Notizie su Israele 171 - 30 aprile 2003


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In quel giorno il SIGNORE fece un patto con Abramo, dicendo: «Io do alla tua discendenza questo paese, dal fiume d'Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate.

(Genesi 15:18)



POLITICI REALISTI CONTRO SOGNATORI FANATICI?


Molti sono insofferenti quando sentono fare discorsi "religiosi" sulle scottanti questioni politiche del Medio Oriente. Pensano che bisogna essere pratici e realisti, non sognatori e fanatici. Ma si è davvero realisti quando si trascura quello che dice la Bibbia sulla terra d'Israele e sul popolo che è destinato ad abitarla? Molto prima che apparissero all'orizzonte gli eroi del sionismo, e la costituzione di uno Stato ebraico diventasse una possibilità politica realistica, anche se estremamente difficile; molto prima del fatidico giorno in cui Herzl disse a Basilea, nel 1897, di aver fondato lo Stato d'Israele, c'erano dei "sognatori" che sapevano che un giorno gli ebrei sarebbero tornati come popolo nella cosiddetta Palestina. E lo sapevano per il semplice motivo che lo trovavano scritto nella Bibbia. E' vero, sono molti quelli che si rifanno alla Bibbia e molte sono le opinioni che ne vengono fuori, ma questo si può dire anche di coloro che si rifanno ad altre autorità. Il fatto che ci siano molte deduzioni tratte dalla Scrittura non esclude, comunque, che proprio lì debba essere cercata la verità, e non altrove. L'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe un giorno chiese a un suo generale, un cristiano molto pio, di dirgli un solo motivo per cui doveva credere alla verità della Bibbia. Il generale gli rispose: gli ebrei. Non è strano allora che trascurino la Bibbia anche e proprio quelli che trovano lì il motivo profondo della loro storia passata, del loro presente e del loro avvenire?
    Non pretendiamo di aver inteso alla perfezione tutte le affermazioni che la Scrittura fa su Israele, ma due cose possiamo dire con certezza:
  1. Il popolo d'Israele non sarà mai distrutto, quali che siano le intenzioni dei suoi peggiori nemici;
  2. Nessuna pace stabile sarà mai ottenuta cedendo ad altri la terra che Dio ha dato a Israele.
Queste non sono opinioni, ma dichiarazioni di fatti. Questo significa che non sono lì per essere discusse, ma confermate o smentite dai fatti. E per chi avrà memoria, i fatti si incaricheranno di dirimere ogni controversia di parole.

Marcello Cicchese 



LA BIBBIA HA DA DIRE QUALCOSA SUI TERRITORI CONTESI IN MEDIO ORIENTE


Si trascura la «Road Map» di Dio per la Terra Santa

di John Waage - Corrispondente in Medio Oriente

Quando i negoziatori delle potenze mondiali si riuniscono per pianificare i futuri confini del Medio Oriente, nulla fa credere che consultino la Bibbia.

