Notizie su Israele 161 - 17 marzo 2003


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Ecco, viene il giorno del SIGNORE in cui le tue spoglie saranno spartite in mezzo a te. Io radunerò tutte le nazioni per far guerra a Gerusalemme, la città sarà presa, le case saranno saccheggiate, le donne violentate; metà della città sarà deportata, ma il resto del popolo non sarà sterminato dalla città. Poi il SIGNORE si farà avanti e combatterà contro quelle nazioni, come egli combatté tante volte nel giorno della battaglia. In quel giorno i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi, che sta di fronte a Gerusalemme, a oriente, e il monte degli Ulivi si spaccherà a metà, da oriente a occidente, tanto da formare una grande valle; metà del monte si ritirerà verso settentrione e l'altra metà verso il meridione.

(Zaccaria 14:1-4)



LE VITTIME DI IERI SONO I CARNEFICI DI OGGI?

  
Riportiamo una lettera che Franco Perlasca, figlio di Giorgio Perlasca, ha scritto a "Amici d'Israele".

Campo dei deportati di Fossoli il giorno 11 marzo, in occasione della visita del Presidente della Repubblica Ciampi.
    All'interno del Museo il 27 di gennaio e' stata aperta una mostra su Giorgio Perlasca, inaugurata dal Presidente della Camera on. Casini. Mostra che terminerà il 31 marzo.
    L'11 marzo il cerimoniale della Presidenza della Repubblica mi ha contattato per essere a Carpi onde poter far fare da guida al Presidente Ciampi alla mostra su Giorgio Perlasca. Cosa che ho fatto.
    Nelle sale precedenti la mostra, sui muri sono scolpite frasi dei condannati a morte e degli ebrei che passarono in quel campo,
   
   
    Una delle immagini della mostra
destinazione i campi di sterminio. Il Comune ha inserito, come scelta ideologica, sopra ogni frase, o meglio sopra ogni riferimento femminile della frase, la foto di una donna araba con il velo.
    Il significato è devastante; la shoah viene equiparata alla situa- zione in Israele di oggi, gli ebrei di allora sono i palestinesi, i carnefici di oggi sono gli ebrei. Gli ebrei sono i nuovi nazisti. Siamo all'antisemitismo portato avanti da una istituzione ufficiale, ben più grave e piena di significati di qualche scritta sui muri di qualche "idiota". Si costruiscono le coscienze dei ragazzi che vanno a visitare il museo ed ove la guida spiega il parallellismo tra la shoah e la situazione dei palestinesi di oggi.
    Trovare parole per esprimere il disgusto per tale situazione, è difficile.
    Spero che queste foto possano uscire sui giornali e venga chiesto conto al comune di Carpi di questo comportamento che offende le coscienze di tutti.
    Cordialmente,

Franco Perlasca

(Amici d'Israele, 14.03.2003)



ESSERE EBREI


Avere paura

    Ho sempre dichiarato con orgoglio di essere ebrea.
    Mi piace la nostra cultura, i nostri valori, lo studio, la libertà, il riposo del sabato, l'eguaglianza degli esseri umani, l'astrazione del divino.
    Ma oggi comincio ad avere paura a dire di essere ebrea e non mi piace.
    Se entro in un centro di cultura ebraica, mi guardo le spalle. Prima di appendere nella mia nuova casa la mesusah (il simbolo dell'impermanenza sulla terra che apponiamo sullo stipite destro delle nostre abitazioni e che contiene un versetto della Torah), mi chiedo se non sia pericoloso: e se venisse un fattorino arabo?
    Recentemente a Parigi sono andata a vedere «Decrypting» un film molto interessante in cui viene spiegato come l'informazione che riguarda Israele sia spesso deformata in favore dei palestinesi. Fotografie tagliate ad arte, titoli contraffatti, filmati ripresi da un'angolazione «di parte», per ammissione degli operatori stessi, dei direttori di giornale, dei corrispondenti delle agenzie di stampa internazionali.
    All'ingresso del centralissimo cinematografo parigino, l'Arlequin di Rue de Rennes, perquisiscono gli spettatori. Per sicurezza. Andare al cinema è pericoloso, se il film è favorevole agli israeliani. Andare in sinagoga è un rischio. E ci andiamo come cospiratori, dobbiamo rispondere a domande imbarazzanti, presto ci verrà data una parola d'ordine per entrare.
    Non vivo in Israele. Vivo nella civilissima (?) Italia, ho paura a Milano, ho paura a Roma. Ho paura a Parigi, dove nel metrò un buon 60 per cento delle persone parla arabo. Mi sembra di essere tornata nel periodo precedente alla seconda guerra mondiale: insensibilmente di giorno in giorno cominciamo a nasconderci, a non dichiarare in pubblico di essere ebrei, a incontrarci in gruppo prendendo precauzioni. Non mi piace.
    E non mi piace dovermi difendere, ogni volta che si parla di Israele, anche con chi si dichiara «amico degli ebrei». Non condivido la politica di Sharon. Ma nemmeno quella di Arafat. Penso che Israele abbia fatto molti errori. Ma i palestinesi altrettanti. E sono convinta che dietro la demonizzazione di Israele e degli ebrei (ormai in Francia gli israeliani vengono spesso sbrigativamente definiti «les juifs» dai media) ci sia lo spettro di un antisemitismo e di un antigiudaismo mai del tutto sopiti.
    Penso anche che paragonare gli ebrei ai nazisti serve a tacitare la coscienza collettiva dei popoli che hanno consentito al nazismo di espandersi. Disse Golda Meir: «Quello che non perdonerò mai agli arabi è di aver trasformato i miei figli in soldati».

