste recriminazioni abbiano assunto un carattere personale. Nel febbraio dell'anno scorso si verifico' il famoso incidente durante il quale Yasser Arafat giunse al punto di prendere a schiaffi Jibril Rajoub, minacciandolo persino con una pistola. Rajoub, notoriamente vicino ad Abu Mazen, in quanto capo dei Servizi di Sicurezza Preventiva palestinesi si adoperava piu' di ogni altro nel cercare di fermare gli attentati di Hamas. Durante la sua sfuriata contro Rajoub, Arafat fu sentito gridare al personale del suo ufficio: "Questo qui vuole prendere il mio posto". Dopo di che avvio' il processo per la destituzione di Rajoub, che era diventato uno dei membri piu' potenti dell'amministrazione dell'Autorita' Palestinese. Un altro incidente, un po' piu' tardi, furono le dimissioni di Nail Amar dal governo di Arafat. Amar, alleato politico di Rajoub (fra l'altro sono entrambi originari dei quartieri sud di Hebron), di professione giornalista, era stato anche ambasciatore dell'Olp a Mosca. Si dimise dal governo palestinese dicendo che erano necessarie delle riforme e che voleva dare personalmente l'esempio, cedendo il posto che Arafat gli aveva dato. Poche settimane dopo, Amar pubblico' un articolo sull'organo ufficiale Al Hayyat Al Jedida nel quale accusava il governo palestinese di corruzione e inefficienza. Questi ed altri simili incidenti fecero da prologo allo scandalo piu' grande di tutti, quello accaduto lo scorso settembre durante il secondo assedio di Arafat negli uffici del Muqata, a Ramallah. In quei giorni, alti esponenti di Fatah si riunirono nell'abitazione di Abu Mazen, a pochi minuti di auto dal Muqata, e stesero una bozza di richiesta di riforme che comprendeva, fra l'altro, la creazione della carica di primo ministro. Arafat si infurio'. Considero' la mossa una cospirazione ai suoi danni. Oltretutto aveva gia' capito che i suoi compagni nel Fatah non avrebbero approvato il nuovo governo da lui nominato con un suo uomo, Abdul Razek Yehiye, come ministro degli interni. La dirigenza di Fatah chiese ad Arafat di cambiare la composizione del governo e dare l'importante ministero degli interni, che controlla i servizi di sicurezza, a uno di loro. Piu' tardi Arafat cedette e nomino' ministro degli interni Hanni al-Hassan, un veterano di Fatah, membro del comitato centrale del movimento. In quel momento molti pensarono che gli scossoni nel Fatah fossero il frutto della crescente sensazione in molti membri che l'organizzazione stesse perdendo la sua egemonia nelle piazze palestinesi a favore di Hamas. In ogni caso, dopo lo scandalo della richiesta di riforme nel settembre 2002, accadde che miliziani sconosciuti aprirono il fuoco contro l'abitazione di Nabil Amar e anche, a quanto pare, contro quella di Abu Mazen. Intanto le strade di Ramallah si riempivano di volantini e scritte contro di loro, accusati di complottare contro il presidente sotto assedio. Adesso tuttavia sembra di capire che la silenziosa rivoluzione contro Arafat, iniziata un anno fa con lo scontro con Rajoub e altri incidenti all'interno della dirigenza di Fatah, sta giungendo a compimento. Venerdi' scorso Amar ha firmato un altro articolo dove elenca una serie di condizioni necessarie affinche' il nuovo primo ministro palestinese riesca nel suo compito. La prima condizione e' che "Yasser Arafat lo sostenga pienamente". La seconda, "una definizione precisa, per legge, dei poteri del primo ministro, senza ambiguita'." Si puo' leggere questo articolo come una dichiarazione di vittoria da parte di Amar, che chiede ad Arafat di appoggiare Abu Mazen riconoscendogli veri poteri. Purtroppo, tuttavia, i cambiamenti nella leadership palestinese non sembrano corrispondere ad altrettanti cambiamenti nell'ondata di violenze e spargimenti di sangue. Per riuscire a calmare l'intifada e porre mano alla situazione terribile creata nei territori dalle violenze palestinesi e dalle contromisure israeliane ci vorra' molti di piu' di un nuovo primo ministro. (israele.net 10.03.2003 - dalla stampa israeliana) INDIRIZZI INTERNET L'Associazione "Amici d'Israele Onlus" ha messo in rete sul suo sito la registrazione della puntata del 7 marzo 2003 di "Saluti da Sion", trasmissione radiofonica settimanale di CRC dedicata a Israele. Nella puntata si può ascoltare il Presidente dell'Associazione Eyal Mizrahi e il Segretario Davide Romano, in collegamento con Deborah Fait che racconta qual e' la situazione in questi giorni in Israele. Segue un servizio di Chiara Di Segni sulla Comunita' Ebraica di Roma. Amici d'Israele Per ascoltare la registrazione e' necessario avere il programma Real Player. | ||||