I diplomatici del cosiddetto "quartetto" – l'ONU, l'Unione Europea, la Russia e gli Stati Uniti – stanno insistendo per proporre la loro "mappa stradale" per la pace in Medio Oriente. Ma ci sono due diverse mappe stradali: quella di chi crede nella Bibbia e quella della comunità internazionale.
    La "mappa stradale" del quartetto invoca la fine delle violenze contro Israele, e la nascita di uno stato palestinese entro due anni. Ma le violenze non sono finite, e il presunto stato si troverebbe proprio nel cuore dell'Israele biblico: nei territori di Giudea e di Samaria.
    Nel campo minato diplomatico della Cisgiordania, quasi ogni città ed ogni quartiere ha origine ai tempi della Bibbia. La città araba di Nablus è la cittadella ebraica di Sichem, che ospita la tomba di Giuseppe. La fortezza palestinese di Betlemme è la città giudea di Davide, luogo di nascita di Gesù. E Gerusalemme è la Città Santa, menzionata centinaia di volte nelle Scritture.
    Quando i negoziatori delle potenze del mondo si riuniscono per pianificare i futuri confini del Medio Oriente, nulla fa credere che consultino la Bibbia.
    Elon Moreh è nel cuore della Samaria biblica. È il luogo in cui il Signore fece un patto con Abrahamo migliaia di anni fa, per dare questo territorio a lui e ai suoi discendenti per sempre.
    Nel resoconto della Genesi, il Signore promise ai discendenti di Abrahamo, Israele, il territorio dal fiume d'Egitto al fiume Eufrate. Gli studiosi della Bibbia differiscono sui confini esatti. Ma è chiaro che i confini biblici di Israele comprendono tutto ciò che oggi viene chiamato "West Bank" [Cisgiordania], il territorio che il quartetto ha assegnato allo stato palestinese.
    Reuven Berger è un pastore messianico che lavora e prega per la riconciliazione fra ebrei ed arabi. Lui dice che nella Bibbia non si parla affatto di uno stato palestinese.
    "Semplicemente, se guardiamo nelle Scritture, non troveremo una tale realtà né una promessa del genere. La Scrittura parla della promessa di questo territorio al popolo di Israele, e di una restaurazione che Dio compirà fisicamente e spiritualmente", dice Berger.
    Berger afferma inoltre che non è una sorpresa che la comunità internazionale sia così concentrata sulla Terra Santa. "L'uomo e tutto il sistema mondiale babilonese cerca e desidera una soluzione umana per riportare la pace in Medio Oriente, poiché si rende conto che è qui il centro dei problemi di tutto il mondo. Ma in realtà dovranno vedersela con Dio. Perché, prima di tutto, Dio dice che questa è la Sua terra".
    La pressione diplomatica per uno stato palestinese è aumentata dopo la caduta del regime di Saddam Hussein in Iraq. Per mesi il presidente Bush ha promesso questo stato se i palestinesi, con un nuovo governo, avrebbero messo fine alle violenze contro Israele e avrebbero dato vita a riforme democratiche. Ha anche spiegato chiaramente quale sarebbe stato il ruolo di Israele.
    Il 14 marzo di quest'anno Bush ha detto: "Il governo di Israele, quando sarà rimossa la minaccia terroristica e ci sarà un incremento di sicurezza, dovrà fare dei passi concreti per sostenere la nascita di uno stato palestinese valido e credibile, e dovrà lavorare il più velocemente possibile verso un accordo finale. Per progredire verso la pace, si dovrà mettere fine alle attività di stanziamento nei territori occupati".
    La maggior parte dei 200.000 ebrei residenti in Cisgiordania– in Giudea e in Samaria – non sarebbe d'accordo con l'affermazione del presidente Bush che vivono in territorio occupato.