Viviana Kasam

(Lettera al "Corriere della Sera" del 14 marzo 2003)
 


«IL FUOCO DELLA RIVOLTA STA DIVORANDO LA PALESTINA»


L'Intifada è fallita

di Emanuele Ottolenghi
   
    L'Intifada è fallita. A due anni e mezzo dal suo scoppio, i palestinesi non hanno raggiunto alcun significativo risultato. La solidarietà panaraba non si è spinta oltre la retorica e gli aiuti finanziari. Nonostante le durissime rappresaglie israeliane, nè Egitto nè Giordania hanno interrotto le relazioni diplomatiche con Israele. L'Autorità palestinese è al collasso, la sua leadership screditata. I tentativi di internazionalizzare il conflitto sono finora falliti. Il prezzo politico, economico e umano pagato da Israele è indubbiamente alto ma a quale costo per i palestinesi? L'economia è distrutta, la gente vive da mesi sotto coprifuoco, le città palestinesi sono state rioccupate. E sotto il velo d'unità della rivolta si nasconde il rischio di anarchia.
    Nell'estate del 2000, il Governo d'Israele propose ai palestinesi un compromesso fondato sull'unica realistica soluzione al conflitto: la spartizione. Israele offrì il massimo delle concessioni che potesse fare. I palestinesi hanno risposto con la violenza. Eppure la storia avrebbe dovuto suggerire un ben diverso corso. Nel 1937, 1948, 1967, e 1979 venne offerta la spartizione, ma la leadership palestinese la rifiutò, preferendo, come nel 2000, la strada della violenza. Ogni volta il risultato fu lo stesso: inenarrabili sofferenze per i palestinesi e un'altra occasione persa. L'intransigenza è il leit-motiv della storia palestinese e la sua più grande tragedia. La ragione? L'illusione di poter ottenere domani quanto oggi è irraggiungibile. Arafat non fa eccezione: di fronte alla scelta tra guerra e pace, tra le passate glorie rivoluzionarie o un prosaico futuro di indipendenza, Arafat scelse di nascondere al pubblico il prezzo della pace. Ritornato dai negoziati a mani vuote, non seppe trasformarsi da leader della rivoluzione a statista, preferendo confondere la distinzione e giocare entrambi i ruoli in un cocktail disastroso di ambiguità, promesse non mantenute e accordi non rispettati. All'esplodere della rivolta, Arafat rimase prigioniero delle sue contraddizioni: la violenza poteva essere sfruttata a suo vantaggio, come strumento di estorsione di maggiori concessioni israeliane, mentre il negoziato poteva continuare grazie al sostegno arabo, alle pressioni occidentali e alle sue verbose condanne del terrorismo.
    Convinto che il fuoco, e non la diplomazia, avrebbe restituito ai palestinesi la libertà, Arafat scelse di dar via libera al terrorismo. Invece che maggiori concessioni, è venuta la risposta israeliana, in una graduale escalation che ha reso per Arafat sempre più caro il prezzo del ritorno all'ordine, e il gioco al rilancio ha reso la sua posizione sostenibile solo attraverso il ritorno alla vecchia retorica bellicosa di un tempo. Con l'elezione di Sharon si sono interrotti i negoziati, si sono ridotti i margini di compromesso, è svanito il sostegno del pubblico israeliano al progetto di pace offerto nel 2000, gli americani hanno perso la pazienza e i leader arabi, imbarazzati, hanno offerto soprattutto parole, ma pochi fatti.
    Quel fuoco di rivolta che doveva forgiare la rinascita palestinese, sta invece divorando la Palestina, la sua società sull'orlo dell'anarchia, i suoi leader corrotti e inetti, le sue speranze tradite, la sua gioventù bruciata in un'orgia nichilista di sangue, le sue aspirazioni politiche più irraggiungibili che mai. Col ritorno del sogno di una Grande Palestina nell'immaginario collettivo palestinese, è svanita l'ultima speranza di compromesso. Per quanto sfuggente, il sogno funge ancora da potente catalizzatore per la violenza, specialmente di fronte a quanto era stato offerto: una Palestina dimezzata, diversa dalle speranze irresponsabilmente alimentate per tre generazioni da una leadership troppo legata ai fantasmi del passato. L'Intifada ha offerto una fuga dalla dura realtà. Ma il vittimismo che i palestinesi esprimono oggi nella loro distorta visione della storia e del presente non è un sostituto per la libertà. E i palestinesi sono le principali vittime in questo conflitto: dei loro leader e della loro incapacità di preferire le opportunità del presente alle illusioni di sempre.
    Dopo trenta mesi di Intifada, il pubblico israeliano ben comprende che non esiste una soluzione militare al conflitto. I palestinesi sono invece ancora convinti che la lotta armata porterà loro quei risultati che i negoziati gli hanno finora negato. Si sbagliano. Quando nel 1937 fu presentato il primo progetto di spartizione, ai palestinesi fu offerto l'80% della Palestina mandataria. Settant'anni di conflitto li hanno lasciati con un 22% su cui contrattare. Quanto rimarrà dell'illusione della Grande Palestina al prossimo negoziato? E' giunto il momento di deporre le armi e capire quanto futile e quanto tragica sia stata l'Intifada. Solo un compromesso pragmatico potrà salvare i palestinesi dal loro attuale stato. Prima che sia troppo tardi.