    Miriam Fox, residente della comunità Alon Shvut, ha detto: "Ogni qualvolta qualcuno parla della Bibbia, viene preso per una sorta di fanatico religioso. Ma a rischio di sembrare tale, l'Antico Testamento è chiaro nell'affermare che questo pezzo di terra appartiene al popolo ebraico, come eredità perenne".
    Eve Harow, residente ad Efrat, ha detto: "Credo che sia realmente irresponsabile pensare che gli ebrei debbano essere trasferiti ancora da Giudea e da Samaria".
    Harow dice che per molti palestinesi, il vero problema è lo stato di Israele. "Dovranno accettare non solo il fatto che gli ebrei vivono in Giudea e in Samaria, ma anche che esistono ebrei in Medio Oriente, perché è veramente questo ciò che conta. E basta guardare i loro siti web e i loro libri di testo per vedere che le loro mappe del Medio Oriente dicono Palestina al posto, e non accanto ad Israele. Non si tratta della Giudea e della Samaria. È piuttosto il diritto degli ebrei ad avere uno stato proprio in questa parte del mondo", ha detto.
    Ma dopo decenni di pressioni sui vari governi israeliani, anche alcuni leader che hanno aiutato a costruire le comunità ebraiche in Cisgiordania ora si dicono rassegnati ad uno stato palestinese. Il primo ministro Ariel Sharon è uno di questi.
    In un'intervista del 13 aprile, Sharon ha dichiarato al quotidiano israeliano Ha'aretz: "Stiamo parlando della culla del popolo ebreo. Tutta la nostra storia è legata a questi posti – Betlemme, Scilo, Betel. E so che dovremmo cedere alcuni di questi posti. Come ebreo, questo mi fa stare in agonia. Ma ho deciso di fare qualsiasi sforzo per raggiungere un accordo. Sento che la necessità razionale di raggiungere un accordo sta vincendo i miei sentimenti".
    Ma questo non basta a molti palestinesi, che imparano sin dalla tenera infanzia che tutto Israele è territorio palestinese. I leader di Hamas e altri gruppi terroristici hanno votato di combattere la "road map" e qualsiasi altra proposta che lasci ad Israele il controllo del territorio.
    Il co-fondatore Hamas, Abdel Aziz Rantisi, ha detto: "Credo che aumenteremo la nostra resistenza, perché la resistenza in Palestina rappresenta la speranza della nazione".
    I gruppi terroristici palestinesi hanno cercato di mettere in pratica le loro minacce. Le forze di sicurezza israeliane hanno sventato più di 60 minacce di attacchi terroristici durante la scorsa festività pasquale, ed almeno 10 persone sono state arrestate per sospetti attentati dinamitardi. Eppure, i partner nella "mappa stradale" dell'amministrazione Bush – la Russia, l'Unione Europea e le Nazioni Unite – vogliono che lo stato palestinese si realizzi in tempo ancor più breve. Ma il quartetto non è stato veloce a spiegare cosa ci sarebbe voluto per impedire ai terroristi di uccidere gli israeliani.
    Nel frattempo, gli israeliani che credono nelle promesse della Bibbia riguardanti il territorio, dicono di star aspettando l'autore delle scritture.
    Yacov Coblentz, residente ad Efrat, ha detto: "Il popolo ebraico non si sarebbe potuto stanziare nel territorio di Israele e non avrebbe potuto sopravvivere a così tante guerre senza l'aiuto Divino. Ce la facciamo sempre. Ce la faremo (bezat hashem), ce la faremo per sempre. Se preghiamo adeguatamente, ce la faremo". Reuven Berger ha detto: "Dio ha un piano. Lui ha un piano di benedizione. Ha un piano di pace. E non si può bypassare Israele. Israele è al centro di quel piano. Questo è il motivo per cui le nazioni, col loro odio per Israele, si stanno privando delle benedizioni che Dio ha per loro".

(Christian Action for Israel, 24 aprile 2003)



DEI DOCUMENTI IRACHENI COMPROMETTONO AL QAEDA E LA FRANCIA


LONDRA - Secondo un giornale pubblicato domenica scorsa, dei documenti trovati sotto le macerie del quartier generale dei Servizi di Intelligence dell'Iraq attestano l'evidenza di un legame diretto tra il regime di Saddam Hussein e la rete terroristica di Osama Bin Laden.


    Dei documenti scoperti sabato scorso da giornalisti del Sunday Telegraph rivelano che un emissario di Al Qaeda ha incontrato degli ufficiali a Bagdad, nel marzo 1998, così riferisce il giornale.
    Secondo questo giornale, una fonte ufficiale non identificata dei Servizi occidentali di Intelligence avrebbe dichiarato che il ritrovamento è "sensazionale".
    Il giornale afferma che i documenti dimostrano che lo scopo dell'incontro era di stabilire una relazione tra Bagdad e Al Qaeda, sulla base del loro comune odio per gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita.
    Secondo lo stesso giornale, l'incontro si è svolto talmente bene che si è prolungato per una settimana ed è terminato con la messa a punto di accordi in vista di una visita di Bin Laden a Bagdad.
    E' da notare che i giornalisti hanno trovato un dossier di tre pagine su Bin Laden all'interno di una camicia che giaceva in mezzo alle macerie di uno degli uffici della sede dei Servizi di Intelligence.
    "Gli agenti iracheni hanno maldestramente tentato di mascherare tutti i riferimenti a Bin Laden usando dei correttori bianchi", riferisce il giornale. "Tuttavia, dopo aver asportato accuratamente il prodotto seccato, il nome è apparso tre volte, in modo molto leggibile, nei documenti."
    Una delle pagine, datata 19 febbraio (1998), portava la dicitura "Top secret e urgente", e riguardava dei progetti di un viaggio nel Sudan di un anonimo emissario, descritto nel dossier come il confidente degno di fiducia di Bin Laden, precisa il giornale.
    Il documento, firmato "MDA", che il giornale dice essere il nome in codice del direttore di una delle sezioni dell'Intelligence, rivela che gli iracheni avevano l'intenzione di pagare l'emissario mentre era in Iraq "per prendere conoscenza del messaggio di Bin Laden e trasmettere al suo inviato un messaggio orale per Bin Laden".
    Secondo il giornale, questo messaggio, destinato a Bin Laden, "riguardava l'avvenire dei nostri rapporti con lui, Bin Laden, e [prendeva in considerazione] un incontro diretto con lui".
    Gli altri documenti confermano che l'emissario si è recato, nel marzo 1998, da Khartum, nel Sudan, a Bagdad, e che ha soggiornato nell'hotel Al-Mansur Melia.
    I documenti non dicono se c'è stato un incontro tra Bin Laden e gli ufficiali iracheni, precisa il giornale.
    Da parte sua, il Sunday Times riferisce che i suoi propri giornalisti hanno trovato, presso il Ministero iracheno degli Affati Esterni, dei documenti da cui risulta che la Francia ha fornito al regime di Saddam Hussein dei regolari rendiconti sui suoi rapporti con gli ufficiali americani.
    Secondo questo giornale, i documenti rivelano che Parigi ha messo al corrente Bagdad del contenuto degli incontri transatlantici privati e dei messaggi diplomatici provenienti da Washington.
    Un documento in data 25 settembre 2001, emanato dal ministro degli Affari Esteri iracheno Naji Sabri e inviato al palazzo di Saddam, si fonda su un rapporto dell'ambasciatore francese a Bagdad e rende conto delle conversazioni tra il Presidente Jacques Girac e George W. Bush