(Il Sole - 24 ore,  9 marzo 2003)



COME SI VIVE IN ISRAELE?


"Il racconto di una giornata qualunque"
 
di Angelica Calò Livné

    Entro nella palestra del kibbutz, sono circa le tre del pomeriggio, metto in moto il rullo di marcia e inizio a camminare. Una donna del kibbutz mi dice: «C'è stato un altro attentato, un'ora fa! A Haifa, all'ora di punta, un terrorista si è fatto saltare su un autobus di linea che parte da una delle scuole più grandi della città e fa capolinea all'Università. Era pieno di ragazzini e di studenti!». Scendo come un automa, accendo la Tv e torno a camminare. Sullo schermo le immagini dell'autobus sventrato. Gli sguardi sgomenti della gente e io inizio a correre. Fisso lo schermo e mi sento rabbrividire dalla nausea. Per cosa corro? Per dimagrire un altro kg? Per essere più bella? Inizio a pensare alle madri dei ragazzi che erano nell'autobus che in quel momento staranno impazzendo di preoccupazione, corro e penso che posso restare là a correre perché né il mio compagno, né nessuno dei miei figli si trova a Haifa. Corro e sento che la vita non ha nessun valore. Che la vita di un israeliano, ebreo, cirkasso o cristiano che sia, non ha nessun valore ed è in mano del destino. Essere al posto sbagliato al momento sbagliato significa che in un attimo non ci sei più! Altre 50 famiglie domani mattina si risveglieranno disfatte e penso a Suha Arafat... chissà se anche lei piange per il ventenne palestinese che si è suicidato un'ora fa o per la sua famiglia. Chissà se le mogli dei capi palestinesi che mandano quei ragazzi a devastare Israele, si vergognano o sentono la nausea come tutti qui in Israele dopo ogni attentato? Dopo dieci minuti chiudo e me ne vado a casa. Tra i primi volti che appaiono tra le vittime c'è un ragazzo di Zfat dove è situato il Liceo dove insegnamo il mio compagno e io. A scuola la foto di Daniel Harush è attaccata al muro e sotto decine di lumini del ricordo. Il preside chiama tutti i docenti in Sala professori: «Oggi è il primo giorno del mese di Adar, il mese del carnevale ebraico. Alle 11.00 ci sarà uno spettacolo di musica e danze del Brasile, abbiamo deciso di lasciare il programma inalterato. Ciò che vogliono i nostri nemici è distruggere il nostro spirito, toglierci la voglia di vivere e noi, come educatori, abbiamo il dovere di essere forti ed aiutare i nostri ragazzi a continuare a vivere normalmente». Nel corridoio mi avvicino a un'insegnante che cammina a testa bassa con gli occhi gonfi, le poso una mano sulla spalla, mi dice: «Dobbiamo sostenere i ragazzi... ma a noi chi ci sostiene?». Al termine, un'altra docente: «Era lo spettacolo giusto... anche se mi è stato difficile accettare questa decisione. I brasiliani sanno qual è il valore della musica, della danza... chi soffre, chi ha poco di tutto sa amare tutto di più!» Sorrido anch'io, sento ancora una volta il nodo in gola e penso a tutti coloro che mi chiedono come si vive in Israele. Ecco. In Israele si vive cosi!