(UPJF, 26.04.2003)



«NON CONTIAMO TROPPO SU ABU MAZEN»


dal quotidiano israeliano Yediyot Aharonot.

    Il Primo Ministro Abu Mazen avrà il suo da fare per ottenere il sostegno della strada palestinese, considera Roni Shaked nella sua analisi pubblicata nel supplemento di fine settimana di "Yediyot Aharonot". Ai palestinesi non è mai piaciuto che Yasser Arafat abbia ratificato il nuovo governo. «Nell'attentato di Kfar Saba si può scorgere il messaggio di benvenuto indirizzato ad Abu Mazen e al suo ministro Mahmud Dahlan. Ed è di questo che i due uomini dovranno occuparsi!»
    Secondo gli ultimi sondaggi, la strada palestinese è favorevole alla nomina di un Primo Ministro, ma solo il 3% sostiene Abu Mazen. «In realtà, è il presidente Bush che ha imposto la persona di Abu Mazen. [...] Per i palestinesi, lui è soltanto il Primo Ministro di un periodo di transizione tra l'epoca di Yasser Arafat e quella della democrazia palestinese», scrive Roni Shaked.
    Nella cerchia di Abu Mazen si afferma che Arafat appartiene al

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passato. Tuttavia, Arafat resta popolare e conserva dei poteri. Le persone vicine al Primo Ministro sanno che il rais gli renderà la vita difficile e che le ultime settimane sono state soltanto un antipasto. Affermano però che Abu Mazen è cambiato. «Non è più l'uomo debole che minacciava continuamente di dimettersi. Ha capito l'importanza della sua missione e rifiuterà di trasformarsi in marionetta.»
    Il problema principale è dovuto al fatto che nonostante la nomina di un Primo Ministro, Yasser Arafat non è diventato un presidente onorifico e senza potere. Resta precisamente alla testa delle forze di sicurezza nazionali e ha messo i suoi uomini all'interno dei servizi di informazione.
    Abu Mazen dovrà guadagnarsi il sostegno del Consiglio legislativo palestinese affinché il suo governo sia operativo. Riceverà la Road Map degli americani, riceverà la visita del Segretario di Stato Colin Powell, incontrerà Ariel Sharon e si recherà a Washington. Tutto questo mentre le trattative diplomatiche restano di responsabilità dell'OLP, di cui Arafat resta il presidente.
    Anche se Abu Mazen riuscisse a liberarsi dal dominio di Arafat, resta il fatto che condivide molte delle sue idee. Esige che Israele accetti il diritto al ritorno dei profughi palestinesi come è stato stabilito dalle Nazioni Unite, vede in Gerusalemme la capitale di due popoli, reclama il ritiro israeliano entro le frontiere del 1967 e lo smantellamento degli insediamenti.