(Tempi, marzo 2003)



PERCHE' GLI ISRAELIANI FERMANO LE AMBULANZE



Il 10 marzo 2003 si e' tenuta una udienza davanti alla corte militare di Bet El relativa al processo a carico di Aslam Jabril, un autista d'ambulanze della Mezza Luna Rossa palestinese accusato di aver usato i mezzi di soccorso per trasportare armi a terroristi delle Brigate Al Aqsa a Nablus e a Ramallah. Tra le armi trasportate dell'imputato figurano mitra e cinture esplosive per attentati suicidi. Per superare i controlli, in una occasione Jabril trasporto' anche un medico, la moglie di suo fratello e un bambino palestinese.
    L'imputato si e' dichiarato colpevole delle accuse a suo carico ed e' stato condannato a quattro anni e mezzo di carcere.
    Alla fine di agosto 2001, Jabril ebbe una conversazione telefonica con Nadal Zahar, anche noto come Abu-Antar: un capo terrorista delle Brigate Al Aqsa, ala militare del movimento Fatah-Tanzim. Abu-Antar gli chiese di trasportare "materiali" a Nablus e a Ramallah. L'imputato capi' immediatamente che i "materiali" in questione servivano per attentati terroristici. Poco tempo dopo Abu-Antar consegno' a casa di Jabril, a Balata, un sacco scuro pieno di armi e gli disse di portarle a Mahmmud Yosef Adris Al Surqan, residente di Al Birah e capo dell'ospedale Sheik Ziad di Ramallah, cosa che l'imputato fece.
    Il 26 marzo 2002 l'imputato concordo' con Abu-Antar di trasportare a Ramallah con la sua ambulanza una cintura esplosiva. Abu-Antar gli offri' anche dei soldi per questo servizio. L'imputato nascose nella propria abitazione il pacco contenente la cintura esplosiva. Alle prime luci dell'alba lo apri' e constato' che si trattava di una bomba composta da dieci candelotti. Per trasportarla con sicurezza chiamo' i suoi superiori e disse che avrebbe portato in ambulanza la propria cognata malata e il figlio di lei da Nablus all'ospedale di Ramallah. L'imputato promise che al ritorno avrebbe rimborsato le spese del trasporto, quindi nascose l'ordigno sotto la barella dell'ambulanza. Dopo di che prese a bordo il dottor Assan, un dentista, e la cognata con il figlio, e si diresse verso Ramallah. Con questo espediente l'imputato riusci' a superare il posto di blocco di Harrah, ma fu fermato al posto di blocco militare presso il ponte Rama, dove la bomba venne scoperta e fatta brillare dai soldati delle Forze di Difesa israeliane.
    Non si tratta dell'unico caso in cui i terroristi palestinesi hanno fatto uso delle ambulanze per compiere attentati.
    Il 27 gennaio 2002 una attentatrice palestinese esplose, forse anticipatamente, all'angolo fra via Jaffa e via King George, a Gerusalemme, causando 1 morto e 150 tra feriti o mutilati. La terrorista, appartenente alla milizia Tanzim di Fatah, era infermiera e aveva attraversato i posti di blocco all'ingresso della citta' a bordo di un'ambulanza.
    Il 29 gennaio 2002 un terrorista palestinese travestito da medico venne scoperto su un'ambulanza della Mezza Luna Rossa a un posto di blocco presso Bracha, in Cisgiordania.
    Il 10 giugno 2002 un terrorista palestinese tentò di superare un posto di blocco a Gush Katif (nella striscia di Gaza) a bordo di un'ambulanza della Mezza Luna Rossa, ma venne scoperto in tempo e arrestato.

(Portavoce delle Forze di Difesa israeliane, israele.net, 12.03.03)



«FINO ALL' ULTIMO BAMBINO»


di Barbara Mella

    L'abbiamo letto su tutti i giornali. Trattato come una notizia qualsiasi, come quando scrivono "Leggera flessione alla borsa di Tokio", oppure "Domani sciopero dei metalmeccanici". Nessun orrore. Nessuna emozione. Nessuna indignazione. Nessuna reazione. Niente di niente. Siamo davvero solo noi ad esserci sentiti gelare il sangue nelle vene, nel leggere che il signor Saddam Hussein, in caso di attacco, è pronto a combattere "fino all'ultimo bambino"? Per anni ci siamo sentiti dire che l'apparente cinismo dei palestinesi che mandano i bambini in prima linea, non è affatto cinismo, bensì disperazione: disperazione quella dei padri orgogliosi di un figlio "martire"; disperazione quella delle madri fiere di un figlio bambino o adolescente morto perchè finito in mezzo a uno scontro a fuoco; disperazione quella di una nonna che sollevando un bimbetto di tre anni grida verso la telecamera: "Se questo fosse l'ultimo bambino rimasto, noi manderemmo fuori anche questo!" Disperazione. Vietato sospettare che nell'islam - o nell'interpretazione che qualcuno ha scelto di dare all'islam - ci sia qualcosa che non va: è razzismo. Vietato sospettare di cinismo i

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palestinesi che sfruttano e abbrutiscono l'infanzia: questo è ancora peggio del razzismo, è abietto filosionismo.
    E adesso arriva Saddam Hussein: se lo attaccheremo userà i bambini come scudi umani. Senza la minima esitazione. Senza il minimo scrupolo. Disperazione anche la sua? Mancanza di alternative? E le anime belle che da dodici anni ci accusano di far morire milioni di bambini iracheni con l'embargo, dove sono adesso? I chirurghi di guerra che accusano di terrorismo le democrazie, che cosa fanno? I devoti che digiunano e pregano per la pace, che cosa dicono? Noi non siamo anime belle, e non siamo eroici chirurghi, e non siamo devoti digiunatori. Per la verità non siamo neanche pacifisti. E tuttavia vogliamo gridare tutto il nostro orrore di fronte al ributtante cinismo di chi non esita a sacrificare alla propria ambizione non solo le vite del suo popolo, ma addirittura quelle dei bambini. E ci piace concludere questa piccola riflessione con le parole che Golda Meir disse al presidente egiziano Sadat, che sosteneva di essere pronto a sacrificare anche un milione di uomini per il Sinai: "Io invece dei miei uomini non sono disposta a sacrificarne neanche uno".

(Informazione Corretta, 12.03.2003)



DIBATTITO TRA CAPI ARABI AD AL-JAZEERA


L'emittente televisiva del Qatar, Al-Jazeera, ha trasmesso un dibattito intitolato " Perché gli Arabi sono diventati la barzelletta del mondo". Tra i partecipanti alla discussione, moderata dal dr. Faysal Al-Qassem, il giornalista algerino Yahya Abu Zakaria, indicato come islamico e residente in Svezia, e lo storico egiziano Ahmad Othman, indicato come liberale. Ecco alcuni estratti del confronto: (1)


«Il governante  arabo è un ladro, un agente, un massacratore e un capo disprezzabile»

Yahya Abu Zakaria: "Io sono del tutto convinto che il governante arabo, con la sua crudeltà, la repressione e l'oppressione dei popoli, porti la maggior parte, se non tutta, la responsabilità per il crollo del mondo arabo, dal punto di vista politico, economico e culturale. Il governante non è riuscito a proporre un piano politico per far progredire il paese e il popolo. Questo capo arabo ha fatto il paese suo, e solo suo; l'ha trasformato in una società commerciale e ha nominato come supervisori i suoi figli e i suoi parenti. Inoltre, il capo arabo tratta il popolo arabo con disprezzo. Abbiamo governanti nella regione araba che sono arrivati al potere su un carro armato. Alcuni sono venuti fuori da una tenda britannica, e altri da una tenda americana, e ci hanno governati per decenni ".

"Se avessero almeno un pizzico di vergogna, si ritirerebbero dall'arena politica e la lascerebbero ai leader politici giovani... Ma il governante arabo si è trasformato in un massacratore e in un ladro, e scommette con i mezzi di sostentamento dei popoli . E' diventato un ladro che ruba il pane del popolo".

"Io ho un documento che attesta che alcuni governanti arabi hanno tra i 10 e i 15 miliardi di dollari. [Anche se] il loro reddito mensile fosse di 1 milione di dollari, non potrebbero accumulare quantità così fenomenali. Essi hanno rubato il denaro del petrolio. Hanno rubato il denaro del popolo. Quando un semplice cittadino arabo,  un semplice contadino, chiede un pezzo di terra per piantare patate o pomodori, essi mettono dozzine di ostacoli sul suo percorso... ma quando a chiedergli la terra è l'America, le dicono: ' Oh, nostro benefattore, la nostra terra è completamente a tua disposizione. Nostri benefattori, prendete la nostra geografia, prendete la nostra storia, asservite questi popoli che noi stessi abbiamo già asservito".
  