(Proche-Orient.info, 25.04.2003)



UNA SOCIETA' IMMERSA NELLA DISINFORMAZIONE


da un'analisi di Barry Rubin,
direttore della Middle East Review of International Affairs

    Se si vuole capire il Medio Oriente, bisogna prestare attenzione ad alcuni eventi assai importanti che hanno avuto luogo negli ultimi giorni del regime di Saddam Hussein. Questi i fatti. A un certo punto le forze statunitensi prendono il controllo dell'aeroporto internazionale di Bagdad. Il ministro dell'informazione iracheno Muhammad Sa'id al-Sahhaf annuncia per quella stessa notte un grande attacco a sorpresa con l'uso di squadre suicide. Poche ore dopo, al-Sahhaf afferma che la Guardia Repubblicana ha ripreso il controllo dell'aeroporto, che le forze "mercenarie" americane sono in fuga e che l'Iraq sta vincendo la guerra. Promette persino che entro un'ora il governo portera' i giornalisti stranieri a fare un giro all'aeroporto per mostrare loro che e' in mani irachene. Naturalmente non ha luogo nessun giro di giornalisti. In effetti, non solo l'aeroporto resta saldamente sotto il controllo americano, ma non si verifica nessun attacco a sorpresa nella notte. [Ha scritto Beppe Severgnini sul Corriere della Sera (14.04.03): "La specialita' di al-Sahhaf era rifiutare l'evidenza. Per lui l'avanzata angloamericana, semplicemente, non avveniva. L'uscita di scena e' stata un pezzo di bravura. Nell'ultima conferenza-stampa, l'ineffabile ministro iracheno negava l'arrivo degli americani a Bagdad, sebbene i carri armati Usa fossero visibili alle sue spalle, sotto le finestre. Le redazioni televisive, dagli Usa e da Londra, gridavano in cuffia ai corrispondenti: "Ditegli di girarsi!". Ma lui non si girava, e ripeteva la sua versione dei fatti: una ventata d'avanspettacolo".]
    Queste menzogne cosi' sorprendentemente spudorate sembrarono solo l'estrema velleita' disinformativa di un regime sull'orlo del collasso. Niente di piu' sbagliato. La grottesca vicenda del ministro al-Sahhaf non e' affatto unica, anzi essa e' terribilmente tipica di cio' che accade da decenni nel mondo arabo, e non solo in Iraq. Le grandi menzogne, le esagerazioni al limite del ridicolo o comunque le si voglia chiamare sono assolutamente normali. Innumerevoli volte, riguardo a Israele o altre questioni, in occidente i media, i governi, gli studiosi e ampi segmenti dell'opinione pubblica hanno preso per attendibili questo genere di "informazioni", o come minimo le hanno messe sullo stesso piano della versione degli stessi eventi data da altre fonti. Ci sono voluti gli imbrogli da burletta del ministro al-Sahhaf per mostrare nitidamente di che pasta e' fatta certa "informazione". Ora sarebbe bene apprendere questa lezione una volta per tutte: perche' e' esattamente cosi' che funzionano troppo spesso i meccanismi dell'informazione nel mondo arabo. Il che non significa che gli arabi siano in generale contenti di questo stato di cose. ["Ovviamente - scrive ancora Severgnini - al Sahaf non era inoffensivo. Saddam non scelse un umorista, per raccontare la sua versione dei fatti. La Cnn, espulsa da Bagdad, parla di minacce e complotti architettati dal ministero.] Non v'e' dubbio che la distorsione della verita' e' continua e generalizzata. Bastava guardare qualunque televisione araba o leggere qualunque giornale arabo per credere che l'Iraq stesse vincendo la guerra, che il popolo iracheno fosse schierato compatto con Saddam, che le forze della coalizione stessero commettendo atrocita' di massa e che l'attacco al regime iracheno fosse causato dalle peggiori motivazioni possibili e immaginabili.
    Come puo' la gente avere a che fare con il mondo reale quando e' imbottita di tanta disinformazione? Come stupirsi che crescano sentimenti visceralmente anti-americani, e che moderazione e pace appaiano impossibili, sulla scorta di una tale sfilza di convinzioni tanto infondate eppure tanto radicate? E' cosi' che si gettano le basi di altri e peggiori disastri ai danni degli stessi arabi. Il 14 aprile Jihad al-Khazen, gia' direttore di al-Hayat, ha scritto un editoriale sul suo giornale intitolato "Imbecilli americani". Per cogliere appieno il significato di questo articolo, bisogna sapere che Khazen e' considerato un moderato nel contesto del mondo dell'informazione araba: ha vissuto a lungo in occidente e potrebbe fare molto per aiutare i suoi lettori a capire meglio la realta'. Ecco come inizia il suo pezzo: "Membri della banda del Likud [il partito israeliano del primo ministro Ariel Sharon] all'interno dell'amministrazione americana, banda la cui esistenza il segretario di stato Colin Powell ha confermato negandola, si e' infiltrata nelle universita', nei centri di ricerca e nel governo". Spiega poi che questa banda e' responsabile della politica americana e appoggia le pratiche "naziste" israeliane. Agenti israeliani, spiega Khazen, dettano al segretario della difesa americano Donald Rumsfeld quello che deve dire o non dire. Se questo e' cio' che scrive uno dei giornalisti arabi piu' scaltri, piu' razionali, piu' esperti del mondo occidentale e, relativamente parlando, piu' moderati, come potra' il mondo arabo, dal punto di vista dei suoi stessi interessi, affrontare efficacemente gli Stati Uniti sul piano diplomatico?
    A questo punto c'e' un altro grande mito da sfatare: non e' la politica di Washington che genera cosi' tanto odio in Medio Oriente verso gli Stati Uniti, quanto piuttosto la rappresentazione totalmente distorta di quella politica e di cio' che fanno realmente gli Stati Uniti. Cio' che Khazen e i suoi colleghi non capiscono e' che la loro incapacita' di comprendere, o riconoscere, cio' che accade nella loro stessa regione e la loro completa indisponibilita' a giudicare con un minimo di obiettivita' la politica americana procurera' loro molti piu' danni di tutte le immaginarie bande di sionisti infiltrate in giro per il mondo.