"Il governante arabo che va a dormire con le sue schiave, e le cui prigioni sono piene di prigionieri, è un capo disprezzabile. Il capo arabo che dorme con le sue massaggiatrici mentre il popolo si sdraia sulla nuda terra e dorme nelle strade è un governante ladro. Il capo arabo che assassina i suoi avversari nelle strade, confisca le menti e spinge il popolo all'esilio è un capo dalle dubbie origini. Il capo arabo che apre i suoi confini, in terra, mare e aria, agli americani, è un capo bastardo".

"Il governante arabo ha confiscato tutti i nostri poteri e ci ha lasciati a terra. Questo capo arabo deve ora ritirarsi. Ci hanno governati per 30-40 anni, e non è cambiato niente. Il debito è aumentato, le prigioni si sono riempite, il numero delle università si è ristretto, il numero degli esiliati ha raggiunto il massimo, il numero di quelli che vivono nei cimiteri è aumentato, il cittadino arabo ha cominciato a cercare pane e non può trovarlo ".

"Capo arabo, prima che gli americani entrino nel tuo palazzo a cercarti, fa' entrare l'opinione pubblica araba in questo palazzo per tagliarti i baffi (2). Vattene, perché tu sei la causa delle nostre catastrofi culturali, sociali e politiche e di tutte le nostre catastrofi, l'ultima delle quali è stata che il padrone americano sta venendo a rosicchiare la regione direttamente, dopo che una parte dei suoi governanti erano funzionari CIA…".

    
«Il problema non è con il capo ma con il popolo»

Ahmad Othman: "Io su questo dissento completamente.  Il problema non sono i governanti... Se sostituiamo i governanti e ne portiamo di nuovi domani, essi faranno la stessa cosa, perché il popolo stesso e la nazione araba sono in uno stato di collasso culturale e morale".
  
"Se guardiamo all'inizio del secolo scorso, vediamo che c'è stata una rivoluzione. Allora, nella nazione [araba] c'erano un'attività culturale, dei valori morali, valori politici, partiti politici e organizzazioni. C'era l'occupazione britannica e francese. Ma la nazione araba ha lottato per costruirsi. C'era una fioritura di idee... Ci aspettavamo di ottenere l'indipendenza dopo la Seconda guerra mondiale... ma cos'è accaduto? Oggi siamo al crollo completo nella sfera delle idee. Come si può dire che il governante arabo è responsabile? Chi ha permesso a questo capo di sedersi sul suo trono? Noi l'abbiamo fatto. Chi si è inginocchiato davanti a questo capo e ne ha fatto un semidio? Chi ha trasformato l'uomo che è un ufficiale, l'uomo che è un principe o l'uomo che è uno sceicco, in un imperatore e leader? Noi abbiamo fatto tutto questo".

    
«Perché vogliamo difendere Saddam Hussein?»

Ahmad Othman: "L'arabo non ha alcun onore, nessun pensiero, nessuna cultura. Abbiamo trasformato queste immagini in regimi e se li sostituissimo, altri esattamente come loro verrebbero al loro posto. Noi dobbiamo cambiare, prima di tutto, noi stessi. Dobbiamo stabilire valori culturali…".

"Perché vogliamo difendere Saddam Hussein? Perché tutti i regimi arabi usano il popolo arabo come uno scudo umano per il dittatore più grande tra tutti loro? Se voi rifiutate le dittature, chi nei regimi [arabi] è un dittatore più grande di Saddam Hussein? Come si può chiedere al popolo arabo, che è perseguitato dai suoi regimi, di difendere l'assassino che ha ucciso centinaia di migliaia di iracheni...? Come possiamo difendere Saddam Hussein e rimanere noi stessi un popolo libero? [Un popolo] che difende un dittatore non è un popolo libero...".
    

«Il capo arabo non è in alcun modo eletto dal popolo»

Yahya Abu Zakaria: "Da Tangeri a Giacarta, i nostri popoli sono in miseria. Cosa possono fare quelli che vivono nei cimiteri del Cairo? Cosa possono fare i residenti affamati dell'Algeria? ... Il governante arabo non è in alcun modo eletto dal popolo. Quando è sottoposto alla pressione internazionale, e gli Stati Uniti gli impongono di democratizzare la vita politica, lui tiene false elezioni e nomina un'oca come suo avversario...Qualcuno può dire che il capo arabo è venuto dal grembo del popolo? Almeno non lo lasciamo vivere nei palazzi, permettendogli di rubare il denaro del popolo e depositarlo in conti privati europei intestati a suo nome, a nome di sua moglie e dei suoi bambini".
  
"Se questo capo arabo fosse emerso dal seno del popolo, avrebbe provato il dolore del popolo. Ci sono cittadini arabi che non possono trovare pane; cittadini arabi che non possono trovare medicine, mentre il capo arabo si abitua, sfortunatamente, al Viagra. Un governante arabo è un libertino; un altro dorme tutto il giorno e permette a sua moglie di condurre gli affari di stato. Questi sono i fatti…".
  
"C'è un membro di opposizione arabo che ha provato a sollevarsi contro un certo regime. Lo hanno messo in una stanza chiusa e l'ha lasciata con la sua memoria cancellata. E' venuto fuori senza sapere nient'altro che il suo nome. Persone libere hanno voluto agire, ma che cosa gli è accaduto? Sono state uccise. Il nostro capo arabo è un assassino che uccide nel cuore della notte. Lui invia i suoi agenti e il personale dei servizi segreti...".
  
"Lei vive a Londra. Quanti intellettuali [arabi] sono stati assassinati a Londra? Quante persone sono state assassinate sui marciapiedi di Londra?... [Nel mondo arabo] se un intellettuale appartiene al regime, gli danno una villa, gli danno una macchina. Ma se è come me, che canto le canzoni del popolo, vive in esilio...".

    
«La verità è che non vogliamo la democrazia - Noi siamo contro l'America...»

Ahmad Othman: "Colin Powell ha detto: 'Noi siamo disposti ad aiutare il popolo arabo e a spingere i governi arabi in modo che permettano un genere di democrazia per il popolo arabo'. Il popolo arabo ha attaccato il sig. Powell. Tutta la stampa araba e tutti i portavoce del popolo arabo hanno attaccato l'America perché voleva aiutarli a ottenere la democrazia. La verità è che noi non vogliamo la democrazia. Noi siamo contro l'America…".

"Com' è avvenuta la Rivoluzione francese? Il popolo stesso, i pastori, sono scesi per strada. Le pecore sono diventate lupi e hanno abbattuto la Bastiglia e liberato i prigionieri... Se il popolo arabo si sollevasse come un sol uomo, nessuno potrebbe resistergli...".


«Ci sono 250.000 membri dei servizi di sicurezza... chi ha detto che c'è disoccupazione nel mondo arabo?»

Yahya Abu Zakaria: "Sono stupìto che lei creda all'America. L'America ha promesso di sostenere la causa palestinese, ma è stata la prima a umiliare la Palestina. L'America ci ha promesso che avrebbe tagliato gli artigli dei dittatori, ma in fin dei conti dà legittimità a tutte le dittature nel mondo arabo…".
  
"Ho un documento che parla di un apparato di sicurezza arabo con 250.000 persone. Chi ha detto che c'è disoccupazione nel mondo arabo?  In un singolo apparato, c'è qualcuno che insegue il popolo, qualcuno che insegue gli studenti delle scuole superiori, qualcuno che insegue i quotidiani e i giornalisti...".
  
"Poiché il capo arabo è illegittimo... ha deciso di dovere circondarsi di personale militare e poliziotti. Il bilancio dello stato, che serve a creare la stabilità economica..., lui lo spende per gli apparati di sicurezza e per l'esercito, che gli permettono di terrorizzare [il popolo nel suo territorio]... Nella nostra realtà araba, il padre teme suo figlio, il figlio teme suo fratello e la madre teme sua figlia…".
  
"Quando il nostro popolo arabo si raduna [per una dimostrazione], viene colpito con un bastone. Il nostro governante conosce solo il bastone... Ogni volta che il cittadino vuole gridare 'Popolo, sto soffrendo, per Allah, non voglio che il mio paese sia venduto. Per Allah, non voglio che gli americani mi governino. Per Allah, non voglio oppressione', gli viene detto: 'Silenzio!'. Finché il capo arabo mangia, finché il capo arabo ha milioni di dollari, finché il capo arabo ha amanti, finché il capo arabo assassina, distrugge e manda a pezzi le nostre menti, la nostra storia e la nostra geografia, la nazione è in buona forma".
  
"E' una disgrazia che il regime arabo dica agli studenti che vogliono scendere in strada ed esprimere i loro diritti naturali 'Non lasciate l'università', [e poi] un attimo dopo, la marcia polizia entra nell'università e colpisce gli studenti... Io dico a questi studenti colpiti dalla polizia:  'Non rompete il braccio del poliziotto. Rompete il braccio del capo, che vi annienta, vi disprezza, che ha confiscato le vostre menti e vi sta iniettando il siero del 'sì' da quando siete nati. Essi vogliono che noi diciamo 'sì' a tutto. Ma questo è l'inizio della tempesta, e se il popolo si alza, consumerà tutto".
  
"Questa tristezza accumulata genera rivoluzioni; le prigioni e l'esilio generano eroi; il sangue versato invano, solo perché il leader arabo ha voluto essere solo nell'arena, un giorno bollirà e rovescerà la pentola che cucinerà il capo arabo…".