(israele.net. 26.04.2003)
    


L'IDOLO DELLA «CAUSA» CHE RICHIEDE SACRIFICI UMANI


Perché l'Olocausto potrebbe riaccadere

di Robert W. Tracinski

Il Giorno della Memoria dell'Olocausto non ha soltanto lo scopo di rendere un tributo alle vittime, ma anche di capire ciò che rese possibile un'ingiustizia di tale grandezza – e per impedire che riaccada di nuovo. Ma è proprio questo che non abbiamo imparato.

    Nel giorno della Memoria dell'Olocausto siamo spinti a ricordare i milioni che soffrirono e morirono nei campi di concentramento nazisti. Lo scopo non è semplicemente quello di rendere un tributo alle vittime, ma anche capire ciò che rese possibile un male di tale grandezza – e impedire che accada di nuovo.
    Eppure è proprio questo ciò che non abbiamo imparato. La nascita del nazismo viene spesso attribuita a dei fattori non fondamentali, come ad esempio il risentimento prodotto dal Trattato di Versailles o la disperazione generata dalla Grande Depressione. Oppure, se ci danno una spiegazione di fondo e ideologica, ci dicono che i tedeschi erano troppo capitalisti ed invidualisti.
    La vera causa del nazismo è stata ideologica – ma esattamente un'ideologia opposta. Il nazismo è fiorito a causa dei suoi ideali di abnegazione e auto-sacrificio. Hitler stesso definì i fondamenti morali del nazismo: "E' perciò necessario che l'individuo giunga a realizzare che il suo ego non ha importanza… Questo stato mentale, che è subordinato agli interessi egoistici della conservazione della comunità, è veramente la prima premessa a qualsiasi cultura veramente umana… L'attitudine basilare da cui sorge tale attività, viene definita – per distinguerla dall'egoismo e dall'individualismo – idealismo. Con questa intendiamo solo la capacità individuale a sacrificarsi per la comunità, per i compagni".
    Gli storici di solito non tengono conto di queste affermazioni. L'idea che il sacrificio sia sinonimo di virtù è troppo radicata per connetterla al nazismo. Perciò tali discorsi vengono di solito considerati dei semplici tentativi di nascondere i veri piani nazisti.
    Ma che succederebbe, se invece non fosse così? Che succederebbe se invece fossero stati proprio quegli slogan nazisti dal tono più virtuoso a scatenare il loro male sul mondo?
    Consideriamo il significato pieno e logico dell'auto-sacrificio altruistico. Non significa benevolenza verso gli altri, ma servilismo. Se il sacrificio per gli altri è l'essenza della virtù, come si può permettere a qualcuno di perseguire i propri obiettivi e la propria felicità? Se la comunità ha bisogno di soldi, è dovere dell'individuo sacrificare i propri guadagni. Se la società decide che certe idee sono pericolose, è dovere dell'individuo sacrificare le proprie convinzioni. E se la nazione decreta che alcuni individui sono pericolosi, allora dovranno essere sacrificati. I bisogni della collettività, non gli interessi e i diritti degli individui, diventano il punto di riferimento del bene e del male.
    A causa di questa filosofia nessuno si lamentò quando i nazisti congelarono i salari degli operai – la nazione aveva bisogno di carri armati più costosi. Nessuno obiettò quando Hitler fece arrestare i suoi oppositori politici – la nazione aveva bisogno di maggiore unità. E nessuno contestò quando gli ebrei vennero torturati ed uccisi – la nazione aveva bisogno di una purezza ariana. Come scrisse Leonard Peikoff nel suo "The Ominous Parallels" – uno studio delle somiglianze filosofiche fra l'America odierna e la Germania pre-nazista: "Gli oppositori del nazismo erano disarmati; poiché per loro l'abnegazione era una virtù, erano obbligati ad ammettere che il nazismo, per quanto ben mascherato, aveva la forma di un idealismo morale".
    La maggior parte delle persone evitano queste implicazioni rigide, ricorrendo ad un compromesso fra abnegazione e auto-interesse. Gli inviti al sacrificio vanno bene, dicono, ma non vanno presi "troppo sul serio". I fascisti condannarono questo approccio, marchiandolo di ipocrisia. Essi portarono la moralità del sacrificio alla sua conclusione logica. Insistettero, con le parole del fascista italiano Alfredo Rocco, sulla "necessità, a cui le antiche dottrine davano poca importanza, del sacrificio, fino alla totale immolazione degli individui".
    E i nazisti certamente praticarono quello che Rocco predicava. Un obiettivo centrale dei campi di concentramento, scrisse il sopravvissuto Bruno Bettelheim, era quello di "frantumare l'individualità dei prigionieri, trasformandoli in una massa docile". "Non dovranno più essere dei tedeschi privati", dichiarò uno scrittore nazista; "ognuno di loro avrà significato soltanto in base al suo servizio per lo stato". L'obiettivo del Nazional Socialismo era il durevole sacrificio dell'individuo: il sacrificio della sua mente, della sua indipendenza, e infine della sua persona.
    Un paese libero è basato precisamente sul principio opposto. Per proteggersi da ciò che definivano "la tirannia della maggioranza", i Padri Fondatori dell'America sostennero il diritto individuale alla "vita, alla libertà e al perseguimento della felicità". La base implicita del governo americano era un ideale di individualismo – l'idea che l'individuo non sia subordinato alla collettività, che abbia il diritto morale di perseguire i propri interessi, e che tutti gli individui razionali beneficino di un tale sistema.
    Oggi, comunque, l'abnegazione viene considerata un bene auto-evidente. È vero, la maggior parte delle persone non vogliono un sistema puro e coerente di sacrificio, come lo praticavano i nazisti. Ma quando viene accettato il principio, nessun quantitativo di questa "virtù" potrà mai essere considerato "troppo".
    Non avremo imparato le lezioni dell'Olocausto finché non avremo completamente rifiutato quest'adorazione sacrificale e non riscopriremo la moralità dell'individualismo.

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L'autore dell'articolo è membro, scrittore, insegnante ed analista dell'Istituto Ayn Rand ed è abituale conferenziere ed oratore in università sulla filosofia dell'ultimo novellista Ayn Rand.

(Capitalism Magazine, 22 aprile 2003)

NOTA DI COMMENTO - Davanti alle aberranti forme di "abnegazione" dei  "martiri" che vediamo in Medio Oriente, non si può che concordare con la dissacrazione dell'invito al "sacrificio di sé" che viene predicato in certe popolazioni. La soluzione però non sta nell'individualismo egoistico. La Bibbia rivela e insegna altre forme di sacrificio di sé che portano edificazione e vita, non distruzione e morte. M.C.



MUSICA E IMMAGINI

In questa zona della pagina cercheremo d'ora in poi di inserire un pezzo musicale collegato al mondo ebraico. Alla musica si accompagnerà la visione di qualche parte di Israele.
    Nei prossimi numeri inseriremo, con il dovuto permesso, dei canti in lingua ebraica. La cantante, Elizabeth Sthrambrand, è nata a Tashkent, la capitale dell'Uzbekistan, dove è arrivata alla fede. Immigrata in Israele diversi anni fa, adesso frequenta una comunità messianica e usa il suo meraviglioso dono di cantante e compositrice di musica partecipando a concerti evangelistici in Gerusalemme, Haifa e Tel Aviv. Canta in tre lingue: ebraico, russo e inglese.

Baruch Haba


Occorre QuickTime. Se non si sente la musica cliccare qui



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