    
«Il mondo intero vive nella paura dei terroristi che questi regimi producono»

Ahmad Othman: "Se gli americani entrano e cambiano il regime in Iraq, e introducono un regime democratico, sarà possibile più tardi sostituire gli altri regimi. Questo è quel che fece Napoleone. Quando raggiunse l'Egitto, i Mamelucchi fuggirono e sorse un movimento democratico, il popolo egiziano cominciò a parlare per la prima volta. La moderna rinascita araba è iniziata dopo Napoleone".
  
"[Oggi, gli intellettuali] sono diventati funzionari del governo e difendono un regime autoritario. Tutti i gruppi intellettuali marxisti difendono la dittatura di Saddam Hussein. Il popolo arabo non capisce più... i nostri intellettuali si sono venduti al dittatore... Ma, dopo l'11 settembre, gli americani si sono resi conto che i regimi autoritari nella regione araba producono terroristi che attaccano l'America e l'Europa. Il mondo intero vive nella paura dei terroristi che questi regimi producono. Gli americani se ne sono accorti. Essi non vogliono istituire la democrazia per amor nostro, ma per difendere se stessi. Se il popolo arabo ha un'opportunità per imparare, per partecipare al governo del suo territorio e alla costruzione della società, non distruggerà l'America e l'Europa".


«I ragazzi che sono andati a distruggere l'America sono stati educati nelle nostre società»

"Essi fanno questo per i propri interessi, ma noi abbiamo un'opportunità genuina, un'opportunità storica... I ragazzi che sono andati a distruggere l'America e hanno minacciato il mondo intero [l'11 settembre] erano stati educati nelle nostre società, nelle nostre case, nelle nostre scuole. Hanno studiato quello che è stato detto dai nostri media e hanno lasciato le nostre scuole ritenendo che il loro principale interesse sia di uccidere altri. Chi li ha resi così barbarici?...".
  
"La religione, per quanto io ne capisca, è fede in Allah, nel Giorno del Giudizio, e nel rito [attraverso la preghiera]. Ma ora essi non ne parlano più [nelle moschee]. Un uomo va a convertirsi all'Islam e dice allo sceicco: 'Attesto che non c'è altro Dio all'infuori di Allah e Maometto è il suo Messaggero'. Ma ora essi hanno trasformato la religione islamica in guerra, martirio, Jihad. Così è, se tu credi o non, se preghi o non, non fa alcuna differenza…".
 
Yahya Abu Zakaria: "Io credo che il popolo farà quel che Bin Al-'Izz Abd Al-Salam fece in Egitto. Prese il capo Mamelucco dell'Egitto e lo vendette al mercato degli schiavi. Verrà il giorno in cui il popolo prenderà i suoi governanti e li venderà al mercato degli schiavi, e noi stabiliremo una democrazia, se Allah vuole, che sarà basata su due princìpi: giustizia e Shura…".

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Note:
(1) 15 febbraio 2003.
(2) Il mustache è un simbolo di onore e di virilità.

(The Middle East Media Research Institute, 14.03.2003)



LA FESTA DEL PURIM IN ISRAELE

   
   
    Una maschera molto particolare

Stasera [17 marzo] ha inizio in tutto Israele - eccetto Gerusa- lemme - la festa del Purim con la lettura del libro di Ester nelle sinagoghe. Migliaia di poliziotti e volontari sono impegnati nelle città d'Israele e lungo la linea verde per garantire la sicurezza della festa del Purim. Anche se non c'è nessun avvertimento di attentati terroristici, non si vuol dare a nessun terrorista la possibilità di sfruttare la festa in maschera per compiere qualche attentato. I bambini aspettano tutto l'anno la festa del Purim. In questa occasione il popolo ebraico si rallegra della vittoria sui suoi nemici che avevano progettato di sterminarlo, come viene narrato nel libro di Ester. Al nono capitolo di questo libro si legge:
«Mardocheo scrisse queste cose e mandò delle lettere a tutti i Giudei che erano in tutte le provincie del re Assuero, vicini e lontani, ordinando loro di celebrare ogni anno i giorni quattordici e quindici del mese di Adar, come i giorni nei quali i Giudei ebbero riposo dagli attacchi dei loro nemici e il mese in cui il loro dolore venne mutato in gioia, il loro lutto in festa, e di fare di questi giorni, giorni di banchetti e di gioia, nei quali gli uni mandassero regali agli altri e si facessero doni ai bisognosi» (Ester 9:20-22).

(NAI-Stimme aus Jerusalem, 17.03.2003).



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